TUTTOSCIENZE 15 settembre 93


ALIMENTAZIONE Ecco il menù dei cibi a rischio Viaggiatori, attenti al batterio Shigella Sonei
Autore: CALABRESE GIORGIO

ARGOMENTI: ALIMENTAZIONE, MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 044

I calciatori americani, oltre ai problemi dei Mondiali del ' 94, qualche tempo fa hanno dovuto affrontare anche il grave problema di una diarrea terribile e misteriosa. Casualmente si è scoperto che questo sintomo si manifestava dopo le trasferte in aereo. Un gruppo di epidemiologi di Minneapolis ha scoperto che si trattava di shigellosi, una malattia che si prende a tavola, indotta dalla Shigella Sonei, un enterobatterio patogeno. Dopo che la notizia era stata divulgata dai giornali, molti passeggeri della stessa compagnia aerea utilizzata dai calciatori hanno denunciato disturbi intestinali nei giorni immediatamente successivi al viaggio. E' probabile che a causare l' infezione siano stati i panini preparati a terra nella cucina della compagnia aerea, dove le misure igieniche erano nettamente insufficienti. In 8 dei 94 impiegati in cucina è stata riscontrata una serie di disturbi intestinali nel periodo immediatamente precedente l' epidemia. Ciò nonostante, sei di loro avevano continuato a lavorare. Gli alimenti incriminati si possono genericamente classificare, a seconda del rischio, in tre categorie 1) i «frequentemente poco sicuri» tra cui il latte pastorizzato, i frutti di mare crudi e tutti i cibi cucinati in umido e tenuti a temperatura ambiente in regioni tropicali; 2) quelli «occasionalmente poco sicuri» come formaggi, panini, hamburger, insalate miste, frutta lavata male; 3) quelli «raramente poco sicuri», come la frutta sbucciata, gli alimenti tipo sciroppi e gelatine, i cibi cotti a temperatura elevata. A chi soffre di fegato, alle persone che hanno nel sangue pochi anticorpi, a chi ha un tumore o deve assumere molto cortisone, una quantità anche minima di questi cibi può causare infezioni enteriche talvolta gravi. Giorgio Calabrese


PREVISIONI DEL TEMPO In barca occhio al cielo Bollettini meteo, Francia batte Italia
Autore: FAZIO MARIO

ARGOMENTI: METEOROLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 041

UN serio bollettino meteorologico è indispensabile a chi va per mare, anche se ha una buona capacità di leggere i segni del cielo (nubi isolate o in cumuli, strati, cirri, loro direzione e velocità ) e quelli delle correnti, che spesso annunciano le svolte del tempo. Nei nostri mari sono sconosciute le maree importanti, ma il fenomeno delle «acque alte», visibile dal livello del mare su una scogliera, è un indicatore prezioso. Può far capire che a decine di miglia di distanza soffiano venti forti, con probabilità di un loro arrivo nel giro di alcune ore. Ne sanno qualcosa i frequentatori delle Bocche di Bonifacio. Nessuno dovrebbe avventurarsi in mare senza avere una minima conoscenza della meteorologia e senza ascoltare i bollettini. Ma purtroppo la fama dei nostri Meteomar non è molto buona. Sono migliori forse di quelli spagnoli e greci, decisamente inferiori a quelli francesi. Un esempio recente: mattina del 7 settembre in Riviera, cielo coperto, leggero vento da Est. Il bollettino francese «Meteomarine» dà un avviso di burrasca con venti dal settore Est, forza 7 nel Golfo del Leone e in Provenza. In Liguria prevede temporali lungo le coste, venti da Est con rinforzi fino a forza 6. In Corsica temporali, venti da Sud forza 4, tendenza burrascosa con forza 7 e «mer forte» ossia onde fino a 4 metri di altezza. Non è un quadro incoraggiante per chi ha in programma la traversata. Richiede dalla costa ligure almeno 15 ore in condizioni favorevoli. Quel bollettino deve far riflettere anche chi vorrebbe navigare lungo costa verso Cannes e le isole provenzali. Da Saint Tropez il «repondeur automatique» parla di forza 6 7 da Sud Est e con mare agitato. Al largo si sta formando una grossa «houle», onda lunga. Confronto immediato col bollettino nautico del Servizio meteorologico dell' aeronautica comodamente accessibile per telefono formando il 196. Sorpresa: sono le ore 10 del 7 settembre e viene trasmesso il bollettino delle ore 18 del 6 settembre, nettamente diverso da quello francese. Temporali previsti: nessuno. Burrasche: nessuna. Mar Ligure vento Nord Ovest forza 3 tendenza Sud Ovest forza 4, poco nuvoloso. Lo stesso giorno un bollettino di fonte privata prevedeva tra Liguria e Capo Corso Sud Est 15 nodi con rinforzi e mare molto mosso. Se il 196 lascia a desiderare, le cose non vanno molto meglio con i Meteomar diffusi per radio. I più dettagliati e precisi, in teoria, sono quelli trasmessi in Vhf dalle stazioni costiere su determinati canali (in genere 25, 26, 27) a ore fisse. Ma non tutte le imbarcazioni sono dotate di radiotelefono e la ricezione è spesso difficile o addirittura impossibile quando esistono ostacoli, un promontorio o gli edifici di un porto. Lo stesso Meteomar viene trasmesso in modulazione di frequenza da 18 stazioni costiere (solo 4 volte nelle 24 ore) ma l' ascolto è spesso problematico. C' è infine il Meteomar della Rai, che va ascoltato con una buona dose di prudenza. Il servizio Meteo France è molto più completo e articolato del nostro; soprattutto è concepito per chi naviga su imbarcazioni da diporto, non su transatlantici o navi commerciali. Offre informazioni molto dettagliate per zone e previsioni altrettanto dettagliate a breve (anche 5 ore) e a lungo termine (fino a 5 giorni). In Vhf si ricevono bene, alle 7, 33 e alle 12, 33 (ora legale), gli utilissimi bollettini diffusi da Grasse Radio (canale 2) e Monaco Radio (canale 22) con previsioni dalla Provenza a Mentone e alla Corsica. Radio France Inter diffonde «la Meteo» alle 10, 05 e di sera alle 20, 05. Per telefono altri bollettini costieri, altri ancora vengono trasmessi da stazioni in Blu (occorre una radio ricevente su banda laterale). I punti deboli del nostro servizio meteorologico stanno nel sistema di diffusione e nella elaborazione affidata all' Aeronautica militare sulla base di informazioni locali a volte generiche e non raccolte col fine di soddisfare le esigenze della navigazioni da diporto. Le osservazioni costiere sono fatte in località non sempre idonee (esempio, un aeroporto) e molto distanti tra loro. Livorno Radio offre su Canale 26 Vhf, osservazioni meteo costiere a Capo Mele, Genova, Civitavecchia, Ponza, Capo Bellavista Può andar bene per una nave traghetto ma non per l' equipaggio di una barca a vela che deve conoscere la situazione a distanza di poche ore, equivalenti a dieci o venti miglia. Le previsioni, inoltre, sono troppo generiche e non raccordate a quelle francesi. Per non dire dei bollettini televisivi. I nostri Loffredi e Baroni confondono abitualmente Valle d' Aosta, Piemonte e Riviera Ligure quando fanno previsioni sulle regioni nord occidentali, come se il clima di Sanremo e quello di Torino fossero identici. Non pretendiamo dettagli in un sintetico quadro nazionale ma forse qualche parola in meno sulle teorie e sui calcoli matematici potrebbe lasciare spazio a qualche cenno sulla meteorologia delle coste, così diversa dalle Alpi o dalla Padania. Manca infine un servizio di informazione e di consulenza diretto al navigatore da diporto. I francesi (ancora un punto a loro favore) hanno conservato e potenziato i semafori costieri, da non confondere con i fari, che in Italia vengono chiusi e messi all' asta. Dai semafori, situati su capi e promontori, vengono offerte informazioni utilizzabili a richiesta, via radio ed anche per telefono. Non trascuriamo infine i ripetitori automatici che si trovano in ogni porto: premi un pulsante e ascolti «la Meteo». Le nostre capitanerie si limitano ad affiggere fuori dall' ufficio il bollettino. Nei casi migliori sono quelli di società private. La «Portobello» di Loano espone il Meteoservice fornito da Europ Assistance elaborato con l' Istituto Nautico di Trieste e lo trasmette a diverse capitanerie. Ultimo confronto con la Francia: mi trovavo solo in barca a Porquerolles, quando arrivò l' avviso di burrasca forza 8 9 da Mistral, con probabilità di forza 10. Ebbi tempo di raddoppiare le cime di ormeggio e di prepararmi al peggio, ma ero incredulo. La notte era calmissima, non un filo di vento. Mi addormentai. Mi svegliò l' urlo delle raffiche, seguito da un balzo della barca. La previsione era stata perfetta. Mario Fazio


