TUTTOSCIENZE 26 agosto 98


IN BREVE Centro Avifauna a Castel Tirolo
ARGOMENTI: ZOOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

Un centro per la cura degli uccelli, in particolare i rapaci, è sorto su una collina presso Castel Tirolo. E' aperto al pubblico. Tel. 0473-221.500.


SCIENZE DELLA VITA. PROTETTO UN QUARTO DEL PAESE Costa Rica, paradiso biologico Si sta facendo l'inventario delle specie animali e vegetali
Autore: ZULLINI ALDO

ARGOMENTI: ECOLOGIA, BIOLOGIA
LUOGHI: ESTERO, AMERICA, COSTA RICA

POCO più di tre milioni di anni fa (un po' prima della comparsa del genere umano) due enormi isole, il Nord e il Sudamerica, si unirono per formare un solo grande continente. Durante decine di milioni d'anni precedenti, l'evoluzione biologica nelle due Americhe aveva seguito strade differenti. Nel Nord si erano sviluppate una flora e una fauna non troppo diverse da quelle europee, nel Sud si erano evoluti animali peculiari, spesso giganteschi, molto diversi da quelli di ogni altra regione del mondo. Gran parte di quella fauna è ormai estinta (proprio in seguito all'incontro con la fauna nordamericana), ma ancor oggi il Sudamerica è popolato da animali stravaganti: armadilli, bradipi, formichieri, piccoli marsupiali, tucani, colibrì... Quanto alle forme vegetali, basti ricordare le geometriche auraucarie, native del Sud America. L'ultimo ponte di terra emerso a saldare il Nord col Sudamerica è quello che ancor oggi costituisce la parte più sottile del collegamento (cento chilometri di larghezza o meno): attualmente corrispondente agli Stati di Costa Rica e Panama. Qui, come in tutto il Centroamerica, si è avuto un via vai di specie che dal Nord si spostavano verso Sud e viceversa. Alcune rimanevano a metà strada e, col tempo, hanno dato origine a nuove specie. Nel lungo tragitto che va dal Messico a Panama non esiste, pertanto, un vero confine che divida le specie settentrionali da quelle meridionali. Si osserva, invece, un gradiente biologico che costituisce una zona di transizione. E' una zona ricchissima di specie. Purtroppo è stata spesso devastata da guerre, guerriglie e dittature, fenomeni che generano povertà, sottosviluppo e, per il discorso che qui interessa, sfruttamento irrazionale delle risorse e distruzione della natura. Infatti il Centroamerica, che un tempo si presentava con un manto vegetale intatto costituendo un importante corridoio faunistico, presenta oggi impressionanti sequenze di paesaggi squallidi e degradati. Non sono molte le zone sfuggite a questo destino, e tra queste spicca la piccola Costa Rica. E' un Paese che, salvo poche brevi eccezioni, non ha quasi mai conosciuto la guerra ed è, si può dire, democratico da sempre. Cinquant'anni fa ha abolito l'esercito e oggi è forse il Paese più avanzato, quanto a livello culturale e sanitario, di tutta l'America Latina. Anche l'ambiente naturale, di conseguenza, è stato meno intaccato che altrove. Tuttavia la pressione demografica ha fatto sentire i suoi effetti e molta parte delle foreste è stata sacrificata per far posto all'urbanizzazione e alle piantagioni di caffè. Ma negli ultimi decenni, per fortuna, la Costa Rica ha preso sempre più coscienza del fenomeno ed oggi è lo Stato con la più elevata percentuale di parchi naturali e aree protette al mondo (un quarto del territorio nazionale). La protezione della sua ricca biodiversità (cioè delle numerosissime specie viventi) oggi è il vanto principale di questo Paese. Ma non basta proteggere: occorre anche conoscere ciò che si protegge. Tra i numerosi centri di studio esistenti in Costa Rica spicca, per qualità e organizzazione, l'Istituto Nacional de Biodiversidad (INBio). La sua storia è recente, ma ormai è diventato un esempio in tutto il mondo. Sorto nel 1989, conta ora un organico di 180 persone. La sua ragione sociale consiste nello studio della diversità biologica in Costa Rica e nella promozione di un suo uso razionale. L'Istituto è impegnato a realizzare un inventario delle specie presenti. In pochi anni ha creato una collezione che attualmente conta 3 milioni di insetti (un quarto dei quali già identificato), oltre 50 mila campioni di piante (per la maggior parte già identificate) e 75 mila molluschi (metà dei quali identificati). Ogni esemplare è contrassegnato da un codice a barre mediante il quale si può risalire ad ogni tipo di informazione: nome della specie, famiglia a cui appartiene, località di raccolta, habitat, caratteristiche biologiche, distribuzione geografica, riferimenti bibliografici. Il tutto è inserito in una banca dati collegata a un sistema informatico di prospezione geografica (GIS) capace di disegnare mappe territoriali multitematiche. Per ottenere tali risultati, INBio ha dislocato cinquanta raccoglitori specializzati, detti paratassonomi, in 23 stazioni di raccolta disseminate in tutto il Paese. Ogni paratassonomo batte il territorio di sua competenza raccogliendo, con tecniche appropriate, le specie delle famiglie che interessano. Ognuno di essi, spiega Carlos Mario Rodriguez coordinatore dell'Inventario per la Biodiversità, opera nella zona dove è nato e in cui vive in modo da fungere anche da raccordo tra l'Istituto (con la sua filosofia conservazionista) e la popolazione locale. Una volta al mese ogni paratassonomo porta tutto il materiale raccolto alla sede centrale dove altri operatori lo smistano, lo riordinano, lo etichettano, lo catalogano e lo conservano in attesa della successiva identificazione che verrà fatta da specialisti di ogni parte del mondo. Questa impresa è collegata con centri di ricerca di industrie farmaceutiche e veterinarie interessate allo studio di composti potenzialmente utili presenti nelle piante e negli animali (soprattutto insetti e molluschi). Si ricordi infatti che ogni specie vivente contiene sostanze chimiche peculiari, diverse da quelle presenti in qualsiasi altra specie. Ogni habitat naturale, ma soprattutto la foresta dei Tropici, è uno scrigno che nasconde centinaia di migliaia di sostanze ancora sconosciute. Alcune di esse vengono "copiate" in laboratorio perché possiedono proprietà medicinali oppure perché sono veleni utili per combattere insetti o nematodi nocivi all'agricoltura. Altre sostanze hanno rivelato proprietà antimicrobiche, altre ancora inibiscono gli enzimi di alcuni pericolosi parassiti dell'uomo. Non mancano molecole studiate per il loro possibile uso in cosmetica e in profumeria. Il ritorno economico di queste ricerche applicate rappresenta già il 17 per cento del bilancio di INBio. Un decimo di tale cifra viene destinato ai Parchi nazionali del Paese: in questo modo INBio, in questi primi nove anni di attività, ha già devoluto alla conservazione della natura due milioni di dollari. Cifre e percentuali sono destinate ad aumentare perché in tutto il mondo vi sono almeno mille industrie (soprattutto nordamericane, europee e giapponesi) interessate alla ricerca sui composti naturali. Il resto dei finanziamenti viene da istituzioni governative internazionali (soprattutto scandinave e olandesi), fondazioni private statunitensi, enti impegnati nella conservazione della natura. INBio è anche collegato con le scuole del Paese e si adopera per consolidare una cultura ecologica attraverso la produzione di materiale didattico, documenti informatici, pubblicazioni scientifiche, e pressioni a livello governativo per la promozione di un turismo ecologico non distruttivo. Nel suo sito Internet (http://www.inbio.ac.cr) vi sono diecimila pagine di informazione, gran parte delle quali dedicate a un manuale elettronico della flora della Costa Rica. Questo territorio geografico, che tre milioni di anni fa è stato il punto di incontro di due continenti, merita questo e altro. Altri luoghi, sulla Terra, sono altrettanto interessanti per i passati eventi geologici ed evolutivi, e sono altrettanto ricchi dal punto di vista biologico. Perciò dobbiamo augurarci che anche in altre parti del mondo sorgano iniziative che, come INBio, siano capaci di fare una scommessa sulla natura. Aldo Zullini Università di Milano


IN BREVE Curati topi con danni ai nervi
LUOGHI: ITALIA

All'Istituto Weizmann (Israele) una terapia sperimentale ha permesso a topi paralizzati per danni al sistema nervoso centrale di recuperare parzialmente l'uso delle zampe posteriori.


