TUTTOSCIENZE 11 agosto 99


FINISCE L'EPOCA DEI RAZZI USA E GETTA I vettori del nuovo millennio Quasi pronto il nuovo Shuttle, potente ed economico
Autore: RIOLFO GIANCARLO, ROLFO GIANCARLO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
ORGANIZZAZIONI: KISTLER AEROSPACE, NASA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. SCHEMA DI FUNZIONAMENTO DEL NUOVO RAZZO K-1

TROPPO caro il biglietto per le stelle. Con gli attuali razzi "usa e getta" andare in orbita costa, più o meno, 20 mila dollari al chilogrammo: un prezzo elevato per i bilanci delle agenzie spaziali e anche per le imprese commerciali, quanto mai attente alle spese. Le cose, però, potrebbero cambiare nei prossimi anni. C'è chi pensa, infatti, di poter scendere a soli duemila dollari, impiegando nuovi sistemi di lancio, completamente riutilizzabili. La Nasa, innanzitutto, che si appresta a provare in volo l'X33, dimostratore tecnologico dello space shuttle del futuro. Ma accanto a questa, ci sono alcune aziende private, che mirano al promettente mercato delle costellazioni di piccoli satelliti. E lo fanno scommettendo su soluzioni tecniche originali. La californiana Kistler Aerospace, per esempio, propone il K-1: un razzo di tipo convenzionale, ma che potrà essere recuperato e impiegato più e più volte. Il primo stadio, munito di tre motori russi a propellente liquido, fornirà la spinta sino a un'altezza di 39 chilometri. Esaurito il carburante, scenderà a terra appeso a dei paracadute. A rendere morbido l'atterraggio, provvederanno alcuni grandi airbag. Anche il secondo stadio verrà recuperato allo stesso modo, dopo che avrà compiuto un'intera orbita attorno alla Terra e si sarà rituffato nell'atmosfera. Il primo lancio del K-1 dovrebbe avvenire il prossimo anno. Intanto il progetto sta raccogliendo credito presso la grande industria: nelle scorse settimane, la Northrop Grumman, una delle maggiori aziende aerospaziali degli stati Uniti, ha investito 60 milioni di dollari nel programma. Se il vettore della Kistler è simile (paracadute e airbag esclusi) a un normale razzo a due stadi, lo stesso non si può dire del Roton. Ideato da un'altra azienda californiana, la Rotary Rocket, questo lanciatore pilotato a un solo stadio sembra uscito da un fumetto di fantascienza. L'astronave ha la forma di un cono alto 20 metri. A metà è posta la stiva e, subito sotto, la cabina pressurizzata per ospitare il pilota e lo specialista del carico. Alla base, si trovano 96 piccoli motori a propellente liquido, disposti come una corona attorno allo scudo termico, che dovrà proteggere il veicolo durante la fase di rientro. Gli ugelli sono leggermente inclinati, in modo da far ruotare il complesso alla velocità di 720 giri al minuto. Oltre a stabilizzare il vettore con l'effetto giroscopico, il sistema permetterà di alimentare i motori grazie alla forza centrifuga, senza bisogno di turbopompe. Ancora più originale il sistema di atterraggio. Anziché planare a terra, come lo Shuttle, o affidarsi a dei paracadute, il Roton utilizzerà un rotore, simile a quello di un elicottero, ma con le pale ripiegabili. Messo in autorotazione dall'aria, rallenterà progressivamente l'astronave fino in prossimità del suolo. A questo punto, entreranno in azione dei razzi collocati alle estremità delle pale, che daranno una spinta supplementare, permettendo al vettore di posarsi dolcemente al suolo. Per quanto possa sembrare bizzarra, un'idea simile venne già presa in considerazione dalla Nasa per l'atterraggio delle capsule Apollo; poi si preferì impiegare i tradizionali paracadute. In ogni caso, per dimostrare la bontà della soluzione, la Rotary Rocket ha costruito un prototipo (Atv), che dovrebbe cominciare quanto prima i voli di prova nell'atmosfera. Un altro progetto curioso è l'Astroliner, della Kelly Space and Technology. Si tratta di uno spazioplano un po' più piccolo dello Shuttle. Il decollo è previsto dalla pista di un aeroporto, a motori spenti e al traino di un Boeing 747. Come un aliante. Sganciato il cavo a più di seimila metri, l'Astroliner accenderà i propulsori a razzo per raggiungere i 122 chilometri d'altezza, già fuori dall'atmosfera, ma a una velocità insufficiente per sfuggire alla gravità della Terra. A dare l'ultima spinta per immettere in orbita il carico utile, ci penserà un secondo stadio a perdere, mentre l'Astroliner scenderà verso l'atterraggio. E la Nasa? Come abbiamo scritto, non se ne sta con le mani in mano. A settembre inizieranno le prove dell'X34, dimostratore tecnologico che prefigura un nuovo lanciatore leggero riutilizzabile, capace di tornare a Terra in volo planato. Ma il programma in cui l'agenzia spaziale americana ripone maggiori attese è l'X33, che compirà il primo volo nel luglio del prossimo anno. Costruito dalla Lockheed Martin, è un modello in scala 1:2 del VentureStar, navetta spaziale di nuova generazione, guidata dai computer e capace di portare in orbita lo stesso carico dell'attuale Shuttle (più di 23 tonnellate) a un costo inferiore del 90 per cento. Lanciato da una rampa, l'X33 raggiungerà una velocità superiore a 13 volte quella del suono e una quota di 96 chilometri, prima di planare automaticamente sulla pista della base di Edwards, in California. Il velivolo permetterà di collaudare le avanzate soluzioni tecnologiche su cui poggia il programma VentureStar: dai rivoluzionari motori linear aerospike all'impiego di nuovi materiali compositi, alla particolare forma della fusoliera. E ancora, dovrà dimostrare di poter essere nuovamente sulla rampa di lancio entro pochi giorni dall'atterraggio. Senza bisogno, tra una missione e l'altra, di quella complessa manutenzione che affligge lo Shuttle. E che pesa come un macigno sui conti della Nasa. Intanto, per accelerare i tempi, l'ente spaziale americano e la Boeing, investiranno 173 milioni di dollari nella costruzione di un velivolo sperimentale che permetterà di provare direttamente nello spazio alcune innovazioni destinate alle future navette riutilizzabili. Lungo circa otto metri, l'X37, potrà essere portato in orbita nella stiva dello Shuttle, oppure lanciato con un vettore tradizionale. Al termine della missione, che potrà durare fino a tre settimane, tornerà a terra automaticamente. Il primo volo è previsto nel 2002. Giancarlo Riolfo


L'OSCURAMENTO SARA' DI CIRCA DUE MINUTI Ma l'eclisse non è uguale per tutti Per chi lo osserverà dal Concorde durerà un'ora
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: C.
NOTE: ECLISSE SOLARE IN EUROPA L'11 AGOSTO '99

