TUTTOSCIENZE 6 gennaio 99


SCAFFALE Autori vari: "Astronomia pratica", De Agostini
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ASTRONOMIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Una sintesi delle conoscenze astronomiche per il dilettante alle sue prime esperienze di osservatore. Si affianca, integrandolo, al volume "Il cielo", pubblicato nella stessa collana due anni fa.


SCAFFALE "Enciclopedia Zanichelli"
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: DIDATTICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

COME sempre, le scienze sono ben rappresentate nella nuova edizione della Enciclopedia Zanichelli, datata 1999 e fornita di due Cd- rom. Il volume è stato leggermente rimpicciolito (quindi anche i caratteri sono un po' più piccoli) per renderlo più maneggevole, benché siano aumentate le voci (in tutto 119 mila). I Cd-rom contengono, oltre all'opera completa delle sue 10 mila immagini, animazioni di tema scientifico, voci della natura, tavole del corpo umano e un atlante fisico-politico.


SCAFFALE "Euro a sorpresa", Editoriale Scienza
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: DIDATTICA, ECONOMIA
ORGANIZZAZIONI: UEM
LUOGHI: ITALIA

Arriva l'Euro: ai bambini di oggi in pratica non capiterà più di maneggiare le vecchie lire ma soltanto la moneta europea. E' dunque molto puntuale questo libro per ragazzini dai 6 ai 10 anni che spiega che cosa sia la moneta, da quando gli uomini primitivi si scambiavano conchiglie fino all'Euro. A corredo, una calcolatrice che trasforma le lire nella moneta europea.


SCAFFALE Filkin David: "L'universo di Stephen Hawking", De Agostini
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: FISICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Una esposizione divulgativa delle teorie del celebre fisico teorico inglese Stephen Haw king sui buchi neri, sulla cosmologia e sull'unicazione tra relatività e meccanica dei quanti. E' l'adattamento del testo di una fortunata produzione televisiva della Bbc. L'autore fu compagno di scuola di Hawking.


SCAFFALE Francescato Ferruccio: "Le scoperte dell'astronomia: cronologia e protagonisti", Muzzio
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ASTRONOMIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Un volume utile per la consultazione, con le schede biografiche di circa 500 astronomi e fisici di ogni epoca. Sui contemporanei in qualche caso l'aggiornamento potrebbe essere più spinto: di alcuni ricercatori già scomparsi si dà soltanto la data di nascita.


SCAFFALE Frova Andrea e Marenzana Mariapiera: "Parola di Galileo", Rizzoli
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ASTRONOMIA, FISICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Un originale percorso attraverso le scoperte di Galileo Galilei: per chi vuole ritrovare le origini dell'astronomia e della fisica moderne, scoprendone con sorpresa l'estrema attualità. Molto adatto agli studenti.


SCAFFALE Gallo Carlo: "L'astronomia egizia", Muzzio
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ASTRONOMIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Questo saggio di Carlo Gallo colma una lacuna: ci offre una agile sintesi della cultura astronomica dell'antico Egitto, tra credenze religiose e importanti applicazioni pratiche.


SCAFFALE Gribbin John: "Enciclopedia di astronomia e cosmologia", Garzanti
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ASTRONOMIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

In ordine alfabetico 2577 voci astronomiche e una cinquantina di microsaggi sui principali temi di attualità, incluso il principio antropico. Informazioni e dati impeccabili, aggiornamento di Libero Sosio con particolare attenzione alla situazione italiana.


SCIENZE DELLA VITA.RISONANZA MAGNETICA I nuovi mezzi di contrasto Per indagare anche i vasi di piccolo calibro
Autore: PELLATI RENZO

ARGOMENTI: MEDICINA
LUOGHI: ITALIA

L'INTRODUZIONE in medicina della RM (risonanza magnetica) è stata una importante innovazione, perché consente di ottenere diagnosi più precise in brevissimo tempo, senza ricorrere ai raggi X. La RM procura immagini dell'interno del nostro organismo basate sul segnale derivante dai nuclei di idrogeno, cioè i protoni, che sono influenzabili dal campo magnetico. Il diverso contenuto in protoni liberi nei vari tessuti delle strutture corporee genera una differenza di segnali che il computer utilizza per costruire l'immagine. Recentemente è stato fatto un passo avanti. Per osservare meglio le differenze fra tessuti normali e patologici, la ricerca ha studiato delle sostanze che si depositano nei vari tessuti in diverse concentrazioni e creano dei campi magnetici variabili che modificano l'intensità del segnale RM. Tali sostanze (mezzi di contrasto) sono derivati del gadolinio (gatoteridolo, acido gadopentetico), un elemento chimico del gruppo delle terre rare, scoperto in Finlandia da J. Gadolin, che ha dato anche il nome. I derivati del gadolinio, iniettati in vena, rimangono nel distretto vascolare per 2-3 minuti e poi sono eliminati: tale breve periodo è però sufficiente per consentire lo studio dei vasi arteriosi. Ora è stato messo a punto un nuovo derivato (definito " MultiHance": gadolinio Bopta) che è in grado di intensificare il segnale RM in misura pressoché doppia rispetto a quelli conosciuti, e quindi permette di studiare con maggior precisione i vasi di piccolo calibro come, per esempio le arterie renali. Oggi si stima che circa il 20% degli ipertesi abbia dei disturbi alle arterie renali, con fenomeni di stenosi e di ischemia. Mediante la risonanza magnetica e i nuovi mezzi di contrasto è possibile identificare questi pazienti a rischio di infarto e di ictus, e successivamente provvedere alla dilatazione dell'arteria renale mediante l'introduzione di un palloncino (una tecnica analoga a quella adottata per le stenosi coronariche). E' molto importante individuare questi pazienti (screening dell'ipertensione reno-vascolare) perché, una volta risolto il problema, possono ottenere la guarigione dell'ipertensione e abbandonare i farmaci. La Risonanza Magnetica e i nuovi mezzi di contrasto consentono anche di rappresentare per immagini le arterie coronarie in modo non invasivo e di verificare la pervietà dei by-pass e il funzionamento degli "stent" (i dispositivi che garantiscono la dilatazione delle arterie). Un'altra importante applicazione riguarda lo studio dei vasi di piccolo calibro a livello encefalico soprattutto nei casi di ictus, per fornire al medico tutte le informazioni necessarie al trattamento. Renzo Pellati


SCIENZE FISICHE. EASY, SUPER, RACE, FUN I quattro tipi della specialità
ARGOMENTI: SPORT, SCI
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

Il carving come risposta alla stanchezza accusata dallo sci tradizionale. Ad esso le industrie del settore dedicano attualmente gran parte delle proprie risorse in risposta a una richiesta che in alcuni casi sfiora l'80 per cento degli ordini. Esistono sostanzialmente quattro tipi di sci carving. EASY CARVING. Dalle caratteristiche non particolarmente accentuate (non troppo sciancrati, nè troppo corti), consentono di sciare anche con la tecnica tradizionale. SUPER CARVING. Adatto a sciatori già in possesso di buona tecnica, consente di migliorare la sciata tradizionale e permette già notevoli inclinazioni. RACE CARVING. Sci per l'agonismo, con sciancratura media e affidabili anche ad alte velocità. FUN CARVING. Attrezzi dalle sciancrature estreme e di lunghezza decisamente limitata, sono adatti a sciatori di livello medio-alto e offrono le più forti sensazioni di conduzione e inclinazione.


