TUTTOSCIENZE 22 ottobre 97


SCIENZE A SCUOLA. ANTICHE UNITA' DI MISURA Libbre, once, piedi, trabucchi L'Europa e il sistema decimale contro i Paesi anglosassoni
Autore: VOLPE PAOLO

ARGOMENTI: METROLOGIA, STORIA DELLA SCIENZA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D.

Le unità di misura sono alla base tanto degli scambi scientifici e tecnici quanto di quelli commerciali. Oggi si tende a unificare nel SI (Sistema Internazionale) tutte le unità di misura, almeno a livello ufficiale tra le nazioni ad economia avanzata. Il SI deriva dal vecchio MKS, in cui le unità il metro per la lunghezza, il chilogrammo per la massa, e il secondo per il tempo. Da queste, a cui si aggiunge l'A, unità di corrente elettrica, M (mole per unità di materia) e K, grado di temperadura assoluta, vengono derivate tutte le unità per le latre grandezze. Com l'adozione di questo sistema l'Europa impone la sua razionalità, mettendo in posizione subalterna i Paesi anglosassoni (Stati Uniti compresi) guidati dall'Inghilterra, culla del tradizionalismo, nei quali le misure sono retaggio della civilità contadina e artgianale. Pollice (2,52 centimetri), piede (12 pollici) e iarda (3 piedi) per le lunghezze, grano (0,065 g) e oncia (28,35 g) per i pesi. Barile e pinta per le capacità, sono infatte le grandezze nate per la verifica senza strumenti anche se oggi hanno per forza di cose assunto valori ben precisi. Ma è dalla notte dei tempi che, la necessità di critire per gli scambi commerciali ha imposto delle unità di misura che, nell'assenza quasi sempre di strumenti venivano basate su confronti «sempre al seguito». Assiri, Babilonesi e Persiani basavano le lunghezze sul piede (32 cm) con multipli il cubito (2 piedi) e la canna (12 piedi) e di pesi sul talento (32,6 kg); più alti e generosi erano gli Egizi il sui piede era 34,9 cm ed il cui talento valeva 42,5 kg. Gli Ebrei il cubito assiro e il talento egizio. Con greci e romani, civiltà più organizzate le unità si complicano con multipli e sottomultipli. Per le lunghezze i greci avenano il dito (1,93 cm) il piede olimpico (ovviamente), unità base uguale a 30,86 cm, il cubito (2 piedi), il passo (2,5 piedi) ovviamente lo stadio (uguale a 600 piedi) e il miglio (4500 piedi); i pesi venivano ancora misurati in talenti (ma di 25,5 kg) in dramme (4,25 gr) ed in oboli (0,71 gr). Per i Romani fanatici del diritto, il piede era ovviamento «legale» e valeva 19,6 cm con sottomultipli il palmo, il pollice e il dito, pari rispettivamente ad 1/4, un 1/12 ed 1/16 di piede (7,4, 2,47 ed 1,85 cm); e multipli il cubito (44,4 cm), il passo (5 piedi uguali 148 cm) ed il miglio (1000 passi). Per le misure di capacità usavano, pensate un po' l'anfora (uguale 26,2 litri) e l'urna (mezza anfora) mentre le masse si misuravano in libbre (327,5 gr) con sottomultipli l'oncia (1/12 di libbra) e lo scrupolo uguale ad 1/24 di oncia. Confrontando il sistema romano con quello anglosassone attuale ci si può rendere contro dell'entità del tradizionalismo inglese, che ha conservato quasi intatte le unità di misura importate circa duemila anni fa dai colonizzatori romani, e che accetta di recepire il sistema più razionale solo per non venire isolato negli scambi commerciali. Prima o poi che intendono nel circuito economico mondiale, dovranno adattarsi ad adottare il SI e Dio solo sa quanti sono (si pensi all'Asia e all'Africa) i sistemi di misura a carattere locale ancora in vigore. Per averne un'idea basta rifarsi a quello che, ancora nel secolo scorso, era il sistema ancora in vigore nella già abbastanza evoluta ma divisa Italia: in Piemonte l'unità di lunghezza era il piede, un piedone da 51,4 cm, che aveva come multiplo il trabucco (6 piedi) ed il miglio (800 trabucchi = 2467 metri); sottomultipli l'oncia (1/12 di piede), il punto (1/12 di oncia) e l'atomo (1/12 di punto, circa 3 millimetri); i volumi si misuravano in sacchi (115,3 litri) in emine, in coppi ed in cucchiai (0,12 litri) per la merce secca, ed in brente (49,3 litri), in pinte (1/36 di brenta), in quartini (1/14 di pinta) ed in bicchieri (1/2 quartino) per i liquidi. L'unità di pesa era la libbra (369 gr), divisa in 12 once ciascuna delle quale era divisa in 8 ottavi, a loro volta divisi in tre denari. Un denaro valeva 24 grani e ciascuno du questi 24 granotti. Bastava spostarsi in Lombardia per trovare come unità di lunghezza un piede di soli 43,5 cm: in compneso lì c'era il braccio (59,5 cm), ed il miglio valeva 3000 braccia (1785 metri); anche in lombardia c'erano i trabucchi, le once i punti e gli atomi, ma tutti più corti che in piemonte: un atomo lombardo era solo 2,5 mm. Per pesare in lombardia c'erano la libbra sottile, uguale a 326,8 grammi e la libbra grossa (2,5 libbre sottili); una libbra sottile valeva 12 once, un oncia 24 denari e un denaro 24 scrupoli. La confusione aumentava passando nel Veneto, dove le lunghezze erano ancora misurate in piedi ma di 34,8 cm; per distante maggiori si usavano il passo (5 piedi) ed il miglio era 1000 passi, quindi solo 1740 metri; sottomultipli del piede erano le once (1/12 di piede) e le linee (1/12 di oncia). Capacità e volumi si misuravano, per la merce secca in moggi (un moggio = 333,3 litri), che valeva 4 staia; ogni staia era 2 mezzeni, ogni mezzeno era due quarte ed ogni quarta due quarteroli; i liquidi avevano come unità il mastello (75,12 litri), che valeva un decimo di botte oppure tre secchie; una secchia era quattro bozze, un abozza 4 quartucci ed un quartuccio 4 getti. Anche nel Veneto c'erano la libbra sottile e la libbra grossa, ma valevano rispettivamente 301,23 e 477 grammi; tutte e due erano soddivise in 12 once, quindi convivevano due ince diverse: la prima era suddivisa in 192 carati e 768 grani, la seconda in 8 dramme, 24 scrupoli ed in 72 grane. Immaginate a quante occasioni di truffe e raggiri basate sull'equivoco potesse essere oggetto un mercato che dovesse svolgere l a sua attività nella Val padana. Tantopiù che la stessa confusione valeva per le monete, spesse chiamate con lo stesso nome ma con valore notevolmente diverso. Se poi quel mercante avesse avuto, per così dire, la «rappresentenza» per tutta l'Italia credo che sarebbe impazzito: avrebbe trovato centinaia di unità multipli e sottomultipli diversi o peggio con lo stesso nome ma di valore diverso. Pertiche, tornature, carri, quartaroli, corbe da grano o da vino, castellate, ferlini, boccali, quarre, imbuti, starelli, rubbi, some e fiaschi erano solo alcune delle unità che si trovavano lungo la penisola fino ad arrivare in Sicilia dove l'unità di lunghezza era il palmo, lungo 25,8 cm; 8 pali facevano una canna, 4 canne una catena, 4 catene una corda e 43 corde un miglio, che valeva perciò 1420 metri. Sottomultipli del palmo erano l'oncia (1/12) la linea (1/12 di palmo) ed il punto (1/12 di linea). Le superfici venivano misurate in «salme». L'unità di capacità era il tomolo (17,2 litri) se si trattava di merce secca, ed il barile (34,39 litri) per la merce liquida. Il primo era suddiviso in quattro mondelli, un mondello = 4 carozzi ed un carozzo = a 4 quartigli. Il secondo in botti (1/32 di barile), in quartare (1/2 di botte), in quartucci (1/20 di quartare), in caraffe (1/2 quartuccio) e in bicchieri (1/2 caraffa). Si pesava con unità il cantaro che ra 79,34 kg, che valeva 100 rotoli; ogni rotolo valeva 30 once (quindi 1 oncia palermitana valeva 26,4 grammi); l'oncia era divisa in quartini, ognuno dei quali valeva due dramme, a loro volta divise in 3 scrupoli e ciascuno di questi in 20 cocci: il coccio era dunque 55 milligrammi. Sia benedetto il Sistema Internazionale] Paolo Volpe


