TUTTOSCIENZE 5 maggio 99


MEDICINA Buon umore fa buona salute Il carattere influenza il sistema immunitario
Autore: PACORI MARCO

ARGOMENTI: MEDICINA FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

L'AFFERMAZIONE dei genetisti che presto basterà un comune prelievo di sangue per sapere se abbiamo una disposizione a contrarre determinate malattie o a sviluppare particolari tipi di tumore è stata già uno shock. Ma come rimarremmo, se ci venisse detto che, per fare una prognosi simile, è sufficiente un test di personalità? Eppure, è uno scenario tutt'altro che inverosimile. Da tempo si sa che un temperamento collerico, rigido, esasperatamente ambizioso, predispone al rischio di infarto o di altri disturbi cardiovascolari. Attualmente, si moltiplicano le pubblicazioni sulla relazione tra le disposizioni del carattere e la maggiore o minore vulnerabilità alle infezioni. E' recente uno studio di Gonzalez pubblicato su ««Biological Psychology»»: ne emerge come i tratti di personalità siano la componente psicologica che maggiormente influenza le nostre risposte immunitarie. L'indagine era finalizzata a verificare se esiste un rapporto tra eventi della vita, personalità e reazione dei linfociti T (il tipo di globuli bianchi più importanti nella soppressione dei virus) ad un agente che ne stimola la moltiplicazione: la fitoemagglutina. Il primo dato emerso era piuttosto prevedibile: chi aveva avuto un'esistenza segnata da lutti, drammi e sofferenze, mostrava una reattività decisamente blanda a questa sostanza. Ma ancora più sorprendente è la scoperta che a mediare l'impatto dello stress sull'immunità naturale sono gli aspetti del carattere. Gli individui che pure riferivano di un passato tribolato, ma che erano al tempo stesso indipendenti e anticonformisti, mostravano una buona risposta al composto stimolante e valori elevati dei globuli bianchi. Per contro, gli individui emotivi, indipendentemente dal fatto di aver subito poche o molte vicissitudini, reagivano in modo debole e la percentuale dei loro linfociti era notevolmente bassa. In riferimento all'introversione, si è rilevato come la risposta di chi si rivelava fortemente timido e inibito fosse piuttosto modesta. Sembra che il parametro indipendenza/dipendenza rivesta effettivamente un ruolo fondamentale nel determinare la forza delle difese dell'organismo. In un altro esperimento, Kropiunigg e altri ricercatori hanno sottoposto un campione di individui eterogenei ad una situazione moderatamente stressante. Dal confronto dei questionari di personalità e la conta dei linfociti prima e dopo la prova è risultato che gli individui maggiormente dipendenti, e con un esagerato bisogno di appoggio morale, avevano riportato la più pronunciata diminuzione dei linfociti T e in particolare della classe degli helper, una sorta di 'truppe d'appoggiò nella lotta alle infezioni. La stima di sè è uno dei cardini di una personalità forte e stabile. Chi ha un'alta considerazione di se stesso è anche poco influenzato dal giudizio altrui, meno conformista e più tenace nel mantenere saldi idee e principi, se sottoposto a pressione sociale. Proprio la stima di sè esercita un effetto notevole sulla forza del sistema immunitario. Uno studio di Straumann Lemieux e Coe, pubblicato sul ««Journal of Social Psychology»», ha dato prova che gli individui con minore stima di sè, se sottoposti a una valutazione negativa, riportano una netto calo dell'attività dei linfociti NK (killer naturali). L'esposizione al rifiuto e ai pregiudizi sono due realtà con cui certe categorie devono continuamente scontrarsi; è il caso ad esempio degli omosessuali, specie se sieropositivi. Una ricerca dello psicologo Cole ha dimostrato che i gay che dichiarano apertamente le proprie preferenze sessuali hanno un sistema immunitario più forte rispetto a quelli che le nascondono. Questo atteggiamento riduce la virulenza dell'HIV e ritarda la diagnosi dell'Aids conclamata. Per contro, gli omosessuali particolarmente sensibili alla riprovazione sociale mostrano una più rapida diminuzione dei linfociti T helper (quelli nei cui siti si annida il virus) e una minor resistenza alla malattia. Ottimismo e pessimismo sono altri due aspetti che influenzano in modo marcato le nostre risorse immunitarie. Uno staff medico dell'Università di Los Angeles guidato da Segerstrom ha scoperto che l'ottimismo è legato a una tendenza al buon umore e ad un alta percentuale di linfociti T helper e di cellule NK. In parte, afferma lo psicologo, l'effetto dell'ottimismo sul sistema immunitario è modulato dal buon umore, ma in una certa misura è diretto. Sempre Segerstrom, in un'analisi affine apparsa sul ««Journal of Behavioral Medicine»» , ha constatato come l'essere apprensivi abbia pesanti ripercussioni sui globuli bianchi. Chi si preoccupa molto tende a manifestare un livello eccessivamente basso di cellule NK rispetto ad un gruppo di controllo e ad individui più concreti e realisti. Un altro fattore di personalità che si è rivelato importante ai fini della reazione agli antigeni (gli agenti estranei all'organismo) è la capacità di parlare di sè e di esporre i propri sentimenti. Per verificare l'impatto di questa attitudine sulla risposta immunitaria, un gruppo di studio dell'Università di Miami, coordinato da Esterlin, ha inoculato un frammento innocuo di un virus a soggetti in precedenza identificati come aperti o chiusi. Esaminando poi la quantità di anticorpi prodotti, si è provato che maggiore era la capacità di rivelare le proprie emozioni, più alto era il livello delle immunoglobuline o anticorpi. Un altro lato della personalità ha dato risultati analoghi: l'appartenere alla categoria dei repressori, caratterizzata da razionalità, freddezza, schematismo; contrapposta a quella dei sensibilizzatori, emotivi, flessibili, fantasiosi. In tutti i repressori, sia che avessero un alto o un basso grado di apertura, la produzione di immunoglobuline era modesta; mentre solo i sensibilizzatori che erano anche chiusi, mostravano una reazione simile. Cristensen e altri dell'Università dello Iowa hanno approfondito questo tema: la loro ricerca ha ribadito che aprirsi e scaricare le proprie emozioni rende più resistenti alle infezioni. Non solo. Sin è provato sperimentalmente che l'emozione che produce l'effetto più incisivo è la collera. Chi tende a reprimere l'espressione emozionale e in particolare le manifestazioni di rabbia, appare più predisposto a sviluppare il cancro, malattia che sembra sia legata proprio a un'inefficienza del sistema immunitario. Un dato emerso nell'esame degli aspetti psicologici di uno dei tumori più diffusi fra il sesso femminile, quello al seno, ha messo in luce che anche in questo caso esiste un quadro di personalità più a rischio. Le donne più vulnerabili a questa forma tumorale risultano poco introspettive, indolenti e con una marcata ossessione per la pulizia e l'ordine. Un tratto comune che emerge in modo preponderante è inoltre un problema di identificazione con il proprio sesso. Le donne che presentano questo tipo di tumore tendono infatti ad assumere un ruolo ostentatamente femminile: cioè passivo, succube e remissivo oppure rifiutano inconsciamente la loro identità sessuale. Noi tutti siamo portati a maturare credenze sul perché ci capitano le cose: c'è chi è convinto di essere in balia degli eventi e chi ritiene di esercitare un certo controllo sugli avvenimenti. I primi, si dice, hanno, un ««locus»» del controllo esterno; i secondi, un ««locus»» del controllo interno. Anche questi due opposti atteggiamenti si sono dimostrati capaci di influire sulla forza del sistema immunitario. Reynaert e altri psichiatri dell'Università cattolica di Louvain in Belgio hanno svolto una ricerca per verificare l'impatto di queste due diverse disposizioni sulle difese dell'organismo. Gli esiti delle indagini hanno messo in luce la considerazione che più uno è fatalista, tanto meno efficiente è la sua risposta alle infezioni. Uno studio analogo condotto su un campione femminile indica che la credenza in un destino ineluttabile renderebbe le donne più esposte al rischio di tumori. C'è un'altra dimensione che influisce sul sistema immunitario; un aspetto che non manchiamo di sottolineare quando parliamo di qualcuno e che tuttavia ha poco a che fare con la personalità: l'intelligenza. Essere intelligenti è visto come qualcosa di desiderabile; ma non sempre è un vantaggio. Non certo sul piano dell'immunità. Hollis e altri hanno pubblicato sull ««American Journal of Mental Deficit»» uno studio in cui hanno misurato il livello di anticorpi in tre gruppi di soggetti: il primo, con profondo ritardo mentale; il secondo con ritardo lieve; il terzo, con intelligenza media. Sorprendentemente, chi aveva un grave deficit intellettivo aveva la quantità più elevata di immunoglobuline. Ultimi in classifica, i più ««svegli»». Marco Pacori