SCIENZE FISICHE. GEOMORFOLOGIA Dante con l'occhio del geologo Il poeta seppe cogliere i paesaggi insoliti
Autore: BIANCOTTI AUGUSTO

NOMI: DANTE ALIGHIERI
LUOGHI: ITALIA

NELLA "Divina Commedia" Dante descrive alcuni dei paesaggi naturali più intriganti d'Italia, sovente poco noti anche oggi, e degni d'una maggiore conoscenza. Qual è quella ruina che nel fianco / di qua da Trento l'Adice percosse / o per tremoto o per sostegno manco, / che da cima del monte, onde si mosse, / al piano è sì la roccia discoscesa / ch'alcuna via darebbe a chi su fosse... Le due terzine, che si riferiscono ai Lavini di Marco, la frana della Val Lagarina con fronte di oltre 6 chilometri caduta 1300 anni fa circa, rappresentano con efficacia la perigliosa discesa dal 6o al 7o cerchio dell'Inferno attraverso le gran pietre rotte. Il poeta propone due possibili ipotesi genetiche: lo scivolamento delle bianche rocce calcaree corrose dall'acqua sarebbe dovuto o a un sisma (per tremoto) o all'erosione del piede del versante da parte della corrente fluviale (per sostegno manco). Il passare dei secoli e gli studi di una ventina di grandi specialisti non hanno aggiunto molto all'intuizione dell'Alighieri: il lavoro più recente, presentato in un congresso del progetto nazionale di ricerca " Geomorfologia strutturale" pare credere di più all'ipotesi sismica, ma non esclude l'altra. La familiarità con il territorio aiuta Dante negli agili accostamenti tra forme simili nell'aspetto ma lontane nello spazio, a lui funzionali per scolpire le sue immagini: Vassi in Sanleo e discendesi in Noli, / montasi su 'n Bismantova e in Caccume / con esso i piè; ma qui convien ch'om voli... Sanleo e Bismantova fanno parte dei rilievi residuali, torrioni di pietra dura emergenti dal mare delle tenere argille dell'Appennino settentrionale, portate via dal ruscellamento delle acque piovane. Anche l'alta sommità del Cacume nei Monti Lepini in Lazio è frutto dell'erosione selettiva applicata a litologie di consistenza diversa. Le falesie calcaree fagliate del bordo a mare dell'altopiano delle Manie sopra Finale Ligure isolano la cittadina di Noli dalla cerchia di monti attorno, e ancora oggi ne rendono difficile l'accesso da terra. Ecco fatto: la fatica dell'ascesa lungo il sentiero scavato nella roccia viva per salire al Primo Balzo del Purgatorio è resa concreta e comprensibile per un buon numero di lettori potenziali del tempo: i cortigiani dei duchi d'Urbino ai quali apparteneva la Città Feltria di Sanleo, i romani e gli emiliani, i marinai della piccola Repubblica Marinara di Noli cui la densa terzina ricordava casa propria, l'aspro Malpasso e forse insieme la chiesa di S. Paragorio. L'impraticabilità della riviera ligure era già stata evocata nel precedente III canto del Purgatorio: Tra Lerice e Turbia, la più diserta, / la più rotta ruina è una scala / verso di quella, agevole e aperta... La capacità di scovare luoghi dalla forte personalità fisica, e insieme geotopi significativi sotto l'aspetto scientifico, avrebbe fatto oggi dell'Alighieri un tour operator capace di organizzare itinerari fuori dallo stereotipo, ideali per un turismo intelligente. Sovente il vate turbolento abbandona le rupi per scendere nelle paludi, descritte secondo la suggestione del tempo come luoghi sinistri: per questo Cistercensi e Benedettini s'impegnavano a bonificarle, a renderle buone, a redimerle insomma. Ne parla nel canto IX dell'Inferno: Sì come ad Arli, ove Rodano stagna... e nel XX per descrivere la Bassa Padana d'allora, dove s'era nascosta l'indovina Manto, che diede il nome a Mantova. Là il fiume Mincio Non molto ha corso, ch'el trova una lama, / ne la qual si distende e la 'mpaluda, / e suol di state talor esser grama. Il poeta non poteva supporre che alcuni di questi tetri avvallamenti planiziali oggi sarebbero divenuti parchi naturali protetti, come le Lame del Sesia in Piemonte. Corsi al palude, e le cannucce e 'l brago / m'impigliar sì, ch'ì caddi; e lì vid'io / de le mie vene farsi in terra laco. Così perisce il povero Buonconte di Montefeltro posto nel V canto del Purgatorio fra i negligenti pentiti dell'ultimo momento prima della morte violenta. Il luogo descritto corrisponde al Piano di Campaldino dove l'11 giugno 1289 Firenze le suonò sode alle milizie d'Arezzo. Il sito fa parte del Casentino, una delle piane intramontane dell'Italia centrale, con il Mugello, il Valdarno, la Val di Chiana, l'Alveo del Fucino. Derivano dall'interramento di antichi laghi d'origine tettonica. Nel Medioevo ospitavano ancora acquitrini foschi e pittoreschi, ideali tanto per una battaglia quanto per una fantasia sulfurea, soltanto in seguito prosciugati dall'accorta politica territoriale dei Medici. Nel Poema sono chiamate a raccolta tutte le discipline delle Scienze della Terra. Nel IX canto del Purgatorio la salvezza della confessione è raggiunta attraverso l'ascesa un po' barocca di tre gradini fatti di rocce differenti: Lo scaglion primaio di bianco marmo sì pulito e terso, simboleggia il pentimento purificatore, duro, puro, freddo. Il secondo / d'una petri na ruvida ed arsiccia / crepata per lo lungo e per traverso... Un'arenaria fratturata, forse, indica la durezza del cuore che si disgrega sotto la spinta della redenzione, e: Lo terzo, che di sopra s'ammasiccia, / porfido mi parea sì fiammeggiante, / come sangue che fuor di vena spiccia. Naturale come tutto quel cruore ostentato alluda all'ardore di fuoco della carità che accende l'uomo redento ansioso di pagare la sua penitenza e di superare le sue colpe. Altrove fanno capolino profezie inquietanti d'una geologia globale ante litteram, quasi una profezia. Nel XXXIII canto dell'Inferno l'invettiva contro Pisa vituperio delle genti, colpevole del dramma umano e spirituale del conte Ugolino, reso dalla fame cannibale dei propri figli, evoca lo scenario apocalittico di due isole, la Capraia e la Gorgona, che sono invitate a spostarsi per andare a sbarrare la foce dell'Arno, in modo che ogni abitante della città maledetta affoghi sommerso dalle acque: Muovansi la Capraia e la Gorgona, / e faccian siepe ad Arno in su la foce, / sì ch'elli anneghi in te ogni persona] A volte la natura supera anche le più grandiose visioni letterarie. Le interpretazioni più accreditate sull'origine morfotettonica del Mediterraneo ci informano che in effetti due isole migrarono per centinaia di chilometri, la Sardegna e la Corsica, ben più vaste dei due scogli dell'Arcipelago Toscano. Il fenomeno è noto con il nome di sfenocasma ligure. Quelle terre, prima saldate al bordo meridionale della Provenza, spinte da forze agenti nella crosta terrestre, si staccarono dal continente europeo, ruotarono verso Sud-Est fino a raggiungere la posizione attuale. La progressione creò il Golfo del Leone e il bacino liguro-provenzale. All'irato poeta bastava di meno. L'avanzata del Continente Sardo-Corso, com'è chiamato, avrebbe messo a mollo mezza Italia, un po' troppo anche per il grande Dante. Augusto Biancotti Università di Torino


IN BREVE Etiocosmesi un corso a Torino
LUOGHI: ITALIA

Un corso di etiocosmesi, disciplina basata sull'oligoterapia, si terrà il 22-23 settembre a Torino. Interverrà Michel Deville. Iscrizioni: tel. 075-5177.490.


