TUTTOSCIENZE 12 maggio 99


IN BREVE Matematica per ingegneri
ARGOMENTI: MATEMATICA
LUOGHI: ITALIA, ITALIA, TO, TORINO

Nasce presso il Politecnico di Torino il nuovo corso di laurea in Matematica per le scienze dell'ingegneria. La presentazione avverrà vernerdì 21 maggio (aula R7, via Boggio 53, ore 14,30) con due conferenze: una di Pierre-Louis Lions (Università di Parigi, già premiato con la Medaglia Fields, il Nobel dei matematici) e una di Helmut Neunzert (Università di Kaiserlautern). Informazioni: 011- 564.7522.


FIERA DEL LIBRO La scienza, passione e avventura
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: DIDATTICA
NOMI: REGGE TULLIO
LUOGHI: ITALIA, ITALIA, TO, TORINO
NOTE: FIERA DEL LIBRO. TORINO 1999

PASSIONI. Avventura. Intorno a queste parole ruota la Fiera del Libro che si apre oggi a Torino al Lingotto: 850 editori, mezzo milione di libri, un centinaio di incontri e dibattiti da questa mattina a domenica sera, 200 mila visitatori attesi alla più grande festa italiana della carta stampata. Con le passioni e con l'avventura la scienza ha una parentela stretta. Perché la conoscenza razionale del mondo è prima di tutto una passione, la razionalità è figlia di una emotiva curiosità. Lo scienziato che non si stupisce del mondo, che non è sollecitato dalle emozioni, sarà forse un buon artigiano della conoscenza ma difficilmente sarà un innovatore. Le rivoluzioni scientifiche non sono mai avvenute senza quella levatrice universale che è la passione. Basta leggere Galileo o Darwin per rendersene conto. Fatto il primo passo, appena la passione mette in moto la ricerca, inizia l'avventura. La più vera delle avventure, perché il viaggio dello scienziato va per definizione dal noto verso l'ignoto, e il più delle volte lo scienziato, come Cristoforo Colombo, trova quello che non cercava. Fleming non cercava la penicillina. Wilson e Penzias non cercavano la radiazione cosmica di fondo, lontana eco del Big Bang. Di queste sorprese vive la scienza, ma può vivere, dovrebbe vivere, l'intera cultura. Inclusa la cosiddetta cultura umanistica. Incluse, quindi, la poesia, la narrativa, la letteratura, l'arte. Date uno sguardo a questa pagina di ««Tuttoscienze»». Qui accanto il fisico Tullio Regge descrive uno straordinario esperimento di poche settimane fa che si è conquistato la copertina di ««Nature»»: un raggio di luce - che di solito ha fretta, viaggia a 300 mila chilometri al secondo - è stato rallentato fino a 60 chilometri all'ora, velocità alla portata di un buon ciclista. Donde il titolo di ««Nature»» e il nostro. Si è raggiunto questo straordinario risultato facendo passare la luce attraverso un particolare stato della materia chiamato ««condensazione di Bose-Einstein»», qualcosa che, per inciso, neppure Bose e Einstein immaginavano si potesse un giorno realizzare in laboratorio (ancora l'imprevedibilità, essenza dell'avventura). Bene. Nel 1972 Fruttero e Lucentini pubblicavano una antologia di racconti di fantascienza: ««Il passo dell'ignoto»» . Il secondo racconto del volume, è ««Luce di giorni passati»». L'autore, Bob Shaw, immagina che sia stato inventato uno speciale tipo di vetro che rallenta enormemente il passaggio della luce: non a 60 chilometri all'ora, ma qualche millimetro al decennio. Un vetro che somiglia a una ««condensazione di Bose-Einstein»» superpotenziata. Il protagonista del racconto ogni tanto guarda fuori dalla finestra, in giardino. E vede sua moglie che cura le rose. Ma lei è morta anni prima. La luce di quell'immagine, pigramente, sta ancora attraversando il vetro. Un giorno lo avrà attraversato del tutto, e allora lei sarà morta davvero per sempre. Diceva Primo Levi, laureato in chimica, che lo scrittore di formazione scientifica gode di un ««vantaggio illecito»». E' vero. Ma è vero soltanto perché la maggior parte degli altri scrittori rifiuta e ignora una metà (e forse più di una metà) della cultura del nostro tempo. Il vantaggio non è poi così illecito, se è lì, alla portata di chi vuole prenderselo. Il pensiero e l'arte del nostro tempo sono deboli - come Gianni Vattimo teorizza - anche perché non vogliono prendere atto che esistono idee forti che la scienza mette a nostra disposizione con liberalità. E dico idee, non ««verità»», che sarebbe parola scivolosa, specialmente quando si parla con i filosofi. I fisici ci spiegano che la materia di cui siamo fatti è composta di tre soli tipi di particelle: elettroni e due quark. Gli astronomi raccontano che l'universo al 98 per cento è fatto di materia la cui natura ci sfugge. I biologi ci ricordano che il progetto del nostro organismo è scritto in tre miliardi di ««caratteri»» (5000 libri!) impaginati nella doppia elica del Dna. I neurologi calcolano che il nostro cervello sia un insieme di cento miliardi di neuroni, tanti quante sono le stelle di una galassia. E' debole tutto questo? O sono spunti formidabili? Dunque appuntamento alla Fiera del Libro. Oggi, ore 11,30, con Giorgio Celli e il suo Darwin. Giovedì, ore 18,30, con Boncinelli, Regge, Odifreddi, Pierantoni, Longo, Goldschmidt e ancora Celli. Tema, appunto, ««La scienza come avventura»». Piero Bianucci


Eccezionale esperimento all'Università di Harvard PEDALANDO ALLA VELOCITA' DELLA LUCE
Autore: REGGE TULLIO