UN LIBRO, UN COMPLEANNO Con Rita Levi Montalcini nella galassia del cervello
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: BIOLOGIA
PERSONE: LEVI MONTALCINI RITA
NOMI: LEVI MONTALCINI RITA
ORGANIZZAZIONI: BALDINI & CASTOLDI
LUOGHI: ITALIA

PUBBLICARE un nuovo libro: Rita Levi Montalcini non aveva modo migliore per festeggiare i suoi giovanili novant'anni. Non un libro specialistico, per di più, ma un saggio che spazia su tutta l'evoluzione biologica per affrontare poi le grandi domande di sempre: come il pensiero emerga dalla materia cerebrale, come in esso affondino le radici la consapevolezza di sè e quel fenomeno vertiginoso che è il ««libero arbitrio»», base dei concetti di bene e di male. ««La galassia mente»» (Baldini&Castoldi) fin dal titolo mette in gioco i termini essenziali del problema. Le galassie sono sistemi formati da circa 100 miliardi di stelle: e circa 100 miliardi è il numero dei neuroni che compongono il nostro cervello. Da questo ammasso di cellule, affiora la ««mente»» , cioè l'insieme delle funzioni superiori. Capire il rapporto tra l'intrico materiale delle cellule e il groviglio immateriale dei sentimenti, della razionalità e dell'etica è la grande sfida delle neuroscienze dei prossimi anni. Scopritrice del fattore di crescita nervoso e premiata con il Nobel, Rita Levi Montalcini è stata in prima fila tra i ricercatori che hanno esplorato la materia cerebrale. Ma senza dimenticare che il vero mistero si annida aldilà della biochimica: non nel ««cervello»» ma nella ««mente»». Nell'impresa di capire la mente, ««le probabilità di successo sono nulle»», scrive la Montalcini. Ma aggiunge che l'uomo ««è l'unico fra tutti gli organismi viventi ad avere la facoltà di controllare e dirigere la sua evoluzione»». Forse uno spiraglio rimane aperto. Piero Bianucci


DIETA E PESO FORMA I ghiottoni fortunati che non ingrassano mai Scoperto il loro segreto: bruciano calorie tramite movimenti inconsapevoli
Autore: FRONTE MARGHERITA

ARGOMENTI: ALIMENTAZIONE
NOMI: LEVINE JAMES
ORGANIZZAZIONI: MAYO CLINIC
LUOGHI: ITALIA

DOPO mesi di sacrifici passati a dosare le calorie di ogni pasto, scoprire che i chili di troppo non sono calati è uno smacco difficile da sopportare. Ma la goccia che fa traboccare il vaso è vedere gli amici più magri che hanno trascorso l'inverno fra banchetti natalizi, dolci di carnevale e colombe pasquali senza aver messo su neppure un grammo. Il mistero di chi, nonostante qualche eccesso, mantiene la linea è rimasto per molto tempo insoluto. Di volta in volta le ricerche scientifiche hanno sottolineato l'importanza della dieta, dei fattori genetici che possono predisporre all'obesità, delle ore passate in palestra, o dei processi metabolici che si verificano durante la digestione. Ma nessuna ipotesi riusciva far tornare i conti fra la quantità di cibo ingerita e il peso corporeo, almeno per chi, pur mangiando molto, non perde mai la linea. Uno studio pubblicato sulla rivista Science fornisce però una nuova chiave di lettura. Infatti, secondo James Levine e i suoi colleghi della Mayo Clinic di Rochester, negli Stati Uniti, a far quadrare il bilancio fra le calorie ingerite e quelle consumate sono i movimenti che i muscoli compiono meccanicamente senza che ci sia una reale volontà di fare esercizio fisico. I magri dondolano i piedi quando stanno seduti, fanno tamburellare le dita sul tavolo, davanti alla tv non tengono ferme le gambe e quando ascoltano una musica non possono fare a meno di battere il tempo con il piede per terra. Così facendo smaltiscono le calorie di troppo e impediscono che queste vadano ad arricchire i depositi di grasso, che rappresentano la scorta energetica che l'organismo accumula quando il cibo non viene consumato con l'attività fisica. All'inizio della storia dell'uomo questa caratteristica, che di fatto impedisce al corpo di poter disporre di riserve di energia, rendeva le persone magre particolarmente vulnerabili nei periodi di carestia. Ma la società occidentale moderna il cibo non manca e l'attività fisica si è molto ridotta. La magrezza è diventata una virtù e il significato di quello che un tempo rappresentava certamente uno svantaggio in termini evolutivi si è capovolto. La ricerca statunitense si è avvalsa della collaborazione di 16 volontari, che hanno potuto banchettare per otto settimane, ingerendo ogni giorno 1000 calorie in più rispetto al loro fabbisogno. Alla fine dei bagordi per la maggior parte di loro sono arrivati i dolori: alcuni infatti erano ingrassati di oltre quattro chili. Ma altri pesavano appena tre etti in più di due mesi prima. Soltanto per una piccola parte la differenza era attribuibile al metabolismo individuale e, poiché nessuno dei volontari ha fatto sport nel periodo in cui lo studio è stato condotto, i ricercatori hanno potuto escludere che l'effetto fosse dovuto alla palestra. L'unico elemento che giustificava il responso della bilancia era costituito dai movimenti involontari che - hanno notato i ricercatori - in chi non ingrassa diventano più frequenti dopo ogni scorpacciata, permettendo all'organismo di bruciare fino ai due terzi delle calorie in eccesso introdotte con il cibo. Gli autori dello studio hanno anche potuto verificare che l'inclinazione a smaltire in questo modo un pasto abbondante è comune fra i rappresentanti di una stessa famiglia, e hanno stabilito una relazione statistica fra la tendenza a restare magri e le calorie consumate con i movimenti involontari. Margherita Fronte


SCIENZE FISICHE PROTEZIONE CIVILE Aerei, attenti a quel vulcano Dai satelliti l'allarme per eruzioni improvvise
Autore: TIBALDI ALESSANDRO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
LUOGHI: ITALIA