EDITORIA Il mercato della scienza
Autore: BENCIVENGA ERMANNO

ARGOMENTI: DIDATTICA, RICERCA SCIENTIFICA, EDITORIA
NOMI: MAXWELL ROBERT
ORGANIZZAZIONI: PERGAMON PRESS, REED ELSEVIER
LUOGHI: ITALIA

FINO al 1948 la pubblicazione di riviste scientifiche internazionali era esclusivo appannaggio di prestigiose associazioni di categoria, il cui fine era la trasmissione del sapere e non il lucro. In quell'anno l'editore d'assalto Robert Maxwell, che nel 1991 sarebbe morto in circostanze misteriose cadendo dal suo yacht nell'Atlantico, lanciò la prima impresa commerciale nel ramo: la Pergamon Press, su cui costruì la sua fortuna e che poco prima di morire avrebbe venduto per 447 milioni di sterline. Il meccanismo era semplice: la ricerca si sviluppa in modo esponenziale e ha bisogno di sempre nuovi canali di comunicazione, gli autori sono contenti di offrire gratis i loro contributi perché la loro carriera dipende da quanto pubblicano, le biblioteche (soprattutto accademiche) sono costrette ad acquistare questa "merce" perché senza di essa è impossibile per un professionista rimanere aggiornato; dunque si può ottenere un prodotto a un costo irrisorio e venderlo a qualsiasi prezzo. Non c'è da stupirsi allora che con il passare degli anni si siano formate compagnie di enorme portata e potenza, e che esse stiano gradualmente strangolando i budget delle biblioteche. La più grossa di tutte oggi è l'olandese Reed Elsevier, che acquistò Pergamon Press da Maxwell e pubblica oltre 1100 riviste specializzate a un prezzo medio di 656 dollari l'anno. Fra i casi estremi computati in questa media c'è la rivista Brain Re search, per abbonarsi alla quale è necessario pagare oltre 15.000 dollari (nel 1995 ne bastavano poco più di 10.000). Messe così alle strette, le biblioteche americane hanno pensato di organizzarsi, fondando la Sparc (Scholarly Publishing and Academic Resources Coalition), che intende promuovere la pubblicazione di nuove riviste scientifiche a prezzi più ragionevoli. La prima sarà una rivista di chimica, Organic Letters, che sarà offerta a 2300 dollari l'anno contro gli 8000 dollari della sua più diretta concorrente: Tetrahe dron Letters di Reed Elsevier. E' un episodio curioso: dice Marx che per un capitalista qualsiasi forma di produzione non è che un modo di battere moneta, diventata semplicemente un buon affare. Il pericolo insito in questo processo è ovvio: se sono considerazioni economiche a guidare questa produzione, la sinergia tra multinazionali finirà per condizionare la ricerca, lasciando ben poco spazio alla disinteressata esplorazione dello scibile. Ecco però che quelle stesse considerazioni economiche costringono le strutture accademiche a riprendere il controllo della situazione. Sarebbe bello pensare che la storia abbia fatto un passo indietro, evitando un abisso di perdizione. E forse è così, ma c'è un altro modo di metterla. Perché ormai in America le sinergie hanno raggiunto anche le università; quindi quella in corso potrebbe essere una lotta per il controllo del mercato. Ermanno Bencivenga


SCIENZE FISICHE. AGLI STUDENTI DI TORINO Il prof. parla dalla California Teledidattica al Politecnico dalla Silicon Valley
Autore: ASIOLI PAOLO

ARGOMENTI: DIDATTICA, COMUNICAZIONI, INFORMATICA
NOMI: GAI SILVANO, MEZZALAMA MARCO, MAZZOLA MARIO
ORGANIZZAZIONI: POLITECNICO, CISCO
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO, (TO)

UN pizzico di assolata California entra nelle seriose aule del Politecnico di Torino. Niente ragazze abbronzate in succinti costumi, ma una curiosa sorpresa per gli studenti del quinto anno di ingegneria informatica: il professore tiene le lezioni in diretta dalla mitica Silicon Valley. Silvano Gai, docente di Reti di Calcolatori 2 al Politecnico di Torino, conduce quest'anno l'intero ciclo di lezioni dai laboratori della Cisco Systems di San Jose, California, grazie ad accordi tra Marco Mezzalama, vicedirettore del Politecnico, e Mario Mazzola, Senior Vice President di Cisco, Stati Uniti. Gli studenti seguono le lezioni in un'aula appositamente attrezzata nella sede torinese dell'Ateneo: il collegamento in audio e video passa per una linea telefonica digitale Isdn, i cui costi sono sostenuti dalla Cisco, e inviato agli schermi giganti di cui l'aula è dotata. I grafici utili alla lezione sono trasmessi via Internet con il programma Microsoft NetMeeting, che offre anche al docente una lavagna elettronica. L'iniziativa si inserisce in un progetto di teledidattica sviluppato dal Politecnico di Torino a partire dal 1994 con le sedi periferiche di Alessandria, Ivrea e Mondovì, anche nell'ambito dell'attiva partecipazione dell'Ateneo al consorzio Nettuno per l'insegnamento a distanza. Dopo un breve periodo di relativo ma comprensibile disorientamento gli studenti hanno risposto in modo eccellente alla nuova forma di insegnamento: si è anzi notato che la qualità di audio e video consente una fruizione addirittura migliore di molti corsi tradizionali. L'unico neo è la differenza di fuso orario (9 ore) che costringe a un compromesso poco confortevole per gli allievi e per il docente. Iniziative come questa offrono grandi prospettive per la didattica universitaria, e in particolare una flessibilità senza precedenti. In un futuro prossimo, per esempio, istituzioni educative con modeste possibilità economiche o molto decentrate, potranno valersi di collaborazioni di breve o di lunga durata da parte dei migliori esperti, che saranno anche incentivati dal fatto di non dover necessariamente abbandonare i propri progetti di ricerca. Paolo S. Asioli


SCIENZE FISICHE.USATO PER LE PIRAMIDI L'"argano spagnolo" degli Egizi Dimostrazioni dal vero di antica tecnologia
Autore: RAVIZZA VITTORIO

ARGOMENTI: ARCHITETTURA
NOMI: FALESIEDI OSVALDO, LUVINO ALFREDO, VOLTERRANI EGI, CILLI LEONARDO
ORGANIZZAZIONI: MUSEO EGIZIO
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO, (TO)

L'IMMAGINE stereotipata diffusa dal cinema e dai romanzi delle migliaia di schiavi sacrificati alla costruzione delle piramidi egizie è completamente sbagliata; questi monumenti furono costruiti da (relativamente) poche persone, dotate di elevate capacità tecniche e con l'impiego di semplici ma efficienti tecnologie. E' una tesi che si fa sempre più strada tra gli egittologi, di cui è convinto, per esempio, anche il professor Silvio Curto, già direttore del Museo Egizio di Torino, e che Osvaldo Falesiedi, torinese, autodidatta d'ingegno, acuto indagatore delle tecnologie usate dagli antichi egizi, va da qualche anno dimostrando sempre più fondata. E ne ha dato una nuova prova recentemente (presenti il sindaco di Torino, Castellani, e l'assessore della regione Piemonte, Leo) trascinando lungo una rampa in salita e accostando con precisione blocchi di cemento pesanti 22 quintali con un semplice sistema di funi e di travi, noto come "argano spagnolo", il cui impiego nell'antico Egitto può essere osservato in numerose pitture tombali. Il prossimo passo, annuncia Falesiedi, sarà la movimentazione di un blocco di 450 quintali. La dimostrazione si è svolta nel cortile della scuola media Pergolesi, che ha offerto la sede per gli esperimenti e ospita le attività del "Progetto Imhotep" (dal nome del primo architetto egiziano di cui si abbia notizia); infatti intorno a Falesiedi (che ha l'oppoggio dell'Iveco, di cui è dipendente) si è formato ormai un gruppo di appassionati e di tecnici che comprende il professor Curto, l'egittologo Alfredo Luvino, gli architetti Egi Volterrani e Leonardo Cilli, l'editore Iperique, e il professor Mussino, docente di fisica al Politecnico di Torino. In precedenti esperimenti, compiuti utilizzando modellini in scala, Falesiedi aveva già dimostrato come gli egiziani avessero potuto sollevare blocchi enormi utilizzando un sistema di funi, cunei e gondole (ma non di carrucole, dato che non conoscevano la ruota). L'obiettivo del Progetto Imhotep è ora quello di allestire un vero cantiere in dimensioni reali. Dice l'architetto Cilli: "Ciò che vogliamo è sperimentare e presentare agli studiosi una serie di ipotesi attendibili sulle tecnologie, rimaste finora misteriose, che hanno consentito agli antichi egizi di collocare, per esempio, un sarcofago di 35 quintali a 75 metri di altezza, di spostare e mettere in opera i blocchi da 200 tonnellate che formano il tempio della Sfinge e di costruire la piramide di Giza con due milioni e mezzo di blocchi di pietra". Vittorio Ravizza


SCIENZE FISICHE.COS'E' IL CARVING L'uovo di Colombo? Il nuovo e più facile modo di sciare
Autore: DESTEFANIS GIORGIO

ARGOMENTI: SPORT, SCI
NOMI: NENCETTI ALBERTO
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA
TABELLE: D. Sci tradizionali e sci carving