ARGOMENTI: FISICA
ORGANIZZAZIONI: HARVARD UNIVERSITY
LUOGHI: ITALIA

SECONDO la teoria della relatività, ma anche in assoluto accordo con l'evidenza sperimentale, la velocità della luce nel vuoto, a cui si assegna tradizionalmente il simbolo c, è un muro insuperabile. Non è infatti possibile accelerare particelle o spedire segnali di qualsiasi natura con una velocità più alta di c, velocità che è pari a circa trecentomila chilometri al secondo. Il valore di c sembra altissimo ma lo è solo se rapportato alle dimensioni umane. Grosso modo la luce viaggia con una velocità che è un milione di volte quella di un aereo di linea. In astronomia le distanze dei corpi celesti vengono a volte espresse in anni luce. Un anno luce equivale al percorso fatto dalla luce in un anno, poco meno di diecimila miliardi di chilometri. Possiamo tuttavia andare più veloci della luce in un mezzo rifrangente che ne riduce la velocità al valore c/n, dove n rappresenta l'indice di rifrazione del mezzo. Ad esempio nel vetro in cui n = 1,5 la velocità della luce si abbassa a 200.000 km/s. La riduzione non si applica a tutti i tipi di radiazione; il mezzo può essere attraversato da particelle di alta energia, come elettroni o protoni di un acceleratore la cui velocità è di poco inferiore a c. Un aereo supersonico emette un impulso o boom sonoro che ne segnala il passaggio: allo stesso modo una particella superluminale emette una radiazione, chiamata radiazione Cerenkov, che la rivela in appositi apparati sperimentali. La riduzione della velocità della luce è tanto più forte quanto più alto è l'indice di rifrazione n. Purtroppo alti valori di n si accompagnano a un forte assorbimento della luce. Per quanto ne so, il primato per un mezzo trasparente, circa n = 2,5, spetta al diamante, un materiale non esattamente a buon prezzo e di difficile lavorazione. Di recente dal Rowland Institute for Science di Cambridge e dall'Università di Harvard è giunta la notizia secondo cui un gruppo di fisici avrebbe sintetizzato una goccia di condensato di Bose-Einstein con un indice di rifrazione mostruosamente alto, dell'ordine di venti milioni, che rallenta la luce a soli 60 chilometri all'ora ma senza assorbirla. Il condensato di Bose-Einstein è un quinto stato della materia che segue storicamente quello solido, liquido e gassoso noti da sempre, e il plasma in cui si trasforma la materia se riscaldata a temperature altissime che ionizzano gli atomi separando elettroni da nuclei. Il condensato richiede invece temperature bassissime, miliardesimi di grado sopra lo zero assoluto, ottenute facendo levitare nel vuoto una goccia composta da poche migliaia di atomi su fasci laser che ne controllano l'assetto, la confinano e la raffreddano. In queste condizioni la goccia diventa un sistema macroscopico in cui sono evidenti gli effetti della meccanica dei quanti. La velocità degli atomi è praticamente nulla, e per il principio di indeterminazione di Heisenberg l'incertezza nella loro posizione diventa in effetti l'intera goccia. Gli atomi nascondono la loro identità di particelle per mostrarne un'altra complementare di onde che risuonano in un cavità e interferiscono tra di loro. In queste condizioni estreme l'interazione tra la luce e gli atomi avviene con modalità fino a ieri imprevedibili e che rendono conto dell'altissimo indice di rifrazione. Ma ancora più importante tecnologicamente è forse la vistosa non linearità della interazione tra luce e condensato. A parte effetti minimi, due fasci di luce che si attraversano a vicenda in un normale mezzo rifrangente si ignorano reciprocamente. In qualche modo gli atomi del condensato passano invece l'informazione relativa a un fascio all'altro fascio, con effetti di alto interesse che vanno sotto l'etichetta di ««non linearità»». Risultati di questo genere partono come ««soluzioni in cerca di un problema»» e attirano l'attenzione di tutti i laboratori del mondo. Tra le possibili applicazioni potrebbero esserci nuovi tipi di porte logiche superveloci che utilizzano fotoni invece di elettroni nelle nuove generazioni di computer. Una vecchia storia di fantascienza che ho letto anni or sono descriveva un mondo futuro in cui esistevano lastre trasparenti che rallentavano il passaggio della luce di decine di anni. Chi guardava da una parte vedeva il mondo dall'altra ma come era anni prima. Il condensato non ottiene ancora gli stessi effetti ma di certo è un materiale molto strano che segnala l'inizio di una nuova fisica in cui verranno studiati sistemi macroscopici sempre più grandi e freddi in cui la logica esoterica della meccanica dei quanti ci giocherà tiri mancini. Tullio Regge Politecnico di Torino


GEOGRAFIA Dove il 2000 arriverà in anticipo C'è chi adotta l'ora legale a fini turistici
Autore: MORETTI MARCO

ARGOMENTI: GEOGRAFIA GEOFISICA
NOMI: FILOPANTI QUIRICO
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: C. Linea del cambiamento di data
NOTE: WASHINGTON MERIDIAN CONFERENCE

L'AVVICINARSI del Duemila con il relativo business turistico attorno alla celebrazione di fine anno ha scatenato la competizione sull'isola che vedrà per prima l'alba del nuovo millennio. Una sfida tutta virtuale. Vinta dalla scheggia di terra situata, sul versante occidentale, più a ridosso della Linea Internazionale della Data, il confine immaginario del tempo istituito nel 1884 dalla Washington Meridian Conference, sulla base di una divisione del globo in 24 spicchi equivalenti ad altrettanti fusi orari. Questa ripartizione era stata inventata un quarto di secolo prima dall'italiano Quirico Filopanti. La sua tesi, presentata in un libro pubblicato a Londra nel 1859, nasceva dall'esigenza di razionalizzare orari e calendari dei diversi Paesi, in un'epoca nella quale si cominciava a viaggiare più velocemente. La Washington Meridian Conference stabilì che il meridiano zero fosse quello di Greenwich, in Inghilterra che, nella seconda metà dell'Ottocento, era il centro del mondo grazie al suo vasto impero. Inizialmente la decisione fu contestata dalla Francia che la individuò come l'ennesimo tentativo egemonico di Londra e per alcuni anni mantenne l'ora di Parigi (diversa di 9 minuti e 21 secondi), ma infine accettò di sincronizzare gli orologi. In base all'ora di Greenwich, la linea di cambiamento della data tagliò il Pacifico seguendo il 180° meridiano dallo Stretto di Bering alla Nuova Zelanda: la regione del pianeta meno abitata e più lontana dai centri del potere. Perché cambiare data disorienta. Passando la linea da est a ovest si perde un giorno. Mentre attraversandola da ovest a est se ne guadagna uno: si ha la stessa data per due giorni. Per quest'ultimo fenomeno il protagonista di Il giro del mondo in ottanta giorni di Jules Verne vince la scommessa nonostante il suo viaggio duri 81 giorni. La migliore descrizione della confusione mentale provocata dal passaggio di questa frontiera virtuale la dà Mark Twain in ««Seguendo l'Equatore»». ««Domani saremo vicini al centro del globo - il 180° grado di longitudine est come ovest. Dovremo gettare un giorno - perdere un giorno della nostra vita, un giorno che non ritroveremo... Ieri era domenica 8 settembre, oggi è martedì 10 settembre. C'è qualcosa di sovrannaturale. E di sgradevole. Mentre stavamo attraversando il 180° meridiano era domenica a poppa della nave, dove stava la mia famiglia, e martedì a prua dov'ero io»». Dall'epoca del viaggio di Mark Twain nel Pacifico (1897) la confusione è ulteriormente aumentata. La Linea Internazionale della Data è stata deviata attorno ai paesi che taglia per evitare inconvenienti o trarre profitti. Come alle Fiji, dove il 180° meridiano passa nell'isola di Taveuni, ma nel 1879 fu deciso di collocare per motivi pratici l'intero arcipelago un'ora più a ovest della linea della data. Decisione di cui i governanti delle Fiji si sono recentemente pentiti annusando i dollari portati dai turisti alla ricerca dell'isola dove assistere per primi all'alba del Duemila. Così quest'anno le Fiji hanno pensato bene di istituire l'ora legale entrando in competizione con il Regno di Tonga, l'unico arcipelago-Stato completamente a ridosso della linea, rendendo attuale il titolo del romanzo di Umberto Eco ««L'isola del giorno prima»» (1994), ispirato all'ambigua posizione geografica di Taveuni. Meglio ancora ha fatto la repubblica Kiribati, un arcipelago della Micronesia formato da 33 atolli disposti a cavallo dell'Equatore (717 kmq di superficie totale), che per accaparrarsi il business turistico di fine millennio ha deviato la Linea Internazionale della Data di quasi 3000 chilometri: un paradosso in un Paese che non ha comunque strutture per accogliere più dei 5000 visitatori all'anno che già registra. Il Greenwich Royal Observatory, un'autorità in materia oraria, afferma che l'operazione di Kiribati è legale perché ogni Stato ha diritto di scegliere in quale fuso orario collocarsi. L'Osservatorio inglese ha gettato acqua sul fuoco di questa gara con il tempo ricordando che in realtà il nuovo millennio inizierà soltanto alla mezzanotte tra il 31 dicembre 2000 e il 1° gennaio 2001 (perché inizi il terzo millennio, infatti, occorre attendere che termini completamente il secondo... ), mentre la prima zona abitata a vedere la sua alba sarà Pitt Island nelle Isole Chatham. E' un arcipelago di 10 isole (963 kmq) della Nuova Zelanda, 800 chilometri al est dell'Isola del Sud, a ridosso della linea come Tonga, il concorrente più accanito, ma favorito dalla posizione meridionale: vedranno sorgere il sole 73 minuti prima di Tongatapu. In queste isole fredde, battute dai Quaranta Ruggenti, i venti delle basse latitudini, e abitate da 800 pescatori, nessun turista vuole però andare. Anzi per il capodanno del Duemila, come ogni anno in occasione delle vacanze scolastiche, molti abitanti lasceranno l'arcipelago per godersi le ferie sulle spiagge calde dell'Australia. Marco Moretti


