TUTTOSCIENZE 25 agosto 99


La bussola della TARTARUGA
Autore: MAZZOTTO MONICA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA
PERSONE: LUSCHI PAOLO, PAPI FLORIANO
NOMI: LUSCHI PAOLO, PAPI FLORIANO
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: C. LE MAGGIORI CORRENTI DI SUPERFICIE DELL'OCEANO ATLANTICO

COSA sareste disposti a fare per raggiungere la spiaggia, di un'isola equatoriale semidisabitata? Probabilmente saremmo tutti favorevoli a viaggiare in lungo e in largo per trovare l'isola dei nostri sogni, ma partiremmo a nuoto, senza bussola e senza mappa, dal punto di terra ferma più vicino sapendo che la nostra isola, piccolo granello in un oceano sconfinato, dista più di 2000 chilometri? Forse opteremmo per qualche luogo meno esotico ma più facile da raggiungere! Non la pensa allo stesso modo la Chelonia mydas, grossa tartaruga marina appartenente alla famiglia dei Chelonidi. Ogni due o tre anni al momento della riproduzione, questo rettile, chiamato comunemente tartaruga verde, affronta un viaggio di 2300 chilometri per tornare esattamente sulla spiaggia che l'ha vista nascere tanti anni prima. Parte dalle acque costiere del Brasile, per navigare verso l'isola di Ascensione, che si trova poco sotto l'equatore, in pieno oceano Atlantico. Per lei raggiungere l'isola dei sogni non è facoltativo, per lei è una necessità: solo lì trova un'incubatrice ideale per deporre le uova, scavando buche vicino al mare su quelle spiagge. Il miracolo della navigazione si ripete generazione dopo generazione, sempre uguale e presumibilmente senza errori. Ma come fanno a sapere e a mantenere la rotta? Come fanno a tornare esattamente sulla stessa isola, sulla stessa spiaggia, dove sono nate? E visto che queste tartarughe raggiungono la maturità sessuale a 15 anni dalla nascita, come fanno a conservare un ricordo così indelebile del luogo natìo? A queste domande cercano di dare risposta Floriano Papi, etologo di fama mondiale, e il suo più giovane collega, Paolo Luschi, entrambi del Dipartimento di Etologia dell'Università di Pisa. I due ricercatori per seguire le tartarughe nelle loro lunghe traversate oceaniche hanno fissato sul dorso, o carapace, di sei di loro, dopo che avevano deposto le uova, delle radiotrasmittenti. Grazie ai segnali emessi, è stato possibile per il satellite Argos rilevare la posizione delle singole tartarughe e ricostruire, punto dopo punto, il loro percorso del viaggio di ritorno, dall'isola di Ascensione fino alle coste del Brasile. Durante il viaggio di ritorno, sostengono i ricercatori, è impossibile per le tartarughe prendere dei punti di riferimento paesaggistici o batimetrici, visto che attraversano zone di alto mare dove non si vedono coste e dove i fondali sono incredibilmente profondi. Per coprire simili distanze quasi sicuramente devono possedere una ««bussola»». Come tanti altri animali, in certi casi anche l'uomo, quasi sicuramente usano il sole come sicuro e infallibile segnale di direzione. Ma viaggiano anche di notte, e allora si era pensato a un secondo meccanismo ausiliario come per esempio quello lunare; ma queste instancabili atlete non si fermano neanche nelle notti senza luna. Impossibile pensare che utilizzino le stelle come consigliere, in quanto le tartarughe marine sono animali incredbilmente miopi fuori dall'acqua. Per esclusione, è verosimile che di notte utilizzino meccanismi non visivi, come per esempio quello magnetico, a cui, è stato già dimostrato, sono sensibili. Dunque sembrerebbe risolto il problema; per la rotta diurna basta guardare il sole e per quella notturna basta inserire il pilota automatico sensibile al campo magnetico terrestre, ma non è così semplice. Chiunque abbia un minimo di esperienza marina, sa come l'acqua non dia riferimenti costanti e inalterabili. Il mare è in continuo movimento, esistono le correnti e queste sono capaci di spostare la traiettoria di chilometri e chilometri. Ciò richiede alle tartarughe un'abilità supplementare, posseduta da pochi animali, quella di saper correggere la propria rotta, quella di saper fare il punto e di essere perfettamente a conoscenza della loro posizione rispetto alla destinazione finale. I ricercatori pisani hanno vagliato le due ipotesi più accreditate al momento. La prima sostiene che le tartarughe, dato che forse utilizzano il campo magnetico terrestre come bussola, potrebbero usarlo anche come ««mappa»». Potrebbero determinare le differenze di intensità e inclinazione del campo magnetico terrestre e in questo modo seguire una griglia basata sulle intersezioni delle isocline e delle isodinamiche. Una specie di battaglia navale, dove le tartarughe sanno che la loro meta si trova per esempio in B5 e allora, conoscendo l'alfabeto e i numeri, riescono a correggere la loro rotta; se sanno di essere in B1 allora sanno di dover andare più a Sud, se invece si accorgono di essere in C7, sanno di dover prendere una direzione Nord Ovest e così via. Questa spiegazione a lungo sembrò verosimile, ma le recenti ricerche di Papi e Luschi l'hanno messa in seria discussione. I ricercatori, in un esperimento recentemente condotto, hanno rilasciato una tartaruga con il carapace carico di magneti e altre apparecchiature che avrebbero completamente alterato quasiasi percezione del campo magnetico terrestre, facendo sballare qualsiasi calcolo di questo tipo. Ebbene, la tartaruga non sembrò minimamente confusa da questo bagaglio, e il suo viaggio non ebbe alcuna variazione. Inoltre le tartarughe ««seguite»» via satellite, lasciavano tutte l'isola di Ascensione prendendo una direzione Ovest Sud-Ovest, direzione che le allontanava dalla strada più breve per raggiungere il Brasile e che veniva corretta dopo chilometri e chilometri. Le tartarughe sembravano seguire dei corridoi, dei canali preferenziali, delle piste segnalate da un invisibile tracciante che costantemente indicava loro la strada da seguire. Ma che cosa potrebbe essere questo indicatore? Qui entra in gioco la seconda ipotesi, la più credibile secondo i due studiosi, l'ipotesi olfattiva azzardata la prima volta nel 1969 dall'americano Carr. Nella zona atlantica in esame esiste una corrente oceanica chiamata SAEC (South Atlantic Equatorial Current) che si muove in direzione Est-Ovest. Questa corrente, investendo l'isola di Ascensione, potrebbe dilavare alcune sostanze chimiche, originatesi nell'isola stessa, e trasportarle in direzione Ovest, verso il Brasile. In questo modo è come se si creasse un cono di odori, chiamato in termine tecnico una ««piuma»», che avrebbe come vertice Ascensione, per poi allargari all'allontanarsi dall'isola stessa. Secondo Papi e Luschi le tartarughe quando partono dalle coste brasiliane ««sanno»» che devono prender una generica direzione Est, lungo il percorso, ad un certo punto, inizieranno a percepire ««odore di casa»»: bastano anche concentrazioni bassissime e le tartarughe sanno di essere sulla strada giusta. A quel punto non faranno altro che correggere il tiro, alla ricerca di concentrazioni sempre maggiori degli odori interessati. Per il ritorno vale il discorso inverso: entreranno nel cono di odori, questa volta dal vertice e se ne allontaneranno in direzione Ovest al diminuire delle concentrazioni. Questa è un'ipotesi affascinante e forse i futuri studi dell'Università di Pisa permetteranno di individuare quali sostanze chimiche entrano in questo meccanismo e se altri sistemi orientati possono essere coinvolti in seconda battuta, in certi tratti del viaggio, o in altre parti del mondo. Monica Mazzotto


SPACE STATION Astronauti, una vita nel pallone
Autore: BONANNI AMERICO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
NOMI: FENDER DONNA
ORGANIZZAZIONI: TRANSHAB
LUOGHI: ITALIA