L'Auditel e Diana Così si misurano i gusti della «gente» ( o dei consumatori?)
Autore: D'AMATO MARINA

ARGOMENTI: COMUNICAZIONI, TELEVISIONE, SONDAGGIO, INDICE D' ASCOLTO
ORGANIZZAZIONI: AUDITEL
LUOGHI: ITALIA

LA commozione popolare per la morte di Diana ha dato alla «gente» una valenza persino politica (si pensi a Tony Blair, che ha definito Lady D. «principessa del popolo»). In Italia dieci milioni e mezzo di persone hanno seguito il feretro della principessa in una lunghissima e per molti versi estenuante diretta televisiva. Non c'era mai stato nella storia della Rai uno share più alto: il 75 per cento. Si è detto che non era questione di destra o di sinistra, e che tanta «gente» rappresentava l'antipolitica. Soprattutto si è parlato della gente come di un «noi» universale. Ma chi è, che cosa è, in realtà la «gente»? Diversa dalla classe, dal ceto, dalla casta e dal popolo, la «gente» è ormai - vista con l'occhio delle scienze sociologiche - la indiscussa protagonista della società dell'informazione nella quale viviamo. Ma a differenza dei «popoli» essa non ha storia, tradizioni, miti e valori introiettati con il processo di socializzazione; a differenza delle etnie non ha pratiche di civilizzazione che la accomunano. La «gente» esiste nelle e per le rappresentazioni televisive, sui quotidiani, vive solo nel presente e soprattutto deve essere disomogenea al massino per assicurare rappresentatività alla sua opinione. Si concretizza infatti nei sondaggi di opinione, che le danno consistenza e quindi, con l'indicazione numerica, «realtà». In attesa di una legge che stabilisca regole di attendibilità (la legge francese potrebbe essere un utile modello) la situazione italiana dei sondaggi è per ora affidata esclusivamente alla deontologia professionale dei ricercatori. L'attendibilità dei dati supera così spesso quella di qualsiasi alea statistica ma la realtà coincide sempre più spesso con la sua rappresentazione simbolica. Ciò accade non solo perché esperiamo uno stato di parità tra la realtà viva e la sua replica televisiva, ma anche perché siamo continuamente identificati con la «gente» in relazione all'Auditel. L'Auditel, madre di tutti i sondaggi, che minuto per minuto, secondo per secondo quotidianamente da un decennio verifica l'ascolto della tv e che rappresenta con il suo campione la gente d'Italia, dal primo agosto scorso ha raddoppiato il suo universo. L'utenza televisiva italiana del campione Auditel è passata da 2424 famiglie a 5000. Lo scopo dell'ampliamento, non indispensabile dal punto di vista della scienza statistica, soddisfa le esigenze delle tv locali, di essere misurate da una rete regionale di meter più consistente con l'obiettivo di evidenziare le emittenti minori. L'aumento del campione sembra essere stato fatto utilizzando i dati dell'ultimo censimento offerti dall'Istat. Questo elemento è fondamentale se si considera che dopo un lungo iter legale con la Nielsen, conclusosi con una transazione (14 settembre '95) si era ipotizzato di ampliare il campione «ottimizzando» l'universo della Nielsen, società leader nell'ambito delle ricerche di mercato. La questione non è di poco conto perché concerne, appunto, la gente: cittadini o consumatori? Il campione rappresenta gli italiani nella loro casuale complessità o è estratto in funzione dei loro consumi? Evidentemente i risultati degli ascolti saranno diversi tra i due mondi. Il problema è stato al centro dell'attenzione del Consiglio Consultivo degli utenti presso il Garante (convegno conclusivo del mandato: «La rappresentanza e l'identità dell'utenza radiotelevisiva: i sondaggi e la rilevazione degli indici di ascolto 18 marzo '97») perché evidentemente milioni di telespettatori estrapolati dal campione non possono essere considerati e proposti all'opinione pubblica come cittadini e/o consumatori indifferentemente. Nel corso degli anni la funzione manifesta dell'Auditel - misurare in modo equo gli ascolti in riferimento agli spazi pubblicitari - è diventata succube delle sue funzioni latenti: provare il successo con l'ascolto di personaggi, programmi, reti, dall'informazione allo spettacolo; insomma lo strumento da mezzo si è trasformato in un fine, obbedendo, anzi sancendo la legge del mercato: sono i circa diecimila miliardi di introiti pubblicitari annui che regolano con il loro flusso la programmazione. La quantità di ascolti garantisce perché «prova» la qualità dei programmi. L'omogeneizzazione culturale della programmazione da un lato e l'omologazione del pubblico dall'altro sono le due caratteristiche più evidenti degli effetti «perversi» di questo sondaggio. Perciò è essenziale che il campione sia rappresentativo di tutti gli italiani, che esso sia riferito alla nostra dimensione di cittadini, che non sia quindi ponderato in funzione della nostra disponibilità all'acquisto. L'auspicio è che queste cinquemila famiglie non solo si applichino quotidianamente con meticolosa solerzia al loro mestiere di utenti accendendo e spegnendo il meter secondo i pulsanti di riferimento, controllando l'uso che fanno del videoregistratore (novità dal primo agosto) ricordandosi di connettere e sconnettere gli ospiti in visita davanti alla tv, ma che insegnino ai loro piccoli che hanno una grande responsabilità perché gestiscono con le loro scelte televisive non solo centinaia di milioni al giorno di investimenti pubblicitari, ma si sono accollati per tutti la responsabilità di essere la «gente». Marina D'Amato Università La Sapienza, Roma