IN BREVE Ex libris, mostra a Bologna
ARGOMENTI: DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA

Una curiosa mostra di ex libris a tema astronomico è stata organizzata dal Dipartimento di astronomia dell'Università di Bologna, a cura di Remo Palmirani e Marina Zuccoli. Il catalogo ne raccoglie i più signicativi accompagnandoli con saggi sulla storia dell'ex libris e sull'iconografia astronomica.


SCIENZE DELLA VITA. UN ANNO DALL'INCIDENTE Forse Diana poteva essere salvata La tesi di uno studio sui primi soccorsi
Autore: GIACOBINI EZIO

ARGOMENTI: INCIDENTI, STRADALI, MORTE
NOMI: LADY DIANA SPENCER PRINCIPESSA DI GALLES
LUOGHI: ITALIA

TRA le cause di morte il primo posto è sempre occupato dalle malattie cardiovascolari (riducibili con dieta ed esercizio fisico), il secondo dai tumori (siamo qui nelle mani della ricerca su nuove terapie) e il terzo da incidenti d'auto (qui invece si fanno i conti con la velocità e le cinture di sicurezza, ma anche, come vedremo, con le ambulanze e il personale del Pronto soccorso). La morte della principessa Diana - avvenuta poco meno di un anno fa - ha portato in prima pagina i problemi dell'assistenza in caso di infortunio automobilistico. In particolare, si è sviluppata una polemica nelle pagine di riviste mediche sul tipo "franco-europeo" di assistenza d'urgenza con cure protratte sul luogo dell'incidente (nel caso di Diana per un'ora) in alternativa a quello di tipo " americano" caratterizzato da rapidissimo trasporto a unità ospedaliere di pronto soccorso specializzate in traumatologia stradale. La scelta in sostanza è fra "trattare sul posto" e prendere già sul luogo dell'incidente tutte le misure necessarie a " stabilizzare il paziente" per poi dirigersi all'ospedale oppure usare la filosofia del "non perder tempo, fare il minimo necessario e partire rapidamente per l'ospedale". Nel caso di Diana parrebbero aver ragione i difensori americani del metodo rapido, che avrebbe forse fatto guadagnare tempo prezioso (quasi due ore) e permesso di diagnosticare tempestivamente in ospedale la rottura del grosso vaso che fu fatale e procedere alla sua riparazione in sala operatoria senza indugi e ritardi. Ovviamente non sapremo mai chi avesse ragione in quanto non possiamo rifare l'esperimento. Ma il fatto solo di sollevare il problema potrà forse salvare delle vite in futuro. Un secondo aspetto del famoso incidente, purtroppo non abbastanza sottolineato dai media, è il fatto che secondo la maggioranza degli esperti l'allacciamento della cintura di sicurezza avrebbe potuto diminuire l'entità dei traumi e forse (come in oltre il 50 per cento dei casi in incidenti di questo tipo) evitare la morte di Diana. Molte nazioni europee hanno da tempo stabilito l'obbligo di allacciare la cintura di sicurezza anche per il passeggero posteriore (in Italia la cintura non è usata in oltre il 30% dei casi neppure da quello anteriore). Nella valutazione dell'assistenza medica la morte da trauma è direttamente correlata alla qualità del soccorso prestato e le morti imputabili a una difettosa assistenza vengono definite come "decessi evitabili". In uno studio limitato ma encomiabile per il suo interesse (che speriamo sia seguito da altri più estesi) un gruppo di medici appartenenti a due ospedali di Bologna e uno di Ravenna ha analizzato sulla base dei rapporti della polizia stradale, dei pronto soccorso, dei tribunali, dei vigili del fuoco e da vari registri locali le possibili cause delle "morti evitabili" in conseguenza a traumi da incidenti stradali. I dati sono stati ritenuti di interesse tale da meritare la pubblicazione nella rivista medica inglese Lancet. L'articolo si riferisce a tutti gli incidenti mortali avvenuti nel 1994 nella provincia di Modena (250. 000 abitanti). L'indagine è concentrata sul periodo di tempo antecedente l'arrivo dell'infortunato in ospedale. Lo studio si è valso di un esperto diverso e indipendente per valutare ogni particolare fase dell'assistenza. Su 102 decessi, quattro furono considerati "evitabili" e diciotto "probabilmente evitabili". In totale nel 22% dei casi l'esito mortale degli incidenti era certamente o probabilmente evitabile se l'infortunato non fosse stato assistito da personale di ambulanza non adeguatamente preparato a prestare il primo intervento (questo non è certamente il caso di Diana, assistita da due medici specialisti) e trasportato a piccoli ospedali privi di personale addestrato e di adeguata attrezzatura. Nel caso specifico il 30 per cento delle morti era avvenuto sul luogo dell'incidente, il 10 per cento durante il trasporto e ben il 60 per cento in ospedale. Ezio Giacobini


SCIENZE FISICHE. ASTRONOMIA Galassia sali-scendi Che cosa deforma la Via Lattea?
Autore: SPAGNA ALESSANDRO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Rappresentazione schematica del piano della Via Lattea