METEOMAR Alla radio con beneficio d' inventario
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 041. Previsioni del tempo

ANCHE per una breve uscita in mare, a motore o a vela, occorre una buona conoscenza della meteorologia. Dobbiamo, anzitutto, saper leggere il cielo. I cumuli, nuvole basse e corpose, sono indicatori importanti: se cambiano forma e si muovono rapidamente annunciano burrasca e venti forti, prevalentemente da libeccio o da scirocco. Se sono fermi e si dileguano in serata annunciano bel tempo. Se coprono interamente il cielo e il barometro scende annunciano cattivo tempo. I cirri, con depressione atmosferica, altrettanto. Generalmente l' alta pressione con aria asciutta fa prevedere venti leggeri, brezze costiere. Queste però possono assumere forza notevole in zone ben conosciute: ad esempio il «coup de ponent» è tipico nelle ore calde lungo la costa tra St. Tropez e Tolone (cade rapidamente al tramonto). Anche il «ponente» sulla costa ligure occidentale e su quella della Corsica settentrionale, tra Capo Corso e Calvi, può mettere in difficoltà piccole barche con equipaggi impreparati. Si annuncia con nuvolette sparse e leggere, in arrivo da Ovest. Con cielo grigio, aria umida e vento da terra, guardarsi dal prendere il mare su tavole a vela, derive, gommoni, o ancor peggio imbarcazioni a remi. Il vento può rinforzare, tanto più dopo la pioggia, rendendo difficilissimo il ritorno a riva. Forte corrente e alto livello delle acque indicano che a distanza spirano venti di burrasca. Quando i gabbiani volteggiano in gruppi e si lamentano il tempo cambia. Ed ecco come trovare i Bollettini del mare diffusi dalla Rai: Rai 1 onde medie ore 6, 40 (domenica e lunedì 6, 48); 22, 44 (sabato e domenica 22, 52); Rai 1 modulaz. freq. ore 6, 40 (dom. e lun. 6, 48); Rai 2 onde medie ore 15, 39 (sab. 15, 45; domen. 15, 32); Rai 2 modulazione di frequenza (Radioverderai) ore 19, 01. I Meteomar regionali in mf sono trasmessi dalle stazioni di Ancona, Augusta, Bari, Cagliari, Civitavecchia, Crotone, Genova, Lampedusa, Livorno, Mazara del Vallo, Messina, Napoli, Palermo, Porto Torres, S. Ben. del Tronto, Trapani, Trieste, Venezia, alle ore 01, 35; 07, 35; 13, 35; 19, 35. I Meteomar in radiotelefonia (Vhf) sono trasmessi sui canali 25, 26 27, delle stazioni di Ancona, Augusta, Bari, Cagliari, Civitavecchia, Crotone, Genova, Lampedusa, Livorno, Mazara del Vallo, Messina, Napoli, Palermo, Pescara, Porto Cervo, Porto Torres Roma, San Benedetto del Tronto, Trapani, Trieste, Venezia, alle ore 01, 35 (o 01, 50); 07, 35 (o 07, 50); 13, 35 (o 13, 50); 19, 35 (o 19, 50).


DIBATTITO IN USA Cercatelo ma per favore non chiamatelo ET Il progetto di caccia all' alieno cambia nome per evitare accuse di sprechi
Autore: BATALLI COSMOVICI CRISTIANO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, PROGETTO
NOMI: DRAKE FRANK, COCCONI GIUSEPPE, MORRISON PHIL
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 041. Extraterrestri

QUEST' anno si sono svolti importanti incontri scientifici internazionali a cavallo tra astronomia e biologia: quello di Belgirate su «Asteroidi, comete e meteoriti», quello di Barcellona sulle «Origini della vita» e quello di Santa Cruz in California proprio sulla «Bioastronomia», cioè sulla nuova disciplina che studia le origini, l' evoluzione e l' espansione della vita nell' universo. Tema centrale sono sempre loro, le comete, che quest' anno hanno però deluso l' aspettativa, propagandata a dismisura, di una pioggia di meteore unica per questo secolo. Le polveri della cometa Swift Tuttle, pur incrociando l' orbita terrestre, non si sono incendiate nell' atmosfera con la strabiliante frequenza del 10 agosto 1863, ma non è detto che ciò non possa avvenire nel 1994 o nel 1995. Pochi però hanno pensato che in quei minuscoli granellini di polvere cosmica con diametri dal millesimo di millimetro a qualche millimetro si potesse celare la chiave della nostra stessa esistenza. Proprio nei congressi scientifici che abbiamo ricordato, ai quali hanno partecipato, oltre agli astrofisici, biologi, chimici e geologi, si è fatta sempre più strada l' ipotesi che le comete siano responsabili dello sviluppo della vita sul nostro pianeta e forse su tutti i pianeti abitabili dell' universo. La Terra non aveva il carbonio e l' acqua sufficienti per lo sviluppo della vita: 100 comete sono bastate circa 4 miliardi di anni fa per fornire tutto il combustibile necessario a questo sviluppo. Il nostro corpo è costituito al 98 per cento dello stesso materiale cometario, vale a dire carbonio, ossigeno, idrogeno e azoto, e proprio nelle stesse proporzioni. Il grosso problema dell' esobiologia rimane però quello di capire come si sia passati dalla materia organica abiotica a quella biotica, processo che ha richiesto meno di 500 milioni di anni, 4 miliardi di anni fa. E qui i premi Nobel presenti a Barcellona (De Duve, Eigen e Miller) hanno fatto capire che si è ben lontani dalla soluzione, anche se con la scoperta dell' Rna e del Dna si sono fatti dei notevoli passi in avanti. Ora si parla anche di Pna, acido peptido nucleico, che dovrebbe fare da ponte fra proteine ed acidi nucleici I risultati ottenuti con il Pna mostrano chiaramente che le molecole aventi la capacità di trasportare l' informazione genetica non hanno bisogno di fosfati o zuccheri, ma possono essere semplici peptidi (composti formati da due o più aminoacidi). La bioastronomia si occupa anche dell' espansione della vita nell' universo e quindi il capitolo della ricerca di altre forme di vita è fondamentale anche se visto con scetticismo da molti scienziati e politici. Negli Stati Uniti il progetto di Frank Drake, ispirato dall' idea dell' italiano Giuseppe Cocconi e di Phil Morrison, di cercare, cioè di captare segnali radio di civiltà extraterrestri evolute sulla lunghezza d' onda dei 21 centimetri della linea dell' idrogeno, va oramai avanti da una ventina di anni con fondi provenienti da fondazioni come la Planetary Society. Finalmente il 12 ottobre 1992 (Columbus Day) il Congresso Americano ha stanziato 100 milioni di dollari per tale progetto imponendo però di cambiare nome (invece di Seti: ricerca della vita intelligente extraterrestre, si chiama ora Hrms: survey a microonde ad alta risoluzione), onde evitare le critiche su inutili sprechi per la ricerca di E. T. Il programma Hrms della Nasa procede ora su due vie: l' ascolto di segnali provenienti su 2 milioni di frequenze a banda stretta da qualche centinaio di stelle simili al Sole e che potrebbero quindi avere un sistema planetario simile al nostro, e una esplorazione completa della volta celeste alla ricerca di segnali pulsati che non siano di origine naturale. Molto interessanti i risultati dei radioastronomi australiani che hanno scoperto sorgenti allineate di radiazioni Maser (Laser a microonde) intorno a varie stelle. Ciò potrebbe rappresentare la prima evidenza della presenza di «protopianeti» o pianeti in via di formazione durante la fase iniziale di collasso gravitazionale. Alla Conferenza di Santa Cruz non sono mancate le note fantascientifiche, fra cui quella del greco Papagiannis che sostiene che bisognerebbe cercare l' evidenza di atomi di trizio emesso da astronavi nucleari extraterrestri che si annidano nel sistema solare esterno. Alla domanda: ma perché dovrebbero nascondersi? Papagiannis ha risposto: «Non vogliono avere guai con i terrestri! ». La Francia è entrata a far parte, dopo Usa e Australia, del progetto Seti con il radiotelescopio di Nancay. Noi cercheremo di fare altrettanto con i radiotelescopi di Medicina e Noto, Cnr e politici lungimiranti permettendo. In ogni caso il 4 ottobre organizzeremo il primo Congresso nazionale di bioastronomia nell' aula magna del Cnr a Roma e i 25 gruppi italiani aderenti presenteranno per la prima volta i loro progetti di ricerca in un settore di sicuro avvenire. Cristiano Batalli Cosmovici Istituto di Fisica dello spazio, Cnr, Frascati


