TUTTOSCIENZE 3 dicembre 97


IN BREVE A Ilja Prigogine il Premio Calabria
ARGOMENTI: CHIMICA, PREMIO
NOMI: PRIGOGINE ILJA
ORGANIZZAZIONI: PREMIO CALABRIA
LUOGHI: ITALIA

Il 15 dicembre Ilja Prigogine, già insignito del Nobel per la chimica, riceverà a Villa S. Giovanni il Premio Calabria.


IN BREVE Bilancia inerziale per astronauti
ARGOMENTI: METROLOGIA
NOMI: RIGHI BRUZZI LUCIANA
LUOGHI: ITALIA

Una semplice bilancia inerziale che potrebbe servire per misurare il peso degli astronauti in orbita è stata progettata da Luciana Righi Bruzzi, che l'ha descritta in "Atti e memorie" dell'Accademia nazionale di scienze e arti di Modena.


IN BREVE Dieci Nobel a Milano
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, MILANO (MI)

Da domani a sabato 6 dicembre si svolge al Centro Congressi Cariplo di Milano l'incontro "Dieci Nobel per il futuro". Intervengono, tra gli altri, Renato Dulbecco, Jack Steinberger, Harold Kroto, Rita Levi Montalcini, Sheldon Glashow, Mario Molina, Joseph Murray, Douglass North. In discussione scienza, economia ed etica del prossimo secolo. Per altre informazioni: 02-7200.2297.


Il governo nomina la commissione per individuare chi non ha diritto agli aiuti "Facciamo lo sciopero del latte" Minaccia dei Cobas, ieri nuovi blocchi sulle strade

ROMA. Uno "sciopero del latte": è la mossa che minacciano i Cobas del latte che protestano per la restituzione totale delle multe. " Stiamo verificando la possibilità di trattenerne quanto più possibile nelle aziende e di non immetterlo sul mercato", ha detto il leader dei Comitati spontanei dei produttori, Giovanni Robusti. La rivolta non si placa: un gruppo di allevatori ha rovesciato latte sulla Via Emilia, mentre in provincia di Mantova è stato fermato per lo stesso motivo l'Eurocity Verona-Bologna. E la statale Aurelia, a pochi chilometri da Roma, è stata invasa da 60 trattori. Sul fronte politico, intanto, è arrivato il doppio "no" del ministro delle Politiche Agricole Pinto: "no" alla modifica delle somme delle multe per le quote che saranno restituite agli allevatori dal decreto e "no" a incontri con i Cobas, "perché non ce n'è bisogno". Beccaria A PAG. 2


Fisica, laser che surgela Permetterà di fare orologi atomici più precisi
Autore: INGUSCIO MASSIMO

ARGOMENTI: FISICA, RICERCA SCIENTIFICA, PREMIO, VINCITORE
PERSONE: CHU STEVEN, COHEN TANNOUDIJ CLAUDE, PHILLIPS WILLIAM
NOMI: CHU STEVEN, COHEN TANNOUDIJ CLAUDE, PHILLIPS WILLIAM
ORGANIZZAZIONI: PREMIO NOBEL PER LA FISICA
LUOGHI: ITALIA

ALLE temperature di qualche decina di gradi centigradi, tipiche del nostro ambiente di vita, gli atomi e le molecole dell'aria sono in continuo tumultuoso movimento a velocità di alcune migliaia di chilometri l'ora. Al diminuire della temperatura gli atomi rallentano e una delle sfide della fisica di questo secolo è stata quella di portarli a temperature vicine allo zero assoluto (- 273 oC), dove dovrebbero quasi fermarsi. La misura delle transizioni tra i diversi livelli di energia interna di un atomo lento può essere molto più precisa e più precisi possono essere gli orologi atomici che su essa si basano per controllare la rotta degli aerei o sincronizzare il moto dei satelliti. Con atomi quasi fermi sarebbe possibile fare orologi tanto precisi da sbagliare di meno di un secondo ogni cento milioni di anni. Il raggiungimento di temperature bassissime è complicato anche dal fatto che gli esperimenti devono essere fatti sotto alto vuoto per evitare la condensazione in liquidi o la formazione di solidi. Le ricerche che quest'anno sono state premiate con il Nobel per la fisica, assegnato a Steven Chu, Claude Cohen-Tannoudji e William Phillips, riguardano proprio una successione di scoperte che, mediante l'invio sugli atomi di opportuni fasci laser, hanno consentito di portare un gas a temperature che si discostano dallo zero assoluto solo di qualche centinaio di miliardesimi di grado. L'idea base è nel meccanismo di assorbimento e di emissione di luce da parte degli atomi. Un'onda luminosa può essere descritta come un fascio di fotoni che trasportano ognuno una energia proporzionale alla frequenza della luce che aumenta andando dal rosso al blu. A loro volta gli elettroni che costituiscono gli atomi possono avere solo stati definiti di energia e possono passare da uno di questi stati all'altro solo compensando la perdita o l'acquisto di energia mediante l'emissione o l'assorbimento di un fotone che sia alla frequenza di risonanza. Ma il processo può essere visto anche come quello di un urto tra due palline per cui la quantità di moto persa dall'una viene acquistata dall'altra: quando un atomo in movimento viene urtato da un fotone che si muove in direzione contraria viene rallentato, un po' come la palla da biliardo che venisse colpita da un minuscolo boccino. Attenzione, però: per un atomo in movimento la frequenza di risonanza cambia a causa di quello stesso effetto Doppler che ci fa sentire il fischio di un treno in corsa verso di noi più acuto di quando è fermo o si sta allontanando. Se l'atomo si muove contro il fascio di luce, ogni fotone deve avere una frequenza più bassa per essere assorbito e frenarlo, sia pur di poco. Dopo ogni assorbimento l'atomo torna rapidamente allo stato di partenza per cui può di nuovo assorbire ed essere ulteriormente frenato. Bombardati da fotoni provenienti da varie direzioni, gli atomi, comunque si muovano, trovano una resistenza simile a quella che frena una pallina in un mezzo viscoso. Con queste melasse ottiche per atomi si sono raggiunte temperature di circa un milionesimo di grado dallo zero assoluto, cioè ben più basse del previsto. Il risultato inatteso è legato al fatto che i fasci di luce polarizzata, intersecandosi, disegnano nel vuoto una successione di colline e di valli che gli atomi già freddi muovendosi devono risalire senza sosta, un po' come il mitico masso di Sisifo, perdendo energia e raffreddandosi ulteriormente sino a muoversi di pochi centimetri in un secondo. Sembrava impossibile far di meglio a causa della velocità di rinculo che comunque l'atomo acquista nel rimettere i fotoni dopo l'assorbimento, un po' come un cannone che spari un colpo. Eppure anche questa difficoltà è stata superata trasferendo gli atomi freddi in una situazione in cui non dovessero più assorbire e quindi riemettere fotoni. Questo stato speciale, nero perché un atomo che non emette non si vede, è detto "di Gozzini" dal nome del fisico atomico, prima allievo e poi professore della Scuola Normale di Pisa, che con il suo gruppo lo scoprì più di vent'anni fa. Utilizzando la ricetta italiana per eliminare il rinculo sono stati prodotti atomi che in un lungo secondo si spostano solo di un centimetro] La ricerca italiana nel campo del raffreddamento laser occupa un ruolo di primo piano nello scenario internazionale ed è adeguatamente sostenuta con lungimiranza sia dal Cnr che dall'Istituto nazionale di fisica della materia. La sfida più affascinante è ora quella di portare gli atomi superfreddi in un nuovo stato della materia, il condensato di Bose-Einstein, per cui è in atto una fattiva collaborazione nazionale che coinvolge sedi diverse a Firenze, Milano, Pisa e Trento e che ha il suo fulcro sperimentale ad Arcetri, nel Laboratorio Europeo di Spettroscopia Nonlineare. Lo scenario che si apre a ridosso del Duemila riporta la fisica atomica a fungere da stimolo per la riunificazione di un sapere a volte frammentato in discipline diverse e a giocare un ruolo centrale simile a quello che all'inizio del secolo portò alla rivoluzione della meccanica quantistica. Massimo Inguscio Università di Firenze


IN BREVE Il futuro su "Newton"
ARGOMENTI: FISICA, DIDATTICA
NOMI: RIVIECCIO GIORGIO
ORGANIZZAZIONI: NEWTON
LUOGHI: ITALIA

Il numero di gennaio del nuovo mensile di divulgazione scientifica " Newton" - che sarà in edicola a partire dal 10 dicembre - regalerà ai suoi lettori un fascicolo speciale contenente una serie di servizi che descrivono quale potrà essere il nostro futuro grazie alle nuove tecnologie in fase di sviluppo nei laboratori di ricerca di tutto il mondo. "Newton", sotto la direzione di Giorgio Rivieccio, rappresenta, in Italia, il primo tentativo di rivista divulgativa che intenda conciliare il rigore dell'informazione con una grafica e un apparato illustrativo molto spettacolari. Per questo aspetto, " Newton" è la versione italiana e "italianizzata" di una analoga rivista giapponese.