SOFTWARE E Bill Gates cancellò gli spazi
Autore: DE CARLI LORENZO

ARGOMENTI: INFORMATICA, ELETTRONICA
NOMI: GATES BILL
ORGANIZZAZIONI: MICROSOFT
LUOGHI: ESTERO, AMERICA, USA

PER la sventura di traduttori, giornalisti, scrittori e quanti generalmente scrivono con il computer e hanno bisogno di conoscere il numero preciso di battute dei testi da consegnare ai committenti, Mi crosoft Word, il programma di video scrittura più venduto al mondo, dalla sesta versione in poi non conta più gli spazi tra una parola e l'altra. Di norma si intende come «battuta» lo spazio occupato da un carattere a stampa e lo spazio bianco ottenuto battendo la barra spaziatrice della tastiera, e siccome nell'un caso come nell'altro sempre di spazio si tratta, per stabilire le dimensioni di un testo è indispensabile che al numero dei caratteri sia sommato anche il numero degli spazi bianchi. Per il programma della Microsoft, gli spazi tra una parola e l'altra semplicemente non esistono. E' possibile che, avendo sviluppato proprio in questi anni un vivo amore per i codici antichi, Bill Gates abbia pensato d'introdurre surrettiziamente i presupposti informatici necessari perché gli utenti del suo programma tornassero a vivere l'epoca antica (preclassica e classica) in cui non si separavano le parole. Lo prova la presenza in Word di un «glossario» che è l'equivalente high tech dell'uso delle abbreviazioni (troncamenti o contrazioni) comuni in epoca romana. Verso la fine del Medioevo - dice l'Enciclopedia Cambridge delle scienze del lin guaggio - erano in uso oltre 13.000 abbreviazioni e segni. Oggi il comune utente Microsoft Word non ha nel suo «glossario» altrettante abbreviazioni, ma non è tuttavia detto che in futuro non possa anch'egli essere oggetto di studi paleografici. La rimozione degli spazi bianchi in Word - una iattura per i traduttori a numero di battute prodotte - ha equivalenti suggestivi in altri ambiti della moderna comunicazione. In un bel racconto dello scrittore tedesco Heinrich Boll, La raccolta di si lenzi del dottor Murke, il protagonista - un redattore radiofonico - ha l'abitudine di collezionare silenzi. Forse non è noto a tutti che una parte nient'affatto trascurabile del lavoro redazionale in una stazione radiofonica consiste nel rimuovere le pause tra una parola e l'altra, tra una frase e l'altra, in modo da rendere più spedita la comunicazione. Talvolta gli intervistati sono poeti, scrittori e filosofi che, per rispondere alle domande, riflettono, si prendono un momento di pausa per trovare la parola più adatta, la costruzione del periodo più efficace per la comunicazione del loro pensiero. Non appena essi hanno lasciato gli studi radiofonici, impietosamente il redattore di turno rimuove tutte le pause, togliendo in tal modo tutti i segni tangibili del moto che il pensiero compie per trovare una espressione adeguata al contenuto e illudendo così gli ascoltatori non tanto che gli ospiti intervistati parlino bene, quanto piuttosto che il pensiero sia fatto solo di parole senza soluzione di continuità - come se fosse stato scritto con Mi crosoft Word. Pause, ridondanze e silenzi sono sempre meno tollerati. E' l'horror vacui il sentimento che governa la ricerca degli informatici che escogitano sempre più perfezionati sistemi per la compressione dei dati. Sullo schermo di un computer i silenzi, le pause del pensiero, vale a dire i momenti in cui la riflessione rischia di tralignare nella vertigine e si misura col vuoto del non pensiero sono solo sottili linee alle quali si contrappongono le grandi masse grafiche che rappresentano sul monitor il suono delle parole. Dopo Atto senza parole Sa muel Beckett scrisse L'ultimo nastro di Krapp. In quest'opera teatrale le pause registrate nel magnetofono sono fondamentali e concorrono non meno delle parole a produrne il senso. Se l'ultimo nastro di Krapp venisse registrato nell'hard disk di un computer e poi compresso, il silenzio non sarebbe che un elemento residuale - non conterebbe nulla, come non contano nulla gli spazi nei documenti di Word. Certo, molte poetiche del 900 hanno fin troppo esaltato il valore espressivo degli spazi bianchi e dei margini, ma chissà che invece dei codici antichi gli informatici della Microsoft non abbiano pensato - evitando di far computare gli spazi bianchi - che è bene far capire agli utenti del loro programma che, presto, sarà sospetto chi si permetterà di far pause e fermarsi a pensare tra una parola e l'altra. Lorenzo De Carli


Scoperta dell'Essere La morte di Lady D. dal virtuale al reale
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: COMUNICAZIONI, TELEVISIONE, INDICE D' ASCOLTO
NOMI: D'AMATO MARINA, PAREYSON LUIGI
LUOGHI: ITALIA

AL primo sbarco sulla Luna assistettero in mondovisione 600 milioni di persone. I funerali di Diana, si dice, avrebbero avuto quasi due miliardi di telespettatori, un terzo della popolazione mondiale. Ammettiamo che la stima sia per eccesso e applichiamo la tara della diffusione dei televisori, senza dubbio ben diversa nel 1969 e nel 1997. Il fenomeno rimane. E richiede una analisi scientifica, sia pure ricorrendo a quelle scienze inesatte che sono la sociologia, la psicologia, ed eventualmente la filosofia. In questa pagina Marina D'Amato parte proprio dai dati di ascolto della diretta sui funerali di Diana per analizzare in termini sociologici la realtà virtuale nella quale viviamo e il suo dio Auditel, che ci vuole tutti ai suoi piedi nella veste di fedeli consumatori. Ma quei funerali sono stati soltanto la manifestazione più vistosa di un fenomeno che continua a svilupparsi sotto i nostri occhi: l'attenzione collettiva è tuttora polarizzata da trasmissioni televisive come quella di Augias e da altre ancora più vicine al facile sciacallaggio dei sentimenti, da perizie e controperizie sull'incidente, dal nuovo libro-scandalo di Andrew Morton. Dietro tutto questo ci sono, ovviamente, i ben noti meccanismi della comunicazione di massa. La sinergia di giornali, televisione, libri scandalistici. La voglia di mito che da sempre accompagna l'uomo. L'identificazione con la ragazza dall'infanzia difficile e con la moglie tradita. La suggestione della donna ricca e potente che china la misericordiosa messa- in-piega sui malati di Aids. La tenerezza per la madre che accompagna i suoi bambini a Eurodisney resistendo per loro a tentazioni bulimiche e suicide. Il personaggio pubblico schierato contro le mine antiuomo (il Nobel per la pace è stato assegnato, si è detto, alla sua memoria). La perseguitata dai fotoreporter. La vittima delle trame di Buckingham Palace. Ma basta tutto questo a spiegare le reazioni alla morte della principessa Diana? Ho il sospetto che sotto si nasconda qualcosa di più profondo. La ferraglia accartocciata della Mercedes ci ha messi tutti di fronte a un «fatto» concretissimo e irrevocabile. Tra quelle lamiere, il virtuale e il reale sono entrati in cortocircuito. L'incidente nel sottopassaggio parigino ha reso evidenti, crudamente esplicite, le biforcazioni di cui è fatta la nostra esistenza. In genere non le percepiamo, nè quando siamo noi, più o meno consapevolmente, a scegliere nel bivio, nè tanto meno quando è il flusso dell'esistenza a spingerci avanti. Eppure ogni biforcazione ne esclude molte altre, e la biforcazione apparentemente più irrilevante può rivelarsi decisiva. Noi, ora e qui, non siamo nient'altro che il prodotto delle biforcazioni da cui proveniamo. Basta inciampare per perdere un aereo destinato a precipitare e ritrovarsi vivi per miracolo. Basta l'anticipo o il ritardo di un attimo per capitare su un incrocio dove un altro automobilista non rispetta lo stop. E, alla faccia di La Palisse, non è affatto lapalissiano che un istante prima si sia vivi e un istante dopo morti. Nel flusso indistinto e ovattato degli eventi superficialmente ordinari (ma nessuno lo è), succede che qualche evento ci metta in contatto diretto e brutale con la Realtà vera, cancellando per un istante la realtà virtuale, mediatica, immateriale. Talvolta basta una distrazione: per esempio, ci tiriamo dietro la porta di casa senza aver preso le chiavi, e di colpo eccoci in una situazione scomoda, complicata, che ne influenza tante altre, che ci cambia la giornata (specie se è domenica e i fabbri sono chiusi). Il filosofo Luigi Pareyson ha analizzato i fattori di imprevedibilità e irrevocabilità che rendono speciali certi eventi, mostrando come essi rappresentino l'emergere della libertà e dell'essere nella loro purezza. L'evento rivelatore, osserva Pareyson, «è la rottura di un contesto»: «Nulla di ciò che lo precede basta a spiegarlo, nessuna continuità lo lega agli antecedenti (...). Non tollera nè il concetto di causalità nè il concetto di probabilità». Pareyson ricorda, in proposito, un racconto di Singer nel quale un vecchio ebreo improvvisamente viene sedotto dalla cognata: «Meno di due ore prima Reb Mendel era ancora un ebreo onesto, eminente; ora era un depravato, un traditore di Dio» («Ontologia della libertà», Einaudi, 1995). Dunque l'irrevocabilità, l'impossibilità di tornare indietro, di ricacciare l'accaduto nel non-essere, crea il contatto con l'Essere, fuggevole e vertiginoso. E poiché niente come la morte è irrevocabile, la morte di Diana, anche per le sue circostanze, è stato un evento in cui tutti abbiamo intravisto, al di là dell'esistente, l'Essere. Non ci ha scossi solo la morte della «principessa triste», ma il fatto che quella morte ha rivelato la nostra personale precarietà, la nostra eroica fragilità davanti alle biforcazioni esistenziali e il nostro rimosso bisogno di un ancoraggio metafisico. Piero Bianucci


SCIENZE FISICHE. LO «STRATO LIMITE» Ali bucate anti-attrito Si progettano aerei più economici
Autore: BERNARDI MARIO

ARGOMENTI: TRASPORTI, TECNOLOGIA, AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, AEREI
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D.