SCIENZE FISICHE STORIA DELLA TECNOLOGIA Piccola fabbrica dell'aria fresca I primi ventilatori funzionavano ad acqua o a pedali
AUTORE: SCANDURRA MAURIZIO
ARGOMENTI: TECNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

ATTORNO al 1850, trent'anni prima che l'elettricità entrasse nelle case degli americani, comparvero negli Stati Uniti gli antenati del ventilatore. Erano mossi da pedali, ruote idrauliche, congegni a molla o da sistemi a orologeria. Tra gli esemplari più curiosi è possibile trovare anche un modello ad acqua, realizzato dall'americana Dayton nel 1898, e l'originale The Like Breeze, prodotto negli Stati Uniti nel 1915, le cui pale erano azionate dal calore emanato da una lampada ad alcol. Quei tentativi, seppure falliti, ci hanno regalato testimonianze preziose, ricche di un fascino che il tempo accresce sempre più. Poi, nel 1882, la svolta. Thomas Alva Edison realizza la prima rete di distribuzione dell'energia elettrica, determinando così l'avvento dei modelli a motore: il ventilatore sarà infatti il primo elettrodomestico a entrare nelle case degli americani. Gli apparecchi costruiti a cavallo tra Ottocento e Novecento vantano continui miglioramenti funzionali, anche se l'attenzione dei costruttori è rivolta al motore piuttosto che alla ««carrozzeria»». Forniti di variatore di velocità e doppie pale, con corpo centrale rotante sulla base, avevano per lo più forme grossolane e impacciate. Le case costruttrici, generalmente, imponevano ai loro prodotti vistosi marchi, consapevoli dell'impatto pubblicitario e d'immagine che il ventilatore portava nelle case e negli uffici, suscitando (motivatamente) sensazioni di indispensabilità. Fino al 1886 le pale tagliano l'aria senza alcuna protezione, per poi essere rinchiuse nelle prime gabbie di sicurezza. Realizzate per lo più in tondino di metallo (ottone, ferro, nickel), seguivano l'estro del disegnatore: lunghe e morbide, corte e fortemente ondulate, quasi sempre a raggiera. I modelli prodotti dal 1886 al 1920 hanno per lo più una sagoma detta ««a candeliere»»: corpo motore e ventola poggiano su un piedistallo imponente, solitamente in ghisa o in bachelite, a dare un'immagine di solidità. Così sono infatti il ventilatore Emerson, del 1920, e gli apparecchi prodotti dalla General Electric. In Europa le centrali elettriche sorsero pochi anni dopo quelle statunitensi. E portarono - è proprio il caso di dirlo - una ventata d'aria fresca alle industrie (come la Marelli in Italia e la Aeg in Germania) che iniziarono a sfornare propri modelli di ventilatori. Che, tuttavia, non si discostavano molto da quelli americani: forme simili (in genere ««a candeliere»»), massicci piedistalli, prestazioni in sostanza equivalenti. Si andò avanti così, tanto in Europa che in America, fino agli Anni Venti. Poi, i costruttori europei, eredi dell'Art Nouveau, tentarono di dare alle loro macchine ««vesti»» più ricercate, secondo i gusto estetico del tempo. Cominciarono, diremmo oggi, a occuparsi di design. Gli americani seguirono. A modo loro. Nacquero ventilatori ««liberty»», come il modello di Robbins e Myers del 1915, dalla linea molto affusolata. E, negli anni seguenti, apparecchi ideati per svolgere anche una seconda funzione: ventilatori-posacenere, in metallo cromato, da appoggiare sul pavimento per rinfrescare le gambe, ventilatori-paralume o, addirittura, ventilatori-ammazzamosche. Come è facile immaginare, queste innovazioni esasperate ebbero poco successo. Nel '39 scoppiò la guerra. Segnò, naturalmente, una battuta d'arresto. Per cinque anni le industrie si misero a produrre materiale bellico. Proprio durante il conflitto, nel '40, in Inghilterra fu realizzato un curioso modello, il Bandolero. Era in bachelite, con motore a due velocità e le pale in stoffa. Per motivi di sicurezza, giacché era privo di griglia di protezione. O forse col metallo delle pale e della griglia ci avevano fatto una canna di fucile. E siamo agli Anni 50. Dopo la guerra, la riconversione industriale in America - e in Europa anche la ricostruzione - determinano una forte accelerazione della capacità produttiva, un nuovo impulso alla ricerca, confortato e sorretto dall'impiego di nuove tecnologie. Le parti elettriche acquistano così un alto grado di affidabilità e sicurezza, mentre la plastica apre nuovi orizzonti al design: leggera, multiforme, colorata, suggerisce essa stessa ai progettisti soluzioni nuove per le piccole macchine della terza generazione. Si dilegua l'immagine di solida potenza dei ventilatori a cavallo dei due secoli, vengono archiviate le estrose interpretazioni del dopo ««Belle èpoque»», e si afferma il moderno concetto di design. Nascono così apparecchi dalle forme stravaganti, come il ventilatore da tavolo Zerowatt disegnato da Ezio Pirali nel 1954, la cui elica era incapsulata in lame d'acciaio che richiamano alla mente gli anelli di Saturno. O lo Zodiaco della San Giorgio, con la griglia che riproduce i disegni di un pallone da calcio. Ci sono voluti più di cent'anni per diventare padroni del vento nelle nostre case. E la storia del ventilatore, praticamente perfetto, continua. Maurizio Scandurra


SCIENZE FISICHE Elettrodomestici Arriva una nuova generazione di macchine intelligenti in grado di prevenire i guasti chiamando l'assistenza
Autore: ROMAGNOLO SALVATORE