VIAGGIARE nello spazio dentro un pallone può sembrare una fantasia da bambini, lontana dall'acciaio e dai bulloni delle astronavi "serie". Invece è proprio una specie di pallone quello nel quale gli astronauti della Stazione spaziale internazionale potrebbero trovarsi a vivere. E il Transhab, nome ufficiale della struttura gonfiabile, potrebbe anche aprire la via alla missione umana su Marte, scopo per il quale era stato peraltro pensato all'origine. Si tratta di una struttura concepita per far vivere comodamente un equipaggio di sei astronauti, fornendo un ambiente molto più ampio di quello che qualsiasi astronave o stazione spaziale tradizionale potrà mai permettersi. Questo il progetto in sintesi: al momento del lancio, ripiegato nella stiva di uno Shuttle, l'intero modulo è un cilindro lungo dieci metri e largo quattro. Una volta nello spazio viene gonfiato fino a raggiungere le dimensioni di una villetta: un volume di 3.600 metri cubi, paragonabile allo spazio di una abitazione di 457 metri quadri. Quindi lo si collega al resto della Stazione. L'intera operazione è stata già simulata nel dicembre scorso, quando un modello a grandezza naturale è stato gonfiato all'interno della enorme camera a vuoto del centro spaziale Johnson di Houston. Ovviamente saranno molti gli astronauti piuttosto nervosi all'idea di trovarsi dentro una specie di pallone in orbita, con la possibilità che un micrometeorite o un qualsiasi frammento metallico della famigerata spazzatura spaziale possa arrivare a velocità elevatissima bucando l'involucro. Ma la robustezza, secondo i progettisti, è fuori discussione, e la struttura potrà reggere tranquillamente l'urto di un piccolo detrito spaziale che viaggiasse ad oltre 24.000 chilometri l'ora. Il rivestimento, spesso circa trenta centimetri, è infatti composto di oltre venti strati di materiali diversi, tra i quali anche il Kevlar, il componente principale dei giubbotti antiproiettile. Quanto all'interno, sembra realizzato mettendo insieme i disegni delle astronavi di 2001 Odissea nello spazio e del primo Alien. Il Transhab è infatti grossolanamente diviso in tre piani, ciascuno con una funzione specifica (bisogna ricordare che pareti, porte e mobili sono parte integrante della struttura gonfiabile, non vengono aggiunti dopo). Il piano superiore contiene i bagni, una palestra ed un vero e proprio centro medico. Il livello più basso, secondo i progettisti, è un gioiello di design: una sala da pranzo con un tavolo al quale si potranno sedere fino a dodici astronauti (quelli dell'equipaggio più eventuali visitatori dello Shuttle). Ma è l'area centrale quella che riserva più sorprese. Qui ci sono gli alloggi, spaziose camerette individuali fornite di letto, armadio e computer. Tutto abbastanza comune, tranne che per un particolare: le pareti delle stanze conterranno acqua, uno schermo efficacissimo contro le radiazioni solari e cosmiche. Questo dettaglio non sarà così importante se il Transhab verrà usato solo con la Stazione spaziale. A quell'altezza, infatti, una buona protezione arriva dal campo magnetico del nostro pianeta. Ma si potrebbe rivelare decisivo per una missione interplanetaria, dove gli astronauti sarebbero esposti a dosi di radiazioni molto superiori. Essere circondati da acqua nelle ore di riposo significherà allora ridurre di molto l'assorbimento giornaliero. Del resto è proprio la prospettiva dei viaggi interplanetari quella più allettante per le strutture gonfiabili: il maggiore spazio a disposizione potrebbe rilevarsi infatti vitale per la salute psicologica degli astronauti. "Stiamo realizzando - ha detto Donna Fender, capo del progetto - una struttura sicura ed economica con l'obiettivo di creare un habitat per la Stazione spaziale. Certo potrà essere adattato senza grosse modifiche anche ad una missione marziana". Queste parole fanno trasparire una enorme cautela, peraltro ben giustificata a guardare i fatti di questi giorni. Con il Congresso Usa deciso a tagliare ulteriormente i fondi per la Nasa, qualsiasi accenno ad una missione interplanetaria sarebbe un atto quasi suicida. Il Transhab deve essere così presentato solo come un ottimo componente per la Stazione spaziale, anche se i progettisti sognano ben altro. Ad ogni modo, se il progetto passerà indenne la bufera al Congresso, rappresenterà l'ultimo pezzo della Stazione ad essere lanciato, tra il 2003 ed il 2004. Americo Bonanni


TRA PSICOLOGIA E FISIOLOGIA Occhi negli occhi, l'insostenibile leggerezza di uno sguardo Per riconoscere un'espressione facciale entra in gioco la zona più arcaica del cervello
Autore: BENZONI STEFANO, SOMAJNI FRANCESCO

ARGOMENTI: PSICOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

TUTTI noi siamo in grado di giudicare lo stato emotivo di una persona dalla sua espressione facciale. L'elemento più forte che interviene in questo processo di fissazione della nostra attenzione sul volto degli altri è la direzione dello sguardo. L'amigdala, un piccolo agglomerato di neuroni a forma di mandorla situato alla base di ciascun emisfero cerebrale, è implicata nella regolazione di numerose funzioni primarie come la fame, l'aggressività, la sessualità, la genesi degli stati emotivi e l'inferenza sugli stati affettivi degli altri. Una recente ricerca svolta all'università di Kyoto, in Giappone, ha dimostrato che questa antichissima struttura nervosa (fa parte del sistema limbico, una delle aree cerebrali più arcaiche) è anche direttamente coinvolta nella capacità di cogliere la direzione dello sguardo altrui. Alle persone sotto studio venivano presentate immagini di volti umani in serie distinte attraverso un monitor. Nella prima serie essi percepivano l'immagine di una donna che di tanto in tanto guardava verso la videocamera (cosicché dal monitor si aveva l'impressione che guardasse lo spettatore); nella seconda la donna guardava un punto posto di fianco alla videocamera (ai soggetti sembrava perciò che osservasse qualcuno seduto accanto a loro); nella terza e ultima serie strizzava gli occhi in sequenze casuali, senza guardare mai la videocamera. Così i ricercatori disponevano di tre distinte condizioni di studio: il contatto visivo diretto con il soggetto, con qualcuno seduto di fianco al soggetto e l'assenza di contatto visivo. Durante la prova la loro attività cerebrale veniva registrata con la tomografia ad emissione di positroni. Un sistema di sensori collegati ad un computer capta il segnale radioattivo prodotto da un ««tracciante»» preventivamente iniettato in vena. Durante l'esecuzione di un determinato compito la sostanza radioattiva si concentra nelle zone del cervello interessate alla programmazione ed esecuzione. Costringendo il soggetto a svolgere in sequenza compiti che differiscono tra loro solo per alcune definite caratteristiche e registrando con la Pet le immagini cerebrali durante tali performance è possibile poi, per sottrazione, stabilire quali aree cerebrali si attivano esclusivamente per quelle funzioni distintive. Il computer in pratica non fa che sovrapporre le immagini del cervello ottenute durante le diverse prove per individuare quali siano le zone che vengono coinvolte solo in una di esse. Si è così dimostrato che l'amigdala di destra e altre strutture cerebrali sono specificamente attive solo durante prove in cui al soggetto viene rivolto direttamente lo sguardo. Il fatto che l'amigdala, crocevia anatomico di numerose funzioni fondamentali per la sopravvivenza, sia anche sede della nostra capacità di realizzare che altre persone ci stanno guardando, indica chiaramente che tale capacità è essenziale da un punto di vista evolutivo. Quando qualcuno ci fissa intensamente ci potremo sentire infastiditi, minacciati, impietriti da un senso di vergogna o ancora eccitati. Avremo la tentazione irrefrenabile di tornare con lo sguardo ad incrociare l'altro oppure l'imbarazzante urgenza di evitarlo. In ogni caso avremo sperimentato la sensazione unica e forte che ciascuno di noi conosce di ««essere in balia dei nostri occhi»», di subirne in qualche modo l'innata tendenza a cercare un contatto visivo. La psicologia da molto tempo spiega che la capacità di cogliere la direzione dello sguardo altrui è uno strumento fondamentale per realizzare e mantenere un contatto sociale. Oggi sappiamo che questa proprietà dipende da una zona del nostro cervello che si è evoluta milioni di anni fa e che è tanto distante dalle sedi dell'intelligenza razionale, quanto vicina alle funzioni vitali del nostro organismo. Francesco Somajni Stefano Benzoni