FORTUNATI quelli che oggi si trovano lungo la stretta fascia di Europa dove, intorno alle 12,30, per un paio di minuti, il Sole verrà completamente eclissato dalla Luna: uno straordinario spettacolo astronomico, che su una zona così estesa del Vecchio Continente si ripeterà soltanto nel 2081. Ai molti che vivono nelle regioni toccate dall'eclisse (tra gli altri, gli abitanti di Reims, Metz, Strasburgo, Stoccarda, Augusta, Monaco, Salisburgo, Bucarest), e ai milioni di turisti e astrofili che vi sono confluiti in una sorta di migrazione di massa, non resta che augurare un cielo sereno. Gli unici al sicuro dagli scherzi della meteorologia sono quelli che, pagando sei milioni, hanno potuto permettersi l'osservazione dal ««Concorde»»: per loro l'eclisse durerà non due minuti ma un'ora, perché l'aereo, volando al doppio della velocità del suono, inseguirà l'ombra della Luna, che scorre sulla Terra a duemila chilometri l'ora. Neanche i fenomeni astronomici sono uguali per tutti. Gli aspetti sociologici e antropologici prevalgono questa volta su quelli scientifici: finora mai un'eclisse aveva avuto una copertura così forte da parte di giornali e tv. L'affluenza verso la fascia del buio a mezzogiorno sarà spettacolare e forse anche problematica: nove mesi fa in Francia si sconsigliava di rimanere incinte alle donne delle regioni toccate dall'eclisse per non correre il rischio di partorire l'11 di agosto, con strade intasate e reparti di maternità sguarniti...A rendere scientificamente interessante questa eclisse di fine millennio c'è il fatto che essa avviene mentre il Sole sta per raggiungere la punta più alta della sua attività, il cui ciclo, in media, dura 11 anni per quanto riguarda i fenomeni osservabili visivamente e 22 anni se si considerano i fenomeni di tipo magnetico (che in realtà sono il vero motore anche dei fenomeni visuali). L'attività solare si manifesta con grandi e numerosi gruppi di macchie sulla fotosfera, colossali getti di idrogeno chiamati protuberanze, formidabili tempeste magnetiche, brillamenti esplosivi e, infine, con l'espansione della corona, la rarefattissima atmosfera di plasma che circonda la nostra stella. Protuberanze e corona sono gli aspetti del Sole che diventano visibili a occhio nudo dalla Terra esclusivamente durante le eclissi totali di Sole. Quasi di sicuro la forma della corona che apparirà oggi sarà tondeggiante. Questa è la configurazione che assume, appunto, durante il periodo più attivo del ciclo undecennale (il culmine si avrà in gennaio). Nei periodi di minima attività, la corona assume invece una maggiore estensione intorno all'equatore solare e si contrae in corrispondenza dei poli. Poiché la corona è costituita da particelle atomiche cariche elettricamente (protoni, elettroni, nuclei di elio), la sua forma riflette la forma del campo magnetico intorno al Sole, campo che, appunto, è più simmetrico in coincidenza del massimo di attività. Se la visione della corona è riservata ai fortunati che potranno assistere all'eclisse totale, anche chi oggi non si trova nei luoghi privilegiati ma è rimasto in Italia potrà vedere qualcosa di interessante, seppure non paragonabile al buio quasi completo nel bel mezzo di una giornata estiva. In particolare, muniti di un filtro scuro da saldatore che non lasci passare più di un centomillesimo della luce solare, si potrà seguire prima l'avanzare del disco della Luna che si interpone davanti al Sole e poi il suo ritrarsi. Con un telescopio dall'obiettivo opportunamente schermato (niente filtri all'oculare: si rompono causando danni gravissimi e irreparabili alla vista!) sarà facile osservare la differenza di oscurità tra le macchie solari e il nerissimo disco lunare: le macchie, infatti, appaiono scure solo per contrasto con la fotosfera circostante ma in realtà la loro luce è piuttosto intensa. La copertura del Sole varierà da luogo a luogo: maggiore nel Nord-Est d'Italia, minore nel Nord-Ovest e ancora più ridotta via via che si scende nel centro e nel meridione della penisola. In ogni caso, sarà sempre una copertura ragguardevole. Una buona percezione dell'oscuramento si ha quando la superficie di Sole eclissata supera l'80 per cento del disco. Ecco i dati per alcune città d'Italia. A Torino la prima intaccatura del disco solare sarà alle ore 11, 9 minuti e 30 secondi, la massima copertura, pari al 90 per cento, sarà alle 12, 31 minuti e 58 secondi, l'ultima intaccatura scomparirà alle 13 e 57. A Milano il primo contatto è alle 11, 11 minuti e 55 secondi, la copertura massima (92 per cento) alle 12, 34 minuti e 45 secondi, il termine alle 13, 59 minuti e 41 secondi. Mentre inizio e fine del fenomeno per tutta l'Italia variano di circa un quarto d'ora entro una fascia tra le 11 e le 14,20, la percentuale di Sole oscurata oscilla abbastanza ampiamente: 89 per cento ad Ancona, 84 a Bari, 96 a Bolzano, 73 a Cagliari, 72 a Catania, 78 a Catanzaro, 88 a Firenze, 89 a Genova, 82 a Napoli, 73 a Palermo, 87 a Perugia, 86 a Pescara, 83 a Roma, 78 a Sassari, 95 a Trieste, 93 a Venezia. Tornando ai fortunati che si trovano nella fascia dell'eclisse totale, la durata massima dell'oscuramento completo sarà di 2 minuti e 23 secondi in Romania poco a nord di Bucarest, mentre scende a pochi secondi ai margini della zona di totalità. Ovviamente conviene trovarsi dove la durata è maggiore, ma ancora più importante è andare dove le probabilità di cielo scoperto sono più alte. La sfortuna, talvolta sembra accanirsi in misura direttamente proporzionale alla rarità del fenomeno astronomico. Particolarmente scarognato fu l'astronomo francese Le Gentil de la Galaisière. Nel 1760, con 15 mesi di anticipo, partì verso l'India per osservare, il 6 giugno dell'anno dopo, il passaggio di Venere sul disco del Sole, ma una guerra anglo-francese gli impedì di raggiungere il luogo giusto; rimase in India per otto anni ad attendere il successivo passaggio il 3 giugno 1769, ma il cielo si rannuvolò proprio quando venne l'ora tanto attesa. Questa volta il fenomeno si sarebbe ripetuto soltanto 105 anni dopo: non gli rimase che tornare in Francia, invecchiato di 12 anni e senza aver visto Venere transitare, fuggevolmente, davanti al Sole. Al rientro scoprirà che, in seguito a una dichiarazione di morte presunta, gli eredi si erano spartiti i suoi beni e che il suo posto all'Accademia di Francia era stato occupato. Per mille cavilli legali, morirà poverissimo 21 anni dopo senza riuscire a dimostrare la propria esistenza in vita. Piero Bianucci


SCIENZE FISICHE SUMMIT ONU A VIENNA Cosa fare dello spazio? Tremila scienziati a convegno
Autore: SANSA TITO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
LUOGHI: ITALIA, AUSTRIA, EUROPA, VIENNA