CARVING. "Sono meglio i carving o gli sci normali?", "Qual è più facile?", "Come si deve sciare con i car ving?". Un tormentone: per il malcapitato cui viene riconosciuta competenza da consigliere come per chi si trova ad acquistare nuovi sci e non ha ancora ben capito che cosa siano questi benedetti sci carving. "Il carving è naturalezza ed istinto, lo sci tradizionale contorsionismo". Alberto Nencetti, 33 anni, istruttore nazionale ed ex azzurro di sci alpino, ha fatto del carving la filosofia della sua vita sciistica. " Semplicemente perché è molto più facile imparare a sciare carving che non con la tecnica e gli attrezzi tradizionali - dice - Scia come mangi, è il mio motto: sciare carving è assolutamente istintivo, mentre la vecchia tecnica costringeva a sforzi e movimenti innaturali". Ma cosa sono questi sci? In poche parole sono sci più corti (in slalom gigante si è passati, per gli uomini, da una lunghezza di 213-210 centimetri a 205- 201-198) e con una sciancratura (spatola e coda più larghi del centro) più accentuata. Un esempio: gli sci con cui Jean Claude Killy dominava i giganti di fine Anni 60 erano larghi 80 millimetri (spatola), 70 (ponte, cioè sotto l'attacco) e 77 (coda). Quelli di Tomba sono 99-62-89. Quali i vantaggi? Maggior facilità di incidere ("to carve", in inglese, significa tagliare) la neve anche senza essere dei campioni e quindi possibilità di condurre al meglio la curva. Perché? Il particolare profilo fa sì che lo sci, appoggiato di spigolo sul piano inclinato della pista e deformato dalle forze ad esso applicate dallo sciatore, dalla velocità e dalla pendenza, disegni con la lamina un tratto di circonferenza, dal raggio tanto minore quanto maggiore è la sciancratura. Le forze sono sostanzialmente di due tipi: quella di gravità che attira lo sciatore verso valle e, in curva, la forza centrifuga che aumenta in proporzione alla velocità. E siamo a un punto chiave. Per opporsi alla forza centrifuga che tende a spararlo fuori dalla curva, lo sciatore porta gli sci sugli spigoli e s'inclina verso l'interno (forza centripeta). Movimento del tutto naturale (anche lasciando da parte Carl Lewis, pensate a un cane o a un bambino quando corrono in curva...), ma che sugli sci può provocare la caduta. Lo sci carving, fornendo con code e spatole più larghe una base d'appoggio molto più ampia, consente dunque inclinazioni accentuate. Direttamente proporzionali alla sciancratura dello sci. Inclinarsi troppo, però, significa correre il rischio di toccare la neve con il bordo interno dello scarpone a monte e finire per le terre. Ma per risolvere questo problema ecco pronti i rialzi (o piastre o spessori). Primo: allontanando lo scarpone dallo sci (quindi dalla neve), diminuisce la possibilità di contatto. Secondo: allungando il braccio della leva (la lunghezza della gamba, in pratica), aumenta la forza esercitata sulla resistenza (lamina-neve) quindi la tenuta. Dice ancora Nencetti: " E' tutto più facile. Più istintivo, come dicevo. Per non sbandare di coda, nello sci tradizionale, busto, braccia e anche dovevano muoversi in direzione opposta a quella verso cui giravano gli sci; con i carving no: la parte superiore del corpo segue la direzione dei piedi, quindi degli sci. Esattamente come quando si cammina o si corre. E le code non scappano proprio perché sono più larghe e forniscono quindi una base d'appoggio più forte nonché una maggior incidenza sulla neve. Sciare in questo modo, essendo più naturale, è anche meno faticoso. Un esempio: mettiamoci sulle spalle un bilanciere e proviamo ad alzarlo: se eseguiremo l'esercizio restando in posizione "normale" faticheremo molto meno che non facendolo stando con le gambe rivolte in avanti e la parte superiore del corpo girata verso destra o sinistra. E meno fatica vuol dire anche meno rischio di infortunio". Resta un dubbio: com'è che questo straordinario uovo di Colombo della neve è stato scoperto solo adesso? Giorgio Destefanis


SCIENZE DELLA VITA. DEPRESSIONE E MALATTIE CARDIACHE La malinconia fa male al cuore E i depressi sono anche più esposti ai tumori
Autore: PACORI MARCO

ARGOMENTI: PSICOLOGIA
NOMI: FORD DANIEL, CRANEY ROBERT, SOBEL DAVID
ORGANIZZAZIONI: SCIENCE
LUOGHI: ITALIA

LA depressione affligge l'80 per cento della popolazione dei paesi sviluppati almeno una volta nella vita. E' noto che sono le donne a soffrirne maggiormente e che le vacanze e le festività - specialmente quelle di fine anno - sono i periodi più favorevoli alla sua comparsa. Meno noto è che questo disagio dell'anima ha, soprattutto se protratto nel tempo, pesanti ripercussioni sull'intero organismo. Apatia, senso di vuoto, pessimismo, disturbi del sonno, disistima, mancanza di volontà, e la tendenza a comportamenti autolesivi (darsi all'alcol, fumare in modo smodato, trascurare la propria salute) ne sono i tratti più caratteristici. Anche l'alimentazione ne risente; in genere, si dimagrisce, ma nella versione della malattia etichettata come "invernale", perché si presenta in quel periodo dell'anno, si tende invece a mettere su peso. E' evidente che il fisico ne risente, ma i riflessi della malinconia sul corpo non dipendono solo dall'assunzione di abitudini malsane. Un'indagine pubblicata sulla rivista Science suggerisce che esiste un legame diretto tra depressione e problemi cardiaci. Lo studio, condotto dal ricercatore Daniel E. Ford, ha comportato il monitoraggio di un campione piuttosto vasto di uomini, 1190 per la precisione, lungo un lasso di tempo di 18 anni. Bene (o meglio, male! ), è emerso che il 12% delle persone che avevano riportato una diagnosi di depressione in qualunque epoca della loro esistenza aveva una probabilità più che doppia di sviluppare malattie cardio-circolatorie rispetto al gruppo di controllo. Commentando gli esiti della ricerca, Robert Carney, uno psicologo dell'Università di Saint Louis, afferma che anche qualora ci si sia trovati in presenza di altri fattori di rischio come alti livelli di colesterolo, abuso di alcolici, diabete, fumo, ecc., questi, pur aggravando la situazione, non alteravano in misura significativa il rapporto depressione-infarto. L'ipotesi più plausibile, secondo Carney, è che la malinconia causi in qualche modo una maggiore vischiosità delle piastrine del sangue, portando come conseguenza al formarsi di placche che si depositano sulle pareti delle arterie, ostruendole. Un altro studioso, David Sobel, spiega inoltre che la depressione stimola il sistema nervoso simpatico (la parte del sistema nervoso autonomo legata agli stati di attività, ma anche allo stress). Una sollecitazione prolungata di questo apparato è accompagnata da un aumento della frequenza media cardiaca, da un ispessimento e da un indurimento dei vasi sanguigni e da un aumento della pressione. Nell'organismo esiste una sorta di percorso coordinato che coinvolge strutture cerebrali e ghiandolari: è detto asse limbico-ipotalamico-pituitario-adrenergico. Questo insieme, asseriscono Twardowska e Rybakow sky, è alterato nella depressione. Queste strutture rilasciano sostanze come l'adrenalina, la noradrenalina e il cortisolo, ormoni e mediatori chimici cerebrali che trovano specifici recettori nelle cellule del sistema immunitario. Tant'è vero che anche quest'ultimo risulta compromesso quando l'individuo è depresso. Uno studio pubblicato da E. P. Zorilla e altri su Ameri can Journal of Psychiatry, ha messo in luce che, in chi soffre di questo disagio psichico, è stato riscontrato un indebolimento dei linfociti T e dei neutrofili (i killer del sistema immunitario). I depressi mostrano una reazione "fiacca" alle infezioni. E' indicativo al riguardo che costoro, in seguito alla somministrazione di un vaccino, producano anticorpi di dimensione ridotta. Ricercatori dell'Università della Pennsylvania, partendo da simili constatazioni, hanno svolto un'analisi su una vastità di dati raccolti da 35 pubblicazioni sui fattori che incidono sul progresso e sulla recrudescenza di due malattie virali, scelte la prima perché estremamente diffusa, l'herpes symplex, la seconda perché è tra le più letali, l'Aids. L'esame ha dimostrato che la depressione aumenta il rischio di ricomparsa dell'herpes e, seppure non è provato che accentui in modo uniforme il progredire della sindrome da immunodeficienza, facilita sicuramente la contrazione delle infezioni parassite che spesso l'accompagnano. Un sistema immunitario debole aumenta l'incidenza dello sviluppo di tumori. E' forse questa la causa indiretta che lega cancro e depressione: Persky con altri studiosi, tenendo sotto controllo per 20 anni più di 2000 donne, ha stabilito che chi ha sofferto di forti depressioni ha più probabilità di sviluppare tumori e una più alta incidenza di mortalità per questa causa. Ma anche in malattie meno gravi la depressione ha "da dire la sua"; come nell'asma. Miller e Wood, dell'Università di Buffalo, hanno fatto assistere dei bambini asmatici ad un film in grado di suscitare sentimenti depressivi, senso di perdita e tristezza. In relazione alle scene più "penose" è stato riscontrato un aumento del battito del cuore e un'alterazione della saturazione di ossigeno; queste reazioni portavano ad un riflesso di restringimento delle vie aree (quindi della gola) e alla sensazione di soffocamento. Questo con la fiction. Nella vita poi... Marco Pacori