ARGOMENTI: TECNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

SE avete in programma di comprare una nuova lavastoviglie, ma la vostra può tirare avanti per qualche tempo, forse vi conviene rimandare l'acquisto. Tra poco potrebbe essere disponibile una nuova generazione di elettrodomestici: lavastoviglie, frigoriferi, televisori, videoregistratori, ma anche telefoni cellulari e computer in grado di comunicare tra di loro e con il resto del mondo. Ad esempio, la vostra futura lavastoviglie potrebbe rendersi conto da sola di avere un programma di mal funzionamento. In questo caso, però, non si limiterà ad emettere un segnale acustico o a far lampeggiare una spia rossa, ma contatterà autonomamente la rete di assistenza per essere ««visitata»» e, se possibile, riparata a distanza. In caso contrario, sarà la rete di assistenza a comunicarvi il difetto, con le istruzioni per ovviare al problema, o a mandarvi un tecnico a casa. In seguito, il servizio di assistenza potrebbe inviare al vostro cellulare il conto e voi, sempre con l'ausilio del telefonino, dare disposizioni alla banca per saldarlo. A rendere possibile - e in tempi relativamente brevi - questo scenario è Jini, una nuova tecnologia messa a punto da Sun Microsystems, un'azienda americana specializzata in prodotti destinati al mondo professionale (computer di grande potenza), che ora guarda con crescente interesse al mercato consumer, cioè a quello domestico, composto prevalentemente dalle famiglie. Non si tratta di un progetto, ma di una tecnologia già disponibile commercialmente alla quale hanno dato il loro supporto aziende del calibro di Philips, Sony, Grundig, Canon, Bosch e Siemens che stanno realizzando i primi dispositivi ««Jini Ready»». Le apparecchiature ««Pronte per Jini»» si collegano tra di loro con estrema facilità: è sufficiente infilare la spina. Oggi non è così. Per far funzionare una stampante con un computer, ad esempio, è necessario installare un apposito driver, cioè un software che consente ai due oggetti di dialogare. Senza il driver giusto la stampante non funziona. Per utilizzarla con un altro computer, è necessario installare nuovamente il driver della stampante. Jini non è destinata solo all'ambiente domestico, ma anche a quello aziendale dove può contribuire a risolvere numerosi problemi. Chi in ufficio ha dei computer connessi in rete e a loro volta collegati con periferiche varie come stampanti, scanner e modem, sa quanto sia complicato far funzionare sempre tutto. La promessa di Jini è quella di risolvere questi problemi alla radice. Ogni nuovo oggetto, una volta collegato, manderà un segnale, qualcosa di molto simile al segnale telefonico (che i tecnici della Sun hanno, infatti, battezzato Web-Tone) e sarà immediatamente disponibile, proprio come un telefono collegato ad una presa di casa. SSalvatore Romagnolo


SCIENZE FISICHE FISICA A Torino un vertice sui quark
Autore: T_R

ARGOMENTI: FISICA
LUOGHI: ITALIA, ITALIA, TO, TORINO

E' in corso a Torino (Lingotto, 10-15 maggio) un importante incontro internazionale sulla ««quark matter»» dedicato alle collisioni tra nuclei atomici alle altissime energie. I quark stanno alla frontiera estrema nella visione corrente del microcosmo e questo spiega l'interesse che rivestono teorie e esperimenti in questo campo. Da oltre mezzo secolo sappiamo che i nuclei sono composti da protoni e neutroni ma solo nel dopoguerra ci si è resi conto che queste particelle e una folla di altre prodotte negli acceleratori sono a loro volta composte da quark assortiti in ben tre generazioni o famiglie. I quark sono quindi particelle elementari ma sono dotate di una strana caratteristica, sono legati infatti da forze che non decrescono con la distanza per cui non è possibile vedere un quark isolato se non per i tempi brevissimi degli eventi subnucleari. Nelle collisioni tra nuclei alle alte energie emerge direttamente la struttura a quark della materia nucleare e questo spiega l'interesse dei fisici per questi esperimenti. Il modello standard delle particelle elementari gioca un ruolo simile a quello storico del sistema periodico di Mendeleyev ideato nel secolo scorso e necessita di un centinaio di componenti per cui risulta altrettanto complesso del suo progenitore. Esso spiega tuttavia fenomeni su di una scala di energie circa un trilione di volte più elevata. Ma proprio come fece a suo tempo il sistema periodico, esso ci fa intuire una struttura più profonda e simmetrica di quella attuale ma ancora avvolta nelle nebbie che attrae i teorici come un serpente a sonagli. Auguri alla quark matter. Per avere altre informazioni, tel: 011-66.44.582. \


SCIENZE FISICHE ASTROFISICA La più grande esplosione cosmica Un lampo di raggi gamma pari a 1000 supernove
Autore: CAGNOTTI MARCO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA
NOMI: AKERLOF CARL, GISLER GALEN
ORGANIZZAZIONI: NASA
LUOGHI: ITALIA

SE orbitassimo intorno alla Terra, fuori dall'atmosfera, e se i nostri occhi fossero sensibili ai raggi gamma, potremmo vedere nuove stelle che si accendono in media una volta al giorno, per poi rapidamente scomparire. Sono i GRB (Gamma Ray Bursts), rivelati trent'anni fa dai satelliti militari americani che spiavano gli esperimenti nucleari sovietici. Ma invece di trovare bombe atomiche scoprirono uno dei fenomeni più misteriosi per l'astrofisica moderna. Uno di questi ««botti»», verificatosi all'inizio di quest'anno, ha dato del filo da torcere ai ricercatori. Il primo osservatorio orbitante progettato per rivelare i lampi gamma è stato il Compton Gamma Ray Observatory della NASA, lanciato nel 1991. Purtroppo è poco preciso nel rilevare la posizione sulla volta celeste. E siccome i lampi calano rapidamente di luminosità, i telescopi ottici non hanno il tempo di osservarli ad altre lunghezze d'onda. La situazione è cambiata radicalmente nel 1996, con il lancio del satellite italo-olandese Beppo-SAX. La sua maggiore precisione e la coordinazione con gli strumenti a terra hanno consentito di seguire i lampi gamma anche nell'ottico, nei raggi X e nelle onde radio. E di risolvere, grazie allo spostamento verso il rosso della luce raccolta, o redshift, almeno il problema della distanza della sorgente. I GRB provengono da oggetti lontani miliardi di anni-luce.Devono quindi essere fra gli eventi più energetici del cosmo. Per spiegarli i teorici hanno elaborato due modelli. Il primo prevede che una coppia di stelle di neutroni finisca per collassare e creare un buco nero. Il secondo chiama in causa un'ipernova, cioè l'esplosione di una stella di grandissima massa al termine della sua esistenza. Anche qui il residuo sarebbe un buco nero. In entrambi i casi si avrebbe emissione di materia a velocità prossima a quella della luce. Le onde d'urto all'interno del gas in espansione e fra quest'ultimo e la materia interstellare provocherebbero l'emissione di radiazione elettromagnetica in tutte le lunghezze d'onda. Fra le celebrità astrofisiche, c'è un lampo gamma che risale all'inizio di quest'anno. Il 23 gennaio il Compton Gamma Ray Observatory registra un GRB e allerta subito il Robotic Optical Transient Seearch Experiment (ROTSE), un piccolo telescopio automatico situato nel New Mexico. Così, 22 secondi dopo l'evento, cominciano a essere registrate anche le prime immagini nel visuale. Intanto anche Beppo-SAX ha raccolto alcune misure, e consente di capire dove, nel campo fotografato da ROTSE I, si trova il lampo. In quel punto viene rinvenuto un oggetto di magnitudine 9. ««Puntando un binocolo in quella direzione, si sarebbe potuta vedere una stella apparire improvvisamente, brillare, e sparire nel giro di pochi minuti»», spiega Galen Gisler, del Los Alamos National Laboratory. I programmi di lavoro dei più grandi telescopi del mondo vengono rivoluzionati per seguire il nuovo lampo, subito battezzato GRB990123. Monte Palomar, Keck II alle Hawaii e anche l'Hubble Space Telscope sono subito messi in campo.Viene misurato lo spostamento verso il rosso, e viene trovata una debole galassia irregolare proprio dov'è avvenuto il ««botto»» . Anche i radiotelescopi del Very Large Array di Socorro, nel New Mexico, iniziano a osservare.Fin dai primi giorni è apparso chiaro che GRB990123 è veramente un evento fuori dalla norma. Per cominciare, è il primo che ha potuto essere seguito contemporaneamente a tutte le lunghezze d'onda. Carl Akerlof, dell'Università del Michigan, spiega che ««è come assistere a un incidente stradale invece di arrivare, come al solito, parecchie ore dopo: naturalmente le possibilità di capire cos'è successo sono molto maggiori»». Inoltre lo spostamento delle righe spettrali pone il lampo gamma a una distanza di almeno 9 miliardi di anni-luce. Quindi è stato anche uno dei più energetici GRB mai visti:un'esplosione seconda solo al Big Bang. ««Era dieci volte più luminoso di ogni lampo osservato precedentemente»», precisa Shrinivas Kulkarni, del California Institute of Technology. La stessa energia si sarebbe ottenuta dalla conversione istantanea e completa della massa di due stelle come il Sole. O dall'esplosione contemporanea di 1000 supernovae, che avrebbe liberato in poche decine di secondi 10 mila volte l'energia emessa dal Sole nei 5 miliardi di anni della sua esistenza. I modelli elaborati finora non riescono a rendere ragione di tanta energia. Ma forse c'è una scappatoia. Nelle scorse settimane sono usciti parecchi articoli su Nature e Science che cercano di spiegare cos'è accaduto 9 miliardi di anni fa in quel remoto angolo di cielo. E dalla particolare forma della curva di luce sembra emergere la possibilità che l'energia sia stata concentrata in un fascio, invece che distribuita in tutte le direzioni. In questo caso la quantità complessiva di energia liberata sarebbe di un paio di ordini di grandezza inferiore. E, soprattutto, sarebbe compatibile con i modelli teorici. Il mistero dei lampi gamma è lungi dall'essere risolto, perché ancora non è completamente chiarita la loro origine:un'ipernova oppure uno scontro fra due stelle di neutroni? ««Non pensiamo di risolvere il problema a partire da un singolo evento»», conclude Akerlof. ««Solo dalla coordinazione fra le misure prese a più lunghezze d'onda potremo scoprire gli elementi comuni. Sarà un lavoro per i telescopi di nuova generazione»». Che aspetteranno pazienti l'occasione buona, come paparazzi astronomici. Marco Cagnotti