LA grandiosa striscia luminosa della Via Lattea, che possiamo ammirare in cielo lontano dalle luci cittadine, altro non è che il disco della nostra galassia visto di taglio e reso evidente dalla luce di miliardi di stelle. La nostra è una tipica galassia a spirale. Il suo diametro è di oltre centomila anni luce, ma la spirale è piuttosto sottile: non supera i tremila anni luce eccetto che per un consistente rigonfiamento centrale di circa 20 mila anni luce, chiamato dagli astronomi, con parola inglese, bulge. Oltre alle stelle - che sono circa 200 miliardi - nella nostra come nelle altre galassie troviamo anche gas e polveri che formano nebulose oscure o brillanti dalla cui condensazione gravitazionale ancora oggi nascono nuove stelle. La formazione stellare è particolarmente accentuata lungo i bracci a spirale, che si dispiegano sul piano galattico e spiccano dal disco grazie alla presenza di giovani stelle massicce, dalla breve esistenza ma dalla grande luminosità: è qui che troviamo stelle di tipo O e B che arrivano a brillare come decine di migliaia di stelle come il nostro Sole, ma solamente per pochi milioni di anni, contro i circa 10 miliardi delle stelle di tipo solare. Il Sole si trova dentro questo sistema, in compagnia di 200 miliardi di altre stelle, posto verso la periferia del disco a circa trentamila anni luce dal centro. Naturalmente tutte queste stelle non sono e non potrebbero restare fisse nello spazio, ma ciascuna di esse si muove nella Galassia lungo orbite la cui forma è modellata dal campo di forze gravitazionali generato dall'insieme di tutte le altre stelle, ma che può differenziarsi anche molto da un caso all'altro a seconda delle condizioni iniziali sotto cui le singole stelle hanno avuto origine. In prevalenza comunque le stelle ruotano lungo orbite quasi circolari poste sul piano del disco galattico. Il Sole è tra queste, e possiede una velocità di rotazione che supera i 200 chilometri al secondo: nonostante ciò gli sono necessari ben 250 milioni di anni per compiere un giro completo attorno al centro della Galassia. Il disco galattico non è però perfettamente piano, ma risulta leggermente distorto verso le estremità, secondo una forma che ricorda le ampie falde piegate di un cappello. Poco oltre l'orbita solare, il piano galattico si piega, salendo verso Nord in direzione della costellazione del Cigno (fino a raggiungere un'altezza di 10 mila anni luce all'estremità del disco), per abbassarsi invece a Sud dalla parte della costellazione della Vela. L'esistenza di questa distorsione (warp, in inglese) è stata scoperta oltre 40 anni fa per mezzo di osservazioni radio della distribuzione di idrogeno neutro lungo il piano galattico, ed è stata poi confermata dalle osservazioni di gas e polveri interstellari, e infine dalla distribuzione spaziale delle stelle luminose. Inoltre distorsioni analoghe si riscontrano in altre galassie a spirale, metà delle quali mostrano conformazioni di questo tipo. Resta tuttora da spiegare, invece, la causa di queste deformazioni. Fra le varie ipotesi avanzate appaiono credibili gli effetti mareali prodotti dall'interazione gravitazionale fra galassie vicine. Nel caso della Via Lattea questi effetti potrebbero essere dovuti alla presenza delle Nubi di Magellano e della galassia nana del Sagittario, la quale addirittura ha già avuto in passato, e avrà ancora in futuro, delle "collisioni" con la Via Lattea (vedi Tut toScienze del 25 marzo). Altre teorie si rifanno alla presenza di venti o campi magnetici intergalattici. Un candidato favorito è infine rappresentato dalla materia oscura presente negli aloni che avvolgono le galassie, e che solitamente giocano un ruolo stabilizzatore sui dischi galattici, ma che in certe condizioni possono anche indurvi delle deformazioni relativamente stabili. Per comprendere l'origine delle distorsioni finora osservate, è essenziale innanzitutto chiarire se si tratta di fenomeni transitori o permanenti, stazionari o variabili. Una prima risposta è arrivata recentemente da alcuni astronomi dell'Osservatorio di Torino (Smart, Drimmel, Lattanzi) e dell'Università di Oxford (Binney) in Inghilterra, i quali hanno analizzato attentamente i dati trasmessi dal satellite astrometrico Hipparcos dell'Agenzia spaziale europea, il cui lavoro si è concluso lo scorso anno con la produzione di un catalogo contenente le posizioni di 120 mila stelle con una precisione eccezionale dell'ordine del millesimo di secondo d'arco, insieme alle distanze e ai moti propri stellari di analoga accuratezza. La precisione sulla distanza e sui moti propri è tale che, ad esempio, la velocità tangenziale di Proxima Centauri, la stella più vicina a soli 4,2 anni luce dal Sole, è ora nota con un'incertezza inferiore ai 10 metri al secondo (una trentina di chilometri all'ora)] Dal Catalogo Hipparcos gli astronomi di Torino e Oxford hanno estratto 2422 stelle molto giovani e luminose di tipo spettrale O e B (che dovrebbero tracciare al meglio il disco galattico) selezionate entro un ampio settore di cielo in direzione della costellazione del Toro. Proprio da quella parte, verso l'anticentro galattico, il nostro disco galattico inizia a curvarsi, sollevandosi dal piano da un lato ed abbassandosi dall'altro. Ci si poteva aspettare quindi, nel caso in cui il warp fosse una struttura stazionaria, che le stelle nel loro moto di rotazione attorno al centro della Galassia salissero e scendessero lungo il disco seguendo le stelle che le precedono, come se tutte corressero lungo binari invisibili. In particolare in questa direzione le stelle avrebbero dovuto salire e quindi presentare statisticamente un moto medio verticale verso la direzione Nord galattica. Al contrario il campione di stelle osservato non ha mostrato il moto tendenziale previsto verso l'alto, e ciò significa che il nostro warp si modifica nel corso del tempo, sebbene non sia ancora completamente chiaro in che modo. Una semplice precessione che comporti una sua rotazione globale parrebbe infatti poco consistente con le misure di Hipparcos. In ogni caso questi risultati sono già molto rilevanti e, se confermati, tenderebbero a favorire gli scenari di formazione più dinamici, come l'interazione gravitazionale fra le galassie, piuttosto che i meccanismi di tipo statico come quelli legati agli aloni di materia oscura. Alessandro Spagna Osservatorio Astronomico di Torino


TRA INGANNO E CREDULITA' Il mago catodico Statistica e psicologia smascherano i veggenti
Autore: DAPOR MAURIZIO

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, PSICOLOGIA, TELEVISIONE
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