TELECOMUNICAZIONI Il satellite Olympus riposa nell' orbita cimitero con un anno di anticipo
Autore: RAVIZZA VITTORIO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
ORGANIZZAZIONI: EUTELSAT, ESA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 042

OLYMPUS, il grande satellite sperimentale per le telecomunicazioni messo in orbita nel luglio dell' 89 dall' Agenzia Spaziale Europea (Esa) e «perduto» il 12 agosto quando cominciò ad andare alla deriva senza più rispondere ai comandi da terra, giace da qualche giorno nel «cimitero dei satelliti». Fin dal 26 agosto, dopo ripetuti tentativi di recupero tutti andati a vuoto, i tecnici dell ' Esa avevano dovuto accettare l' inevitabile: la missione operativa, che doveva terminare all' inizio del ' 94, è stata chiusa in anticipo. Il satellite era costato mille miliardi di lire con una quota italiana del 30, 6 per cento. Vi avevano lavorato numerose nostre aziende, guidate da Selenia e Aeritalia, poi confluite in Alenia. Olympus non sarà sostituito. All' Esa spiegano che, nonostante la fine anticipata, la missione ha dato i risultati che ci si attendeva e che per il futuro le attività sperimentali svolte su di esso saranno trasferite a satelliti già operativi, come quelli di Eutelsat, o affidate a satelliti specializzati, come per esempio il Drs (Data relay satellite). Il satellite è stato utilizzato per numerosi esperimenti nei campi più avanzati delle telecomunicazioni; ad esempio, per trasmettere dati dalla piattaforma laboratorio orbitante Eureka agli scienziati a terra, e per esperienze di videoconferenza e di giornalismo elettronico con trasmissioni quotidiane attraverso l' Atlantico; un ruolo decisivo, sottolineano all' Esa, è stato svolto nel campo del tele insegnamento. «Oltre cento organismi di dodici Paesi si dice alla sede parigina dell' Agenzia spaziale europea hanno utilizzato Olym pus per mettere a punto trasmissioni che fanno ormai parte della struttura stabile del teleinsegnamento via satellite. Molti di questi programmi sono stati in seguito trasferiti su Eutelsat». Olympus è servito inoltre come banco di prova per numerosi programmi di radio e tv che vengono ormai trasmessi su base commerciale, in particolare Raisat della Rai e Bbc World Service. E stato infine utilizzato per trasmissioni sperimentali di tv ad alta definizione contribuendo a mettere a punto questa tecnologia del futuro. Paradossalmente va anche detto che il capriccioso satellite ha fornito ai tecnici dell' Esa l' opportunità, ovviamente non prevista e non voluta, di farsi una notevole esperienza nella manovra di un oggetto in orbita. Il laboratorio volante era già sfuggito una volta al controllo nell' estate del ' 91. In quell' occasione, dopo averlo «ibernato», averne rallentato i movimenti rotatori anomali e avergli fatto fare un giro completo intorno alla Terra accendendo e spegnendo i piccoli razzi stabilizzatori, i tecnici dell' Esa erano riusciti a riportarlo alla sua posizione e a riattivarlo. Ma gran parte del carburante di riserva era stato consumato. Alla nuova avaria la situazione è apparsa subito critica; i controllori sono immediatamente intervenuti riuscendo a ridurre i movimenti abnormi del satellite, ma alla fine hanno dovuto constatare che il carburante rimasto non sarebbe più bastato per riorientarlo nella posizione di lavoro. Bisognava a questo punto cominciare il delicato lavoro per toglierlo dall' affollata orbita geostazionaria a circa 36 mila chilometri di quota, per collocarlo su un' altra in cui non potesse scontrarsi con i satelliti operativi. Poiché le riserve non erano sufficienti neppure a portarlo su un' orbita più elevata, come avviene di solito, si è optato per una più bassa verso la quale già lo stava portando la deriva; i razzi di bordo sono stati accesi a più riprese fino a portarlo alla nuova orbita sulla quale da qualche giorno sta volando. Per sempre. Vittorio Ravizza


TECNOLOGIA La carta spodestata Avanzano le memorie magnetiche
Autore: BERTOTTI GIORGIO

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, INFORMATICA, ELETTRONICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 042

L' articolo che state leggendo è stato scritto con un comunissimo personal computer ed è archiviato sul suo disco rigido, dove occupa un' area inferiore a un millimetro quadro. Questo è uno dei tanti esempi di quanto la moderna tecnologia offre per l' elaborazione e la memorizzazione di sempre maggiori quantità di informazione: dischetti, dischi rigidi e nastri magnetici, dischi ottici e altro ancora. Le tecniche di registrazione magnetica hanno, in questi dispositivi, un ruolo fondamentale perché consentono di ottenere in modo economico e affidabile un' alta velocità di accesso all' informazione e la possibilità di cancellare e riscrivere ripetutamente nuovi dati al posto dei vecchi. E' dunque interessante vedere come funziona la registrazione magnetica di informazioni e quali possono essere le prospettive di ulteriore sviluppo di questa tecnologia a breve e medio termine. La densità di informazione memorizzabile su dischi magnetici si sta ormai avviando a superare la barriera del milione di bit per millimetro quadro, come dire circa 50 pagine di testo in un quadrato di un millimetro di lato. Siamo di fronte a mutamenti che si prospettano via via sempre più radicali, se teniamo conto che, di tutta l' informazione archiviata nel mondo, solo l' 1 per cento è attualmente archiviato su dischi e nastri, mentre il 4 per cento è su pellicole fotografiche e il restante 95 per cento su carta. Il ruolo predominante che i materiali magnetici hanno nei dispositivi di memoria di massa è legato a una loro particolare proprietà, detta isteresi. Un materiale magnetico si magnetizza quando viene sottoposto all' azione di un campo magnetico esterno. La presenza di isteresi fa sì che la magnetizzazione sopravviva anche dopo che il campo è stato rimosso, diventando così un mezzo permanente per registrare un bit di informazione (campo applicato oppure no). Esistono poi svariati processi fisici che permettono di sondare lo stato di magnetizzazione di un materiale, ossia di leggere l' informazione precedentemente scritta. Una breve descrizione delle condizioni operative dei dischi rigidi (o hard disc) attualmente in uso offre una buona illustrazione di quanto questo processo di scrittura lettura possa essere reso rapido ed efficace. In una memoria a disco, l' informazione viene memorizzata in un sottile strato magnetico deposto sul disco. Il disco è in rapida rotazione (3600 giri al minuto, ma si raggiungeranno presto i 7200), in modo da permettere alla testina di registrazione o di lettura di accedere rapidamente a un qualunque punto del disco, in tempi che sono oggi dell' ordine dei 10 millisecondi. Nella testina di registrazione, l' informazione viene scritta sul disco inviando una corrente elettrica di eccitazione in un avvolgimento concatenato con un minuscolo nucleo di materiale magnetico, avente approssimativamente la forma di un anello allungato ed interrotto in un punto, detto gap di registrazione. Quando viene eccitato dalla corrente, il nucleo si magnetizza e crea nel gap di registrazione un campo magnetico che penetra nello strato magnetico sottostante e lo magnetizza a sua volta per un piccolo tratto rettangolare di circa 1 per 25 milionesimi di metro. Ognuno di questi rettangolini rappresenta un bit di informazione. E' evidente che la densità di informazione scritta sarà tanto più grande quanto più il gap è ridotto e la testina è vicina allo strato magnetico sottostante. Nei dischi attualmente di uso quotidiano, il gap di registrazione giunge a valori di circa 0, 5 millesimi di millimetro e la testina, posta a bordo di una minuscola navicella (slider) di forma aerodinamica appositamente studiata, «vola» sul disco a una velocità relativa di alcuni metri al secondo, mantenendosi a una altezza dal disco di circa 0, 3 millesimi di millimetro. Importanti miglioramenti nella preparazione di dischi e testine sono stati introdotti negli ultimi anni con l' impiego delle tecniche di deposizione di film sottili, tecniche che permettono di realizzare configurazioni di notevole complessità e al tempo stesso di dimensioni microscopiche. Le testine di registrazione a film sottile vengono realizzate con successive deposizioni di film con diverse caratteristiche magnetiche ed elettriche, in modo da ottenere, in un unico sandwich compatto, il nucleo magnetico di ferro nichel con il suo gap di registrazione, la pista a spirale di rame per la corrente eccitante e le zone di isolamento elettrico tra queste strutture. Il disco si presenta come una complessa struttura a strati con diversa funzione Lo strato magnetico, di spessore tipico di 50 miliardesimi di metro, è deposto su di un substrato che fornisce la necessaria rigidezza meccanica, ed è protetto da uno strato di carbonio anti abrasivo e anti corrosivo perfettamente liscio (uniformità superficiale di circa 4 miliardesimi di metro, vale a dire alcune volte le dimensioni atomiche! ). Questi rappresentano un' istantanea di un quadro in evoluzione incalzante. La ricerca di nuovi materiali e di nuovi metodi di progettazione di slider e testine, lo sviluppo di tecniche di miniaturizzazione sempre più avanzate, il progredire, accanto a quelle puramente magnetiche, di tecniche di registrazione magneto ottica, basate sull' azione combinata di testine magnetiche e di luce laser, e molto altro ancora stanno preparando innovazioni che renderanno quest' articolo ben presto superato. Giorgio Bertotti Istituto Galileo Ferraris, Torino


