TUTTOSCIENZE 3 marzo 99


Centrali russe, spada di Damocle Il vero pericolo costituito dai reattori ex sovietici
Autore: REGGE TULLIO

ARGOMENTI: FISICA, ENERGIA, NUCLEARI
NOMI: JABLOKOV ALEXEJ, ZAFESOVA ANNA
LUOGHI: ITALIA, CSI, EUROPA, MOSCA, RUSSIA

CIRCOLA da tempo una barzelletta russa in cui un ministro chiede a un ufficiale della Marina come si fa a distinguere l'equipaggio di un sottomarino da quello di una nave di superficie. La risposta è: ««Semplice: al buio i marinai del sottomarino sono fosforescenti»». Circolano in effetti voci preoccupanti sulla manuntenzione non solo dei sottomarini nucleari ma anche su quella di tutti gli impianti nucleari ex sovietici. L'articolo di Anna Zafesova sulla ««Stampa»» del 16 febbraio riporta la denuncia dello scienziato russo Alexej Jablokov che conferma questi timori. Il pericolo è reale. Anni fa, verso la fine del mio mandato al parlamento europeo, fui invitato a un incontro in un castello di Bruxelles con esponenti della Framatome, l'azienda francese specializzata in campo nucleare. In quella occasione il messaggio fu chiaro: occorreva intervenire sull'allora governo sovietico per migliorare la tenuta di tutti gli impianti nucleari dell'Europa orientale. I reattori Vvvr, di tipo più moderno e più sicuri, potevano essere in parte recuperati ma quelli della serie Rbmk, per intenderci quella di Cernobil, dovevano essere smantellati. Lo stato di quelli militari era disastroso, un gruppo di esperti francesi in visita avvistò abbandonata sul pavimento una barra di controllo fortemente radioattiva e fatto un breve calcolo mentale si dette alla fuga. Le scorie venivano vuotate in un lago, se ben ricordo quello di Krasnojarsk negli Urali, direttamente dai cassonetti di un camion senza misure di sicurezza per gli autisti. Secondo voci di allora chi si avventurava sulle sponde del lago riceveva la dose mortale di radiazione in meno di un'ora. Tutte queste informazioni mi sono venute da esperti francesi certo non prevenuti contro il nucleare ma estremamente preoccupati per l'alta pericolosità di questi impianti; nelle parole del presidente del Framatome ««se avviene un altro incidente nucleare nella (allora) Unione Sovietica possiamo porre una croce sul nucleare e chiudere bottega»». Durante il pranzo ebbi come vicino di tavola un ingegnere nucleare francese, profondo conoscitore della situazione sovietica. Espresse dure critiche nei confronti di Adamov, un suo collega russo che avrebbe dichiarato, dopo l'incidente di Cernobil, che i reattori Rbmk erano tra i più sicuri del mondo. Con ogni probabilità si riferiva all'Adamov che è ora ministro russo dell'Energia atomica e che si è finalmente reso conto dei pericoli che essa rappresenta se mal gestita. Quali potrebbero essere le conseguenze di un nuovo incidente nucleare? Gli impianti della Ue sono gestiti con estrema cura e infatti gli incidenti finora registrati si contano sulla punta delle dita e non sono minimamente confrontabili con quello di Cernobil. Tre di questi, altamente pubblicizzati, hanno toccato il reattore autofertilizzante di Albertville, il SuperPhènix. In un caso è crollato in parte il tetto, un contenitore di barre ha registrato perdite di sodio fuso attraverso una crepa nella parete, infine il sodio fuso è stato in parte ossidato da infiltrazioni di ossigeno. Nessuno di questi incidenti ha toccato il nocciolo o i meccanismi di controllo e non ci sono state perdite radioattive. Un nuovo incidente anche meno grave di quello di Cernobil scatenerebbe una ondata di panico collettivo e darebbe una forte spinta verso la chiusura di tutti gli impianti nucleari della Ue, punto fermo di tutti i movimenti ambientalisti. In questo caso si aprirebbero problemi molto gravi di cui non si intravede soluzione. Il 35% dell'energia elettrica della Germania Federale, il 70% di quella francese e il 75% di quella belga sono di origine nucleare. La scomparsa improvvisa del nucleare causerebbe un buco energetico e una crisi sociale e economica di proporzioni paurose. Una percentuale molto alta delle case francesi è riscaldata elettricamente (cosa irrazionale e non priva di rischi): come prima conseguenza milioni di francesi rimasti al freddo ricorrerebbero al gas naturale con impianti di fortuna. Nessuno può valutare gli effetti ambientali di una decisione del genere ma di certo non saranno positivi. Il buco energetico provocherebbe una ondata di disoccupazione nel centro della Ue con gravi ripercussioni anche nel nostro Paese ma non garantirebbe alcuna sicurezza nucleare; il rischio costituito dall'ex Urss rimarrebbe identico. A questi problemi dobbiamo aggiungere quelli sollevati dagli accordi di Kyoto che sarebbero inaspriti dalla chiusura prematura e affrettata del nucleare. Per incanto ma meno poeticamente, con vasto impiego di capitali, sorgerebbero nel cuore dell'Europa oltre 100.000 Megawatt basati sul fossile e generosi produttori di gas serra. Le tecnologie basate sul fotovoltaico promettono molto ma di certo non sono ancora mature per un lancio su vasta scala che possa soddisfare la fame energetica della Ue. L'eolico è fuori causa in Italia, Paese notoriamente privo di vento ma anche altrove rimane un fattore marginale. Su tutto grava il collasso del petrolio che ha raggiunto in pratica un minimo storico, durante la crisi di Suez raggiunse i 42 dollari al barile, oggi è sceso a 10 dollari, in pratica circa la decima parte di allora tenendo conto della svalutazione. Il fossile a buon prezzo è droga maledetta che fa bene ai bilanci ma taglia ogni incentivo non solamente verso il nucleare ma peggio ancora verso la razionalizzazione dell'energia: nessuno investe in impianti di alta efficienza se poi il risparmio è minimo. Purtroppo la carbon tax non viene reinvestita in opere di ristrutturazione energetica, il piano governativo è estremamente carente su questo punto. Speriamo che almeno Adamov si renda conto dei pericoli che ci minacciano e intervenga prima che sia troppo tardi. Purtroppo non sono superstizioso e non tocco ferro. Tullio Regge Politecnico di Torino


STUDIO ISRAELIANO L'eredità di Cernobil Scoperti danni genetici nei nati dopo l'incidente
Autore: BOZZI MARIA LUISA