SE, in preda all'insonnia estiva, vi è capitato di giocare con il telecomando del vostro televisore durante le ore notturne, non possono esservi sfuggiti maghi, cartomanti e affini che affollano l'etere con le loro profezie. Ciò che più colpisce l'osservatore scettico è la quantità di telefonate che costoro ricevono e la fiducia che viene loro accordata. Ci si domanda: perché tante persone credono a questi personaggi? La risposta è: perché desiderano crederci. E a questo proposito mi viene in mente una storiella che, durante il primo anno di università, ho trovato in un famoso testo di statistica. Supponete che un sedicente mago vi scriva una lettera in cui afferma di essere in grado di prevedere l'andamento della Borsa. Se foste degli scettici pensereste immediatamente che, se egli godesse di questa capacità, la utilizzerebbe per se stesso. Ma supponiamo che invece subiate il fascino del mistero e decidiate di dargli retta. Nella lettera, recapitatavi di giovedì mattina, il nostro mago prevede che un certo titolo azionario il giovedì successivo avrà aumentato il suo valore. Non vi chiede nulla se non di verificare la correttezza della previsione. Supponete, ora, che effettivamente quel titolo azionario il giovedì successivo abbia aumentato il suo valore. Immaginate anche che vi arrivi una seconda lettera dove il mago dichiara che lo stesso titolo il giovedì successivo diminuirà. Supponete, inoltre, che effettivamente questo accada. A questo punto immaginate che la storia proceda per sette settimane consecutive: immaginate, intendo dire, che il vostro mago vi invii gratuitamente per sette volte delle previsioni sull'andamento di un dato titolo azionario e che queste previsioni si rivelino, a posteriori, tutte esatte. Quando vi invierà per l'ottava volta una lettera in cui vi chiederà del denaro per l'ottava previsione cosa farete? Ebbene, io vi sconsiglierei vivamente di dargli retta. Il trucco, infatti, è molto semplice. Il nostro presunto mago ha ottenuto in effetti il risultato, all'apparenza sorprendente, di riuscire a prevedere il futuro utilizzando un'idea nota a chiunque abbia anche solo un'infarinatura di statistica. Vedete, non bisogna mai sottovalutare la statistica. La scienza ci insegna inoltre che non è detto che, di fronte a uno strano fenomeno, noi disponiamo di tutte le informazioni necessarie per poterlo valutare correttamente. Vediamo un po': il mago ha inviato, quel famoso giovedì, ben 256 lettere simili a quella che avete ricevuto voi, tranne che per un piccolo e importante particolare. In metà di quelle lettere (128) la previsione relativa al titolo azionario era esattamente opposta a quella che avete ricevuto voi e altre 127 persone. In pratica egli ha previsto una crescita del valore del titolo in metà delle sue lettere e una diminuzione nell'altra metà. A questo punto ha aspettato il giovedì successivo. Una volta noto anche per lui come si era comportato il titolo azionario, ha abbandonato tutti i suoi potenziali clienti a cui aveva inviato una previsione sbagliata e si è concentrato sui 128 che hanno ricevuto quella corretta. Il nuovo gruppo viene ora suddiviso in due gruppi di 64 individui a cui inviare la seconda previsione la quale, naturalmente, sarà ancora tale da coprire tutte le possibilità. Per metà il titolo aumenterà il suo valore, per l'altra metà lo diminuirà o resterà invariato. Procedendo così, per bisezioni successive, e scartando tutti i soggetti ai quali ha inviato previsioni sbagliate, egli otterrà il risultato desiderato con due persone. Se costoro saranno disposte a pagare per conoscere l'andamento di quel titolo per l'ottava volta, egli fornirà due previsioni contrapposte. Presumo che quello dei due soggetti che verrà informato della crescita del valore di quel titolo investirà del denaro sullo stesso con una uguale probabilità di perdere o guadagnare (a meno che non sia un esperto di Borsa: in tal caso dubito che si fiderebbe di un mago). L'unico risultato sicuro è un guadagno per il mago. Chiaro? A meno che... a meno che le persone non inizino a dubitare. La truffa del titolo azionario dimostra come, se l'interlocutore non è uno scettico, chiunque, anche in assenza di particolari capacità di persuasione, ma utilizzando semplicemente le leggi del caso, possa asserire di possedere facoltà divinatorie. Figuratevi coloro che, professionalmente, si allenano a interpretare le impercettibili contrazioni muscolari, i movimenti degli occhi, le sfumature del nostro sguardo e così via. Un cartomante vi racconterà fatti del vostro passato che ritenete di conoscere solamente voi. In realtà, nella maggioranza dei casi, avrà affermato tutto e il contrario di tutto: dopo di che si sarà fatto guidare dalle vostre impercettibili reazioni di fronte alle sue affermazioni corrette. Tenete conto, tra l'altro, che costoro in molti casi dispongono di archivi di dati su di voi e i vostri amici da cui attingono prima di incontrarvi. Una volta conquistata la vostra fiducia basata sull'esattezza delle loro affermazioni relative al vostro passato, vi chiederanno del denaro per prevedere il vostro futuro oppure si aspetteranno da voi della pubblicità sulle loro presunte capacità. C'è poi il caso frequentissimo di persone in buona fede convinte di possedere doti paranormali: in questo caso non ci sono trucchi ma la persuasione di capire il prossimo grazie a qualche potere sovrannaturale. Si tratta, in quei casi, di una convinzione che viene alimentata dalle persone che si fanno leggere la mano o le carte. In realtà la capacità di questi maghi è del tutto naturale ed è legata all'interpretazione che quasi inconsapevolmente essi sanno dare delle reazioni del prossimo alle loro affermazioni. Inoltre chi vuole con tutte le sue forze credere nei maghi ricorderà, e riporterà agli amici, solo le affermazioni esatte, dimenticando quelle sbagliate che ci sono state. Se per puro caso un mago fa previsioni corrette per qualcuno, per molte altre persone farà previsioni sbagliate. Ma le persone che hanno avuto previsioni corrette tenderanno a fare una grande pubblicità. Gli altri lo dimenticheranno e, presumibilmente, non ne parleranno con nessuno. E' questo il modo in cui si alimentano leggende e miti privi di fondamento. Le previsioni televisive si basano su questo meccanismo. In televisione il mago o la cartomante non possono farsi guidare dalle reazioni del viso dell'interlocutore. In questo caso la tecnica è basata sia sulla credibilità fornita dal mezzo televisivo sia sul desiderio di molte persone di credere in queste cose e sul fascino del mistero. In queste circostanze qualunque previsione va bene. Si gioca cioè sull'estrema vaghezza delle previsioni e sull'alta probabilità che le richieste più intime dell'interlocutore riguardino la sua salute e quella dei suoi cari, la sua situazione economica e quella sentimentale. Del resto, per questi maghi televisivi quello che realmente conta è la pubblicità. Che importa se non convinceranno tutti i telespettatori? E' sufficiente indovinare, per puro caso, il passato e il futuro di qualcuno. Una volta persuaso anche un piccolo numero di persone delle loro capacità, avranno dei clienti disposti a pagare per ulteriori previsioni. Maurizio Dapor Istituto Trentino di Cultura


INFORMATICA E NEUROSCIENZE Il peggior cervello batte il miglior computer Nessuna tecnologia potrà mai imitare la mente umana
Autore: REBAGLIA ALBERTA

ARGOMENTI: INFORMATICA, BIOLOGIA
NOMI: PENROSE ROGER, ZEKI SEMIR
ORGANIZZAZIONI: FONDAZIONE SIGMA TAU
LUOGHI: ITALIA

SUL finire del Seicento, John Locke - il grande filosofo empirista britannico - paragonava la mente umana a un "foglio bianco", privo di contenuti sino a che non interviene l'esperienza a lasciarvi le proprie tracce. E' una concezione che ha esercitato un forte influsso sul pensiero moderno, e reso del tutto familiare l'ipotesi secondo cui colori, forme, movimenti e tutte le caratteristiche che ci appaiono inseparabilmente connesse agli oggetti intorno a noi sono percepite passivamente dal cervello, il quale si limiterebbe a registrare sul proprio "foglio" interiore quanto le sensazioni, provenienti dall'esterno, vi incidono. Questo scenario lineare e rassicurante del modo in cui la nostra mente si rapporta al mondo circostante non ha, tuttavia, retto il confronto con gli studi più recenti condotti nel campo della neurobiologia e della psicologia della percezione. Come spesso accade, ogni progresso nell'indagine ha, come propria controparte, risultati di meno immediata leggibilità. Così, numerosi esperimenti su vari aspetti della percezione visiva oggi ci dimostrano come la mente svolga un ruolo attivo (e talvolta inquietante) nel consentire quell'attività sensoriale che si è soliti ritenere del tutto "neutra" e "oggettiva" . E' il cervello che costruisce, e in taluni casi crea, le immagini che noi percepiamo del mondo esterno; con i loro movimenti complessi e la loro ricchezza cromatica. Le immagini retiniche e i segnali sensoriali sono ampiamente inadeguati e - da soli - non possono in alcun modo rendere ragione delle percezioni di cui siamo coscienti; le quali sono, invece, autentiche ipotesi, frutto dell'attività interpretativa del cervello. Tra le scoperte più recenti e significative ottenute indagando la fisiologia della corteccia cerebrale - la regione dove si svolgono i più complessi processi percettivi - vi è l'individuazione, in essa, di "moduli specializzati", i quali sono addetti al riconoscimento di particolari caratteri e si attivano soltanto in presenza di questi ultimi: alcuni di tali "moduli" sono idonei, per esempio, a cogliere il movimento delle mani, altri i tratti del viso. E, secondo quanto ha sostenuto il neurobiologo Semir Zeki (durante un ciclo di lezioni tenute all'Università Statale di Milano, a cura della Fondazione Sigma Tau: i testi sono di prossima pubblicazione presso Laterza), esistono anche "moduli" specifici della corteccia cerebrale che risultano coinvolti nella contemplazione di un'opera d'arte: persino il "senso estetico", la personale sensibilità alla bellezza, sarebbe il risultato di precisi percorsi funzionali i quali, a partire da pochi, ambigui e incompleti stimoli retinici, attivano alcune specifiche zone del cervello. La teoria della "modularità" cerebrale pare, in effetti, aprire prospettive concettuali piuttosto inquietanti, poiché può indurre a ipotizzare che anche i più elusivi e complessi prodotti della nostra facoltà intellettiva siano il risultato, semplice e diretto, dell'attività di cellule cerebrali, di fibre nervose e delle loro connessioni. Questa concezione dell'attività mentale che ci costringe a considerare vie inconsuete nel sempre perseguito tentativo di comprendere "cosa siano" il senso del bello (o anche del bene) e tutti quegli elementi che tanto ci appaiono caratteristici della nostra spiritualità e della nostra libertà interiore: a determinare quelle intuizioni e quei giudizi estetici (o morali) potrebbero essere le cellule cerebrali, i neuroni, attraverso le connessioni instaurate dalle loro sinapsi - i filamenti che trasferiscono i messaggi da un neurone all'altro per mezzo di sostanze chimiche, i neurotrasmettitori. Studi di frontiera nell'ambito dell'intelligenza artificiale e delle scienze cognitive stanno oggi approfondendo le indagini sulla funzione di questi "moduli", e delle diverse aree cerebrali, ricorrendo a particolari dispositivi elettronici noti come "reti neurali artificiali", attraverso cui modellizzare l'attività delle sinapsi. Al momento, pur riuscendo a modellizzare efficacemente alcuni comportamenti conoscitivi e trovando sempre più vasta applicazione in campo industriale (per esempio nel riconoscimento di specifici oggetti, o nella formulazione di diagnosi mediche), le reti neurali artificiali sono soltanto un'approssimazione alquanto rozza del concreto comportamento biologico. Tuttavia, è lecito pensare a una analogia effettiva tra cervello e mente artificiale? E' possibile supporre che l'immenso bagaglio di creatività, sensibilità e libertà espresso dall'intelletto umano risulti, potenzialmente, riducibile a un insieme di regole e rigide connessioni eseguibili da un programma di computer? Forse, pur prestando fede alla teoria della " modularità" e considerando quindi l'attività mentale esito di puri processi fisiologici, questa prospettiva può essere evitata. Ciò, almeno, è quanto promette l'ipotesi, audace e suggestiva, che un nome prestigioso della fisica contemporanea, Roger Penrose, sta cercando di elaborare. Non soltanto, infatti, le reti neurali biologiche sono assai più complicate di quelle artificiali, poiché sono composte da miliardi di neuroni e trilioni di connessioni. Ma, egli sottolinea, i neuroni subiscono mutamenti che non sono modellizzabili mediante reti neurali artificiali. In particolare, l'intensità dei legami creati dalle sinapsi nel correlare i neuroni non è costante; e tale variazione di intensità, secondo l'opinione di Penrose, non può essere modellizzata in modo soddisfacente mediante programmi computazionali di intelligenza artificiale. La giustificazione che Penrose delinea è assai articolata, e richiede una complessa rilettura delle principali teorie fisiche (in particolare della meccanica quantistica). Essa conduce a sperare che la natura della mente possa essere indagata scientificamente facendo emergere un nesso - stretto e coerente - tra "il grande, il piccolo e la mente umana" (questo il titolo del suo ultimo libro, ora tradotto presso l'editore Raffaello Cortina), senza ridurre l'attività mentale a una mera serie di operazioni riproducibili da un sistema artificiale, per quanto sofisticato; e quindi senza negarne la sfuggente globalità e imprevedibilità. Un sogno (forse), che può comunque contribuire ad arricchire la pluralità delle indagini, e le loro stesse finalità. Nel tentativo di trovare risposte nuove agli antichi interrogativi sulla nostra mente e il nostro cervello. Alberta Rebaglia