L'ALTO prezzo della velocità di un moderno aereo di linea (oltre 200 hp per tonnellata, da confrontarsi con 100 hp/ton per gli autoveicoli e 40 hp/ton per la trazione ferroviaria) è solo per un terzo imputabile al lavoro effettuato dall'ala per creare la forza sostentatrice. La maggior parte del combustibile viene spesa per vincere le forze che si oppongono all'avanzamento: resistenza di forma e resistenza di attrito. La prima è dovuta al fatto che le linee di corrente, non riuscendo a seguire l'intera superficie del corpo in movimento, a un certo punto se ne distaccano, creando a valle una zona turbolenta a bassa pressione: la differenza di pressione tra la faccia esposta al vento e la zona turbolenta a valle origina la resistenza di forma. Il progettista ha imparato ben presto a ridurla: mentre le controventature dei vecchi biplani disperdevano nel vento oltre la metà della potenza dei loro motori, la resistenza di forma di un moderno aereo di linea non arriva al 10 per cento della resistenza totale. A questo punto ciò che rimane da fare è ridurre la resistenza d'attrito, che alle attuali velocità di crociera assorbe quasi il 60 per cento della potenza dei propulsori. Lo sforzo in questa direzione è basato sulla teoria dello «strato limite» enunciata da Prandtl nel 1904. Quando un corpo si muove in un fluido a bassa viscosità, come l'aria o l'acqua, la viscosità interessa solo un sottile spessore prossimo alla superficie bagnata. Entro tale spessore la velocità del fluido varia dal valore zero a contatto della superficie solida cui aderisce fermamente, per crescere gradualmente via via che se ne scosta fino a raggiungere il valore della velocità della corrente libera a piccola distanza dalla parete. Ciascuna particella fluida in movimento è in equilibrio sotto l'azione di forze di massa (proporzionali alla velocità e alla densità del fluido) e di forze viscose che la frenano. Fino a un determinato valore del rapporto tra forza di massa e viscosità del fluido i filetti fluidi si mantengono paralleli a velocità crescente dalla parete al limite esterno dello strato limite; oltre un determinato valore di detto rapporto lo strato limite diviene turbolento. E qui le cose si complicano perché in presenza di uno strato limite turbolento la resistenza diviene 10 volte superiore a quella generata da uno strato limite laminare. I tentativi per eliminare o quantomeno spostare a velocità superiori la transizione dallo strato limite laminare a quello turbolento hanno inizio fin dal 1939, con risultati tenuti segreti per il loro interesse militare. In Usa, Germania e Giappone con l'ausilio delle gallerie del vento si modificano i profili alari in modo da spostare la zona a bassa pressione il più indietro possibile; il richiamo d'aria che ne deriva aumenta la velocità locale estendendo la laminarità del flusso lungo il profilo dell'ala. Un altro tentativo cosiddetto «naturale», tuttora in atto, prende spunto dal sistema escogitato dal «progettista» dei pesci che, per aumentare la velocità degli squali, ne ha modificato la pelle dotandola di lunghe striature longitudinali. Prove in galleria del vento hanno dimostrato che analoghe striature ricavate su lastre piane riducono la resistenza d'attrito. Nonostante le prevedibili difficoltà di manutenzione derivanti dall'accumulo di sporcizia, insetti, pioggia e neve nelle finissime striature, un esteso programma di prove in volo è stato intrapreso da Airbus Industrie con applicazione di rivestimenti sintetici striati in corrispondenza di parti significative di ali e fusoliere. Oggi però la posta in gioco sta diventando troppo importante perché ci si possa accontentare dei modesti vantaggi ottenuti con metodi di laminarizzazione «naturale» dello strato limite. L'importanza socioeconomica del trasporto aereo e l'esigenza tecnica di far volare senza scalo aerei da 600-1000 passeggeri da un capo all'altro del mondo richiedono un salto deciso verso la riduzione dei consumi; un gradino tecnologico che, attraverso una sostanziosa riduzione della resistenza d'attrito, saldi il debito energetico contratto dalla propulsione con il passaggio dall'elica al getto. A tale scopo sono stati recentemente rinverditi studi ed esperienze in atto fino dagli Anni 50 consistenti nell'aspirazione dello strato limite attraverso fori e fessure nel rivestimento alare. Con questo sistema si contiene la crescita dello strato limite, che resta laminare anche alle alte velocità di volo e la resistenza viene notevolmente ridotta. Poiché l'energia necessaria per aspirare lo strato limite è molto inferiore all'energia propulsiva risparmiata grazie alla riduzione di resistenza all'avanzamento, il bilancio è largamente positivo. A metà degli Anni 60 chi scrive ebbe l'occasione di assistere sulla pista di Cambridge a prove di aspirazione dello strato limite effettuate sull'ala di un Auster (un piccolo aereo a pistoni) appositamente modificato dalla ditta Marshall. Purtroppo la sperimentazione si concluse con la perdita del velivolo e la morte del pilota Brian Wass, al cui ricordo è dedicata questa nota. Oggi però gli studi vengono ripresi: il bilancio energetico appare particolarmente promettente nel caso di grossi velivoli «tutt'ala» con forma in pianta «a delta». Infatti, mentre nelle architetture tradizionali a forte allungamento alare l'aspirazione dell'ala corrisponderebbe a non più del 30 per cento della superficie interessata dalla resistenza d'attrito, nel «tutt'ala a delta» la riduzione della resistenza d'attrito interesserebbe pressoché l'intera superficie dell'aereo. Studi parametrici degli inglesi Denning, Allen ed Armstrong sottolineano i vantaggi di questa configurazione. Secondo gli autori, con l'aspirazione dello strato limite essa consentirebbe una riduzione del 50 per cento della resistenza d'attrito. Ne conseguirebbero una consistente riduzione della potenza installata e un aumento del 38 per cento dell'autonomia. Rispetto ai velivoli convenzionali di pari peso si stima una maggiore capacità interna da utilizzare a vantaggio dei passeggeri (cuccette, sale ritrovo, bar) su prevedibili tratte di 20 ore. Al minore inquinamento acustico e gassoso derivante dalla riduzione della potenza si accompagnerebbe un minor danno alla fascia di ozono. Infatti, a parità di tutte le altre condizioni l'aspirazione dello strato limite consentirebbe il volo di crociera a quote ridotte rispetto a quelle che ottimizzano l'autonomia dei velivoli convenzionali. Mario Bernardi


IN BREVE L'Italia torna in Antartide
ARGOMENTI: GEOGRAFIA E GEOFISICA
LUOGHI: ITALIA

Riapre la base italiana in Antartide a Baia Terranova: 196 ricercatori partecipano alla 13a spedizione del nostro Paese nel continente ghiacciato. Tra gli obiettivi, la ricostruzione del clima da 30 a 100 mila anni fa.


IN BREVE Storia della radio mostra ad Alba
ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA, COMUNICAZIONI
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

Fino al 9 novembre ad Alba presso la Fondazione Ferrero (tel. 0173-29.54.27) si può visitare la mostra «Marconi e la storia della radio». Il materiale esposto proviene dalla Collezione Pelagalli di Bologna. Ha collaborato il Centro Ricerche Rai di Torino, dove è stato sviluppato il Dab, la radio digitale ad altissima fedeltà che rappresenta il futuro dell'invenzione di Guglielmo Marconi.


IN BREVE Società di Fisica 100 anni, un congresso
ARGOMENTI: FISICA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, COMO (CO)

A Como, a Villa Olmo, si terrà dal 27 al 31 ottobre il congresso annuale della Società Italiana di Fisica, presieduta da Renato Angelo Ricci. Il congresso coincide con il centenario della Società. Interverranno i Premi Nobel Carlo Rubbia, De Gennes, Bloembergen ed Esaki, il presidente Infn Luciano Maiani e Nicola Cabibbo dell'Enea.


IN BREVE Padova: New Age o vecchie idee?
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, PADOVA (PD)

Si svolge il 25-26 ottobre all'Università di Padova il convegno annuale del Cicap, Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale. Tra i temi, il movimento New Age. Intervengono Piero Angela, Giuliano Toraldo di Francia, Steno Ferluga, Silvio Garattini. Informazioni: 0426-22013.


IN BREVE Come si impara Dibattito a Torino
ARGOMENTI: DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)

L'apprendimento è il tema di un convegno che si terrà a Torino il 7-8 novembre alla Galleria d'Arte moderna. In apertura, un dibattito interdisciplinare. Iscrizioni: 011-88.20.89.