ARGOMENTI: GENETICA, FISICA, INCIDENTI, NUCLEARI
NOMI: NEVO EVIATAR
LUOGHI: ITALIA, CERNOBIL, CSI, EUROPA, UCRAINA

IL 26 aprile 1986 nella centrale nucleare di Cernobil una procedura errata portò a un'esplosione che distrusse il reattore 4 e parte del suo edificio. Con la liberazione di una radiazione pari a 150 milioni di curie, cento volte superiore a quella prodotta dalle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki, iniziò il più grave disastro ambientale del nostro secolo. Ancora oggi milioni di persone di Ucraina, Bielorussia e Russia vivono in zone contaminate, anche se a livelli di radiazione considerati di bassa intensità. Come conseguenza a lungo termine, i catastrofisti previdero 100 mila casi di cancro, mentre gli ottimisti parlarono di danni trascurabili. Un divario di opinioni, non confermato dai fatti in entrambi i casi, dovuto agli scarsi dati in nostro possesso sugli effetti a lungo termine dell'esposizione alle radiazioni. Ora però si scopre in alcuni bambini la comparsa di mutazioni genetiche che non esistono nel patrimonio genetico dei genitori nè dei fratelli maggiori nati prima dell'incidente di Cernobil, nè di loro coetanei di regioni non contaminate. Questi bambini appartengono a famiglie dove uno dei genitori è stato esposto a un alto livello di radiazione durante gli interventi sulla centrale subito dopo l'incidente. E' questo il risultato di una ricerca di scienziati (Hava Weinberg e A. Karol) dell'Institute of Evolution dell'Università di Haifa in Israele diretto da Eviatar Nevo, che si propongono di studiare gli effetti delle radiazioni sui 180 mila profughi emigrati in Israele dalle regioni dell'ex Urss contaminate dall'incidente di Cernobil. Fra questi profughi, 500 fecero parte delle squadre di operai impiegati nei tre mesi successivi al disastro per ripulire gli edifici della centrale dalle scorie radioattive e per la costruzione del sarcofago di cemento intorno al reattore distrutto: per loro l'esposizione alla radiazione è stata molto elevata, tanto che su 400 mila (quanti in totale parteciparono a queste operazioni) migliaia si ammalarono, manifestando, oltre ad un elevato numero di casi di leucemia e di cancro, una sindrome nota come Cernobil Aids, che si manifesta con una notevole depressione del sistema immunitario. Si tratta comunque di malattie dovute all'alterazione del Dna di cellule somatiche, di cellule cioè non interessate nella riproduzione. Quindi il danno prodotto dalla radiazione non viene trasmesso alla discendenza. Ora invece le mutazioni presenti nel Dna dei figli di alcuni di essi sembrano indicare che l'esposizione alla radiazione ha danneggiato il materiale genetico anche delle cellule riproduttive e che l'alterazione può essere trasmessa alle generazioni successive. Lo studio, ancora in fase iniziale, è stato fatto su 13 famiglie composte dai due genitori (uno coinvolto nelle operazioni ad alto rischio radioattivo nella centrale), due figli (uno nato prima dell'incidente e uno dopo) o un solo figlio (nato dopo l'incidente). Isolato dai globuli bianchi del sangue, il Dna di tutti questi individui è stato spezzato in molti frammenti che, amplificati mediante la tecnica della Pcr (Polymerase Chain Reaction), sono stati resi visibili come caratteristiche bande colorate, le quali corrispondono a determinate e ben note informazioni genetiche. Con questa tecnica la complicata molecola di Dna è stata analizzata in 3270 punti. Il Dna dei bambini nati in queste famiglie dopo l'incidente di Cernobil presenta un numero significativo di nuove bande che non esistono nel Dna estratto dal sangue dei loro genitori, nè in quello dei loro fratelli maggiori. Le nuove bande non compaiono neppure nelle tre famiglie di struttura analoga (con due figli separati dalla data fatidica dell'incidente di Cernobil) provenienti da zone dell'Ucraina non contaminate, che sono servite come pietra di paragone. Il fatto che le mutazioni esistano soltanto nei bambini nati dopo l'incidente di Cernobil e che siano assenti nei loro fratelli maggiori, fa escludere che siano avvenute in questi bambini perché hanno vissuto per un certo tempo in un ambiente contaminato. Se così fosse dovrebbero essere presenti anche nel Dna dei fratelli maggiori e dei genitori, che sono stati esposti per un tempo più lungo. Si deve presumere quindi che l'alterazione sia stata ereditata, perché era presente nel materiale genetico delle cellule sessuali dei genitori. L'ipotesi sarebbe avvalorata dal fatto che le nuove mutazioni compaiono anche nel Dna dei bambini di queste famiglie nati in terra d'Israele, quindi in zone non contaminate. La conclusione più immediata è che l'alterazione genetica sia avvenuta nelle cellule germinali (le cellule che danno origine alle cellule sessuali) dei genitori esposti ad alti livelli di radiazione nei giorni immediatamente successivi all'incidente. Però il valore della quantità di radiazione che incrementa la comparsa di nuove mutazioni non è noto, per cui non è da escludere che l'alterazione genetica nelle cellule germinali dei genitori sia dovuta invece a una lunga esposizione al basso tasso di radioattività dell'ambiente contaminato dall'incidente di Cernobil. Le indagini in corso indicheranno l'ipotesi più probabile. Maria Luisa Bozzi


Gli strabici pentiti dell'atomo
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: FISICA, ENERGIA, NUCLEARI
NOMI: REGGE TULLIO
LUOGHI: ITALIA

DA un anno in qua in Europa si susseguono annunci di uscita dal nucleare. Ha incominciato la Svezia. Poi è stata la volta della Germania. La Svizzera si è accodata. Persino in Francia, dove l'energia nucleare è alla base dello sviluppo del Paese, è in corso una riflessione. L'Italia, come sempre, sta comoda a guardare: all'atomo abbiamo detto no con un referendum, ma intanto abbiamo sempre importato circa il 15 per cento dell'elettricità di cui abbiamo bisogno da Paesi nucleari, soprattutto dalla Francia e dalla Svizzera. Per la verità, concretamente, non si tratta di una vera uscita europea dal nucleare ma di semplici dichiarazioni di intenti. Le centrali intanto funzionano, nè potrebbe essere diversamente, dato che in questi Paesi (forse) pentiti la fissione dell'atomo fornisce dal 30 all'80 per cento dell'energia elettrica. E' vero però che si manifesta l'orientamento a non mettere in cantiere nuove centrali. Così quelle attuali finiranno di morte naturale: con un ciclo produttivo di circa trent'anni, si può immaginare che tra il 2020 e il 2030 l'Europa potrebbe avere un panorama energetico molto diverso da quello attuale. E' probabile, tuttavia, che nel frattempo si affermeranno nuove tecnologie intrinsecamente sicure, che risolveranno in modo soddisfacente anche il problema dei rifiuti radioattivi, e quindi decollerà un nucleare di seconda generazione, unica cura radicale contro l'eccesso di emissioni di anidride carbonica e affini. L'attuale ripensamento nucleare di Svezia, Germania e Svizzera ha l'effetto non voluto di far passare il messaggio che il nucleare di questi Paesi è poco sicuro. Non solo ciò non è vero, ma distrae dal fatto che il vero pericolo è nei reattori russi, che oltre tutto, spesso, mancano di un edificio di contenimento. Per non parlare degli impianti di origine militare in terraferma e a bordo di sommergibili, praticamente abbandonati a se stessi per mancanza di fondi. Come scrive Tullio Regge, l'Europa dovrebbe quindi piuttosto preoccuparsi della scomoda eredità sovietica, e trovare il modo di finanziare la chiusura del nucleare russo, prima di liquidare il proprio. A ricordarci dove sta il vero pericolo è lo studio condotto in Israele qui riferito da Maria Luisa Bozzi: ne risulta che la popolazione più gravemente esposta alle radiazioni di Cernobil trasmette ai figli mutazioni genetiche. E' la prima volta che si osserva una conseguenza così inquietante: non è successo neppure a Hiroshima e Nagasaki. Se lo studio israeliano sarà confermato, avremo un motivo di più per guardare a Mosca con paura. Piero Bianucci


SCIENZE FISICHE CARTONI ANIMATI Vita da formiche (ma a Hollywood)
Autore: VALERIO GIOVANNI

ARGOMENTI: INFORMATICA, ELETTRONICA, CINEMA, FILM
NOMI: LASSETER JOHN, NURIDSANY CLAUDE, PERENNOU MARIE
ORGANIZZAZIONI: PIXAR, WALT DISNEY PRODUCTION
LUOGHI: ITALIA, AMERICA, CALIFORNIA, LOS ANGELES, USA