OMINAZIONE In piedi per socializzare La testa grossa ci rese bipedi
Autore: SALZA ALBERTO

ARGOMENTI: ANTROPOLOGIA E ETNOLOGIA, PALEONTOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Postura dell'uomo; D. Postura di una scimmia antropomorfa; D: Diversi tipi di locomozione nei primati

IL mio maggior risultato antropologico lo ottenni nella desolazione del Loriu, un altopiano presso il lago Turkana, in Kenya. C'era una carestia feroce. Le nostre marce alla ricerca di fossili e graffiti erano vane e, debbo dirlo, prive di senso. Alla fine del giorno neppure gli allegri asinai osavano ridere. Poi, una sera, si sedettero accanto ai basti, davanti a un fuoco su cui non avevamo nulla da cuocere, e mi dissero: "Alberto, storie". Da allora passai le serate a narrare le favole dell'evoluzione umana, che ebbe inizio proprio da queste parti. Una delle favorite era: La Stazione Eretta. Ai Turkana, feroci combattenti, piaceva tanto perché battevamo le scimmie e tutto il mondo animale. Come sussidio didattico prendevo uno stecco di acacia e avvolgevo un sasso in abbondante sterco d'asino (l'unica cosa che non mancasse). Se volete, potete fare l'esperimento con un grissino e una piccola mozzarella. "Perché hai la testa grossa?", chiedevo a uno dei Turkana suscitando l'ilarità di tutti gli altri. Posato lo stecco su due pietre, piantavo il sasso-sterco a un'estremità, incrementando quest'ultima materia (i Turkana adorano la scatologia) fino a che lo stecco si spezzava con un rumore secco. Poi prendevo un altro stecco, e lo piantavo ritto nel terreno, con il sasso in cima. Così riuscivo a realizzare una immane palla di cacca d'asino, senza rompere lo stecco. "Vedete", concludevo, "stando ritti in piedi su due gambe gli ominidi poterono avere una testa grossa, in cui contenere un cervello di grandi dimensioni. Ed essere intelligenti". Guardandomi all'opera, i Turkana ne dubitavano: divenni noto come Testa di Sterco. In effetti, le cose andarono più o meno come nella favola. Il problema evolutivo sotteso è: come mai, con quale vantaggio, l'anatomia dei primati originari avrebbe dovuto subire un cambiamento così radicale e unico, in modo da passare dalla quadrupedia al bipedismo. Cosa ha a che fare la deambulazione, quale che sia, con la capacità di controllare l'ambiente, con l'intelligenza? Da un punto di vista meramente fisico è vero che una trave orizzontale appoggiata (quadrupede) ha dei limiti strutturali rispetto al peso che può sopportare appeso a un'estremità: le dimensioni della spina dorsale e dei muscoli, di schiena e collo, impedirebbero all'animale di muoversi agilmente. La postura inclinata (clinograda), con le lunghe braccia che supportano il peso del corpo (camminata sulle nocche), tipica di scimpanzè e gorilla, è già un progresso. Ma solo una perfetta posizione eretta del corpo consente un ipotetico sviluppo illimitato del cranio. Resta da capire come mai divenne necessaria una grossa testa: non sempre l'intelligenza è un carattere vincente, in Natura come tra gli uomini. I primati, al cui ordine appartiene anche Homo sapiens (noi), sono animali sociali. Questo significa che, a un certo momento della loro evoluzione, è stato vantaggioso sopravvivere con gli altri piuttosto che da soli. Le scimmie hanno comportamenti sociali molto raffinati, in quanto variabili e non automatici: siamo diversi dalle formiche e dalle api. Le relazioni sociali sono sistemi complessi adattivi ad alta sensibilità alle condizioni iniziali. Il che implica che piccole differenze all'inizio del fenomeno comportamentale (un gesto, una posizione del corpo, uno sguardo) possono avere sviluppi imprevedibili. Occorre pertanto, a questa tipologia di esseri sociali non deterministici, una grande flessibilità e un'elevata capacità di risposte modificatorie delle singole situazioni. Occorre l'intelligenza, insomma. Questa "socialità intelligente" viene fatta risalire a 40 milioni di anni fa, al momento della divergenza evolutiva tra proscimmie e scimmie. Il parametro che consente tale calibrazione temporale è una strana peculiarità dell'intelligenza: la capacità di ingannare gli altri. I lemuri, che sono proscimmie, vivono in gruppi sociali, ma non si fregano l'un l'altro. Tra le altre scimmie, invece, gli etologi hanno potuto osservare come spesso si utilizzi il sotterfugio per risolvere il contrasto sociale. Un esempio: se una babbuina ha una cotta per un maschio giovane che non sia il maschio alfa (unico deputato al rapporto sessuale con lei), lo farà accucciare dietro un masso. Lei, ben visibile dai maschi alfa, farà finta di guardarsi attorno con fare indifferente, ma intanto si occuperà del giovinotto invisibile con un'intensa attività di grooming, la spulciatura del pelo che è la massima espressione di socialità tra le scimmie. A quanto pare, dunque, 40 milioni di anni fa la forestazione dovuta a un periodo umido (in particolar modo in Africa) creò problemi ai primati quadrupedi di ambiente semiarido (come alcune specie di lemuri del Madagascar). Forse per necessità di competizione con ordini rivali, o per un migliore sfruttamento di nicchie trofiche in formazione, le scimmie vennero avviate a una forte socialità intelligente. Di conseguenza divenne loro necessaria una testa più grande, per poter accogliere una maggior massa di neocorteccia, la struttura cerebrale preposta al decision making e al comportamento non stereotipo, come l'inganno. E un grosso cranio pesante mal si addice a un animale che si muova su quattro zampe. Non a caso, è divenuto di attualità un fossile africano risalente a una ventina di milioni di anni fa. Si tratta di Morotopi thecus bishopi, un primate avvezzo a vivere nelle foreste pluviali dell'Uganda. I suoi resti erano noti dagli Anni 60, ma solo un paio di anni fa un'equipe americano-ugandese, guidata dal noto antropologo di Harvard David Pilbeam, ha potuto trovare nuove parti fossili e farne una descrizione completa. Pesante una cinquantina di chili su un corpo di oltre un metro e venti (dimensioni ben superiori a quelle dei più antichi ominidi di 4 milioni di anni fa, Australopithecus anamensis e afarensis, anche se per il primo i dati sono ancora discordanti), Morotopithecus presenta una serie di caratteri a mosaico per quel che riguarda la locomozione. La vertebra lombare è simile a quella di una scimmia brachiatrice (che si muova, cioè, appesa ai rami per le lunghe braccia, come il gibbone). Il fondoschiena era corto come nelle scimmie antropomorfe di oggi (scimpanzè, gorilla e orango) e nell'uomo. La forma del palato, invece, è analoga a quella delle scimmie più antiche. Il collo del femore è robusto, come se dovesse sostenere un certo peso, al contrario di quel che succede per i brachiatori, mentre la spalla d'acrobata è simile a quella del bonobo, il più moderno degli ominoidi (detto anche scimpanzè pigmeo). Questo set di fossili ricorda l'europeo Oreopithecus, in cui la forma del bacino e alcune delle ossa delle gambe suggeriscono il bipedismo. Il quadro è ancora incerto: è possibile che l'espansione della foresta abbia indotto a una deambulazione di arrampicata, con il passaggio da quadrupede a quadrumane. E' però anche evidente la possibilità di utilizzare le nicchie di quota spostandosi solamente appesi ai rami. Questa postura sembrerebbe un buon preadattamento alla stazione eretta, in quanto porterebbe il cranio direttamente al di sopra del baricentro. Questo, però, al contrario di quel che succede ai bipedi, è sempre al di sotto del punto di appoggio: un brachiatore non perde mai l'equilibrio, al massimo la presa. Nella brachiazione, le zampe posteriori possono distendersi come appese al bacino, rivoluzionandone l'anatomia. Alberto Salza


TECNOLOGIE DOMESTICHE La Tv? Viene dal cielo La parabola, un arredo per il salotto
AUTORE: VICO ANDREA
ARGOMENTI: TECNOLOGIA, ELETTRONICA, TELEVISIONE, INFORMATICA
ORGANIZZAZIONI: SES, TELECOM, EUTELSAT
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D.