IN BREVE Pila ricaricabile ideata da Kordesh
ARGOMENTI: ENERGIA
NOMI: KORDESH KARL
ORGANIZZAZIONI: ELETTRONICA RR, BIG
LUOGHI: ITALIA

Si chiama Big la nuova pila ricaricabile che ridurrà la dispersione nell'ambiente delle batterie esaurite. Presentata allo Smau dalla Elettronica RR che ne cura la distribuzione in Italia, questa batteria è del tipo alcalino al manganese e applica una tecnologia sviluppata da Karl Kordesh, che nel 1953 fu già l'inventore della tradizionale pila alcalina usa-e-getta.


IN BREVE Odontoiatria a Montecarlo
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

Organizzato dal Centro Odontostomatologico di Torino (presidente Aldo Ruspa) si terrà il 14 e 15 novembre al Centro Incontri Internazionali di Montecarlo il 9o Congresso odontostomatologico. Tema: «Endodonzia, gerodontologia e implantologia». I relatori, provenienti da Francia, Germania, Giappone, Stati Uniti, Svizzera e Italia, illustreranno, in particolare, le cure dei denti negli anziani.


IN BREVE Borse di studio dell'Italgas
ARGOMENTI: DIDATTICA
ORGANIZZAZIONI: ITALGAS
LUOGHI: ITALIA

L'Italgas ha istituito due borse di studio annuali da assegnare in base alle migliori tesi di laurea in tema di energia e ambiente. Tel. 02-520.36.939.


IN BREVE Su «Telema» il futuro della tv
ARGOMENTI: COMUNICAZIONI, TECNOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: TELEMA
LUOGHI: ITALIA

E' uscito il numero d'autunno della rivista «Telema» della Fondazione Ugo Bordoni. La sezione monografica è dedicata alla tv nella nuova prospettiva aperta dai satelliti digitali e dalla moltiplicazione dei canali. Ne scrivono, tra gli altri, Gianni Vattimo, Enzo Siciliano, Jader Jacobelli e il direttore della rivista Ignazio Contu.


IN BREVE Biotecnologie per l'arte a Torino
ARGOMENTI: TECNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)

A Torino, presso Villa Gualino, si svolge fino a sabato un corso sulle biotecnologie applicate alla conservazione e al restauro delle opere d'arte.


IN BREVE Cselt vince Eurospeech '97
ARGOMENTI: COMUNICAZIONI
ORGANIZZAZIONI: CSELT
LUOGHI: ITALIA

Lo Cselt, Centro studi e laboratori telecomunicazioni, ha vinto il primo premio di Eurospeech '97, la conferenza mondiale sui sistemi vocali per la comunicazione tra l'uomo e il computer svoltasi a Rodi.


SCIENZE FISICHE. NUOVE TECNICHE La luminescenza a protoni per analizzare rocce lunari
Autore: VITTONE ETTORE

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, ASTRONOMIA, FISICA, CHIMICA
NOMI: HERSCHEL WILLIAM
LUOGHI: ITALIA

CHE la luminosità della Luna sia dovuta alla riflessione della luce solare è cosa ben nota: lo abbiamo constatato anche con l'eclisse del 16 settembre scorso. Eppure esistono vaste regioni sulla superficie lunare, intorno ai grandi crateri di origine meteoritica, che non giocano soltanto un ruolo passivo, di specchio, ma contribuiscono attivamente all'intensità della luce lunare soprattutto in certe zone dello spettro cromatico. Nella notte del 18-19 aprile 1787 il grande astronomo William Herschel, lo scopritore del pianeta Urano, osservò sulla superficie lunare alcune regioni luminose come fossero «carboni ardenti di cenere» in prossimità del cratere Aristarco. Il fenomeno fu così spettacolare che Herschel invitò Re Giorgio III di Inghilterra a osservare attraverso il suo telescopio quella che erroneamente aveva interpretato come manifestazione dell'attività di «vulcani lunari». La luminescenza lunare anomala scomparve nel giro di pochi giorni per poi ricomparire più o meno ogni 11 anni in una ventina di occasioni dal 1787 ad oggi. La periodicità del fenomeno e la contemporanea apparizione di spettacolari aurore polari permisero agli inizi degli Anni 60 di attribuire questo fenomeno al «vento solare», cioè al flusso di particelle cariche (essenzialmente protoni ed elettroni) di alta energia provenienti dal Sole e che ogni undici anni assume particolare intensità (tempeste solari). La Luna, non protetta da atmosfera, si comporta come una specie di «convertitore di immagine» che trasforma l'energia della radiazione corpuscolare di origine solare in radiazione elettromagnetica di cui sulla Terra riusciamo a osservare soltanto la regione visibile, non filtrata dall'atmosfera terrestre. Le informazioni che si possono estrarre dall'osservazione di questo fenomeno sono molteplici. Selezionando la radiazione luminosa per colore, ossia per energia, è possibile determinare la composizione chimica del materiale luminescente e confrontando l'intensità dei diversi colori, i quali rappresentano la «firma» degli elementi, è possibile risalire alle abbondanze delle specie chimiche. Lo studio della luminescenza è quindi un valido strumento di indagine chimico-mineralogica in quanto può condurre all'identificazione «a distanza» della composizione chimica della crosta lunare. Questa tecnica spettroscopica, normalmente indicata con l'acronimo Ibil (da Ion Beam Induced Luminescence), non è tuttavia ristretta al solo campo astronomico. In alcuni laboratori, fra i quali primeggiano quelli dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare di Legnaro (Pd), si stanno installando strumenti per lo studio della luminescenza indotta da fasci di protoni (o in genere da ioni) prodotti da un acceleratore. Questo «vento solare» creato in laboratorio permetterà l'analisi chimica non distruttiva di elementi in traccia in materiali non solo di interesse geologico ma anche, e soprattutto, in materiali per l'elettronica e la fotonica. Forse un giorno avremo diamanti più «colorati», fibre ottiche più efficienti e schermi video più luminosi grazie all'individuazione di attivatori ottici analizzati con la tecnica Ibil. Ettore Vittone Università di Torino


SCIENZE FISICHE. UN PROBLEMA DI LOGICA Ponzio Pilato e il teorema di Tarski E' difficile dire cos'è la verità per un matematico
Autore: ODIFREDDI PIERGIORGIO