SCIENZE DELLA VITA DERMATOLOGIA Prevenire e combattere l'alopecia
Autore: PELLATI RENZO

ARGOMENTI: MEDICINA FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

LA dermatologia oggi possiede le basi biochimiche per conoscere il ciclo vitale dei capelli e, di conseguenza, è possibile prevenire e combattere le condizioni che causano la calvizie (alopecia androgenetica). Recenti ricerche hanno rilevato che la perdita dei capelli è causata da un'ipersensibilità genetica al diidrosterone (DHT), una sostanza che influenza negativamente il ciclo di crescita del capello. Il follicolo pilifero infatti, sotto l'azione del DHT, non è più in grado di produrre un capello normale, terminale (spesso e pigmentato), ma solo un capello sottile, piccolo e non pigmentato, il cosidetto ««vello»» (come quello che si trova nella parte interna del braccio o nelle parti del cuoio capelluto che sembrano calve). Il DHT si trova in numerosi tessuti dell'organismo e deriva dalla trasformazione del testosterone, grazie ad un enzima:5 alfa-reduttasi. Bloccando questo enzima, viene ridotta la produzione di DHT. Tutto è nato da uno studio condotto nella Repubblica Dominicana su un gruppo di soggetti con disfunzioni ormonali. Questi soggetti avevano numerosi disturbi, ma una caratteristica comune: erano dotati di una folta capigliatura anche in età avanzata. Sottoponendoli ad una serie di esami, si è visto che avevano ridotti livelli di DHT ed erano privi di 5 alfa-reduttasi. I risultati dello studio suggerivano che l'inibizione selettiva dell'enzima 5 alfa-reduttasi poteva interrompere la perdita dei capelli, un'ipotesi che è stata definitivamente dimostrata con la scoperta di un inibitore della 5 alfa-reduttasi: la finasteride. La finasteride non è un farmaco nuovo: dal 1989 viene già somministrata (a dosaggi diversi) nell'ingrossamento della prostata (iperplasia prostatica) che è un disturbo anch'esso causato da un eccesso di DHT. Di conseguenza la somministrazione di finasteride è possibile solo nei soggetti maschi e alla comparsa dei primi sintomi. Infatti nell'alopecia androgenetica il follicolo che dà origine al capello in un primo momento riduce le proprie dimensioni e successivamente scompare. Quando questo si verifica è naturalmente troppo tardi per ristabilire l'equilibrio ormonale con la finasteride: sarebbe come cercare di rivitalizzare una pianta le cui radici sono morte da tempo. Proprio per tale motivo molto spesso non si osserva nessun rinfoltimento dei capelli nei pazienti che assumono finasteride contro l'ingrossamento della prostata. Inoltre non tutte le forme di perdita dei capelli possono trarre beneficio da questo trattamento: ci sono forme congenite, autoimmuni (alopecia aerata), calvizie provocate da chemioterapia, radiazioni, infezioni. Per verificare l'efficacia della terapia sono state adottate tecniche fotografiche avanzate, come la macrofotografia standardizzata (alto ingrandimento) e la fotografia globale (intera area del cuoio capelluto). Per garantire una riproducibilità e un elevato controllo dell'immagine è stato praticato un tatuaggio puntiforme sul cuoio capelluto dei pazienti che assumevano il farmaco suddetto in un'area circolare di controllo di 2,5 centimetri di diametro. La macchina fotografica, riposizionandosi ogni volta sul tatuaggio, poteva riprendere a intervalli regolari i progressi indotti dalla terapia, evitando che si verificassero variazioni di posizione, illuminazione, angolatura, distanza focale dall'obiettivo e messa a fuoco, che potevano influenzare il risultato. Renzo Pellati


SCIENZE DELLA VITA NELLA GROTTA DELL'ARMA Neandertal a Sanremo E forse era una donna
Autore: FRANCIOSI ULISSE

