TUTTOSCIENZE 20 gennaio 99


TERAPIE Alzheimer, una nuova molecola
Autore: PELLATI RENZO

ORGANIZZAZIONI: ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITA'
LUOGHI: ITALIA

L'ORGANIZZAZIONE Mondiale della Sanità ha proclamato il 1999 "anno dell'anziano". Tutte le Società scientifiche sono sollecitate a rivolgere studi e ricerche in questa direzione: solamente nel nostro Paese gli ultrasessantenni sono più di 11 milioni e nel 2020 raggiungeranno i 16 milioni. Oltre all'inevitabile aumento delle malattie cardiovascolari e tumurali, assume importanza l'aumento delle malattie degenerative cerebrali, soprattutto Alzheimer che colpisce il 6-8% delle persone con età superiore a 65 anni, con un raddoppio ogni cinque anni. Una nuova opportunità terapeutica per il '99 deriverà dalla possibilità d'impiego della rivastigmina, una molecola valutata con un dispiego di forze mai visto in questo tipo di patologia: il programma Adena, che ha coinvolto più di 3300 pazienti dislocati in 111 centri degli Stati Uniti, Sud Africa, Australia, Europa (Italia compresa). Il termine Adena significa Alzheimer Disease - Ena. "Ena 713" è il codice della rivastigmina, un inibitore dell'acetilcolinesterasi, l'enzima che degrada l'acetilcolina. Riducendo l'attività dell'acetilcolinesterasi si ottiene un aumento dell'attività dell'acetilcolina, un neurotrasmettitore essenziale per il funzionamento del sistema nervoso centrale e fondamentale per i processi cognitivi come la memoria, l'attenzione, la concentrazione. Nei pazienti con malattia di Alzheimer si ha una riduzione della presenza di acetilcolina soprattutto nella corteccia e nell'ippocampo. Il filone di ricerca degli inibitori dell'acetilcolinesterasi è attivo da diversi anni. Tuttavia le molecole sinora sintetizzate erano poco selettive e provocavano diversi effetti collaterali. La rivastigmina invece agisce a livello dei recettori del sistema nervoso centrale con un metabolismo indipendente dal citocromo P450, che è la base dell'assenza di interazioni farmacologiche rilevanti. Di conseguenza la molecola può essere somministrata a una elevata percentuale di pazienti che hanno malattie concomitanti. Ovviamente il farmaco non influisce sulle cause che stanno alla base dell'Alzheimer, ma porta a un miglioramento dei sintomi nelle forme lievi o moderate, preservando la capacità di svolgere una vita normale. Quest'ultimo effetto è l'obiettivo primario della terapia, tenendo presente che gli studi di farmacoeconomia dimostrano che, mediamente, in un anno, le risorse assorbite da un paziente colpito da Alzheimer si attestano intorno ai 76 milioni, di cui solo il 5,4% è relativo ai costi medici: il carico maggiore, purtroppo, si riversa sulle famiglie. Renzo Pellati


MA L'ACCESSO ORA E' STATO CHIUSO Astronomi dilettanti al lavoro con " Hubble" In alcuni casi le ricerche hanno dato esiti utili alla scienza
Autore: GUAITA CESARE

ARGOMENTI: ASTRONOMIA
NOMI: GIACCONI RICCARDO, SEKOSKY JAMES, STERNER RAYMOND, LEWYCKY GEORGE, HRICKO KARL
LUOGHI: ITALIA