CENTINAIA di migliaia di passeggeri e numerosi aerei-cargo sorvolano ogni anno zone della terra caratterizzate dalla presenza di vulcani attivi o ««dormienti»». Questi vulcani possono dar luogo ad eruzioni esplosive con emissione nell'atmosfera di ingenti quantità di ceneri fino a più di 10-20 km di altezza. Se disgraziatamente un aereo attraversasse una ««nuvola»» di cenere, i motori potrebbero rimanere danneggiati, come già talvolta è accaduto. Un nuovo sistema di allarme globale è stato utilizzato, con successo, per la prima volta nel 1997. Il 13 febbraio di quello stesso anno, un ricercatore del Servizio Geologico degli Usa stava osservando sullo schermo del computer il caricamento di una nuova immagine di un satellite dell'ultima generazione, quando si accorse che questa conteneva un'anomalia termica in corrispondenza del vulcano Okmok, situato nell'isola Umnak, in una regione remota dell'arcipelago delle Aleutine, Alaska. Effettuate le procedure di controllo per analizzare meglio la situazione e la sua evoluzione, dopo pochissimo tempo partì l'allarme: il vulcano Okmok era entrato in eruzione al di sotto delle rotte aeree di collegamento tra l'Asia e il Nord-America. Nelle regioni fortemente urbanizzate, il controllo dei vulcani a rischio è assicurato da vari strumenti in funzione 24 ore su 24 (nei Paesi industrializzati, come l'Italia) oppure dalla presenza stessa della popolazione (nei Paesi in via di sviluppo): in entrambi i casi, il protocollo internazionale di protezione civile prevede che in caso di forti eruzioni, vengano immediatamente avvisate le agenzia governative preposte alla regolamentazione del traffico aereo che provvedono a modificare le rotte di volo. Ma cosa succede se entra in eruzione uno delle centinaia di vulcani disseminati nelle zone remote del pianeta? Per proteggersi da questa fonte di pericolo per i sempre più numerosi voli aerei, i Paesi industrializzati, guidati dagli Stati Uniti, stanno mettendo a punto una rete di sorveglianza satellitare in grado di monitorare tutta la superficie terrestre sede di edifici vulcanici. Diversi satelliti ««scrutano»» di notte e di giornio il nostro pianeta alla ricerca di indizi di attività vulcanica. Le immagini satellitari vengono poi immesse e aggiornate in continuazione su Internet (ad esempio al sito: file//gis.Lter. alaska.edu/Volcano_Images/), a cui si rivolge un'èquipe di scienziati distribuiti in varie sedi di ricerca del mondo: il loro compito è valutare se gli indizi presenti nelle immagini possono testimoniare una nuova eruzione in atto. In caso di risposta affermativa, a pochi minuti di distanza dall'eruzione vengono così avvisate le agenzie governative, le compagnie private e le popolazioni interessate tramite telefono, fax ed E-mail. L'allarme scatta in modo che gli organi locali preposti possano decidere l'eventuale evacuazione della popolazione, mentre contemporaneamente a livello internazionale (ed è bene sottolineare l'aggettivo ««internazionale»») gli aerei già in volo vengono deviati, gli aiuti per le popolazioni colpite possono attivarsi e sul posto vengono portati gli strumenti per monitorare direttamente l'evoluzione dell'attività vulcanica. La possibilità di poter riconoscere le eruzioni anche di notte è evidentemente vitale: per esempio, volando al buio sarebbe impossibile notare la nuvola di cenere del vulcano. Alcuni satelliti al contrario sono in grado di operare anche di notte in quanto in tali condizioni viene utilizzato uno strumento particolare, denominato Radiometro Avanzato ad Altissima Risoluzione (l'acronimo inglese è Avhrr), montato su un satellite americano, che registra le anomalie di calore della superficie terrestre date, per esempio, dalla risalita in superficie di magma, in combinazione con strumenti radar. Questi strumenti radar, trasportati da satelliti europei, canadesi ed americani, inviano a terra un fascio di raggi che ne illuminano artificialmente la superficie, e quindi indipendentemente dalle condizioni notte-giorno o dalla presenza di coperture nuvolose. I raggi vengono riflessi verso lo strumento a bordo del satellite che così ricostruisce la forma della superficie terrestre. Con nuove tecniche speciali denominate ««interferometrie radar»» è possibile ricostruire in tempi velocissimi le eventuali deformazioni interessanti un vulcano, altro dato importante per stabilire la eruzione. Contemporaneamente, i satelliti meteorologici e le stazioni a terra inviano ai centri di studio i dati sulla distribuzione globale dei venti e delle temperature. I ricercatori sono così in grado di prevedere in poco tempo anche le traiettorie e le velocità con le quali si sposteranno le nuvole di ceneri. Alessandro Tibaldi Università di Milano


SCIENZE FISICHE METEOROLOGIA E' possibile far nevicare sulle Alpi?
Autore: MINETTI GIORGIO

ARGOMENTI: METEOROLOGIA
LUOGHI: ITALIA

DURANTE un recente dibattito circa una probabile carenza di nevicate sul versante occidentale delle Alpi nei prossimi inverni, qualche operatore turistico forse poco informato ha affermato che infittire la rete di bacini idroelettrici sarebbe sufficiente per creare condizioni favorevoli allo sviluppo delle precipitazioni. Utilizzare nuove fonti energetiche, sia per scopi industriali sia per predisporre riserve idriche all'innevamento programmato, sembrerebbe all'apparenza una soluzione plausibile. Però il ragionamento, che ha fatto sorridere climatologi e meteorologi, non regge quando si intende provocare perturbazioni che dovrebbero dare luogo a piogge o nevicate: le precipitazioni, piovose o nevose che siano, in genere traggono origine dalle nubi. Queste si formano per condensazione di masse d'aria umida che, salendo in quota, vengono a contatto con correnti d'aria fredda e temperature negative. Questo fenomeno richiede diverse circostanze: presenza consistente d'umidità che trae origine dalle grandi superfici liquide, dalla vegetazione, dal suolo e dagli esseri viventi; temperature elevate al suolo e negative in quota; assenza di ventilazione; situazione di bassa pressione. Le superfici liquide che più da vicino interessano la displuviale alpina sono l'Oceano Atlantico ed il Mediterraneo che, sia pur con una collocazione geografica diversa come distanza dalla catena alpina, sviluppano la stragrande maggioranza delle perturbazioni. Possiamo anche considerare la presenza di superfici d'acqua di dimensioni più ridotte che, in funzione di un microclima locale, danno pure luogo a precipitazioni più o meno intense ma molto limitate e circoscritte. Infatti come giustificare gli annuvolamenti e le conseguenti precipitazioni che sovente si sviluppano sui rilievi che circondano i grandi laghi alpini del Nord d'Italia? Come motivare l'abituale piovosità dei monti che fanno corona alla conca d'Oropa (Biella)? Com'è facilmente comprensibile questi fenomeni sono provocati dal contrasto termico in quota tra masse di vapore acqueo provenienti dalle zone lacustri o dalle estese risaie del Vercellese (quando allagate), con le correnti fredde. Per giungere a parziali risultati, che gli operatori turistici desidererebbero, occorrerebbe che i bacini ipotizzati raggiungessero un'estensione ed una capacità idrica tale da paragonarsi almeno alle aree lacustri. E comunque i risultati sarebbero sempre ridotti e localizzati in piccole aree. Inoltre durante la stagione invernale la copertura superficiale quasi sempre ghiacciata, consentirebbe solo un ridotto apporto idrico per le centrali idroelettriche o per l'innevamento programmato. Altro dato da tenere in considerazione è la scarsa quantità d'acqua che si riversa sul versante interno delle Alpi per scioglimento di nevi e ghiacciai, che va ad alimentare per l'80% i maggiori fiumi europei a Nord delle Alpi quali Rodano, Danubio, Reno, con i quali, per visivo confronto, non può competere il maggiore dei nostri corsi d'acqua, il Po. Se ne può dedurre che le sole perturbazioni idonee a fornire un consistente apporto idrico alle regioni occidentali delle Alpi avranno origine dalle grandi masse marittime. La loro intensità ed estensione sarà in funzione di quanto minore è la distanza dal luogo dove si originano a quello dove scaricheranno tutta la loro energia, disperdendone il meno possibile durante il tragitto. Giorgio Minetti