ARGOMENTI: PALEONTOLOGIA
NOMI: DE LUMLEY HENRY, VALENSI PATRICIA
LUOGHI: ITALIA, IM, ITALIA, SANREMO

UN 'ECCEZIONALE scoperta, nella grotta della Madonna dell'Arma a Sanremo (Imperia), di tre frammenti ossei craniali umani (un osso zigomatico del lato sinistro e due frammenti di osso occipitale combacianti) appartenenti ad un individuo giovane, forse femminile, di ««Uomo di Neandertal»» (Homo sapiens neanderthalensis), è stata annunciata dalla Sovrintendenza archeologica della Liguria, dall'Istituto internazionale di studi liguri, dal laboratorio di preistoria del Lazaret di Nizza (diretto da Annie Echassoux) e dal Museo civico archeologico di Sanremo (direttore Massimo Ricci). Il ritrovamento si è verificato nel corso dello studio della fauna pleistocenica rinvenuta nel giacimento paleolitico della Grotta dell'Arma da parte di un'èquipe di ricercatori italiani, francesi e spagnoli coordinati da Patricia Valensi (Francia) e sotto la supervisione e direzione scientifica di Henry De Lumley, direttore del Museo nazionale di Scienze Naturali e dell'Istituto di Paleontologia Umana di Parigi. La Grotta dell'Arma è un'ampia cavità che si apre lungo l'antica via romana sei chilometri a Oriente di Sanremo, prospiciente al mare e situata tra Bussana e Arma di Taggia. Nella sua parte più esterna era stata ricavata, già verso la fine del XVII secolo, una piccola chiesa dedicata al culto della Madonna e solamente durante gli Anni 60 fu documentata (ad opera del professor Isetti) la presenza in essa di un giacimento archeologico musteriano di notevole importanza. La roccia in cui si apre la grotta, inizialmente sommersa e scavata dall'erosione delle acque marine (quando il mare si trovava ad un livello di 8-10 metri più alto di quello attuale) è un conglomerato del Pliocene superiore che oggi affiora, sotto forma di lembi più o meno estesi, in diversi punti della Riviera italiana e francese. Nei diversi strati del giacimento sono stati raccolti e isolati già in passato numerosi manufatti litici (raschiatoi) tipici dell'industria del Musteriano, oltre ad abbondante materiale osteologico di tipo faunistico, costituito soprattutto da denti di animali come il cervo (Cervus elaphus), l'orso (Ursus spelaeus), il bue (Bos primigenius) oltre alla iena e ai più rari rinoceronte e ippopotamo. Poiché alcuni frammenti sono risultati associati, nel ritrovamento, a qualche manufatto litico, gli esperti hanno perciò avuto una indubbia testimonianza della frequentazione umana della grotta poco tempo dopo la liberazione di quest'ultima dalle acque del mare Tirreniano. Inoltre essi concordano nel ritenere che la fauna ritrovata appartenga nel suo complesso ad un tipo ««caldo»» - cioè consista di animali vissuti durante un interstadio glaciale caldo e di clima temperato - del medesimo genere di quella ritrovata nella Grotta del Principe ai Balzi Rossi, presso Ventimiglia. Gli ultimi scavi, finanziati dal Comune di Sanremo, hanno permesso il sensazionale ritrovamento di frammenti ossei umani di una donna o di un ragazzo (comunque di un individuo forte e resistente), identificati come appartenenti ad Homo sapiens neanderthalensis nel corso del 1998 dalla professoressa Marie Antoinette De Lumley (che ha riconfermato nelle scorse settimane il riconoscimento). Questi reperti cranici sono stati rinvenuti in strati risalenti ad una fase antica dell'ultima glaciazione del Wurm (Wurm 1) e sono cronologicamente databili ad un periodo compreso tra 80-70.000 anni fa. In realtà la presenza di bande di robusti e massicci cacciatori neanderthaliani era già nota da tempo nella caverna sanremese e in altri ripari del territorio ligure-provenzale, anche se è la prima volta che i ricercatori ne trovano una traccia diretta, isolandola dall'esame di un totale di 3500 reperti ossei animali raccolti. La De Lumley, inoltre, si sta occupando nel laboratorio parigino della precisa datazione di questi frammenti umani utilizzando i resti ossei animali rinvenuti assieme ai primi nello stesso sito di scavo. Si tratta del secondo ritrovamento di ««Uomo di Neandertal»» - dopo quello della Grotta delle Fate nel Finalese - in Liguria (su una dozzina di ritrovamenti in tutta la Penisola) ed è sicuramente il più completo dei due - come afferma Ricci, che tutela i reperti presso il Museo civico di Sanremo - anche se è stata scavata solo una parte molto ridotta di tutto il giacimento della grotta e in futuro non è da escludere qualche altro ritrovamento. Ulisse Franciosi


SCIENZE DELLA VITA IL CAMOSCIO ALPINO Territoriale e litigioso Sorprese da una ricerca nel Gran Paradiso
Autore: MAZZOTTO MONICA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA
NOMI: LOVARI SANDRO
ORGANIZZAZIONI: PARCO NAZIONALE DEL GRAN PARADISO
LUOGHI: ITALIA, ITALIA

I legami degli animali con l'ambiente variano da specie a specie. Se pensiamo per esempio ad una medusa, libera nel suo mare di lasciarsi trasportare dalle correnti, possiamo capire come per questo animale la dimensione spaziale sia qualche cosa di vago e dai contorni sfumati. Al contrario, per la maggior parte dei vertebrati la vita è soggetta a precise leggi di occupazione del territorio. Non tutte le specie sono ovviamente territoriali ma sicuramente molte hanno delle aree familiari ( home range) dove passano gran parte del loro tempo, aree scelte in base a certe caratteristiche precise e che variano in base a diversi parametri ambientali. Per due anni Sandro Lovari, titolare della cattedra di Etologia all'Università di Siena, con alcuni collaboratori, ha studiato nel Parco Nazionale del Gran Paradiso in Val d'Aosta, precisamente nella Valle Orco, il comportamento territoriale del camoscio alpino (Rupicapra rupicapra rupicapra) scoprendo recentemente degli aspetti comportamentali del tutto inediti e affascinanti. Il camoscio alpino è un ungulato, ossia un mammifero che poggia a terra solo l'ultima falange delle dita coperta da un'unghia forgiata a zoccolo, e appartiene alla famiglia Bovidae e alla sottofamiglia Caprinae. E' l'ungulato più diffuso dell'arco alpino, la popolazione del Parco Nazionale del Gran Paradiso è protetta dal 1922 e nella Valle Orco presenta una densità di circa sette animali ogni 100 ettari. Anche se sicuramente è uno degli animali più importanti della tradizione venatoria e la letteratura è ricca di aneddoti a riguardo, molto poco si sapeva sulla sua organizzazione sociale e sul suo uso del territorio. Negli ungulati generalmente le tipologie del corteggiamento e degli accoppiamenti sono influenzate dalla distribuzione delle femmine. Una prima strategia di corteggiamento possibile per gli ungulati consiste nel ««sedersi ed aspettare»» il passaggio delle femmine in una certa zona; questo atteggiamento territoriale, per esempio adottato dalle antilopi, non ha nulla a che fare con la flemmatica filosofia orientale e la calma dell'animale crolla all'apparire di un altro maschio nel suo territorio. In tal caso si ««alza»» e difende la sua poltrona strenuamente anche se difficilmente si arriva a combattimenti veri e propri. Il secondo tipo di corteggiamento, adottato per esempio dallo stambecco delle Alpi (Capra hibex), consiste nel molto più invadente ««pedinamento»» a stretto contatto. In questo caso il maschio sveste i panni del corteggiatore paziente e riveste quelli di un Otello passionale inseguitore, che scortando a strettissimo contatto la femmina in calore, scaccia gli altri maschi, aspettando solo il consenso della sua Desdemona. Le specie appartenenti alla sottofamiglia Caprinae sembravano adottare esclusivamente questo secondo sistema di accoppiamento, probabilmente in seguito alle pressioni ambientali a cui sono sottoposti questi animali. Il territorialismo è un'attività molto costosa e un animale prima di diventare territoriale deve fare un esatto calcolo dei benefici e degli svantaggi che difendere una zona comporta. Le aree occupate da questi animali sono spesso zone scoscese di alta montagna dove il cibo si trova in maniera incostante durante l'anno. Ciò non facilita di certo la coesione del gruppo e le femmine, vista l'abbondanza del cibo solo in un certo periodo dell'anno, hanno sviluppato l'estro sincronizzato. I piccoli è meglio averli tutti insieme finché c'è cibo in abbondanza, per farli giungere all'inverno successivo in condizioni così floride da consentire loro di superare le ristrettezze alimentari e climatiche. Queste caratteristiche hanno indubbiamente scoraggiato la difesa del territorio e hanno fatto sì che i maschi di tutte le specie di questa sottofamiglia siano divenuti perfetti ««inseguitori»» e pessimi difensori del territorio. L'unica eccezione, prima di questi studi, era il capricorno giapponese Capricornis crispus, che per particolari motivi connessi alla distribuzione e abbondanza delle sue risorse alimentari ha potuto sviluppare il comportamento territoriale. Per poter studiare accuratamente gli spostamenti di questi animali Lovari, con il suo gruppo di ricerca, ha seguito gli spostamenti di vari camosci maschi dopo averli muniti di radiocollare. I risultati sono stati sorprendenti rivelando aspetti imprevisti del comportamento territoriale di questo animale. Nei mesi invernali, durante i quali gli spostamenti sono ridotti e le risorse alimentari scarse, le zone frequentate dai maschi si sovrappongono suggerendo l'esistenza di una zona comune invernale dove i maschi passano il duro periodo insieme, sopportandosi vicendevolmente, anche se un po' a fatica. All'arrivo della primavera le femmine si spostano a quote maggiori lasciando ai maschi i pascoli delle quote più basse. A questo punto la tolleranza reciproca dei maschi va via via scemando e tendenzialmente i maschi tentano di rioccupare i territori difesi l'anno precedente. Occupata una zona, il camoscio difende la sua area dai maschi che tentano l'intrusione in essa, vincendo tutti, o quasi, gli scontri. Questa, insieme alla fedeltà al sito difeso l'anno precedente, è un'altra caratteristica del comportamento territoriale: il maschio residente trae forza dal suo territorio, infatti risulterà vincente se gli scontri avverranno dentro i confini del suo territorio, altrimenti la sua invincibilità perderà dei colpi all'allontanarsi dal suo regno. Ma se il periodo degli accoppiamenti arriva ad autunno inoltrato, a novembre, quando le femmine andranno in estro pressoché contemporaneamente, che cosa spinge i nostri camosci a litigare così in anticipo? Se lo scopo unico delle loro lotte è la possibilità di difendere un territorio la cui unica attrattiva è legata alla riproduzione, perché questi maschi litigiosi si affannano a difendere un territorio nel periodo estivo, momento in cui nei loro paraggi non si vede nemmeno l'ombra di una femmina? In accordo con studi condotti in Africa su altre specie di ungulati, Lovari e i suoi collaboratori concludono che il comportamento territoriale fuori dal periodo degli accoppiamenti è stato probabilmente selezionato per premiare i camosci che erano già residenti affermati sin dall'inizio del periodo degli amori. In effetti i dati sostengono questa teoria e i territori con più femmine durante il periodo degli amori erano proprio quelli guadagnati per primi, in epoche potremmo dire non sospette. Perciò se in estate passeggiando in montagna, tra gli spettacolari sentieri del del Gran Paradiso, avrete la fortuna di vedere dei camosci disputarsi un territorio, e non vedrete in giro nessuna femmina, non vi meravigliate: siamo noi che non le vediamo, ma nelle loro menti, possiamo esserne certi, ci sono. Monica Mazzotto