UNO e zero. Circuito aperto o chiuso. Il computer non conosce vie di mezzo. Ed è bravissimo a ricreare elementi geometrici perfetti: poligoni, sfere, cerchi. Ma, si sa, la perfezione non è di questo mondo. In natura non esistono bianchi o neri, ma luci e ombre. E infinite sfumature di grigio. Gli insetti hanno ali trasparenti e corpi opachi, le foglie d'erba sono traslucide, le goccioline di pioggia creano strani riflessi. E formiche, bruchi e cavallette hanno forme tutt'altro che geometriche. Per questi motivi ««A Bug's Life»», il film di animazione che mostra il mondo degli insetti (in questi giorni nelle sale), ha rappresentato una bella sfida per il computer. I programmatori sono riusciti a creare effetti speciali ««naturali»», riproducendo luci, nebbia, pioggia, fuoco e fulmini, in modo molto realistico, come mai era accaduto prima. Il vero capolavoro del film sono le gocce d'acqua: cadono sulla sabbia, si posano sull'erba, riflettono la luce in modo assolutamente naturale. Merito di uno speciale software di simulazione, che parte dalle leggi della fluidodinamica, da studi sulle tensioni superficiali e dalle reazioni dell'acqua a contatto con altri elementi. Insomma, la fisica e la chimica al servizio degli effetti speciali. Durante la realizzazione di ««A Bug's Life»», la scienza era di casa agli studi della Pixar, la casa di produzione del film. Tutti, disegnatori, programmatori e tecnici dell'animazione, sono diventati entomologi dilettanti. Il modello del film è stato il documentario francese ««Microcosmos»», del 1996, costato quindici anni di studi e tre di riprese ai ricercatori Claude Nuridsany e Marie Perennou. In collaborazione con studiosi della Berkeley University sono state effettuate ricerche su anatomia, moto e comportamento degli insetti. Una mantide religiosa è stata portata in studio e ripresa con una telecamera: le immagini sono servite per studiarne il movimento, proprio come fanno i veri entomologi. Peccato che molte di queste ricerche si siano perse per strada. Per soddisfare il pubblico più giovane, gli insetti di ««A Bug's Life»» sono stati antropomorfizzati alla Disney: Ad esempio, le formiche sono state umanizzate con due braccia e due gambe, invece delle consuete sei zampe. Il realismo è invece molto accurato nelle scene dell'ambiente naturale. Il film è tutto girato ad altezza insetto, come se fosse davvero osservato da formiche e cavallette, con fili d'erba grossi come alberi, gocce di rugiada come piscine. Per entrare nel microcosmo dei protagonisti, il regista John Lasseter ha costruito la Bugcam, una piccola telecamera capace di muoversi tra erba e foglie a pochi centimetri dal suolo: spesso l'ispirazione per il film è venuta proprio dal giardino di casa. Giovanni Valerio


SCIENZE FISCHE IL MILIA DI CANNES Gli indirizzi giusti per creare Cd-rom
Autore: PASTERIS VITTORIO

ARGOMENTI: INFORMATICA, ELETTRONICA
ORGANIZZAZIONI: PHILIPS, SYGMA
LUOGHI: ITALIA, CANNES, EUROPA, FRANCIA

AVETE una buona idea per un prodotto multimediale ma pensate di non essere capaci di realizzarla praticamente? Desiderate diventare imprenditori multimediali ma non sapete a chi rivolgervi per acquistare i materiali digitali per produrre il vostro Cd-rom? Nessun problema. Esiste un mercato sempre più vasto di aziende in grado di offrirvi dei prodotti intermedi (cioè i loro diritti d'uso) che poi voi imprenditori multimediali assemblerete. Il recente Milia di Cannes, in Europa la più importante fiera del settore, oltre a consacrare il Dvd come prossimo successore del Cd-rom, ha presentato un'offerta vastissima. Qualche dato sul Dvd: nel 1998 secondo Philips sono stati venduti in Europa 200 mila lettori, mentre negli Stati Uniti secondo Toshiba se ne sono venduti 800 mila. Il mercato dei software ha visto una vendita per l'Europa di circa 4 milioni di titoli. Per ora si tratta prevalentemente di film (il 90%), ma stanno crescendo anche le applicazioni per bambini, musicali e d'intrattenimento. Tornando alla produzione di multimediali, diciamo subito che non si può improvvisare. Bisogna definire il contenuto, articolarlo con precisione nelle sue suddivisioni logiche e visive, pianificare la produzione. Ma dopo che avete scelto contenuto e la sceneggiatura dovete disporre anche degli apporti multimediali. Ecco qualche consiglio per trovare il giusto fornitore. Se avete bisogno di un grafico in grado di ricostruirvi a video atmosfere fantasy alla Hobbit di Tolkien o una ambientazione alla Guerre Stellari di George Lucas e non sapete come fare potete rivolgervi alla francese Flober (www.flober.com), azienda di dimensioni artigianali ma molto agguerrrita, in grado di fornire ottimi semilavorati multimediali. Se vi servono musiche da usare come colonna sonora del vostro lavoro potete contattare la londinese Zomba production www.zpm.co.uk che ha un catalogo con centinaia di tracce musicali dalla disco alla new age, al jazz d'ambiente. Il tutto ovviamente scaricabile a pagamento da un sito Internet. L'offerta più florida è quella delle immagini necessarie per arricchire qualsiasi prodotto. Caposcuola di settore è stata la Corbis www. corbisimage.com. La società di Seattle, in cui è coinvolto anche un certo Bill Gates, ha annunciato per il 1998 una crescita di fatturato del 200% rispetto all'anno precedente. Il suo archivio è oggi di circa 2 milioni e mezzo di immagini, più della metà consultabili attraverso Internet. Per comprarle potete selezionarle dal sito Internet, pagarle on-line e poi scaricare la versione ad alta definizione indispensabile per il lavoro professionale. Un altro canale di vendita scelto dai californiani è il Cd-rom. Il catalogo di Corbis contiene decine di Cd pieni di immagini per ambientare situazioni dedicate al business piuttosto che alla natura o allo sport o ai viaggi. Esistono poi agenzie specializzate nell'offerta di immagini in specifici settori. La parigina Sygma www.sygma.fr vende attraverso la rete fotografie di cronaca relative agli anni successivi al 1992 offrendo un catalogo di 650 mila immagini in linea. L'inglese Empics www.empics.co.uk si occupa solamente di fotografie sportive e dispone di uno sterminato database di immagini di calcio e in generale di tutti gli sport più diffusi nei paesi anglosassoni. Se le immagini bidimensionali non vi soddisfano, potete direttamente comprarvi dei modelli tridimensionali che poi potrete inserire nel vostro software di modellazione solida. La prima azienda che 10 anni fa ha intuito le prospettive di questo mercato è stata la Viewpoint www.viewpoint. com che offre modelli tridimensionali nei formati più diffusi. I più di 12 mila modelli disponibili coprono tutti i campi: dalle riproduzioni dei protagonisti dei film più in voga alle mappe delle città, fino a ricostruzioni anatomiche dettagliatissime. L'unico problema è di disporre nella propria azienda di un buon esperto finanziario: il listino prevede una spesa di 995 dollari per l'acquisto minimo di 3 modelli. Vittorio Pasteris


SCIENZE FISICHE CLIMATOLOGIA Il Nino vince sui computer Il fenomeno è caotico e imprevedibile
Autore: CERU' MARTA