ASSEGNATA DA TRE NOBEL Al fisico Sergio Ferrara la Medaglia Dirac per l' idea della supergravità
Autore: P_B

ARGOMENTI: FISICA, PREMIO
PERSONE: SALAM ABDUS
NOMI: SALAM ABDUS
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 042

E' una delle tante anomalie italiane. I premi letterari, anche i più screditati, occupano intere pagine sui giornali e ottengono dirette televisive, pur nel completo disinteresse del pubblico reale. I premi scientifici, per quanto prestigiosi, passano inosservati. Persino i Nobel sui nostri giornali vengono liquidati con poche righe. Non ci sono molte speranze di liberarci dal fastidioso ronzio che circonda «Strega», «Campiello» e affini. Vorremmo però almeno per una volta fare eccezione e parlare di un premio scientifico. La Medaglia Dirac, forse il più ambito riconoscimento a cui possa aspirare un fisico teorico dopo il Nobel è stata assegnata quest' anno a un nostro ricercatore, Sergio Ferrara. E con lui a Daniel Freedman e a Peter van Nieuwenhuizen. Motivazione: il loro contributo alla teoria della supergravità. Tre Nobel fanno parte della commissione che assegna la Medaglia Dirac: Salam (Centro di Fisica teorica di Trieste), Yang e Schwinger (Università di California a Los Angeles). Sergio Ferrara, che lavora nella Divisione Teorica del Cern di Ginevra, è il primo italiano a ricevere questo riconoscimento. L' idea di fondo della fisica moderna è che le quattro forze fondamentali gravità, elettromagnetismo, interazione debole e interazione forte ad altissimi livelli energetici siano una cosa sola e che tutte abbiano una natura quantistica. Mentre l' unificazione tra elettromagnetismo e interazione debole è ormai un fatto acquisito, l' unificazione dell' interazione forte è ancora soltanto indiziaria. Quanto alla forza gravitazionale, la miglior teoria per avvicinarsi all' obiettivo è quella della supergravità suggerita nel 1976 appunto da Ferrara, Freedman e Nieuwenhuizen sulla base delle teorie supersimmetriche di Wess e Zumino. Fu, quello, il primo passo verso una teoria quantistica della gravità, peraltro ancora lontana dal traguardo. Il concetto di superstringa unito a quello di supergravità promette però di dare buoni risultati, e anche su questo Ferrara ha lavorato, con Cremmer, Girardello e Van Proeyen. Molto stretta la collaborazione tra Ferrara e l' Università di Torino (Riccardo D' Auria, Pietro Frè ).


METODO GIAPPONESE Sterilizzare con la pressione La nuova tecnica è migliore della pastorizzazione
Autore: FURESI MARIO

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, TECNOLOGIA, ALIMENTAZIONE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 042

I giapponesi hanno inventato un processo di sterilizzazione per alimenti liquidi molto più rapido e semplice della pastorizzazione La pastorizzazione è il processo ideato a metà del secolo scorso da Louis Pasteur per sterilizzare le bevande e ancora oggi seguito per sterilizzare latte, succhi di frutta e altro. Il pregio di questo sistema è di evitare il ricorso alla temperatura di cento gradi che, oltre ai microbi, distrugge anche i componenti organici più labili degli alimenti, come albuminoidi e vitamine. Essenzialmente la pastorizzazione consiste nel portare il liquido da sterilizzare alla temperatura di 65 70 gradi, per un tempo variante tra i 15 secondi e i trenta minuti, per poi riportarlo bruscamente alla temperatura ambientale; l' operazione viene ripetuta più volte e il processo dura anche alcuni giorni se la flora microbica comprende spore batteriche. Molto più economico è il sistema ideato dai giapponesi e già applicato dalle loro industrie per la preparazione di succhi di frutta e di marmellate. Il procedimento, che richiama quello dell' autoclave, è di estrema semplicità e consiste nel rinchiudere gli alimenti da sterilizzare in un cilindro d' acciaio dalle pareti molto robuste e munito di un coperchio scorrevole a tenuta stagna; il cilindro viene immerso in una vasca e, mediante una pompa idraulica, sottoposto alla pressione di sei e più kilobar. L' alta pressione distrugge i microrganismi attraverso la disorganizzazione delle membrane delle loro cellule lipide e la snaturazione delle proteine costituenti gli scheletri cellulari nonché con l' inattivazione degli enzimi vitali. E' stato inoltre riscontrato che la pressione agisce anche a livello molecolare provocando la cristallizzazione dei grassi. La ricerca sull' impiego dell' alta pressione per sterilizzare gli alimenti è ancora in pieno svolgimento e sono tra l' altro in corso esperimenti condotti modificando la durata della sovrappressione e combinando questa con altri fattori come la temperatura o il valore del pH (grado di acidità ) o anche impiegando la corrente elettrica. Nei laboratori giapponesi, sempre al fine di migliorare le condizioni degli alimenti, vengono condotte altre interessanti ricerche quali, ad esempio: l' inibizione delle attività enzimatiche, sperimentata sulla carne delle sardine inscatolate al fine di evitarne lo spappolamento; la gelificazione dell' amido, interessante la pasticceria, e l' intenerimento delle carni. Mario Furesi


Scaffale Stewart Ian: «Dio gioca a dadi? », Bollati Boringhieri
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: FISICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 043

PER dare un titolo al suo libro sul caos Ian Stewart ha preso a prestito una celebre espressione di Einstein, ma l' ha ribaltata. Il fondatore della relatività, a dispetto della parola che connota la teoria, voleva a tutti i costi un universo assoluto, deterministico Affermando che «Dio non gioca a dadi», Einstein intendeva dire che per quanto talvolta sfuggano all' uomo facendogli credere al caso, in realtà tutti i fenomeni sono rigorosamente connessi da rapporti di causa effetto. Per questo il probabilismo della meccanica quantistica non fu mai accettato da Einstein se non come una comoda approssimazione operativa. Il tempo però ha lavorato contro Einstein. Non soltanto oggi l' indeterminazione della meccanica quantistica ci appare sempre più sostanziale, ma anche i fenomeni che vanno sotto la categoria del caos suggeriscono che in realtà talvolta Dio gioca a dadi. Tre corpi in moto che si attraggono gravitazionalmente, un rubinetto che gocciola, lo zucchero che si scioglie rimescolando il caffè, il tempo meteorologico sono altrettanti esempi di manifestazioni della natura non riconducibili a schemi deterministici assoluti. Stewart porta a fondo l' analisi del caos come nuovo paradigma scientifico, un paradigma fino a ieri insondabile ma oggi divenuto una attualissima frontiera della fisica grazie a strumenti come il computer e la geometria frattale. La sua conclusione? «Se Dio giocasse a dadi.. vincerebbe».