SCIENZE DELLA VITA. UNA MODA DISCUTIBILE La savana in salotto Il commercio di animali esotici
Autore: BURI MARCO

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, LEGGI, COMMERCIO, ANIMALI
ORGANIZZAZIONI: CITES (COMMERCIO INTERNAZIONALE DI FLORA E FAUNA SELVATICHE IN VIA DI ESTINZIONE)
LUOGHI: ITALIA

NEL 1973, a Washington, negli Stati Uniti, si riunirono i rappresentanti di ottanta nazioni nel tentativo di arginare la drastica riduzione di alcune specie animali, esotiche e non. Oltre alla caccia, un nuovo rischio di estinzione fu identificato nella compra-vendita dissennata di alcuni animali nel mondo sradicandoli dal loro habitat. La cattura e il trasporto stesso sono fattori di stress che possono scatenare patologie e influenzare il futuro comportamento dell'animale verso l'uomo, ma soprattutto verso i suoi simili, agendo anche sulla sua sfera sessuale creando quindi problemi alla riproduzione. Con lo spostamento l'animale sradicato perde il controllo del suo territorio, l'equilibrio comportamentale e fisiologico mettendo a rischio una serie di sicurezze etologiche costruite in millenni di evoluzione. L'uomo potrebbe alterare, con queste sue azioni, la futura conservazione di alcune specie attraverso deviazioni evolutive contrarie alla sopravvivenza. Il modo migliore parve allora quello di controllare il commercio tra i Paesi "produttori" e quelli "utilizzatori"... Su questa convenzione chiamata Cites (sigla che deriva dalle parole "Commercio internazionale di flora e fauna selvatiche in via di estinzione"), si è basata negli anni l'applicazione delle leggi in questa materia nei vari Stati aderenti. Si è giunti ad un atteggiamento conservazionista più che protezionista a tutti i costi, a tutela delle varietà biologiche del pianeta. In Italia, dal 1965 in avanti, si sono susseguiti diversi decreti amministrativi e leggi dello Stato in applicazione a tali direttive; il 1o giugno 1997 entrò in vigore il regolamento del Consiglio numero 338/97 e ne furono assegnati il controllo e l'attuazione al Corpo Forestale. La Cites distingue le specie tutelate in base al grado di pericolo di estinzione e le suddivide in tre elenchi o appendici; l'applicazione pratica varia dal blocco totale del commercio di alcuni animali selvatici, al traffico regolamentato da particolari necessità di studio, alla tutela di altre specie. Per chi detiene animali selvatici vivi, esiste l'obbligo della dichiarazione di proprietà, una denuncia alla nascita di nuovi esemplari entro 10 gg. e una comunicazione di eventuale spostamento dal luogo di custodia degli animali. Queste informazioni devono essere inoltrate al Corpo Forestale dello Stato più vicino alla propria residenza. La legge definisce "selvatico" un animale che non sia ancora alla seconda generazione nata in cattività e definisce legalmente "pericolosi" mammiferi o rettili che possono costituire un pericolo per salute e incolumità pubblica. Con la nuova normativa varata nel 1997 si è ampliato e codificato anche lo spostamento delle varie specie nella Comunità Europea che non rientrano nel trattato di Washington. Dopo la denuncia obbligatoria al momento della nascita, nel caso di un suo spostamento in Paesi Comunitari, l'animale deve avere l'autorizzazione del Paese in cui si trova prima del viaggio. Questa certificazione è obbligatoria per scambi di animali (lo stabilisce l'Appendice I della Cites) anche a titolo gratuito; mentre si può ovviare a ciò per interventi veterinari d'urgenza su animali nati in cattività e correttamente marcati. In tutti gli altri casi di spostamento, il responsabile dell'animale dovrà fornirne l'origine legale per ottenere l'autorizzazione. Nei casi di spostamenti per soggetti riguardanti l'Appendice II della Cites, il detentore può cedere l'animale solo se il ricevente possiede strutture adeguate per una corretta sistemazione e assistenza. Questo perché non si metta a repentaglio la sopravvivenza di queste specie ritenute più a rischio. In breve, chi possiede un animale esotico e/o selvatico deve controllare in quale categoria Cites è collocato e verificare se il soggetto può essere potenzialmente pericoloso per salute e incolumità pubblica. Gli uccelli non rientrano tra gli animali considerati pericolosi, mentre lo sono una tigre (Pantera tigris) o un leone (Panthera leo), per i quali la Prefettura dovrà controllare l'adeguata detenzione e il modo in cui sono custoditi. Questi animali, in Italia, potranno essere ceduti solo a Istituti, parchi autorizzati o privati ritenuti idonei dalla Prefettura stessa. L'obbligo di denuncia al Corpo Forestale per la nascita di nuovi soggetti è di 10 giorni dal parto; a seguito di un accertamento di conformità i nuovi nati potranno viaggiare o essere scambiati (nei Paesi comunitari) senza ulteriori controlli. Solo in caso di vendita sarà necessaria la documentazione legale ottenuta al momento dell'acquisto se in data anteriore al 1992. Per ciò che riguarda gli uccelli è comunque consigliabile munirli di un anello per il riconoscimento e la facilità di controllo. Nell'Allegato A sono inseriti tutti i rapaci diurni e notturni e le testuggini terrestri più comuni; invece la tartaruga d'acqua americana è nell'Allegato B per un maggiore controllo alla sua esportazione. Ma nel caso del ritrovamento di un animale selvatico o esotico come ci si deve comportare? Prima di tutto un ritrovamento deve essere ritenuto tale se l'animale non si trova nel suo ambiente naturale, ma solo se fuori dal suo contesto, con un rischio della vita dovuto a ferite, malattie o malnutrizione. Si dovrà comunicare il fatto ad un ufficio del Corpo Forestale che, effettuati i dovuti controlli, vi informerà sulle azioni da intraprendere. La Cites non intende solo proteggere il singolo animale, ma vuole tutelare una popolazione intera affinché non perda consistenza numerica e caratteristiche etologiche per sopravvivere e riprodursi nel suo ambiente naturale. E' importante sapere che molti animali esotici e selvatici possono essere tranquillamente detenuti e commercializzati. E' sufficiente informarsi e seguire norme e controlli al fine di evitare danni all'equilibrio fisio-etologico dell'animale e pericoli per l'uomo. Marco Buri


