NONOSTANTE il fallimento della missione su Marte, i prossimi saranno giorni di grandi imprese spaziali. Mentre la Nasa si appresta alla manutenzione del telescopio spaziale Hubble, a Kourou (Guyana francese) è tutto pronto per il quarto lancio di ««Ariane 5»», il nuovo razzo europeo che, superata la fase di qualificazione, venerdì inizierà con questo volo la vita operativa. Scopo della missione: mettere in orbita il satellite Xmm dell'Agenzia spaziale europea, lo strumento più avanzato per osservare l'universo nei raggi X. Per secoli gli astronomi hanno studiato ciò che si poteva guardare a occhio nudo o con l'aiuto dei telescopi. Ma, oltre alla luce visibile, i corpi celesti emettono altre onde elettromagnetiche: da quelle radio all'infrarosso, ai raggi ultravioletti, X e gamma. Negli ultimi decenni, gli scienziati hanno cominciato a scrutare l'universo anche con apparecchiature sensibili a queste frequenze ed è stato un po' come passare dalla visione di una pellicola in bianco e nero a quella di un film a colori. I raggi X permettono di osservare molto bene fenomeni di immane violenza, come l'esplosione delle supernovae, o i lampi d'energia emessi dalla materia prima di scomparire, stritolata dalla forza di gravità di un buco nero. Ancora, consentono di vedere le "stelle vampiro": nane bianche o stelle di neutroni che divorano letteralmente gli astri troppo vicini, risucchiandoli. L'astronomia ai raggi X è figlia dell'astronautica. Queste radiazioni, infatti, sono assorbite dall'atmosfera ed è possibile osservarle solo dallo spazio. Dal 1970 a oggi, diversi satelliti artificiali sono stati impiegati a questo scopo. Tra questi, l'italiano Beppo-Sax, lanciato nel 1996: il primo capace di scandagliare l'intera banda dei raggi X, dalle basse energie sino alle più alte. Ultimo nato, Xmm ha obiettivi ambiziosi. Con i suoi dieci metri di lunghezza e un peso di 3,8 tonnellate è il più grande satellite scientifico costruito in Europa. Grazie ai suoi tre telescopi potrà vedere meglio e più lontano dei suoi predecessori. Una meraviglia tecnologica, che molti hanno paragonato all'osservatorio orbitale Hubble. Al pari di questo, ha l'aspetto di un cilindro con due pannelli solari simili a delle ali, ma è più snello ed è ricoperto da un rivestimento protettivo nero e lucente. Per questa ragione i tecnici dell'Esa l'hanno ribattezzato affettuosamente Black Beauty, soprannome bandito dai documenti ufficiali (è un peccato, perché suona assai meglio di quella sigla asettica che sta per X-ray Multi Mirror). La caratteristica del nuovo satellite è di poter raccogliere in poco tempo una enorme quantità di raggi X provenienti da una sorgente nello spazio profondo. Un vantaggio importante, dal momento che la possibilità di osservare un corpo celeste dipende dalla capacità di accumulare una quantità sufficiente di radiazioni. Il merito è del particolare disegno dei tre telescopi. Ciascuno di essi racchiude 58 specchi concentrici, distanti pochi millimetri l'uno dall'altro, che formano una specie di cilindro. In realtà le pareti degli specchi sono leggermente curve, in modo da far convergere i fotoni verso un fuoco comune. Grazie a questo schema, lo strumento riesce a catturare il 60 per cento dei raggi X che entrano nel suo campo visivo. La superficie complessiva degli specchi (sottilissimi, sono in nickel con un rivestimento riflettente d'oro) è di 120 metri quadrati: più di un campo da tennis. Oltre alle apparecchiature capaci di registrare i raggi X, il satellite possiede strumenti per esaminare simultaneamente gli stessi oggetti nella luce ultravioletta, visibile e infrarossa. Il confronto fra le diverse immagini, infatti, può essere prezioso per il lavoro di astronomi e astrofisici. Non meno importante della tecnologia impiegata, è l'orbita in cui opererà il telescopio, che sarà fortemente ellittica, con il perigeo a settemila chilometri d'altezza e l'apogeo addirittura a 114 mila chilometri dalla Terra (poco meno di un terzo della distanza che ci separa dalla Luna). Questa traiettoria viene percorsa in 48 ore, 40 delle quali sono spese ben al di là della fascia di radiazioni ad alta energia che avvolge la Terra a circa 40 mila chilometri e che disturberebbe le osservazioni. Una volta nello spazio, Black Beauty sarà a disposizione degli scienziati di tutto il mondo per almeno dieci anni. Due lustri durante i quali, ha detto Fred Jansen, responsabile scientifico del progetto: "Sarà la punta di diamante dell'astronomia, lo strumento dal quale si attendono le scoperte più importanti". Giancarlo Riolfo
UNA nuova squadra di meccanici dello spazio partirà con lo shuttle nel fine-settimana, sabato o domenica (dipende dai problemi dell'ultima ora), per il terzo appuntamento in orbita con il telescopio spaziale ««Hubble»», ma il pioniere resta lui. Alto un metro e 88, baffetti, cinque missioni sullo shuttle, quattro passeggiate nel vuoto cosmico, compresa una d'emergenza, un record di otto ore proprio per riparare il telescopio spaziale Hubble, Jeffrey Hoffman detiene anche un primato meno importante ma che a noi non dispiace: è l'unico astronauta americano a parlare bene in italiano. ««L'Italia era nel mio destino»», racconta Jeff, invitato a Torino dal Centro Studi Csae per un incontro con studenti delle medie superiori. ««Sono nato 55 anni fa a Brooklin, ho frequentato da giovane ricercatore e astrofisico molti centri di ricerca italiani, e soprattutto ho volato in entrambe le missioni del satellite a filo che ospitavano astronauti che portavano la vostra bandiera in orbita»». Ora Jeff, appesa la tuta al chiodo, è ambasciatore Nasa a Parigi, all'Agenzia Spaziale Europea, e seguirà da terra lo svizzero Claude Nicollier, con il quale ha volato in tre delle sue cinque missioni, guidare il team che dovrà sostituire i giroscopi del telescopio e installare nuovi strumenti. ««Già noi con la prima missione del 1993 sostituimmo tre giroscopi. Sono parti fondamentali, permettono il regolare assetto e puntamento del telescopio verso i corpi che si vogliono studiare. D'altra parte Hubble è stato progettato per essere periodicamente restaurato dagli astronauti. La missione che parte domani è complessa come lo fu la nostra, anche perché non si tratta solo di sostituire apparati, ma di rendere Hubble di nuovo operativo»». ««Le analogie con il nostro volo di sei anni fa riguardano anche il momento delicato: questa impresa, come la nostra, giunge al termine di un anno difficile, con i vari ritardi dei voli per la Space Station, con i guai ai cavi difettosi di tutte le navette, con il fallimento di qualche vettore e la perdita della Mars Climate Orbiter. Di noi si disse che realizzammo un spot di successo per la Nasa. Mi sembra che ora sia lo stesso»». ««Hubble è un osservatorio straordinario, che ci sta spalancando un orizzonte nuovo sull'Universo. Merita di funzionare per qualche anno più del previsto»», aggiunge Hoffman. ««La missione sarà complessa, ma sono convinto che ce la faranno. Conosco bene l'addestramento che Claude, assieme a Steve Smith, John Grunfield e Mike Foale hanno svolto in tutti questi mesi: 400 ore immersi nella piscina di Houston a simulare le riparazioni non sono una scherzo. Avranno una scatola degli attrezzi con 200 strumenti, 40 dei quali verranno adoperati appositamente per le riparazioni»». Hoffman guidò nel dicembre '93 la squadra dei primi meccanici spaziali che ripararono il telescopio in orbita. Con la sua tuta bianca di 80 chili, con fasce rosse per distinguersi dal collega Musgrave, ebbe il compito di sistemare un apparato grande quanto una cabina telefonica, che permettesse al telescopio di correggere un difetto di fabbricazione allo specchio principale. ««La seconda missione - dice l'ex astronauta - fu altrettanto complessa, ma rientrava nella serie di manutenzioni previste. Questa sa più di emergenza: i giroscopi fuori uso hanno fatto anticipare il volo. Ha rimpianti dopo una carriera nello spazio? ««Se fossi nato qualche anno prima non avrei disdegnato quattro passi sulla Luna, come fece Schmitt, il primo scienziato di professione sceso sul nostro satellite naturale. Un rimpianto comunque resta: avrei voluto fare un volo di lunga durata sulla Mir: ci ho provato, ma me lo impedirono poiché fui giudicato troppo alto di statura per le tute spaziali russe, che sono di taglia standard...»». Antonio Lo Campo
ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
ORGANIZZAZIONI: ARIANE 5, ELA
LUOGHI: ITALIA
ECCOCI, venerdì, al primo volo operativo del nuovo razzo europeo ««Ariane 5»». Dopo un anno di attesa, i lavori alla piattaforma ELA (Ensamble Launchement Ariane) della base di Kourou, nella Guyana francese questa volta fervono davvero. A bordo ci sarà il satellite Xmm, un osservatorio per studiare il cielo nei raggi X. Il volo del quarto Ariane 5, dopo i primi tre lanci di prova, coincide con il ventennale del primo volo dell'Ariane 1, avvenuto il 24 dicembre 1979. Come si ricorderà, il test del primo Ariane 5 fallì il 4 giugno 1996. Ma i due successivi lanci (ottobre '97 e novembre '98) sono stati un successo, in particolare l'ultimo, che ha posto in quota suborbitale la capsula dell'Esa progettata per il rientro in emergenza dalla Stazione spaziale internazionale. Ora si guarda già ad un futuro più lontano con il programma ««Ariane 5 Evolution»», versione potenziata per aumentare la massa collocabile in orbita bassa e geostazionaria. Ariane 5 dovrà rimpiazzare gradualmente, nel corso del primo decennio 2000, l'attuale Ariane 4 (otto lanci all'anno). Una serie di venti Ariane 5 è stata commissionata di recente, per i vettori che dal 2001 verranno lanciati nelle nuove versioni, mentre le richieste per futuri lanci commerciali in Arianespace continuano ad accumularsi. Il lavoro per le società europee dunque non mancherà: tra queste c'è anche FiatAvio, che produce componenti fondamentali come la turbopompa per l'ossigeno liquido del propulsore Vulcain, e come gran parte dei due razzi laterali di spinta (simili ma più piccoli di quelli dello shuttle) a combustibile solido. Attorno ad Ariane 5 è tutto in fermento. Già si sta collaudando il motore Vulcain 2, una evoluzione dell'attuale propulsore a combustibile liquido, che ha superato una prova al suolo di 600 secondi, e che consentirà di far aumentare la spinta alla partenza da 116 a 138 tonnellate. E' stato già realizzato anche un modello della nuova e più grande ogiva che contiene i satelliti dal decollo fino allo sparo in orbita terrestre. Più alta rispetto a quella attuale (17 metri di lunghezza e 4,3 di diametro), realizzata dalla Oerlikon-Contraves svizzera, la nuova ogiva consentirà dal 2000 di lanciare in un colpo più satelliti di grosse dimensioni. Se venerdì andrà bene questo primo lancio operativo, sei lanci di Ariane 5 sono previsti per il prossimo anno. Il test di una prima versione potenziata è previsto per il 2001: la massa del razzo al decollo salirà dalle attuali 746 tonnellate a 777, grazie al rinnovato Vulcain 2, al potenziamento dei due vettori laterali a combustibile solido sviluppati e collaudati a Colleferro da FiatAvio, e ai serbatoi di combustibile e ossidante più capienti. Il vettore salirà anche come altezza, grazie ad un allungamento dello stadio superiore: 58 metri contro i 50 dell'attuale versione. Questo stadio di Ariane 5 avrà un motore più potente, e la massa in orbita geostazionaria salirà da 6 a 10,5 tonnellate. Dal 2002 si affiancherà l'««Ariane 5 Versatile»», leggermente meno potente, e dal 2005, una versione alto 60 metri ancor più potente, in grado di porre 12 tonnellate alla quota geostazionaria di 36 mila chilometri. Se in quel periodo si decidesse di rispolverare il progetto di una mini-navetta europea, rimasto nei cassetti, quest'ultima sembra la versione più adatta a collocarla in orbita bassa. \
ARGOMENTI: FISICA
PERSONE: 'THOOFT GERARDUS, VELTMAN MARTINUS
NOMI: 'THOOFT GERARDUS, VELTMAN MARTINUS
ORGANIZZAZIONI: PREMIO NOBEL
LUOGHI: ITALIA
VENERDI ' a Stoccolma riceveranno il Premio Nobel per la fisica Gerardus 'tHooft dell'Università di Utrecht e Martinus Veltman, professore emerito dell'Università del Michigan. Vediamo come si sono guadagnato un riconoscimento così importante. Veltman è tra i pochissimi fisici teorici, due o tre al mondo, a perseguire solitario la strada interrotta dopo Feynman e Schwinger e dopo il trionfo dell'elettrodinamica quantistica (Qed). E' un personaggio singolare: ha perso una borsa di studio per un litigio con il docente di matematica, ha venduto auto usate, è stato in Aviazione; 'tHooft a 25 anni, all'epoca della sua tesi di dottorato, era un astro nascente introverso ma geniale, in grado di annichilire l'interlocutore. Poco conta entrare nei dettagli delle loro ricerche: immaginate una strada maestra, lastricata di successi, da Dirac a Fermi a Feynman e bruscamente interrotta, praticamente dimenticata negli Anni 60. Il modello standard delle interazioni elettro-deboli, formulato a vari livelli da Glashow, Weinberg e Salam, premiati con il Nobel esattamente 20 anni fa, tra il '68 e il '71, anno della tesi di 'tHooft, non riceveva alcuna attenzione dalla comunità scientifica: era un'anatra zoppa, non permetteva di fare previsioni. Il problema è quello risolto, a suo tempo, in Qed: più si tentano previsioni accurate e più i risultati si scostano dai dati sperimentali, tendendo a diventare patologici: la probabilità per certe interazioni può essere infinitamente grande. La Qed ha segnato la strada, una teoria accettabile deve rientrare in una classe ben particolare di teorie, deve possedere una proprietà fondamentale, in base alla quale le patologie scompaiono per via della sua struttura matematica. Tali teorie, ovvero quelle fisicamente accettabili, sono dette ««rinormalizzabili» » e curano gli infiniti in una ridefinizione dei loro parametri. Come estendere la dimostrazione di rinormalizzabilità dalla Qed al modello standard? Veltman ha creato gli strumenti necessari per l'estensione. La teoria deve possedere una proprietà di invarianza, ovvero essere una teoria ««di gauge»», in cui le forze tra le particelle elementari sono mediate da campi di ««gauge»», basati sugli stessi princìpi matematici dei campi elettro-magnetici, ma più complicati e pertanto più interessanti. E' dall'interazione fra 't Hooft e Veltman che nasce qualcosa di magico, destinato a trascendere la dimostrazione che la teoria elettro-debole, assimilante l'elettromagnetismo e le forze nucleari deboli in un solo modello, è matematicamente consistente. La dimostrazione iniziale è contenuta in due articoli di 'tHooft, e questo la dice lunga sulla limpidezza culturale di un ambiente dove il relatore di tesi lascia, correttamente, spazio al suo studente. Il rapido susseguirsi di lavori a firma congiunta getta le basi per una autentica rivoluzione scientifica. Come disse Sidney Coleman ad Harvard, si era trasformata la rana di Weinberg-Salam in un incantevole principe. La dimostrazione della rinormalizzabilità delle teorie di ««gauge»» ha avuto un vasto impatto sull'intero settore della fisica delle particelle elementari. Improvvisamente, le teorie di ««gauge»» diventano credibili e questo conduce alla possibilità di descrivere altre interazioni, oltre all'elettro-debole, per mezzo di una tale teoria. Le interazioni forti entrano di diritto nell'ambito della teoria dei campi, la gravità quantistica decolla dopo anni di oblio. 