Scaffale Autori vari: «Le catastrofi», Edizioni Dedalo
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: FISICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 043

L' esplosione di una supernova, l' estinzione dei dinosauri, i terremoti, i cicloni, le grandi carestie: ecco alcuni fenomeni molto lontani tra loro ma accomunati dal fatto di avere tutti quanti connotati catastrofici. Intesa come categoria, la catastrofe è oggi un ben preciso dominio della ricerca scientifica, con le sue leggi e le sue formule matematiche. Questo libro a più mani curato da Janine Bourriau ce ne presenta appunto alcuni campi di applicazione tra i più suggestivi. Gli autori sono notissimi nel loro campo: basti l' esempio di Walter Alvarez che firma il capitolo sull' estinzione dei dinosauri. Il volume fa parte di una bella collana della Cambridge University di cui le edizioni Dedalo hanno già pubblicato tre titoli.


Scaffale Delbruck Max: «La materia e la mente», Einaudi
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: BIOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 043

Premio Nobel per la medicina nel 1969, Max Delbruck tenne nel 1974 ' 75 un corso di venti lezioni al California Institute of Technology. Il tema suonava allora nuovo e strano: «Epistemologia evolutiva». Nelle sue lezioni Delbruck mise in collegamento l' evoluzione del cosmo, della vita, del cervello e della mente, con le sue facoltà cognitive, giungendo a porre il problema del rapporto tra il pensiero e la materia da cui esso emerge. Il corso si reggeva soltanto su appunti. La trascrizione fatta da una allieva ha permesso che quelle lezioni, poi accuratamente rivedute e corrette, arrivassero fino a noi. Einaudi ora ce le presenta in edizione economica.


Scaffale Cossard Guido: «Le pietre e il cielo», Ed. Veco (Cernobbio)
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ASTRONOMIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 043

L' archeoastronomia negli ultimi anni è divenuta quasi una moda culturale: si infittiscono gli studi che mettono in connessione le conoscenze sul cielo degli antichi, i reperti dell' archeologia, i dati antropologici. Guido Cossard ci presenta in questo volume scritto nitidamente e ben illustrato alcuni capitoli della ricerca archeoastronomica che spaziano dall' Irlanda alla Bretagna all' Italia. Pur non essendo un addetto ai lavori, Cossard ha già dato contributi originali a questi studi individuando in Valle d' Aosta un' area megalitica sulla quale ha lavorato anche Giuliano Romano, professore di storia dell' astronomia all' Università di Padova e autore egli stesso di un volume sull' archeoastronomia italiana.


CONVEGNO A TORINO Clan verde Le piante non sono esseri isolati ma associazioni di virus, batteri funghi reciprocamente utili
Autore: SCANNERINI SILVANO

ARGOMENTI: BOTANICA, CONGRESSO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 043

IL complicato rapporto di convivenza che da centinaia di milioni di anni si è instaurato tra le piante e i più svariati microrganismi (virus, micoplasmi, batteri e funghi) che le abitano o vivono nel terreno è alla base degli equilibri ecologici e della produttività agroforestale del nostro pianeta. Una pianta, erbacea o arborea che sia, non è un essere isolato, ma un «complesso» funzionale che integra i suoi «inquilini» e «vicini di casa» microbici. La presenza di questi microrganismi può essere una specie di assicurazione sulla vita (come capita alle piante dei nostri boschi e dei terreni incolti se possono associare in simbiosi alle loro radici funghi che formino le micorrize adatte) o una campana a morto (come capita a una quantità di piante coltivate che incontrano virus e funghi patogeni). Insomma le malattie delle piante possono abbattere una produzione agricola e mandare in crisi un' economia e le «simbiosi mutualistiche» possono ricolonizzare un ambiente abbandonato o salvarlo dal degrado. Così, chi voglia sviluppare al meglio le produzioni agroforestali o difendere concretamente gli equilibri ambientali deve poter riconoscere velocemente, con assoluta sicurezza e a un costo ragionevole, chi la pianta incontra e cosa le stia capitando. Ma le tecniche diagnostiche microbiologiche sono state studiate soprattutto per i microrganismi patogeni per l' uomo e per gli animali, e mal s' adattano a quelli patogeni delle piante e men che meno a quelli potenzialmente favorevoli, sicché è necessario sviluppare tecniche diagnostiche originali e specifiche per l' agricoltura e l' ambiente. Una risposta promettente a questa esigenza può essere l' impiego di biotecnologie avanzate per «costruire» biodiagnostici sicuri e adatti all' impiego pratico: se ne discuterà, tra l' altro, al congresso internazionale «Biotecnologie per l' ambiente e l' agricoltura» organizzato a Torino il 15, 16 e 17 settembre dalla «Fondazione per le Biotecnologie». Sono sempre più numerosi i gruppi di ricerca universitari e industriali impegnati in tutto il mondo nello sviluppo di metodi di biodiagnosi per l' agricoltura e di biomonitoraggio per l' ambiente. Tra questi lavorando senza clamore, in coerenza con l' anima solitamente schiva dei subalpini hanno un posto onorevole anche alcuni gruppi di ricerca torinesi come il Centro di micologia del terreno e il Dipartimento di biologia vegetale dell' Università (inseriti nel gruppo europeo Biomerit e in programmi Cee dedicati a microrganismi del suolo), il Dipartimento di valorizzazione e protezione delle risorse agroforestali (impegnato in programmi multinazionali per produzione di biopesticidi) e l' Istituto di Fitovirologia applicata, che ha una posizione leader per la diagnostica dei virus fitopatogeni. Proprio la diagnosi delle fitopatie causate da virus è un campo attualissimo che può esser preso ad esempio per ricostruire la logica che sta portando ai nuovi test diagnostici per l' ambiente e l' agricoltura. La diagnosi delle malattie da virus viene tradizionalmente effettuata con metodi sierologici che riconoscono il capsidio (involucro proteico) del virus mediante anticorpi opportuni. Negli ultimi anni si è passati dall' uso degli anticorpi policlonali (ottenuti per iniezione in animali di laboratorio di particelle virali purificate immunizzazione e dirette contro il complesso della particella virale) all' uso di anticorpi monoclonali, ottenuti dalla fusione di cellule capaci di riprodursi indefinitamente e linfociti dell' animale immunizzato. Gli anticorpi monoclonali sono diretti contro singole parti (epitopi) della particella virale e sono quindi estremamente più specifici dei policlonali. E' una via ben nota in biomedicina e anche molti virus delle piante sono stati meglio caratterizzati in termini sierologici, i loro ceppi sono stati meglio differenziati e la diagnosi della malattia è divenuta di molto più specifica. Ma negli anni più recenti la biologia molecolare, con le tecniche di clonaggio dei genomi virali, ha fornito alla diagnostica «sonde molecolari» che individuano il genoma virale, presente in alcuni casi anche in assenza di particelle virali complete, e smascherano anche stadi precocissimi delle malattie da virus. Le sonde vengono marcate o con traccianti radioattivi, e possono essere evidenziate per autoradiografia, o con sostanze chimicamente modificate, e allora essere rilevate con reazioni colorimetriche o luminescenti. La sintesi di queste sonde e l' ottimizzazione dei sistemi di rilevazione sono problemi sempre aperti e ogni nuova via analitica può imporre innovazioni di metodo e di tecniche operative. Inoltre le sonde possono essere sintetizzate, quando necessario, sotto forma sia di Dna sia di Rna, a seconda dell' enzima usato per dirigere l' operazione. Così l' operatore può scegliere «cosa» cercare nella pianta sospetta d' essere infetta: il genoma virale, il suo complemento, forme di replicazione del virus o altro che permetta di stabilire lo stato e lo sviluppo dell' infezione. Naturalmente ogni virus, ma anche ogni fungo, ogni batterio, ogni micoplasma, richiede una «sua» sonda. Si è aperto così un campo enorme, e sconosciuto ai più, per le biotecnologie diagnostiche agroambientali. E' un settore di ricerca e di intervento potenzialmente molto ampio: diciamo ampio almeno quanto quello delle applicazioni delle biotecnologie diagnostiche in biomedicina. Se qualcuno vorrà giocare intelletto, iniziativa, finanziamenti per costruire e applicare i nuovi strumenti di biodiagnosi e biomonitoraggio agroambientale, avrà fatto una bella scommessa sull' innovazione. D' altra parte, quando mai la vita non è fatta di scommesse? Al massimo si rischia di perderle. Silvano Scannerini Università di Torino