UCCELLI MIGRATORI Le rotte per svernare al caldo Da dove passano gli stormi per superare le Alpi
Autore: CORINO GIANFRANCO

ARGOMENTI: ZOOLOGIA
NOMI: GIRAUDO LUCA
ORGANIZZAZIONI: ISTITUTO NAZIONALE PER LA FAUNA SELVATICA, MUSEO TRIDENTINO DI SCIENZE NATURALI DI TRIESTE
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA
NOTE: "Progetto Alpi", "Progetto Luna"

COME influiscono le Alpi sulla migrazione degli uccelli? Che soluzioni adottano le specie per superare l'ostacolo? Per rispondere a queste domande l'Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica e il " Museo Tridentino di Scienze Naturali" di Trieste hanno promosso una curiosa ricerca denominata "Progetto Alpi". Nell'ambito di questo piano di studio, che ha coinvolto centinaia di ornitologi e volontari in tutta Italia, sono stati attivati, nell'aurunno scorso una ventina di centri di inanellamento, in Piemonte, Lombardia, Trentino Alto Adige, Veneto e Friuli. La mobilitazione ha consentito di raccogliere una considerevole mole di dati e informazioni sulle rotte dei migratori che dall'Europa scendono a svernare nel bacino mediterraneo. Fino ad oggi, esistevano solo dati frammentari su questi spostamenti, ottenuti grazie agli studi pionieristici compiuti in Svizzera fin dagli Anni 30 e più recentemente in Germania. "Durante i mesi di osservazione - spiega Osvaldo Negra, del Museo Tridentino di Storia Naturale - abbiamo potuto osservare che il comportamento degli uccelli, di fronte all'ostacolo delle Alpi, varia sensibilmente a seconda della specie e delle condizioni atmosferiche, vento, nuvolosità e maltempo. La maggior parte dei volatili preferisce aggirare le montagne, dirigendosi verso la Francia e il corridoio che separa le Alpi dal Giura svizzero. Una percentuale minore sceglie invece di attraversare direttamente la catena alpina, insinuandosi nelle vallate più profonde. Su questi ultimi si sono concentrate le nostre attenzioni, con il posizionamento delle reti di cattura lungo i passi, nei fondovalle e sui versanti più frequentati. "Per la ricerca - prosegue Nigra - abbiamo preso in considerazione il tardo-autunno. Nei mesi di ottobre e novembre si è infatti esaurita la migrazione degli insettivori, i primi ad abbandonare il Nord Europa all'approssimarsi della brutta stagione, e il passaggio riguarda in massima parte i granivori e le specie a dieta mista, come i fringillidi (fringuelli, peppole, lucherini, verdoni) e i paridi (cinciallegre, cince more) che, a differenza degli insettivori, si spostano solitamente in stormi e durante le ore diurne, abitudini che facilitano il lavoro degli ornitologi". Per ogni volatile catturato, sono stati annotati diversi parametri, come il sesso, il peso, l'età, lo spessore dello strato di grasso, lo stato della muta e le condizioni del piumaggio. I dati saranno analizzati nei prossimi mesi e forniranno indicazioni per capire meglio la dinamica del processo migratorio. Da alcuni anni lo studio del passaggio autunnale attraverso la catena alpina viene portato avanti anche con un altro innovativo metodo di ricerca, nell'ambito del "Progetto Luna": uno studio avviato in Svizzera e introdotto in Italia nel 1994. I ricercatori sono partiti dal presupposto che oltre il 70 per cento dei pennuti compiono la migrazione spostandosi nelle ore notturne. Per quantificare questi movimenti, ornitologi e volontari, nei periodi primaverile e autunnale, si alternano in una quarantina di stazioni di osservazione, distribuite sulle Alpi centrali e occidentali. Nel corso di queste osservazioni viene annotato il numero degli uccelli che passa di fronte al disco della luna nelle notti di plenilunio. "Naturalmente - spiega Luca Giraudo, guardaparco del parco dell'Argentera e uno degli organizzatori del 'Progetto Lunà - ci limitiamo a conteggiare gli uccelli, in quanto la loro identificazione è quasi impossibile. Nelle notti più fortunate arriviamo a contare fino a 60 passaggi". Per questo lavoro non sono necessari ornitologi, ma bastano volontari e appassionati. Informazioni sui campi: 0171-97.397. Gianfranco Corino


L'INFLUENZA DEI MARI Ma la Terra si riscalda o no? Nuove ipotesi sulle correnti oceaniche
Autore: MAESTRONI GEORGES

ARGOMENTI: METEOROLOGIA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA
TABELLE: C. Oceano Atlantico

STANDO ai dati dell'anno appena concluso, sembra ormai certo un riscaldamento del pianeta. Fino a qualche mese fa esisteva una contraddizione tra la tendenza all'aumento delle temperature misurate dalla rete di stazioni meteorologiche a terra, e analoghe misurazioni effettuate dai satelliti. Secondo i satelliti anziché un riscaldamento della troposfera (da 0 a 10 mila metri di altitudine) negli ultimi decenni si sarebbe verificato un leggero raffreddamento. Ma uno studio pubblicato della rivista Nature, dimostra che i dati forniti dai satelliti sono influenzati negativamente dalla progressiva deriva verso la Terra dell'orbita dei satelliti stessi. Inserendo la correzione adeguata, anche i satelliti registrano un riscaldamento. Siamo quindi destinati a diventare un Paese subtropicale? La risposta non è ovvia. Anzi, potrebbe essere sorprendente. Uno dei fattori che più influenzano il clima sono le correnti oceaniche. Per l'Europa è la corrente del Golfo che convoglia acqua calda dal Golfo del Messico al Nord Atlantico. L'acqua riscalda l'aria e l'Europa gode di un clima temperato nonostante il continente sia compreso tra latitudini relativamente elevate. L'effetto è notevole; pensate che il Nord d'Italia è quasi alla stessa latitudine del Quebec canadese. Provate un po' a fare il confronto tra le temperature minime di gennaio di Milano e quelle di Montreal. A Milano il termometro scende raramente sotto i -5o C mentre a Montreal temperature di -25o C sono la norma. La differenza è dovuta all'effetto della corrente del Golfo che, pur originando nelle acque che lambiscono il continente americano, per effetto della rotazione terrestre devia verso Est allontanandosi dal Canada. Qualche tempo fa, sempre su Nature, veniva ipotizzato che il riscaldamento del pianeta potrebbe avere come conseguenza un rallentamento o addirittura l'interruzione della corrente del Golfo. Vediamo come potrebbe succedere. La corrente del Golfo che convoglia acqua calda di superficie da Sud verso Nord-Est, è innescata da una corrente parallela e contraria che convoglia in profondità acqua fredda dal Nord Atlantico alle zone equatoriali. La corrente fredda è originata in inverno dalle bassissime temperature delle estreme latitudini Nord che raffreddano l'acqua, ne aumentano la densità e la fanno sprofondare fino a 1500-2000 metri. Questo genera la corrente profonda fredda che a sua volta innesca la corrente del Golfo. Le acque fredde scendono in profondità a Sud mentre quelle calde, leggere e superficiali salgono a Nord. Il tutto funziona come un gigantesco impianto di riscaldamento che trasferisce l'energia solare trasformata in calore da Sud a Nord. Ora, il costante aumento di temperatura dell'atmosfera associato all'effetto serra è accompagnato anche da una maggior evaporazione dei mari con una conseguente aumentata piovosità soprattutto alle latitudini nordiche. Il maggior apporto di acqua dolce come pioggia o sotto forma di neve diluisce la salinità dell'oceano diminuendone così la densità. Se alle aumentate precipitazioni aggiungiamo anche lo scioglimento dei ghiacci polari, l'effetto diluente della salinità del mare viene amplificato con conseguente ulteriore diminuzione della densità delle acque superficiali. Questa azione potrebbe rallentare o prevenire lo sprofondamento dell'acqua fredda d'inverno e quindi rallentare o arrestare la corrente del Golfo. Il clima si andrebbe così continentalizzando. Georges Maestroni