ARGOMENTI: MATEMATICA
NOMI: TARSKI ALFRED, AUSTIN JOHN, KRIPKE SAUL
LUOGHI: ITALIA

SONO venuto al mondo per rendere testimonianza della verità» disse Gesù a Pilato, e questi gli domandò: «Che cos'è la verità?» (Vangelo secondo Giovanni, XVIII, 37- 38). Un lettore di Tuttoscienze (Alberto Biamino) ci pone ora la stessa domanda: ci auguriamo che, a differenza di Pilato, che se ne andò senza aspettare la risposta, egli abbia un minimo di pazienza, e sia disposto a leggere il seguito. La domanda, di Pilato e del lettore, non è gratuita: la verità è infatti un concetto problematico, e il suo maggior problema fu scoperto già nel secolo VI a.C. da Epimenide di Creta. Egli si accorse che una frase del tipo «io sto mentendo», ossia «ciò che dico non è vero», è paradossale: se infatti ciò che dico (che sto mentendo) è vero, allora sto mentendo, e dunque ciò che dico è falso; e se invece ciò che dico è falso, allora sto mentendo, e dunque ciò che dico (appunto, che sto mentendo) è vero. Il paradosso fece arrabbiare San Paolo, che non l'aveva capito: egli se la prese con i professori che insegnavano tali assurdità, chiamandoli «ribelli, cialtroni, seduttori» (chissà poi perché), e proponendo di «tappare loro la bocca» (Lettera a Tito, I, 10-12). Nelle sue convulsioni si può già distinguere, completamente formato, l'embrione dell'Inquisizione. Più seriamente, la soluzione al paradosso impegnò i filosofi per millenni, che fecero proposte di ogni genere. Qualcuno diede la colpa al linguaggio, sostenendo che le frasi contraddittorie sono solo apparentemente ben formate, ma che in realtà non hanno senso. Altri accusarono la logica, la quale stabilisce che una frase può essere solo o vera o falsa (tertium non datur), mentre l'esempio precedente non è evidentemente nè una cosa nè l'altra. Nel 1936 Alfred Tarski trovò una soluzione parziale del problema, che è divenuta classica. Egli mostrò che nelle teorie matematiche comuni la verità non è definibile, perché se lo fosse sarebbe possibile riprodurre il paradosso di Epimenide: più precisamente, si potrebbe costruire una frase che dica di se stessa di essere falsa, e ripetere il ragionamento precedente. Il vero problema, risolto da Tarski, consiste appunto nel costruire tale frase: il che non è affatto immediato, perché ad esempio in una teoria il cui linguaggio parli di numeri non esiste a prima vista la possibilità di dire «io», cioè di dare affermazioni che parlino di se stesse. Tarski passò poi a dimostrare che, comunque, per le teorie matematiche comuni esiste una definizione della verità. Le affermazioni dei linguaggi scientifici sono infatti costruite in maniera ordinata, a partire da affermazioni elementari (quali «2più2=4», «2X2=3»...), che vengono combinate mediante operatori elementari (quali «non», «e», «per ogni» ...): poiché la verità o falsità delle affermazioni elementari di una teoria è evidente (ad esempio, «2più2=4» è vera, e «2X2=3» è falsa), e quella delle affermazioni composte può essere ridotta alla verità o falsità delle affermazioni che la compongono (ad esempio, «2più2=4 e 2X2=3» è falsa), procedendo con ordine si può determinare la verità o falsità di qualunque affermazione della teoria data. Naturalmente, non c'è contraddizione fra le due parti del lavoro di Tarski: data una teoria matematica comune, per la seconda parte esiste una sua definizione di verità, che per la prima parte non può però essere interna alla teoria stessa. E se non può essere interna, questo significa che deve essere esterna, ossia che alcune cose di un mondo matematico si possono venire a conoscere soltanto uscendo al di fuori di esso, e salendo per così dire ad un livello più alto, detto metalivel lo (così come per conoscere alcune cose del mondo reale è necessario uscire dalla fisica e salire alla metafisica): dunque, per ripetere quasi letteralmente un altro passo della conversazione di Gesù con Pilato, «il regno della verità non è di questo mondo». La soluzione di Tarski è parziale perché essa si applica appunto soltanto a teorie matematiche, ed ai relativi linguaggi. Varie soluzioni del problema per i linguaggi naturali, quali l'italiano, sono state proposte: ad esempio, da John Austin nel 1950, e da Saul Kripke nel 1975. Benché nessuna di esse sia stata accettata universalmente, come quella di Tarski nel suo ambito, il lavoro dei logici continua, ed essi possono ben dire: «Siamo venuti al mondo per dare una definizione della verità». Piergiorgio Odifreddi Università di Torino


SCIENZE DELLA VITA. LE LARVE DEI CORALLI Nuotatrici prodigiose E con un misterioso senso dell'orientamento
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA
NOMI: LEIS JEFF, WOLANSKE ERIC, DOHERTY PETER, STOBUTZKI ILONA
LUOGHI: ESTERO, OCEANIA, AUSTRALIA

SORVOLANDO a bassa quota la grande barriera corallina australiana in una data precisa, nella quarta o quinta notte dopo il plenilunio di novembre e dicembre, si può aver la fortuna di assistere a uno spettacolo veramente straordinario. Improvvisamente le acque del mare si intorbidano perché milioni di coralli vi riversano gigantesche nuvole di uova rossicce e torrenti di sperma lattiginoso. I coralli si riproducono. Fungono da paraninfi i misteriosi messaggi chimici che gli elementi sessuali si scambiano tra loro. In quell'apparente babele di messaggi, tutto si svolge in realtà come in una perfetta stazione di smistamento, senza possibilità di disguidi. Ogni spermatozoo è attratto esclusivamente da un ovulo della sua stessa specie. E i coralli si sposano sincronicamente in un rito collettivo grandioso e impressionante. Il fenomeno si alterna con la normale riproduzione asessuata per gemmazione e porta alla diffusione territoriale dei coralli. Non si parla qui del corallo nobile con cui si fanno monili e collane, bensì dei coralli costruttori o madrepore. Sono loro che costruiscono quelle meravigliose foreste pietrificate dalle mille fogge e dai mille colori che formano il reef. Sono celenterati, parenti delle meduse e degli anemoni di mare e appartengono all'ordine dei Madreporari. Dopo questa precisazione, riprendiamo la love story dei coralli costruttori. L'uovo fecondato dà origine a una larvetta ciliata che esce dalla bocca del genitore e inizia da questo momento la sua vita avventurosa. Si credeva finora che queste larvette piccolissime fossero incapaci di nuotare e venissero sballottate dai movimenti dell'acqua, come minuscoli fuscelli in balia delle onde e delle correnti. Si pensava vagassero passivamente per alcune settimane, fino al momento in cui una piccola percentuale di quella folta schiera di larve riusciva casualmente a trovar casa sulla scogliera. Da quel momento adottava i costumi sedentari dei genitori. Ed ecco invece la sorpresa. Le cose non stanno affatto così. Dobbiamo la sensazionale scoperta all'ittiologo Jeff Leis del Museo di Sydney, agli oceanografi Eric Wolanske e Peter Doherty, nonché alla studentessa Ilona Stobutzki dell'Università James Cook di Town sville. Cosa hanno scoperto questi studiosi dopo anni di appostamenti e ricerche? Hanno scoperto che le larve dei coralli non sono affatto quegli esseri passivi e inerti che abbiamo sempre creduto. Benché spesso siano affarini minuscoli, lunghi soltanto pochi millimetri, sono degli autentici campioni di nuoto dotati di una insospettata resistenza. Non si lasciano trascinare dai vortici delle correnti. E' come se sapessero che debbono trovare nell'immensità dell'oceano un piccolo scoglio a cui ancorarsi per poter completare il loro ciclo vitale. Nelle acque della Grande Barriera corallina e al largo dell'atollo Rangiroa, nella Polinesia francese, Leis e la sua equipe hanno studiato più di cinquanta specie appartenenti a quindici famiglie diverse. Ed ecco cosa hanno scoperto. Un pesce giovanetto può mantenere una velocità di 20,6 centimetri al secondo che equivale a quasi l4 volte la sua lunghezza corporea ogni secondo. E' come se un campione olimpionico umano coprisse i cento metri in tre secondi. Le larve più grosse, come quelle dei pesci chirurgo, nuotano più velocemente. Ma, fatte le debite proporzioni, quelle di alcuni pesci più piccoli compiono raid stupefacenti. C'è ad esempio un minuscolo pomacentride che copre in un secondo un percorso equivalente a cinquanta volte la lunghezza del suo corpo. Il campione dei campioni è però un pesce soldato (gen. Myripristis) inseguito dai sub al largo di Rangiroa, che ha nuotato per dieci minuti alla velocità di 56 centimetri al secondo e nello sprint finale è riuscito a seminare gli inseguitori umani. La cosa più strabiliante emersa da queste ricerche è che i giovanissimi pesci hanno il senso della direzione e sono in grado di percepire la presenza degli scogli corallini almeno a un chilometro di distanza. Si è visto che le larve arrivano sullo scoglio dopo il tramonto, nell'ora in cui i grandi sciami di pesci mangiatori di plancton - i loro più temuti nemici - sono andati ormai a dormire. E scelgono le notti di luna nuova quando regna la maggiore oscurità. Ma non c'è tempo da perdere. Al più presto possibile debbono trovare un rifugio sicuro: il pesce pagliaccio ad esempio si affretta a nascondersi tra i tentacoli mortali di un anemone di mare al cui veleno è immune. Quando spunta il mattino, i poveretti che non sono riusciti a trovare un nascondiglio efficiente hanno la sorte segnata. Finiscono in pasto alla folla di predatori che li attende. Non c'è dubbio quindi che le larve dei pesci tropicali siano ottime nuotatrici e «sentano» a che distanza si trova lo scoglio in cui possono insediarsi per continuare il loro sviluppo. C'è da domandarsi quale senso le guidi in questo prodigioso viaggio mirato. Gli studiosi escludono che possa far loro da guida il sole o il campo magnetico terrestre. Ed escludono anche che le possa guidare la vista, perché la meta è ben al di là del loro campo visivo. Allo stesso modo non ritengono che li possa aiutare l'olfatto, per quanto sia l'olfatto che consente al pesce pagliaccio di trovare l'ospite in cui insediarsi. Rimane soltanto l'udito. Per la verità, non si hanno conoscenze sulle capacità auditive delle larve dei pesci. Sta di fatto però che le scogliere coralline sono molto rumorose. C'è il frangersi delle onde contro gli scogli e ci sono i rumori prodotti da molti abitanti della scogliera. Come quelli che fanno ricci di mare o pesci pappagallo sgretolando il corallo, come i suoni prodotti da molti pesci sfregando le mascelle o tamburellando con certi muscoli le loro vesciche natatorie. Si è poi scoperto nelle acque tropicali un misterioso coro notturno che ha picchi di intensità nelle notti estive senza luna. Ed è proprio in corrispondenza di questi picchi che le larve raggiungono gli scogli corallini. Non è detto però che per raggiungerli debbano percorrere alla cieca centinaia di chilometri. Nuotano soltanto per poche decine di chilometri seguendo con sicurezza «le vie maestre» che li collegano tra loro. Isabella Lattes Coifmann