SCIENZE FISICHE ASTROFISICA Scruterà l'universo nei raggi X All'inizio del 2000 in orbita lo strumento italiano Epic
Autore: LO CAMPO ANTONIO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA
ORGANIZZAZIONI: ASI, ESA
LUOGHI: ITALIA

E' una delle ««pietre angolari»» del programma scientifico ««Horizon 2000»» dell' Agenzia spaziale europea (Esa). Il satellite ««XMM»» sarà il nostro nuovo osservatorio spaziale per lo studio dell'universo nei raggi X. Per l'Italia, che vi partecipa con le industrie e la comunità scientifica, è un risultato di prestigio, nel solco dei successi conseguiti da Beppo-SAX, satellite dell'Agenzia spaziale italiana (Asi) attualmente operativo. L'««XMM»» è il più grande satellite scientifico mai realizzato in Europa, tanto che per il suo lancio in orbita terrestre ellittica di 7.000 per 114.000 chilometri si dovrà usare il potente razzo vettore Ariane 5. Il lancio dalla base di Kourou è previsto, se non vi saranno slittamenti sul programma dei primi voli operativi del razzo europeo, per il 21 gennaio 2000. Il satellite potrà lavorare in orbita fino ad un massimo di dieci anni, per compiere osservazioni spettrali di alta qualità delle sorgenti deboli e osservazioni di spettroscopia a rapida, debole e media risoluzione degli oggetti più brillanti. A bordo vi saranno tre rivelatori ad alta sensibilità, due spettrometri ad alta risoluzione, e un telescopio da 30 centimetri di diametro per monitoraggio ottico. Strumenti principali di questo osservatorio orbitante sono i rivelatori, con un apparato ad alta tecnologia chiamato Epic (European Photon Imaging Camera) che vede impegnati, fin dall'inizio del progetto nel 1993, vari istituti scientifici in Italia, Francia, Germania, e Gran Bretagna. L'Italia è in prima fila per la parte industriale. E' la Laben di Milano (gruppo Alenia) a realizzare Epic, progetto nato nel 1988 sotto la guida di Giovanni Bignami, attualmente direttore dei programmi scientifici dell'Asi. La Laben ha la responsabilità di gestione e integrazione dello strumento, che è l'insieme di 20 unità sviluppate in alcuni tra i principali istituti di ricerca e industrie delle quattro nazioni impegnate. Epic è costituito da tre linee di acquisizione e analisi della radiazione X posizionati nel punto focale dei tre sistemi a specchi multipli, i quali focalizzano la radiazione X proveniente da punti attivi nel cielo. La sua peculiarità riguarda in particolare l'utilizzo di nuovi rivelatori a raggi X di tipo Ccd (Charge Coupled Device) che permettono di studiare le sorgenti a raggi X con una definizione maggiore rispetto a precedenti strumenti d' osservazione, e quindi con la possibilità di distinguere sorgenti molto più deboli e distanti, e di esaminarne in dettaglio la composizione spettrale. Epic è stato realizzato in circa 200 mila ore di lavoro da un gruppo di 60 tecnici specializzati in meno di tre anni, ed è stato consegnato in gennaio all'Esa. Il suo costo si aggira sui 200 miliardi, 40 dei quali dell'Asi. L'agenzia spaziale europea disporrà anche la gestione generale dello strumento con l'Epic Consortium, formato proprio per gestire le attività scientifiche e tecnologiche, nonché i vari istituti di ricerca e le agenzie spaziali delle nazioni che vi partecipano. Antonio Lo Campo


SCIENZE FISICHE TECNOLOGIE PER L'AMBIENTE Reichstag all'isegna dell'ecologia Il Parlamento tedesco è verde (nell'architettura)
Autore: RATTI CARLO

ARGOMENTI: TECNOLOGIA
NOMI: FOSTER NORMAN, HERTZBERGER HERMAN, PIANO RENZO, ROGERS RICHARD
LUOGHI: ITALIA, BERLINO, EUROPA, GERMANIA
TABELLE: D.

NEL futuro la missione degli architetti e degli ingegneri dovrà essere quella di progettare edifici e spazi urbani capaci di salvaguardare le risorse naturali, utilizzando al meglio le fonti rinnovabili di energia»». Così scrivevano nel 1996 i firmatari della ««Carta Europea per l'Energia Solare»», tra cui architetti come Renzo Piano, Richard Rogers, Herman Hertzberger e Norman Foster, neo-vincitore del Premio Pritzker (volgarmente detto il Nobel dell'architettura) e progettista, tra l'altro, del nuovo aeroporto di Hong Kong. Il 19 aprile scorso Norman Foster si è rifatto ai principi della ««Carta»» per illustrare il proprio intervento di ristrutturazione del Reichstag di Berlino: ««Utilizzando fonti rinnovabili di energia abbiamo ridotto le emissioni di anidride carbonica dell'edificio del 90 per cento»», ha dichiarato durante la cerimonia di inaugurazione, invitando poi un manipolo di giornalisti a seguirlo nella visita agli impianti di riscaldamento del nuovo parlamento tedesco. I lavori di ristrutturazione si sono protratti per quattro anni, con un costo complessivo di 600 miliardi di lire. Dell'antica costruzione ottocentesca di Paul Wallot, disprezzata dal Kaiser Guglielmo II come ««il sommo del cattivo gusto»», resta oggi soltanto il guscio. L'interno, dominato dalla nuova sala del Parlamento (grandiosa: 1400 metri quadrati contro i 570 dell'Assemblè Nationale francese, ha fatto notare un amareggiato Le Monde), è stato trasformato in un complesso organismo capace di utilizzare al meglio le fonti rinnovabili di energia. Innanzitutto il sole. La cupola in vetro e acciaio che domina il tetto del vecchio edificio, per esempio, non è soltanto una metafora della trasparenza politica nell'era dell'incipiente Berliner Republik. O un nuovo punto focale (per quanto beneaccetto) nel profilo urbano della città. E' anche e soprattutto un collettore di energia solare, capace di illuminare naturalmente gli spazi sottostanti. Al suo interno una superficie conoidale concava e rivestita di specchi (sovrastata da un belvedere accessibile al pubblico) concentra e riflette verso il basso la luce diurna. Mentre una grande palpebra in maglia di acciaio, azionata da pannelli fotovoltaici, rincorre la posizione del sole schermando i riflessi troppo intensi. ««La luce naturale è migliore rispetto a quella artificiale poiché rivela i ritmi del tempo»», dice Foster. E consente di risparmiare energia. L'energia elettrica necessaria per il funzionamento del Reichstag viene prodotta nei sotterranei da un sofisticato impianto di co-generazione, alimentato non da combustibili fossili ma da olii vegetali (a scelta olio di semi di girasole, di palma o di colza - precisa un comunicato stampa). Il calore in eccesso viene impiegato durante l'inverno per il riscaldamento. Mentre d'estate finisce immagazzinato sottoterra, in una falda acquifera a oltre 300 metri di profondità, alla temperatura di 70-80 gradi, pronto per essere recuperato nei mesi successivi. Una falda d'acqua più superficiale costituisce invece il gigantesco ««radiatore»» dell'edificio. Fornisce acqua a bassa temperatura (13 gradi) che può essere utilizzata durante l'estate per l'impianto di raffreddamento e condizionamento. Anche qui, però, c'è una novità. La ventilazione del Reichstag non è regolata da apparecchiature meccaniche, come nella maggior parte degli edifici che ospitano uffici, ma segue forze naturali. Nella grande sala del Parlamento l'aria calda sale naturalmente verso l'alto (aiutata forse dalle turbolenze politiche?). Passa attraverso la cupola e viene estratta alla sommità da un alettone aerodinamico basato sul principio di Venturi (lo stesso che consente agli aerei di volare). Sarà davvero così? ««Confidiamo nel ricambio d'aria naturale. Ma per ogni evenienza abbiamo previsto anche dei ventilatori meccanici»». Parole di Michael Kuehn, ingegnere progettista degli impianti. Il Reichstag come bandiera dell'architettura solare potrebbe ricordare forse la favola della bandiera rossa che sventola allegra sul Cremlino: grazie al vento o a un potente ventilatore. Anche in questo caso per una nobile causa (si può dire?). Carlo Ratti