PUO ' accadere durante un lungo volo su un aereo di linea che il comandante domandi attraverso l'altoparlante se a bordo si trovi un medico, ché qualcuno si è sentito male. Talvolta un dottore c'è ma non sa cosa fare e allora si cerca un atterraggio d'emergenza. In futuro, grazie a una realizzazione italiana, il volo potrà continuare, il paziente potrà venire curato in un ««ospedale virtuale»», grazie allo Shared, la prima rete europea di telemedicina per lo scambio audiovisuale di dati che permette a un centro medico specialistico di ««vedere»» il malato via satellite. Per salvare una vita sarà sufficiente che l'aereo (o la nave o l'ambulatorio nella giungla) venga dotato dell'apposita attrezzatura, poco ingombrante e poco costosa (sotto i 120 milioni di lire). Telemedicina ha cominciato a lavorare nel settembre del '96, quando l'ospedale militare italiano a Sarajevo, aperto anche ai civili bosniaci, è stato collegato attraverso il satellite Eutelsat con l'ospeale San Raffaele di Milano e con l'ospedale militare del Celio a Roma. Più tardi è stato costituito il consorzio Telbos che collega con il ««cervellone»» di Milano quattordici tra ospedali e cliniche in Italia e all'estero (Bucarest, Betlemme, Sharm-el-Sheik, Tunisi, Tirana, Durazzo. La telemedicina è tuttavia soltanto una delle decine e decine di applicazioni pratiche e utili per l'umanità presentate nei giorni scorsi durante ««Unispace III»», la ««Terza conferenza delle Nazioni Unite sulla esplorazione e la utilizzazione pacifica dello spazio extra-atmosferico»». Un raduno monstre, che ha visto riuniti nella capitale austriaca per dodici giorni (dal 19 al 30 luglio) tremila specialisti della politica, della scienza, dell'industria con l'obiettivo di ««definire le linee dello sfruttamento dello spazio per l'umanità del 21° secolo»». Si vuole avvicinare la scienza all'uomo, ««riportarla a terra»», dieci anni dopo la caduta del Muro di Berlino e la fine della guerra fredda. Le ««guerre stellari»» di memoria reaganiana sono dimenticate, lo spazio non è più di dominio esclusivo dei militari, è giunta l'ora che venga utilizzato per i bene dell'umanità, tanto ricca quanto povera. Impossibile seguire i lavori e i discorsi dei congressisti, suddivisi in una quarantina di commissioni, che si dedicano a temi più svariati, dallo studio del clima alla esplorazione dei pianeti, dalla legislazione per lo spazio alla eliminazione delle scorie ruotanti in orbita, dalla previsione di disastri naturali alla prevenzione dei crimini. Parallelamente, un mostra tecnica porta nel mondo delle meraviglie, a contatto non soltanto con quelle già realizzate e date per scontate (una per tutte, il satellite stazionario Meteosat di uso giornaliero), ma anche quelle in fase di realizzazione. C'è la fotocamera di navigazione della fiorentina ««Galileo»» che sulla minisonda Huygens installata sulla sonda Cassini sta viaggiando dall'autunno del '97 verso Titano, satellite di Saturno (e vi arriverà soltanto del 2004!), ci sono il satellite Gome a rotazione polare per la osservazione della fascia di ozono e il miracoloso ««tuttofare»» GPS, il sistema di posizionamento creato dagli americani per usi militari (è quello che ha guidato i missili Cruise in Serbia) e ora adibito a usi civili, dal quale dipenderà parte del nostro futuro. Interessata nel contempo a quel che accade in terra e a ciò che avviene nello spazio, l'Italia è presente in ambedue i settori. E' prevista per il 2003, con un relativamente piccolo missile Vega di FiatAvio (26 metri), il lancio di una costellazione di mezza dozzina di piccoli satelliti per l'osservazione radar, cioè con ogni tempo e luce, dell'area mediterranea: per il monitoraggio di inondazioni, terremoti, inquinamento dell'aria e delle acque, erosione delle coste, estensione degli incendi, abuso edilizio, ecc. Il servizio quasi continuo, destinato al ««mare nostrum»», potrà però servire anche altri Paesi (Argentina e Cina sono interessati) poiché i minisatelliti ad orbita polare ruoteranno come il filo di un gomitolo intorno alla terra mentre questa gira e si sposteranno lungo i meridiani facendo una osservazione globale. All'ambizioso progetto Usa-Russia-Giappone-Canada-Europa della stazione spaziale internazionale l'Italia partecipa, attraverso la ESA (Agenzia spaziale europea) con l'impronunciabile MPLM, il ««modello logistico minipressurizzato»» in gergo chiamato ««ascensore spaziale»», destinato a portare i rifornimenti agli astronauti che lavorano nello spazio e a riportare a terra le immondizie. Il primo a volare l'anno prossimo con l'««ascensore»» battezzato Leonardo sarà l'astronauta italiano Umberto Guidoni. Il programma prevede (con una spesa collettiva per il solo MPLM di quasi 2 mila miliardi di lire fino al 2003) la costruzione di tre ««ascensori»», Leonardo, Raffaello e Donatello, i primi due dei quali già consegnati alla NASA. Affascinanti e talvolta di difficile comprensione per i profani i discorsi nelle diverse commissioni di ««Unispace III»». Ce n'è per tutti i gusti: in una sala, per esempio, un gruppo di esperti che ricordano con un sorriso i tempi in cui, con satelliti obsoleti, gli americani controllavano la crescita del grano nell'Unione Sovietica, concentrano ora la loro attenzione su ciò che può essere utile all'umanità (e, perché no, all'industria). Viene lodata la prontezza con cui è stata registrata l'11 luglio la più recente inondazione nel Bangladesh, su come giorno dopo giorno viene controllata la progressiva desertificazione in Africa e in Asia, si parla della possibilità di prevedere eruzioni vulcaniche (in quanto, un paio di giorni prima di entrare in attività, dai crateri aumenta la emissione di acido solforico), un delegato di un Paese a rischio tellurico ricorda che la costellazione di movimenti tettonici minimi, anche di solo un paio di centimetri, possano preannunciare un imminente terremoto. Sotto osservazione costante dai satelliti sono fenomeni come El Nino, del quale è stato possibile segnalare dallo spazio variazioni di temperatura dell'oceano di soli 0,3 gradi e di movimento dell'altezza delle onde di soli 6 centimetri; sotto controllo da centinaia di chilometri di altezza sono la corrente del Golfo, i ghiacciai dei Poli e gli spostamenti degli iceberg, i terreni di Paesi come l'Afghanistan e il Kosovo disseminati di mine. E' stata applicata insomma la open sky policy, la politica del cielo aperto, per il bene di tutti, in particolare dei Paesi in via di sviluppo, privi dei mezzi (finanziari e know-how) necessari per le ricerche e più di altri minacciati dalla natura. Ma i tremila di Vienna parlano anche di turismo spaziale (è immaginabile un biglietto da 900 milioni di lire per un semplice volo suborbitale e di una diecina di miliardi di lire per una ««cavalcata orbitale»»), parlano della costruzione di alberghi e ristoranti sulla Luna, di regolamenti di proprietà sui corpi celesti, rifiutati peraltro da quasi tutti, perché ««lo spazio è di tutta l'umanità»». Tornando verso terra, un problema vicino e gravissimo rimane tuttavia irrisolto. E' quello degli oltre 8500 detriti che ruotano nello spazio,che aumentano di numero e sempre più costituiscono un pericolo. Proposte per eliminare la minaccia di questa ««immondizia spaziale»» ne sono state fatte diverse, altre seguiranno. Per il momento ne è rimasta in piedi una sola, quella di avviare gli oggetti volanti ormai inutili su orbite speciali, a formare una sorta di ««cimitero spaziale»», dove non possano nuocere a nessuno. Tito Sansa


SCIENZE FISICHE DEEP SPACE 1 Incontro ravvicinato con Braille
Autore: G_RIO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
ORGANIZZAZIONI: NASA
LUOGHI: ITALIA

DOPO nove mesi di viaggio, il 29 luglio un piccolo robot della Nasa è riuscito ad avvicinarsi ad appena 15 chilometri da un asteroide. Un incontro fugace, avvenuto alla velocità di 56 mila chilometri l'ora, durante il quale la sonda ha scattato fotografie e compiuto analisi spettrometriche, trasmesse agli scienziati del Jet Propulsion Laboratory di Pasadena, in California. Deep Space 1, questo il nome del robot, era partito da Cape Canaveral il 24 ottobre. Obiettivo: un asteroide di circa un chilometro e mezzo di diametro. Poco più di un enorme sasso, scoperto sette anni fa dall'astronoma Eleanor Helin con il telescopio Schmidt dell'osservatorio di Monte Palomar e classificato con la sigla 1992KD. Solo adesso gli è stato dato un nome: Braille, in ricordo dell'inventore della scrittura per ciechi. Braille è il più piccolo corpo celeste verso il quale è mai stata lanciata una sonda. Viene considerato tra i Near Earth Asteroids, gli asteroidi la cui orbita si spinge in prossimità della Terra, ma in realtà nel punto più vicino la sua traiettoria passa a metà strada tra il nostro pianeta e Marte. L'incontro è avvenuto a 188 milioni di chilometri dalla Terra, 485 volte la distanza che ci separa dalla Luna. Pur viaggiando alla velocità della luce, un segnale radio impiega 10 minuti per compiere il viaggio e altrettanti sono necessari per ricevere una risposta. Un'attesa troppo lunga, per poter guidare da Terra la sonda verso un bersaglio che si avvicina a una velocità che è 65 volte quella di un jet. Perciò la navicella ha dovuto fare da sola, fidandosi del computer di bordo, e di AutoNav: un software basato sui principi dell'intelligenza artificiale, il cui collaudo costitutiva uno degli aspetti più importanti della missione. Al di là dell'interesse che gli scienziati nutrono per gli asteroidi, frammenti di materiale avanzato dalla formazione dei pianeti, Deep Space 1 ha un enorme valore legato al collaudo di una serie di nuove tecnologie. I 375 chili di massa del robot, infatti, sono un concentrato di soluzioni innovative, destinate ai veicoli spaziali di domani. Oltre al sistema "intelligente" di navigazione, la sonda è dotata di un rivoluzionario motore a ioni, in cui il propellente viene accelerato non da un processo di combustione, come in un tradizionale razzo, ma da un campo elettromagnetico. L'impulso specifico, cioè il rapporto tra spinta e propellente impiegato è dieci volte superiore a quello di un motore convenzionale. E poi nuovi strumenti scientifici - videocamere e spettrometri per analizzare la composizione chimica - da cinque a dieci volte più leggeri e meno costosi di quelli sinora utilizzati nello spazio. Un primo bilancio delle missione, costata appena 152 milioni di dollari lancio compreso, indica un successo pressoché totale. Unico inconveniente, Deep Space 1 non è riuscito a scattare un "primo piano" dell'asteroide alla distanza minima. A settembre, mentre astronomi e astrofisici saranno intenti ad analizzare le altre immagini raccolte nel campo della luce visibile e dell'infrarosso, si deciderà il futuro della sonda. Il robot appare in ottime condizioni e potrebbe riaccendere il suo motore a ioni per dirigersi verso altri corpi celesti. E' già pronto un "piano di volo" che prevede di raggiungere la cometa Wilson-Harrington nel gennaio 2001, per poi incontrare la cometa Borrelly nel settembre successivo. (g.rio.)