TUTTO cominciò un pomeriggio del 7 agosto 1986, a Baltimora, durante l'annuale congresso degli astrofili americani. In quell'occasione, davanti a 300 ascoltatori increduli, Riccardo Giacconi, allora direttore dello Space Telescope Science Institute, offrì ufficialmente anche ai non professionisti la possibilità di lavorare con lo Space Telescope "Hubble" (Hst). Toccò a un comitato di sette esperti, l'Amateur Astronomer Working Group, programmare 13 osservazioni distribuite in sei cicli, uno per anno a partire dal 1992. Ecco una sintesi di alcuni risultati. Il primo non professionista a usare Hst è stato James Sekosky, un insegnante di scienze di Rochester, nel maggio 1992. Sekosky voleva chiarire come mai la luminosità del satellite gioviano Io sembrasse aumentare in uscita dall'ombra di Giove. L'idea di Sekosky era che il brusco calo di temperatura in eclisse provocasse una subitanea deposizione in forma ghiacciata del biossido di zolfo di cui è ricca la tenue atmosfera di Io. Per testare questa ipotesi vennero ottenute splendide immagini di Io appena fuori eclisse con un filtro ultravioletto per il biossido di zolfo. Con risultati, però, diversi dalle previsioni: Sekosky non ha infatti osservato alcuna variazione su brevissima scala temporale anche se la superficie globale ricoperta da SO2 è apparsa molto più estesa rispetto a quanto ossservato 15 anni prima dalle sonde Voyager. Raymond Sterner è un astrofilo di Woodbine, nel Maryland con il pallino della matematica e dell'informatica, specializzato nella simulazione di scontri tra galassie a spirale. Quando nel 1988 si scoprì il primo grande arco semicircolare nell'ammasso CL2244-02, l'idea immediata fu che si dovesse trattare di un effetto "lente gravitazionale" su una galassia lontanissima retrostante. Ma Sterner non credeva a questa interpretazione. Bastarono pochi giorni perché il suo computer riuscisse a simulare, per collisione galattica, un arco incredibilmente simile a quello appena scoperto nella realtà! Di qui la proposta di Sterner di verificare con Hst la vera distanza dell'arco, con misure sia ottiche sia spettroscopiche. Risultò che il suo redshift di 2,24 era infatti nettamente superiore a quello medio (z=0,38) delle galassie dell'ammasso. Come astrofilo Kandefer era un esperto di stelle variabili. Come ingegnere si occupava da molti anni di strumentazioni per la misura del campo magnetico terrestre. Da qui la proposta di riprendere con Hst spettri di una stella variabile dotata anche di un forte campo magnetico. La scelta di Epsilon dell'Orsa Maggiore si è rivelata vincente: Kandefer è riuscito a trovare un collegamento tra l'intenso campo magnetico della stella e le variazioni periodiche nell'intensità di righe molto particolari come quelle del Cromo e dell'Europio. George Lewycky, un programmatore di computer di Milltown, New Jersey, ha cercato molecole organiche nella atmosfera di Titano: ha scoperto una molecola di grande importanza chimica come la formaldeide e molte altre bande organiche nuove sono tuttora in corso di interpretazione. Karl Hricko, un insegnante di Carteret, New Jersey, ha presentato una proposta scottante: un'indagine sul presunto collegamento fisico tra la galassia Seyfert NGC 4319 e il quasar MK 205. Il caso è famoso ed estremamente controverso: Halton Arp ne ha fatto uno dei suoi cavalli di battaglia! Purtroppo, causa l'aberrazione sferica, nelle immagini riprese nel rosso il 28 giugno '93 il ponte di materia tra il quasar e la galassia è risultato troppo debole per uno studio approfondito. A quando l'osservazione spettroscopica del presunto "ponte" con l'Hst perfettamente funzionante? Infine, un chimico di Huntington, West Virginia, W. Alexander, riguarda la misura della quantità di deuterio (rispetto all'idrogeno) presente nel vicino ambiente interstellare dall'epoca del Big Bang. Alla fine dell'estate 1994 Alexander ha puntato Hst nei pressi delle stelle Epsilon Indi e Lamba Andromedae, riuscendo a separare in maniera eccellente il debole assorbimento del deuterio dal vicinissimo grande assorbimento dell'idrogeno. Ne è risultato un rapporto che, se confermato, implicherebbe un universo aperto, quindi in perpetua espansione. Purtroppo dopo che, all'inizio del 1995, Riccardo Giacconi ebbe lasciato la direzione dello Space Telescope Science Institute, gravi problemi di bilancio hanno portato ad una decisione dolorosa: quella di chiudere definitivamente agli astrofili l'accesso all'Hst. Cesare Guaita