SCIENZE DELLA VITA LEUCEMIE Un antitumorale maoista Dalla medicina tradizionale cinese
Autore: MALAVASI FABIO

ARGOMENTI: MEDICINA FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

LA leucemia promielocitica acuta (indicata con la sigla APL, dalle iniziali inglesi) rappresenta il 10-15 per cento delle leucemie mieloidi acute dell'adulto, con un'incidenza stimabile approssimativamente in 10 nuovi casi all'anno per milione di abitanti. Ne esiste anche una forma infantile, meno frequente e in generale con una prognosi migliore. E' caratterizzata dalla crescita incontrollata di una popolazione di promielociti, elementi immaturi precursori dei granulociti, le ««cellule bianche» » normalmente circolanti nel sangue. Questa leucemia è un modello interessante per i ricercatori in quanto il difetto genetico alla base della malattia è rappresentato dalla traslocazione di un frammento del cromosoma 15 sul cromosoma 17: il risultato è la formazione di un complesso genico che codifica una proteina anomala. Tale proteina, che deriva dalla fusione tra PML e RAR-alfa, ha un effetto devastante sulla vita dei precursori dei granulociti, i quali si congelano in un momento differenziativo particolare: si assiste quindi ad un continuo rifornimento di cellule anomale che costituiscono la base della APL. La cellula che è andata incontro all'evento nuovo dà origine a una espansione di cellule uguali a sè stesse, che crescono quindi in maniera illimitata e con le caratteristiche della cellula madre mutata. Il lieto fine (nella maggior parte dei casi) è costituito dal fatto che si è visto che alcune sostanze come l'acido retinoico sono in grado di smuovere la cellula dal suo stato di blocco maturativo, provocando la degradazione della proteina di fusione responsabile della situazione. Quello a cui si assiste in vivo è che la cellula tumorale riprende il suo sviluppo diventando una cellula normale, caratterizzata quindi da una vita limitata. Questa è la base della terapia differenziativa. Oltre che da parte degli ematologi e dei clinici, l'interesse viene dai ricercatori di base, i quali hanno intravisto la possibilità di trasferire la terapia differenziativa a numerose altre forme tumorali, non limitate quindi a quelle ematologiche. La sostanza dotata di queste attività differenziative è l'acido retinoico, un componente chimico dai costi irrisori e presente normalmente nell'organismo. Incidentalmente, tale sostanza ha avuto una diffusissima applicazione in industria cosmetica, in quanto viene usata per rinnovare (differenziare) gli strati cutanei, limitando quindi i guasti del tempo. L'acido retinoico ha una storia piuttosto antica e la sua applicazione nel trattamento di forme tumorali era stata suggerita da molti anni, dopo studi condotti in Cina e che si rifacevano a dettami della medicina tradizionale di quel Paese. Gli effetti osservati nel corso di sperimentazioni in vivo condotte in Cina furono accolti con estremo scetticismo dalla medicina occidentale, che anzi per alcuni anni ne osteggiò la pubblicazione dei risultati sulle riviste del settore che fanno opinione e testo. Tuttavia, la determinazione dei gruppi cinesi (assieme a quella di un importante istituto di Parigi) riuscì a farla accettare alle più avanzate istituzioni americane, che addirittura non tardarono ad appropriarsene o almeno a condividere i successi della sua applicazione. Al momento, la terapia differenziativa con acido retinoico è caratterizzata da buoni successi, tanto che la leucemia promielocitica acuta è la forma con la prognosi migliore. Le ricadute che si presentano in alcuni casi, tuttavia vengono trattate con un'accettabile percentuale di sopravvivenza. Un secondo evento che ha influenzato la medicina occidentale è stata la recente introduzione in sperimentazione di un farmaco derivato dall'arsenico. Questo farmaco, il triossido di arsenico, ha una storia esemplare, dovendo la sua riscoperta alla rivoluzione culturale cinese. Il presidente Mao, accanto alle distruttive azioni affidate alle Guardie Rosse, invitò anche un gruppo di medici e ricercatori cinesi a ripercorrere le tappe della medicina tradizionale, allo scopo confessato di dimostrarne la superiorità rispetto a quella occidentale. Dalle iniziali osservazioni di quel gruppo derivò che uno dei composti alla base di molti trattamenti impiegati negli ospedali appartenenti alla catena della Medicina Tradizionale (per inciso, in Cina è possibile scegliere il trattamento tra medicina occidentale e cinese) era proprio l'arsenico. L'arsenico inorganico in opportune preparazioni, somministrazioni e dosaggi è in grado di esercitare una funzione tossica anti-tumorale. Queste osservazioni, pubblicate solo all'interno della Cina, furono fatte proprie da gruppi di ematologi delle università di Shangai e Harbin, che sperimentarono il triossido di arsenico su pazienti APL terminali e in particolare su quella quota di pazienti refrattari ad ogni trattamento. Con sorpresa, trovarono che si poteva indurre una remissione clinica completa nel 95 per cento dei casi. I risultati di questo studio effettuato su una quindicina di pazienti vennero pubblicati su una rivista cinese e successivamente (e solo con fatica) su ««Blood»», una rivista americana molto importante nel campo specifico. Stavolta i più attenti oncologi americani impiegarono molto poco a ripercorrere la strada indicata dalla Cina e nel 1998 un gruppo dello Sloan-Kettering Cancer Center di New York riprodusse esattamente i risultati ottenuti precedentemente in Cina. Non solo riprodussero, ma anche intervennero pesantemente nel processo che porta alla preparazione della sostanza come farmaco, brevettando le applicazioni del triossido di arsenico nel trattamento della APL refrattaria ai farmaci convenzionali. Al momento la situazione è ferma al fatto che il farmaco viene prodotto dalla farmacia dell'ospedale di Harbin, mentre aziende farmaceutiche parigine e newyorkesi ne stanno cominciando la produzione. Come si vede, la terapia più innovativa attualmente presente nell'armamentario degli ematologi-oncologi si basa sull'impiego di farmaci che vengono da una tradizione millenaria: la parte nuova della storia è venuta dalle osservazioni di biologia cellulare e molecolare, le quali hanno identificato le modalità di azione dei farmaci, la loro interazione con recettori intracellulari, che sono parte del complesso bilancio di azioni positive e negative che regolano la vita e la morte delle cellule. I dati più recenti sembrano indicare che i meccanismi di azione del triossido di arsenico siano nettamente diversi da quelle che usa l'acido retinoico, procedendo per vie che portano alla apoptosi (morte cellulare programmata), almeno in selezionati tumori. Infatti, il trattamento con arsenico si è visto non essere una prerogativa di forme leucemiche, ma viene al momento valutato in carcinomi solidi o in altre neoplasie ematologiche, caratterizzate da differenti difetti molecolari. In realtà, l'arsenico non è solo patrimonio della medicina tradizionale cinese ma è anche una vecchia conoscenza della nostra medicina, che dal 1700 aveva già iniziato a usarlo sotto il nome di Soluzione di Fowler per il trattamento delle cosiddette leucosi. Questa soluzione a base di arsenico venne poi soppiantata all'inizio di questo secolo da trattamenti radio - e chemio - terapici moderni. Fabio Malavasi Università di Ancona