SCIENZE FISICHE AFFONDATA IN ATLANTICO NEL '61 Ripescata la Mercury A bordo c'era Grissom che riuscì a salvarsi
Autore: LO CAMPO ANTONIO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
NOMI: GRISSOM VIRGIL
ORGANIZZAZIONI: NASA
LUOGHI: ITALIA

LA ««Liberty Bell»» è ritornata a galla dopo 38 anni. Una piccola capsula spaziale ««Mercury»» il cui nome ««Bell»», che significa ««campana»», ne indica la forma. Era affondata il 21 luglio 1961 al rientro nell'Atlantico dalla seconda missione sub-orbitale Nasa con a bordo Gus Grissom. Un'equipe subacquea, per un'iniziativa organizzata delle rete TV ««Discovery Channel»», da tre mesi scandagliava le acque oceaniche in profondità per recuperare l'unica capsula che mancava nei musei, e nei giorni scorsi l'ha riportata in superficie. Grissom, che riuscì a salvarsi, non ha però potuto assistere al recupero del suo piccolo ««Titanic»» dello spazio, essendo morto nel 1967 per l'incendio che devastò la capsula Apollo sulla rampa di lancio 34, a Cape Canaveral. La missione si era svolta regolarmente: Grissom raggiunse 190 Km. di quota, e tutto andò bene fino al perfetto ammaraggio nell'Atlantico, 16 minuti dopo il lancio. La capsula, che aveva uno spazio interno di appena 1,5 metri cubi, era dotata di un portello a bulloni esplosivi, che veniva fatto saltare solo quando l'elicottero di recupero l'avesse agganciata con un cordone di sicurezza. Ma in quell'occasione, per cause che restano ancora oggi misteriose, il portello saltò prima, Grissom vide la capsula riempirsi d'acqua e si gettò in mare rischiando di annegare. Dall'elicottero, i due addetti all'aggancio della capsula, si preoccuparono del recupero della ««Liberty Bell»» e non di Grissom che invece gli gridava sbracciandosi ««Sto annegando!»». Si pensava infatti che la tuta spaziale funzionasse da galleggiante, ma Gus aveva nei tasconi diversi amuleti di metallo che si era portato nello spazio, i quali appesantivano di molto la tuta. Si pensò che Grissom avesse toccato innavvertitamente il pulsante che fa saltare il portello: le sue reazioni indicavano che egli era piuttosto agitato: negherà sempre e in modo ostinato di aver sfiorato quel tasto, nonostante la commissione fosse contro di lui. Grissom, che era diventato così il secondo americano nello spazio, non fu però ricevuto alla Casa Bianca. Fu premiato dal capo della Nasa, Webb, su un litorale della Florida, e l'ente non pubblicizzò questo volo con alcun clamore, considerandolo un fallimento. Ma qualche anno più tardi fu redatto un documento da parte di un ditta che collaborò alla realizzazione della capsula ««Mercury»», il quale dimostrò che Grissom aveva ragione, e che probabilmente il portello saltò per un contatto o un corto circuito. Antonio Lo Campo


SCIENZE FISICHE LINGUAGGI Pop-corn flip-flop piggy-back
Autore: CERVINI GIAN CARLO

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: SMITH ADAM
LUOGHI: ITALIA

IL "pop corn noise" non è il rumore che facciamo mangiando i pop corn. O almeno non solo quello. In elettronica è un tipo di disturbo elettrico. Si manifesta con salti casuali e molto piccoli della tensione in un dispositivo elettronico. Un tecnico americano fantasioso l'ha studiato e battezzato con quel nome perché gli ha ricordato i salti che fanno i grani di pop corn quando sono abbrustoliti. Il "flip-flop" non è un nuovo gioco simile al ping pong ma un circuito elettronico che può avere due stati diversi. Il suo nome, in italiano, è multivibratore bistabile, e nessuno lo usa se non nei libri di testo. Già migliore è l'equivalente francese bascule, cioè bilancia, che dà bene l'idea di un oggetto che può pendere da una parte o da un'altra. Ma il termine inglese è più bello, semplice, immediato e, perché no, divertente. Il fatto è che sono tanti i termini scientifici e tecnici americani altrettanto spiritosi, evidentemente scelti in un momento di buonumore. Si dice "chirp", cioè cinguettio, un dispositivo facente parte di un radar, che varia continuamente la frequenza delle onde elettromagnetiche trasmesse. E poi ci capita di trovare un circuito "push-pull", cioè spingi e tira. O quello "totem-pole" che allinea componenti elettrici uno sopra all'altro come il palo di un totem. Piuttosto buffo è il "piggy-back" o dorso di maialino. Indica quando s'inserisce un componente su un altro come se giocassero a cavalluccio. Questo montaggio è usato spesso quando si sviluppa un progetto elettronico basato su un microcontrollore (un calcolatore miniaturizzato). Quasi romantici erano i transistor di tipo "mesa". Avevano, a livello microscopico, delle elevazioni simili a tavole (mesa in spagnolo) che ricordavano quei rilievi spianati nel deserto di tanti film western. Ma non solo l'elettronica è così feconda di trovate. Nell'acustica troviamo il "cocktail party effect" che potremmo tradurre come effetto ricevimento. Si tratta della capacità che ha il nostro cervello di afferrare il senso di una frase anche in mezzo ad altre conversazioni. Questa operazione riesce difficile quando si ascoltano gli stessi suoni su un nastro registrato. La fisica è ancora più ricca di stranezze. Il quark è una particella. L'ha battezzata così il fisico americano Gell-Mann, usando una parola che Joyce ha inventato ne "La veglia di Finnegan". Poi troviamo "charme", cioè fascino e "beauty", bellezza, "yin e yan" dai termini che i cinesi usano per indicare due elementi contrapposti, maschio e femmina, bianco e nero. E' pur vero che l'humour l'hanno inventato gli inglesi. Tuttavia noi italiani siamo forse troppo seri. La matematica e la sua professoressa sono sempre state le bestie nere degli scolari. Lo stesso non vale per l'italiano o la storia o la geografia. Certo che la cultura umanistica e il suo insegnamento hanno secoli di storia. Quella scientifica moderna risale giusto al Settecento e la scienza e la tecnica non attirano molto l'interesse dei non addetti ai lavori. E' sufficiente vedere le trasmissioni divulgative alla televisione o gli articoli scientifici sui giornali per accorgersi che si interessano soprattutto di animali, geografia, salute e corpo umano. Eppure la scienza e la tecnica ci riguardano molto da vicino e influiscono direttamente sulle nostre vite. Difatti diceva Adam Smith, il fondatore dell'economia politica, che la ricchezza delle nazioni dipende dalla somma delle conoscenze dei loro cittadini. Allora è importante che i tecnici non solo operino bene nel loro lavoro ma anche che lo affrontino e lo presentino con chiarezza ai non esperti. Tra l'altro ciò gioverebbe alle loro stesse idee. In questo gli americani sono maestri. Ricordo ancora la sorpresa e il piacere che ho provato quando, giovane ricercatore, ho cominciato a studiare sui libri inglesi. Erano tanto più chiari e piacevoli dei corrispondenti italiani. Perciò un invito e un incoraggiamento ai nostri scienziati che sono tra i primi nel mondo: non prendiamoci troppo sul serio, cerchiamo la chiarezza e un poco di umorismo. Siamo ancora in tempo. Il campo dei calcolatori continua a sfornare parole ed espressioni nuove: quel piccolo aggeggio con due o tre pulsanti che fa da appendice a un personal sembra un topino con la sua coda e gli americani l'hanno subito battezzato "mouse", topo. Gian Carlo Cervini