IN BREVE Con le arance contro il cancro
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA
ORGANIZZAZIONI: AIRC
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

Sabato 30 gennaio in 1127 piazze italiane torneranno le "Arance della salute", un'iniziativa dell'Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc) che si ripete con successo ormai da alcuni anni. Per 13 mila lire si riceverà una reticella di tre chili di arance, ci si potrà iscrivere all'Airc e si darà un contributo agli studi per combattere i tumori. Con le arance si riceverà anche una piccola pubblicazione sul tema dieta e cancro: una corretta alimentazione può infatti aiutare la prevenzione, come emerge dai suggerimenti degli epidemiologi Anthony B. Miller (Lione) e Carlo La Vecchia (Istituto Mario Negri, Milano). L'Airc nel 1998 ha destinato quasi 4 miliardi a progetti per la prevenzione dei tumori. Informazioni: 02-779.7214. Per conoscere le piazze, da oggi è attivo il numero 147.001.001.


I DANNI DEI SALI ANTIGELO Erbe e piante in salamoia Tossico l'accumulo di cloruro di sodio nel terreno
Autore: ACCATI ELENA, ASSONE STEFANO

ARGOMENTI: ECOLOGIA, BOTANICA
LUOGHI: ITALIA

GLI alberi offrono uno spettacolo affascinante non soltanto quando sono ricoperti di giovani foglie sotto il sole primaverile ma anche durante l'inverno. In questa stagione, pur privi del fogliame, faggi e platani, aceri giapponesi dai rami sinuosi (tanto che qualcuno ha voluto paragonarli ad una danzatrice balinese), magnolie e prunus, conservano il loro maestoso aspetto e svolgono ottimamente la loro funzione ornamentale in parchi e giardini. L'albero a foglie caduche, che nel periodo estivo appare come una impenetrabile barriera verde, in inverno è invece uno scheletro, spesso contorto e curvo, altre volte diritto: è spiegabile che molti romanzieri lo abbiano trasformato in creatura quasi antropomorfa. Sui rami rimangono le gemme latenti protette da scaglie pelose (come quelle dei salici e dei noccioli) scintillanti come ghiaccioli nelle giornate più fredde, in attesa che i vari fitoregolatori riprendendo, all'innalzarsi della temperatura, le loro funzioni ed inducano ad aprirsi. Tra gli intrecci dei rami piccoli e grandi degli alberi spogli dove un tempo era l'ombra, ora filtra la luce, una luce dai toni grigi intrisa di nebbia e di silenzio. Il gelo ricama arabeschi finissimi, trine di vetro e di cristallo sui rami, sulle foglie e sulle bacche sottolineando la preziosità della struttura arborea. C'è un parco, il "Sigurtà" di Valeggio sul Mincio, che d'inverno, con la galaverna, offre spettacoli indimenticabili: diventa un affresco, un'opera d'arte ricca di poesia e di mistero. D'inverno le conifere sempreverdi sembrano portare con fatica il peso della neve sui loro aghi, tanto che spesso qualche ramo si schianta. Ma neve e ghiaccio possono anche essere un problema. Le amministrazioni cittadine per contrastare la formazione di ghiaccio sull'asfalto, spargono sali antigelo. E questi sali sono tossici per le piante quando il loro accumulo supera una soglia che varia in funzione dell'elemento chimico usato, della specie vegetale e del suo stadio di sviluppo. Le piante però non subiscono passivamente l'ambiente. Esiste un adattamento chiamato criptico (cioè nascosto) che si esprime a livello molecolare: quando si verificano attacchi di funghi, come risposta la pianta sintetizza delle sostanze, le fitoalexine; in presenza di stress termici (alte temperature) la pianta perde dei gruppi funzionali. I sali antigelo, costituiti essenzialmente da cloruro di sodio, sono un grave problema per tutti i Paesi a clima freddo in quanto danneggiano le specie vegetali ai lati delle strade, nelle aiole spartitraffico, nei parcheggi, tanto che le piante sembrano bruciate, al punto da far supporre erroneamente l'azione di qualche agente patogeno. I danni indotti dal sale nelle piante sono dovuti alla diminuzione della componente osmotica del potenziale idrico, fatto che rende per le piante molto difficile assorbire l'acqua dal terreno. Inoltre con l'aumentare della concentrazione salina si degrada la struttura delle particelle di argilla del terreno divenendo sfavorevole allo sviluppo dell'apparqato radicale delle piante. Infine i sali antigelo venendo distribuiti sull'asfalto possono schizzare, raggiungendo le foglie nel caso di specie a foglie persistenti e provocando un danno diretto. Presso la Cornell University di Ithaca (New York) e presso l'Università di Toronto (Canada) da anni sono in corso studi su questi temi, con interessanti risultati. E' emerso che lo ione cloro causa danni maggiori rispetto al sodio. Inoltre essendo state poste a confronto ben 35 cultivar di edera (Hedera helix), una tappezzante molto diffusa nel verde urbano, si è individuata quella più resistente ai sali antigelo. Anche il tappeto erboso riceve danni; quindi sulle specie impiegate per la sua realizzazione si sono fatti esperimenti in serra impiegando piantine allevate in vaso sottoponendole a differenti concentrazioni saline. Considerato l'interesse di queste ricerche, da parte del Comune di Torino (Settore verde Pubblico) in collaborazione con la Scuola di Specializzazione in "Parchi e giardini" dell'Università di Torino è in corso un'ampia sperimentazione che prevede il confronto di sali di differente origine impiegati a dosi diverse su un vasto numero di specie per valutare e comprendere l'origine della resistenza, per reperire prodotti e miscele meno dannose e meno costose. Elena Accati Stefano Assone Università di Torino