TERZA MISSIONE UV-STAR Il caldo vento delle stelle Le osservazioni compiute sullo Shuttle
Autore: LO CAMPO ANTONIO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA
LUOGHI: ITALIA

IL telescopio Uv-Star, collocato nella stiva dello space shuttle ««Discovery»» nella missione STS-95, che nell'ottobre scorso vide tra i protagonisti il decano degli astronauti John Glenn, ha un " cuore tecnologico" tutto italiano. Lo strumento, giunto alla sua terza missione dopo quelle del '95 e '97, è frutto di una collaborazione tra la Nasa e l'Agenzia Spaziale Italiana (ASI), ed è stato realizzato dall'««Area Science Park»» di Trieste del Consorzio Carso, che comprende le Officine Galileo di Firenze e l'Università di Trieste. Adesso Uv-Star comincia ad offrire agli scienziati i primi dati interessanti dell'ultimo volo, dove l'unico esperimento che non si poté realizzare (causa la mancanza di tempo assorbito nei nove giorni di missione dagli altri esperimenti in programma), fu quello sulla difficile osservazione del pianeta Mercurio, approfittando della sua massima lontananza dal Sole, a caccia di informazioni che verifichino l'esistenza di una possibile atmosfera su questo pianeta molto simile alla nostra Luna. Le ali della navetta avrebbero dovuto fare quasi da schermo per Uv-Star, per evitare che il Sole potesse offuscare le osservazioni, richiedendo pertanto una lunga serie di complesse manovre in orbita. Ma Uv-Star, - uno strumento progettato per la ricerca astronomica nella banda dei raggi ultravioletti - vede coinvolto un gruppo di ricercatori guidato da Roberto Stalio, che ha seguito la missione dal Centro Nasa ««Goddard»», nel Maryland. Nella sua ultima missione Uv-Star ha fatto osservazioni nella radiazione ultravioletta estrema, una regione dello spettro elettromagnetico inaccessibile da Terra, effettuando vari studi su sorgenti stellari e non della nostra galassia. ««Gran parte dei dati li stiamo ancora elaborando»» - dice Stalio - ma abbiamo già ottenuto informazioni interessanti. Per esempio quelle riguardanti un'anomalìa, da tutti noi inaspettata, circa la presenza di vento stellare che presenta simultaneamente le caratteristiche di un plasma con due distinte distribuzioni di temperatura. Questo materiale - aggiunge - che viene emesso ad altissima velocità da stelle evolute che posseggono atmosfera con temperatura media di circa 5000 gradi, è formato sia da un gas super-ionizzato a temperature di almeno un ordine di grandezza più alta di quella amosferica, che da materiale più freddo, la cui temperaura è compatibile con quella dell'atmosfera della stella. I modelli conosciuti non prevedono ancora la presenza di un tale vento stellare ibrido»». I risultati cui fa riferimento Stalio, potranno aiutare gli astrofisici ad acquisire migliori conoscenze sui meccanismi di formazione ed evoluzione dei corpi stellari. E adesso Uv-Star attende che un angolo della stiva di uno shuttle si liberi per una prossima missione, forse nel 2001. Doveva volare il prossimo anno nel volo dello shuttle che andrà a riparare i giroscopi del telescopio ««Hubble»», ma questa missione è stata anticipata ad ottobre di quest'anno. Troppo presto per Uv-Star, che per il suo quarto volo dovrà così attendere. Nel frattempo si pensa già ad UVISS, osservatorio ultravioletto alla cui realizzazione partecipa tutta la comunità italiana che si occupa di osservazioni astronomiche in questa gamma dello spettro. L'obiettivo è di collocare lo strumento su uno dei tralicci esterni della stazione spaziale internazionale nel 2005. C'è poi c'è il progetto ««AirWatch Owl»» (Owl significa ««civetta»»): ««E' un satellite che scruterà l'atmosfera di notte - precisa Stalio - per studiare i raggi cosmici di altissima energia e la loro direzione di provenienza, tramite quei flash ultravioletti che solo dallo spazio possono essere studiati con accuratezza e continuità. Il fenomeno è molto raro alle energie che si vogliono misurare, e che sono tra le maggiori che si sviluppano nell'universo. Da Terra in più di trent'anni se ne sono misurati meno di dieci. Dallo spazio se ne cattureranno almeno un migliaio per anno»». Antonio Lo Campo


CHIMICA Il detersivo che risparmia energia
Autore: FOCHI GIANNI

ARGOMENTI: CHIMICA
PERSONE: BIANCHI UGO PIERO
NOMI: BIANCHI UGO PIERO
ORGANIZZAZIONI: AUSIMONT
LUOGHI: ITALIA

UN dentifricio popolare e d'antica tradizione si rinnova: nel tipo OxActive la ben nota ««Pasta del Capitano»» del Dr. Ciccarelli sfrutta le proprietà d'un prodotto sviluppato da Ugo Piero Bianchi e altri ricercatori dell'Ausimont. La nuova sostanza, che nel dentifricio è sotto forma di complesso con ciclodestrina, viene indicata col marchio Eureco e ancor più succintamente con la sigla PAP. Il nome scientifico, come spesso succede, è ben più scomodo da pronunciare: acido epsilon-ftalimmìdo-peròssiesanòico. L'istituto farmacologico dell'Università di Pavia ha confermato che nel giro d'un paio di settimane esso manifesta un marcato effetto sbiancante sullo smalto dei denti, mentre l'azione antiplacca comincia subito e dura alcune ore. Intanto è in preparazione - probabilmente con sviluppi entro l'anno - l'impiego del PAP nei detersivi per il consumo domestico negli Stati Uniti e in Europa. Nel nord del nostro continente un detersivo basato sull'Eureco è già diffuso nelle lavanderie industriali, ospedaliere e militari. Ecco dunque che i risultati d'una ricerca innovativa passano dal limbo dei laboratori e degli uffici brevetti alla vita d'ogni giorno. Intanto il PAP, dopo aver vinto l'anno scorso il primo premio nella sezione imprese al concorso Energia e Ambiente dell'Enea, viene ora portato all'attenzione della Società Chimica Italiana dal mensile ufficiale La Chimica e l'Industria. Va detto subito che proprio dalla notevole attività chimica di questo prodotto derivano i suoi benefici. Alle volte, come si sa, una sostanza molto reattiva risulta anche rischiosa, se va in mano a personale non specializzato. Invece il PAP è stato studiato in modo da non presentare problemi particolari nè per l'ambiente nè per l'uomo, e possono usarlo tranquillamente anche le casalinghe. Per fare sparire macchie ben fissate sui tessuti (té, vino rosso, frutta), ai detersivi vengono aggiunti i candeggianti. Negli Stati Uniti è molto in uso l'ipoclorito di sodio, cioè lo stesso composto che dà origine alla candeggina. Esso ha l'inconveniente di sbiadire i tessuti colorati, ma ha il pregio d'agire anche a temperature basse. Invece la tradizione europea è stata fino a tempi recenti quella di far funzionare le lavatrici con acqua molto calda; indubbiamente è stata una scelta sconveniente dal punto di vista del consumo d'energia, ma permette l'uso di candeggianti che a freddo sarebbero inattivi: composti che contengono gruppi perossidici (-O-O-). Il più semplice di essi è l'acqua ossigenata (HO-OH, ossia H2O2), nota come disinfettante e molto popolare tra le finte bionde. Nel momento in cui un detersivo attivo a 50-60 °C si scioglie in acqua, l'H2O2 viene generata dal perborato di sodio in esso contenuto. A quella temperatura relativamente bassa, inevitabile per i tessuti sintetici e raccomandabile per il risparmio energetico, essa è tuttavia inefficace; i produttori aggiungono allora un attivatore, che per gran parte del mercato europeo è la tetra-acetìl-etilèndiammìna (TAED). Essa reagisce con l'acqua ossigenata, dando un composto organico appartenente alla categoria dei cosiddetti peracidi, molto più attivi nell'ossidare le macchie. Ecco cosa intende la pubblicità quando parla d'ossigeno attivo. Ebbene, il PAP è un peracido assai più stabile dei consimili finché non si scioglie in acqua, e quindi può essere aggiunto nella produzione del detersivo, senza bisogno d'attivatori che lo formino durante il lavaggio. In lavatrice esso si sveglia già a 20-40 °C, come candeggiante e come battericida: dunque bucato splendente e disinfettato, e bolletta dell'Enel meno salata. L'Ausimont calcola che la diffusione capillare del nuovo ingrediente farebbe risparmiare l'1,5 per cento dell'energia consumata in Italia. Con un occhio all'ambiente e all'effetto serra, possiamo dedurne circa sei milioni di tonnellate annue di CO2 in meno nell'atmosfera. Se aggiungiamo che il processo produttivo, avviato a Bussi (Pescara) con una capacità di 5000 tonnellate all'anno, viene descritto come sicuro ed ecologico, e che la biodegradabilità del PAP è buona, non ci resta che augurare il massimo successo a questa realizzazione italiana. Gianni Fochi Scuola Normale di Pisa