SCIENZE DELLA VITA. LA STAGIONE DEI PORCINI Nelle Alpi i funghi diventano una rarità Un'altra conseguenza dell'abbandono della montagna
Autore: CIMA CLAUDIO

ARGOMENTI: ECOLOGIA, BOTANICA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

CHE i funghi continuino a crescere, da qualche parte, è assodato: in tv, qualche settimana fa, si è visto l'omaggio al papa del vecchio prete di Lorenzago: un cestino di porcini troppo belli per essere veri] Ma dove mai li troveranno? Semplice: questi boleti scultorei sono quelli "classici", i Bo letus edulis che si trovano, per fortuna, in abbondanza nei boschi di conifere del Cadore, e naturalmente nell'Appennino, da Borgo Taro al Molise. Osservando la lunga fascia delle Prealpi Bellunesi, dal Visentin al Cesen, e quindi il versante settentrionale della Sinistra Piave, e giovandosi del ricordo, quale struggimento si ricava dall'andare oggi (ma anche 10 o 15 anni fa) per funghi] I cartelli gialli posti all'inizio di ogni paese della provincia di Belluno avvertono che la raccolta è regolamentata. Un tempo le Prealpi Bellunesi, ma anche le Prealpi Trevigiane, Vicentine, Veronesi, erano una vera e propria miniera di funghi: almeno sino alla fine degli Anni 60 tutti gli alpeggi e casere (baite) erano in piedi e abbondantemente sfruttati per la fienagione: in estate, sulle alture di Villa, Carve, Pian de Coltura, Cordellon (tutte località del Comune di Mel, Belluno), dimoravano quasi stabilmente centinaia di persone. Terminate le cure del bestiame, l'attenzione alle patate o ai fagioli, e naturalmente la raccolta del foraggio, c'era sempre mezz'ora di tempo per andare a funghi, da cucinare e accompagnare con la polenta. E quanti se ne trovavano] I montanari andavano in giro con grossi cesti, o con le secchie da 20 litri, e invariabilmente li riempivano. I prati venivano non falciati, ma rasati all'inglese: se un fungo assumeva una dimensione normale, lo si scorgeva occhieggiare sotto una betulla a 50 metri] Crescevano con il tempo umido e con quello secco, con la luna giusta o sbagliata. L'assenza di erbe esageratamente alte, legnose o tossiche, come nel paesaggio odierno, agevolava la migrazione delle spore. Il "posto" del "ciot de fonghi" (la nidiata dei funghi) era un segreto ben custodito: il possessore di esso sapeva che, andando lì, poteva trovarne sempre. Si favoleggiava di questi "posti". Ci si alzava anche ad ore antelucane per essere in pole position al momento giusto. E se qualcuno voleva dormire il mattino, niente paura] C'era la famosa "butada" (= crescita) del pomeriggio: e si sarebbero trovati degli esemplari ancora in crescita, carnosi e non intaccati da insetti o parassiti. Tempo che fu: oggi il 70 per cento delle casere è stato riattato a dimore del fine settimana estivo. Il resto marcisce lugubremente, ricolmo di suppellettili ammuffite. I prati di una volta sono diventati distese invalicabili, e i boschi, in cui più nessuno va a raccogliere strame, e cioè fogliame per le lettiere degli animali domestici che non ci sono più,e quindi a pulirli, sono diventati degli intrichi umidi e avvolgenti come giungle salgariane. Come, quindi, pretendere di trovare funghi? Se si è fortunati, si può inciampare in qualche esemplare di "brisa" (porcinello) sfigurata dall'erba e dall'umidità, esageratamente cresciuta e sicuramente marcia. Le specie commestibili di trent'anni fa si sono ridotte (all'epoca si diceva, dalle nostre parti, che solo i trevigiani raccogliessero di tutto: i bellunesi erano di palato più fine e sicuro): nessuno lo ha mai detto ad alta voce, ma sono spariti, soffocati da queste distese di erba che nessuno falcerà più, vere e proprie specie tipiche. Gli "oci de bò", o "occhi di bue", una varietà di ovulo, prelibatissimi, oppure gli "alberelli" o boleti rossi, grassi e cospicui, e le "recie de fagher" (o finferli, gallinacci), e le " vedele" (= manine) e anche, coi primi freddi, i delicatissimi, rossi "fonghi de la brosa" (= funghi della brina): chi li ha mai più visti in questi anni? Anche le esili "calzete" o mazze di tamburo, che pure riuscivano a far capolino in mezzo alle "ziese" (= distese di erba alta e legnosa) e alle "loppe" (ciuffi di erba secca, tossica), ormai non ci sono più... Consideriamo nella nostra galleria anche i boleti del papa, vale a dire i "castegner", detti alla bellunese: semplicemente non crescono più, salvo che nelle zone del Cadore dove prosperano larghe conifere. Occorrerebbero interventi mirati per sfalciare regolarmente le zone dove si sa che crescono funghi, e qui la sapienza dei contadini potrebbe essere di aiuto; se si valorizzasse "micologicamente" un'area, senza dubbio l'introito dei permessi venduti soddisferebbe sia i costi dello sfalcio che della sorveglianza. Inoltre, forse, alcuni operatori locali potrebbero essere indotti a pubblicizzare i pregi della zona in tema di funghi, predisponendo menù e allestimenti gastronomici peculiari, cosa che non viene fatta se non sporadicamente. E le associazioni turistiche potrebbero illustrare con degli opuscoli il buono che queste terre producono, magari associando anche note sulle curiosità storiche e artistiche. In ogni caso, se continua la pur naturale colonizzazione arbustiva, fra dieci anni tutte le radure prealpine saranno definitivamente sparite. Spariranno dunque, ancora più funghi dalle nostre Prealpi: e un giorno, forse, qualcuno rimuoverà, altrettanto improvvisamente (se sarà dotato di buon senso), dai bordi delle strade i cartelli gialli che avvertono dell'obbligo di un permesso divenuto ormai inutile. Claudio Cima


SCIENZE FISICHE Nuovo atlante del cielo Riporta 43 mila stelle, è in edicola
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA
NOMI: CORA ALBERTO, CORA CARLO, LAMBERTI CORRADO, HACK MARGHERITA
ORGANIZZAZIONI: L'ASTRONOMIA
LUOGHI: ITALIA