ETOLOGIA I giganti in amore Elefanti di mare, veri casanova
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ETOLOGIA, ANIMALI
NOMI: CAMPAGNA CLAUDIO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 043

E' un ammasso di carne di tre tonnellate e mezzo che si trascina faticosamente sulla terraferma, ma nell' acqua miracolosamente si trasforma. Diventa un agile nuotatore capace di immergersi sino a grandi profondità con la maggiore disinvoltura di questo mondo. E' l' elefante di mare, così chiamato per il naso del maschio che verso il terzo anno di età diventa particolarmente grosso e si prolunga a formare una corta proboscide, una strana proboscide che l' animale inturgidisce e solleva in atto di minaccia quando è irritato. Ci sono due specie di elefanti di mare, una settentrionale (Mirounga angustirostris) che vive nei mari caldi lungo le coste della California e del Messico e una meridionale (Mirounga leonina) che abita i gelidi mari dell' Antartico. Di quest' ultima si è occupato a lungo uno zoologo argentino dal nome italiano, Claudio Campagna, che ha centrato la sua ricerca sulla popolazione di elefanti marini della penisola Valdes, la penisola che si affaccia sul versante meridionale atlantico dell' Argentina. Dovunque la Mirounga leonina è in declino numerico. La popolazione mondiale, valutata nel l950 a 750 mila individui, ammontava a 475 mila nel l980. Si direbbe che la popolazione della penisola di Valdes rappresenti un' eccezione alla regola. Secondo il censimento effettuato da Mirtha Lewis, del Consiglio nazionale delle ricerche argentino, si è avuto un incremento demografico costante dal l982 ad oggi, per cui la popolazione attuale è di circa 42 mila individui. Pur trascorrendo i tre quarti della loro vita in mare, i Mirounga sono indissolubilmente legati alla terraferma, dove vengono ogni anno per accoppiarsi e mettere al mondo i figli, uno per ciascuna femmina. Nella penisola di Valdes la stagione riproduttiva inizia nel cuore dell' inverno australe, in agosto, con l' arrivo dei primi maschi. Verso la fine di agosto compaiono le femmine che continuano poi ad arrivare sempre più numerose fino al mese di ottobre. Sono tutte gravide. Portano in grembo il figlio concepito in quelle stesse spiagge l' anno precedente e partoriscono una settimana dopo l' arrivo. Allattano il cucciolo per un mese, senza prendere cibo. Naturalmente in quel mese di digiuno e di allattamento dimagriscono a vista d' occhio, perdono circa il quaranta per cento del loro peso. E, per la solita partita di dare e avere tra madre e neonato, quest' ultimo, che pesava una quarantina di chili alla nascita, ne pesa centoventicinque al momento in cui viene svezzato. Negli ultimi giorni dell' allattamento la femmina torna ad accettare di buon grado le profferte amorose dei maschi. I maschi, appena sbarcati in terraferma, si azzuffano ferocemente, suonandosele di santa ragione per accaparrarsi i migliori territori Ci riescono soltanto i più forti e prepotenti che si collocano al vertice della scala gerarchica. Sono i maschi alfa, quelli che si formano gli harem più numerosi, impossessandosi del maggior numero di femmine (sino a quaranta). Da quel momento la vita del sultano, che agli occhi degli ingenui appare la più invidiabile, diventa letteralmente una vita da cani. Il sultano in carica è talmente indaffarato ad accoppiarsi con le molte mogli, nonché a respingere i tentativi di rapina delle femmine da parte dei vicini e soprattutto da parte dei maschi giovani privi di territorio, che non ha nemmeno il tempo di mangiare. Gli accoppiamenti non sono uno scherzo. Nel culmine della stagione degli amori, un maschio territoriale particolarmente vigoroso può accoppiarsi con sei o sette femmine nel giro di un' ora. Quello che gli studiosi battezzarono con il nome di «Casanova» fu visto accoppiarsi 172 volte con 58 femmine nell' arco delle ore diurne. E non si sa quante volte si sia accoppiato nelle ore notturne. Le chances di far l' amore sono direttamente proporzionali al grado sociale. Più il grado è elevato, maggiori sono le probabilità di riuscire ad agganciare una femmina. Perché è lei che decide se un partner le va o non le va. Le femmine generalmente preferiscono accoppiarsi con i maschi dominanti, portatori dei migliori geni per la prole. Così, mentre i maschi alfa si muovono liberamente da un harem all ' altro, facendo facilmente conquiste, quelli diseredati privi di territorio, pur essendo sessualmente maturi, non ce la fanno a riprodursi, a meno che non riescano ad accoppiarsi di soppiatto con una femmina che stia al gioco. Ma se lei al gioco non ci sta, urla come una indemoniata. Il maschio dominante, anche se in quel momento sta facendo l' amore con un' altra femmina, la pianta in asso e accorre con tutta la velocità che gli consente il suo ragguardevole peso. L' audace scapolo deve darsela a gambe al più presto possibile se vuole evitare i morsi e le percosse del marito tradito A metà novembre, la grande orgia è finita. Tutti, maschi e femmine, tornano in mare, dove vanno finalmente a rifocillarsi dopo i lunghi mesi di stress amoroso e di digiuno. E per catturare i cefalopodi, polpi, seppie e calamari, che sono le loro prede preferite, compiono immersioni da record. In certi casi fino a oltre milleduecento metri di profondità. Dopo aver messo su un po' di chili, gli adulti ritornano in terraferma, ma soltanto per la muta, per cambiare pelle. Subito dopo riprendono il mare per sette o otto mesi. Durante la pausa della muta si stenta a riconoscere in quei bestioni apatici e immobili i dongiovanni che qualche mese prima si erano dati tanto da fare. Non c' è in loro ombra di rivalità o di passione. Una sola preoccupazione: quella di surriscaldarsi, loro che sono abituati a vivere nelle acque fredde. Per scongiurare il pericolo, cercano di non muoversi. Così risparmiano energia e riducono al minimo la produzione di calore. Cadono in una sorta di letargo. L' unico modo per sopravvivere. In attesa che si risvegli in loro, dopo il lauto rifornimento di cibo in mare, lo stimolo che li riporterà in terraferma a combattere furiosi duelli e a vivere l' intensa vita amorosa. Isabella Lattes Coifmann


ECOLOGIA A Venezia alghe contro alghe Nella laguna si sperimenta la lotta biologica
Autore: RUSSO SALVATORE

ARGOMENTI: ECOLOGIA, MARE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 043