SCIENZE DELLA VITA IL KOALA Impronte digitali umane
LUOGHI: ITALIA

IL koala ancora non lo sa, ma prima o poi un poliziotto potrebbe presentarsi a prelevare le sue impronte digitali. Infatti, anche se la storia evolutiva di questi piccoli marsupiali australiani si è separata dalla nostra ottanta milioni di anni fa, la disposizione delle pieghe cutanee sui polpastrelli delle dita del koala è identica a quella umana, tanto che le impronte digitali risultano indistinguibili. Se n'è accorto quasi per caso Maciej Henneberg, biologo dell'Università di Adelaide, sorpreso nel constatare che, prima di lui, nessuno aveva osservato l'eccezionale somiglianza. Al microscopio elettronico, le impronte digitali del marsupiale risultano molto più simili alle nostre di quelle degli scimpanzè, nostri parenti più prossimi. Secondo Henneberg i koala, avrebbero sviluppato i dermatoglifi per migliorare la presa quando si arrampicano. E' tuttavia evidente che, nonostante la somiglianza, l'origine evolutiva delle impronte digitali dei koala sia del tutto separata da quella dei nostri polpastrelli. Si tratta di un esempio di quel fenomeno che i biologi chiamano evoluzione convergente, che si verifica quando due specie appartenenti a due rami separati dell'albero evolutivo, e quindi senza rapporti di discendenza l'una dall'altra, sviluppano indipendentemente delle caratteristiche simili, di solito associate ad una funzione particolare.


SCIENZE DELLA VITA L'ESERCITO DELLE FORMICHE Una micro superpotenza Nel mondo sono conosciute diecimila specie
Autore: MAZZOTTO MONICA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

UN buon esercizio per la fantasia è quello di cercare di vedere gli avvenimenti e i luoghi che ci circondano con un'altra ottica rispetto a quella che utilizziamo quotidianamente: cercando di analizzare più da vicino alcune situazioni, mettendo a fuoco dei dettagli, oppure, al contrario, rivoltando il binocolo della nostra mente per riuscire ad avere una visione più lontana, ma anche più generale. Con la prima tecnica per esempio riusciremmo a vedere anche piccole cose, o minimi animali, che passano inosservati per gran parte della loro, e della nostra, vita. Per esempio basterebbe che, proprio nei periodi primaverili-estivi, abbassassimo lo sguardo su di un prato, o anche su di un marciapiede cittadino, per sentirci subito come Gulliver nel paese di Lilliput. Sicuramente i primi animali che vedremmo sarebbero loro, le formiche. Questi piccoli insetti quasi onnipresenti che, a nostra insaputa, ci contendono il ruolo di super potenza mondiale. Sono ovunque e sono incredibilmente tante; il numero di specie descritte ammonta a quasi 10.000, ma gli esperti stimano che almeno 3000 sono le specie ancora da scoprire. Per di più ogni colonia è composta da migliaia di individui. Un calcolo approssimativo fatto da due grandi sociobiologi, B. Holldobler e E. O. Wilson, della biomassa, ossia del peso, di tutte le formiche presenti sulla Terra porta ad un incredibile risultato: il loro peso equivarrebbe, all'incirca, a quello di tutti noi esseri umani. Se su di un piatto di una bilancia salissimo tutti noi uomini e sull'altro salissero tutte le formiche, i piatti resterebbero pressoché fermi, in equilibrio, e se pensate che una formica operaia pesa solamente da uno a cinque milligrammi ecco che il risultato è ancora più impressionante. Inoltre sono longeve, una regina può anche vivere una ventina di anni e con lei la colonia, ovviamente composta da generazioni che si susseguono. Ma il particolare più affascinante è che sono straordinariamente organizzate, si parlano, si contano, si riconoscono e si difendono, tutto chimicamente in un mondo di odori; al massimo ogni tanto entra in gioco anche il tatto con qualche piccolo colpo di antenne o l'udito con l'emissione di qualche stridolino, ma il senso che domina nella loro vita è sicuramente l'olfatto. Dicevamo che sono ovunque, sono tante, sono longeve ed iperorganizzate: ma allora cosa impedisce a questi piccoli, microscopici animali, di unirsi in un'unica superpotenza, coalizzazione di tutti i formicai, e sbalzarci, senza difficoltà, dal comodo trono di padroni della Terra? Il loro solo, grosso e, buon per noi, incorreggibile difetto consiste semplicemente nel pessimo carattere. Far andare d'accordo due colonie di formiche vicine è un'impresa impossibile, nessun negoziatore per quanto capace riuscirebbe a mediare tanto odio. Come scrivono B. Holldobler e E. O. Wilson in un loro interessantissimo libro, intitolato appunto Formiche, ««... le formiche sono gli animali più aggressivi e bellicosi. Esse superano di gran lunga gli esseri umani quanto a cattiveria organizzata: al confronto la nostra specie è gentile e mite... Se le formiche possedessero armi nucleari, probabilmente distruggerebbero il mondo nel giro di una settimana»». Come si può immaginare, non sono proprio un esempio di tolleranza, e proprio a queste piccole Rambo ha dedicato la sua ricerca, da circa venticinque anni, Francesco Le Moli, ordinario della Facoltà di Scienze dell'Università di Parma, assieme alla sua affiatata squadra, composta da Alessandra Mori e da Donato Grasso. In particolare questi mimecologi, così vengono chiamati gli studiosi di questi affascinanti gioielli dell'evoluzione, hanno proprio analizzato uno dei comportamenti più aggressivi, tipico di alcune specie di formiche, lo schiavismo, ossia l'utilizzo da parte di individui di una specie della ««forza lavoro»» di un'altra specie. Ebbene sì, non sono proprio un raro modello di pregi e virtù: oltre ad essere intolleranti ed aggressive con il vicinato, sono anche schiaviste. Delle vere e proprie piccole pesti. Ma come è possibile che in natura esistano degli animali che senza nessun tornaconto si dedichino con totale abnegazione al benessere di individui appartenenti ad un'altra specie? La spiegazione, ottenuta anche grazie alle ricerche condotte da Le Moli, risiede nell'unico neo di questa grande efficienza che vige all'interno di un formicaio. La loro organizzazione è impressionante, ma si basa su stimoli semplici, ossia su odori. Il riconoscimento di un compagno di colonia avviene grazie al loro ««naso»» e non di certo alla loro vista. Così per le formiche schiaviste studiate dal gruppo di Parma le amazzoni Polyergus rufescens, che sono di un bel rosso vivo, convincere un'altra formica della specie Formica fusca, classicamente nera, di essere una dei loro e così farle fare i lavori più duri, è drammaticamente facile. Basta organizzare un'incursione ««punitiva» » in un nido delle future schiave, uccidere con le loro potenti mandibole falciformi le retrovie di difesa, entrare nel cuore del nido, rapire le pupe racchiuse nel bozzolo, e portare così i futuri nascituri tra le mura del proprio regno. Il gioco è fatto; le giovani formiche schiave, anche se completamente diverse per forma e colore dalle formiche presenti nella colonia, nascendo nelle culle del nemico assimileranno l'odore dell'ambiente che le circonda e, poiché le formiche vivono in un mondo dove è più importante ««odorare»» che ««apparire»», si sentiranno felicemente tra sorelle, ben felici di aiutarle in tutto e per tutto. Un sistema semplice e implacabile. Ma le sorprese non si fermano qua: gli studi del gruppo di Le Moli hanno anche messo in evidenza del come fanno queste ««diaboliche»» formiche a trovare le colonie delle potenziali vittime. Infatti, seguendo i raid di queste schiaviste, si era notato che il percorso era spesso mirato. Ossia, serrate le fila e composto il battaglione, uscivano dal loro formicaio con le idee molto chiare sul posto da raggiungere. Con passo deciso, la legione marciava anche per decine e decine di metri, che viste le dimensioni equivalgono a decine e decine di chilometri, per raggiungere senza tentennamenti il nido da razziare. Questa loro sicurezza nel marciare non viene altro che dalle informazioni ricevute da una formica esploratrice, o in termine tecnico scout. Incredibile ma vero, come nelle guerre ««umane»» anche tra le formiche esistono degli individui che vanno in avanscoperta in campo aperto per riuscire a carpire i segreti della logistica nemica. Poi, trovato un nido di possibili schiave, con i piani nemici in tasca la scout torna velocemente al nido per comunicare alle compagne la buona nuova. Trasmessa la sua eccitazione a tutte, e incitate al raid le sorelle, con determinazione le guida di corsa, con esattezza impressionante, nel formicaio delle ignare future schiave. Saranno semplici formiche.. . ma non fatele arrabbiare! Monica Mazzotto