LO SPAURACCHIO DEL 2000 Buon capodanno al computer Manuale di autodifesa dal Millennium Bug
Autore: BELLONI MASSIMO

ARGOMENTI: INFORMATICA
LUOGHI: ITALIA

SI sente ormai parlare quotidianamente dei possibili problemi che coinvolgeranno i computer con l'avvento del 2000. Taluni li descrivono come una catastrofe che fermerà le macchine di tutto il mondo con nefaste conseguenze, altri solo come un modo per vendere nuovi computer, programmi specifici e consulenze. Quale è la reale portata del problema? Quanto può coinvolgere il cittadino o il suo computer di casa? Sfatiamo subito il mito che associa il " Millenium Bug" (Bug, letteralmente "baco", termine che gli addetti ai lavori usano per indicare gli errori di programmazione) ad una mera operazione commerciale. Il problema esiste realmente, e non è legato solo al passaggio al 2000. Agli albori dell'informatica la memoria costava molto cara e tutti i metodi per economizzarla erano benvenuti. Si adottò quindi l'indicazione dell'anno utilizzando solo le ultime due cifre, anteponendovi "19" solo al momento di stampare o visualizzare la data. Applicando questo metodo a grandi masse di dati, effettivamente si otteneva un certo risparmio. Tutto ciò ha funzionato fino a quando non ci si è avvicinati al nuovo millennio. Con il suo avvento la notte del prossimo 31 dicembre le ultime due cifre passeranno da 99 a 00. L'effetto conseguente è che, ad esempio, una qualsiasi lista ordinata per data riporterà per primi i dati relativi a questo secolo, e per ultimi quelli del 2000. Un altro caso è il calcolo di un interesse, che tiene conto del numero di giorni intercorrente tra due date. Se il computo si trova a cavallo del cambio del millennio, per esempio 02 (2002) - 98 (1998), il risultato è -96, un valore negativo che molti programmi non sono in grado di gestire, e quindi potrebbero arrestarsi o dare risultati imprevedibili. Altri problemi potrebbero derivare dalle password di accesso ai sistemi, che potrebbero non funzionare più se immesse in una data erroneamente creduta precedente a quella di loro creazione, e molti altri casi potrebbero essere citati. La data a 2 cifre ha principalmente 3 tipi di riflesso: sul BIOS (Basic Input-Output System) dei PC, sui programmi applicativi e sui dati stessi. Il BIOS è una piccola parte del sistema, al confine tra hardware e software, che tra le altre funzioni assolve quella di orologio di macchina. Ogni volta che è necessario sapere data e ora i programmi interrogano il BIOS. Nei BIOS di più vecchia concezione la data veniva spesso gestita utilizzando due celle di memoria: una conteneva il valore "19", l'altra le due cifre dell'anno corrente, ma solo quest'ultima veniva aggiornata con continuità. Ne consegue che a mezzanotte del 31 dicembre il valore 99 diventerà 00, mentre il 19 rimarrà invariato, portando così la data al 1 gennaio 1900. Purtroppo il passaggio al 2000 non è l'unica data critica: ve ne sono altre che potrebbero essere gestite in modo non corretto (in proposito si veda il riquadro qui accanto). Le anomalie generate da programmi incapaci di gestire il passaggio al 2000 possono essere risolte esclusivamente sostituendo il programma con una versione in grado di funzionare correttamente. Le problematiche legate ai dati utente traggono invece origine dal tipo di dato che l'utilizzatore immette ne sistema: se tutte le date vengono caricate correttamente, per esempio 10/11/1999, il programma funziona regolarmente, mentre potrebbero sorgere dei problemi se le date immesse sono del tipo 10/11/99. In questo caso la correzione della data è la soluzione principale. Diverse organizzazioni governative e industriali hanno fissato dei test a cui sottoporre macchine e programmi per poterne verificare il funzionamento anche nel nuovo millennio. La soluzione dei problemi che risiedono su una singola macchina può comunque non essere sufficiente: se essa è collegata in rete con altre, e con esse scambia informazioni, è necessario che anche i programmi residenti sulle altre vengano adattati di conseguenza, poiché se il formato dei dati inviato dalla prima viene cambiato (utilizzando date con l'anno intero anziché solo le ultime due cifre), potrebbero verificarsi dei problemi sui computer che li ricevono, poiché essi potrebbero non essere in grado gestire autonomamente questa variazione. Tanto le industrie quanto i governi si stanno impegnando per arrivare pronti all'appuntamento al nuovo millennio, ma è lecito aspettarsi che non tutti i problemi potranno essere risolti in tempo, talvolta per oggettive difficoltà realizzative, altre volte perché si è intervenuti troppo tardi. Sebbene una vera catastrofe sia piuttosto improbabile, forse un periodo di inconvenienti si verificherà a partire dal 1 gennaio 2000. E' sicuramente il caso di tenersi aggiornati sugli sviluppi della situazione. Superato lo scoglio del nuovo millennio, tutte le cautele intraprese andranno comunque mantenute, tanto per affrontare la altre date critiche, quanto evitare di ricadere nel problema a distanza di tempo. I computer e i programmi di più recente immissione sul mercato sono già costruiti per non avere problemi con il nuovo millennio. Basterà richiedere al commerciante il certificato di "Year 2000 compliancy" che ne attesti tale caratteristica. I produttori normalmente rendono disponibili informazioni relative anche allo status anche dei prodotti commercializzati in passato ed indicazioni su come risolverli se ciò dovesse rendersi necessario. Come verificare il computer di casa? Il test più semplice è quello di spostare in avanti la data di sistema e verificare come si comporta. Provare i programmi che potrebbero dare dei problemi (ad esempio i fogli elettronici), facendo eseguire loro calcoli con date. Provare a spegnere e riaccendere la macchina quando la data è già nel nuovo millennio. Impostare la data appena prima del cambiamento con quelle critiche, ad esempio impostarla al 31 Dicembre 1999, ore 23: 59, e verificare a quale data si trova la macchina pochi minuti dopo. Per chi dispone di Internet è possibile trovare in rete numerosi programmi per effettuare dei test piuttosto completi. Per brevità citiamo solo quelli che si trovano alla pagina http://cgi. zdnet.com/zdy2k/y2k.pl. Va comunque tenuto conto del fatto che sovente una data non ben gestita dal BIOS può essere corretta manualmente, ad esempio se il 1 gennaio 2000 dovesse diventare erroneamente il 1 gennaio 1900, è spesso possibile impostare da tastiera la data esatta e utilizzare poi normalmente la macchina. Questa possibilità riguarda però solo le problematiche del BIOS e va verificata caso per caso. Si noti che i sistemi operativi più comuni (MS-DOS, Windows 3.X, 95, 98) utilizzano direttamente la data fornita dal BIOS, mentre Windows NT, una volta avviato, maschera completamente questa funzionalità con un suo meccanismo interno. In questo caso, per verificare il buon funzionamento del BIOS, sarà necessario effettuare il test avviando la macchina da un floppy con DOS e un programma di prova apposito. Massimo Belloni