TEMPI duri per l' Ulva rigida. L' alga gigante, causa principale dell' erosione dei fondali lagunari e dello sviluppo delle mucillagini, ha ora un avversario temibile. Nessuna sostanza chimica, nessun intervento di bioingegneria. Semplicemente un' altra alga, che limita sensibilmente lo sviluppo delle piante acquatiche. Questa pianta «netturbino» del mare, un tempo presente nella zona Sud della Laguna, verrà ora trapiantata in quattro settori del bacino, in modo da fronteggiare le praterie di alghe giganti. La prima area di colonizzazione è vicino a Chioggia, poi si procederà verso l' interno, sino a raggiungere l' isola della Giudecca. Sfoltire il mare dal sovraffollamento di vegetazione non è però l ' unico compito affidato alle alghe rivali dell' Ulva rigida. Servono anche a individuare le aree più degradate. Come? Per capirlo sono bastati una serie di esperimenti di questo genere, già conclusi tra il porto di Malamocco e l' isola del Lazzaretto Vecchio, e in Laguna centrale. Vicino alle bocche di porto, infatti nonostante tutte le cure, le piante non hanno messo radici. Segno evidente secondo gli esperti del Comune che assieme al Consorzio Venezia Nuova seguono la strada ecologica alla salvaguardia della Laguna che non è possibile affidare il riequilibrio del tessuto marino solamente a una specie acquatica. In altre parole, dopo le piantagioni di contro alghe occorre bloccare anche gli interramenti riaprire le valli da pesca, contrastare il moto ondoso e la crescente velocità delle maree. Particolarmente contente del piano «alga contro alga» sono le associazioni ambientaliste. Sembra essere, questa, la prima volta che un progetto riguardante Venezia e la sua laguna mette tutti d' accordo. Sarà vero? Non del tutto, purtroppo. Motivo del contendere, la paternità del progetto di recupero marino. Comune e Consorzio Venezia Nuova sono già ai ferri corti. Salvatore Russo


A BOLOGNA E IN USA Mal d' onda Sta per iniziare la prima ricerca seria sui malesseri dovuti a campi magnetici
Autore: GIORCELLI ROSALBA

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: MALTONI CESARE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 044

SARANNO le prime indagini sperimentali al mondo dirette a valutare in modo approfondito la eventuale pericolosità dei campi elettromagnetici per la nostra salute: all' Istituto di Oncologia dell' Università di Bologna e all' Istituto Nazionale di Scienze Ambientali Mediche degli Stati Uniti saranno condotte due ricerche parallele. A Bologna gli esperimenti cominceranno in autunno e dureranno tre anni; un altro anno sarà necessario per elaborare i dati. Dal 1979 sono state portate a termine in tutto il mondo 65 ricerche epidemiologiche sui rischi dell' esposizione ai campi elettromagnetici. Per quanto riguarda in particolare gli elettrodotti ad alta tensione, nel nostro Paese lo scorso anno sono stati fissati margini di sicurezza ritenuti molto tolleranti sia dalle associazioni ambientaliste sia da alcuni medici: così, anche se per legge sono sufficienti 28 metri di distanza tra una linea ad alta tensione e una casa, sono state elaborate proposte per fissare tale limite ad almeno 150 metri e, dove questo risulti impossibile, per applicare soluzioni tecniche alternative, come l' interramento dei cavi (il cui minore grado di rischio ambientale deve essere comunque ancora verificato). I grossi investimenti necessari sarebbero ricambiati, oltre che da riduzioni nei costi di gestione e manutenzione, soprattutto dalla diminuzione dei casi di leucemie, tumori, malattie nervose e psicosomatiche. Mancano finora i dati sperimentali; la lacuna sta dunque per essere colmata. L' indagine italiana sarà condotta da Cesare Maltoni, direttore dell' Istituto di Oncologia dell' Università di Bologna. «Il problema dice Maltoni è enorme perché viviamo in un mondo elettrificato, nell ' ambiente di lavoro e in quello domestico. Anche se sono più esposte alcune categorie lavorative, i rischi riguardano tutti». Il primo «involontario» studio sugli effetti dei campi elettromagnetici sulla salute risale al 1979 negli Stati Uniti, quando alla dottoressa Wertheimer fu chiesto di osservare le differenze nella storia di bambini colpiti da leucemie e bambini sani: passando al setaccio malattie dei familiari, gestazione, alimentazione di centinaia di soggetti, la ricercatrice non raggiunse conclusioni rilevanti finché notò un grosso trasformatore nelle scale di un caseggiato in una zona popolare, e si ricordò di averne visti molti altri nel corso della sua indagine; scoprì che vari bambini leucemici erano vissuti in case come quella. Ripetendo lo studio sugli adulti registrò una maggiore incidenza di tumori, soprattutto del sistema nervoso. Da allora è stato un susseguirsi di preoccupanti sospetti, che hanno fatto scrivere nella prima versione di un documento valutativo dell ' americana Environmental Protection Agency che i campi elettromagnetici avevano una forte probabilità di essere cancerogeni; il termine «probably» fu però edulcorato in seconda battuta con un «possibly». Ora i ricercatori si propongono di provare sperimentalmente se e in che misura i campi magnetici siano oncogeni e quali tumori possano generare. Negli Stati Uniti saranno esposti a campi magnetici 2000 ratti a cominciare dalle 6 8 settimane di vita; gli animali saranno seguiti per due anni. Nei laboratori di Bologna 4400 animali saranno esposti ai campi magnetici a cominciare dalla vita intrauterina e l' esperimento verrà condotto fino alla loro morte spontanea: quindi durerà 3 anni. «I due esperimenti sono integrabili perché i ratti su cui lavoriamo appartengono a due ceppi diversi spiega Maltoni . Si tratta di animali, in particolare quelli utilizzati a Bologna, che in numerosissimi casi hanno dato risultati molto predittivi degli effetti sugli esseri umani. I ratti saranno esposti a campi da 1000 microtesla fino a intensità pari a quelle che possono interessare l' uomo. Cercheremo di stabilire le dosi minime tollerabili; sulla base di questi dati e di quelli epidemiologici i legislatori fisseranno delle norme. Va ricordato che in genere le patologie si registrano al di sopra di certe dosi, ma il cancro fa eccezione, presentando in questo una componente di casualità, come un cecchino che spari su una piazza: per lo sviluppo del cancro basta che un solo agente arrivi a destinazione, anche in piccola quantità , ma le probabilità diminuiscono abbassando la dose di sostanze tossiche» . Rosalba Giorcelli


RICERCHE A TORINO Caccia al virus mutante Progressi nella terapia dell' epatite B
Autore: BONINO FERRUCCIO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
NOMI: BRUNETTO MAURIZIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 044