CON un balzo del 34 per cento in 12 mesi, l'Italia vive un boom della Tv via satellite. Nel 1996 avevamo 700 mila antenne paraboliche. Secondo i dati presentati a fine ottobre dall'Istituto Demoskopea durante il quarto ComisatExpo (il salone delle telecomunicazioni via satellite che si svolge a Vicenza) oggi sarebbero 950 mila (su 25 milioni di televisori) le abitazioni in grado di ricevere le trasmissioni satellitari. Considerando che l'indagine è stata condotta dall'aprile al luglio di quest'anno, è facile prevedere che per Natale le "padelle" italiane puntate verso il cielo toccheranno quota 1 milione. Siamo ancora lontani dai quasi 11 milioni di antenne paraboliche (su 47-48 milioni di televisori) della Germania o dai 5 milioni (su 26,5 milioni di televisori) della Gran Bretagna. Ma, come è accaduto per i telefonini, stiamo rapidamente allineandoci sulla media dell'Europa occidentale, dove esistono circa 21 milioni di impianti satellitari su oltre 200 milioni di televisori. Ormai un kit-base per ricevere il satellite costa meno di 500 mila lire e i canali ricevibili in Italia sono più di 180. Ecco qualche domanda per appurare se siete concretamente interessati alla Tv da satellite. Amate i documentari scientifici e volete vederne uno nuovo ogni sera? Desiderate ascoltare notiziari 24 ore su 24? Studiate una lingua straniera e volete esercitare l'orecchio? Intendete fare indigestione di sport mattina, pomeriggio e sera? Siete stufi di una Tv generalista infarcita di pubblicità e sponsorizzazioni? Vi ripugna uscire per andare al cinema? Siete stanchi di pagare il canone a una Rai che lo spreca in trasmissioni di basso livello culturale? Se avete risposto affermativamente almeno 3 volte, allora siete pronti per acquistare un'antenna parabolica e ricevere la tv via satellite. Oggi i satelliti per telecomunicazioni che trasmettono Tv sono una trentina o poco più. Quando la parabola a terra che capta il segnale del satellite è collegata a un solo utente si parla di trasmissione Dth (Direct to home, direttamente a casa). I cieli d'Europa sono illuminati da due poli (cioè da due gruppi) di satelliti appartenenti ai carrier Astra e Eutelsat (carrier è chi lancia e gestisce i satelliti per telecomunicazioni). Il fatto di concentrare tutti i satelliti dello stesso carrier nella medesima posizione orbitale (19,2o Est per Astra e 13o Est per Eutelsat) favorisce gli utenti: l'antenna è puntata nella stessa direzione indipendentemente dal satellite che si vuole captare. Così in Europa, basta una parabola che capti segnali provenienti da due sole direzioni (nemmeno troppo distanti fra loro) per accedere a qualsiasi trasmissione da satellite. La flotta dei 7 satelliti Astra fa capo alla Ses (Societé euro peenne des satellites), un consorzio privato con sede in Lussemburgo, e ha, come principale mercato di riferimento, l'Europa centrale del Nord (in Germania Astra è molto forte). Già Firenze e Roma sono ai margini dell'area di copertura dei suoi satelliti e più a Sud è indispensabile la padella da 120-150 centimetri. Eutelsat (European telecom municationis satellite organi zation) è nata nel 1977 da una costola dell'Esa ed è una cooperativa di società nazionali pubbliche e private, nominate firmatarie esclusive dai rispettivi governi. Oggi i soci membri sono 45 e l'Italia è rappresentata da Telecom, terzo azionista con il 12,7% delle quote. Inizialmente più attenta alla ricerca che al mercato commerciale della Tv, Eutelsat sta velocemente riguadagnando terreno e dispone oggi di 8 satelliti, mediamente più recenti e più potenti di quelli di Astra. Entro il 2001 ne verranno lanciati altri 8, tutti avanzatissimi e in grado di trasmettere in digitale. In questo modo potrà presto portare sul satellite anche una parte del traffico di Internet che ora intasa le reti terrestri. Le prime trasmissioni via satellite costavano molta fatica. Per vedere una partita di calcio dei mondiali si monopolizzava quasi un intero satellite. Questo perché il segnale analogico è estremamente ingombrante e perché la potenza ridotta delle apparecchiature di terra, così come del trasponder (il ripetitore) montato sul satellite, consentiva prestazioni limitate. Il segnale digitale migliora considerevolmente la qualità delle trasmissioni pur occupando, a livello di frequenze, un decimo dello spazio necessario a un'identica trasmissione analogica. Potendo contare su frequenze meno intasate, il Dvb (Digital vi deo broadcasting) permette di moltiplicare per dieci le capacità di un singolo satellite: quelli dell'ultima generazione, infatti (come Hot Bird 3, lanciato da Eutelsat lo scorso settembre; in primavera sarà seguito dal fratello Hot Bird 4) ospitano anche 20 trasponder. Inoltre hanno una potenza di 5500 watt (il diametro delle parabole potrà scendere a 40 centimetri) e sono in grado di modellare la propria copertura. Possono cioè concentrare il segnale su alcune zone, commercialmente più appetibili (trasmissione in superbeam, parabola inferiore ai 60 centimetri) e "tagliar fuori" le aree disabitate per evitare di sprecare il segnale. Andrea Vico


ALLE RADICI DELLA RADIO Le onde di Hertz Una scoperta che cambiò il mondo
Autore: BO GIAN CARLO

ARGOMENTI: COMUNICAZIONI, RADIO
NOMI: HERTZ HEINRICH RUDOLF, MAXWELL JAMES CLERK
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D.

SIAMO continuamente circondati e trafitti da hertz. Dai 50 hertz della corrente alternata di casa alle migliaia e milioni di hertz delle onde radio, della televisione, dei calcolatori. Il nome di Hertz, infatti, è stato attribuito all'unità di misura per la frequenza d'una corrente alternata: indica cioè quante volte al secondo la corrente che passa compie un'oscillazione completa. Anche per le onde radio si parla di "onde hertziane". Vediamo perché. Ricordiamo innanzi tutto che Heinrich Rudolf Hertz per primo fabbricò le onde che portano il suo nome, peraltro già previste teoricamente dal fisico Maxwell. Hertz fece così una grande scoperta, ma pensò che non servisse a nulla e si perse gli sviluppi, morendo a soli trentasette anni, il giorno di Capodanno del 1894. C'erano già degli studi (per esempio dell'americano Thomson e dell'irlandese Fitzgerald) che mostravano come le azioni elettriche si propaghino anche fuori dai fili, nello spazio, nell'aria ma anche nel vuoto. Faraday, lo scopritore dell'induzione elettromagnetica, suppose che dai circuiti sede di elettricità e magnetismo partissero come delle linee di forza, come raggi invisibili, che investissero altri corpi. Ma fu il gentiluomo scozzese James Clerk Maxwell, tra bei cani e lunghe cavalcate, a consegnare alla scienza un pacco di equazioni che spiegano il funzionamento delle azioni elettriche e magnetiche che si trasmettono nello spazio da un corpo all'altro. Con il supporto della matematica si era già arrivati ad un buon punto, ma la questione non era liquidata perché Max well era un fisico teorico e non fece prove pratiche, non tentò esperimenti a dimostrazione delle sue teorie. Questo compito toccò al nostro Hertz - a 28 anni già professore di fisica al Politecnico di Karlsruhe - su suggerimento di Helmholtz. Come spesso succede fu un colpo di genio e di semplicità. La corrente a 50 Hz produce onde elettromagnetiche di lunghezza enorme: difatti dividendo la velocità dell'onda (300 milioni di metri al secondo) per la frequenza, 50 Hz, si ottiene sei milioni di metri, cioè seimila km. Adatta per uno smisurato gigante che faccia prove nello spazio ma assolutamente scomoda per esperimenti umani di laboratorio. Hertz inventò prima il modo di produrre onde più corte, e quindi frequenze più alte. Poi realizzò un apparecchio ricevente. Quando schizzò scintille l'apparecchio trasmittente, nel buio del laboratorio di fisica di Karlsruhe, scintillò anche l'apparecchio ricevente: onde invisibili avevano attraversato la sala gettando le basi per le trasmissioni. Misurò anche con precisione la velocità delle onde, trovandola uguale a quella della luce. Riuscì a piegarle e a rifletterle, come fanno le lenti e gli specchi coi raggi luminosi. Scoprì che sono riflesse dai buoni conduttori di elettricità e che invece attraversano facilmente i corpi non conduttori. Per questo riceviamo i programmi radio restandocene tranquillamente dentro la nostra casa. Giancarlo Bo


SCIENZE DELLA VITA Le strategie evolutive Su due zampe per sopravvivere nelle savane
Autore: A_SAL

ARGOMENTI: ANTROPOLOGIA E ETNOLOGIA, PALEONTOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

PERSONALMENTE riteniamo che bipedia e quadrumanismo siano evoluzioni parallele e non che la prima derivi dalla seconda. Lo scenario che proponiamo è quello (almeno in Africa, dove svolgiamo i nostri studi) di un ambiente semiarido di 40 milioni di anni fa che diviene rapidamente forestato. A quel punto le strategie evolutive sono due: muoversi a quattro mani sugli alberi o utilizzare le nicchie a terra, tipiche dei quadrupedi. Lo strato di foresta a terra, però, è particolarmente favorevole per gli onnivori, mentre in quota si sviluppano comportamenti alimentari di frugivori e foglivori. In compenso, un quadrupede terricolo può essere a disagio nella foresta, il cui primo strato si sviluppa per 2-3 metri in altezza. Questa parrebbe la nicchia perfetta per un bipede, in grado di sfruttare tutta l'estensione verticale dell'ambiente di foraggiamento. Analogamente potrebbe fare a bassa quota un brachiatore: più in alto, infatti, il manto della foresta in formazione si farebbe discontinuo e pericoloso senza il valido sostegno dei piedi. Noi vediamo pertanto l'evolversi indipendente di quadrumania e bipedia, con quest'ultima postura che "attraversa" il tempo della foresta per poi fermarsi pienamente all'insorgere della savana, 5 milioni di anni fa. A contrastare tale ipotesi sarebbero però i dati paleogenetici, che indicano una cladogenesi tra ominidi e ominoidi (scimmie antropomorfe) proprio in quell'epoca. Pare strano però che la stazione eretta, con tutti i suoi rivolgimenti anatomo-comportamentali, riesca a venir selezionata in un ambiente in formazione, catastrofico e pericoloso (con estinzioni stocastiche di intere popolazioni in ambiente a mosaico) come la savana. Il bipedismo, o è un risultato evolutosi in foresta poco prima dell'espandersi della savana (difficile valutarne i vantaggi evolutivi), o è una struttura di ambiente semiarido che si è mantenuta in foresta. A favore della teoria ci sono i dati paleoecologici e la morfologia di nuovi fossili Australopithecus anamensis provenienti dal Lago Turkana. Naturalmente le cose non procedono in modo lineare tipo causa-ed-effetto. Le retroazioni evolutive possono essere state multiple. Il repertorio posturale dell'uomo moderno consiste nel 95% di bipedismo con un rimasuglio di 5% di capacità di arrampicarsi sugli alberi. Per i gorilla si ha un 70% di quadrupedia al suolo e un 30% di arrampicata quadrumane (la stazione eretta è utilizzata solo per spaventare gli aggressori, ecco un'altra suggestione per l'origine del bipedismo, l'ennesima). Lo scimpanzè ha, più o meno, un 50% di quadrupedia, un 40% di arrampicata e un 10% di posizione bipede. Nel bonobo questa sale al 15/20% del tempo. Il genere Australopithecus che precede Homo nella filogenesi, pur essendo propriamente un bipede (come testimoniano le impronte di Laetoli di 3 milioni e mezzo di anni fa), avrebbe avuto un comportamento deambulatorio equamente ripartito tra camminata a quattro zampe, arrampicata (facilitata da un alluce divergente, come scoperto recentemente in Sud Africa a Sterkfontein) e bipedia a terra. Come ci ha sottolineato Melchiorre Masali, antropologo ed ergonomo (a partire dall'ipotesi di Sergio Sergi del 1936, secondo cui esiste una relazione tra il baricentro del tetraedro temporale del cranio e il bregma e il basione, due punti craniometrici), il baricentro della testa dovrebbe fornire indicazioni su una perfetta bipedia. La distribuzione dei dati di misurazione del tetraedro nelle scimmie e negli ominidi è strana: a sinistra (valori bassi di bipedismo) ci sono tutte le scimmie, antropomorfe e non; al centro c'è Homo sapiens (paradigma del perfetto bipedismo); a destra, a sorpresa ci sono gli australopitechi e i paleontropi (Homininae) quali Neandertal o Cro-Magnon. Da questi dati parrebbe che gli antenati dell'uomo avessero una sorta di iperbipedismo. Una distribuzione del genere potrebbe trovarsi in popolazioni che passano la maggior parte del tempo "sospese" e non "poggiate" al suolo, come nel caso di Moropithecus e Oreopithecus. La nostra stazione eretta pare dunque un aggiustamento della posizione sospesa o, meglio, un'evoluzione indipendente a partire dalla quadrupedia. Tim White, uno degli studiosi che hanno portato Lucy all'onor del mondo (Australopithecus afarensis), ha da poco scoperto in Etiopia un nuovo genere di ominidi, Ardipithecus ramidus, a mezza via tra l'antenato degli scimpanzè e degli australopitechi. Interrogato su quale camminata potesse avere Ardipithecus, White ha risposto: " Aveva una locomozione diversa da ogni essere vivente di oggi. Se proprio volete trovare qualcosa che camminasse come ramidus, dovreste andare a cercarlo nel bar galattico di Guerre stellari". La camminata su due zampe è una mostruosità evolutiva. Attenti a non cadere. (a. sal.)