SCIENZE DELLA VITA. MEDICINA Il Nobel alla scoperta dei prioni
Autore: DI AICHELBURG ULRICO

ARGOMENTI: MEDICINA, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: PRUSINER STANLEY
ORGANIZZAZIONI: PREMIO NOBEL PER LA MEDICINA
LUOGHI: ITALIA

GLI acidi nucleici Dna e Rna sono considerati il minimo comune denominatore della vita: gli organismi viventi, anche se estremamente diversi sia come specie sia come individui, sono tutti caratterizzati dal possedere un genoma costituito da acido nucleico. In altre parole ogni organismo contiene acidi nucleici che ne definiscono l'identità. Ma ecco che un agente infettivo chiamato prione sembra essere la straordinaria eccezione alla regola. L'americano Stanley B. Prusiner, al quale è stato conferito nei giorni scorsi il Nobel per la medicina, studiando una infezione delle pecore e delle capre denominata scrapie, dimostrò che un misterioso agente eziologico era attivo mediante una proteina, e a questa «particella infettiva proteica» diede il nome di prione. In seguito si accertò trattarsi d'una glicoproteina di dimensioni 100 volte inferiori a quelle dei virus più piccoli, di un diametro di circa 5 nanometri cioè di 5 miliardesimi di metro. Negli organi infetti le microfotografie elettroniche rivelano particelle a forma di bastoncelli, che sono aggregati di prioni. In sostanza l'infettività del prione si identifica con una proteina senza acido nucleico. Questo non significa necessariamente che il prione violi il dogma centrale (i risultati di ricerche recenti favoriscono ipotesi meno eretiche, l'acido nucleico potrebbe anche essere nascosto da una struttura circostante o essere presente in quantità troppo piccole per essere rilevato), ma è indiscutibile che il suo modo di riprodursi è eccezionale. Qualche infezione della specie umana potrebbe essere causata dai prioni. Si tratta d'un gruppo di malattie designate come «encefalopatie spongiformi», con una sintomatologia progressiva a carico del sistema nervoso (come la scrapie), insorgente dopo un periodo di incubazione molto lungo, di mesi o di anni, talora decenni. Abbiamo il kuru, scoperto negli Anni Cinquanta in tribù della Nuova Guinea praticante una forma di cannibalismo rituale in cui il cervello d'un parente deceduto veniva mangiato come atto di omaggio. Un'altra è la malattia di Creutzfeldt-Jakob, con lesioni cerebrali simili a quelle dell'encefalopatia spongiforme bovina («mucca pazza»). Dello stesso tipo è la sindrome di Gerstmann- Straussler-Schenker. Un legame con la mucca pazza per ora non è dimostrato, comunque l'Organizzazione mondiale della sanità esercita un'attenta sorveglianza. Vi è l'ipotesi che anche il morbo di Alzheimer possa essere causato da un'infezione di prioni, tesi tuttavia molto discutibile anche perché l'Alzheimer non è trasmissibile. Volendo riassumere le nostre conoscenze a tutt'oggi, le malattie spongiformi hanno queste caratteristiche: una latenza clinica e biologica anche di anni; manifestazioni cliniche esclusivamente a carico del sitema nervoso centrale, con una lenta evoluzione progressiva senza remissioni; lesioni anatomo-patologiche caratteristiche; nessun indice della presenza di microorganismi conosciuti; nessuna reazione immunitaria come formazione di anticorpi o altro; nessun mezzo di terapia; trasmissibilità mediante inoculazione negli animali di ultrafiltrati cerebrali. Accanto all'ipotesi dei prioni di Prusiner ve ne sono altre, ma per il momento la causa delle encefalopatie spongiformi rimane misteriosa. Come sovente accade in medicina, la verità appartiene probabilmente alla sintesi delle diverse alternative finora proposte. Ulrico di Aichelburg


SCIENZE DELLA VITA. SE NE DISCUTE A MONTECARLO Al bando le bistecche di balena? Il 49o congresso dell'International Whaling
Autore: NOTARBARTOLO DI SCIARA GIUSEPPE

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ECOLOGIA, CONGRESSO, CACCIA, ANIMALI, MARE
ORGANIZZAZIONI: INTERNATIONAL WHALING
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, MONACO, MONTECARLO

E' in corso da lunedì a Montecarlo il 49o congresso della International Whaling dell'Unione Europea (con l'unica vistosa eccezione rappresentata dall'Italia), si affronteranno in due opposti schieramenti: chi vuole che la caccia alla balena continui, e chi vuole vederla finire. Da un lato Giappone e Norvegia, fiancheggiati da uno stuolo di microscopici Stati dei Caraibi e del Pacifico (le cui economie sono pesantemente influenzate dagli aiuti nipponici), che mordono il freno per ottenere continui aumenti delle quote di caccia. Dall'altro praticamente tutti gli altri, in prima fila Australia, Nuova Zelanda, Stati Uniti e Stati dell'Unione Europea, che sostengono che la caccia industriale alla balena sia pratica antiquata e crudele, retaggio di un tempo lontano in cui il mare era infinito e l'uomo dipendeva in larga misura dalle sue risorse per sopravvivere. Chi difende la baleniera difende innanzitutto un'industria molto redditizia, visti i prezzi da capogiro che una bistecca di balena raggiunge sul mercato oggi più dinamico, cioè quello di Tokyo. Inoltre, difende una tradizione, che vedrebbe da tempo immemorabile l'uomo lottare contro gli elementi del mare per trarne sostentamento. Infine, sostengono gli alfieri dell'arpione, l'unica specie di balena oggi cacciata industrialmente, la balenottera minore, è talmente abbondante in tutto il mondo che il migliaio circa di esemplari oggi macellati in un anno costituisce una percentuale minima, quindi insignificante, del totale. La storia è ben diversa se vista dall'altra parte. L'argomento della tradizione non tiene in Norvegia, dove la caccia alla balena è iniziata negli Anni 30 per rifornire di carne gli allevamenti di volpi da pelliccia, così come tiene male in Giappone, dove la caccia industriale in grande stile mosse i primi passi nel dopoguerra per opera del generale MacArthur, per fornire proteine alla popolazione provata dal conflitto. Inoltre, si tratta di un'attività in cui il carattere voluttuario che oggi possiede il prodotto male si concilia con la crudeltà con cui viene ottenuto, visto che la pratica dell'uccisione di una balena in mare raramente possiede quel carattere di istantaneità tipico della macellazione, per esempio, dei bovini al mattatoio. La caccia legalizzata è la punta dell'iceberg di uno spaventoso traffico illegale di carne di specie protette, complici sia il carattere difficilmente controllabile dell'attività, sia la scarsa o nulla volontà di esercitare reali controlli da parte di gran parte delle nazioni baleniere. E ancora: la pratica di guadagnare vendendo carne di balena è inconciliabile con quella del guadagnare portando i turisti a vedere quelle vive: un'attività, quella del whale-watching, in vertiginoso aumento in tutto il mondo (con oltre 500 milioni di dollari generati nel 1994), il più delle volte di alto valore educativo, e che non consuma la sua ragion d'essere. Il principale problema costituito dall'urto frontale tra i due schieramenti è che non esiste al mondo un organismo con l'autorità di imporre ad alcuno Stato di non cacciare le balene. Giappone e Norvegia oggi cacciano nella piena legalità delle regole previste dalla Convenzione per la regolamentazione della caccia alla balena; tuttavia, approfittando della loro maggioranza, le nazioni conservatrici da tempo introducono, anno dopo anno, limitazioni che rischiano di far uscire dalla Convenzione le nazioni baleniere, spingendo pericolosamente verso una deregulation che nessuno veramente vuole. Lo stallo potrebbe essere risolto da una rivoluzionaria proposta presentata quest'anno dall'Irlanda, consistente nel bando totale al commercio internazionale di prodotti derivanti dalla baleneria, nell'istituzione di un «santuario globale» in tutte le acque mondiali fuori dalla giurisdizione dei singoli Paesi, e nella scomparsa definitiva degli ambigui permessi di caccia «per motivi scientifici». Questa proposta sembrerebbe incontrare tanto il favore dei balenieri, che potrebbero così continuare a cacciare nelle loro acque territoriali e commercializzare la carne di balena, anche se solo entro i propri confini, tanto degli ambientalisti più pragmatici, che vedrebbero scomparire definitivamente la grande caccia industriale e aumentare l'estensione geografica del mare protetto. A questo storico processo, iniziato proprio sulla soglia di casa e «con vista» sul santuario per le balene del Mar Ligure, proprio da lei proposto, l'Italia purtroppo non partecipa. La legge che ne sancisce l'ingresso nella Commissione baleniera al fianco degli altri Paesi d'Europa, approvata in Senato mesi fa, non è ancora stata pubblicata, e la relega ingiustamente nel ruolo di spettatore. G. Notarbartolo di Sciara Presidente Icram