I virus sono costituiti da una molecola di acido nucleico, che contiene in forma di codice genetico tutte le informazioni necessarie per il loro ciclo vitale, e da un involucro chiamato capside, costituito di proteine o lipoproteine che proteggono l' acido nucleico virale come in uno scafandro. I virus parassitano gli esseri viventi superiori in quanto per riprodursi hanno bisogno di ambienti biologici organizzati, come batteri, cellule di animali o piante. Qui l' acido nucleico virale agisce come una scheda magnetica che diriga una catena di montaggio, determinando la produzione di un numero indefinito di nuovi virus. Un tempo si credeva che la progenie virale fosse del tutto identica al virus progenitore e che l' evoluzione conseguisse alla selezione naturale di mutazioni avvenute occasionalmente e per errore durante il processo di sintesi dei nuovi virus. Nell' ultimo decennio le tecniche di biologia molecolare hanno permesso di capire meglio i meccanismi di sopravvivenza dei virus. Essi si moltiplicano vertiginosamente organizzandosi in popolazioni eterogenee che si adattano rapidamente alle variazioni ambientali selezionando di volta in volta le varianti virali più resistenti. E' oggi possibile studiare anche le singole componenti di ogni popolazione virale amplificando artificialmente i singoli virus che la compongono e confrontandone le caratteristiche con quelle degli altri virus della stessa popolazione. Studi di questo tipo hanno rivelato che l' eterogeneità delle popolazioni virali è paragonabile a quella delle popolazioni umane. Alcune delle variazioni riscontrate sono state associate a particolari condizioni e fasi del ciclo vitale del virus e si sono rivelate particolarmente utili alla sopravvivenza della popolazione virale. Un tipico esempio di mutazioni utili alla sopravvivenza dei virus sono quelle che determinano variazioni dell ' involucro del virus in modo da non farlo più riconoscere da parte delle cellule del sistema immune dell' animale o dell' uomo. Il sistema immunitario degli animali superiori e dell' uomo si comporta come il sistema di difesa e polizia di uno stato ed è deputato al mantenimento dell' indipendenza e sopravvivenza dell' essere vivente. I virus, come forme viventi semplici e che hanno bisogno di parassitare gli esseri viventi superiori, non causano usualmente la morte o una grave sofferenza delle cellule infettate. Infatti i virus stessi hanno bisogno che le cellule parassitate vivano per permettere la sintesi delle nuove progenie virali. Le malattie virali sono invece molto spesso causate dal tentativo del sistema immune di eliminare gli intrusi e quindi con essi le cellule che li albergano. Una strategia usata dai virus per sfuggire all' eliminazione è il tentativo di passare inosservati, non essere riconosciuti dai linfociti sentinella che pattugliano tutti gli organismi viventi superiori. Per far ciò alcuni virus, come i retrovirus, hanno sviluppato la proprietà di integrare il proprio acido nucleico nell' acido nucleico della cellula infettata. Essi nascondono cioè il loro codice genetico della cellula che li ospita. Un' altra strategia dei virus per sfuggire al sistema immune è quella di cercare di indurre il sistema immune a tollerarli non appena quest' ultimo li riconosca. Un sistema tra i più evoluti ed efficaci è quello utilizzato dal virus dell' epatite B (Hbv) che ha entrambe le capacità suddette. L' Hbv può nascondere il proprio acido nucleico integrandolo in quello della cellula infettata e può indurre tolleranza producendo un eccesso di materiale virale o particelle virali mutanti (almeno 1000 per ogni virus vero e proprio) che distraggono l' attenzione del sistema immune. In questo modo le vere e proprie particelle virali passano inosservate nella moltitudine di falsi virus che circolano nel sangue. Quattro anni fa a Torino, nel Laboratorio del dipartimento di gastroenterologia dell' ospedale Molinette, la mia collaboratrice Maurizia Brunetto ha identificato una mutazione del virus dell' epatite B che ha importanti implicazioni cliniche e ha rivelato la straordinaria abilità di questo virus nello sfuggire all' eliminazione da parte del sistema immune. La mutazione caratterizza un virus mutante, non più capace di produrre una proteina (denominata antigene E), che è molto utile per indurre la tolleranza da parte del sistema immune. La comparsa del mutante e la sua selezione rispetto al virus tipico o selvatico è associata alla reazione antivirale del sistema immune che caratterizza gli episodi epatitici. La comparsa del virus mutante determinerebbe uno squilibrio tra la capacità virale di indurre tolleranza e la reattività del sistema immune e conseguentemente causerebbe la perdita della tolleranza virale. A questo punto la reazione antivirale del sistema immune determina l' eliminazione del virus selvatico mentre il virus mutante è capace di sfuggire al sistema immune. La contemporanea persistenza di replicazione virale e di reazione immunologica antivirale fa sì che nuovi episodi di epatite si susseguano ogni volta che venga riprodotta una nuova progenie di virus selvatico. Ciò contribuisce a mantenere attiva la malattia. Uno studio recente, sempre di Maurizia Brunetto e appena pubblicato sulla prestigiosa rivista Gastroenterology, dimostra come la presenza del virus mutante non sia grave di per sè ma lo diventi solo quando il numero dei virus mutati superi il 20 per cento della popolazione virale totale, causando la mancata risposta alla usuale terapia antivirale con interferone. Alcune conseguenze pratiche di questa scoperta compiuta presso il Dipartimento sperimentale di gastroenterologia diretto da Giorgio Verme sono molto importanti in quanto la ricerca e la determinazione di tale virus nei portatori di infezione cronica da Hbv permette di personalizzare il trattamento in ciascun paziente, iniziandolo nel momento più opportuno cioè quando il rapporto delle popolazioni virali selvatica e mutante sia più favorevole e utilizzando dosaggi e schemi terapeutici diversi in funzione del tipo di popolazione virale. Ferruccio Bonino


ESPERIMENTI A FRASCATI Per stanare tumori al seno Promettente luce di sincrotrone
Autore: BISERO DIEGO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
NOMI: BURATTINI EMILIO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 044

UN gruppo di scienziati guidati dal professor Emilio Burattini ha dimostrato per la prima volta al mondo presso i Laboratori Nazionali di Frascati (Cnr Istituto nazionale di fisica nucleare) che, utilizzando come sorgente di radiazione la luce di sincrotrone, si possono ottenere mammografie di qualità molto superiore rispetto a quelle realizzate con sorgenti convenzionali. La radiazione di sincrotrone non è altro che luce emessa da elettroni e positroni che si muovono a velocità elevata su traiettorie curve, all' interno di acceleratori di particelle. Ha fatto la sua comparsa nel mondo scientifico negli Anni 40, sebbene la sua esistenza sia stata prevista teoricamente alla fine del secolo scorso. Fu osservata per la prima volta in un particolare tipo di acceleratore definito sincrotrone e di qui prese il nome. E' bene ricordare brevemente la curiosa evoluzione storica della luce di sincrotrone, che per certi versi richiama alla mente la fiaba del brutto anatroccolo. Prima di diventare uno dei mezzi più sfruttati in vari campi della ricerca (fisica, chimica, biologia, medicina) ebbe per molti anni un ruolo negativo nello sviluppo degli acceleratori di elettroni. L' emissione di luce di sincrotrone, infatti, provoca una decelerazione delle particelle in moto e costituisce di conseguenza un effetto indesiderato. Si dovette attendere il 1956 perché apparisse un articolo rivoluzionario nel quale, per la prima volta, la luce di sincrotrone venne considerata come un possibile strumento di ricerca e non, come fino a quel momento era successo, come un fastidioso sottoprodotto della fisica delle particelle. Fu la trasformazione in cigno e l' inizio di un nuovo corso. Da allora la comunità scientifica internazionale, grazie al lavoro pionieristico di alcuni ricercatori, si è gradualmente resa conto di avere a disposizione un' autentica manna per lo studio delle proprietà della materia. Le cose sono oggi mutate a tal punto che in alcune parti del mondo funzionano (o si stanno costruendo) acceleratori di particelle con lo scopo specifico di produrre luce di sincrotrone. L' interesse suscitato da questa sorgente di radiazione è dovuto alle sue caratteristiche, che sono assolutamente uniche. Un acceleratore di elettroni, infatti, emette luce di frequenza ben definita (monocromatica) in un intervallo continuo di energie estremamente ampio, che va dalle microonde ai raggi X duri e ai raggi gamma; questo intervallo (ideale per l' analisi della struttura atomica dei solidi, delle molecole e di strutture biologiche) è solo parzialmente coperto dalle sorgenti tradizionali, che sono comunque molto meno intense e focalizzate. Un esempio delle potenzialità della luce di sincrotrone viene proprio dal recente esperimento di Frascati, nel quale è stata usata come sorgente monocromatica di raggi X per ottenere mammografie su campioni di seno contenenti noduli cancerosi. Un confronto con radiografie fatte sugli stessi campioni con sorgenti convenzionali ha mostrato chiaramente che con la luce di sincrotrone possono essere ottenuti un contrasto migliore e una risoluzione molto più elevata. In altre parole, le immagini permettono di individuare un numero maggiore di dettagli e di strutture non rilevabili con gli strumenti convenzionali. Numerosi noduli che sembrerebbero essere uniformi, mostrano strutture interne più complesse nelle radiografie con luce di sincrotrone. In queste ultime, inoltre, la dose di radiazione rilasciata è meno della metà di quella delle mammografie tradizionali. Risultati così importanti devono stimolare i ricercatori a continuare sulla strada appena intrapresa e aprono la prospettiva concreta di progetto e sviluppo di unità specifiche per la mammografia con luce di sincrotrone, da impiegare nella diagnosi precoce dei tumori al seno Diego Bisero Università di Modena




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