IN BREVE Medaglia Wickper la fisica
ARGOMENTI: FISICA
NOMI: HOOFT GERARD
ORGANIZZAZIONI: MEDAGLIA WICK
LUOGHI: ITALIA

La Medaglia Wick, assegnata annualmente in ricordo dell'illustre fisico torinese che fu compagno di lavoro di Enrico Fermi e che diede innumerevoli importanti contributi alla fisica nucleare, per il 1997 è stata consegnata a Gerard 'tHooft, anche lui noto fisico teorico.


SCIENZE DELLA VITA. I PREMI NOBEL 1997 Medicina, l'intricata scoperta dei prioni Da una pacifica proteina alla malattia di "mucca pazza"
Autore: STRATA PIERGIORGIO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA, PREMIO, VINCITORE
PERSONE: PRUSINER STANLEY
NOMI: GAJDUSEK CARLETON, PRUSINER STANLEY
ORGANIZZAZIONI: PREMIO NOBEL PER LA MEDICINA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Proteina prionica

QUEST'anno il Nobel per la Medicina è stato assegnato a Stanley Prusiner dell'Università di California a San Francisco. Per comprendere meglio il significato delle sue fondamentali scoperte è necessario ripercorrere la storia delle ricerche di un altro scienziato, Carleton Gajdusek, insignito del Nobel nel 1976. I suoi studi, iniziati 40 anni fa, hanno aperto la strada per comprendere meglio la malattia che è venuta alla ribalta in questi ultimi anni, il morbo della mucca pazza. Gajdusek si recò in Papua e Nuova Guinea per studiare una malattia presente in alcune tribù. Si trattava di un morbo con chiari segni di degenerazione del sistema nervoso che colpiva prevalentemente le donne all'interno di un nucleo famigliare. La principale caratteristica era un tremore, che in gergo si dice kuru, da cui il nome della malattia. Il primo problema da risolvere era quello di stabilire se la malattia si poteva trasmettere per via infettiva. Gajdusek iniettò nelle scimmie estratti di cervello di pazienti deceduti e dimostrò che questi animali andavano incontro alla stessa malattia letale e il loro cervello presentava le stesse lesioni nervose riscontrate nell'uomo. Le cause del contagio familiare furono presto chiarite: i familiari, ma soprattutto le donne, in segno di rituale rispetto, mangiavano il cervello del defunto. Uno dei risultati immediati di questa ricerca fu che la malattia declinò rapidamente dal 1959, non appena questa forma di cannibalismo cessò. Il cervello dei pazienti presentava cavità che gli davano l'aspetto di una spugna. Ciò avviene in almeno altre due malattie: il morbo di Creutzfeld-Jacob dell'uomo e lo "scrapie" della pecora descritto nel diciottesimo secolo in Inghilterra. La parola scrapie deriva dal fatto che le pecore affette si grattano il corpo strusciandosi contro gli alberi e i recinti. Queste malattie vanno oggi sotto il nome di encefalopatie spongiformi. Da qui nasce l'idea che tutte queste malattie avessero in comune lo stesso tipo di agente infettivo. Il problema successivo fu identificare questo agente. Si trattava di un virus? Le ricerche di Prusiner hanno fornito una risposta decisiva portando all'identificazione di un nuovo meccanismo di infezione, quello da prioni. Prusiner fornì la prima prova che l'agente infettivo dello scrapie della pecora era una proteina. L'idea fu considerata eretica alla luce delle conoscenze dell'epoca. Infatti, una proteina non possiede Dna e quindi non avrebbe potuto replicarsi. L'autore della rivoluzionaria scoperta coniò nel 1982 il nome di prione per indicare la proteina infettiva che fu denominata PrPse (Proteina Prionica dello Scrapie). Furono necessari anni per capire come essa si moltiplicava una volta entrata nel cervello. Il meccanismo fu chiarito quando si scoprì che la stessa proteina, detta PrPe, esiste nel cervello normale, ma con una conformazione tridimensionale diversa (fig. 1). La proteina anormale si lega a quella normale modificandone la forma e trasformandola in una nuova molecola anormale. Si formano così tante nuove molecole anormali uguali a quella del prione infettivo (fig. 2). Le nuove proteine si legano fra loro, formando una catena (amiloide) che non è degradabile e che pertanto si accumula nel cervello. I danni irreparabili possono essere dovuti sia al suddetto accumulo sia alla scomparsa delle proteine normali. A tale processo collabora una cosiddetta proteina X il cui meccanismo d'azione non è ancora ben identificato. Esistono almeno altre due malattie dovute a una forma abnorme di PrPe, tra le quali l'insonnia familiare fatale. Siano dunque in presenza di un nuovo meccanismo di riproduzione di un agente patogeno il quale fabbrica una copia di se stesso, modificando la forma, ma non il contenuto di molecole che esistono normalmente nel cervello. Altri esperimenti sul topo hanno fornito importanti conoscenze. I topi nei quali è stato distrutto il gene responsabile della formazione della proteina normale non si ammalano quando viene loro inoculato il prione infettivo, perché in questo modo non si possono formare le catene di amiloide. E' soltanto in presenza della proteina normale e di quella anormale che si sviluppa la malattia. Inoltre, la proteina anormale della pecora non causa malattia nel topo perché non vi è affinità tra le due proteine. Se il topo, tuttavia, con esperimenti di ingegneria genetica, viene dotato del gene della proteina normale della pecora, con l'inoculazione della proteina anormale della pecora s'induce la malattia. Nel 1986, al culmine di queste scoperte, scoppiò in Inghilterra tra i bovini il morbo della mucca pazza con degenerazione spongiforme dell'encefalo. La malattia fu causata dall'alimentazione con farine di carcasse di pecore infettate dal prione patologico. L'abbattimento di quasi 200.000 mucche non ha garantito l'estirpazione e ancor oggi c'è chi sospetta che almeno un milione di altre mucche si ammaleranno nei prossimi anni, data la lunga latenza dell'infezione. Il contagio può essere dovuto, oltre alla carne, alle gelatine derivate dai bovini che vengono usate per esempio per dolci e cosmetici. Per questo molti Paesi hanno vietato l'importazione dall'Inghilterra di tutti i prodotti di origine bovina. Un'ultima domanda di estrema attualità è se la malattia può essere trasmessa dai bovini all'uomo. Il timore è stato avvalorato dalla descrizione in Inghilterra di diversi casi di encefalopatia spongiforme simile a quella di Creutzfeld-Jacob, nei quali è stata riscontrata la presenza di prioni, molto simili a quelli del morbo bovino. Per questo motivo vari Paesi hanno chiesto all'Inghilterra la soppressione di altri bovini. In attesa di ulteriori studi la cautela è d'obbligo. Prusiner ha aperto la strada per capire altre malattie degenerative del sistema nervoso, tra le quali il morbo di Alzheimer, nel quale si formano catene di proteine (amiloide). Non vi sono prove che si tratti di malattie infettive anche se è probabile che siano dovute a simili meccanismi di interazione tra proteine normali e patologiche non ancora identificate. Si è provato che mutazioni puntiformi nei nostri geni possono produrre proteine anomale che possono innescare un simile processo patologico il quale diventerebbe così malattia ereditaria. L'avere scoperto questi nuovi meccanismi di malattia è premessa indispensabile per lo studio di nuove terapie che Prusiner ha già messo in cantiere. Piergiorgio Strata Università di Torino


Natale sotto l'antenna Decoder, bouquet e dintorni
Autore: A_VI

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, ELETTRONICA, TELEVISIONE
LUOGHI: ITALIA

I canali via satellite ricevibili in Italia sono circa 180, un centinaio analogici, gli altri digitali. Sciolto il dilemma tra analogico e digitale, bisogna decidere cosa si vuol vedere. Cioè scegliere il polo orbitale in base all'offerta di canali. Se si tratta di canali in chiaro, non ci sono ostacoli alla ricezione. Per i canali criptati (cioè a pagamento) occorre introdurre una parola gergale: bouquet. Fino a pochi mesi fa la tendenza era quella di stipulare uno specifico abbonamento per ogni canale criptato. Oggi si può scegliere fra diversi bouquet, ciascuno offerto da un diverso fornitore con un abbonamento complessivo. Un bouquet offre 6-10 canali assortiti in modo da soddisfare tutta la famiglia: un paio di canali generalisti, uno di cinema, uno di sport, uno di musica, uno per i bambini. Nella scelta dell'impianto è importante avere le idee chiare su cosa si vuol ricevere per acquistare un'abbinata antenna/set-top-box che vi possa soddisfare per almeno 2-3 anni. Il set-top-box, chiamato decoder, è un computer capace di tradurre il segnale del satellite in segnale riproducibile dal televisore. Data la maggior potenza dei segnali satellitari, oggi le parabole sono assai più piccole rispetto ad alcuni anni fa: bastano padelle da 85 centimetri, ma in alcune zone del Nord si scende a 60, con prezzi a partire dalle 150 mila lire. Conviene orientarsi verso parabole bi-standard (dual- feed) in grado di captare segnali analogici e digitali, e capaci di sintonizzarsi su due satelliti senza essere ri-orientate ogni volta (Multi-feed); con 3- 400 mila lire ci si assicura un'ampia gamma di possibilità. Per il set-top-box il discorso è più complicato. Al momento non esistono decoder dual- feed. L'analogico costa da 250 a 7-800 mila lire. Per il digitale si spende almeno un milione e mezzo (in fascia media ci sono ottimi prodotti Nokia, Philips, Sony, Panasonic), ma si ha la garanzia di accedere agli imminenti servizi multimediali (Internet in testa) e di pay-per-view. (a. vi.)