TRABOCCHETTI INFORMATICI Gli altri giorni critici Primo allarme il 9 settembre
LUOGHI: ITALIA

QUI di seguito elenchiamo le altre date che possono diventare critiche per i computer. Un buon programma di test dovrebbe verificarle tutte. 1 gennaio 1980: data utilizzata nella metodologia "Windowing" per determinare il secolo di una data a 2 cifre: se il valore è tra 80 e 99 si tratta del secolo 1900, altrimenti ci si trova nel 2000. Certi vecchi personal computer non accettano l'impostazione dell'anno 1980. 9 settembre 1999 (9/9/99): alcuni programmi interpretano questa data come l'espressione del valore "infinito". 1 gennaio 2000: alcuni personal computer non gestiscono correttamente il passaggio del millennio, indicando il giorno successivo al 31 dicembre 1999 come 1 gennaio 1900. 28-29 febbraio 2000: per un'eccezione prevista dal calendario gregoriano, l'anno 2000, essendo divisibile per 400, è bisestile. Certi BIOS lo considerano invece non bisestile. 31 dicembre 2000: certi BIOS passano correttamente dal 1999 al 2000, ma falliscono con la data di vero inizio del millennio (2001). 28 febbraio 2001: è possibile che certi BIOS considerino erroneamente come bisestili tutti gli anni successivi al 2000. 1 gennaio 2099: certi BIOS non funzionano correttamente dopo il 2099. E' comunque improbabile che questo problema sia di particolare rilevanza. Per saperne di più si può consultare il sito Internet http://www.year2000.com


NEI CAMPI E NEI GIARDINI La riscoperta delle siepi Decorative e utili per l'ambiente
Autore: VIETTI MARIO

ARGOMENTI: BOTANICA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. T. LE SPECIE PIU' UTILIZZATE

LA consuetudine di allineare arbusti o alberi in modo da formare una siepe ha origine in agricoltura (di qui il nome di siepe campestre) con lo scopo ben preciso di proteggere dal vento, dividere la proprietà agraria e fornire legname e a volte anche frutti e foraggio. Con il passare degli anni i contadini hanno poco per volta abbandonato le siepi campestri, rimuovendole o trascurandole fino a lasciarle morire, sia perché non le ritenevano più utili come un tempo sia perché erano convinti che togliessero sole, spazio e sostanze nutritive alle coltivazioni. Invece recenti studi hanno dimostrato che la siepe campestre è più che mai utile anche nelle moderne coltivazioni in quanto può indirettamente incrementare il reddito del coltivatore con numerose funzioni utili. Tanto è vero che attualmente molti enti pubblici, anche a livello europeo, offrono dei contributi ai contadini che intendono ripristinare le siepi campestri nei loro appezzamenti. Oltre alla rivalutazione della siepe campestre in agricoltura, può essere interessante un suo inserimento nei giardini privati, sia di città sia di campagna, dove si potrebbero sfruttare le importanti funzioni che svolge. In queste aree verdi, la siepe è una componente fondamentale ma più che altro è considerata come elemento decorativo (con i colori delle foglie o dei fiori e con piante perfettamente potate si ottengono piacevoli effetti). Se invece si considerano anche gli aspetti utili, ecco che la siepe nei giardini assume un ruolo diverso, come la siepe campestre. Nel caso dei giardini privati forse la funzione più utile è quella protettiva: dal vento, dai rumori, dalle polveri e dagli sguardi dei passanti. A proposito di siepe frangivento, è bene ricordare che questo è uno dei compiti più importanti che svolge una siepe nei campi coltivati, facendo aumentare sensibilmente la loro produttività. In località ventose molte coltivazioni difficilmente riuscirebbero a crescere se non fossero riparate da una barriera vegetale che smorza notevolmente l'azione del vento (nella fascia immediatamente vicina alle piante la velocità è ridotta di circa due terzi per poi aumentare gradatamente fino a ritornare a quella posseduta sopravvento). La siepe campestre può anche essere utilizzata per delimitare la proprietà o per nascondere alla vista oggetti o strutture poco gradevoli (per esempio cassonetti dell'immondizia) o per bloccare il passaggio a persone, animali o veicoli, costringendoli a usare i percorsi predisposti (sentieri, strade, vialetti). Un'altra notevole funzione di queste barriere verdi è quella di costituire un ambiente adatto ad offrire rifugio a molti animali utili, non solo uccelli insettivori, ma anche numerosi insetti che si nutrono di altri insetti e di acari dannosi per le piante. Se collocata in terreni in pendio, la siepe campestre aiuta nell'azione di consolidamento. Per realizzare una siepe campestre sarebbe opportuno preparare un piccolo schizzo, riportando il tipo di piante e la posizione; è necessario considerare le caratteristiche delle piante (altezza e ingombro da adulte, colore dei fiori, foglie persistenti o no, esigenze di terreno, e così via), in modo da scegliere le specie più adatte alla funzione che si desidera attribuire alla siepe. Se si vuole realizzare una barriera frangivento, si dovranno utilizzare per lo più piccoli alberi o arbusti che diventino abbastanza alti; se invece la siepe può rimanere più bassa si sceglieranno principalmente specie arbustive. In ogni caso bisogna cercare di alternare essenze sempreverdi con quelle spoglianti e accostare piacevolmente colori e forme. Nella scelta delle piante occorre valutare anche le esigenze di manutenzione e naturalmente le condizioni pedoclimatiche del luogo. Per avere più garanzie di attecchimento e una resa migliore, è sempre preferibile piantare specie autoctone e tradizionalmente usate nelle siepi campestri, magari inserendo qualche arbusto o albero più ««pregiato»», ovvero più ornamentale. La manutenzione della siepe campestre è piuttosto semplice: è sufficiente irrigare nei primi mesi dopo la messa a dimora e durante i periodi particolarmente siccitosi; inoltre è bene tenere sotto controllo la crescita delle erbe infestanti. Il risultato migliore si ottiene lasciandola crescere spontaneamente, senza potarla, eliminando solo i rami eccessivamente esuberanti, disordinati o secchi. Mario Vietti