SCIENZE DELLA VITA. CIECHI Per molti dormire è un problema
Autore: GIACOBINI EZIO

ARGOMENTI: BIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

OTTO ciechi su dieci (esattamente l'83 per cento secondo una recente inchiesta condotta in Francia) si lamentano sia di dormire male sia di aver difficoltà a mantenersi svegli. Il disturbo è già presente nei bambini ciechi. La natura ciclica di questa particolare insonnia suggerisce come causa un difetto di sincronizzazione di quel ritmo sonno/veglia detto circadiano (cioè di quasi un giorno). Qualche paziente definisce il disturbo del sonno come l'aspetto più insopportabile della cecità: "Si può perfino tollerare di non vedere ma non di non poter dormire". Il naturale succedersi della luce e dell'oscurità fornisce ai vedenti gli elementi chiave per regolare quel ritmo di 24 ore che chiamiamo "ritmo biologico". I segnali luminosi che giungono alla retina vengono convogliati al sistema nervoso centrale fino a raggiungere l'orologio biologico centrale localizzato in un nucleo di cellule nervose posto al di sopra del chiasma ottico (l'incrocio delle vie ottiche centrali) detto quindi nucleo soprachiasmatico. Questo nucleo è localizzato a sua volta nella zona dell'ipotalamo, una delle aree più cruciali per la regolazione delle funzioni vegetative. Per un cieco spesso non è sufficiente l'uso di sveglie, adattarsi a ritmi di lavoro costanti, compiere pasti e sonno ad ore regolari per mantenere un ritmo circadiano. Malgrado ogni sforzo esso tende a slittare in una condizione chiamata di ruota libera dominata dal ciclo naturale che è più lungo di circa mezz'ora di quello planetario e che tende a dominare su questo. Tale errore tende a divenire costante portando l'individuo fuori orario normale. Due recenti nozioni scientifiche potrebbero venire in aiuto a queste persone. La prima è una scoperta di pochi anni fa che dimostra che una certa percentuale di persone prive della vista riesce ancora a riconoscere inconsciamente la luce. Queste persone hanno mantenuto una percezione soglia della luminosità bastante ad agire come segnale regolatore del ritmo biologico. La seconda è la nozione recente che un segnale luminoso possa esser percepito attraverso la pelle (ad esempio quella della cavità del ginocchio. Vedi nostro articolo precedente). I ricercatori scoprirono che in individui assolutamente privi di vista la semplice esposizione ad una intensa sorgente luminosa potesse modificare i livelli di una sostanza presente nel sangue chiamata melatonina. La melatonina viene secreta dalla ghiandola pineale esclusivamente nei periodi di oscurità. Si tratta di un neuroormone che agirebbe da sostanza regolatrice del ritmo circadiano. La melatonina è ormai ben conosciuta anche dal pubblico per proprietà terapeutiche propagate dalla pubblicità che non possiede affatto. A prova di tale curioso fenomeno si constatò che negli individui ciechi affetti da disturbi del ritmo sonno/veglia la melatonina venisse prodotta in pieno giorno (anziché di notte come normalmente). Al contrario, nei soggetti ciechi che possono ancora percepire un po' di luce (attraverso la pelle) è più facile mantenere un ritmo sonno/veglia meno irregolare. Come ovviare al disturbo degli afflitti? Ovviamente si potrebbe utilizzare la stessa melatonina per rimettere l'orologio in sesto. Tentativi terapeutici in questa direzione hanno prodotto risultati soddisfacenti in alcuni pazienti. Purtroppo per molti la terapia a base di melatonina non ha funzionato neppure con alte dosi. Si tratterebbe forse di sincronizzare meglio la somministrazione. In altri pazienti i sonniferi comuni sono stati di qualche beneficio, ad altri ancora è servita la tecnica detta di bio-feedback circadiano (riabituare l'individuo a dormire seguendo i ritmi naturali di secrezione della melatonina). Come ultima soluzione si sono incoraggiati i pazienti più resistenti ad ogni terapia a riadattare gli orari di lavoro ed attività (per i fortunati che godono di un orario flessibile) al proprio ritmo naturale di sonno/veglia invece di combatterlo. Purtroppo per la maggior parte dei casi non si tratta di una soluzione facilmente applicabile. Ezio Giacobini


PARTITA LA SECONDA SONDA Prossima fermata: Marte La prima navicella in viaggio da settimane
Autore: DI MARTINO MARIO

LUOGHI: ITALIA

LA corsa verso Marte continua. A poco più di due anni dal lancio delle sonde "Mars Pathfinder" e "Mars Global Surveyor", qualche settimana fa ha spiccato il volo la sonda "Mars Climate Orbiter", prima delle due navicelle spaziali del programma "Mars Surveyor 98". La seconda, "Mars Polar Lander", è partita il tre gennaio: il suo scopo è approfondire la conoscenza del pianeta in vista dell'esplorazione da parte dell'uomo. Il dibattito sull'utilità di far affrontare a un equipaggio umano un viaggio così lungo e rischioso quando le sonde automatiche possono svolgere egregiamente lo stesso lavoro è tuttora aperto. In ogni caso credo che non oltre il 2020 il primo uomo poserà il piede su Marte: è troppo forte nel genere umano l'istinto di esplorare e di accettare sfide al limite dell'impossibile. Torniamo a "Mars Surveyor 98". La sonda arriverà presso Marte alla fine del prossimo mese di settembre e si inserirà in orbita polare a un'altezza di 400 km dalla superficie del pianeta. L'ingresso in quest'orbita richiederà due mesi in quanto, per ridurre progressivamente la sua velocità, la sonda, con i pannelli solari aperti che serviranno da aerofreni, dovrà tuffarsi ripetutamente nella tenue atmosfera marziana. Si sarebbero potuti utilizzare dei retrorazzi, che in pochissimo tempo avrebbero rallentato la "Mars Climate Orbiter" ma ciò avrebbe significato aumentare di molto il peso della sonda con i conseguenti incrementi di costo. Compiti principali dell'orbiter saranno quelli di monitorare l'atmosfera marziana e riprendere immagini ad alta risoluzione per un intero anno marziano (687 giorni). Utilizzerà un radiometro infrarosso e una telecamera a colori ad alta risoluzione. Il radiometro permetterà di osservare i cambiamenti stagionali e le variazioni di temperatura e pressione atmosferiche. Marte ha l'asse di rotazione inclinato rispetto al piano orbitale di un valore quasi uguale a quello della Terra (23 gradi), per cui è soggetto a cicli stagionali la cui durata è di poco inferiore a sei mesi terrestri. Le immagini ottenute dalla telecamera potranno fornire importanti informazioni sui processi climatici a scala globale che caratterizzano l'atmosfera marziana e permetteranno di studiare le interazioni tra atmosfera e superficie. In particolare sarà interessante seguire l'evoluzione delle vastissime e violente tempeste di polvere che durante i cambi di stagione spazzano la superficie del pianeta. Inoltre sarà forse possibile stabilire se sotto la superficie del pianeta esistono riserve d'acqua liquida o sotto forma di ghiaccio. Terminata la sua missione scientifica, verso la fine del 2001 "Mars Climate Orbiter" continuerà a lavorare come satellite per telecomunicazioni: farà da relais tra le sonde che in futuro si poseranno sulla superficie di Marte e le stazioni terrestri. "Mars Polar Lander" si poserà sulla superficie marziana agli inizi del dicembre 1999. La discesa della sonda, la cui velocità iniziale sarà di 7 km al secondo, verrà dapprima rallentata dall'attrito dello scudo termico con l'atmosfera marziana e poi da un paracadute che si staccherà dalla sonda ad un'altezza di poco inferiore ai 2 km. A questo punto entreranno in funzione dei retrorazzi che faranno posare il lander a una velocità inferiore ai 2,4 metri al secondo in una regione che si trova al bordo della calotta polare meridionale, a meno di 1000 km dal Polo Sud marziano, e che è caratterizzata da depositi di terreno stratificati dovuti con ogni probabilità al continuo allargamento e restringimento della calotta di ghiaccio con l'alternarsi delle stagioni. L'atterraggio avverrà quando nell'emisfero meridionale del pianeta rosso sarà tarda primavera e l'attività della sonda proseguirà per almeno tre mesi. In questo periodo dell'anno il luogo in cui si poserà "Mars Polar Lander" sarà illuminato dal Sole per tutto il giorno marziano e ciò, oltre a non far subire eccessivi sbalzi termici agli strumenti, permetterà di produrre in continuazione energia elettrica tramite i due pannelli solari di cui è dotata la sonda. I principali obiettivi scientifici del lander sono quelli di analizzare campioni del suolo marziano per determinarne la composizione e individuare l'eventuale presenza di acqua, ghiacci e composti idrati, misurare temperatura, pressione, umidità e velocità dei venti in superficie e monitorare l'eventuale formazione di brine o ghiacci. Ma lo strumento che forse darà i risultati più eccitanti, anche per il profano, è un microfono che registrerà i rumori dell'ambiente marziano, come il sibilo dei venti e il fruscio dei mulinelli osservati dagli strumenti della sonda "Mars Pathfinder" e forse anche i tuoni conseguenti ai fulmini che saettano nel corso delle tempeste di polvere. Naturalmente potremo sentire anche i rumori del braccio meccanico che preleverà i campioni di suolo che verranno analizzati a bordo della sonda. La pressione dell'atmosfera marziana sulla superfice, infatti, anche se inferiore all'1 per cento di quella terrestre, permette ancora la propagazione delle onde acustiche a cui è sensibile l'orecchio umano. Al lander sono attaccate due microsonde lunghe una ventina di centimetri e piene di strumenti miniaturizzati, che verranno sganciate poco prima dell'ingresso della sonda nell'atmosfera marziana. Queste cadranno sulla superficie del pianeta a una velocità di oltre 700 km/ora e penetreranno nel terreno sino a una profondità di 2 metri per verificare la presenza di ghiaccio d'acqua. Per far ciò un minuscolo carotatore fuoriuscirà dalla sonda e preleverà campioni del sottosuolo che, portati dentro la sonda, verranno sottoposti ad analisi per rilevare l'eventuale presenza di acqua. Oltre a questo esperimento verrà misurata la temperatura del suolo. Nella parte posteriore di queste sonde, che resterà esposta in superficie e che rimarrà collegata con il vero e proprio penetratore tramite un cavo, è alloggiata una stazione meteorologica in miniatura. L'autonomia delle due microsonde è di 50 ore, ma i progettisti sono convinti che potranno funzionare per molti mesi. Se tutto andrà bene, i risultati della missione "Mars Surveyor 98" ci permetteranno di chiarire molti punti ancora oscuri sulla dinamica dell'atmosfera marziana e sulla struttura e composizione della sua superficie. Fra poco più di due anni, nel 2001, un'altra flotta di sonde, americane, europee e giapponesi, si dirigerà verso il pianeta, mentre nel 2005 nei laboratori terrestri potremo avere campioni di suolo marziano, la cui analisi ci permetterà di stabilire se su questo pianeta esiste o sia esistita qualche forma di vita. Mario Di Martino Osservatorio astronomico di Torino