ARGOMENTI: METEOROLOGIA
NOMI: CANE MARK, ZEBIAK STEPHEN
ORGANIZZAZIONI: INTERNATIONAL RESEARCH INSTITUTE
LUOGHI: ITALIA

OGGI gli scienziati si rivolgono ai supercalcolatori per simulare il comportamento dell'atmosfera e fare previsioni. Ma quanto sono predicibili i fenomeni che non rientrano nelle normali altalene stagionali? E' possibile studiare con questi modelli un fenomeno dalle conseguenze devastanti come il Nino? E se si potesse prevedere questo periodico riscaldamento delle acque del Pacifico equatoriale, che ha impatto sul clima globale, sull'agricoltura, sulla salute, sull'economia, come informare i governi e le popolazioni delle zone interessate? Sono le domande che si pongono gli scienziati dell'International Research Institute per le previsioni climatiche, organizzazione che nasce da un accordo tra la National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa), l'Istituto di Oceanografia dell'Università della California e il Lamont-Doherty Earth Observatory, un centro di ricerche di geofisica della Columbia University, situato a pochi chilometri da Manhattan. Qui Mark A. Cane e Stephen E. Zebiak hanno elaborato nel 1986 uno dei migliori modelli per studiare il Nino. Con le loro simulazioni hanno previsto con successo l'avvento del fenomeno climatico nel 1987 e, nel 1991-92, hanno anticipato le ripercussioni che l'anomalo riscaldamento delle acque del Pacifico avrebbe avuto nei territori del Sud Africa, dove infatti si ebbe un periodo di siccità terribile per circa 100 milioni di persone. Ma il modello ha fallito, come tanti altri, nel prevedere una delle più devastanti apparizioni del Nino: quella del 1997-98. I due successi sono stati utili per provvedere aiuti su larga scala sia da parte dei governi locali che da parte degli organismi internazionali. ««Ma con l'ultimo Nino il modello ha fallito, prevedendo l'assenza del fenomeno»», spiega Cane, dalla Columbia University. ««La necessità di capire il motivo ci ha portato a interrogarci sulla reale predicibilità del Nino. Così ora il nostro livello di confusione è più alto di prima!»» Lo studio del Nino iniziò negli Anni 20, quando Gilbert Walker, che si trovava in India per studiare i monsoni, cominciò a interessarsene. Dati sperimentali mostravano una strana corrispondenza tra i valori della pressione misurati a Est ed Ovest nel Pacifico del Sud: a un innalzamento della pressione ad Est, corrispondeva un abbassamento a Ovest, con conseguenti venti da Est sulla superficie dell'Oceano; viceversa un'inversione del fenomeno indeboliva i venti. Walker chiamò il fenomeno Southern Oscillation e ipotizzò che i venti deboli sul Pacifico tropicale avessero una ripercussione globale causando siccità in Australia, Indonesia, India e Africa, inverni stranamente caldi in Canada, e in ultimo anomalie dei monsoni. Queste conclusioni non furono considerate valide dagli scienziati fino a che negli Anni 60 il fisico norvegese Jacob Bjerknes aggiunse un altro pezzo al mosaico trovando una connessione tra l'indebolimento dei venti da Est sul Pacifico e il riscaldamento delle acque dell'Oceano che da tempo i pescatori delle coste dell'Ecuador e del Perù avevano chiamato Nino. La conclusione fu che le calde acque portate dal Nino e le Southern Oscillation sono parte dello stesso fenomeno, chiamato oggi Enso. Quando i venti da Est sul Pacifico equatoriale si abbassano per questa inversione delle pressioni, si verifica il riscaldamento delle acque che causa ripercussioni sul clima locale e globale e sulla presenza di sostanze nutritive nelle acque marine. Se l'idea di prevedere le condizioni che facevano passare da una situazione normale all'apparizione del Nino era ancora un punto oscuro per Bjerknes e per i suoi metodi di calcolo, con l'evoluzione dei calcolatori e i moderni modelli di simulazione dell'atmosfera si sono ottenuti alcuni risultati. La ricerca di Cane ha sfruttato le idee di Walker e Bjerknes per ideare un modello dinamico del Pacifico tropicale. Le sue equazioni riescono a simulare, date le opportune condizioni iniziali, come si genera il Nino. L'aspetto cruciale di questo e di altri modelli è legato proprio ai dati iniziali. Quando il sistema è caotico, come nel caso del Pacifico equatoriale e dei venti che agiscono sulla superficie delle acque o sulle temperature marine, anche una piccola differenza nelle condizioni iniziali può portare a previsioni completamente diverse e discordanti in un grande intervallo di tempo. La mancata previsione del Nino del '97 può essere dovuta a come sono stati inseriti i dati che corrispondono allo stato iniziale, soprattutto quelli sui venti. Quanto incide l'incertezza delle misure di temperatura delle acque che vengono fatte posizionando boe-termometro ancorate sul fondo del mare, o quella della rilevazione della pressione dell'aria, o ancora dell'analisi dei venti? ««Stiamo cercando la risposta migliorando l'efficacia del modello»», dice Cane. Ma resta il dubbio che ci siano limiti teorici oggettivi per questo tipo di previsioni. Il Nino potrebbe essere un fenomeno troppo complesso perché si possano anticipare le sue apparizioni. Un po' come per le previsioni del tempo, che non sono possibili oltre i 15 giorni: l'atmosfera è un sistema talmente caotico che dopo due settimane ««dimentica»» le condizioni iniziali e non ha senso continuare a fare previsioni partendo da quei dati. Marta Cerù


SCIENZE FISICHE ASTROFISICA Primi indizi della materia oscura Sembra che costituisca il 90 per cento della massa dell'universo
Autore: BOTTINO ALESSANDRO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, FISICA
NOMI: BERNABEI RITA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. La nostra galassia. D. La struttura dell'universo

I mezzi di osservazione astronomica sia da terra sia da satelliti ci consentono di ricavare immagini affascinanti di oggetti astrofisici di svariatissimi tipi, dalle singole stelle alle galassie, agli ammassi di galassie. Tutta questa informazione si ricava dalla radiazione elettromagnetica emessa dalle sorgenti sotto osservazione. Capita però sempre più spesso di sentir parlare di molta altra materia, oltre a quella osservata astronomicamente, che impregnerebbe l'universo. Questa materia, che non sarebbe in grado di emettere radiazione se non in modo estremamente ridotto, è chiamata ««materia oscura»». Quali sono gli argomenti che inducono la maggioranza dei fisici a ipotizzare l'esistenza di questa materia oscura? Sono almeno due, e di origine molto diversa. Il primo motivo è legato alle proprietà dinamiche della materia visibile. Ossia gli oggetti astrofisici che noi osserviamo (stelle nella nostra galassia, così come galassie in ammassi galattici) si muovono come se i campi gravitazionali in cui questi oggetti sono immersi fossero molto diversi da quelli generati soltanto dalla materia visibile. Per una completa comprensione dei fenomeni osservabili nel nostro universo, in base alle leggi fisiche note, occorre ipotizzare che la maggior parte (circa il 90%) della massa dell'universo stesso, sia sotto forma di materia non visibile. Una seconda ragione per una tale congettura è dovuta ai modelli comunemente adottati per descrivere l'evoluzione del nostro universo dal plasma iniziale del Big Bang alle attuali strutture cosmologiche. Tipicamente questi modelli, che consistono in elaborate simulazioni matematiche eseguite su potenti calcolatori, mostrano che un universo come il nostro deve essere costituito in larghissima parte da particelle con caratteristiche molto diverse da quelle che costituiscono la materia ordinaria (come sarebbero, per esempio, i protoni e i neutroni che sono i costituenti dei nuclei atomici). Queste particelle, che nel gergo dei fisici, vanno sotto il nome di Wimp, devono essere alquanto pesanti (molto più pesanti, per esempio, dei protoni) e dotate di interazioni molto più deboli di quelle elettromagnetiche. I migliori risultati dei calcoli di simulazione delle strutture cosmologiche si ottengono ipotizzando che la materia del nostro universo sia costituita prevalentemente da Wimp e in misura molto ridotta da particelle leggere (neutrini?) e da materia ordinaria. Se questa è la situazione reale, dobbiamo immaginare che la nostra galassia, costituita per la parte visibile dal caratteristico disco con bracci a spirale e da una zona centrale (bulbo), sia completamente avvolta in un gigantesco alone formato essenzialmente da particelle Wimp. E allora il nostro sistema solare, che si muove con una velocità di circa 230 kilometri al secondo rispetto al sistema galattico, dovrebbe essere costantemente investito da un ««vento»» di Wimp. La Terra poi, che ruota a sua volta attorno al Sole, sarebbe attraversata da questo flusso di particelle in misura maggiore a giugno, quando la sua velocità di rotazione si somma a quella del sistema solare rispetto alla galassia, e in misura minore in dicembre, quando le due velocità si sottraggono. Gli esperimenti per misurare direttamente questi flussi di Wimp sono estremamente difficili da eseguire, perché la materia è pressoché trasparente alle particelle Wimp e quindi la probabilità che la Wimp dia luogo ad un fenomeno misurabile in laboratorio è molto bassa. Ciò comporta che gli apparati sperimentali siano ben schermati dalla radiazione cosmica ordinaria, quindi sotto terra, e in situazioni ambientali di bassissima radioattività. L'esperimento pilota in questo settore è quello condotto dalla collaborazione Dama, diretta da Rita Bernabei dell'Università di Roma, Tor Vergata; l'apparecchiatura sperimentale è situata nei Laboratori del Gran Sasso dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. Le misure raccolte dalla collaborazione Dama in questi ultimi anni hanno condotto a una prima possibile indicazione di un effetto dovuto a Wimp. Naturalmente la massima cautela è di rigore, perché il fenomeno deve essere rimisurato su più cicli annuali (oltre ai due già attualmente analizzati), per aumentare la significatività statistica delle misure. Va però sottolineato che questi risultati, se confermati da successive acquisizioni di dati, rappresenterebbero uno dei più significativi avanzamenti nella comprensione della natura della materia oscura. Non solo. Un gruppo di fisici teorici dell'Università di Torino ha mostrato che le Wimp, con le caratteristiche emerse dall'esperimento Dama, sono perfettamente compatibili con le proprietà del cosiddetto neutralino. Questa particella rientra nel quadro delle teorie supersimmetriche, secondo le quali ad ogni particella ordinaria corrisponde un superpartner pesante. Quindi l'esperimento accresce l'interesse per la ricerca di queste particelle con gli acceleratori. Alessandro Bottino Università di Torino