'T Hooft e Veltman sono i primi ad applicare i loro metodi allo studio degli infiniti nella teoria della gravitazione e questo, a sua volta, stimolerà altri importanti sviluppi in gravità quantistica. Gli Anni 80 rappresentano un momento splendido per la fisica teorica, ogni anno una o più novità ed è difficile, se non impossibile, immaginare questi sviluppi senza l'attività originale di 'tHooft e Veltman. Pian piano si passa dalla sistematizzazione della teoria alla derivazione delle sue previsioni. La teoria dei campi ritorna ad essere predittiva proprio quando i grandi acceleratori vengono costruiti in varie sedi. Le regole dettate dai due premi Nobel si trasformano in precisi risultati numerici messi a confronto con i dati sperimentali, e l'accordo è spettacolare. Finalmente possediamo una teoria calcolabile. Oggi, al Lep di Ginevra, stiamo parlando di accuratezze di una parte su mille. Ancora una volta Veltman è stato pioniere nel settore, gettandone le basi. Nel 1973 si verifica, al Cern, l'esistenza delle correnti neutre, in sostanza che la forza debole può anche agire senza modificare le cariche elettriche. Un tale fenomeno doveva esistere per assicurare la rinormalizzabilità della teoria. La successiva pietra miliare è stata la scoperta dei bosoni W e Z, i portatori delle componenti cariche e neutre della forza debole. Per questo Carlo Rubbia e Simon van der Meer ricevettero, nel 1984, il Nobel. Ben prima di scoprire il quark top, al Fermilab nel 1995, conoscevamo con esattezza impressionante il limite sulla sua massa. O il quark top veniva trovato o la nostra visione del mondo sub-atomico avrebbe dovuto cambiare drasticamente. Siamo ora nella stessa situazione per il bosone di Higgs, l'anello mancante che è predetto da argomenti teorici ed aspetta la conferma sperimentale. Molto è cambiato rispetto agli Anni 70 e la rivoluzione informatica ha inciso pesantemente sul modo di fare ricerca. Utilizziamo vari linguaggi che manipolano simboli, ma tutti originano dal lavoro di Veltman, il famoso programma ««Schoonship»» . E' ancora una volta in sintonia con il personaggio che ««Schoonship»» non abbia ricevuto la diffusione commerciale che meritava, ma le leggi di mercato ben raramente si sposano con l'originalità di pensiero e l'autonomia scientifica. Un altro pregio grandissimo va attribuito a Veltman. Per quanto carattere difficile, famosi sono i suoi interventi ai seminari; pochi nella storia della fisica possono vantare, oltre ad un Premio Nobel, una collezione stellare di studenti come quella di Veltman, tutti in posizioni di prestigio nel panorama mondiale. 'tHooft, dal canto suo, ha abbandonato l'aspetto più propriamente ««particellare»» della teoria dei campi e si dedica, ancora una volta a modo suo, a ricerche sugli aspetti fondamentali delle teorie quantistiche e sulle loro implicazioni per le teorie di Big Bang dell'universo. Giampiero Passarino Università di Torino
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA
PERSONE: BLACK JAMES, ROHRER HEINRICH, ZWAIL AHMED
NOMI: BLACK JAMES, ROHRER HEINRICH, ZWAIL AHMED
LUOGHI: ITALIA, ITALIA, MI, MILANO
E' soprattutto dal mondo scientifico che dobbiamo attenderci le vere risposte sul nostro futuro? Saranno gli scienziati, e non più i narratori, i poeti, i saggisti, la radice di quel ««nuovo umanesimo»» di cui da più parti si invoca la nascita nella speranza che guidi gli Anni Duemila? L'occasione per formulare questi interrogativi l'hanno offerta gli incontri su ««Innovazione e qualità della vita»» svoltisi nei giorni scorsi a Milano. La settima edizione di questo appuntamento che riunisce ogni anno a Milano il Gotha dei Premi Nobel ha visto soprattutto in Heinrich Rohrer, sir James W. Black e Ahmed H. Zwail le voci più stimolanti. Rohrer, Nobel per la fisica 1986, ha inventato (insieme con Gerd Binning) lo Scanning Tunneling Microscope, Stm (il microscopio a scansione ad affetto tunnel). Ha inventato cioè, sia detto semplificando molto, lo strumento con cui è possibile analizzare la struttura di una superficie, vedere gli atomi che la compongono, osservare come questi vibrano. Sir Black, Nobel per la medicina 1988, ha scoperto, tra l'altro, i farmaci beta-bloccanti: ««Il più importante passo avanti nel trattamento farmacologico delle patologia cardiache»» secondo il giudizio della Commissione del premio svedese. Zwail, Nobel per la chimica 1999, ha sviluppato una tecnica di ripresa ad altissima velocità che consente, per la prima volta, di ««osservare il movimento degli atomi di una molecola durante una reazione chimica»». Insomma, grazie a lui, oggi abbiamo a disposizione una specie di ««moviola»» che, come accade nel calcio per i gol, ci mostra attimo per attimo che cosa si verifica durante una reazione chimica. Egiziano, orgoglioso di esserlo e di aver dato al proprio Paese il primo Nobel in una disciplina scientifica, Zwail mostra di voler dedicare il prestigioso riconoscimento ottenuto ad appena 53 anni a quella parte del mondo che è la più debole. Sostiene, e lo offre alla riflessione di chi ha la coscienza di un giusto futuro, che se è indubbio che si stia assistendo ad una globalizzazione, questa sarà davvero utile per tutti soltanto se tutti potranno esserne davvero protagonisti. E' indispensabile che i Paesi in via di sviluppo operino e vengano posti nelle condizioni di far sorgere propri centri di ricerca. ««Il progresso»» afferma, ««dipende da tre fattori: la scienza, la tecnologia e la comunità. La scienza crea la tecnologia che a sua volta contribuisce a svilupparla, ed entrambe prosperano solo in una comunità in grado di apprezzare la scienza stessa»». Il nodo scienza, industria e bene collettivo emerge dalle riflessioni di sir James W. Black, il ricercatore britannico ««padre»» dell'istamina oltre che dei beta-bloccanti. Lui, infatti, lancia, tra l'altro, un appello etico. Punta il dito sui cosiddetti ««farmaci orfani»», sulla necessità e il dovere della nostra società di trovare i finanziamenti per realizzare quelle medicine che potrebbero debellare malattie importanti ma che vengono invece ignorate dall'industria farmaceutica perché ritenute non commercialmente significative. Ma è Heinrich Rohrer, con le riflessioni su ««Piccolo è bello e potente»», che ci fa immediatamente toccare con mano il futuro parlando dell'era delle nanotecnologie. ««Se per esempio»» spiega Rohrer, ««la tecnologia microelettrica è riuscita a far entrare nei pochi chip di un computer tascabile apparecchiature che negli Anni 50 occupavano un'intera stanza ora è possibile produrre chip ancora più piccoli lanciando frotte di atomi su una superficie cristallina così da realizzare componenti di uno spessore pari a un decimo del capello più sottile. La nanotecnologia o tecnologia molecolare riuscirà a tenere sotto controllo, a maneggiare con precisione singoli atomi e singole molecole, grazie ad essa verranno creati nanocircuiti e nanomacchinari. E il nostro mondo cambierà più di quanto non riusciamo a immaginare»». ««Se vogliamo sperare di comprendere il nostro futuro»» osserva ancora Rohrer, ««dobbiamo capire quali conseguenze porterà l'uso di questi strumenti. Essi promettono di produrre mutamenti profondi come la rivoluzione industriale, gli antibiotici e le armi nucleari messi insieme»». Come poter affrontare allora, senza traumi, trasformazioni tanto radicali? ««Dobbiamo trovare il modo per passare dai bit alla saggezza»» risponde lapidario Heinrich Rohrer. Luciano Simonelli
Guenter Blobel ha scoperto che, dentro la cellula, il traffico delle proteine fa capo a piccoli frammenti delle proteine stesse, i peptidi, chefunzionano come un codice postale, indirizzando la proteina al posto giusto. Nel corpo umano, le cellule sono centomila miliardi; ognuna contiene un miliardo di proteine diverse e continuamente si evolve e ristruttura per sostituire quelle perdute o danneggiate. Errori nella ««segnaletica»» delle proteine sono all'origine di malattie ereditarie come la iperoxaluria (che causa calcoli renali nei primi anni di vita), l'ipercolesterolemia, la fibrosi cistica. Inoltre la scoperta di Blobel ha posto le basi per capire in che modo la malattia di Alzheimer devasti le cellule nervose, l'Aids e altre infezioni le distruggano, il cancro tramuti cellule normali in cellule maligne, capaci di migrare e quindi di produrre metastasi. Il meccanismo biologico individuato da Blobel ha però un carattere ancora più generale, appartiene alle basi della biologia; la stessa ««segnaletica»» è infatti condivisa anche da batteri, piante e animali. Potremo quindi usare delle cellule appositamente coltivate come fabbriche di farmaci biotecnologici.