SCIENZE A SCUOLA L'unità impossibile Gli slavi furono già divisi nel V secolo a causa delle invasioni dei magiari, di lingua ugro-finnica
Autore: LU_Q

ARGOMENTI: ANTROPOLOGIA ETNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA, JUGOSLAVIA

NELL '896, l'unità slava tra i territori conquistati con le grandi espansioni del V secolo fu spezzata a causa delle invasioni magiare o ungare, che portarono un popolo di lingua ugro-finnica (famiglia linguistica in cui, tra le altre lingue, annoveriamo il Làppone, l'Estone e il Finlandese) a stabilirsi in quella regione che da loro prese il nome di Ungheria. In tal modo, gli Iugoslavi (Slavi del sud), formati dalle nascenti nazioni slovena, serbo-croata, macedone e bulgara (nome di cavalieri asiatici colà giunti, in un migliaio, durante l'epoca bizantina) furono definitivamente separati sia dagli Slavi occidentali (Sorabi settentrionali e meridionali, Cechi, Slovacchi e Lechitici, comprendenti Polacchi e Casciubi, suddivisi in Polabi e Slovinzi), sia da quelli orientali (Ucraini, Bielorussi, Russi). Nell'863, con la missione bizantina nel principato di Moravia, iniziò la cristianizzazione dei Balcani. Costantino (San Cirillo) e suo fratello, il monaco Metodio, utilizzarono per evangelizzare gli Slavi il cosiddetto antico slavo ecclesiastico o antico bulgaro, creando un alfabeto apposito, chiamato glagolitico, abbandonato, successivamente, in favore di un adattamento dell'alfabeto greco detto impropriamente cirillico. Questa lingua scritta, per molti versi ancora vicina a quello che doveva essere stato un ipotetico Slavo comune, era basata sul dialetto iugoslavo meridionale parlato nei dintorni di Salonicco, patria dei due fratelli, ma, in documenti posteriori, cominciò presto a presentare influenze dovute alle parlate slave proprie ai luoghi in cui veniva utilizzata. I Paesi Balcanici sotto la dominazione Austro-ungarica, come Slovenia e Croazia, abbracciarono la fede cattolica e utilizzarono per i propri scritti l'alfabeto latino. Altri, come la Serbia, la Romania e la Bulgaria si mantennero unite, con la Grecia e i Paesi slavi orientali, alla Chiesa ortodossa. Albania, Bosnia e Macedonia, a causa della lunga dominazione ottomana, abbracciarono la fede islamica. A cagione di queste vicende, i Balcani rappresentano una situazione geopolitica estremamente eterogenea, in cui non sono solo da tener presenti le differenze etniche e linguistiche. I Bosniaci (islamici), hanno cercato di differenziarsi linguisticamente dai Serbi (ortodossi) ricorrendo al maggior numero possibile d'imprestiti lessicali turchi, ignoti al di fuori della Bosnia. Eppure in Bosnia, in Croazia (cattolica) e in Serbia si parla la medesima lingua, e Croato e Serbo si distinguono solo per i caratteri utilizzati nella scrittura. Latini, in un caso, cirillici, come per il Bulgaro e le lingue slave orientali, nell'altro. La stessa situazione si ebbe, per un certo periodo, a proposito del Moldavo e degli altri dialetti rumeni, in un'area, oltretutto, a maggioranza ortodossa. \


SCIENZE A SCUOLA NEI BALCANI La Babele delle lingue Un tempo era la cultura danubiana...
Autore: QUAGLIA LUCA

ARGOMENTI: ANTROPOLOGIA ETNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA, JUGOSLAVIA
TABELLE: C. LE LINGUE PARLATE NEI BALCANI