IN BREVE Saranno trasferite le caprette di Portofino
ARGOMENTI: ZOOLOGIA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, PORTOFINO, (GE)

Non vi sarà strage di caprette nel Parco di Portofino. Lo assicura l'assessore all'agricoltura e foreste della regione Liguria Egidio Banti rassicurando animalisti e illustri personaggi, quali Margherita Hack e Paolo Limiti, insorti nei giorni scorsi contro una delibera dell'ente parco in cui si annunciava la necessità di " eradicare" la capra dalla zona. L'ente Parco ha stabilito, che quelle poche caprette presenti sul territorio, sia per gli stessi animali, sia per proteggere la vegetazione del Monte di Portofino, starebbero meglio altrove. E che quindi dovranno essere trasferite.


IN BREVE Stormi di pappagalli a Reggio Emilia?
ARGOMENTI: ZOOLOGIA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, REGGIO EMILIA, (RE)

Secondo un'agenzia di stampa (Adnkronos), alcuni passanti avrebbero avvistato sugli alberi di una circonvallazione del capoluogo emiliano una decina di uccelli verdi, lunghi sui quaranta centimetri, con un vistoso becco rosso. "E' facilissimo che si tratti di pappagalli tropicali - ha commentato Fulco Pratesi, autore già oltre vent'anni fa del celebre saggio 'Clandestini in citta" - anche perché questa specie di uccelli, con gli inverni miti che hanno reso meno rigide le temperature, riesce ad adattarsi. E' possibile che qualche esemplare sia fuggito dalla cattività e sia riuscito a riprodursi".


PSICOLOGIA EQUINA Sussurrare è meglio che gridare Il primo "horse whisperer" fu un irlandese nell'800
Autore: BURI MARCO

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, PSICOLOGIA
NOMI: SULLIVAN DAN
LUOGHI: ITALIA

C'E' un film in cui uno stallone nero, libero e selvaggio su un'isola deserta viene domato da un bambino arrivato lì dopo un naufragio; in un altro, una giovanissima Liz Taylor parla spesso a un suo cavallo malato per aiutarlo a guarire. Ora è arrivato il " sussurratore". In questi tre casi c'è un punto di unione: una voce e un atteggiamento pacati, dolci, non aggressivi. L'aggressione, è la cosa da evitare per avvicinare nel modo giusto i cavalli. Sono animali scontrosi, miti, curiosi, abitudinari. Diventano paurosi quando altri animali o l'uomo si avvicinano ad essi con aggressività. Questo atteggiamento di paura è profondo, benché il cavallo sia diventato domestico 5000 anni fa, cioè sia da 250 generazioni vicino all'uomo. Gli equini mantengono tutte le caratteristiche comportamentali degli erbivori, cioè di animali costretti a difendersi perché attaccati da carnivori predatori. I sensi del cavallo devono essere quindi molto sviluppati, sempre pronti e reattivi nell'applicazione della difesa. Sì, perché il cavallo, nonostante la mole, è timido e non ama molto le attenzioni dell'uomo, tranne quelle legate al cibo e forse al grooming (pulizia e spazzolatura che gli animali in branco effettuano reciprocamente con corpo e denti). Perciò può diventare aggressivo solamente per allontanare un pericolo o un fastidio veramente insostenibile e per reazione a traumi fisici o psicologici. Per prevenire eventuali rischi, il cavallo sta sempre all'erta "aprendo" tutti i suoi sensi per intuire il più in fretta possibile una minaccia. Se notate, sia quando è montato, sia libero in un prato, non smette mai di roteare in tutte le direzioni le orecchie, veri e propri apparati di ricezione dei rumori vicini o lontani. Hanno grande mobilità e sono indipendenti tra loro; in più il modo in cui l'animale atteggia le orecchie è un codice di comunicazione. Movimenti controllati, voce pacata e timbro dolce uniti a un continuo uso della parola come cantilena sono un buon modo di comunicare con il cavallo. La leggenda di Dan Sullivan narra come questo irlandese, appassionato addestratore di cavalli, nel 1800 riuscì per primo a domare i cavalli più nervosi con metodi pacati. Si chiudeva in ambienti ristretti e poco luminosi con animali focosi e non socievoli parlando loro in tono leggero e avvicinandosi al cavallo cercando di leggere le sue reazioni, evitando un rapporto di forza. La sua fama di "horse whisperer" (sussurratore) si diffuse, ne nacque una leggenda e molti altri allevatori seguirono il suo esempio. Il successo partì proprio dall'intuizione che il cavallo, quando è in preda alla paura, perde il controllo e reagisce in modo inconsulto, a volte fino all'autolesionismo. Per cui è inutile usare metodi o linguaggi aggressivi: il più delle volte si ottiene l'effetto contrario. L'occhio del cavallo è più grande di quello dell'elefante, ciò che migliora l'acutezza visiva. Il cavallo ha una discreta visione notturna anche per la presenza di una zona riflessogena, in pratica un minuscolo specchio, che aumenta l'afflusso di luce alla retina in caso di scarsa luminosità. Con la testa ferma in avanti ha una visione di quasi 360o, l'unico punto scoperto è la zona della coda; questo grazie a una posizione ideale degli occhi che è una caratteristica degli animali predati al fine di tenere sotto controllo la maggior parte dei territori intorno. Insomma il cavallo non è quasi mai un animale rilassato, sembra sempre intento a cercare una risposta tranquillizzante a qualche sua inquietudine. La naturale rusticità unita all'istinto, è ancora forte nonostante la lunga convivenza con l'uomo e questo è proprio il fascino, ma anche la difficoltà del rapporto con il cavallo. A volte per certi suoi atteggiamenti, legati a chiari richiami dei sensi, mi domando se è veramente corretto definirlo un animale domestico. Anche se lo curiamo, lo sottomettiamo o lo coccoliamo, mi sembra di poter dire che rimane sempre profondamente libero, e la sua vita è legata a istinti alquanto lontani da noi. Nell'ambito sessuale, l'olfatto controlla e domina le ricezioni ferormonali e i comportamenti conseguenti. La lunghezza del muso e la presenza di molti turbinati all'interno delle cavità nasali determina una grande superficie di mucosa olfattiva ricca a sua volta di ricettori capaci di leggere una grande quantità di messaggi odorosi. Se fosse distesa su una superficie piatta la mucosa delle canne nasali supererebbe quella del corpo stesso del cavallo. L'avvicinamento sessuale e il riconoscimento fra cavalla e puledro avviene quasi interamente con l'olfatto. Il "flehmen" (arricciamento all'insù del labbro superiore) è in stretta relazione alle molecole che il cavallo inspira e riconosce di particolare importanza come i ferormoni sessuali. Lo stesso atteggiamento pratica anche con il gusto, cioè quando la mucosa della bocca, in stretta relazione a quella olfattiva, gli manda dei messaggi interessanti o disgustosi. Per utilizzare al meglio il forte senso dell'olfatto del cavallo, alcuni proprietari sostengono di riuscire a costruire un rapporto più stretto con il proprio animale, soffiando nelle sue narici per arrivare a un maggior vincolo di confidenza e accettazione, e anche lasciandosi odorare la pelle delle mani e delle braccia. Questo è mutuato dal comportamento che precede l'atto sessuale, quando stallone e fattrice si avvicinano usando l'olfatto per capire le altrui intenzioni, o da quello della mamma che annusa continuamente il proprio puledrino come garanzia di controllo e di sicurezza reciproca. Marco Buri