IL complimento che più gli ha fatto piacere, lo ha ricevuto la sera dell'11 ottobre, durante la festa organizzatagli dalla moglie, Laura Maioglio, nel suo ristorante, il ««Barbetta»», 46esima strada, dove i newyorkesi hanno imparato a mangiare piemontese. "Bravo, caro sassone", gli disse l'amico Qais al-Awqati (iracheno), primario di nefrologia e professore al Colombia University. "Con questa stessa frase, inframmezzata ad applausi", sorride Guenter Blobel, "il pubblico veneziano usava acclamare Handel, durante il suo soggiorno in Italia, fra il 1707 e il 1709". Per Blobel, la musica è passione da sempre Mozart prima di tutti, e Bach, Haydn, Handel, l'opera lirica e la Sassonia, della quale è per famiglia originario, è rimasta punto di riferimento. Alle 5 di mattina di quello stesso lunedì, aveva saputo, per telefono, di essere stato insignito del premio Nobel per la Medicina, dal Karolinska Institute. Di primo acchito, credette a uno scherzo: " Capìi che era vero solamente quando mi resi conto che nessuno dei miei amici e collaboratori avrebbe saputo così bene parlare inglese con accento svedese". Non se lo aspettava, prima o poi, il Nobel? "Mah. Da anni, me lo pronosticavano in tanti. Però il tempo passava e non succedeva mai niente". Ricevere il premio, prosegue, è stato "certamente meraviglioso, ma è la ricerca scientifica a essere, di per sè, esaltante. E' appassionante, stimolante". Di altri settori della scienza, Blobel dice di tenersi molto informato perché "in questo periodo parecchie discipline scientifiche mostrano sempre più numerosi punti di contatto, e le aree di confluenza sono spesso le più interessanti, dove si fanno i maggiori progressi. Perciò, leggo molto di chimica e fisica, e anche di altre discipline non collegate con il mio lavoro, come l'astronomia". La biologia rimane, secondo lui, il settore che la scienza del 21esimo secolo dovrebbe privilegiare: "Abbiamo la possibilità di realmente imparare a conoscere come lavorano le cellule; mano a mano sapendone di più, potremo intervenire su patologie oggi ritenute non curabili. Tutto ciò potrà consentire all'essere umano di vivere una vita non mortificata da quelle malattie". Nato il 21 maggio 1936 a Waltersdorf, allora in Germania, oggi in Polonia, Blobel si laureò in medicina a Tubingen nel 1960; nel '62 andò negli Stati Uniti, dove conseguì il dottorato in oncologia nell'università del Wisconsin, a Madison. Nel novembre del 1966 arrivò a New York, Rockefeller University, gruppo di studio guidato da George Palade, Nobel nel 1974 e, oggi, considerato uno dei padri della biologia cellulare. Ci sono state anche delusioni, in questi trent'anni? "Sì, ma come in qualsiasi altro lavoro niente di speciale", risponde. La cellula, e i movimenti di proteine al suo interno, è stata al centro della sua ricerca, ma se invece di uno scienziato fosse stato un sociologo, quale fenomeno avrebbe catturato il suo interesse? "Il divario crescente fra ricchi e poveri. Credo che bisognerà fare molta attenzione a questo problema". Alla Rockefeller, Blobel trascorre la gran parte del suo tempo ore lunghe, fino a tarda notte: "Il fatto che mia moglie abbia un ristorante e anche lei rientri tardi, ha facilitato molto la nostra vita coniugale". Negli spazi della più prestigioso istituto di ricerca degli Stati Uniti e forse del mondo, Blobel è in compagnia dei suoi cani. Li porta sempre con sè, li tiene in ufficio. Sono setter inglesi presi a Moncalvo: "Diana e Apollo vivono con noi da anni. Il loro fratello, Pluto, ci ha raggiunto da poco: in Monferrato, a caccia, non serviva granché, visto che si spaventava sentendo il fucile". Blobel e la moglie appartengono a "Save Venice", iniziativa internazionale per la salvaguardia della città; dal 1987, l'ente si autofinanzia con raccolte di fondi attraverso manifestazioni biennali, incontri intellettuali e mondani e stupendi ricevimenti in palazzi privati. Nel 1994, lo scienziato ha fondato un'altra associazione internazionale, "Amici di Dresda" (fra cui ci sono Holbrooke, David Rockefeller, Kissinger): scopo, raccogliere fondi per restaurare la città, distrutta nel 1945, e specificamente per ricostruire la Frauenkirche, la maggiore chiesa luterana locale, il cui stile richiama S. Maria della Salute di Venezia. A Dresda, detta la Firenze del fiume Elbe e più volte dipinta da Bernardo Bellotto, l'ente ha già consegnato più di 1 milione di dollari. Quasi tutto l'ammontare del Nobel (960.000 dollari) andrà alla Frauenkirche, una parte per ricostruire la sinagoga distrutta dai nazisti (Guenter, che non è ebreo, si rende ben conto dell'importanza di quest'opera), una piccola parte per restaurare il centro storico di Fubine nel Monferrato alessandrino. Ornella Rota
ARGOMENTI: METEOROLOGIA
PERSONE: BALBIS CESARE
NOMI: BALBIS CESARE
LUOGHI: ITALIA
IL volo alpino è una vera e propria specializzazione, ha i suoi pionieri, i suoi maestri, i suoi eroi: si sentiva il bisogno di un libro che facesse conoscere questo mondo a un pubblico più vasto di quello dei suoi specifici cultori. Ha provveduto Cesare Balbis, seimila ore di volo, ottomila atterraggi in montagna, 15 campionati italiani di volo a vela. «« I monti dal cielo»» (Ferrero Editore, 225 pagine, 49 mila lire) è il titolo del libro di Balbis. Si fa notare subito per le straordinarie fotografie scattate dall'autore, con le vertiginose riprese dell'Aiguille du Midi, del Rifugio Vallot, della parete nord del Gran Paradiso, del versante sud Cervino, del massiccio del Rosa. Ma poi ci si accorge dei molti aspetti scientifici coinvolti nel volo alpino: soprattutto la meteorologia - che in montagna è molto particolare e richiede una profonda conoscenza dei microambienti locali - la fisiologia umana in alta quota e la geologia. A questi temi Balbis dedica molta attenzione, arricchendo il suo discorso con numerosi disegni che illustrano le situazioni meteo più tipiche dell'ambiente alpino. La seconda parte del libro è un autentico manuale pratico di avioalpinismo: 150 pagine che condensano quarant'anni di esperienza. \
ARGOMENTI: DIDATTICA
PERSONE: RUSCIGNI ITO
NOMI: RUSCIGNI ITO
LUOGHI: ITALIA
E' raro che i poeti italiani traggano ispirazione dalla scienza. I pochi esempi del passato sono marginali: il Redi (ma era egli stesso scienziato) in epoca illuministica, le riflessioni di Zanella su una conchiglia fossile in epoca positivista, la vaga sensibilità naturalistica di un Pascoli. Ancora più improbabile è trovare riferimenti scientifici nella poesia contemporanea. Oltre a Giuseppe Bonaviri, la cui vena cosmica fu già notata da Calvino, fa eccezione Ito Ruscigni, che pubblica in questi giorni un'antologia dei propri versi intitolata ««Il giardino del lepre»» (De Ferrari Editore, 144 pagine, 25 mila lire). Qui le idee forti che la scienza moderna ha elaborato compaiono completamente metabolizzate, ora come spunti, ora come tesi da insidiare, ora come suggestioni da far proprie. Ruscigni pone domande imbarazzanti al Nobel Prigogine: ««Porti buona legna/o Illya Prigogine/alla pentola dell'Universo/Ma sai dirmi/quand'è mezzogiorno?/E di Chi/il mestolo che scodella?»» o interloquisce con Heisenberg e il suo ««principio di indeterminazione»» (««La partita giocata/quanto più s'approssima alla vista/meno concede allo scarto»»). Una poesia di emozioni concettuali. Di sentimenti razionali. Se così si può dire. \ \]
ARGOMENTI: TECNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, GERMANIA, HANNOVER