IN BREVE Premio Federchimica Futuro Intelligente
ARGOMENTI: CHIMICA, PREMIO
ORGANIZZAZIONI: FEDERCHIMICA
LUOGHI: ITALIA

E' bandita la decima edizione del premio "Futuro intelligente" istituito da Federchimica per giornalisti, scrittori, studenti, insegnanti e ricercatori. Informazioni: 02-268.10.275.


SCIENZE DELLA VITA QUATTRO SCENZIATI DAI LABORATORI ALLA GLORIA DI STOCCOLMA
NOMI: PRUSINER STANLEY, CHU STEVEN, PHILLIPS WILLIAM, COHEN TANNOUDJI CLAUDE
ORGANIZZAZIONI: PREMIO NOBEL
LUOGHI: ITALIA

Tra sette giorni, il 10 dicembre, si ripeterà a Stoccolma il rito della consegna dei Premi Nobel. Accanto al nostro Dario Fo, vincitore per la letteratura, ci saranno scienziati che vedono consacrate le loro ricerche. Del Nobel per la chimica ci siamo occupati il 29 ottobre. Qui ritorniamo sul Nobel per la medicina (già trattato il 22 ottobre) e illustriamo quello per la fisica. Nelle foto, da sinistra, Stanley Prusiner, scopritore dei prioni, e i fisici Steven Chu, William Phillips e Claude Cohen-Tannoudji, studiosi delle bassissime temperature.


STORIA DELLA SCIENZA Quell'addio di Fermi Partì per il Nobel, non tornò più
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA, FISICA
PERSONE: FERMI ENRICO
NOMI: AMALDI EDOARDO, AMALDI UGO, WICK GIANCARLO, RASETTI FRANCO, FERMI ENRICO
LUOGHI: ITALIA

UN treno con vagoni-letto partì in direzione Firenze dalla stazione Termini di Roma alle 21 del 6 dicembre 1938. Lungo il viaggio: raggiunto il confine avrebbe attraversato la Germania fino al Mar Baltico, qui i passeggeri avrebbero preso un traghetto per la Svezia, dove un altro treno doveva portarli a Stoccolma. Un viaggio normale per quei tempi. Basta però una sola circostanza a rendere significativi eventi all'apparenza ordinari. Sul treno c'era Enrico Fermi con la moglie Laura, ebrea, e la sua famiglia. Andava a Stoccolma, dove il 10 dicembre avrebbe ritirato il premio Nobel per la fisica. E sapeva che non sarebbe più tornato in Italia. Ne erano avvertiti, in gran segreto, anche gli amici che lo avevano accompagnato alla stazione per salutarlo dalla banchina, mentre il convoglio si allontanava. Tra questi c'era Edoardo Amaldi, l'allievo prediletto. "Poi eravamo tornati alle nostre case. Io, per la strada, guardavo la gente che naturalmente non se ne rendeva conto, ma sapevo, anzi noi tutti sapevamo, che quella sera si chiudeva definitivamente un periodo, brevissimo, della storia della cultura in Italia". Così ricordava Edoardo Amaldi nell'abbozzo di una " Storia della fisica a Roma dal 1794 al 1968" che si riprometteva di scrivere. La partenza di Fermi segnava una svolta, e dietro la svolta c'erano la dispersione del gruppo di fisici che a Roma in via Panisperna avevano iniziato l'esplorazione del nucleo dell'atomo, la seconda guerra mondiale, la bomba atomica, alla quale Fermi avrebbe dato un contributo essenziale. Lui, Edoardo Amaldi (1908-1989), era tra i pochissimi che potevano percepire, sia pure in modo oscuro e molto parziale, la gravità di ciò che il futuro stava preparando. All'inizio del 1990 l'abbozzo di Amaldi capitò tra le mani del figlio Ugo, intento a riordinare le carte paterne. Sono 19 pagine scritte a macchina e 70 a penna e coprono il periodo dall'autunno 1938 ai primi anni del dopoguerra. I fisici Giovanni Battimelli e Michelangelo De Maria ne hanno ora curato la pubblicazione con il titolo "Da via Panisperna all'America" (Editori Riuniti, 198 pagine, 20 mila lire). Oltre a una Premessa di Ugo Amaldi, il volume raccoglie anche 41 lettere che si scambiarono in quel tempo alcuni " ragazzi" del gruppo e altri ricercatori italiani e stranieri. Incontriamo così pagine inedite non solo di Edoardo Amaldi ma anche di Fermi, Pontecorvo, Giancarlo Wick (successore di Fermi sulla cattedra di Roma), Gilberto Bernardini, Franco Rasetti, Niels Bohr, Ernest Lawrence, Emilio Segrè, Enrico Persico e Bruno Rossi (un altro protagonista del Progetto Manhattan per la bomba atomica). L'arma totale, che avrebbe fatto perdere alla fisica la sua innocenza, segna uno spartiacque etico che da queste lettere esce ben delineato. Ci sono quelli che vi lavorarono come al male minore, considerando la minaccia nazista, con la speranza (ingenua) che la bomba avrebbe avuto solo una funzione deterrente e non sarebbe mai stata sganciata su popolazioni civili: tra questi, con sfumature diverse, Fermi, Rossi, Segrè. Ci sono quelli che non furono chiamati alla scelta ma rimasero a presidiare la ricerca italiana, per poi schierarsi con i movimenti pacifisti: Edoardo Amaldi e, in modo più appartato, Giancarlo Wick. Il solo a dissociarsi subito (anzi, prima) fu Franco Rasetti, nato nel 1901 e tuttora vivente, ma fin dagli Anni 40 passato ad altri interessi. Scriveva Rasetti a Persico il 6 aprile 1946: "Io sono rimasto talmente disgustato delle ultime applicazioni della fisica (con cui, se Dio vuole, sono riuscito a non aver niente a che fare) che penso seriamente a non occuparmi più che di geologia e biologia. Non solo trovo mostruoso l'uso che si è fatto e si sta facendo delle applicazioni della fisica, ma per di più la situazione attuale rende impossibile rendere a questa scienza quel carattere libero e internazionale che aveva una volta e la rende soltanto un mezzo di oppressione politica e militare". Una posizione così pura che qualcuno l'ha giudicata aristocratica. Comunque la Storia ha eluso ogni previsione, seguendo una sorta di eterogenesi dei fini: la bomba atomica, in qualche modo, ha reso impossibile la guerra totale e, alla fine, ha portato agli accordi sul disarmo tra le superpotenze. Piero Bianucci


A TORINO SalonB.it l'universo multimediale
Autore: A_VI

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, ELETTRONICA, COMUNICAZIONI, INFORMATICA, SALONE
NOMI: DI GIACOMO CARLO
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)

APRE domani a Torino la prima edizione di "SalonB.it", salone del multimedia, delle telecomunicazioni e dello spettacolo digitale. Per 5 giorni al Lingotto tutto ciò che ha a che fare con le nuove tecnologie digitali della comunicazione verrà presentato al pubblico, oltre che con la classica esposizione a stand, con una nutrita serie di convegni, incontri e dibattiti. La multimedialità sta cambiando il lavoro, la società, la vita quotidiana. Nell'era post- industriale l'accesso e la manipolazione delle informazioni è un elemento chiave. E chi non è a proprio agio in questo mondo rischia di essere tagliato fuori. "E' necessario quindi creare momenti di incontro e di confronto per affrontare le caratteristiche di questa rivoluzione digitale", spiega Carlo Di Giacomo, presidente del Csi piemontese e membro del comitato scientifico di "SalonB.it", "individuando, oltre ai diversi aspetti dell'offerta tecnologica e delle sue applicazioni, le dimensioni di una domanda che non riguarda solo il mercato, ma la cultura e la società intera". La struttura di "SalonB.it" è articolata in 5 siti, che corrisponderanno ad altrettante piazze espositive. Ci saranno il " Sito dei siti" (una piazza in cui il visitatore verrà accolto da Bit, un simpatico personaggio sintetico, animato in tempo reale, una sorta di guida interattiva del salone), il "Sito del gioco" (con la presenza di espositori di videogame, dove è stato sistemato il Medialab, un laboratorio in cui si sperimenta la multimedialità che coniuga l'aspetto educativo con quello ludico), il "Sito della memoria" (che darà spazio alle diverse applicazioni multimediali per la memoria: prodotti e servizi di archiviazione ottico-documentale, progetti per la valorizzazione delle risorse culturali ed esperienze avanzate sulla diffusione on line dell'audiovisivo futuro), il "Sito del corpo e del suono" (il corpo come punto di riferimento per la ricerca tecnologia biomedicale; sono in programma anche concerti e dimostrazioni sul tema "Musica e informatica") e il "Sito dei nuovi autori" (spazio per la presentazione di progetti d'autore in cerca di editore, con postazioni a disposizione per giovani autori multimediali e un grande monitor per le presentazioni pubbliche). Sono in programma oltre un centinaio di eventi di approfondimento: incontri, presentazioni, tavole rotonde e convegni. Tra i più interessanti segnaliamo "Le nuove offerte televisive digitali" (4 dicembre, ore 14,30), "Edutainment: Educare Giocando con il Multimediale" (5 dicembre, ore 10,30), "Editoria, nuovi media e scuola" (5 dicembre, ore 15), "Ai confini della realtà virtuale" e "Verso le Città Digitali" (entrambi il 6 dicembre alle 15). "SalonB.it" è stato organizzato da Euphon e da Poliedra, con il sostegno di Regione Piemonte, Provincia di Torino, Città di Torino nonché della Camera di commercio industria artigianato agricoltura e si svolge presso il Centro espositivo del Lingotto di Torino (via Nizza 280), da giovedì 4 a lunedì 8 dicembre, ed è aperto dalle 10 alle 23. Il biglietto costa 12 mila lire (ridotto 10 mila), ma c'è uno sconto del 50 per cento per i gruppi e gli studenti accompagnati dagli insegnanti. Per altre informazioni, tel. 011- 391.2642 o, su Internet: www.salonb.it.(a. vi.)