IN BREVE Tentano di clonare l'elefante bianco
ARGOMENTI: ZOOLOGIA, GENETICA
LUOGHI: ITALIA, ASIA, THAILANDIA

Per salvare la razza degli elefanti thailandesi, che stanno pericolosamente decadendo di numero e di qualità, un gruppo di scienziati thailandesi intende tentare la clonazione di un elefante bianco appartenuto al re Rama III (che governò il regno del Siam dal 1824 al 1851), per ripopolare il paese con i suoi discendenti. I resti del pachiderma sono stati conservati bene, e gli scienziati dell'Università di Mahidol (già autori della clonazione di una vacca), contano di riuscire entro dieci anni a clonare la bestia, divenuta famosa per le sue caratteristiche.


SCIENZE DELLA VITA.IL PROBLEMA ICTUS Terza causa di morte in Occidente Ogni anno 400 mila vittime solo nella UE
Autore: FRONTE MARGHERITA

LUOGHI: ITALIA

LA terza causa di morte dei Paesi occidentali non riceve ancora l'attenzione che merita. Eppure ogni anno l'ictus uccide oltre 400 mila persone nella Comunità europea e, soltanto in Italia, fa registrare più di 90 mila nuovi casi. Inoltre, secondo le Nazioni Unite, le stime sono destinate a peggiorare: complice l'aumento dell'età media, si calcola che da qui a trent'anni l'incidenza dell'ictus crescerà del 30 per cento nei Paesi più ricchi, mentre uno studio presentato in un convegno tenutosi recentemente a Montreal invita a non sottovalutare l'entità che la malattia potrebbe raggiungere in popolazioni particolarmente longeve, come quella cinese e indiana, che nel 2020 conteranno, da sole, circa la metà dei soggetti a rischio di tutto il mondo. Per combattere uno dei principali motivi di preoccupazione per la salute pubblica dei prossimi decenni, i medici hanno messo a punto una strategia che attacca il nemico su più fronti, cercando di limitare l'incidenza dell'ictus con farmaci nuovi e campagne di informazione, e progettando unità dedicate esclusivamente alla sua cura. Così, nel Nord Europa sono nate le Stroke unit, reparti specializzati nel trattamento della fase acuta dell'ictus, in cui i neurologi lavorano gomito a gomito con i fisioterapisti, i dietologi, i fisiatri e gli infermieri. Le Stroke unit seguono il malato dal suo arrivo in ospedale. Le prime cure, che durano due o tre settimane, sono volte ad accertare l'entità del danno cerebrale provocato dall'ictus, e a pianificare e mettere in pratica i primi interventi. Poi il paziente viene dimesso dall'unità di emergenza, che però continua a seguirlo per le fasi successive della terapia riabilitativa. Esportate in altri Paesi, queste realtà sono però ancora poco diffuse in Italia, dove il 97 per cento dei ricoveri per ictus avviene ancora in reparti non specializzati nel trattamento di un evento per il quale, invece, una cura tempestiva e mirata può rappresentare la differenza fra una vita accettabile e un'invalidità permanente. L'improvvisa interruzione del flusso di sangue in una zona del cervello, l'ictus appunto, provoca infatti la morte delle cellule direttamente irrorate dai vasi che hanno subito il danno nel giro di pochi minuti, ma innesca anche una cascata di reazioni che si protrae per qualche giorno e che può compromettere le regioni nervose confinanti con quella colpita. Naturalmente, quanto più è estesa la zona interessata tanto più gravi saranno le conseguenze dell'evento, che possono andare da un semplice formicolio alla faccia a una paralisi del volto e del braccio, a difetti permanenti nella capacità di esprimersi e di coordinare i movimenti. In virtù del meccanismo con cui la lesione procede, un intervento immediato e specifico può limitare il danno che si verifica nella seconda fase. Cifre alla mano, sottoposte a verifica, le Stroke unit si sono dimostrate in grado di far diminuire del 10 per cento la mortalità dei pazienti trattati e di far crescere di un'analoga percentuale la possibilità di recupero delle funzioni compromesse. La progettazione di reparti ospedalieri all'avanguardia rappresenta soltanto una delle armi con cui la medicina ha deciso di combattere la guerra contro l'ictus. La seconda è stata messa a punto nei laboratori, dove i ricercatori sono riusciti a identificare un farmaco chiamato pravastatina che, già impiegato per abbassare i livelli di colesterolo, si è rivelato efficace anche per la prevenzione dell'ictus. Il suo utilizzo per questo scopo è ancora in fase di studio ma, associata ai farmaci che gli ipertesi (la categoria più a rischio) prendono per tenere sotto controllo la pressione del sangue, la pravastatina potrebbe contribuire in modo significativo a ridurre l'incidenza dell'ictus. Ma le armi che più di tutte permettono di limitare la diffusione della malattia sembrano essere le campagne lanciate dalle associazioni dei medici e dei pazienti, volte a informare la popolazione su cosa è l'ictus e sugli stili di vita da adottare per evitarlo. Se infatti contro alcuni fattori di rischio, come l'età o la predisposizione genetica, non si può far nulla, per altri l'atteggiamento individuale è fondamentale. Il fumo di sigaretta, gli eccessi nel bere e l'obesità sono tutti elementi che potrebbero essere facilmente tenuti a bada. Inoltre i medici consigliano di seguire una dieta povera di sale e di preferire i grassi insaturi, come quelli contenuti nell'olio d'oliva, a quelli saturi. E' molto importante che le persone più a rischio imparino a riconoscere i sintomi dell'ictus, che spesso è preceduto di qualche giorno da un malore che i medici indicano con il termine Tia (dall'inglese Transient ischemic attack). I Tia sono dei piccoli ictus, che durano però soltanto qualche secondo e non danneggiano permanentemente le cellule cerebrali. Si manifestano con violenti capogiri, perdita di sensibilità o formicolio al volto e agli arti, cali improvvisi della vista, difficoltà a parlare, o mal di testa molto violenti e repentini. Anche se i disturbi scompaiono nel giro di qualche ora, quando si presentano bisogna chiedere consiglio al medico: i Tia infatti fanno aumentare enormemente il rischio che nei giorni successivi possa verificarsi un ictus importante. Margherita Fronte


SCIENZE FISICHE. LE PROTEINE DELLA "MUCCA PAZZA" Un biochip per stanare i prioni Un nuovo strumento per macelli e veterinari
Autore: BASSI PIA

ARGOMENTI: ELETTRONICA, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: HINDERLING THOMAS
ORGANIZZAZIONI: CSEM
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, SVIZZERA, GINEVRA