SCIENZE DELLA VITA INDIA. NUOVA DELHI La città delle cicogne Arrivano spontaneamente nello zoo
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA
LUOGHI: ITALIA, ASIA, INDIA, NEW DELHI

NORMALMENTE gli animali che vediamo nei giardini zoologici non ci sono venuti di loro spontanea volontà. Alcuni sono nati da genitori già in cattività, ma, risalendo di una o di più generazioni, tutti provengono in definitiva dalla natura, cioè dagli habitat in cui vivono allo stato selvatico le rispettive specie. E da questi habitat naturali, in tempi più o meno lontani, sono stati trasportati nei giardini zoologici dall'uomo. Ecco perché desta grande stupore il caso dello zoo di Nuova Delhi, in India, noto ufficialmente come ««Parco Zoologico Nazionale»», dove invece gli uccelli arrivano spontaneamente a centinaia. Non solo, ma vi si trovano a meraviglia e vi si stabiliscono nell'epoca della riproduzione, nidificando sugli alberi, del tutto incuranti dei numerosi visitatori umani che circolano tra i viali del giardino. Quello di Nuova Delhi è uno zoo ««sui generis»». Si estende per oltre 800 chilometri quadrati, a sudest di una delle città più popolose del mondo, che conta la bellezza di dieci milioni di abitanti. E' dunque letteralmente circondato da una giungla di cemento. Ciò non toglie che rappresenti una meravigliosa oasi di natura ricca di stagni e di alberi che attira irresistibilmente non soltanto cicogne seLvatiche, ma anche altri uccelli che hanno l'abitudine di nidificare in colonie, come aironi, egrette, cormorani, ibis, pellicani ed altri. Ormai per questi uccelli amanti dell'acqua è sempre più difficile trovare non solo in India, ma in tutto il mondo, stagni o laghi naturali adatti alla nidificazione. La maggior parte delle cosiddette zone umide è stata cancellata dalla terra ad opera dell'uomo. Bisogna anche dire che il caso di Nuova Delhi non è l'unico in India. Nei grandi giardini pubblici della città di Bhavnagar, nello stato di Gujarat, sul mare Arabico ad esempio nidificano da molti anni cicogne e altri uccelli. Altrettanto avviene nello stato indiano di Karnataka, dove esiste un paesino chiamato Kokre Bellur, che significa letteralmente villaggio delle cicogne, proprio perché da secoli vi nidificano cicogne pitturate, pellicani grigi e altri uccelli coloniali. L'India è un paese fortemente influenzato dai monsoni. Quando, dopo mesi di siccità, arriva finalmente la pioggia portata dal monsone estivo, tutto il paesaggio si trasforma. Rinverdiscono i prati, si riempiono d'acqua e si popolano di pesci i greti secchi dei fiumi e dei torrenti. Ed è festa grande per tutti gli uccelli che di pesci si cibano. Fra questi mangiatori di pesci vi sono le cicogne pitturate, che durante l'estate, isolate o in piccoli gruppi, setacciano il limo del fondo a caccia di prede. Ma quando in agosto il monsone sta per finire e ci sono pesci in abbondanza, si riuniscono in grosse colonie per accoppiarsi, costruire i nidi e allevare i figli. Esistono diciannove specie di cicogne. Noi abbiamo maggiore familiarità con la cicogna bianca che aveva cancellato dalla sua rotta migratoria il nostro paese, ma che ora sta ricomparendo sia pure sporadicamente. Le cicogne pitturate sono una delle sei specie di cicogne indiane. Imponenti nella loro statura che raggiunge i novanta centimetri, si fanno notare per le tinte particolarmente brillanti. Hanno un piumaggio vivacemente colorato in rosa, bianco e nero che contrasta con l'enorme becco giallo. Lo zoologo Abdul Jamil Urfi ha seguito per cinque anni lo stretto rapporto ecologico che lega le cicogne pitturate al monsone d'estate. I grandi uccelli incominciano ad arrivare allo zoo di Nuova Delhi tra la fine d'agosto e il principio di settembre. Sono maschi scapoli e femmine nubili che si appollaiano sugli alberi più alti e robusti dello zoo, come i Ficus selvatici. Immediatamente i maschi adulti si danno da fare per conquistare un territorio. In una colonia sovraffollata, il territorio non può essere che minuscolo. Si tratta in realtà del piccolo spazio occupato dal nido. Rintracciano spesso il nido costruito l'anno precedente e se è ancora in discrete condizioni si limitano a rinfrescarlo con l'aggiunta di nuovo materiale edilizio, oppure ne fabbricano uno nuovo. Il nido è una semplice piattaforma di rami che raggiunge un diametro di poco inferiore al metro ed è costruito proprio in cima all'albero. In questo modo il grande uccello ha tutto lo spazio per decollare e atterrare più facilmente. E non ha problemi quando durante l'accoppiamento il maschio deve stare in bilico ad ali spalancate in groppa alla femmina per poterla fecondare. Ci aspetteremmo che la cicogna maschio facesse sfoggio delle sue armi di seduzione per attirare la femmina, come avviene nella maggior parte degli uccelli. E invece lo vediamo nettarsi tranquillamente il piumaggio o sistemare i rametti del nido, in operazioni che potremmo definire di ordinaria amministrazione. Ma potrebbe anche darsi che questi atti per noi insignificanti abbiano invece un significato preciso di richiamo nei confronti dell'altro sesso. Il fatto è che fisicamente maschio e femmina si assomigliano come due gocce d'acqua. Capita spesso che un altro maschio cerchi di penetrare in un territorio già occupato. In tal caso il primo occupante reagisce fieramente, cercando di scacciare il rivale a poderosi colpi di becco. Ma non sempre ci riesce. Può succedere anche che l'intruso abbia la meglio e costringa il proprietario del nido a far fagotto e ad andarsene. E quando una femmina si avvicina ad un nido occupato, forse rispondendo a qualche impercettibile segnale di richiamo che a noi sfugge, perfino il maschio può essere tratto in errore e la scambi per un rivale, come dimostra la sua palese ostilità iniziale. Ma poi, basta che lei assuma una posizione particolare di sottomissione, con la testa abbassata, le ali distese, il becco aperto, perché si chiarisca l'equivoco. Allora le nozze si compiono e i due partner si mettono alacremente all'opera per completare il nido e metter su famiglia, in concomitanza con la sovrabbondanza di pesci del periodo postmonsonico. Isabella Lattes Coifmann


SCIENZE A SCUOLA TUTTOSCIENZE Arriva in libreria il 34° volume Con i numeri e l'indice del secondo semestre 1998
ORGANIZZAZIONI: LA STAMPA, TUTTOSCIENZE
LUOGHI: ITALIA