SENZA TIT. TTS VICO AUT.

SCENA I (estate 1997, esterno giorno): una famigliola si gode il classico picnic domenicale. Dopo il pranzo e la pennichella di rito, è l'ora del rientro in città. Nonostante il bagagliaio dell'auto sia a pochi passi, sembra più comodo abbandonare sul prato i rifiuti: torsoli di mela, tovagliolini di carta, bottiglie d'acqua e di vino, lattine di birra, il giornale, mozziconi di sigaretta, batterie usate della radio, borse e contenitori di plastica. Scena II (stesso luogo, 100 anni dopo): un gruppo di scout sta ripulendo il prato. A parte gli avanzi di cibo e la carta, trova esattamente tutto ciò che la famiglia Rossi aveva abbandonato un secolo prima. Scena III (stesso luogo, 500 anni dopo): un giovane laureando in archeologia sta cercando reperti per la sua tesi. Senza fatica trova numerosi reperti: una lattina di birra, 3 bottiglie di plastica, diversi cocci di vetro. C'è anche una scheda telefonica perfettamente integra, mentre un furetto ha utilizzato una vaschetta di polistirolo per coibentare la sua tana. In un anno ciascuno di noi produce 350 chilogrammi di rifiuti, più o meno 1 chilo al giorno. Ma non è tanto una questione di peso, piuttosto di ingombro. Una sola persona riesce a colmare di immondizia 160 vasche da bagno l'anno. Se prendiamo in considerazione la tipica famiglia media, quella dei signori Rossi, tutto va moltiplicato per quattro: a parte l'immondizia abbandonata sul prato, in 12 mesi i Rossi riuscirebbero ad accumulare una massa di pattume tale da riempire fino al soffitto un alloggio di 100 metri quadri. Soggiorno e cucina sarebbero colmi di rifiuti organici (il 43% del totale annuo), ma un buon 22% (la stanza dei ragazzi) è composto da carta e cartone proveniente da imballaggi, quotidiani e riviste. Le materie plastiche riempirebbero a mala pena il bagno (sono in media il 7% della nostra quota annua di rifiuti), mentre lo sgabuzzino sarebbe colmo di metalli (l'alluminio delle bibite e le latte per uso alimentare) e la camera da letto dei genitori verrebbe occupata da materiali vari come vetro, farmaci, stoffa, gomma, cavi e componenti elettroniche. Ma torniamo sulla scena del delitto. Dopo un picnic sono in molti ad abbandonare sul prato il cibo avanzato. Tanto è tutta roba biodegradabile, dicono. Vero, ma fino a un certo punto, perché alcuni cibi vengono lavorati dall'uomo con sostanze artificiali che si biodegradano più lentamente. E poi provate a pensare cosa accadrebbe di un prato molto frequentato durante la domenica se tutti ci affidassimo alla biodegradabilità di certi rifiuti. Il lunedì mattina sarebbe ridotto a una discarica a cielo aperto. Che dire di tutti quei materiali praticamente eterni come plastica, vetro, alluminio e polistirolo? Senza voler criminalizzare nessuno, è bene che tutti noi riflettiamo sulla gravità di un gesto apparentemente banale come gettare in terra una lattina o un pezzo di carta anziché depositarli nei cassonetti della raccolta differenziata. Chi vuole approfondire il tema non ha che da visitare la mostra interattiva "Experimenta 97", organizzata dall'assessorato alla cultura della Regione Piemonte, aperta a Torino da sabato scorso nel parco di Villa Gualino (viale Settimio Severo 63, orario 16-24 da martedì a venerdì, sabato 15-24, domenica 10-20). Il tema della mostra, giunta quest'anno alla dodicesima edizione, è "Scienza e fantascienza". I viaggi nello spazio, ma anche la vita quotidiana, comporteranno infatti, in un futuro neanche troppo lontano, il riciclaggio integrale delle risorse già utilizzate. Andrea Vico BOTTIGLIA DI VETRO: 4.000 ANNI (O FORSE PIU') IL vetro è uno dei materiali più antichi nella storia della civiltà. Non patisce il caldo o il freddo, è facile da pulire (dunque igienico), inattaccabile alle intemperie, agli acidi o a funghi, batteri o microrganismi. Un prodotto naturale (praticamente sabbia e soda lavorate ad alta temperatura), quindi, da un certo punto di vista, non lo si può considerare un inquinante. Non reca danno all'ambiente, anzi, in un bosco si comporta come una roccia (le radici degli alberi vi si aggrappano, gli insetti vi fanno la tana) e nel mare serve come base per la costruzione di barriere coralline o come fondamenta per la casa dei molluschi. E' tutt'al più un problema di sicurezza: abbandonare un coccio di vetro all'aperto significa creare pericolo per gli animali di passaggio. Oppure è un fatto estetico: chi andrebbe a fare un picnic su un prato invaso dalle bottiglie? Il vetro è talmente facile da riciclare (basta fonderlo a temperature elevate, 1.300-1. 500 gradi centigradi) che già gli antichi romani usavano raccoglierlo per rilavorarlo. Nel 1990, nell'alto Adriatico, è stato scoperto il relitto di una nave romana del II o III secolo d.C. Nella stiva c'erano anche alcuni contenitori colmi di vetro sminuzzato. Se si fosse trattato di casse piene di bottiglie andate in frantumi durante il naufragio i cocci avrebbero occupato meno della metà del volume delle casse. Invece i contenitori erano zeppi fino all'orlo, e il vetro era di molte qualità diverse. Dunque doveva essere materiale di scarto da portare in qualche vetreria per farne nuovi recipienti. A seconda delle nostre abitudini alimentari, il vetro che ognuno di noi butta via varia dal 3 all'8% del totale annuo di immondizia personale. Vale a dire da un minimo di 12 chilogrammi l'anno a un massimo di 28. Fortunatamente più della metà viene recuperato. In Italia il 54% dei contenitori di vetro per uso alimentare (acqua, succhi di frutta, marmellate, birra, vino e altri alcolici) sono riciclati. In linea con la media europea (56, 3%), ma ancora distanti dalla Svizzera, prima in classifica con l'84% del vetro recuperato, dall'Olanda (77%), dall'Austria (76%) e dalla Germania (75%). TORSOLO DI MELA: 3-6 MESI UN torsolo di mela, come buona parte dei rifiuti vegetali (frutti e verdure), è composto da cellulosa, acqua e zuccheri, tutte sostanze perfettamente naturali e facilmente riassorbibili dall'ambiente. Lasciato in un prato, il torsolo viene aggredito dagli insetti e dai batteri che se lo mangiano con gran voracità. D'estate, complice il bel tempo, un frutto si biodegrada in poche settimane (anche 15 giorni in un torrente di montagna, grazie all'erosione della corrente); d'inverno ci vuole più tempo perché il gelo rallenta l'azione dei batteri. SIGARETTA SENZA FILTRO: 3 MESI IL mozzicone di sigaretta è composto da cellulosa e residui di tabacco bruciacchiato, sostante perfettamente biodegradabili. Sull'asfalto può resistere anche un anno, ma in un prato, l'azione combinata di luce, pioggia e microrganismi lo dissolvono in meno di 3 mesi. SIGARETTA CON FILTRO: 2 ANNI LE sigarette col filtro impiegano minimo un anno e mezzo a biodegradarsi. Il filtro è infatti costituito da acetato di cellulosa trattato con altre sostanze artificiali che risultano poco appetibili ai batteri del terreno. Nei casi migliori qualche insetto lo sminuzza per ricavarne materiale per la propria tana. FIAMMIFERO: 6-10 MESI Il fiammifero da cucina è fabbricato con tenero legno di pioppo che, se cade su un terreno umido, si dissolve in circa 5-6 mesi. Qualche mese in più occorre (e un torrente facilita decisamente il processo), per il cerino, composto da uno stelo di carta pressata inzuppato in una sostanza oleosa (paraffina o stearina), meno biodegradabile del legno puro. GOMMA DA MASTICARE: 5 ANNI IL "succo" del chewing-gum (sostanze aromatizzanti, coloranti e zucchero) viene assorbito dall'organismo durante la masticazione. Quel che si butta è il supporto, composto da gomma e resine sintetiche. La gomma è un prodotto della natura, ma la sua miscela (ottima per la sua elasticità) è assolutamente indigesta a funghi e batteri. E' inoltre impermeabile: dunque anche in acqua la sua biodegradabilità non cambia. E' dannoso gettare in un prato la gomma da masticare anche perché uccelli e piccoli mammiferi rischiano di strozzarsi. Circa il 40 per cento dei rifiuti di una famiglia, ovvero una secchiata di pattume al giorno, è composto da materiale organico (avanzi e scarti di