MENTRE nei centri di ricerca si studiano le malattie derivate dai prioni, come l'encefalopatia spongiforme bovina (Bse), meglio conosciuta come "morbo della mucca pazza", al Centro svizzero di elettronica e microtecnica (Csem) di Neuchatel, Thomas Hinderling e la sua equipe di ricercatori stanno mettendo a punto un "biochip" che serve a individuare la presenza di prioni nel cervello o nel midollo spinale dei bovini. Lo strumento è in fase di sperimentazione ma fra qualche mese sarà a disposizione di macelli e laboratori di veterinaria e costituirà uno strumento mirato alla ricerca della proteina prione nella carne e determinare se è adatta all'uso alimentare. Si tratta di un sistema ottico integrato compatto per individuare e riconoscere quantità infinitesimali (con dimensioni di nanometri e picometri) di biomolecole. La piastrina di misurazione attuata, il biochip, è formata da un sottile strato conduttore di biossido di titanio steso su un reticolo ottico - in scala microscopica dell'ordine dei nanometri - applicato su policarbonato fuso. Una delle applicazioni possibili del biochip è l'individuazione di proteine infettate da prioni. Per l'analisi verrà utilizzato un campione di midollo spinale o di cervello, opportunamente pretrattato. Il test darà il responso in tempi brevi, da 15 a 30 minuti. Il biochip è composto da uno strato semiconduttore sul quale vengono fissati degli anticorpi. Gli anticorpi sono in grado di legarsi in modo preciso alla proteina prione infettante. Si spalma una piccola quantità di omogeneizzato del campione di midollo spinale sopra la piastrina sensibile (il biochip). Se nell'omogeneizzato fossero presenti i prioni essi si legherebbero subito agli anticorpi bloccati sulla piastrina del biochip. Questo legarsi dei prioni con gli anticorpi modifica le proprietà della luce che passa attraverso lo strato semiconduttore. Lo strumento registra i cambiamenti delle proprietà della luce. Le quantità delle variazioni indicheranno il grado di infezione. L'intensità del segnale sarà quindi direttamente proporzionale al grado di infezione della carne bovina.Pia Bassi


I PIOVANELLI DAL PETTO NUDO Una volta si contavano a milioni Decimati dalla caccia, ne sono rimasti 15 mila
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ETOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

NON appena i piovanelli dal petto nudo, provenienti dai quartieri invernali, raggiungono l'Artico, hanno inizio i loro giochi d'amore. Ecco un maschio che allarga le ali per mettere bene in evidenza il bianco perlaceo del sottoala, poi punta il capo verso il cielo, lancia una serie di flebili "tick- tick" e si mette a battere i piedi contro il suolo, facendo vibrare rapidamente le ali. E' la parata amorosa che ha immediatamente il suo effetto. Attratte da quella chiara esibizione di corteggiamento, accorrono non una ma tre femmine. Si precipitano tra le ali spalancate del maschio, allargano a loro volta le ali e fanno dietro front in modo da toccare con il dorso l'addome dell'aspirante sposo. Fanno a gomitate per conquistare la posizione più vicina possibile a lui. Ma ecco ilcolpo di scena. Quando l'accoppiamento sembra ormai cosa fatta, un altro maschio piomba d'improvviso sui quattro e li fa volar via tutti quanti. Scene di questo genere sono di ordinaria amministrazione tra i piovanelli dal petto nudo, quando si trovano nei loro territori di nidificazione artici. A partire dalla metà di gennaio fino ai primi di marzo, questi uccelli, isolati o in piccoli gruppi, abbandonano le pampas argentine, dove hanno passato l'inverno, e intraprendono un lungo viaggio migratorio. Sorvolano il Golfo del Messico, oltrepassano le pianure del Nord America e a fine maggio-primi di giugno raggiungono le coste artiche. Per tre estati consecutive il ricercatore americano Richard B. Lanctot del Centro di Scienze biologiche dell'Alaska ha osservato nella tundra gli strani cerimoniali nuziali di questi uccelli. Come succede anche in altre specie, i piovanelli maschi si radunano in aree ben determinate, chiamate "lek". Sono arene in cui gli aspiranti sposi si esibiscono nella parata nuziale. Mettono in opera tutte le loro attrattive sessuali per attirare le femmine. Scelgono di solito le zone sgombre di neve, come i fianchi scoscesi dei pendii, zone che si fanno sempre più ampie man mano che la stagione avanza e l'aumento della temperatura favorisce la fusione delle nevi. In ciascun lek si riuniscono una ventina di maschi che cercano di adescare le compagne con le parate più spettacolari. Per farsi vedere dalle femmine che volano sopra le loro teste, anche a trecento metri d'altezza, i maschietti ne combinano di tutti i colori. Si sollevano ripetutamente in volo, disegnano una serie di cerchi nell'aria, fanno ondeggiare le ali, sollevano la coda, saltellano su e giù. Sembrano in preda alla più viva eccitazione. Contrariamente a quanto fanno le altre specie che adottano il sistema del lek, i piovanelli non ritornano ogni anno nello stesso territorio. Amano cambiare continuamente. Si esibiscono in un lek per qualche giorno soltanto o addirittura per qualche ora, poi cambiano domicilio, occupando altre zone disinnevate della tundra. Occupare un territorio non è un'impresa da poco. Significa fare i conti con i maschi che vi sono arrivati prima. I residenti ingaggiano furiosi duelli terrestri e aerei con i nuovi venuti. E questi, cacciati da territorio a territorio, si vedono spesso costretti a fare la loro parata al margine esterno del lek o più lontano ancora. C'è da chiedersi perché mai nella sterminata distesa della tundra i piovanelli debbano esibirsi tutti assieme entro territori relativamente piccoli. Secondo alcuni studiosi, questo comportamento faciliterebbe l'individuazione dei maschi da parte delle femmine, le quali, trovandoli tutti vicini, potrebbero fare più agevolmente il confronto e scegliersi quello che ritengono il migliore. I maschi dal canto loro, proprio perché riuniti in gruppo, si difenderebbero meglio dai predatori. Ma le vicende matrimoniali procedono in modo decisamente movimentato. Non sono molti gli accoppiamenti che vanno a buon fine. Solo un piccolo numero di maschi riesce ad attirare il maggior numero di femmine. I maschietti che hanno meno successo ricorrono allora all'astuzia. Strisciando furtivamente riescono a intrufolarsi tra le femmine accorse al richiamo dei seduttori. Poi cosa fanno? In modo piuttosto brutale interrompono il corteggiamento e cercano di accoppiarsi con una femmina oppure la adescano portandosela dietro nel loro territorio. Nella confusione generale, si assiste anche a tentativi di accoppiamenti omosessuali tra maschi che magari hanno combattuto poco prima tra di loro. Nei lek dei piovanelli dal petto nudo tutto si svolge in maniera diversa dai lek tradizionali. Forse perché nelle altre specie c'è di solito uno spiccato dimorfismo sessuale e i maschi si distinguono dalle femmine per il piumaggio più ricco e colorato. Cosa che non si verifica in questi uccelli in cui maschio e femmina si assomigliano come due gocce d'acqua. Nè, data l'instabilità dei lek che si trasferiscono continuamente da un punto all'altro della tundra, esiste una gerarchia di maschi dominanti. Munendo gli uccelli di radiocollari, Lanctot si è accorto che durante la stagione riproduttiva le femmine visitano parecchi maschi e non quelli di un solo lek. Come se operassero una vera e propria scelta. Ma che cosa rende i maschi più attraenti ai loro occhi? Ed ecco la scoperta. In questa specie, le macchie tipiche delle ali primarie esterne diminuiscono di numero, ma si fanno via via più nitide e più grosse man mano che aumenta l'età del maschio. La femmina decisamente preferisce i maschi più vecchi. Sono loro che ai suoi occhi posseggono i migliori geni da trasmettere ai figli. La stagione degli amori dura da una a tre settimane. Poi i maschi e anche le femmine che hanno perduto la prole ad opera dei predatori intraprendono il viaggio di dodicimila chilometri che li riporta in Argentina. Rimangono ancora per due o tre settimane solo le femmine che hanno le uova da covare e i figli da allevare. Poi la tundra si svuota. Ma i piovanelli dal petto nudo, che una volta si contavano a milioni, si fanno sempre più rari. Nel secolo scorso sono stati decimati dalla caccia per la loro carne squisita. E oggi sta gradualmente scomparendo il loro habitat. Ne sono rimasti una quindicina di migliaia soltanto. Isabella Lattes Coifmann




La Stampa Sommario Registrazioni Tornén Maldobrìe Lia I3LGP Scrivi Inizio