I RISULTATI DELLA SPEDIZIONE SHEBA Ghiacci artici in ritirata Definitiva verifica dell'effetto serra
Autore: TIBALDI ALESSANDRO

ARGOMENTI: METEOROLOGIA, ECOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: G. Temperature medie globali annue dal 1861 ad oggi. Temperature medie globali annue dal 1960 al 1990

IN Piemonte, il novembre dell'anno scorso è stato il mese più secco dell'anno più caldo degli ultimi 6 secoli. Ma il surriscaldamento riguarda solo le nostre regioni o è globale? Bene, anzi, male: ormai alcuni dati di valore definitivo indicano che anche la grande calotta glaciale artica sta fondendo a un ritmo sempre più veloce e che le acque di fusione fanno salire, anche se molto lentamente, il livello del mare. Le immagini riprese dai satelliti dal 1979 a oggi già mostravano una diminuzione dell'estensione dei ghiacciai attorno al Polo Nord; per verificare direttamente il fenomeno, un gruppo internazionale di ricercatori ha fatto incagliare volontariamente la propria nave nel pack artico per andare così alla deriva raccogliendo dati climatici definitivi. Era l'ottobre del 1997 quando il capitano della nave rompighiaccio canadese "Des Groseilliers" rivolse la prua contro una massa particolarmente spessa di ghiaccio al 75o di latitudine Nord. I trenta ricercatori e i membri dell'equipaggio sapevano a cosa andavano incontro: rimanere con la nave incagliata fino all'estate del 1998, utilizzandola come "albergo" durante mesi e mesi di misurazioni nell'ambito del progetto internazionale Sheba di monitoraggio delle condizioni climatiche polari. In questo periodo, la nave e il pack ormai solidali sono scivolati sul mare per quattromila chilometri fino alla latitudine di 80o Nord. La spiegazione di questa scelta è tanto semplice quanto inquietante: le regioni polari hanno la capacità di amplificare al massimo i cambiamenti climatici in atto sul nostro pianeta, soprattutto quelli prodotti dalle immissioni umane nell'atmosfera dei gas ad "effetto serra". Le regioni polari sono maggiormente sensibili a causa delle interazioni reciproche tra le ampie estensioni dei ghiacci marini, della copertura nevosa, della superficie del mare, della radiazione solare e della copertura nuvolosa. Per esempio, se il riscaldamento anomalo dell'aria fonde il ghiaccio marino, la quantità di energia solare riflessa verso l'alto diminuirà bruscamente, in quanto la superficie del mare è sei volte meno riflettente del ghiaccio, e quindi il surriscaldamento della regione polare aumenterà ancora di più, enfatizzando appunto il fenomeno. Gli scienziati hanno misurato le caratteristiche del ghiaccio, del mare e dell'aria per tutto l'inverno e l'estate artica e hanno confrontato i risultati con quelli provenienti da precedenti spedizioni. Grande importanza deriva anche dal fatto che recentemente, con un accordo tra il vicepresidente Usa Albert Gore e il ministro della Russia Viktor Chernomyrdin, sono stati resi pubblici più di un milione di dati climatici, prima segreti, raccolti nell'Oceano Artico tra il 1948 e il 1993. I russi hanno compiuto delle campagne