SCIENZE DELLA VITA UNA CAUSA DEI TUMORI Quei subdoli ceppi virali dei papillomi Come distinguere le comuni verruche da lesioni maligne
Autore: VOGLINO GIANFRANCO

ARGOMENTI: MEDICINA FISIOLOGIA, GENETICA
ORGANIZZAZIONI: OSPEDALE SANT' ANNA
LUOGHI: ITALIA, ITALIA, TO, TORINO

IL virus del papilloma umano, noto con la sigla Hpv, è l'agente responsabile delle comuni verruche. E' un virus diffuso ovunque e si presenta sotto forma di numerosi ceppi (più di 80), alcuni dei quali infettano solo l'uomo, altri solo gli animali. A partire dalla fine degli Anni 70 un gruppo di ricercatori norvegesi ipotizzò la stretta relazione tra alcune forme di anomalie cellulari dell'epitelio della cervice uterina e l'infezione da Hpv. Con il passare degli anni l'ipotesi si è consolidata: oggi si può affermare come la quasi totalità delle anomalie cellulari riscontrate tramite pap-test sono da attribuire ad infezione da Hpv. Questo fatto può apparire frustrante trattandosi di un virus che si trasmette di preferenza tramite rapporto sessuale. In realtà non è così. Bisogna innanzi tutto distinguere tra ceppi virali innocui, a basso rischio, che possono favorire le semplici verruche, e quelli che possono indurre l'evoluzione di una lesione meno benigna. I primi, responsabili della maggiore quantità delle infezioni, sono estremamente vulnerabili nei confronti delle difese immunitarie per cui vengono attaccati e uccisi lasciandoci in eredità la ««casa»» che si sono costruiti (la verruca). Il secondo gruppo comprende ceppi virali un po' più subdoli i quali, non amando costruirsi la ««casa»», preferiscono agire a livello della singola cellula in cui si introducono. In che modo? Non possedendo il virus mezzi propri per riprodursi, si attiva in modo che la cellula infettata glieli fornisca. E come? Deregolando il ciclo cellulare, alterando cioè il metabolismo fisiologico della cellula; in parole semplici essi obbligano, con un meccanismo di tipo molecolare, la proliferazione continua della cellula stessa. Anche se il termine non è esatto, essi possono essere considerati dei parassiti cellulari. A questo punto la cellula in oggetto, dividendosi senza controllo, può essere soggetta ad una proliferazione anarchica e se interviene un grave danno dovuto a fattori ambientali deleteri ed indipendenti dall'infezione virale come radiazioni, agenti chimici ed altro, essa può andare incontro a trasformazione maligna. Ciò significa che una cellula infettata con il più cattivo ceppo Hpv se posta sotto una campana di vetro, ossia a riparo da ogni condizione ambientale sfavorevole, non evolverà mai in cellula maligna. In realtà questa condizione è un'utopia. Passiamo ora al pratico. Se la quasi totalità delle lesioni riscontrate con il pap-test sono Hpv dipendenti, si tratta di valutare se questi virus siano del tipo verruca o appartengano a ceppi che possono sregolare la cellula (salvo rari casi, il pap-test evidenzia la presenza virale ma non riesce a distinguere tra ceppi a basso od alto rischio). L'incidenza delle lesioni virali diagnosticate citologicamente è circa il 5 per mille delle quali il 70% è di tipo ««verrucoso»» ed il rimanente 30% a possibile progressione. Quante di queste ultime pazienti se non curate possono avere un'evoluzione neoplastica della lesione? I dati a questo riguardo parlano di un 60% di donne così distribuite: meno del 5% sono pazienti giovani (età compresa tra i 20 e i 30 anni) mentre la restante percentuale riguarda donne di età superiore ai 35-40 anni. Riferendosi ai dati iniziali relativi ai pap-test le donne da controllare in maniera mirata sarebbero meno dell'1 per mille. Questo fatto spiega già di per se stesso come un sistema immunitario competente (giovane età, dieta equilibrata, ecc.) riesca a debellare il virus. Per quanto riguarda invece le donne ad età più avanzata si sono ipotizzate diverse teorie volte a selezionare, in base all'infezione virale, i fattori di rischio più importanti. Il Laboratorio di patologia molecolare dell'Ospedale Sant'Anna di Torino in collaborazione con il centro di Virologia tumorale di Heidelberg ha recentemente pubblicato sulla rivista The Lancet (vol. 352, n. 9138, 1998) i risultati di uno studio comparando la progressione del virus ad alto rischio, in particolare il ceppo Hpv 16, nella popolazione svedese e italiana. I dati dimostrano come nella popolazione italiana la progressione del virus Hpv 16 avvenga con modalità differenti rispetto alla popolazione svedese. La differenza sembrerebbe dovuta a fattori immunitari legati in gran parte ad antigeni denominati Hla, tipici del patrimonio genetico di ciascun individuo e con frequenze variabili in ciascuna popolazione. Gianfranco Voglino Ospedale Sant'Anna, Torino


SCIENZE DELLA VITA A CHURCHILL IN CANADA Tanti orsi e pochi abitanti Un richiamo turistico ma anche un pericolo
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA
NOMI: ANDRIASHEK DENNIS, LUNN NICK
ORGANIZZAZIONI: WILDLIFE SERVICE
LUOGHI: ITALIA, AMERICA, CANADA, CHURCHILL, MANITOBA