SCIENZE DELLE VITA SESSUALITA' Cicli mestruali e scelta del partner
Autore: FELLINI NADIA

ARGOMENTI: BIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

UNA ricerca, pubblicata su Nature rivela che le fasi del ciclo mestruale condizionano le donne nella scelta del partner. In particolare, la preferenza femminile per la forma del viso maschile varia con la probabilità di concepimento nel corso del periodo mestruale. Secondo gli scienziati il comportamento sessuale risultante da preferenze cicliche potrebbe comportare vantaggi evolutivi per la prole. Visi maschili effeminati sembrano essere correlati a una personalità positiva che si rifletterebbe sul comportamento, suggerendo anche cooperazione nelle cure ai figli. Diversamente, caratteristiche mascoline sembrano essere segnali di buona funzionalità del sistema immunitario. Una preferenza per uomini con un aspetto più mascolino potrebbe garantire alla prole benefici in termini di resistenza alle malattie, ma ciò sarebbe realizzabile solo se all'accoppiamento seguisse il concepimento. Per verificare l'esistenza di un legame tra comportamento sessuale femminile e vantaggio evolutivo, un'èquipe di ricerca anglo-giapponese ha ipotizzato che, durante la fase fertile del ciclo mestruale, le donne siano più attratte dai segnali, presenti sul volto maschile, che indicano efficienza del sistema immunitario. In un primo esperimento, a un campione di donne giapponesi con cicli mestruali regolari, non facente uso di contraccettivi orali e con età media di 21 anni, è stato richiesto di indicare il volto maschile considerato più attraente fisicamente fra una serie di visi indo-europei e asiatici. La stessa domanda è stata posta alle donne sia durante la fase del ciclo ««ad alto rischio di concepimento»» (tra la fine delle mestruazioni e l'ovulazione) che durante la fase ««a basso rischio di concepimento»» (periodo successivo all'ovulazione fino al termine delle mestruazioni). L'indagine ha rivelato che le donne preferiscono volti più mascolini nella fase ««ad alta probabilità di concepimento»», mentre scelgono visi più effemminati durante la fase ««a basso rischio di concepimento»». Questo comportamento ciclico, inoltre, è più accentuato in donne con partner fisso, mentre, invece, i tratti somatici del volto relativi all'origine, indo-europea o asiatica, non condizionano la scelta. Poiché l'osservazione, che donne con un legame stabile manifestano una maggiore sensibilità alle fluttuazioni del ciclo mestruale, ha incuriosito i ricercatori, lo studio è stato ulteriormente approfondito. In un secondo esperimento è stato richiesto a un gruppo di donne britanniche, durante le varie fasi del ciclo, di scegliere il volto maschile più attraente per una ««relazione a breve termine»» o per una ««relazione a lungo termine»» . Per una ««relazione a breve termine»» le donne mostrano di preferire uomini più mascolini durante la fase ««ad alto rischio di concepimento»», confermando i dati emersi nell'esperimento precedente. Le loro preferenze sono invece costanti nel tempo quando selezionano volti per una ««relazione a lungo termine»». Che significato può essere attribuito a queste osservazioni? Quale comportamento sessuale femminile ne deriva? Quale effetto a lungo termine? I ricercatori hanno fornito un'interpretazione che potrebbe risultare sgradita, per ragioni differenti, ai rappresentanti di entrambi i sessi. La scelta di un partner con un aspetto più mascolino conferirebbe alla prole una maggiore resistenza alle malattie. Un partner dall'aspetto meno mascolino potrebbe invece garantire maggiore collaborazione nella cura dei figli. Queste considerazioni, associate all'esistenza di cambiamenti ciclici nel comportamento sessuale femminile e nelle preferenze per le caratteristiche maschili, suggeriscono che la strategia di accoppiamento femminile potrebbe non essere una sola. In alcune condizioni ecologiche e sociali, la selezione potrebbe favorire donne che hanno scelto un partner principale con aspetto poco mascolino, ma che occasionalmente, durante la fase fertile del ciclo, si accoppiano con un uomo di aspetto più mascolino, indicante buona efficienza del sistema immunitario. Questa strategia sessuale garantirebbe alle donne i vantaggi derivanti dalla poliandria, padri premurosi e figli sani, senza rinunciare ai benefici di un comportamento monogamo. Nadia Fellini


SCIENZE DELLA VITA DIETETICA Buon cibo invece che medicine Un errore dimenticare i principi attivi degli alimenti
Autore: DESTEFANIS GIORGIO

ARGOMENTI: ALIMENTAZIONE
NOMI: SCAPAGNINI GIOVANNI
LUOGHI: ITALIA

INVECE dei farmaci, come strumento di prevenzione e mantenimento del buono stato di salute impariamo ad usare il cibo»». L'invito del neurofarmacologo professor Umberto Scapagnini, presidente della Commissione energia-ricerca e sviluppo tecnologico del parlamento europeo, lascia quantomeno esterefatti, in tempi di pollo alla diossina. E' comunque di grande incoraggiamento per chi non è d'accordo con l'ormai cronico abuso di farmaci e medicine. Merita dunque un chiarimento. ««Per parecchi anni è invalsa un po' in tutto il mondo industriale una sorta di diffidenza nei confronti del cibo - spiega - Non si parlava d'altro che di grassi, colesterolo e altri elementi negativi. Si trascuravano invece i principi attivi che gli alimenti contengono e che sono strumenti di benessere. Aspetto, quest'ultimo, che ultimamente in Usa e Giappone è diventato quasi una mania»». Qualche esempio. I pomodori contengono una sorte di superbetacarotene che ha grandi proprietà antitumorali e antiossidanti. Molto ricchi ne sono i pomodori di Pachino, del tutto privi quelli quelli di serra, mediamente dotati i San Marzano. I betasitostenoli e il coenzima Q dell'olio di mais sono molto utili contro l'invecchiamento e, in particolare, contro quello vascolare. Proprio un olio pare abbia avuto grande merito per la bellezza di Cleopatra, come s'è potuto capire dalla recente scoperta dei suoi laboratori presso il Mar Morto. L'efficacia antiossidante dei polifenoli contenuti nell'Olio di Onfacio (quello della mitica regina d'Egitto), però, dipende dal tempo di raccolta delle olive che devono essere spremute a freddo ancora acerbe. La grande seduttrice lo usava per creme, bagni, massaggi, anche clistere. ««Significativo per il nostro discorso - sottolinea Scapagnini - è il cosiddetto 'paradosso francesè. Negli Anni Settanta si scoprì nei bevitori di vino rosso della zona di Bordeaux una notevole riduzione delle morti da infarto compensata da un aumento dei decessi da cirrosi. Questo fatto fu spunto per importanti studi sul resveratrolo, una sostanza che riduce la formazione della placca ateromatosa, la cosidetta arteriosclerosi. Straordinari risultati nelle malattie da invecchiamento cerebrale si sono ottenuti con i policosanoli contenuti nelle graminacee, in particolare nel germe di grano e della canna da zucchero. Sostanza molto utile anche nello sport in quanto accelera i tempi di reazione nervosa»». Queste e molte altre interessantissime informazioni saranno contenute nel libro di prossima pubblicazione della Sperling & Kupfer curato da Giovanni Scapagnini, figlio del professor Umberto e altrettanto competente in tema di alimentazione. Ma i due scienziati ci tengono ad anticiparne i principi fondamentali. ««Potremmo stilare una graduatoria nello sfruttamento degli alimenti a scopo medicinale - spiegano - Primo, il cosidetto 'functional food', cioè l'uso strategico degli alimenti per il mantenimento della buona salute. Secondo, a scopo preventivo, un utilizzo corretto degli alimenti accoppiato agli integratori alimentari. Terzo, a fine curativo, alimenti, integratori e farmaci»». Alimenti-amici, dunque. Ma purtroppo anche alimenti-veleni, in questi ultimi tempi. ««Bisogna spingere le culture biologiche - afferma Giovanni Scapagnini - La creazione di marchi d'origine controllata come per i vini e che riguardino anche le materie prime, non come adesso che la bresaola per chiamarsi della Valtellina basta che sia lavorata là, magari con carni che arrivano da chissà dove. Ci vuole un 'doc' di sicurezza alimentare e l'opinione pubblica deve essere informata preventivamente, non a scandalo scoppiato»». Giorgio Destefanis