incredibili di raccolta dati nelle regioni polari: si è scoperto che negli ultimi cinquant'anni hanno effettuato ben 31 spedizioni simili a quella qui descritta, facendosi imprigionare con una nave dai ghiacci anche per tre anni consecutivi! I risultati della spedizione Sheba, terminata pochi mesi fa, sono impressionanti: il volume delle acque di fusione della calotta glaciale artica è triplicato rispetto al 1975. Questo dato avvalora le osservazioni dei satelliti menzionate prima. Si è inoltre scoperto che le temperature medie dell'Oceano Artico sono aumentate di 1oC, le correnti aeree dei venti polari sono cambiate con un continuo abbassamento graduale della pressione atmosferica media con conseguente spostamento delle zone cicloniche e anticicloniche, mentre le correnti marine polari si sono indebolite e hanno spostato il proprio centro di rotazione. Un ecosistema sensibile come quello artico reagisce di conseguenza: la salinità dell'acqua è risultata profondamente cambiata negli ultimi ventidue anni in conseguenza della maggiore immissione di acque dolci di fusione dei ghiacciai, così sono variate le concentrazioni di alcune specie di alghe e di altri organismi più complessi. Questi dati servono a due scopi: innanzitutto aiutano a capire se il clima sta cambiando secondo un ordine naturale, oppure se il riscaldamento del nostro pianeta dipende da cause umane, e la risposta ormai è decisamente incline ad addossarci le colpe; inoltre, i dati permettono di migliorare i modelli climatici e quindi la nostra abilità nell'usarli per predire gli scenari futuri di cambiamento globale del clima. Se è importante che ci si renda conto che il nostro clima è la risultante di molteplici fattori tra loro indissolubilmente collegati, ancora più necessario è che si diventi coscienti che è la sommatoria di tutte le azioni di ognuno di noi a indurre questi cambiamenti. Dovremmo assumere comportamenti commisurati alla serietà della situazione in modo da partecipare attivamente alla riduzione delle immissioni di gas a "effetto serra" nell'atmosfera. E' stato calcolato che la sommatoria di opportune piccole azioni intraprese da ogni essere umano può ridurre drasticamente la quantità di questi gas; tra queste ricordiamo: maggior utilizzo dei mezzi pubblici, ricambio dei frigoriferi di vecchia generazione con quelli privi di gas nocivi nel sistema di raffreddamento, la sostituzione delle lampadine classiche con quelle elettroniche a basso consumo, mantenimento della temperatura di casa non oltre i 18o-20oC, contribuzione alla raccolta differenziata dei rifiuti e, soprattutto, votare quei politici che tengono nel dovuto conto il problema, in antitesi a quel parlamentare italiano che pochi anni fa dichiarò che "queste storie del cambiamento del clima sono tutti isterismi da ambientalisti". Alessandro Tibaldi Università di Milano


BIOETICA Gli islandesi venderanno il loro Dna?
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: BIOETICA, GENETICA, RICERCA SCIENTIFICA, INDUSTRIA
ORGANIZZAZIONI: ROCHE
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ISLANDA