L'ORSO polare (Thalarctos maritimus) è diventato un'attrazione turistica. C'è un servizio di elicotteri che per 900 mila lire all'ora porta i turisti sopra le coste della Baia di Hudson, in Canada, vicino alla cittadina di Churchill. Oppure ci si può servire di speciali convogli, attrezzati di cabine letto e di ristorante, che procedono lentamente sul ghiaccio su ruote gigantesche. Due modi diversi per osservare da terra o dall'aria a bassa quota quei bestioni che gli eschimesi chiamano nanuk. Churchill è ormai battezzata come ««la capitale mondiale dell'orso polare»». Gli orsi vengono ogni estate nell'angolo sudoccidentale della baia, perché qui il ghiaccio, che è il loro habitat naturale, si scioglie più tardi. Dalla fine di luglio ai primi di novembre i bestioni se ne vanno a zonzo per la tundra e lungo la costa, facendo qualche scorrerìa a Churchill prima di ritornarsene sul ghiaccio che si sta riformando. E' una popolazione di circa 1200 individui che supera di gran lunga la popolazione umana della zona, che contava 10.000 anime una ventina d'anni fa e che oggi, con la chiusura di una base militare e di una stazione missilistica, è scesa a circa 600 persone. Le cose sono molto cambiate per il più grande carnivoro terrestre. In passato solo rare spedizioni di esploratori si avventuravano nel suo mondo. Ma da qualche tempo a questa parte l'uomo, spingendosi sempre più a Nord, è riuscito a colonizzare la parte meridionale del suo habitat, fondando insediamenti stabili, come appunto la cittadina di Churchill, che si trova proprio sulla sua rotta migratoria. Fatalmente il contatto uomo-orso è diventato più frequente. Ecco perché, se prima la conoscenza del re dei ghiacci era soltanto un'esigenza scientifica, ora è diventata una necessità. Il passaggio degli orsi avviene nella piccola città da metà ottobre a metà novembre. La gente lo sa e si barrica in casa, mentre uno speciale corpo di guardie spia le mosse dei bestioni. Arrivano affamati. Nei mesi estivi sembra abbiano vissuto di rendita, consumando soprattutto il grasso accumulato in precedenza. E si precipitano sui rifiuti. Ed ecco che Churchill diventa non solo un richiamo per i turisti, ma un importante centro di ricerca che attira studiosi da tutto il mondo. Da una trentina d'anni gli esperti catturano gli orsi narcotizzandoli a distanza, ne determinano le dimensioni, il peso, il sesso, l'età (tramite l'esame dei denti) e poi applicano agli esemplari catturati piccole radio trasmittenti che segnalano le loro attività e i loro spostamenti, via satellite, a un'apposita banca dati. Ai cuccioli si applica una targhetta all'orecchio e un tatuaggio all'interno del labbro superiore. Dagli Anni Sessanta sono stati catturati migliaia di orsi bianchi. Se ne occupano attualmente due ricercatori del Canadian Wildlife Service, Nick Lunn e Dennis Andriashek. Questi studiosi compiono periodicamente un'accurato esame degli orsi della zona. Ed ora lanciano un grido d'allarme. Hanno riscontrato un sensibile calo di peso negli adulti e una notevole diminuzione delle nascite. Il fenomeno sarebbe attribuibile a loro parere a quel che sta succedendo nelle masse di ghiaccio che si stanno sciogliendo gradatamente sotto l'effetto del riscaldamento globale del pianeta. Sapevamo che l'estate è sempre stata un inferno per l'orso polare. Il bestione soffre maledettamente il caldo e per rinfrescarsi si getta a capofitto nell'acqua, un'acqua gelida dove un uomo morirebbe istantaneamente di sincope. E' un ottimo nuotatore e ha una perfetta padronanza dell'ambiente acquatico. Non ha la silhouette snella e affusolata dei cetacei e nemmeno l'agilità delle foche o dei trichechi, ma è meravigliosamente adattato alle temperature proibitive di quelle acque, dove si sente perfettamente a suo agio. Lo proteggono dal freddo lo spesso strato di grasso sottocutaneo e il folto mantello di lunghi peli impermeabilizzato di tutto punto che intrappola innumerevoli bollicine d'aria formando un perfetto apparato isolante. Temperatura a parte, per la maggior parte degli animali l'estate significa prede abbondanti, mentre in inverno bisogna stringere la cinghia perché il cibo scarseggia o manca del tutto. Per gli orsi polari invece succede esattamente il contrario. Prosperano nel lungo e rigido inverno, quando si possono fare scorpacciate di foche, ma trovano difficoltà a sopravvivere nella breve estate artica, quando i ghiacci si sciolgono. E' allora che possono perdere più di un terzo del loro peso. I pesci sono per l'orso bianco una risorsa alimentare d'emergenza. Il suo piatto forte sono le foche. ben più grosse e sostanziose. Ma in mare non ce la fa ad acchiapparle. Nuotano molto più veloci di lui. E allora ricorre ad altri sistemi per catturarle. Col suo fiuto finissimo ne sente l'odore attraverso uno strato di neve o una lastra di ghiaccio alta anche un metro e mezzo. Sa benissimo che le sue prede debbono venire ogni tanto in superficie a respirare e si scavano qua e là dei fori nella crosta ghiacciata. Sicché si apposta all'imbocco di questi fori e apetta che la foca venga all'appuntamento. Si raccontano molte storie, in parte vere, sul comportamento degli orsi negli insediamenti umani. Uno di loro, attraversando Churchill, è riuscito ad entrare in un supermercato dove ha fatto man bassa di generi alimentari. Alcuni hanno persino imparato ad aprire le maniglie delle automobili. Nel giudizio che gli abitanti di Churchill esprimono sugli orsi, c'è una strana ambivalenza. Da un lato i plantigradi rappresentano la maggiore fonte d'introito come attrazione turistica e scientifica. Ma dall'altro sono un costante pericolo. E non è escluso che, spinti dalla fame, invadano Churchill in numero sempre più massiccio alla ricerca di carne umana. Isabella Lattes Coifmann


SCIENZE DELLA VITA ZOONOSI Le malattie trasmesse dagli amici animali In aumento le infezioni, soprattutto nei Paesi del Terzo Mondo
Autore: DI AICHELBURG ULRICO

ARGOMENTI: MEDICINA FISIOLOGIA, DEMOGRAFIA STATISTICA
ORGANIZZAZIONI: OMS
LUOGHI: ITALIA

SONO oltre 150 le infezioni che gli animali vertebrati possono trasmetterci. Ciò significa che la maggioranza delle infezioni che affliggono l'umanità è causata da virus, batteri, protozoi provenienti dagli animali. Indicate col termine generico di zoonosi, rappresentano un problema antico. Gli agenti patogeni possono essere trasmessi all'uomo che sia a contatto con animali o con rifiuti animali, o che si nutra di alimenti di origine animale. Nei Paesi industrializzati le zoonosi si sono ridotte ma nei Paesi in via di sviluppo la situazione resta grave, anzi è prevedibile che le zoonosi continuino ad aumentare, fra l'altro essendone comparse alcune in passato sconosciute. Per questi motivi l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha svolto una indagine della quale si conoscono ora i risultati. Nel 1986 le mucche inglesi cominciarono ad impazzire per un male oscuro, battezzato poi Encefalopatia spongiforme bovina, dovuta a particolari agenti patogeni detti ««prioni»». Diversi studi rafforzano l'ipotesi che dal consumo alimentare del cervello e del midollo spinale delle mucche pazze derivi nell'uomo una variante della malattia di Creutzfeldt-Jakob, sempre mortale. L'Oms ha raccomandato di istituire una sorveglianza mondiale, già operante in numerosi Paesi europei, Australia, Canada e Stati Uniti. Una fiammata epidemica di encefalite equina da virus si ebbe nel 1995 in Colombia e Venezuela, con la conseguenza di circa novemila casi di encefalite umana. In Africa il virus Ebola proveniente da animali infetti, però non ancora identificati, ha causato negli ultimi anni centinaia di casi di malattia; ancora in Africa ecco una sintomatologia simile al vaiolo dovuta ad un virus proveniente dalle scimmie. Il virus della vallata del Rift ha causato in Kenya e in Somalia molte migliaia di malati e centinaia di morti: ne erano infetti animali domestici, le zanzare lo trasmettevano ad altri animali ed all'uomo. Le grosse cifre però sono a carico delle zoonosi tradizionali, quelle conosciute da sempre. La rabbia, ufficialmente causa di 50 mila decessi annuali nel mondo (ma la cifra è in realtà assai più elevata) è dovuta ad un virus trasmesso con i morsi principalmente da cani e gatti; la profilassi è fondata sul vaccino, oggi preparato con tecnica differente da quello di Pasteur. Milioni di persone si ammalano di salmonellosi, gastroenteriti acute dovute a microorganismi del genere Salmonella: non esiste specie animale che non possa albergare le Salmonelle, particolarmente frequente è l'infezione dei volatili da cortile (polli, tacchini, anatre), in genere la trasmissione all'uomo avviene con gli alimenti, specialmente carni poco cotte, insaccati crudi, uova. I casi di brucellosi (un tempo denominata febbre maltese) dovuti a microorganismi del genere Brucella presenti nel latte e nei latticini, sono molto numerosi là dove la pastorizzazione non è sistematica o le condizioni igieniche di allevamento del bestiame lasciano a desiderare. Ricordiamo ancora la Leptospirosi dovuta ad una spirocheta, una delle zoonosi più diffuse: l'infezione avviene di solito attraverso la pelle quando ci si immerge in acque di fiumi, laghi, stagni contaminate da deiezioni di animali infetti quali ratti, topi, roditori in genere. La toxoplasmosi, causata da un protozoo, riguarda tutti gli animali, carnivori, erbivori, onnivori, più frequentemente il gatto, il cane, la pecora, il coniglio, il maiale, la lepre; la carne cruda o poco cotta rappresenta la principale fonte di contagio, tuttavia anche coloro che mangiano carne ben cotta, e gli stessi vegetariani, possono infettarsi, poiché i gatti diffondono i toxoplasmi nell'ambiente; i sintomi sono febbre, eruzioni cutanee, meningite; vi è anche una forma congenita. La convivenza i con animali (cani, gatti e uccelli sono di gran lunga i prediletti) facilita i contagi. Oltre alla rabbia, morsicature di cani e gatti trasmettono batteri del genere Pasteurella con bronchiti e meningiti, anche graffi e lambiture possono essere infettanti. Molta attenzione ai gatti per quanto riguarda la Toxoplasmosi. I contatti con uccelli possono essere fonte di infezioni respiratorie dette Ornitosi, quella propagata dai pappagalli la psittacosi, è la più conosciuta, causata da microorganismi denominati Chlamydiae: si manifesta con una polmonite talvolta accompagnata da sintomi neurologici, e può essere anche mortale. Ulrico di Aichelburg