LA penisola balcanica conosce da millenni una situazione di incontri e duri conflitti tra popolazioni di differenti fedi e ceppi etno-linguistici. I Balcani furono abitati, nell'età neolitica, da popolazioni stanziali dedite all'agricoltura, appartenenti a una cultura a regime matriarcale. Questa cultura, nota col nome di danubiana, conobbe un grande sviluppo, giungendo a interessare anche le isole dell'Egeo. Intorno al IV millennio, qui nacque una scrittura di derivazione cultuale, probabilmente sillabica, che, a quanto sembra, influenzò fortemente i sillabari egei posteriori. Cultura pacifica, dal V al III millennio a. C., fu scossa da continue e violente incursioni di gruppi di guerrieri portatori dell'ascia da combattimento. Sia percorrendo il corso del Danubio, sia passando per la Tracia, gruppi di uomini appartenenti alla cultura dei curgani transitarono e, talvolta, si stanziarono nei Balcani per lunghi secoli, dopo che, nel III millennio, infransero la resistenza dei danubiani. Alcuni tra essi, scesi fino alla penisola ellenica, e incontratisi con altri gruppi di lingua indeuropea transitati per la penisola anatolica (gli Ahhaiawa degl'Ittiti?), si fusero con i primitivi abitanti dando origine alla civiltà achea e ad una prima forma di lingua greca comune. Una retroguardia si attestò nell'antica Macedonia, subendo, nei secoli, una forte attrazione linguistica e culturale da parte dei Greci. La lingua rimase, però, una parlata indeuropea indipendente dall'insieme dialettale ellenico, se come tipico di tale insieme s'intenda, tra le altre cose, un certo trattamento delle aspirate sonore indeuropee , , , , . Intorno alla prima metà del secondo millennio a. C., altre genti indeuropee giunsero sulle coste della Dalmazia, provenienti da un luogo di tappa forse situato a nord della Slovenia. Gli studiosi ritengono che fossero costoro l'antico popolo degl'Illiri menzionato dai classici. Illiri vengono anche definiti i Messapi o Dauni, a noi noti attraverso poche testimonianze epigrafiche rinvenute in Puglia e Calabria, terre in cui fondarono numerose colonie. Tutte le lingue indeuropee a cui abbiamo finora accennato, insieme a Ittita, Latino, Venetico, lingue italiche, celtiche, germaniche e tocariche, appartengono al gruppo linguistico 'centum' (=100, da '*(d)k^m(-t'om' = 'dieci decinè), ossia a quel gruppo di parlate in cui le velari indeuropee, come la 'c(a)' e la 'g(a)' italiane rispettivamente in 'casà e 'gallò, rimasero inalterate. In Tracia e in quella che è ora la Bulgaria, si avvicendarono, invece, popolazioni parlanti lingue indeuropee appartenenti al gruppo 'satem' (=100), tra cui il Trace, il Daco, il Misio, il Cimmerio e lo Scita (lingua di nomadi iranici 'ritornatì nei territori del nord), in cui, come in quelle iraniche, slave e, in parte, baltiche, le velari indeuropee subirono la palatalizzazione, prendendo il suono dolce di 'c(e)' e di 'g(e)' italiane in 'centrò e 'gelatò, e, successivamente, in lingue come l'Indiano, quello di 'sc(e)' italiano in 'scenà e di 'j' francese in 'jour'. Una lingua che, tra un'enorme quantità d'imprestiti slavi, turchi, greci, latini e romanzi, fa parte sicuramente del gruppo 'satem' è l'Albanese. Per tale ragione, questa lingua, suddivisa nei dialetti tosco e ghego, pare essere derivata dal Trace o dal Daco-Misio piuttosto che dalle antiche parlate illiriche. Sia il fatto che di queste parlate si sa pochissimo, essendo le attestazioni di quantità e qualità oltremodo esigue, sia il fatto che l'Albanese non è attestato prima del XVI secolo d. C., fanno sì, comunque, che la questione sia ancora molto aperta. La lingua albanese pare porre, in definitiva, più problemi che soluzioni allo studio storico e comparativo delle lingue indeuropee. Lo stesso nome per indicare il numero 'centò non è di forma satem, essendo, con ogni probabilità, un prestito romanzo o, tuttalpiù, latino. Con la conquista della Dacia, sotto Traiano, si compì l'espansione romana nei Balcani cominciata nel secondo secolo a. C. con la sottomissione dell'Illirico. Da essa ebbe origine, tramite una profonda latinizzazione linguistica e culturale dei territori assoggettati, la formazione del romanzo orientale. Da tale parlata, la cui unità fu spezzata dalle successive invasioni slave, derivarono il Dalmatico, lingua estintasi nel secolo scorso, quasi anello di congiunzione tra romanzo orientale e il resto della Romània, e il Rumeno. Il primo dialetto, detto Daco-rumeno, è parlato in Romania, in Bessarabia, in parte della Bucovina e del Banato e in qualche villaggio della Bulgaria e dell'Ungheria. Sue diramazioni sottodialettali, secondo la maggioranza dei linguisti, sono il Moldavo (molto simile agli altri dialetti rumeni, ma scritto in caratteri cirillici arcaici), il Valacco (rappresentante la lingua letteraria), il Transilvano, il Banatio, il Bessarabo e il Dobrugio. Il secondo, detto Macedo-rumeno, o, Arumeno, è parlato sia in Tessaglia ed Epiro, sia nella Musacchià albanese, sia nella Macedonia iugoslava e in Bulgaria da gruppi di Arumeni, detti anche Cutzo-valacchi, o, Zìnzari, o, Aromuni. Il terzo, detto Megleno-rumeno, o, Meglenitico, o, Vlascio, è parlato in una piccola area, lungo il corso del Vordor, posta a nord ovest di Salonicco, e in colonie della Dobrugia e dell'Asia Minore. Il quarto, detto Istro-rumeno, è parlato in Istria, poco lontano da Fiume, dove è anche parlato l'Istriota, o, Istriano lingua altra rispetto al Veneto, al Ladino, al Dalmatico, o all'Italiano. Intorno al V secolo d. C., molti gruppi slavi presero la via del meridione, scendendo nei Balcani; seguendo diverse vie, si insediarono in Macedonia, Tessaglia, Epiro, Attica, Peloponneso, e raggiunsero, sul fare del VII secolo, anche Creta, le isole greche e l'Asia Minore. Alcuni gruppi transitarono lungo il corso inferiore del Danubio. Altri attraversarono i Carpazi, dilagando nella pianura ungherese, in Boemia e in Baviera. Alcuni passarono le Alpi Giulie, calando nelle attuali Slovenia e Croazia. Luca Quaglia


IN BREVE Galassie attive se ne parla a Torino
ARGOMENTI: ASTRONOMIA
LUOGHI: ITALIA, ITALIA, TO, TORINO

Alcune galassie sono caratterizzate da una zona centrale attiva, che libera grandi quantità di energia. I ««blazar»» sono una categoria di galassie attive di grande interesse e in parte ancora misteriosa. Per fare il punto sui blazar, una cinquantina di astrofisici italiani e stranieri si riuniranno dal 19 al 21 maggio a Torino presso il dipartimento di matematica dell'università. Tra i temi, la rabotizzazione dei telescopi per studiare le galassie attive simultaneamente dal suolo e con satelliti per raggi X e gamma.


IN BREVE Associazione Sindrome di Sjogren
ARGOMENTI: MEDICINA FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

La sindrome di Sjogren è una malattia relativamente rara di tipo infiammatorio dovuta a una reazione autoimmune: non riconoscendo le proprie cellule, il sistema immunitario attacca le ghiandole esocrine (salivari, lacrimali) distruggendole e causando disturbi come congiuntivite, bocca secca, aridità della pelle, del naso, della gola. I pazienti di questa malattia, poco conosciuta dai medici stessi, hanno ora fondato l' Associazione nazionale Sindrome di Sjogren per aiutare i malati e diffondere le informazioni che li riguardano. La sede è a Peschiera Borromeo in via Gramsci 36, codice postale 20068. Telefono: 0335 -800.22.82.




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