BIOLOGIA Scoperta: il Dna è come un transistor
Autore: PATERLINI MARTA

ARGOMENTI: BIOLOGIA
NOMI: FINK HANS WERNER
LUOGHI: ITALIA

CHISSA' se Watson e Crick, agli inizi degli Anni 50, quando erano alle prese con il modello dell'acido desossiribonucleico (Dna), chiarendo il concetto di trasmissione genica, immaginavano che un giorno in questa molecola si sarebbero scoperte alcune caratteristiche dei materiali semiconduttori, e quindi dei transistor, tanto da farne ipotizzare l' impiego nella costruzione di circuiti elettronici! Da tempo si discute se il Dna sia capace di trasportare elettroni come un ««filo metallico molecolare»» e soprattutto se questa abilità può giocare un ruolo determinante nei meccanismi di riparazione dei danni di origine radioattiva subiti dall'elica di Dna, molecola che presiede alla conservazione, trasmissione ed espressione dei caratteri ereditari, costituendo il materiale genico di tutte le cellule. Finora si erano ottenuti risultati contraddittori, ma un nuovo modo di manipolare le molecole di Dna ha fatto luce sulla questione, permettendo una misura diretta della sua conduttività elettrica. In esperimenti precedenti volti allo studio della conduttività di questa molecola, si era considerato un elevato numero di filamenti di Dna alterati con molecole di donatori e accettori di cariche elettriche intercalati nella doppia elica. La conduttività era stata misurata sulla base della percentuale di passaggio degli elettroni assunta come una funzione della distanza tra i siti donatori e accettori. Ma i risultati di queste misurazioni erano contraddittori come le predizioni teoriche. Questa volta due ricercatori dell'Università di Basilea, che hanno condotto uno studio pubblicato sulla rivista ingelse Nature, hanno preso le misurazioni della corrente elettrica come una funzione del potenziale applicato attraverso poche molecole di Dna associate in singoli filamenti lunghi almeno 600 nanometri, le misure indicano una conduzione efficiente attraverso questi filamenti. Il dato interessante è che i valori di resistenza forniti dalle misurazioni sono comparabili a quelli dei polimeri conduttori, indicando che il Dna trasporta corrente elettrica con la stessa efficienza di un semiconduttore. La conduttività è risultata sorprendentemente alta, suggerendo anche che le molecole di Dna potrebbero avere importanti applicazioni tecnologiche, come per esempio essere utilizzate come conduttori monodimensionali per oggetti molecolari elettronici mesoscopici, vale a dire conduttori che hanno dimensioni tali per cui un quantum degli effetti meccanici è rilevante. ««Ora - racconta Hans-Werner Fink, uno dei due ricercatori che hanno partecipato al progetto - stiamo cercando di metter a punto esperimenti dipendenti dalla temperatura per imparare qualche cosa sul meccanismo di trasporto degli elettroni. E in secondo tempo vorremmo tentare di inserire un elettrodo addizionale nella molecola di Dna per esplorare se sia effettivamente possibile invertire la corrente attraverso le molecole»». Assodato che il Dna conduce elettricità, capire ora nei dettagli i meccanismi di conduzione elettrica rimane una sfida aperta. Svelarne i segreti vorrebbe dire approfondire le nostre conoscenze sulle proprietà biologiche, chimiche e fisiche della molecola di Dna. Per non parlare delle importanti applicazioni tecnologiche che un Dna elettrico potrebbe offrire. Marta Paterlini Università di Cambridge (GB)


INSETTI Lotta biologica alla farfallina americana La Metcalfa pruinosa sta attaccando le nostre specie vegetali
Autore: MARASSO KATIA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA
LUOGHI: ITALIA, ITALIA

IL nome, Metcalfa pruinosa, è sicuramente poco familiare, ma la sua presenza non è passata inosservata a chi ha l'abitudine di passeggiare lungo i viali alberati, nei parchi urbani e a chi possiede piante ornamentali o da frutta. Questa piccola farfalla lunga 7-8 millimetri è riconoscibile dalle ali grigio brune che tiene ben aderenti ai fianchi a formare una corazza protettiva e dai fulminei balzi che compie quando viene disturbata. Parente delle cicale, si nutre di linfa che succhia dalle piante, soprattutto olmi e aceri. Appartiene all'ordine degli Omotteri, famiglia dei Flatidi, originaria del Nord America, ed è presente in Italia da circa vent'anni in seguito all'importazione di legnami ospitanti le sue uova. La mancanza di nemici naturali ne ha provocato una diffusione incontrollata nelle regioni del Nord Italia (in particolare nel Triveneto, in Piemonte e in Toscana) e nel Sud della Francia, causando problemi alle produzioni ornamentali e agricole e al verde pubblico. Il danno provocato da questo insetto è quasi solo estetico, in quanto non è un vero pericolo nè per l'uomo nè per gli animali. L'insetto adulto compare a fine giugno. Dopo la schiusa delle uova attraversa diverse metamorfosi durante le quali produce abbondante cera e melata (liquido zuccherino simile al miele). Queste produzioni imbrattano la vegetazione e favoriscono lo sviluppo di fumaggini, malattia provocata da un fungo che conferisce un tipico aspetto nerastro alle piante e riduce l'attività fotosintetica delle foglie, causandone spesso una precoce caduta. Il fronte di avanzamento del fitofago raggiunge densità molto elevate e tali da interessare tutta la vegetazione spontanea e coltivata dell'area infestata. Si calcola che in un ettaro di boscaglia infestata da Metcalfa possono essere presenti sino a 50 milioni di individui. Per combattere la diffusione della Metcalfa pruinosa alcune amministrazioni locali hanno lanciato un programma di difesa biologica senza ricorrere a trattamenti con fitofarmaci tossici per l'uomo e pericolosi per l'ambiente. Presso l'Istituto di Entomologia Agraria del'Università di Padova, una ricerca condotta da Girolami ha lanciato un programma di difesa biologica, che consiste nell'introduzione e nella diffusione di un ««insetto utile»», nemico naturale della Metcalfa, che vive e si sviluppa uccidendola. Il nome scientifico di questo insetto è Neodryinus typhlocaybae: la femmina è solita deporre nelle larve di metcalfa un uovo, visibile dall'esterno come una sorta di bubbone, che si alimenta svuotando lentamente l'ospite. Si è calcolato che, durante la fase feconda, una femmina può parassitizzare fino a 30 vittime. Potenzialmente, un driinide nel suo ciclo riproduttivo potrebbe neutralizzare l'intera prole di una metcalfa. La liberazione di centinaia di femmine di neodrino non ha però un effetto immediato sulla popolazione del fitofago; i risultati cominciano ad essere rilevati solo qualche anno più avanti, quando il parassitoide raggiunge una densità di popolazione paragonabile a quella della vittima. Dagli studi in corso all'Istituto di Padova, pare che il neodrino rimanga localizzato nei siti di introduzione fino a che ha individui di metcalfa disponibili e che, una volta rarefatti, si sposti alla ricerca di nuove colonie. Il controllo biologico dell'espansione della Metcalfa pruinosa non ha effetti negativi sull'ambiente. Rappresenta, al contrario, un valido metodo di contenimento di una specie dannosa, risparmiando l'uso di prodotti chimici che, in aree urbane altamente popolate, potrebbero causare danni. Katia Marasso


SCOPERTO IN PATAGONIA Ecco il super-dinosauro Carnivoro, era il più grande del mondo
Autore: FABRIS FRANCA