cibo) che, se raccolti a parte, potrebbero diventare compost, cioè ottimo fertilizzante per i campi, gratuito e - soprattutto] - perfettamente naturale. FAZZOLETTO DI CARTA: 3 MESI DEI 12 miliardi di fazzoletti di carta che ogni anno vengono venduti in Italia una gran parte li ritroviamo per terra, in strada, al parco, sulla spiaggia o in montagna. Fortunatamente la carta è facilmente biodegradabile (non rimane che acqua e anidride carbonica) e, nel caso dei fazzolettini monouso, questo processo viene accelerato dal fatto che, al momento di disfarsene, sono umidi. L'acqua è l'elemento determinante per il dissolvimento della carta. Un torrente si mangia un fazzolettino in pochi giorni, mentre lo stesso materiale sepolto in un terreno asciutto può impiegare anche 6 mesi per biodegradarsi. QUOTIDIANI E RIVISTE: 4-12 MESI Un quotidiano è fatto di carta, cioè di lignina, vale a dire una complessa catena di molecole dove abbonda lo zucchero. Dopo l'azione di alcuni batteri, questa catena si spezza in elementi base (carbonio, idrogeno e ossigeno), immediatamente assorbibili dall'ambiente. L'inchiostro si diluisce facilmente in acqua, ma è inquinante. Ugualmente accade con le riviste in carta patinata, che impiegano anche un anno prima di dissolversi. Inoltre i batteri lavorano meglio se devono aggredire una pagina alla volta: una pila di giornali legata stretta può resistere all'aperto anche 10-12 anni. Ogni giorno noi italiani buttiamo nella spazzatura 5 milioni di tonnellate di giornali, riviste e imballaggi di cartone. Durante l'intero 1994, su tutto il territorio nazionale sono state raccolte solo 200 mila tonnellate di carta. Vale a dire 548 tonnellate di carta recuperate in un giorno a fronte di 5 milioni di tonnellate sprecate. Non tutta questa carta è recuperabile. Ma se consideriamo che 150 chilogrammi di carta da macero significano salvare un albero, ogni giorno, qualora noi italiani avessimo una maggior educazione ambientale e fossimo meno pigri, potremmo risparmiare la vita a 20 mila alberi. L'Italia è il regno dei controsensi e anche l'industria della carta ha il suo. Nel 1995 le 170 cartiere italiane hanno importato da Francia e Germania circa 800 mila tonnellate di carta da macero, che hanno lavorato per rivendere come carta riciclata. Quasi la metà di questo materiale (350 mila tonnellate) è frutto delle raccolte differenziate che nell'Europa del Nord sono molto ben organizzate e dove il riciclo fa parte della mentalità dei cittadini. Se anche noi imparassimo a raccogliere la carta, potremmo rifornire autonomamente le nostre cartiere evitando che ogni anno 10-12 mila camion arrivino in Italia sulle strade della Val di Susa e del Trentino. LATTINA DI ALLUMINIO: 20-100 ANNI IN un anno in Italia si consumano 1 miliardo e 700 mila lattine di alluminio. Una trentina a testa. Messe una dietro l'altra si arriverebbe a coprire più della metà della distanza che separa la Terra dalla Luna. Oppure, mettendole una accanto all'altra, si coprirebbe una superficie pari a quella di 1.300 campi da calcio. L'alluminio è un metallo prezioso, ormai indispensabile: è forse il metallo più diffuso come componente di oggetti d'uso quotidiano. E' praticamente inalterabile (passa dal caldo al freddo senza modificarsi), estremamente igienico (è un ottimo contenitore per alimenti), leggero, facilmente lavorabile. Inoltre, l'ossido naturale che lo ricopre lo protegge dall'azione del tempo, mantenendone invariato il peso e le caratteristiche fisiche. Proprio per questo una lattina abbandonata durante una passeggiata nel bosco può resistere decine di anni all'erosione dell'aria e della pioggia. Una latta in banda stagnata (che sono però usate raramente dall'industria alimentare e costituiscono meno del 5 per cento del totale delle lattine) è invece più veloce a dissolversi: esposta alle intemperie, la ruggine se la mangia in poco più di un anno. Per un chilo di allumino riciclato serve il 5% di energia iniziale, nonché esattamente 61 di lattine per bibita, una rete di recupero del materiale e uno stabilimento di semplice tecnologia situabile ovunque (dal processo di rilavorazione non vengono emesse sostanze inquinanti). Nella fase di recupero ne va perso un quantitativo minimo, il più basso, in percentuale, rispetto a tutti gli altri materiali riciclabili. Ma quel che più conta è l'alta economicità del processo: un chilogrammo di alluminio riciclato fa risparmiare ben il 95% dell'energia necessaria per ottenere la stessa quantità di alluminio di prima produzione. L'alluminio è riciclabile all'infinito e per ogni ciclo serve solo un ventesimo di alluminio fresco, nuovo, per mantenere inalterata la quantità e la qualità del materiale ottenuto col riciclo. Negli Usa, dove questo tipo di industria è molto ben organizzata, è stato calcolato che la vita media di una lattina è di 2 settimane: se viene acquistata in un supermercato il primo giorno del mese, dopo esser stata bevuta, buttata, recuperata, fusa e nuovamente riempita, il giorno 15 dello stesso mese sarà già in vendita sugli scaffali di un altro negozio. CARTA TELEFONICA: 1.000 ANNI NEL 1995, nella sola Lombardia sono state vendute quasi 20 milioni di schede telefoniche. Una sopra l'altra formerebbero una torre alta 6.500 metri. Carte telefoniche, carte per il pedaggio autostradale o altre tessere magnetiche usa-e-getta, tutte hanno dimensioni standard (86 millimetri in base, 54 in altezza) e sono generalmente costruite con una lamina di polietilene spessa da un terzo a un quarto di millimetro, su cui viene incollata una striscia magnetica (lo stesso materiale dei nastri delle musicassette) che custodisce le informazioni del caso (le telefonate fatte o i pedaggi di ciascun casello...). Queste carte plastiche sono costruite in economia, dunque non c'è modo di riciclarle, l'unica via è la discarica. Per questo è importante non abbandonarle in giro, ma utilizzare le apposite cassettine che sono state montate accanto a quasi tutti i telefoni pubblici a scheda. Le carte di credito o i bancomat sono una cosa differente: sono più robuste (sono spesse mediamente 0,75 millimetri) e comunque vengono sistematicamente ritirate, per questioni di sicurezza e di tutela dei dati che la carta contiene. BOTTIGLIA DI PLASTICA: 100-1.000 ANNI APPENA 500 grammi al mese: è quanto ogni italiano consuma in plastica per contenitori di liquidi, circa 6 chili l'anno. E' poco? Certo, detto così non è una gran cifra, ma se pensiamo al volume che i recipienti di plastica occupano le cose cambiano. Con 6 chilogrammi si fanno più di 150 bottiglie e se immaginassimo di aprire questi contenitori e unirli uno dietro l'altro potremmo ritrovarci un tappeto largo 30 centimetri e lungo quasi 50 metri. Per la loro praticità (sono igienici, perfettamente stagni, inalterabili alle intemperie, leggeri, economici...) i contenitori in Pet e Pvc costituiscono l'80-90 per cento dei rifiuti plastici delle grandi città. Sono quasi indistruttibili: l'acqua gli fa il solletico, l'aria gli fa perdere un po' di elasticità, non esiste batterio o fungo in grado di attaccarli. Bruciano con una certa facilità (in fondo la plastica è petrolio) ma restano comunque gocce di materiale nerastro e la combustione sviluppa la pericolosissima diossina. SACCHETTO DI PLASTICA: 100-1.000 ANNI FINO a 5-6 anni fa i sacchetti di plastica erano fatti di Pet, come le bottiglie dell'acqua. Dunque erano praticamente indistruttibili. Oggi vi sono sacchetti parzialmente (e sottolineiamo parzialmente, checché ne dicano alcune pubblicità) biodegradabili perché il Pet viene mescolato con degli amidi, sostanze naturali che si sciolgono in acqua senza troppi danni per l'ambiente. Recentemente sono state realizzate pellicole plastiche fotosensibili, cioè che si 'sciolgonò alla luce intensa. Occorre comunque qualche mese e nel frattempo non è bello vedere un prato coperto di sacchetti vuoti. Inoltre questi contenitori così pratici per l'uomo sono pericolosissimi per gli animali, specie gli erbivori, che possono mangiarli mentre sono al pascolo rischiando così di morire soffocati.