SCIENZE A SCUOLA LE PAROLE DELL'INFORMATICA - B
AUTORE: MEO ANGELO RAFFAELE, PEIRETTI FEDERICO
ARGOMENTI: INFORMATICA
LUOGHI: ITALIA

BACKUP. Con questo termine si indica la creazione di una copia di riserva dei file del calcolatore. E' una operazione molto semplice, che può evitare grossi guai. Un guasto al calcolatore, un vi rus o un intervento scorretto possono rovinare irrimediabilmente un file distruggendo il nostro lavoro di settimane o di mesi, se non abbiamo avuto l'accortezza di crearne una copia e di conservarla in un luogo sicuro. Il termine viene usato in riferimento alla copia di tutti i file di un hard disk, ma normalmente ci si limita alla creazione delle copie dei file più importanti. E' un operazione trascurata dai neofiti, fino a quando non provano sulla loro pelle che cosa significhi assitere, impotenti, alla distruzione del proprio lavoro. Per le copie dei file si usano generalmente floppy disk, il supporto più economico, ma per operazioni di backup importanti si usano anche nastri, hard disk removibili oppure cd riscrivibili. E' buona abitudine programmare un piano di backup, rispettandone scrupolosamente regole e scadenze. Il concetto di backup o «riserva» si applica anche in altri contesti. Ad esempio, un calcolatore il cui funzionamento sia critico per la sicurezza o la continuità di lavoro di un impianto viene spesso affiancato da uno o più calcolatori di backup, pronti a subentrare al primo quando questo si guasta. Analogamente, una linea per la trasmissione di dati da un calcolatore a un altro può essere dotata di backup costituito da una seconda linea che vada dalla stessa sorgente alla stessa destinazione, qualche volta su un percorso diverso, per maggiore affidabilità. Il backup è definito «caldo» quando la sua attivazione è immediata ed è considerato «tiepido» o «freddo» a seconda del tempo necessario per diventare operativo.


SCIENZE A SCUOLA. CHE COSA C'E' DENTRO IL COMPUTER Un cuore da 200 milioni di battiti al secondo In vent'anni il microprocessore del pc è diventato mille volte più veloce
Autore: MEO ANGELO RAFFAELE

ARGOMENTI: INFORMATICA, ELETTRONICA
LUOGHI: ITALIA

ABBIAMO visto nelle due puntate precedenti che quell'autentico miracolo che è il personal computer è opera di alcuni santi della tecnologia. Il primo è il Santo Ragnetto del Silicio, un microcircuito integrato che deriva il suo nome dal fatto che i piedini sono spuntati su tutti i lati del suo corpo, divenuto a sezione quadrata. E' il microprocessore, un vero e proprio calcolatore - unità di calcolo, unità di controllo e un po' di memoria - realizzato in un unico «chip» delle dimensioni di un cioccolatino. Il microprocessore di oggi, tipicamente un Pentium, ha un cuoricino che batte 200 milioni di colpi al secondo (200 Mhz o «megahertz») equivalenti a più di 100 milioni di istruzioni al secondo, quasi mille volte più dei personal computer della prima generazione di meno di venti anni fa. Il secondo è il Santo Centopiedi della Memoria Veloce, il circuito integrato utilizzato nella Ram del personal computer. E' questa la memoria centrale del calcolatore, quella dove risiedono i programmi in fase di esecuzione e ove sono memorizzati i dati che devono essere letti e aggiornati molto frequentemente. Oggi i tempi di lettura o scrittura di un dato nella Ram sono dell'ordine delle decine di miliardesimi di secondo e la sua capacità deve essere almeno pari a 8 Mb (o «megabyte»), ossia 8 milioni di caratteri. Vengono poi i Santi Dischi del Magnetismo. Vi è un frate minore, il floppy disk, che ha capacità di 1,44 Mb, relativamente piccola, ma sufficiente per il trasferimento, più o meno legale, di dati e programmi da un calcolatore ad un altro. Il frate maggiore, l'hard disk, ha oggi capacità molto più alte, dell'ordine dei Gb (o «gigabyte»), ossia dei miliardi di caratteri. Entrambi i Santi del Magnetismo sono molto lenti rispetto alla Ram. Il tempo medio necessario perché la testina si sposti nella posizione voluta è di alcuni millesimi di secondo, centomila volte di più del tempo di lettura o scrittura di un dato nella Ram. Così la memoria magnetica è usata come una cantina lontana e scomoda, ma molto capace, ove conservo tanta roba che non posso tenere in casa perché non avrei lo spazio necessario. Tutto questo discorso potrebbe indurre il lettore alla convinzione che un calcolatore sia fatto prevalentemente da hardware («roba dura» , «ferramenta», secondo il vocabolario inglese), ossia da apparati elettronici o elettromagnetici, o oggetti meccanici. Questa idea sarebbe assolutamente falsa. Vi è un forte dualismo nel mondo dell'informatica che si sta progressivamente spostando in ogni comparto industriale e sta mutando drammaticamente le regole della competizione economica. E' il dualismo corpo-anima, hardware-software, tecnologia «dura» - tecnologia «soffice». Generare anime è molto più difficile che produrre corpi. Dio creò l'intero universo in cinque giorni senza dar segni di stanchezza, ma il sesto giorno, dopo aver soffiato sul volto di Adamo, si sentì improvvisamente spossato e smise il lavoro. Il software di un personal computer, ossia l'insieme dei programmi senza il quale i miracoli dei Santi Tecnologici servirebbero a ben poca cosa, è fatto da molti milioni di istruzioni, per un investimento globale dell'ordine delle centinaia di migliaia di miliardi, una cifra sufficiente ad accontentare insieme Prodi, Dini e Bertinotti per molte decine di finanziarie. Il cuore di questa montagna di software è il sistema operativo, ossia i programmi che sono venduti insieme all'hardware e che sono strettamente necessari per il suo funzionamento. I programmi del sistema operativo fanno molte cose importanti, che tuttavia interessano poco l'utilizzatore del calcolatore. Ad esempio, vi è un sottoinsieme di programmi che vigilano sulla tastiera e traducono il numero d'ordine del tasto nel carattere corrispondente e vi è un altro insieme di programmi che traducono i dati da visualizzare in uscita in opportuni comandi per un ragnetto specializzato, «il video controller», che pilota il video colorando, uno per uno, i quadretti elementari di ogni immagine. Oltre a queste attività invisibili, il sistema operativo colloquia con l'operatore dal quale riceve i comandi elementari che controllano le macroattività del sistema. Ne parleremo la prossima settimana. Angelo Raffaele Meo Politecnico di Torino




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