LA grande sfida del XXI secolo sarà il rapporto tra uomo, tecnologia e natura»», spiegano gli organizzatori dell'Esposizione Universale del 2000. La manifestazione, ad Hannover, in Germania, dal 1° giugno al 31 ottobre, ha per tema ««come l'umanità può usare la tecnologia senza distruggere la natura»». Ispirata alla politica per uno sviluppo sostenibile lanciata da Agenda 21, il programma d'azione emerso dalla Conferenza sull'Ambiente del 1992 a Rio de Janeiro, la prima Expo del nuovo millennio affronterà temi chiave. Come paesaggio e clima, politica dell'alimentazione, futuro della salute e del lavoro, fonti di energia, mobilità, bisogni base. E indagherà la relazione tra conoscenza, informazione e comunicazione cui contribuiranno i 193 Paesi ospiti. Nel settore tematico, immagini al laser metteranno a confronto i problemi di Shanghai, Dakar, San Paolo e Aquisgrana. L'aspetto più interessante sarà però nelle soluzioni ambientali proposte dalle varie nazioni. Il padiglione dell'Olanda ipotizza una città futura costruita su diversi strati: dall'alto al basso ci saranno centrali eoliche, serbatoi piovani, boschi, aiuole di tulipani e dune di sabbia. Quello della Gran Bretagna propone nuove soluzioni edilizie: un edificio cubico con pareti e soffitti mobili per ridisegnare gli spazi in caso di diverso utilizzo, evitando così nuove costruzioni. La Finlandia presenta un edificio in legno cotto (per aumentarne durata e resistenza) che circonda un bosco. Il Giappone mostrerà una casa, progettata dall'architetto Shugeru Ban, interamente costruita con carta riciclata. Gli Emirati Arabi Uniti avranno un padiglione di fibra di vetro circondato da sabbia con 60 palme: simbolo dei 6 milioni di alberi piantati nel deserto. La stessa Expo, su un'area di 160 ettari, vuole essere a basso impatto ambientale. Per ospitare i 40 milioni di visitatori previsti (300 mila al giorno, per il 60 per cento tedeschi) è stato costruito solo un nuovo albergo. Il problema dell'accoglienza sarà risolto con migliaia di camere private trasformate in bed & breakfast e una nuova rete di treni ad alta velocità. A fine manifestazione le strutture non andranno perdute. Una parte amplierà gli spazi della Hannover Messe (Fiera). Il 35 per cento degli edifici sarà convertito in centri commerciali. Marco Moretti
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. CELLULE DI OSSA; VASI SANGUIGNI
SE avessimo una ««banca cellulare»», molti problemi della medicina sarebbero risolti. Per non parlare della ricerca scientifica di base e di quella farmaceutica. Basterebbe poter coltivare delle linee cellulari che fossero in grado di moltiplicarsi illimitatamente e, all'occorrenza, differenziarsi e diventare pelle, muscolo, cartilagine, sangue, osso. Impianti e trapianti non avrebbero liste d'attesa e il problema del rigetto sarebbe parzialmente risolto. Gli scienziati potrebbero tenere sotto controllo tutte le fasi dello sviluppo e della specializzazione delle cellule lavorando su materiale umano, e le case farmaceutiche potrebbero condurre molti test direttamente su tessuti umani. Sappiamo ormai che tutto questo è possibile, anche se molte sono ancora le controversie e le difficoltà che impediscono di standardizzare le procedure di isolamento e colture di quelle cellule specialissime che sono le cellule staminali pluripotenti. Ultima arrivata è la scoperta di uno scienziato inglese, Azim Surani del Wellcome Trust Cancer Research Campaign Institute di Cambridge: la comunità scientifica mondiale credeva di aver risolto uno dei tanti problemi etici legati alla coltura delle cellule staminali pluripotenti, ma aveva fatto, come si suol dire, i conti senza l'oste. Lo sviluppo di un essere umano inizia quando uno spermatozoo viene a contatto con un ovulo e lo feconda, creando una singola cellula che ha la potenzialità di formare, da sola, un intero individuo - è ««totipotente»» nel senso che il suo potenziale è totale. Nelle prime ore dopo la fecondazione, questa cellula si suddivide in altre due cellule totipotenti: i gemelli identici sono il frutto della separazione delle due cellule iniziali e del loro sviluppo contemporaneo in due embrioni. Dopo circa quattro giorni le cellule totipotenti, che nel frattempo si sono moltiplicate, entrano in una fase caratterizzata dalla specializzazione e dalla formazione di una sfera cava, la blastocisti. L'involucro esterno della blastocisti formerà la placenta ed i tessuti di supporto per lo sviluppo del feto. Le cellule interne si differenzieranno inizialmente in cellule staminali specializzate, per poi dare origine a tutti gli altri tessuti del corpo umano. Cellule staminali specializzate sono presenti nell'organismo adulto per tutta la durata della vita, e servono a riparare i tessuti che via via degenerano con l'avanzare dell'età. Le cellule staminali della blastocisti possono formare qualsiasi tipo cellulare presente nel corpo umano, tranne la placenta ed i tessuti di supporto del feto. Perciò sono dette ««pluripotenti»» anziché ««totipotenti»». Oggi si è in grado di isolare e coltivare cellule staminali pluripotenti essenzialmente in due modi: a) direttamente dall'embrione allo stadio di blastocisti (cellule Es - Embryonic Stem), per mezzo di embrioni ottenuti con la fecondazione in vitro; b) dalle cellule germinali primordiali del feto (cellule Eg - Embryonic Germ). Le cellule germinali primordiali sono i precursori delle cellule gametiche (cioè sessuali: uova e spermatozoi). Anche le cellule Eg sono in grado di moltiplicarsi indefinitamente e dare origine alla maggior parte dei tessuti del corpo umano; sono dunque anch'esse ««pluripotenti»». Le cellule Eg vengono isolate da tessuto fetale ««di scarto»» proveniente da interruzioni di gravidanza, dalla placenta o dal cordone ombelicale. Mentre l'impiego di cellule Es implica la distruzione di un embrione umano, è evidente come le cellule Eg, che possono essere prelevate dal tessuto del feto o addirittura dal cordone ombelicale, rappresentino un'alternativa eticamente più accettabile. Tutto ciò nell'ipotesi che cellule Es ed Eg abbiano davvero le stesse caratteristiche. Qui sta l'intoppo: Surani ha condotto una serie di esperimenti sui topi e ha scoperto che gli embrioni ottenuti impiantando cellule Eg in ovociti privi di nucleo si sviluppavano talvolta in modo anomalo, a causa di un black-out intervenuto nella trasmissione dell'informazione genetica (imprinting) dalle cellule Eg allo zigote. Mentre infatti nella maggioranza dei casi i geni sono presenti ««in doppia copia»», nel codice genetico (una copia proviene dalla madre ed una dal padre), ve ne sono alcuni che devono esprimersi singolarmente per evitare gravi patologie o aberrazioni. Il meccanismo cellulare che previene tali errori si chiama appunto imprinting genetico, e consiste nella cancellazione (metilazione) delle copie di geni indesiderate. L'imprinting genetico è presente in tutte le cellule somatiche e nelle cellule Es da cui esse derivano. Esiste però una fase nello sviluppo delle cellule Eg in cui la metilazione è sospesa e l'imprinting è per così dire ««resettato»»: ciò avviene perché, nella gametogenesi (formazione di spermatozoi ed ovociti), tutto il genoma deve essere disponibile. In seguito la metilazione è ripristinata, le copie in eccesso dei geni imprintati vengono di nuovo silenziate, e l'imprinting è ereditato dallo zigote. Ma se le cellule Eg vengono isolate per successiva coltura proprio mentre si trovano nella fase di ««reset»», la trasmissione dell'imprinting genetico non viene ripristinata e ogni cellula che derivi da questa coltura iniziale sarà priva delle metilazioni necessarie. E' proprio quel che è successo ai topi di Surani: l'embrione non ha ereditato l'imprinting e il suo sviluppo è stato compromesso. Se quanto si è scoperto nel caso dei topi dovesse essere valido anche per gli esseri umani, la polemica sull'uso delle cellule staminali si ripresenterebbe in tutta la sua urgenza. Francesca Noceti
ARGOMENTI: ZOOLOGIA
LUOGHI: ITALIA, AMERICA, BRASILE