E' appena arrivato il libreria il trentaquattresimo volume di ««Tuttoscienze»», che raccoglie i numeri del secondo semestre del 1998, arricchiti del solito indice per facilitare la consultazione. I 34 volumi pubblicati dal 1982 ad oggi costituiscono una vera e propria enciclopedia dell'attualità scientifica: per questo abbiamo colto l'occasione dell'uscita del nuovo volume per offrire la raccolta intera, o alcuni blocchi delle sue annate, a prezzi speciali, come risulta dal tagliando sottostante. Rispetto alle notizie di politica, di spettacoli, e di cronaca, la notizia scientifica ha una caratteristica tutta sua: la durata nel tempo. E anche quando con il procedere della ricerca un certo risultato sarà superato e magari smentito, non per questo avrà perso del tutto il suo interesse: il sistema tolemaico con la Terra al centro dell'universo è tuttora interessante se non altro per capire la portata della rivoluzione copernicana che lo ha spazzato via. Fatta questa riflessione, l'ultimo semestre di ««Tuttoscienze» » offre spunti stimolanti. Citiamone qualcuno. La scoperta del metano nei ghiacci polari: una risorsa energetica finora insperata, e insieme una minaccia per l'ambiente, perché se questo metano andasse disperso nell'atmosfera produrrebbe un effetto serra destabilizzante per il clima del pianeta. La scoperta di acqua congelata sul satellite di Giove Ganimede. Il problema del 2000 nel sistema informatico mondiale. E ancora: lo studio dell'associazione tra colori e profumi, la pioggia di meteore del 17 novembre, il volo di Glenn, a 77 anni, sullo Shuttle; i problemi sociali ed etici delle biotecnologie; il motore nucleare ideato da Carlo Rubbia; la scoperta di una accelerazione nel moto espansivo dell'universo. Sarà interessante vedere gli sviluppi di tutto questo. Diceva Einstein: ««Non penso mai al futuro: arriva così presto!»».


SCIENZE A SCUOLA TRA PRESSIONE E TEMPERATURA Aria e mercurio per capire i gas
Autore: G_F

ARGOMENTI: FISICA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D.

RIPRENDIAMO la semplicissima apparecchiatura illustrata qui sopra per studiare il comportamento dei gas al variare della pressione. Questa volta sarà invece la temperatura a cambiare da una misura all'altra. Con l'aiuto di un sostegno (fig. 1), termometro e tubicino sono immersi in un bagno d'acqua che viene lentamente scaldato da un fornello elettrico o a gas. Per garantire che la temperatura sia omogenea, agitiamo di frequente l'acqua con una bacchetta. La pressione del campione d'aria intrappolata sotto al mercurio è costante, mentre il volume aumenta di continuo. Riportiamo in una tabella i valori della temperatura e della corrispondente lunghezza del campione. Abbiamo già detto che si possono usare come unità di lunghezza arbitrarie i trattini della scala del termometro affiancato al tubicino: conosceremo così, in tutta semplicità, una grandezza direttamente proporzionale al volume. Facciamo misure all'incirca ogni 5°C di temperatura: sarà abbastanza facile raccogliere dati sperimentali per costruire un grafico con una dozzina di punti. Mettendo la temperatura centigrada in ascisse e la lunghezza in ordinate, vedremo poi che, se abbiamo fatto le cose con cura, una linea retta rappresenta abbastanza bene l'andamento di quei punti, ma non passa per l'origine degli assi (fig. 2). Essa incontra invece l'asse delle ascisse in corrispondenza d'una temperatura negativa estremamente bassa: il valore ottenibile con misure molto precise è -273,15 °C. Se la raggiungesse, il campioncino d'aria non occuperebbe più nessun volume. Sommando 273 gradi a ogni valore sull'asse delle ascisse, possiamo disegnare un grafico nuovo (traslato rispetto al primo) in cui la retta passa per l'origine degli assi (fig. 3). Dunque, a pressione costante, il volume è direttamente proporzionale alla grandezza che sta in ascisse: la famosa temperatura assoluta (T), il cui zero corrisponde a -273,15 °C (zero assoluto) e la cui unità (detta grado Kelvin) è grande quanto un grado centigrado. La formula è V = cost.T. L'aggettivo assoluto vuol esprimere un limite concettuale: a quella temperatura i moti molecolari cesserebbero del tutto e, per dirla con un po' di sensazione, la materia sarebbe come morta. Ripetiamo l'esperimento, ma aggiungendo via via nel tubicino, con una pipetta di Pasteur, esattamente quel tanto di mercurio che basta a mantenere costante la lunghezza del campioncino d'aria, e quindi il suo volume. In questo modo è la pressione a cambiare, e noi possiamo conoscerla momento per momento, sommando alla pressione atmosferica (letta con un barometro) quella idrostatica: tanti torr quanti sono i millimetri del tratto di mercurio. Ricordiamo che quest'ultimo dev'essere continuo, e che 1 atm = 760 torr. Questa serie d'esperimenti è l'unica che presenta qualche difficoltà, superabile se il riscaldamento è abbastanza lento da lasciarci lavorare con calma. Alla fine procediamo a trattare i dati come prima; solo che ora sull'asse delle ascisse c'è la pressione. Per il resto i grafici somigliano molto ai precedenti, e possiamo scrivere che anche la pressione, a volume costante, è direttamente proporzionale alla temperatura assoluta (P = cost.T). Non resta che mettere insieme i pezzi del puzzle, cioè la legge di Boyle, incontrata nell'articolo a fianco (PV = cost), e le due equazioni ricavate come appena detto. Intuitivamente possiamo scrivere l'equazione PV = cost.T, di cui V = cost.T, P = cost.T e PV = cost non sono altro che casi particolari, ricavabili ponendo costante, di volta in volta, rispettivamente P, V e T. Gli esperimenti sono finiti. Con altri un po' più complessi potremmo addirittura specificare il valore della costante che finora abbiamo indicato in modo generico. Potremmo anzi introdurre una quarta variabile: la massa, cioè la quantità d'aria nel campione esaminato. Scegliendo come unità il numero di moli (n, cioè i grammi divisi per la massa molecolare del gas), l'equazione prenderebbe la ben nota forma PV = nRT, dove la costante R è approssimativamente uguale per tutti i gas, almeno in condizioni di temperatura e pressione vicine a quelle ordinarie. \


SCIENZE A SCUOLA LA LEZIONE/FISICA Verificare in casa la legge di Boyle
Autore: FOCHI GIANNI