LA notizia circola da qualche giorno e in modo un po' brutale potremmo riassumerla così: l'Islanda ha deciso di vendere il patrimonio genetico dei suoi cittadini a un'azienda farmaceutica perché possa fare ricerche sui meccanismi ereditari. Il prezzo è rispettabile ma non esoso: 200 milioni di dollari. La Roche, versando la somma, si impegna ad analizzare i dati entro cinque anni per poi sviluppare nuovi farmaci e nuovi test clinici. Perché il Dna degl'islandesi sia così interessante è presto detto: questa popolazione, per il suo isolamento, è caratterizzata da una eccezionale omogeneità. Si vede anche dal di fuori: quasi tutti con occhi azzurri, capelli biondi, carnagione chiara. Tanta omogeneità permette di studiare meglio le variazioni genetiche, perché toglie quel rumore di fondo che disturba invece l'analisi di popolazioni derivate da molti incroci. Il caso islandese però non è solo interessante scientificamente. Lo è anche dal punto di vista giuridico e sociale. Ci dobbiamo domandare, infatti, chi sia il proprietario delle informazioni genetiche di un intero Paese. Certo, ciascun cittadino è padrone del proprio Dna. Ma il fatto di essere cittadini di uno Stato, con diritti e doveri derivanti da questa condizione, può cambiare in parte la prospettiva? Lo Stato ci chiede già di fare il servizio militare, di cedere una fetta del reddito e così via. Quindi, se sono in gioco interessi collettivi, lo Stato-padrone, in qualche misura, è già accettato. Può questo essere il caso? Un problema ulteriore è di tipo economico: di chi sono i 200 milioni di dollari? Del fisco o di coloro che, tra i 270 mila islandesi, aderiranno? La controversia è aperta, in Islanda e nel mondo. La riservatezza dei dati, comunque, dovrà essere tutelata (tra l'altro si stima che il 10 per cento della popolazione abbia paternità diversa da quella registrata all'anagrafe), e così la libertà personale di aderire a questa ricerca. Ma l'aspetto davvero cruciale sta nel fatto che questa indagine genetica di massa costituisce un caso nuovo nella storia della scienza. La sua utilità potrebbe essere grande, ma il prezzo da pagare, per esempio in tema di privacy, non è da meno. D'altra parte, oltre al profitto di un'azienda, è in gioco anche il vantaggio che da eventuali scoperte potrebbe venirne all'intera umanità: da questo punto di vista gli islandesi dovrebbero avvertire addirittura l'imperativo morale di aderire alla ricerca. E forse un ente dell'Onu come l'Organizzazione mondiale della Sanità dovrebbe far sentire la sua voce. Ecco: questi sono discorsi seri e importanti. Ma la bioetica, in Italia, sembra un dominio riservato a Dario Fo. Piero Bianucci


PSICOLOGIA DELLA MADRE SINGLE I guai dei bambini orfani di spermatozoo La tecnica riproduttiva che ha entusiasmato le femministe estreme
Autore: CAROTENUTO ALDO