ARGOMENTI: PALEONTOLOGIA
LUOGHI: ITALIA, AMERICA, ARGENTINA

IN Patagonia, dove la pampa si protende per chilometri e chilometri con le sue sterminate distese di pianure ondulate e i suoi calanchi desertici, è stato trovato il più grande dinosauro carnivoro di tutto il mondo, il Giganotosaurus carolinii. Un corpo di dodici metri e mezzo di lunghezza, un peso stimabile in sei-otto tonnellate. Questo enorme killer del lontano passato geologico è addirittura più grande del Tyrannosaurus rex, specie della quale è diventato famoso quello chiamato Sue in quanto i suoi resti fossili sono stati battuti all'asta alla Sotheby's di New York per 8,36 milioni di dollari. Il Tyrannosaurus rex Sue, ritenuto fino a qualche anno fa il più grande e completo dinosauro carnivoro, ha un cranio di un metro e mezzo e denti di 30 centimetri, che ricrescevano ogni due o tre anni. Rispetto al Tyrannosaurus rex i denti del Giganotosauro sono più corti e sottili e le zampe anteriori hanno tre dita, mentre nel Tyrannosaurus rex se ne riscontrano due. Ora il Gigantosauro si trova al Museo di El Chocon, insieme con l'altra megastar, il sauropode Argentinosaurus, che fu probabilmente la più pesante creatura al mondo. Da alcuni anni i dinosauri sono divenuti estremamente popolari, sia per l'interesse suscitato dal film di Spielberg, sia perché se ne trovano in continuazione un po' ovunque. Ma ciò che sappiamo è veramente poco: forse soltanto il dieci per cento del totale dei dinosauri vissuti. Questo nuovo gigante della Patagonia del Nord Ovest aggiunge un altro anello alla storia dei dinosauri che, oltre a dare l'indicazione dell'esistenza di una nuova specie, costringerà gli scienziati a rivedere gran parte della tassonomia. Fin dall'inizio del secolo il Museo di La Plata aveva una raccolta di dinosauri cretacici, con ossa di mastodontici sauropodi. Nel 1926 il paleontologo tedesco von Huene dimostrò che i grandi dinosauri del tardo Cretacico vagabondavano in lungo e in largo in una terra tropicale lambita dal mare e popolata anche da tartarughe e da pesci polmonati che vivevano in piccoli specchi d'acqua. Nelle gole scavate dall'acqua si rilevano per chilometri, sui fianchi erosi, abbondanti spoglie di rettili triassici, i Rincosauri muniti di una specie di becco, gli pseudosuchi, i sauropodi, grandi predatori, fra cui l'Argentinosauro con zampe del diametro di più di un metro, il Megaraptor con un artiglio più grande del Velociraptor, la star di Jurassic Park, e molti altri dinosauri. Fra i dinosauri erbivori vi è il Rebbachisaurus, lungo ben 17 metri e pesante 10 tonnellate nonché, vicino a Neuquem, un nido con foglie di Araucaria con dodici uova di Sauropodi, di cui uno intero. Nel Sud America i dinosauri sono vissuti dall'inizio alla fine della loro lunga storia e, in particolare, si trovano in Argentina quelli di età più antica. Ma dinosauri antichi o meno antichi si trovano su entrambe le sponde dell'Atlantico, sia in Africa, che in Argentina e in Brasile. Lo stesso Giganotosauro si ritrova su entrambe le sponde atlantiche anche perché, in origine, queste terre erono unite nel supercontinente della Gondwana. Ma perché in Patagonia settentrionale troviamo i rettili fossili più grandi di tutto il mondo? Risponde Cristiano Dal Sasso, paleontologo del Museo di Storia Naturale di Milano, esperto di dinosauri, specializzato in rettili mesozoici e descrittore di Ciro, il dinosauro baby scoperto recentemente in Italia, nei pressi di Benevento: ««In realtà, dinosauri erbivori e carnivori grandi quanto quelli argentini sono stati trovati in Nord America, in Africa e in Asia. Più crescevano gli erbivori, più cibo vi era a disposizione dei carnivori che, di conseguenza, aumentavano anch'essi la loro dimensione»». Quali differenze si riscontrano tra i Giganotosauri dell'America e quelli dell'Africa? ««I resti sono troppo incompleti per rilevare differenze sostanziali; ci vogliono nuove scoperte»». Dovremo realmente rivedere la tassonomia con questa nuova scoperta? ««Giganotosaurus indica che alcuni dinosauri con mano a tre dita, parenti dell'Allosauro, ebbero una evoluzione parallela a quella dei Tirannosauri, fino ad arrivare ad animali che nel Cretacico superano, per dimensioni, anche i Tyrannosaurus rex»» . Franca Fabris


ARCHEOLOGIA SPERIMENTALE Uno strumento musicale di 25 mila anni fa Il ««rombo di tuono»» o xiloaerofono, diffuso dall'Australia all'Europa
Autore: CIRAVEGNA IVANO

ARGOMENTI: ARCHEOLOGIA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, FRANCIA
TABELLE: D.

GLI storici e gli archeologi hanno stabilito che questo originale strumento musicale esisteva già 25 mila anni fa. L'uomo primitivo lo aveva costruito con una scheggia di osso unito ad una corda di fibra vegetale o animale. Il rumore del rombo di tuono o xiloaerofono (dal greco xilo = legno e aerofono = che suona attraverso l'aria) prodotto roteando nell'aria, provoca un suono simile al tuono e al vento messi insieme. Ed è per questo che le popolazioni primitive dall'Europa all'Africa, dalle Americhe all'Asia e Oceania lo hanno utilizzato per le funzioni rituali magiche immaginando che il suono provenisse dagli spiriti degli antenati. In Dordogna (Francia), dove sono stati ritrovati diversi esemplari in osso e in corno di renna risalenti al Paleolitico superiore, si racconta che il rombo veniva utilizzato anche per scacciare via i lupi, mentre in Piemonte (Italia) il rombo, denominato brondor, brondel, fron-fron, di chiara derivazione onomatopeica, si dice che venisse utilizzato dai pastori per richiamare le pecore. Ancora oggi, gli aborigeni australiani usano il rombo di tuono (churinga) per scopi rituali richiamandosi a mondi mitologici ed ancestrali, e gli sciamani del Nord America lo impiegano per le loro magie: il suono del rombo ricorda quello del tuono foriero di pioggia. Diversi sono gli elementi che concorrono a creare le sonorità dei rombi: il materiale, la forma, la velocità di rotazione, le dimensioni. Il materiale più diffuso è il legno o la corteccia perché si ottiene scheggiando il fusto di un albero con uno strumento tagliente; meno frequente l'osso o il corno animale. Vastissima è la gamma delle forme. Le più frequenti sono quelle romboidali od ovali (Finlandia, Africa Equatoriale, Australia, Oceania) (1) che talvolta allungandosi assumono la forma di un pesce (Nuova Guinea, Brasile) (2), oppure rettangolari, se il materiale usato è il bambù (Indonesia) (3). Le forme dentellate ai bordi del rombo (4) conferiscono un suono sibilante e particolare come quelle dei popoli baschi in Spagna, dei pellerossa Arapaho del Nebraska (Usa), degli Inuit Caribou del Canada, mentre le forme cosiddette ««a pala»» (5) sono diffuse presso gli Indios Cashinaha del Suriname, in Australia e nel Sudan. Anche le decorazioni dei rombi hanno la loro valenza simbolica e rituale. Vengono utilizzate: piume, incisioni, pitture con colori vegetali o minerali, o molto semplicemente la bellezza è lasciata alle venature del legno. Per suonare il rombo occorre imprimere con la mano un movimento di rotazione all'oggetto che gira sul proprio asse e quando ha acquistato questo movimento lo si fa roteare nell'aria: in modo laterale, sopra la testa, in basso, a spirale. Ripreso dal cinema (vi ricordate l'attore Paul Hogan in Crocodile Dundee che utilizzava il rombo per chiamare i suoi amici aborigeni, nel film di Peter Faiman del 1986); adoperato nei blasoni popolari calcistici (Gianni Brera aveva blasonato Gigi Riva ««rombo di tuono»» per l'irresistibile carica delle sue azioni di gol), questo strumento musicale, inoltre, ha dato vita a diversi congegni orchestrali. Valga per tutti l'effetto che imita il vento, con accento profondamente drammatico, nel secondo atto de ««La Fanciulla del West»» di Giacomo Puccini. Chi fosse interessato a saperne di più, può mettersi in contatto con il ««Laboratorio Italiano Archeologia Sperimentale Torino (L.I.A.S.T.), al numero di telefono e fax 011/700.205, che da anni studia, ricerca, sperimenta e ricostruisce oggetti, attrezzi e arte mobiliare nel Dipartimento dei ««Primitivi attuali»». Ivano Ciravegna


QUATTRO SECOLI DALLA NASCITA Borromini? Anticipo' il cinema Panavision
AUTORE: BORATTO FILIBERTO
ARGOMENTI: STORIA SCIENZA
PERSONE: BORROMINI FRANCESCO
NOMI: BORROMINI FRANCESCO
LUOGHI: ITALIA