NOI non abbiamo idea di quanti pericoli nascondano i paesi tropicali, dove la natura sembra esplodere in tutta la sua violenza. Ne sanno qualcosa i ricercatori che si avventurano a scopo di studio nell'Amazzonia, la terra attraversata dal Rio delle Amazzoni, il grande fiume che scorre pigro e maestoso per 6500 chilometri. Bagnarsi nelle sue acque significa correre seri rischi di varia natura. Ci sono in agguato i voracissimi "jacarè" (Caiman latirostris) lunghi fino a due metri e mezzo che sembra sonnecchino nella melma del fondo, ma sono pronti ad avventarsi contro ogni possibile preda, uomo compreso. E c'è un'altra temibile insidia: quella di un piccolo pesce, lungo appena sei centimetri, che la gente del posto chiama "candirù" o "carnero". Il suo nome scientifico è "Vandellia cirrhosa". E' un siluriforme, parente dei pesci gatto, ma, in barba alla parentela, è parassita proprio dei medesimi. Succhiatore di sangue, è dotato di una struttura anatomica particolare che ne favorisce la penetrazione nel corpo delle vittime. Porta infatti sui coperchietti delle branchie, gli opercoli, due ciuffi di spine appuntite che aderiscono al corpo quando l'animale sfila in avanti lungo una stretta apertura, ma si aprono a ventaglio quando il pesciolino procede in senso opposto. In altre parole, la posizione e l'impianto delle spine sono tali che gli è consentito di entrare in uno stretto orifizio ma non di uscirne. Così, quando incontra un pesce gatto o qualunque altro grosso pesce, la Vandellia risale la corrente che fuoriesce dalla sue branchie e si ritrova nella camera branchiale dove con i dentini appuntiti e le spine aguzze lacera i tessuti facendone sgorgare un fiotto di sangue che succhia avidamente. Ma è successo più di una volta che, in quel paese dal clima caldissimo un uomo, facendo il bagno nudo, urinasse nell'acqua e una Vandella imboccasse la via dell'uretra. L'incidente è drammatico, perché, se non viene arrestato in tempo, il parassita prosegue la sua corsa sino alla vescica provocando un'emorragia che può riuscire fatale. Ben lo sanno gli indigeni che, prima di immergersi nel fiume, si infilano uno slip di rafia intrecciata, che li protegge dal temibile parassita. Pericoloso anche sedersi sulla sabbia in quel paese meraviglioso ma infido. C'è in agguato il "bicho geografico" (Necator americanus), un minuscolo verme nematelminto che penetra sotto l'epidermide dei glutei, vi descrive tanti ghirigori simili a una carta geografica e poi prosegue il suo viaggio fino alla mucosa intestinale dove si nutre di sangue. Ci sono poi le pulci penetranti (Tunga penetrans), le cui femmine fecondate hanno il cattivo gusto di penetrare nella pelle umana, specialmente sotto le unghie o tra le dita delle mani e dei piedi. Qui si gonfiano fabbricando migliaia di uova e producono ponfi dolorosissimi che favoriscono l'insorgere di infezioni. E arriviamo alle anguille elettriche (Electrophorus electricus) che producono scariche elettriche micidiali. Hanno un corpo affusolato simile a quello delle anguille e misurano un metro e mezzo o anche due di lunghezza. Di solito se ne stanno adagiate sul fondo, semisepolte nel fango. A prima vista sembrano esseri innocui e amanti del quieto vivere. Ma basta che passi nelle loro vicinanze un qualunque essere vivente perché si riveli immediatamente la loro vera indole. Insorgono con un balzo e fulminano istantaneamente la preda con una terribile scarica. Gli organi elettrici, pari, occupano gran parte del corpo. Si estendono dalla regione anteriore del tronco fino alla base della coda. Sono formati da pile di dischetti gelatinosi orientati nel senso della lunghezza del corpo, per cui il polo positivo corrisponde al capo e quello negativo alla coda. Le scariche si producono per un impulso che parte dal sistema nervoso centrale sotto l'effetto di stimoli esterni. L'impulso si trasmette alle varie migliaia di placchette che costituiscono gli organi elettrici. Ne risultano scariche di duecento e persino trecento volt che hanno la durata di tre millesimi di secondo. E non si può non accennare al piranha o "caribo", come lo chiamano in Brasile (Serrasalmo piraya), il piccolo pesce sanguinario che infesta il Rio delle Amazzoni e altri fiumi del Sudamerica. Se ne conoscono diciotto specie lunghe una ventina di centimetri. Qualcuna soltanto raggiunge i trenta centimetri. Per rendersi conto della loro pericolosità, basta dare un'occhiata alla dentatura. I denti di ciascuna mascella formano una sorta di sega taglientissima, per cui il loro morso equivale a un formidabile colpo di cesoia. Guidati dal finissimo olfatto, i piranha sentono l'odore della preda e l'aggrediscono in gruppo. Nell'attaccare un pesce, hanno l'astuzia di azzannarlo per prima cosa alla coda. Così il pesce, mutilato del suo timone di direzione, non riesce a fuggire e rimane in balìa dei suoi carnefici. Questa predazione collettiva è il segreto del loro successo. Un animale, anche di grandi dimensioni, attaccato contemporaneamente da più parti, incomincia a perdere sangue e l'emorragia lo uccide. Del suo corpo inanimato i piranha fanno scempio, spolpandolo fino all'osso. E l'uomo? A sentire gli indigeni, l'uomo che attraversa il fiume viene assalito dai piranha come qualunque altra preda e per lui non c'è via di scampo. Secondo gli studiosi invece, solo dove vengono gettati in acqua i rifiuti insanguinati dei mattatoi, i piranha aggrediscono l'uomo, mentre si può nuotare tranquillamente in mezzo a loro dove non vi sia traccia di sangue. Le popolazioni che vivono sul delta dell'Orinoco si servono dei piranha per un macabro rito. Immergono i loro morti nel fiume e li danno in pasto ai pesci, sino a che non rimangono altro che gli scheletri. Li fanno asciugare al sole, poi li decorano, li dipingono a colori vivaci e infine li seppelliscono. Buon per noi che, per nostra fortuna, viviamo in un paese dove non ci sono nè coccodrilli, nè vandellie, nè pulci penetranti, nè piranha! Isabella Lattes Coifmann
ARGOMENTI: BIOETICA
LUOGHI: ITALIA
AL recente convegno internazionale di bioetica ««Verso il riconoscimento giuridico della Carta di autodeterminazione, un confronto europeo»» promosso dalla Fondazione Ravasi, tenuto all'Università di Milano, hanno espresso la loro opinione una trentina di medici, filosofi, sociologi, psicologi, magistrati e politici. Cerchiamo di spiegare quali scopi si prefigge la ««Carta di autodeterminazione»». L'accanimento terapeutico consiste nel fatto che persone giunte al termine della loro esistenza e non più in grado di esprimersi o incapaci di opporsi all'invadenza dei medici, ma ancora in grado di soffrire, vengono artificialmente tenute in vita con terapie che non offrono speranza di guarigione e non fanno altro che prolungare le sofferenze. Come in molti altri Paesi europei e nordamericani, anche in Italia è sorto un movimento di opinione che si oppone all'accanimento terapeutico e raccoglie crescenti consensi, ma incontra anche forti riserve. Si è giunti così alla formulazione della proposta di legge discussa nel convegno. Essa mira a ottenere un esplicito riconoscimento del diritto del malato ad essere pienamente informato riguardo la sua malattia e di poter decidere se accettare o rifiutare la terapia propostagli dal medico. Questo diritto è già riconosciuto nel diritto italiano, ma viene ricavato da varie norme contenute in diverse leggi: ora si vorrebbe ottenere un riconoscimento esplicito e più completo. In particolare la proposta di legge mira al riconoscimento giuridico della Carta di autodeterminazione: in essa chi lo vuole può disporre che, qualora in futuro abbia bisogno di cure e non sia più in grado di esprimersi o capire, il medico si attenga alle direttive terapeutiche espresse sulla carta, che ad esempio possono prevedere il rifiuto dell'accanimento terapeutico o che il medico debba rispettare la volontà di una ««persona delegata»» di fiducia del firmatario della carta. Non mancano però ostacoli, nè opinioni contrarie al principio di autodeterminazione. Dal punto di vista politico, tanto il consenso quanto l'opposizione al principio di autodeterminazione (e quindi alla proposta di legge illustrata) è trasversale: vi sono sostenitori sia a destra che a sinistra o al centro, e altrettanto si può dire per gli oppositori, forse meno numerosi dei sostenitori ma comunque molto influenti. Pia Bassi