GIOCHI MATEMATICI Un solitario per Ferragosto Il passatempo inventato forse da un galeotto
Autore: PEIRETTI FEDERICO

ARGOMENTI: GIOCHI
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D.

SI racconta che sia stato un nobile francese, prigioniero alla Bastiglia, a inventare il Solitario, al tempo di Luigi XIII nel Seicento, utilizzando una scacchiera identica a quella di un antico gioco vichingo, noto come La Volpe e le Oche. A conferma dell'origine francese del Solitario c'è anche un'incisione del 1697 che ritrae la Principessa di Soubise impegnata nel gioco. La scacchiera, secondo lo schema di figura, ha generalmente 33 caselle occupate da pedine che possono essere biglie, pioli o semplicemente monete, bottoni o qualsiasi altro materiale che si abbia sottomano e che sia utilizzabile come pedina. La scacchiera si può anche disegnare su un foglio di carta, con caselle quadrate. Ad esempio, caselle di 3 centimetri per lato, andranno benissimo per monete da cinquanta lire. Il gioco consiste nel togliere una qualunque delle pedine, in genere quella centrale e, seguendo poi le regole del gioco, restare alla fine con un'unica pedina sulla scacchiera. Tutte le altre pedine vengono "mangiate" con un salto che è simile a quello del gioco della dama, però al contrario di questa, i salti permessi sono soltanto orizzontali o verticali, mai diagonali. Ogni pedina saltata viene tolta dalla scacchiera e la soluzione più elegante prevede che rimanga un'unica pedina collocata esattamente nella casella che all'inizio del gioco era vuota. Qualche tentativo è sufficiente per convincerci della difficoltà del gioco. Non è facile restare con una sola pedina, anche in una posizione diversa da quella della casella vuota iniziale. La matematica però ci può aiutare suggerendoci la strada per semplificare il problema: scomporlo in una serie di problemi più semplici. Questa è la tecnica del " problem solving", applicata in questo caso al Solitario, studiato da molti matematici e in particolare da John Horton Conway in Winning Ways for your Mathematical Plays, un bel libro che purtroppo non è stato ancora tradotto in italiano. In figura sono riportate alcune delle più semplici configurazioni in cui possiamo scomporre il nostro gioco. Se impariamo a risolverle, e non è difficile, non avremo più problemi neppure nella soluzione del Solitario. Sarà sufficiente procedere passo passo, risolvendolo per parti. Chiamiamo pacchetti i blocchetti di pedine sui quali vogliamo operare. Solo il primo blocchetto, quello di 3 pedine, è risolto in figura, gli altri restano compito del lettore. Le tre mosse che si devono fare per eliminare le tre pedine del blocchetto sono indicate con 1, 2 e 3. Le tre pedine sono allineate e hanno a una delle due estremità, testa o coda, un buco e un'altra pedina che si possono considerare i catalizzatori del procedimento, entrano infatti nel procedimento di eliminazione, ma alla fine si ritrovano nella posizione di partenza. Le pedine rosse sono quelle da eliminare, mentre le due x (la posizione vuota e quella piena) indicano i catalizzatori che consentono l'eliminazione del pacchetto di pedine. L'operazione che porta all'eliminazione di tutte le pedine del pacchetto la chiamiamo repulisti. In questo caso quindi repulisti-3. Se si parte invece con un pacchetto di pedine e una posizione vuota, indicata dal cerchio vuoto, e si arriva all'eliminazione del pacchetto, con una sola pedina nella posizione che era vuota, allora chiamiamo questa operazione pacchetto. In figura riportiamo alcuni esempi di impacchettamento del Solitario, per riuscire a risolverlo senza problemi. La scomposizione con le pedine "impacchettate" consiste in due repulisti-3 (1,2), seguiti da tre repulisti-6 (3,4,5) e da un repulisti-L (6). Alla fine non rimane che un salto per chiudere il gioco. Per gli altri due esempi, sarà sufficiente eseguire le operazioni nell'ordine indicato dai numeri sui vari pacchetti. Quello che era, almeno all'apparenza, un problema complicato, grazie a questo procedimento diventa semplicissimo, a conferma del fatto che la matematica è lo strumento principe, insostituibile nella soluzione di qualsiasi problema. A questo punto, per complicare il gioco si può seguire il consiglio di Leibniz che si impegnò nello studio del Solitario: "Mi piace molto il gioco chiamato Solitario - scriveva il grande filosofo - e lo gioco al contrario. Invece di formare una figura seguendo le regole del gioco, che prescrive di saltare con un pezzo in un posto vuoto su un altro pezzo che viene tolto, ho pensato che è meglio ricostruire quanto è stato demolito, colmando il posto vuoto al di sopra del quale viene fatto il salto. In questo modo l'obiettivo risulta quello di formare una data figura, se questo è possibile, come in effetti dev'essere, se è stato possibile distruggerla. Ma perché tutto questo? potreste chiedere. Rispondo: per perfezionare l'arte dell'invenzione" Giochiamo al Solitario, per raffinare la nostra capacità di ragionamento, usando immaginazione e intuizione: forse è questa, per Leibniz, "l'arte dell'invenzione". In pratica, si parte con la scacchiera vuota e una sola pedina al centro o in un'altra posizione qualsiasi e si cerca di ritornare alla scacchiera piena con un vuoto nella posizione piena di partenza, giocando "a rovescio", con la mossa indicata da Leibniz e riportata in figura: ad ogni salto si rimette sulla scacchiera una pedina nella posizione vuota sulla quale viene fatto il salto. Anche in questo caso la matematica ci può venire in soccorso per la soluzione del gioco. Le regole sono fondamentalmente le stesse del Solitario classico, con un procedimento simile al precedente dove a "pieno" si sostituisce "vuoto" e viceversa a "vuoto", "pieno". Il lettore più accorto riuscirà a scomporre il gioco in blocchi più semplici, per la soluzione del problema di Leibniz. Una curiosità: il numero minimo di mosse necessarie per restare con una sola pedina al centro, partendo dalla casella centrale vuota, è 18, se contiamo come unica mossa una successione ininterrotta di salti. E' stato Ernest Reigholt a scoprirla, nel 1912, come riferisce Martin Gardner nella sua presentazione del gioco riportata in uno dei suoi celebri libretti di Enigmi e giochi matematici, Volume IV, Sansoni Editore. Riportiamo questa soluzione, seguendo la numerazione delle caselle sulla scacchiera riportata in figura: 5-17, 12-10, 3-11, 18-6, 30-18, 27-25, 24-26, 13-27-25, 9-11, 7-9, 22-24-26-12-10-8, 1-3-11-25, 31-23, 16-28, 33-31-23, 21-7-9, 4-16-28-30-18-16, 15-17. Dopo aver preso confidenza con il Solitario, si potranno cercare altre varianti. Ad esempio, partire sempre con la casella centrale vuota e chiudere il gioco con una data configurazione di pedine, come quelle riportate in figura. La scacchiera che abbiamo usato finora è quella americana, la più nota. La scacchiera francese prevede invece quattro pedine in più, disposte come in figura. Con questo tipo di scacchiera non è possibile chiudere il solitario con una sola pedina al centro, partendo con il centro vuoto. Si potrà chiudere il gioco con una sola pedina, ma in altra posizione. E' anche possibile partire con la casella centrale vuota e chiudere con una pedina al centro e un contorno di pedine su tutta la scacchiera. Ecco la soluzione: 6-19, 4-6, 18-5, 6-4, 9-11, 24-10, 11-9, 26-24, 35-25, 24-26, 27-25, 33-31, 25-35, 29-27, 14-28, 27-29, 19-21, 7-20, 21-19. Esistono infine scacchiere di forme diverse, la più nota ed anche la più semplice è quella triangolare di cui riportiamo in figura la versione che si trova anche in commercio, con 15 caselle. Le regole sono analoghe a quelle del solitario classico, ma in questo caso i salti permessi sono quelli in diagonale e in orizzontale. Federico Peiretti