FRANCESCO Borromini, nato a Bissone nel Canton Ticino nel 1599 e morto a Roma nel 1667, è, con il Bernini, una delle figure più rappresentative dell'architettura barocca del secolo diciassettesimo in Italia. Tra i due vi furono forti rivalità, anche dovute al fatto che la loro attività artistica si svolse quasi esclusivamente a Roma e nello stesso periodo. Una sperimentazione architettonica del Borromini è lo straordinario " portico prospettico" di Palazzo Spada, a Roma in piazza Capo di Ferro n. 13. Il Palazzo è oggi sede del Consiglio di Stato, per cui è solo in parte visitabile. L'edificio, costruito intorno al 1540 per il cardinale Girolamo Capo di Ferro, venne acquistato nel 1632 dal cardinale Bernardino Spada e ristrutturato con l'ausilio di numerosi artisti, tra cui Francesco Borromini. Il palazzo è ricco di decorazioni a stucco realizzate da Giulio Mazzoni e da statue di soggetto storico e mitologico. Vi ha sede inoltre un'importante pinacoteca di quadri del '600, formata, per la maggior parte, da opere raccolte dallo stesso cardinale Spada. Nel cortile interno, a sinistra, vi è un arco chiuso da vetrate che lascia intravedere un cortile laterale, su cui è affacciata una galleria cinta di colonne e aperta all'altra estremità. E' questo il portico prospettico del Borromini, realizzato verso il 1638. L'impressione che se ne ricava è quella di un lungo porticato, di una prospettiva assolutamente normale, sfociante in un cortiletto dove è collocata una statua a grandezza naturale. Accedendo al secondo cortile interno ed avvicinandosi alla costruzione si riscontra la perfetta illusione prospettica che ha saputo creare Borromini: il pavimento e la volta del portico sono in pendenza, e le colonne laterali diminuiscono gradualmente di altezza e di diametro procedendo verso l'estremità. L'ingresso del portico è alto infatti m 5,70 e largo m 3,12, mentre l'uscita è alta solo m 2,47 e larga m 1. La profondità del portico è di m 8,65; infine la statua collocata sullo sfondo non raggiunge che un'altezza di 83 centimetri. La riduzione delle dimensioni con l'aumentare della distanza, secondo rigide regole prospettiche, dà l'illusione di una costruzione molto più profonda di quanto non sia realmente. Anche la monumentale Scala Regia in Vaticano, realizzata da Bernini negli anni 1663-1666, si basa su una forzatura della prospettiva per dare un senso di maggiore imponenza; si disse che l'artista avesse tratto ispirazione proprio dal porticato prospettico del suo avversario-rivale Borromini. La Scala Regia non è visitabile, ma probabilmente ne avete un'immagine in tasca: infatti la riproduzione di questa scala è raffigurata sulle banconote da 50. 000 lire attualmente in circolazione. Possiamo ritenere queste illusioni prospettiche in architettura come un'evoluzione logica dei dipinti trompe-l'oeil: così come questa pittura è una rappresentazione bidimensionale che dà l'illusione della profondità, così il portico prospettico di Borromini è una rappresentazione tridimensionale che dà una illusione di profondità maggiore di quella reale. Mentre le basi matematiche della rappresentazione in prospettiva vennero analizzate e descritte dai grandi artisti rinascimentali - in particolare Filippo Brunelleschi (1377-1446) Leon Battista Alberti (1404-1472), Piero della Francesca (1420-1492), Leonardo da Vinci (1452-1519) e Albrecht Durer (1471-1528), che lasciarono scritti e trattati sull'argomento - la tecnica del trompe-l'oeil era già conosciuta fin dai tempi degli antichi romani. Raffigurazioni di questo tipo si trovano a Pompei ed Ercolano. Dimenticato nel Medioevo, il trompe-l'oeil torna periodicamente di moda dal '500 fino ai giorni nostri. Passiamo infine a una terza tecnica per alterare la percezione: una trasformazione prospettica detta anamorfòsi, nome datole dal fisico gesuita Gaspar Schott per indicare la superiore forma, la rigenerazione grafica che scaturisce dalla rappresentazione di una figura deformata da precise regole geometriche. Il primo trattato completo sull'argomento venne pubblicato a Parigi nel 1638, "La Perspective Curieuse" di Jean Francois Niceron. Distorsioni anamorfiche vennero chiamate le figure create da questa tecnica; la visione di esse appare corretta solo tramite l'osservazione da un preciso punto di vista o guardando l'immagine riflessa da specchi curvi. Famoso è il quadro di Hans Holbein il giovane, realizzato nel 1533 e conservato alla National Gallery di Londra dal titolo "Gli ambasciatori", in cui due figure, sontuosamente vestite, hanno ai piedi un'immagine oblunga, che è l'anamorfosi di un teschio, quasi a rammentare la caducità degli onori terreni. Rappresentazioni anamorfiche si susseguirono nel '500 e per tutto il '600, riprodotte in quadri, incisioni ed anche affreschi. Dal 1615 cominciarono ad essere utilizzate apparecchiature costituite da specchi cilindrici o conici, di semplice concezione ma di grande effetto visivo, che permettevano di vedere in modo corretto delle figure anamorfiche altrimenti deformate e irriconoscibili. Molte di queste apparecchiature pre-cinema sono conservate al Museo del Cinema di Torino. Che cosa ci ha portato il secolo XX in tema di illusioni visive? L'illusione più grande, la settima arte: il cinematografo. Dagli anni '50 le case di produzione, al fine di aumentare la spettacolarità della visione, hanno compreso che era meglio allargare lo schermo di proiezione in formati più conformi alle modalità di visione dell'occhio umano, e pertanto ottenere scene più realistiche e coinvolgenti. A questo scopo una delle soluzioni è stata quella di registrare le immagini, sui normali fotogrammi con dimensioni in rapporto 3:4, mediante speciali obbiettivi che comprimessero il campo orizzontale di ripresa e lasciassero inalterato il campo verticale. In questo modo si potevano riprendere scene con un rapporto dimensionale di 1:2,4 tra altezza e larghezza, utilizzando le usuali pellicole. Questo è il sistema Panavision, che, oltre ad un metodo, è anche il nome della Società produttrice delle apparecchiature. Analoghi obbiettivi vengono utilizzati per la proiezione, al fine di restituire la corretta ampiezza orizzontale della scena. Qualche lettore si ricorderà di certi vecchi cinema di paese, dove l'operatore poco esperto si dimenticava di sostituire l'obiettivo, dopo l'intermezzo pubblicitario, all'inizio della proiezione del film girato in Panavision. Risate e fischi in sala accoglievano figure deformate, allampanate e strettissime, finché l'operatore, accortosi degli schiamazzi, non metteva l'obiettivo idoneo a ristabilire le giuste proporzioni, obiettivo che si chiama proprio - come le magiche apparecchiature di inizio '600 - anamorfico. Filiberto Boratto


IN BREVE Ipomagnesemia scoperto il gene
ARGOMENTI: GENETICA
LUOGHI: ITALIA

E' stato individuato il gene responsabile dell'ipomagnesemia primaria e della nefrocalcinosi. Del gruppo che ha realizzato la scoperta fa parte Giorgio Casari, dell'Istituto Telethon di genetica e medicina (Tigem). L'ipomagnesemia primaria familiare, associata a un eccesso di calcio e a nefrocalcinosi, è una malattia di origine renale che compare nei neonati con abbassamenti del livello del magnesio, convulsioni ed episodi tetanici. Il gene, chiamato paracellin-1 codifica una proteina espressa specificamente nel rene. Una mutazione del gene fa perdere questa funzione e apre le porte alla malattia.


IN BREVE Torino: 10 anni di astronomia
ARGOMENTI: ASTRONOMIA
LUOGHI: ITALIA, ITALIA, TO, TORINO

I dieci anni di attività scientifica dell'Osservatorio di Torino dal 1988 al 1998, sotto la direzione di Attilio Ferrari, sono riassunti in un volume fresco di stampa, a cura dell'Osservatorio stesso. Il panorama delle ricerche presentate va dall'astrofisica stellare a quella extragalttica, dai corpi minori del sistema solare all'astrometria, dalla fisica solare alla partecipazione a numerosi programmi di ricerca spaziale.


IN BREVE Nuovo tessuto per calze da tennis
ARGOMENTI: CHIMICA
LUOGHI: ITALIA

Una fibra della DuPont, filata con una nuova tecnica brevettata, permette di produrre calze che riducono l'attrito tra piede e scarpa, migliorando le prestazioni di tennisti e marciatori.


IN BREVE Dalla fisica alle professioni
ARGOMENTI: FISICA
LUOGHI: ITALIA

««L'insegnamento della fisica, le professioni, l'Europa»» è il tema di un convegno che si svolgerà dal 27 al 30 ottobre presso l'Università di Ferrara. Associazione per l'insegnamento della fisica , tel. 070-665.670.




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