SE le vacanze vi hanno portati in qualche posto dove l'inquinamento luminoso non ha ancora fatto svanire la notte in un chiarore lattescente, provate a guardare il cielo. Sopra di voi spiccherà il "triangolo dell'estate", formato da Vega (nella Lira), Altair (nell'Aquila) e Deneb (nel Cigno), e l'intera volta celeste vi apparirà attraversata dalla Via Lattea e gremita di stelle. Moltissime stelle. Quante? Il numero sembra sfuggire a ogni valutazione ma in realtà, se ci si mette a contarle con pazienza, si arriva a circa duemila, che è pur sempre una bella cifra. Bene: per incominciare a orientarvi in mezzo a questo formicolio di punti luminosi, in edicola, a 15 mila lire, con il fascicolo di agosto-settembre della rivista "l'astronomia" trovate un nuovo atlante del cielo che può accompagnarvi nelle vostre esplorazioni. Lo hanno curato Alberto e Carlo Cora per il mensile diretto da Corrado Lamberti e Margherita Hack e in 48 tavole riporta tutte le stelle, del cielo boreale e del cielo australe, fino all'ottava magnitudine, cioè 6-7 volte più deboli delle più fioche stelle visibili a occhio nudo. Sono, queste stelle, circa 43 mila, alle quali si aggiunge qualche migliaio di oggetti fino alla dodicesima magnitudine: nebulose diffuse e planetarie, ammassi aperti e globulari, galassie ancora alla portata di un telescopio di 15-20 centimetri di apertura. I colori - nero per le stelle, giallo per nebulose e ammassi stellari, rosso per le galassie, azzurro per la Via Lattea - e le dimensioni ridotte (formato A4) rendono comoda la consultazione. Questo nuovo atlante stellare riempie un vuoto. Si colloca infatti a metà strada tra quelli professionali, ingombranti e troppo ricchi di stelle deboli, e quelli più semplici per dilettanti, che in genere si fermano alla magnitudine 6 o 7 (tra questi i vecchi astrofili ricorderanno il famoso, ma ormai introvabile, atlante del Lacchini). Una curiosità: i confini delle costellazioni sono ovviamente quelli ufficiali, stabiliti nel 1928 dall'Unione Astronomica Internazionale in coordinate riferite all'equinozio dell'anno 1875. Nel redigere il nuovo atlante con le coordinate aggiornate al 2000, Alberto e Carlo Cora si sono trovati di fronte a una lieve distorsione dei confini delle costellazioni dovuta alla precessione. La deformazione, peraltro avvertibile solo per le costellazioni circumpolari, è stata eliminata per evitare uno sgradevole disallineamento rispetto alle linee di declinazione e di ascensione retta. L'estetica, almeno in questo caso, era più importante che l'esattezza. Piero Bianucci


IN BREVE Premio Masi a un'oceanografa
ARGOMENTI: PREMIO
NOMI: MALANOTTE PAOLA
LUOGHI: ITALIA

A Paola Malanotte, oceanografa a Mit, è stato assegnato il Premio Masi per i suoi studi sulla dilatazione termica degli oceani prodotta dall'effetto serra.


IN BREVE Sarà recuperata la navicella Soho?
ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
LUOGHI: ITALIA

La sonda europea Soho per lo studio del Sole ha perso i contatti con la Terra il 25 giugno. Ora è stata localizzata con un'antenna radar della Nasa a Goldstone. Forse i danni sono meno gravi di quanto si temeva. Continuano gli sforzi per riprendere il contatto e rimetterla in funzione.


SCIENZE DELLA VITA. DATI OMS Sesso facile prima causa di infezioni
Autore: DI AICHELBURG ULRICO

ARGOMENTI: SANITA', SESSO, STATISTICHE
ORGANIZZAZIONI: OMS
LUOGHI: ITALIA

IMPRESSIONANTI le cifre dell'Organizzazione mondiale della sanità: nel '97 sono stati 333 milioni i casi di infezioni trasmesse con il rapporto sessuale (senza considerare l'Aids). Ciò significa che i contagi di tipo sessuale occupano il primo posto nel grande capitolo delle malattie infettive. Vari gli agenti causali: batteri, virus, protozoi, miceti. Nelle prime posizioni troviamo la linfogranulomatosi venerea (malattia di Nicolas e Favre) dovuta al batterio Clamydia trachomatis, la blenorragia dovuta al gonococco di Neisser (Neisseria gonorrhoeae), l'erpete genitale prodotto da Herpes simplex virus, le lesioni da Papillomavirus, la tricomoniasi causata dal protozoo Trichomonas vaginalis. Non vi sono gravi problemi di terapia, gli antibiotici e i chemioterapici fanno il loro dovere (aumenta però la resistenza dei gonococchi agli antibiotici), perfino per il virus erpetico esistono rimedi specifici, il che non è certo abituale nelle infezioni virali. Clamoroso è il caso della sifilide, il problema numero uno del passato. La diminuzione della sua incidenza e la rarità delle forme gravi tardive sono dovute alla terapia, oggi di un'estrema efficacia, una semplice iniezione di penicillina: una infezione sessuale, dunque, dominabile grazie ad un antibiotico verso il quale, incredibilmente, non si è sviluppata resistenza. Tuttavia non è il caso di lasciarsi affascinare da questo quadro idilliaco, la sifilide non è sradicata, anzi è in ripresa in alcuni Paesi ed è un pericolo sempre presente. Quanto agli esami di laboratorio per la diagnosi, si è avuta una rivoluzione: uscita di scena la vecchia reazione di Wassermann, si hanno oggi per la sifilide test rapidi. Per l'erpete genitale si va dalla coltura del virus ai test immuno-enzimatici, fino alla ricerca del genoma virale mediante la Polymerase Chain Reaction (Pcr), tecnica altamente sensibile derivata dalla biologia molecolare. E' probabile che anche la difficile e lunga coltura di Clamydia per la diagnosi della linfogranulomatosi venerea possa essere rimpiazzata dalla più rapida Pcr. Ancora, una tecnica di Pcr ha permesso di accreditare l'ipotesi dell'esistenza d'un nuovo micoplasma (un batterio) patogeno per l'apparato uro-genitale. Va da sè che la diagnosi di laboratorio è essenziale anche sotto l'aspetto profilattico: un'elevata percentuale di donne infette da gonococchi o da Clamydia sono asintomatiche. Le novità dunque non mancano, compresa la trasmissione sessuale del virus dell'epatite B e in secondo piano dei virus delle epatiti C e Delta. Proprio questa modalità è diventata nei Paesi occidentali la principale per il contagio del virus B, il pericolo delle trasfusioni essendo quasi scomparso. Il virus può essere presente nello sperma e nella saliva, come è stato documentato nello scimpanzè. La trasmissione sessuale è facilitata dal fatto che un grande numero di portatori del virus non ha sintomi e pertanto ignora di avere l'infezione. In futuro la trasmissione dovrebbe essere ridotta dalla vaccinazione dei bambini contro l'epatite B, obbligatoria in Italia. Si assiste però ad un fatto sconcertante: le infezioni sessuali, perduto l'aspetto preoccupante d'un tempo, sono trascurate e misconosciute; pare che esista solo l'Aids. E' una conseguenza dell'evoluzione socio-culturale: ma per rimediare occorre una vera e propria politica di lotta fondata sull'informazione e sui progressi fatti negli ultimi anni. Ulrico di Aichelburg


IN BREVE Star Party a St-Barthelemy
ARGOMENTI: ASTRONOMIA
LUOGHI: ITALIA

Nelle sere del 18 e del 19 settembre in Valle d'Aosta, a St- Barthelemy, si svolgerà uno Star Party che consentirà a tutti i partecipanti di osservare pianeti, nebulose e galassie con numerosi telescopi amatoriali sotto la guida di Walter Ferreri, direttore della rivista "Nuovo Orione". La Valle d'Aosta ha recentemente approvato una legge regionale contro l'inquinamento luminoso e proprio a St- Barthelemy ha in progetto un Osservatorio. Anche la Regione Piemonte sta ora pensando a emanare norme per limitare la dispersione di luci parassite verso il cielo. Al disegno di legge regionale, presentato da Carla Spagnuolo e Mario Angeli, hanno collaborato Italia Nostra e Pro Natura.




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