PROGETTO DEL GOVERNO Tra dodici anni solo tv digitale
Autore: BRUZZONE MARIA GRAZIA

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, ELETTRONICA, TELEVISIONE, PROGETTO
NOMI: VITA VINCENZO, MURDOCH RUPERT
ORGANIZZAZIONI: RAI
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, ROMA

ENTRO il 2010 l'intero sistema televisivo italiano diventerà digitale. A dare l'annuncio è il sottosegretario alle Poste Vincenzo Vita, a New York per il secondo Forum Mondiale della Tv che si è svolto nei giorni scorsi al Palazzo dell'Onu, sponsorizzato da Rai e Mediaset. Vita spiega che l'impegno del governo, il primo del genere nell'Unione Europea, è contenuto nel disegno di legge 1138 sul riassetto del sistema televisivo. Il ddl, tra breve in discussione al Parlamento, prevede che entro 10 anni dalla sua approvazione (quindi forse anche prima del 2010), non solo i nuovi canali tematici, gratuiti o a pagamento, che nascono già digitali e via satellite, ma le stesse reti televisive nazionali terrestri, da Rai Uno-Due-Tre a Canale 5, Rete 4, Italia 1, dovranno abbandonare il sistema di trasmissione analogico per passare a quello digitale. Il governo si impegna anche a trovare prestissimo una banda di frequenza libera per iniziare simulcasting: un problema non da poco, con l'affollamento attuale. Saranno quelle di Telepiù 3, che dal prossimo aprile sarà costretta dalle nuove norme a trasmettere via satellite? E come la prenderà Telemontecarlo, alla quale erano state promesse quelle frequenze per estendere la sua rete terrestre? Vita non vuole sbilanciarsi. "Tmc non ha nulla da temere", si limita a dire. Ma ammette una certa ostilità da parte dei grandi operatori per questa conversione. Il trasferimento comporta infatti per i network (gran parte delle emittenti locali continuerà a trasmettere in analogico) degli investimenti negli impianti di trasmissione. Ma anche gli utenti, nel loro piccolo, dovranno attrezzarsi, dotandosi di un set top box simile a quello necessario oggi per ricevere i canali via satellite. O cogliendo l'occasione per sostituire il vecchio televisore con uno nuovo. In cambio, gli operatori potranno offrire una tv tecnologicamente ben più evoluta: moltiplicando l'offerta di nuovi canali (visto che una sola banda di frequenza ne può contenere almeno sei), aggiungendo l'interattività o addirittura proponendo nuovi standard di qualità, del tipo "alta definizione". I telespettatori potranno avere canali tematici gratuiti o a pagamento, canali di servizio interattivi per il teleshopping, per prenotare viaggi o ordinarsi la pizza a casa. E partecipare a quiz da casa propria, votare dal soggiorno di casa, o usare Internet dal televisore. Proprio sull'interattività televisiva, oggi una prerogativa degli utenti della tv via cavo, al Forum di New York arriva una notizia da Rupert Murdoch, l'editore australiano patron della News Corporation, colosso multimediale che opera in quattro continenti. Murdoch annuncia che dall'anno prossimo lancerà - non ha precisato se negli Usa o in Europa, sui suoi canali satellitari BskyB, o in Asia, dove la sua piattaforma Start trasmette 53 canali in varie lingue - un nuovo sistema di "tv cellulare" che consentirà di dialogare con un televisore dotato di set top box satellitare col solo aiuto di un telefonino cellulare, senza bisogno di cavi nè di antenne paraboliche. Il collegamento con la stazione di servizio che riceve i canali da satellite avverrà tramite una rete cellulare, mentre il telefonino dell'utente servirà da pulsantiera. E' un sistema che sta sperimentando anche la Rai (con l'Unione Europea). Maria Grazia Bruzzone


SCIENZE DELLA VITA. SCOPERTA ITALIANA SU "NATURE" Un topino di Seveso rivoluziona la biologia Osservata una mutazione in soli vent'anni: nuova luce sull'evoluzione
Autore: GARAGNA SILVIA

ARGOMENTI: BIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: REDI CARLO ALBERTO, ZUCCOTTI MAURIZIO, CAPANNA ERNESTO
ORGANIZZAZIONI: NATURE
LUOGHI: ITALIA

CHE cosa è una specie? Come si formano nuove specie? Ancora oggi zoologi e biologi ne discutono. Bene: grazie a uno studio condotto per conto della Fondazione Lombardia per l'Ambiente, abbiamo individuato a Seveso una popolazione del comune topolino domestico (Mus domesticus, per distinguerlo dal Mus mu sculus di Linneo) caratterizzata da varianti cromosomiche non ancora descritte, diverse anche da quelle che per anni abbiamo raccolto e descritto in tutta Europa. E', questo, un fatto del tutto eccezionale dal momento che sembra ragionevole ritenere che la comparsa e la fissazione di queste varianti cromosomiche siano avvenute nell'arco massimo di venti anni. E' questo, infatti, il tempo trascorso dalla scarificazione dell'area di Seveso e dalla sua ricostruzione attuale. Lo scenario è credibile poiché conosciamo da tempo la distribuzione in tutta Europa di tante e diverse "specie incipienti" del topolino. I topi ritrovati a Seveso sono potenzialmente incanalati verso un isolamento riproduttivo che li potrà portare a divenire una nuova specie. Mai prima di oggi era stato colto "in atto" un evento alla base della speciazione e questo giustifica anche la risonanza che tutti i media nazionali e internazionali hanno dato alla notizia. Seveso, con tutto il dramma che conosciamo, ha portato anche alla costruzione di un "laboratorio naturale". L'aver colto un momento così fugace nelle dinamiche evolutive, che avvengono su tempi che i poveri mortali non possono rincorrere, è anche dovuto alla fortunata coincidenza di aver accelerato dinamiche che normalmente sono ben più lente, (qui i topolini invasori non hanno certo trovato competitori o antagonisti). Oggi a interessarsi di Seveso sono e devono essere gli zoologi, più che gli ecotossicologi della diossina] Va detto a chiare lettere infatti che la diossina non ha nulla a che vedere con le trasformazioni cromosomiche ritrovate. Per secoli la definizione di specie è risultata ovvia utilizzando come criterio differenze semplici ed esteriori, di tipo anatomico, fisiologico, comportamentale. Oggi la visione biologica di specie (non direi definizione, sulla quale ancora vi sono molte controversie) è quella di un gruppo geneticamente distinto di popolazioni naturali che condividono uno stesso patrimonio di geni. Nella visione classica, una serie di popolazioni che compongono una specie (interfeconde) viene suddivisa da un accidente geografico, da un fattore estrinseco agli individui. Quando, dopo un tempo sufficientemente lungo, ritornino a incontrarsi, il loro patrimonio genetico sarà così differenziato da non potersi più incrociare in modo da produrre progenie fertile. E' questo lo schema di quella che si chiama "speciazione divergente". Oggi è chiaro che una barriera riproduttiva si può instaurare anche sulla base di fattori intrinseci (fattori così diversi come quelli ecogeografici, di habitat, comportamentali, di isolamento gametico, di sterilità-subfertilità degli ibridi) capaci di impedire ai pool genici di due gruppi, che pure possono vivere nello stesso luogo, di mescolarsi. Nel tempo, anche in questo caso, si può giungere alla formazione di nuove specie. Nei mammiferi, le trasformazioni nella struttura del cariotipo (l'insieme dei cromosomi di una specie) sono uno dei fattori intrinseci più attivi, in particolare la traslocazione di intere braccia cromosomiche una sull'altra, detta "traslocazione robertsoniana", avviene di frequente ed è capace di determinare la formazione di progenie subfertile o sterile. Nel corso della formazione degli spermatozoi e degli oociti, i cromosomi dapprima si appaiano (per "rimescolare" il patrimonio genetico) e poi si dividono per distribuirsi ai diversi spermatozoi ed oociti: la presenza di cromosomi con "forme" alterate dovute alla traslocazione causa un errore nella segregazione dei cromosomi alle cellule germinali, le quali determinano così la formazione di embrioni non vitali (a volte, alcune trisomie come la 21 nell'uomo e la 16 nel topo, sono vitali). Si instaura una barriera riproduttiva. Questo meccanismo è alla base di quella che si chiama "speciazione cromosomica". Ora, uno dei fattori chiave di discussione è sempre stato il tempo di accadimento dei fenomeni che portano alla comparsa di nuove specie, come nel caso della speciazione cromosomica. Il contributo che insieme a Carlo Alberto Redi, Maurizio Zuccotti ed Ernesto Capanna abbiamo pubblicato su Nature, ha suscitato molta attenzione a livello internazionale proprio perché le circostanze ambientali hanno permesso di datare l'insorgenza e la fissazione di alcune varianti cromosomiche: non più in tempi geologici ma in 20 anni al massimo. Si impone, infine, una considerazione di più ampio respiro sull'impatto che sempre più l'uomo ha sull'ambiente, desertificando aree sempre più ampie sul pianeta (la comunità europea ha dedicato un intero programma di ricerca alla desertificazione ed alla necessità della ricostruzione di ecosistemi artificiali): nel corso della ricostruzione di questi ambienti con ecosistemi artificiali, che opportunità avranno le altre specie consorelle animali che con noi dividono il pianeta? Silvia Garagna Università di Pavia


IN BREVE Una pianta vive da 40.000 anni
ARGOMENTI: BOTANICA
LUOGHI: ITALIA

Il primato di longevità appartiene senza dubbio alle piante: una specie di faggio che vive in California può raggiungere i diecimila anni. Ora però tutti i record sono stati polverizzati da un arbusto che un gruppo di botanici australiani ha scoperto sulle montagne della Tasmania: in base a una datazione fatta con il metodo del carbonio radioattivo, avrebbe circa quarantamila anni e sarebbe quindi l'essere vivente più vecchio del mondo. Il nome scientifico della pianta è "Lomatia tasmania". Ha l'aspetto di un cespuglio che si estende per più di un chilometro, in alcuni punti tocca l'altezza di 8 metri. In parte il cespuglio è fossilizzato ma tramite rilievi del patrimonio genetico i botanici hanno stabilito che si tratta di un unico individuo.


IN BREVE Università dello spazio
ARGOMENTI: DIDATTICA
ORGANIZZAZIONI: INTERNATIONAL SPACE UNIVERSITY
LUOGHI: ESTERO, AMERICA, USA, OHIO, CLEVELAND

Dal 17 giugno al 22 agosto 1998 Cleveland (Ohio, Usa) ospiterà l'undicesima sessione estiva dell'International Space University (Isu), che si è confermata l'organizzazione accademica leader a livello mondiale per la formazione culturale in campo spaziale. Il programma è interdisciplinare e comprende ingegneria spaziale, medicina, psicologia, astrofisica, telecomunicazioni, architettura e aspetti di business. La scuola offre anche un programma di studio annuale per il conseguimento di un master in studi spaziali i cui corsi si terranno a Strasburgo dal 1o settembre '98 al 30 lugliò 99. Requisiti: laurea e perfetta conoscenza dell'inglese. Richiedere i moduli di iscrizione a Maria Antonietta Perino, presso Alenia Aerospazio, corso Marche 41 - 10146 Torino.




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