SCIENZE A SCUOLA Quali strategie A Lerici un workshop internazionale sul tema Già in atto profonde modifiche dell'habitat marino
Autore: C_F

ARGOMENTI: BOTANICA, ECOLOGIA
LUOGHI: ITALIA, ITALIA, LERICI, SP
NOTE: Alga killer - Caulerpa Taxifolia

SI è tenuto qualche settimana fa a Lerici il quarto workshop internazionale sulla Caulerpa taxifolia. Al congresso hanno partecipato 150 ricercatori di 15 Paesi europei ed extraeuropei (prevalentemente dell'area mediterranea), oltre all'organismo internazionale United Nations Environment Programme. I lavori si sono aperti con la presentazione di alcune ricerche sulle origini dell'invasione algale - tra cui uno studio molecolare condotto da Meinesz, dell'università di Nizza, sulla parentela genetica tra il ceppo algale presente nel mare e l'alga coltivata, a scopo ornamentale, negli acquari pubblici europei - sulle implicazioni tossicologiche ed ecologiche della colonizzazione del Mar Mediterraneo, nonché sulla biologia generale della Caulerpa taxifolia. I risultati scientifici hanno confermato che l'espansione dell'alga è una minaccia per la biodiversità, per l'ecodiversità e per alcune attività (subacquee e di pesca) in aree pesantemente invase. In queste aree, infatti, la rapida crescita per riproduzione vegetativa dell'alga ha provocato profonde modifiche nella composizione delle comunità costiere, a livello sia floreale che faunistico e tali mutamenti si sarebbero poi ripercossi sulla struttura dell'habitat dei fondali stessi, provocando una forte variazione della biodiversità ivi esistente. La seconda sessione si è occupata della comparsa ed espansione nelle acque mediterranee di una nuova alga del genere Caulerpa, precisamente la Caulerpa racemosa, concentrando l'attenzione sulla cinetica di crescita di quest'ultima e sulle conseguenze ambientali di tale nuova invasione. Il simposio ha trattato anche gli studi cartografici e di rilevamento fisico delle aree di fondale colonizzate (dalla raccolta dei dati effettuata tramite le campagne di sensibilizzazione pubblica fino alle modalità di monitoraggio delle colonie) per poi focalizzarsi sulle possibili tecniche e strategie di controllo dell'espansione algale. Tra queste ultime, l'èquipe francese ha presentato un modello informatico di controllo biologico del popolamento della Caulerpa basato su una simulazione dell'interazione tra l'alga e l'Elysia subornata, un mollusco marino tropicale suo naturale consumatore. \


SCIENZE A SCUOLA LA LEZIONE / L' ALGA KILLER L'enigma della caulerpa Sembra accertata la sua ««fuga»» da un acquario
Autore: FRANCIOSI ULISSE

ARGOMENTI: BOTANICA, ECOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: Alga killer - Caulerpa Taxifolia

SEMBRA ormai evidente che la famigerata ««alga killer»» Caulerpa taxifolia che da 14 anni colonizza i fondali del Mediterraneo, rappresentando sempre di più una minaccia per i delicati equilibri biologici degli ecosistemi costieri di questo mare, abbia iniziato la sua rapida invasione ed espansione sui fondali marini fuggendo in mare aperto da un acquario pubblico o privato, apparentemente per cause accidentali. Il genere Caulerpa comprende una settantina di specie algali ubiquitarie negli ambienti marini costieri. Una di queste specie, appunto la Caulerpa taxifolia, risulta in natura un abitante comunemente diffuso dei mari tropicali lungo la costa atlantica americana (dal Brasile ai Caraibi), atlantico-africana (Golfo di Guinea), nell'Oceano Indiano e nel Pacifico. A partire dai primi Anni 70 alghe di tale specie (ma di sconosciuta origine geografica) erano state poste in coltura nell'acquario marino tropicale di Stoccarda (Germania) per uso ornamentale. Tra il 1980 e il 1983 il ««ceppo»» algale coltivato a Stoccarda veniva fornito all'acquario tropicale di Nancy (Francia) da dove poi l'alga passava all'acquario del Principato di Monaco, localizzato notoriamente sulla costa mediterranea. A metà degli Anni 80 veniva osservata per la prima volta sui fondali marini al largo della costa di Monaco una specie algale molto simile al ««ceppo»» di Caulerpa taxifolia coltivata negli acquari pubblici; e da allora tale specie si è rapidamente diffusa nel Mediterraneo nordoccidentale. In particolare è stata osservata una sua progressione spettacolare lungo la Riviera francese e italiana, dove le aree di fondale occupate sono cresciute da un metro quadrato della piccola colonia rilevata nel 1984 fino ai 3000 ettari stimati nel 1996. Colonie isolate sono inoltre state scoperte nella Catalogna francese (1991), in Toscana e nelle isole Baleari (1992), in Sicilia (1993) e persino in Croazia (1994). Per dare una spiegazione all'enigma dell'origine geografica dell'alga, il professor A. Meinesz, direttore del Lelm dell'Università di Nizza, aveva da tempo ipotizzato una sua introduzione accidentale nel nostro mare con provenienza da un acquario pubblico. Altri studiosi avevano proposto, in alternativa, che l'alga potesse essersi originata derivando da un'alga simile, identificata come Caulerpa mexicana, la quale sarebbe migrata dal Mar Rosso al Mediterraneo orientale attraverso il Canale di Suez e infine si sarebbe irradiata a colonizzare il Mediterraneo occidentale. Per testare la sua ipotesi, il prof. Meinesz, in collaborazione con altri esperti di Marsiglia e Ginevra, ha compiuto una ricerca sulle affinità genetiche tra diverse specie del genere Caulerpa e tra diversi ««ceppi»» di Caulerpa taxifolia (questi ultimi provenienti sia da acquari pubblici che raccolti in svariate località costiere). In particolare l'èquipe ha analizzato e comparato fra loro, utilizzando la tecnica della reazione a catena della polimerasi (pcr), le sequenze di Dna ribosomico (Rdna) estratto da campioni algali sia di popolazioni tropicali di C. taxifolia, sia di popolazioni di C. taxifolia provenienti da varie aree mediterranee, sia ancora da esemplari provenienti da diversi acquari pubblici e sia infine di altre specie del genere Caulerpa (includenti tre popolazioni di Caulerpa mexicana). In totale le popolazioni algali confrontate sono state 24. Basandosi sul grado di somiglianza tra le sequenze di Dna di ««ceppi»» algali differenti come indice di parentela tra i diversi ««ceppi»» stessi, sono stati poi costruiti alcuni alberi probabilistici ««di parentela»» (utilizzando differenti metodi di calcolo al fine di minimizzare gli errori dovuti al caso) i quali risultano tutti sorprendentemente conformarsi più o meno ad un modello generale. In tale modello o albero, infatti, appare evidente una sensazionale somiglianza o affinità genetica tra tutte le popolazioni di Caulerpa taxifolia provenienti dalle varie località mediterranee, i ««ceppi»» provenienti dagli acquari e la taxifolia di origine caraibica. In contrasto, le popolazioni di Caulerpa taxifolia del Pacifico e soprattutto quelle di C. mexicana provenienti da Israele o dal Mar Rosso appaiono alquanto diversificate geneticamente dal primo raggruppamento citato e quindi separate, in senso filogenetico, dalla Caulerpa che domina i nostri fondali. La sostanziale omogeneità genetica risultante tra le popolazioni mediterranee e quelle ««in cattività»», quindi è, a detta degli esperti, una evidenza sostanziale a favore dell'ipotesi che l'intero raggruppamento di popolazioni rappresenti un clone, nonché è una prova convincente del fatto che la contaminazione delle nostre acque da parte della Caulerpa taxifolia sia avvenuta a causa dell'introduzione accidentale in mare di un frammento di essa proveniente da un acquario. Resta perciò infine invalidata l'ipotesi alternativa di una provenienza dalle acque del Mar Rosso, a causa della minore o scarsa affinità genetica dell'alga ««nostrana»» con le popolazioni di C. mexicana del Mediterrano orientale. Ulisse Franciosi