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA
PERSONE: ALTEA ROSEMARY
NOMI: ALTEA ROSEMARY
LUOGHI: ITALIA
COME sempre quando ha un nuovo libro da promuovere, anche quest'anno è arrivata in Italia Rosemary Altea, la medium che sostiene di essere consulente perfino del presidente Clinton (ci siamo informati, e alla Casa Bianca non sanno nemmeno chi sia). Vedendola all'opera nei vari salotti televisivi, alcuni rimangono sbalorditi dalla sua apparente capacità di indovinare cose su perfetti sconosciuti che, si ritiene, non avrebbe mai potuto sapere. Ma le cose stanno davvero così? Il Cicap (Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale) non lo crede e per questo motivo ha messo a disposizione della signora Altea ben due miliardi di lire se accetterà di sottoporsi a un semplice test. Gli esperti del Cicap indicheranno il nome di una persona che la medium dovrà evocare; a quel punto verranno poste tre domande allo ««spirito»» e se le sue risposte combaceranno con quelle depositate all'inizio della prova nelle mani di un notaio, la medium si porterà a casa il premio. Niente di difficile per chi sostiene di contattare gli spiriti ogni giorno, eppure finora la Altea non ha mai accettato la proposta. Nel frattempo può essere interessante approfondire meglio quella tecnica psicologica, solitamente usata da maghi, occultisti e medium per dare l'impressione ai propri clienti di sapere tutto su di loro, e nota come ««cold reading»» (ovvero, ««lettura a freddo»», perché il medium grazie a questa tecnica riesce a ««leggere»» le persone senza averle mai incontrate prima). Dopo aver letto quanto segue, potreste anche voi guardare le esibizioni di Rosemary Altea con un occhio più scettico. 1. L'ingrediente più importante per avere successo come medium consiste nell'ostentare sicurezza di sè. Se agite e parlate come se credeste veramente in ciò che fate, sarete in grado di ««vendere»» anche una pessima lettura alla maggior parte dei soggetti. In una trasmissione televisiva, la Altea disse a una persona che il marito morto aveva sofferto di forti mal di testa prima di morire: quando la signora rispose che non era vero, lei ribadì che lui aveva sì sofferto di mal di testa, ma non glielo aveva mai detto per non farla preoccupare! 2. Fate un uso creativo dei sondaggi statistici. Questi strumenti possono fornire molte informazioni relative a ciò che le persone appartenenti a vari contesti sociali credono, fanno, vogliono, sperano... Per esempio, se siete in grado di determinare il luogo di provenienza della persona, i suoi studi e le convinzioni religiose dei suoi genitori, avrete a disposizione informazioni sufficienti per predire con buona approssimazione i suoi gusti e gli atteggiamenti nei confronti di vari argomenti. 3. Siate modesti. Non fate affermazioni esagerate; in questo modo, coglierete il soggetto di sorpresa. Non lo state sfidando a una battaglia di cervelli, voi siete in grado di parlare con i suoi cari scomparsi, sia che vi creda o no. 4. Assicuratevi da subito la collaborazione del soggetto. Sottolineate il fatto che il successo del contatto medianico dipende tanto dai vostri sforzi quanto dalla cooperazione del soggetto. Fate capire che, a causa di difficoltà dovute al linguaggio e alla comunicazione, potreste non essere sempre in grado di far capire ciò che gli spiriti intendono dire. In questi casi, il soggetto deve cercare di adattare i messaggi alla propria situazione. Dicendo così raggiungete due obiettivi: primo, avrete un alibi nel caso in cui i messaggi non facciano presa sul soggetto: sarà colpa sua, non vostra! Secondo, il soggetto farà di tutto per far combaciare le banalità che direte agli eventi della propria vita. Più tardi, quando il soggetto si ricorderà dell'incontro, vi verranno accreditati molti più dettagli di quanti non ne abbiate forniti. Si tratta di un punto molto importante. La vostra seduta avrà tanto più successo quanto più il soggetto vi giocherà un ruolo di attivo partecipante. Il buon medium è una persona che, deliberatamente o no, costringe il soggetto a ragionare sulle sue affermazioni nel tentativo di fornirle di senso. 5. Preparatevi una lista di frasi fatte. L'uso di frasi generiche già pronte che possono adattarsi a chiunque serve a dare consistenza alla lettura e vi darà tempo per formulare caratterizzazioni più precise. Usatele per iniziare la vostra lettura. Si possono recuperare molte frasi fatte negli oroscopi pubblicati dai giornali e la Altea sembra farne un uso esagerato: basta notare quante volte vede uomini anziani morti per problemi al cuore, oppure quante volte vede bambini defunti che accarezzano i capelli della madre. 6. Tenete gli occhi aperti. Usate tutti i vostri sensi. Squadrate il soggetto osservando i suoi vestiti, gioielli, gesti, linguaggio... Anche una rozza classificazione basata su queste osservazioni può fornire le basi per una buona seduta. Osservate anche attentamente le reazioni del soggetto alle vostre affermazioni. Imparerete presto a capire quando avete ««fatto centro»». 7. Ricorrete al ««fishing»». Si tratta di una semplice tecnica per mezzo della quale spingete il soggetto a dirvi qualcosa di sè; in seguito, riformulerete quanto vi è stato detto e lo ripeterete al soggetto. Un modo per realizzare il ««fishing»» (che significa letteralmente ««andare a pesca»») è quello di formulare le vostre affermazioni sotto forma di domande, quindi aspettare una risposta. Se la risposta o la reazione è positiva allora trasformerete la domanda in un'affermazione positiva (««Infatti, lo dicevo io!»»). Spesso il soggetto risponderà fornendo anche informazioni che non avevate chiesto e, in seguito, potrà dimenticarsi di essere stato la fonte di quelle informazioni. Formulando le vostre affermazioni in forma di domande, costringete il soggetto a cercare nella memoria degli esempi specifici che possano adattarsi alle vostre frasi generiche. 8. Siate buoni ascoltatori. Nel corso della seduta il vostro soggetto scoppierà dalla voglia di parlarvi dei vari eventi che di volta in volta emergeranno. Il buon medium permette al soggetto di parlare a volontà. Se capita di essere presenti a una trasmissione televisiva in cui compare anche la Altea, è facile vederla durante le pause pubblicitarie mentre ascolta alcune persone del pubblico: quando la trasmissione riprende, si noterà la Altea dirigersi verso queste persone e dire loro quanto ha appena sentito, fingendo di non averle mai viste prima. 9. Drammatizzare la lettura. Restituite un poco alla volta le informazioni che avete raccolto anche grazie a tecniche come il ««fishing»». Date l'impressione di dire più di quanto sembra. Costruite delle immagini verbali, dipingete delle scene ricche di dettagli anche insignificanti attorno a ogni affermazione che fate. 10. Date sempre l'impressione di sapere più di quanto dite. Il medium di successo, come il dottore di famiglia, si comporta sempre come se sapesse molto di più di quanto dice. Una volta convinto il soggetto che voi sapevate una cosa che ««non avreste assolutamente potuto sapere»» (e che invece avrete estratto grazie alle tecniche fin qui descritte), egli immaginerà che voi sapete tutto. A questo punto, il soggetto si aprirà e avrà fiducia in voi. 11. Infine, la Regola d'oro: dite sempre al soggetto ciò che vuole sentirsi dire. Fate caso a cosa dice in fin dei conti la Altea: i cari scomparsi stanno bene, ci vogliono bene e ci chiedono di stare tranquilli. Tutto qui. Ci si aspetterebbe qualche rivelazione più clamorosa da chi ritorna sulla Terra dall'aldilà, ma una persona distrutta dal dolore non vuole rivelazioni clamorose, vuole solamente essere rassicurata. Massimo Polidoro Segretario Nazionale del Cicap