STUDI IN USA La pratica religiosa fa bene alla salute? Sembrerebbe di sì, ma le statistiche non tengono conto di tanti fattori
Autore: GIACOBINI EZIO

ARGOMENTI: PSICOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

UN atteggiamento positivo verso una data terapia, la fiducia nel guarire e un certo ottimismo possono produrre in certi casi effetti benefici sulla velocità di guarigione (o perlomeno aiutano il paziente a meglio sopportare il male). Al contrario una depressione e un atteggiamento negativo possono ritardarla. Recentemente si è cercato di introdurre una nuova variabile nell'equazione paziente-guarigione. Secondo alcuni un'aumentata devozione religiosa misurata come intensità di preghiere e frequenza nella partecipazione alle funzioni è stata correlata tra sacerdoti cattolici ad una bassa mortalità da tumore alla prostata, ad una diminuzione dell'ipertensione arteriosa e dei disturbi cardiovascolari nelle suore di clausura, ad una più bassa incidenza di tumori tra i pastori mormoni dell'Utah, ad una più bassa mortalità tra i monaci di ordini contemplativi olandesi (Trappisti e Benedettini). Anche in Israele, la pratica della religione ebraica ridurrebbe il numero di infartuati e dei disturbi coronarici e aumenterebbe la lunghezza della vita. Tutte le cause di mortalità sarebbero maggiori tra gli appartenenti a Kibbutz non-religiosi in paragone a quelle di chi vive nei Kibbutz religiosi ortodossi. Tali studi pubblicati in rispettabili riviste mediche suggeriscono che non si tratti solo di una differenza nel modo di vita o di un effetto aspecifico antistressante della preghiera o della meditazione ma di un vero intervento non spiegabile in termini medici in quanto di natura soprannaturale. Tale intervento favorirebbe i credenti attivi rispetto ai non credenti o ai non praticanti. Purtroppo in molti di questi studi non viene analizzato in termini statistici l'impatto delle differenze di abitudini di vita, quali: dieta, fumo, alcol, concentrazioni di colesterolo, stress dovuto all'orario e al tipo di attività, tutti fattori di rischio ben conosciuti. In un'inchesta condotta negli Stati Uniti tra 300 medici di famiglia la grande maggioranza si diceva convinta dell'effetto positivo delle pratiche religiose e della preghiera in particolare sulla guarigione dei pazienti. Stimolati dalle numerose pubblicazioni mediche internazionali e da un crescente interesse da parte del pubblico e della classe medica americana e forse anche con la speranza di reperire un rimedio economico per assistere oltre 50 milioni di americani che non godono ancora di una assicurazione medica, un gruppo di specialisti (epidemiologi, psichiatri, sociologi) della Columbia University, del Centro Medico Columbia-Presbiterian e dell'Istituto di psichiatria dell'Università di New York hanno intrapreso uno studio analitico di circa quaranta lavori pubblicati sull'argomento ««religione e salute»» negli ultimi vent'anni. Lo studio è stato pubblicato recentemente sulla rivista medica inglese ««Lancet»». Sulla base di tale analisi gli autori concludono che anche negli studi di qualità migliore l'evidenza di una relazione tra attività religiosa o spirituale e salute sia molto debole se non addirittura inesistente. Diversi sono i problemi sia metodologici che concettuali presentati da tali pubblicazioni ma il più grave sarebbe quello di una inconsistenza nei risultati a livello di singoli studi. Le definizioni dell'attività religiosa non sono chiare. Tali definizioni divergono notevolmente non solo a seconda della professione religiosa ma anche del grado di ortodossia nello stesso gruppo. Spesso non si tengono in considerazione le differenze notevoli in abitudini di vita e di lavoro tra religiosi e non. Fattori di rischio come dieta, fumo, alcol, non vengono tenuti in considerazione. E' evidente che il paragone tra una popolazione di fumatori laici e una di non-fumatori religiosi porta sicuramente a una diminuzione del rischio di tumori polmonari tra i secondi. In alcuni studi la selezione si è appunto basata sul fatto che certi codici di condotta religiosa proibiscano l'uso di alcol, fumo, o alcuni cibi. A questo proposito conviene non generalizzare a rischio di sorprese. Un aumento significativo dei valori enzimatici collegati tra l'altro a cibi particolari è stato notato tra membri di comunità religiose ortodosse di New York supposte esserne astinenti ed un'alta percentuale di suicidi è stata riscontrata tra membri di sette religiose isolate che erano supposte essere praticamente immuni dalla depressione. Come conclusione dello studio di ««Lancet»» gli autori asseriscono che sulla base dei dati pubblicati sia prematuro promuovere o consigliare l'attività religiosa come trattamento medico aggiuntivo o ausiliario. Allo stesso tempo fanno notare come esista una grande differenza tra il respingere la fede come terapia ed il riconoscere che deve essere rispettato il desiderio di chi ritenga di trarre conforto spirituale e anche materiale da parte della preghiera. Nessuno potrebbe obiettare che determinati pazienti possano trarre beneficio dalla fede che per altro può rendere più sopportabile il dolore. L'incoraggiare un'attività religiosa come terapia è diverso dal consigliare cambiamenti del comportamento come smettere di fumare o instaurare una dieta a basso tenore di grassi, provvedimenti inequivocabilmente legati a benefici sulla salute. Sulla base degli attuali risultati si può concludere che il suggerimento che la pratica religiosa sia vantaggiosa alla salute sia altrettanto ingiustificato quanto l'idea che lo stato di infermità sia legato a una fede insufficiente. Ezio Giacobini


Nelle pagine web anche la volpe e le oche
Autore: FE_PEI

ARGOMENTI: GIOCHI
LUOGHI: ITALIA

PER chi vuol perdersi davanti al video, risolvendo un gioco dopo l'altro in santa pace, ci sono centinaia di pagine web dedicate al Solitario, Peg Solitaire, in inglese. Le più belle sono quelle del matematico Alexander Bogomolny che accanto a una chiara e precisa presentazione del gioco, presenta due applet per avere il Solitario, anche nella versione di Leibniz, sulla punta del mouse: http://cut-the-knot.com/proofs/pegsolitaire.html e http: //cut-the-knot.com/proofs/rsolitaire.html Un altro gradevole applet del Solitario: http://enchantedmind.com/solitaire.htm Il programma del Solitario, da scaricare gratuitamente sul proprio computer, con una comoda opzione: a qualsiasi punto della partita si può vedere la sequenza delle mosse vincenti del gioco: http: //www.extrabit.com/freestuff/index.html La pagina del Museo dei Giochi: http://www.ahs.uwaterloo. ca/~museum/vexhibit/puzzles/solitare/solitar e.html La teoria del Solitario Triangolare: http://www.cst.cmich. edu/users/GrahamS/Pub/PegSol/JrSol/JrSol.html Un ampio studio del Solitario, esteso a scacchiere di ogni tipo, a due o a tre dimensioni: http://www.wpi.edu/~nneising/PegSolitairePaper.htm Uno studio del Solitario attraverso la Teoria dei Grafi: http: //home.clara.net/ims/solitaire/solit1.html Il gioco La Volpe e le Oche: http://www.game-club.com/jav10-10/foxrules.htm La storia del gioco La Volpe e le Oche, con tutte le sue varianti: http: //user.trinet.se/~jgd996c/hnefatafl/hnefatafl.html \




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