SCIENZE A SCUOLA I MOLTIPLICATIVI Dal gigabyte al nanosecondo Prefissi che vengono da greco, latino e anche danese
Autore: CARDANO CARLA

ARGOMENTI: MATEMATICA
LUOGHI: ITALIA

NUMERI molto grandi o molto piccoli, espressi con una potenza di dieci, ci sono ormai familiari. Anche i prefissi che li indicano entrano nella vita quotidiana: così diciamo che quel gioco che abbiamo messo nel computer ha occupato un megabyte, oppure che l'hard disk dell'ultimo computer in commercio è di due gigabyte. Che valore hanno i vari prefissi, quale la loro origine e quali quelli da usare se si vogliono seguire le regole sancite nel Sistema internazionale. Soffermiamoci un attimo su ciascuno di essi, così da ricordarli poi con facilità. Cominciamo da mega-: esso corrisponde al fattore moltiplicativo 10 elevato alla sesta. Così un milione di bytes, di grammi, di secondi saranno un megabyte, un megagrammo, un megasecondo. Quale l'etimologia del prefisso? Deriva dal greco megas, che ha il significato di grande: niente di particolarmente insolito, visto che varie parole della lingua italiana hanno la medesima origine e quindi suggeriscono lo stesso concetto. Pensiamo ad esempio a megalomane, megafono e a numerose parole scientifiche quali megattera, megasisma, epatomegalia. Passiamo a giga-: corrisponde al fattore moltiplicativo 10 elvato alla nona; quindi un miliardo di grammi, metri e così via saranno rispettivamente un gigagrammo, un gigametro. L'etimologia della parola mostra che anche in questo caso, come del resto per numerosissime parole scientifiche, c'è l'antica lingua greca all'origine: gigas = gigante. Proseguendo nel cammino che ci descrive i multipli sempre più grandi, troviamo tera-, corrispondente al fattore moltiplicativo 10 elevato alla dodicesima, di derivazione greca da teras = portento, e peta- per 10 elevato alla quindicesima. Resta infine exa-, dal greco ex = sei che, francamente, non ci suggerisce nessun collegamento diretto con il significato del fattore cui corrisponde e cioè 10 elevato alla diciottesima. Alcuni fattori moltiplicativi più piccoli li conosciamo fin dal tempo delle scuole elementari. Abbiamo kilo- corrispondente a 10 elevato alla terza. L'origine greca, immediata e perfettamente in sintonia, è da chilioi = mille. Per i sottomultipli dell'unità abbiamo milli- per 10 elevato alla -3. La derivazione questa volta è dal latino: milia = mille. Abbiamo poi micro- per 10 elevato alla -6, nano- per 10 elevato alla -9, pico- per 10 elevato alla -12. Ancora greche e di comprensione immediata sono l'origine del primo prefisso e del secondo: micros = piccolo, etimologia comune a numerosissime parole (microscopio, microbo, eccetera) e nanos = nano; e che altro poteva significare? Non si offre a fantasiose interpretazioni neanche la parola pico = quantità piccolissima, anche se, tanto per cambiare, finalmente ci allontaniamo dai nostri aulici antenati greci e latini per imbatterci in un'etimologia insolita: pico infatti è parola spagnola. Restano femto- corrispondente al fattore moltiplicativo 10 alla -15 e atto- per 10 alla -18. E discostandoci ancora di più dalle nostre radici, troviamo che femto deriva da femten che significa quindici sia in norvegese sia in danese. Pure danese risulta essere atten (da cui viene atto-) che in quella lingua vuol dire diciotto. Gli ultimi due prefissi privilegiano l'aspetto numerico più che quello qualitativo: si deve già sapere che si è nell'infinitamente piccolo. Per finire, un'ultima osservazione: tutti i prefissi moltiplicativi citati corrispondono a multipli e sottomultipli di mille. Alcuni, tradizionali, qui non riportati, sono da considerare obsoleti se ci si attiene alle regole sancite nel sistema internazionale. Insomma, due etti di prosciutto è espressione superata: diremo quindi duecento grammi o anche 0,2 kg. Se la vostra altezza è di un metro e settantacinque, dovreste esprimerla come 1750 mm. Se pesate un quintale, non ditelo; siate aggiornati, usate 100 chilogrammi! Carla Cardano


Il caccia europeo
ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
NOMI: BERNARDI MARIO
LUOGHI: ITALIA

Per un errore, in ««Tuttoscienze»» della settimana scorsa la fotografia relativa all'articolo di Mario Bernardi sul caccia europeo non rappresenta l'attuale prototipo del velivolo ma una sua versione sperimentale antecedente. Ce ne scusiamo con i lettori.


IN BREVE L'enigma dei neutrini se ne parla a La Thuile
ARGOMENTI: FISICA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

I risultati degli ultimi studi sui neutrini sono uno dei temi caldi delle «Rencontres de physique de la Vallee d'Aoste», in corso a La Thuile da lunedì, uno dei più qualificati convegni a livello internazionale. Altri argomenti in discussione: astrofisica e stato della ricerca all'acceleratore Lep del Cern, al Fermilab e all'acceleratore Hera di Amburgo. Sabato le conclusioni.


IN BREVE Alla scoperta dei minerali
ARGOMENTI: DIDATTICA, EDITORIA
ORGANIZZAZIONI: MINERALI COLLECTION
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

E' in edicola il primo numero di «Minerali Collection», una iniziativa editoriale della Fabbri che divulga le conoscenze su minerali e pietre preziose, fornendone anche dei campioncini. Questi sono protetti in piccoli contenitori trasparenti che funzionano anche come lenti di ingrandimento per agevolarne l'osservazione. Altre informazioni: 02-5095.2444.


IN BREVE Amianto: a Roma conferenza nazionale
ARGOMENTI: ECOLOGIA, INQUINAMENTO
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, ROMA

Si conclude a Roma venerdì 5 marzo la Conferenza nazionale sull'amianto. L'Italia ha dal 1992 una legge che ne vieta l'uso a tutela della salute, ma rimane attuale il problema dello smaltimento di 50 milioni di tonnellate di amianto ancora diffusi nell'ambiente.


IN BREVE Tra caso Di Bella e biotecnologie
ARGOMENTI: MEDICINA FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA, (TO), EUROPA, ITALIA, TORINO

Al Politecnico di Torino il 10 marzo seminario «Disorientamento della medicina tra caso Di Bella e biotecnologie». Inizio alle ore 9 con un intervento di Paolo Vineis. Il 16 e 17 marzo, altri due seminari saranno dedicati al rischio ambientale (specie elettromagnetico) e alla sua percezione.




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