ARGOMENTI: STORIA SCIENZA
NOMI: LEBON PHILIPPE
LUOGHI: ITALIA
DUE secoli fa, nell'autunno del 1799, il giovane chimico e ingegnere francese Philippe Lebon depositò il brevetto di una sua invenzione che consentiva lo sfruttamento del gas di legna e di carbone per l'illuminazione e il riscaldamento a mezzo di termolampade. Dopo essersi dedicato come ingegnere alla costruzione di ponti e di strade, Lebon dette il via alle sue sperimentazioni facendo bruciare la legna in un recipiente chiuso e trasferendo i gas della combustione in un altro ambiente contenente acqua fredda. Il dispositivo condensava i prodotti della combustione (soprattutto catrame e prodotti ammoniacali) e il gas residuo poteva essere liberato allo stato puro e fatto bruciare. Una volta depositato il brevetto, nel 1801 costruì diversi apparecchi per il riscaldamento e l'illuminazione e grazie alle sue "thermolampes" riuscì a illuminare appartamenti e giardini. L'idea, forse troppo...luminosa e in anticipo sui tempi, non trovò subito l'accoglienza che il suo inventore avrebbe desiderato perché all'inizio ne vennero subito evidenziati i difetti. Le strumentazioni di Lebon, infatti, presentavano dei fastidiosi inconvenienti, primo fra tutti l'odore poco piacevole che esse sprigionavano. Gli esperimenti del giovane ingegnere francese interessarono molto la Marina, che pensava di sfruttare il catrame prodotto dalla combustione per ricoprire i legni delle sue navi. E Lebon ebbe a disposizione per i suoi studi una buona parte dei pini della foresta di Rouvray presso Le Havre, ma il geniale inventore non riuscì mai a sfruttare questo bosco perché le sue ricerche lo avevano reso talmente famoso al punto da non trovare più il tempo materiale da dedicare alle sue invenzioni. Basti pensare che nel 1804 venne chiesto il suo intervento per illuminare le solenni feste dell'incoronazione a imperatore di Napoleone Bonaparte. Ma il 2 dicembre dello stesso anno Lebon morì e le circostanze della sua morte furono talmente strane che qualcuno pensò a un assassinio. Aveva appena trentacinque anni (era nato a Bruchay nell'Alta Marna il 29 maggio 1769) e sicuramente avrebbe avuto ancora molto da dire. La sua idea, comunque, trovò applicazione e proprio l'anno successivo alla sua morte l'inglese Winsor installò il primo impianto di illuminazione che funzionava con il gas di legna. Negli scritti di Lebon, inoltre, si trova la descrizione del progetto di un motore a gas il cui funzionamento era garantito da una pompa a iniezione elettrica e da una accensione con scintilla. Un vero precursore! Franco Gàbici
ARGOMENTI: METROLOGIA
NOMI: REGGE TULLIO, TIBONE FEDERICO
ORGANIZZAZIONI: LA STAMPA, SPECCHIO DELLA STAMPA, TUTTOSCIENZE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: «VIRT LAB» «LA FRECCIA DEL TEMPO»
E' in edicola con ««Specchio»», il settimanale de ««La Stampa»», l'ultimo Cd-rom della collana ««VirtLab»» di ««Tuttoscienze»». E' intitolato ««La freccia del tempo»» e lo hanno curato il fisico Tullio Regge e Federico Tibone. Al prezzo complessivo di 19.900 lire, i lettori avranno, con ««La Stampa»» e ««Specchio»», un vero e proprio laboratorio multimediale nel quale compiere esperimenti, un'aula dove prendere familiarità con il concetto di tempo dagli antichi filosofi fino alla rivoluzione della fisica moderna. un'edicola dove trovare approfondimenti e bibliografia, una serie di divertenti giochi didattici che permettono, tra l'altro, di scoprire come un mazzo di carte possa diventare un modello per rappresentare l'irreversibilità dei fenomeni naturali, come sia possibile violare il secondo principio della termodinamica vestendo i panni del ««Diavoletto di Maxwell»», come l'ordine, il caos e la geometria dei frattali vengano alla ribalta quando ci si domanda quanti conigli possano convivere su un campo da pallone. Non mancano, naturalmente, colegamenti a numerosi siti Internet. E c'è anche una raccolta di aforismi sul tempo da Ovidio a Stephen Hawking. Un prezioso contributo al Cd-Rom è stato fornito da Sigfrido Leschiutta, presidente dell'Istituto Elettrotecnico Nazionale ««Galileo Ferraris»» di Torino, che con il tempo ha uno strettissimo legame: è infatti questo istituto a fornire alla Rai e in generale a tutto il Paese il segnale orario, scandito da orologi atomici di estrema precisione, al punto che al massimo possono sbagliare di un secondo in 65 mila anni, il tempo trascorso dalla scomparsa dei dinosauri ad oggi. Tra i precedenti Cd-rom della serie di ««Tuttoscienze-VitLab»» ricordiamo quello su Einstein e la relatività (di Tullio Regge), quello dedicato all'astronomia intitolato ««Nello spazio tra le stelle»» (di Piero Bianucci e Tullio Regge) e quello sui rapporti tra scienza e musica, curato ancora da Regge, affiancato da Luciano Berio, uno dei più illustri musicisti contemporanei. Tutti questi Cd-rom possono essere richiesti alla nostra redazione e inviati contrassegno. \
LA vite di Archimede, il turboreattore, i raggi X, il computer, le tecniche di conservazione degli alimenti: sono alcune delle scoperte e delle invenzioni che hanno fatto epoca, dalla più remota antichità alla fine del secondo millennio, illustrate con avvincente combinazione di testo e illustrazioni in questo ««Atlante»» per i bambini di 6-8 anni.
Fotografie riprese dal telescopio spaziale Hubble e immagini panoramiche inviate dalle sonde spaziali della Nasa, con l'obiettivo puntato su pianeti del sistema solare, comete, nebulose e galassie. Tra illustrazioni affascinanti e divertenti curiosità sfilano satelliti artificiali, stazioni spaziali e razzi.
Visti da vicino. Il pellicano, lo squalo e il pesce granatiere, sono disegnati su tessere variamente componibili, per osservarne caratteristiche e habitat. Adatto ai primi lettori.
Un romanzo. Protagonisti il Big Bang, le galassie e i quark: il cosmo, raccontato come ««una vasca da bagno piena di schiuma»» in questa divulgazione scientifica semplice ma non semplicistica, per ragazzi curiosi di cosmologia e dintorni.
Una scrittura piacevolmente sgangherata racconta le peripezie della famiglia Scintilla, che coinvolge i ragazzi in semplici e accattivanti esperimenti scientifici. ««Annodati»» dal fuoco d'artificio di pensate della straripante Sally, in combutta con Sam e Simon ««entrambi suoi fratelli / che hanno aria nei cervelli»». Verificando se l'acqua dello stagno è inquinata, riconoscendo le impronte degli animali e scoprendo dove vanno a mettersi i vermi, in una scatola parzialmente illuminata: si comincia così, a girare l'ambiente con il passo dell'ecologo. Divertente e istruttivo.
Nella scatola ci sono il classificatore per la collezione di foglie, la lente d'ingrandimento per osservare gli organismi più piccoli, un retino per pescare nelle pozze lasciate tra gli scogli dalle maree, i pezzi per costruire uno stetoscopio e una cartina tornasole per valutare l'acidità della pioggia. E poi conchiglie, vetrini per campioni, pompette e un manuale di laboratorio attivo per una cinquantina di esperimenti su animali, piante e ambiente. Un kit per scienziati di 8-10 anni.
Password: ««Il Regno dei Cieli»», ««Prodigi e Segni»», ««Isaia»». Interactive; si va da ««valori all'asta per riflettere»» alla simulazione di cause civili trattate in un'aula di tribunale. Navigator: da Madre Teresa di Calcutta ai personaggi biblici. Dati: si attinge soprattutto dai Vangeli. Destreggiandosi tra Virus & Devirus è così possibile mettersi in contatto, via Internet, con 11 ««siti»» di Dio. Originale e coinvolgente, questo Natale ««telematico»» per ragazzini che non si accontentano di panettoni e di tombole.