ARGOMENTI: FISICA
NOMI: BOYLE ROBERT
LUOGHI: ITALIA

PER non vederci spiattellare le equazioni dei gas come aride formule, procuriamoci un termometro con la scala lunga almeno 40 centimetri, un tubicino di vetro (lungo circa 30 centimetri e chiuso a un'estremità; diametro esterno 3 millimetri), un po' di mercurio e un contagocce allungato e sottile (deve entrare nel tubicino e arrivare fino a metà; nel gergo di laboratorio si chiama pipetta di Pasteur). Respirare di continuo, per mesi o anni, vapori di mercurio mette a rischio d'ammalarsi. Stiamo dunque attenti a non far cadere gocce per terra: si suddividirebbero e resterebbero nascoste fra le piastrelle. E' un problema che si presenta quando un termometro clinico finisce sul pavimento. Un'altra avvertenza: sfiliamoci gli anelli dalle dita. Il mercurio infatti attacca quasi tutti i metalli, dando i cosiddetti amalgami: una gocciolina anche microscopica, finendo sull'oro, lo lascia grigio e opaco come il piombo. Col contagocce infiliamo del mercurio nel tubicino tenuto orizzontale: deve formare un tratto continuo, lungo fra i 7 e gli 11 cm, più o meno verso il centro del tubicino stesso. Evitando scosse che potrebbero frazionare il liquido, affianchiamo il tubicino al termometro, fissandolo per mezzo di due elastici. Lasciamo l'insieme sdraiato sul tavolo per almeno un quarto d'ora, in modo che si disperda il calore ceduto dalle nostre mani; d'ora in poi, quando ci sarà bisogno di toccare l'apparecchiatura, lo faremo solo nell'estremità del termometro opposta al bulbo. Così l'aria chiusa nel tubicino dal mercurio avrà davvero la temperatura che è indicata dal termometro. A questo punto non resta che cominciare le misure per mettere in relazione pressione e volume. Converrà compilare una tabella dei risultati, con tre colonne: temperatura (per ora dovrà mantenersi costante), pressione, volume. Visto che il tubicino è orizzontale, la pressione dell'aria al suo interno è uguale a quella atmosferica (letta con un barometro). Quanto al volume, ci limiteremo a registrare la distanza fra l'estremità chiusa e la superficie interna del mercurio: poiché il diametro del tubicino è costante, ciò che dedurremo per la lunghezza potrà essere esteso, per proporzionalità, al volume. Più semplice ancora: leggeremo la lunghezza in unità arbitrarie, pari ciascuna a una divisione nella scala del termometro. Poi mettiamo l'apparecchiatura verticale, con l'apertura in alto. Stavolta alla pressione atmosferica andrà aggiunta quella idrostatica, dovuta al peso del mercurio e pari a tanti torr quanti sono i millimetri del tratto di liquido (1 atm = 760 torr). Registriamo il nuovo valore della pressione e quello (minore di prima) della lunghezza del campione d'aria. Ora capovolgiamo: il campione d'aria s'allunga, perché la pressione cala. Infatti stavolta la pressione idrostatica va sottratta a quella atmosferica: il mercurio tira verso il basso l'aria intrappolata. Mettiamo i nuovi valori nella tabella; poi teniamo il tubicino (con l'apertura una volta in su e una volta in giù) inclinato di 60°, servendoci d'una squadra scalena (figura 1). Col teorema di Pitagora possiamo calcolare l'altezza verticale del tratto di mercurio, ottenendo la pressione idrostatica. In tabella finiranno così due nuove misure, a cui possiamo aggiungerne altre due, inclinando, sempre tramite la squadra (che andrà poggiata sull'altro cateto), l'apparecchiatura a 30°. Dunque sette misure in tutto, e sette punti da sistemare in un grafico, che avrà la pressione in ascisse e la lunghezza (direttamente proporzionale al volume) in ordinate. La linea che riunisce i punti non è retta (è un ramo d'iperbole equilatera); se le misure sono accurate, possiamo però ottenere una retta, che passa per l'origine degli assi (figura 2), dopo aver costruito una tabella nuova, in cui al posto della lunghezza riportiamo il suo inverso. Dunque la pressione è direttamente proporzionale all'inverso della lunghezza (o del volume); ossia, a temperatura costante, pressione e volume d'un gas sono inversamente proporzionali (PV = cost). Ecco ricavata la legge sperimentale formulata intorno al 1660 dall'irlandese Robert Boyle. Conservate l'apparecchiatura: in un prossimo articolo vi diremo il perché. Gianni Fochi Scuola Normale di Pisa


SCAFFALE «Il futuro» De Agostini
AUTORE: P_BI
ARGOMENTI: DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA

CENTO titoli sono un traguardo importante. Li festeggia la collana per ragazzi "In primo piano" con un volume che delinea il futuro scientifico e tecnologico in base alle conoscenze oggi disponibili. Tra gli aspetti trattati: realtà virtuale, trasporti, comprensione dei meccanismi cerebrali, ingegneria gemetica, cibi transgenici, organi di ricambio, macchine pensanti, nanotecnologie, robot di nuova generazione. Come disse un fisico famoso, ««fare previsioni è sempre difficile, specialmente sul futuro»». I giovani lettori avranno modo di verificare che cosa si realizzerà. La collana "In primo piano", creata dalla inglese Kindersley, è diffusa in 88 Paesi, è pubblicata da 55 editori e tradotta in 39 lingue. ««Il futuro»», De Agostini, 60 pagine, 29.500 lire


SCAFFALE Riccardo Chiaberge: «Navigatori del sapere». Raffello Cortina
AUTORE: P_BI
ARGOMENTI: DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA

Dieci protagonisti della cultura del nostro tempo, interrogati da Riccardo Chiaberge, cercano di delineare il futuro. Sono il discusso etologo della sociobiologia Edward Wilson, il direttore di ««Wired»» Kevin Kelly, i fisici Gerald Holton, Murray Gell-Mann, Arno Penzias, l'economista Amartya Sen, l'architetto Renzo Piano, il sociologo Dahrendorf, il filosofo Umberto Eco e l'ex direttore di ««Nature»» John Maddox.


SCAFFALE Jerry Linenger: «Lettere a mio figlio dallo spazio», Longanesi
AUTORE: P_BI
ARGOMENTI: ASTRONOMIA
LUOGHI: ITALIA

Un astronauta americano che ha volato sullo Shuttle e ha trascorso cento giorni sulla Mir, la stazione spaziale russa, scrive al suo bambino raccontandogli la vita e il lavoro in orbita, con un pensiero rivolto alle future attività dell'uomo nello spazio. Prefazione di Margherita Hack.


IN BREVE Terzo millennio: quando inizia
ARGOMENTI: METROLOGIA
LUOGHI: ITALIA

Molti lettori domandano quando inizierà realmente il terzo millennio: il 1° gennaio 2000 o a mezzanotte del 31 dicembre 2000? La risposta giusta è la seconda. Perché il secondo millennio sia completato, occorre attendere lo scadere del duemillesimo anno. Analogamente, se ho un debito di duemila lire, non lo avrò estinto dopo aver consegnato al creditore 1999 lire, ma solo dopo avergli restituito anche la duemillesima.


IN BREVE Numeri a: a Roma museo matematico
ARGOMENTI: MATEMATICA
LUOGHI: ITALIA

E' nato a Roma, presso il Dipartimento di matematica dell'Università, il primo museo matematico italiano. In mostra curiose ««macchine matematiche»» sotto il titolo ««I racconti di Numeria»». Tel.: 06-583.310.22.


IN BREVE A Viserba luna park della scienza
ARGOMENTI: DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA

A Viserba, vicino a Rimini, inaugurato un luna park della scienza che aumenta le attrazioni di ««Italia in miniatura»». Il catalogo, edito da Giunti con Editoriale Scienza, presenta esperimenti didattici su gravità, equilibrio, energia, pressione atmosferica, calore, elettricità . Tel.: 0541-734.406.


IN BREVE Per giocare all'astronomo
ARGOMENTI: ASTRONOMIA
LUOGHI: ITALIA

Ricordiamo agli studenti delle scuole superiori che il 15 maggio scade il tempo utile per inviare a ««Tuttoscienze»» la prova scritta per concorrere a uno stage di astronomia gratuito presso l'Osservatorio di Torino. Informazioni: 011-810.1925.


IN BREVE Didimo nell'Agenda dei poeti 1999
ARGOMENTI: DIDATTICA
NOMI: DIDIMO
LUOGHI: ITALIA

I lettori ricorderanno Didimo, per 40 anni collaboratore scientifico del giornale. Il suo vero nome era Rinaldo De Benedetti. Da qualche tempo ci ha lasciati. Vive però la sua opera. ««L'albero»», una lirica di Didimo, è stata inserita nell'Agenda dei Poeti 1999. La premiazione alla memoria il 16 maggio al Teatro Verga di Milano.




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