ARGOMENTI: PSICOLOGIA, BIOETICA, RICERCA SCIENTIFICA, MEDICINA, DONNE, BAMBINI
LUOGHI: ITALIA

LE ultime notizie che ci vengono dal campo della ricerca biomedica ci prospettano la possibilità che una donna possa concepire e mettere alla luce un bambino senza alcun concorso maschile, utilizzando il suo stesso Dna o quello di un'altra donna. Ovviamente, come è avvenuto nel caso della clonazione, e come sempre avviene quando i risultati della ricerca scientifica sembrano, più o meno a ragione, sovvertire le leggi della natura e della tradizione, la questione ha suscitato orrore in alcuni ed entusiasmo in altri, o meglio in altre. Le associazioni per i diritti delle lesbiche sono state le prime a salutare l'annuncio degli scienziati come una grande vittoria del genere femminile: finalmente le donne potranno decidere come e quando riprodursi, sole o in coppia. E così, anche l'ultimo baluardo del "potere" maschile, arroccato nella "capacità fertilizzante" degli spermatozoi, sarà espugnato. Già ora, infatti, le tecniche di fecondazione artificiale permetterebbero a una donna di avere un figlio senza alcun diretto coinvolgimento maschile. Ma in questo caso, seppure mediata, una relazione con l'altro sesso rimane: è sempre necessario che un uomo - seppure sconosciuto - metta a disposizione il proprio seme. La questione di fondo, in ogni caso, sembra ruotare intorno all'interrogativo se sia giusto o no che una donna metta al mondo e allevi un figlio da sola. Personalmente non condivido queste apprensioni: ci sono sempre state donne che si sono trovate nella condizione, anche se non cercata, di dover crescere la prole senza l'aiuto del compagno, morto o fuggito che fosse. E allora perché dovrebbe risultare impossibile adesso, solo perché si tratterebbe di una condizione cercata e attivamente perseguita? Il vero problema è altrove e, come sempre, ci si perde a discutere degli aspetti secondari. Non è, infatti, un dilemma di etica, di morale o di educazione - giacché molti bambini si trovano a crescere, per avverse situazioni, senza un genitore, se non addirittura senza entrambi, e ciò non comporta necessariamente un disturbo dello sviluppo -; piuttosto la vera domanda è: perché mai una donna dovrebbe scegliere tra il rapporto di coppia e l'individualità, optando per la seconda? Ho sempre sostenuto che il rapporto di coppia rappresenta una scelta più complessa e onerosa della vita da single, e questo in ragione del fatto che la presenza del partner ci obbliga a un confronto, non sempre gradito. Ma aggirare il problema della compatibilità caratteriale affidandosi all'autonomia delle proprie forze non è una soluzione. O, meglio, si tratta di una soluzione a metà: ci si affida a una visione ristretta della vita, certo più stabile, ma comunque unidirezionale, escludendo a priori il punto di vista altrui. Dire che ha a che fare con il dogmatismo sembrerebbe esagerato, ma la metafora rende bene l'idea di un'assoluta e incrollabile difesa delle proprie opinioni (giuste o sbagliate che siano). Nel caso specifico, direi che una donna propensa alla scelta solipsistica (ma se fosse un uomo sarebbe lo stesso) nasconde in questa scelta una complessualità di fondo: quantomeno una mancata accettazione dell'alterità che di per sè già richiama una fragilità relazionale. Partendo da questo presupposto, diventa allora lecito domandarsi che tipo di vissuti vengono trasmessi al figlio. Il suo equilibrio dipende dunque non dal fatto che sia nato tecnologicamente, ma dall'equilibrio del genitore che se ne prende cura. E, almeno in questo, la natura non fa alcuna differenza: le complessualità genitoriali si trasmettono ai figli, sia che essi siano stati concepiti in maniera naturale sia tecnologica. Mi sembra evidente che la nostra psiche è alimentata e trasformata dalle relazioni con le altre persone; ma una donna che odia gli uomini a tal punto da evitare persino la più naturale forma di rapporto, ossia l'atto procreativo, che messaggio trasmetterà al figlio? Suppongo disprezzo, risentimento e animosità; tutte cose che non hanno mai dato alla luce frutti che nutrano realmente. Quale che sia la ragione di tale atteggiamento, una madre farebbe bene a interrogarsi seriamente sulle proprie ragioni, e sui presupposti ad esse sottesi, prima di adempiere ad uno dei compiti più gravosi della sua esistenza: alimentare una nuova vita. Mi auguro solo che le delusioni, di qualunque natura, non debbano inaridirci a tal punto da pensare di poter fare a meno dell'amore. Aldo Carotenuto Università di Roma


L'OBESITA' MALATTIA SOCIALE Il rischio di quei chili in più Misurate il vostro indice di massa corporea
Autore: VAGLIO GIAN ANGELO

ARGOMENTI: ALIMENTAZIONE
LUOGHI: ITALIA, AMERICA, USA, EUROPA, ITALIA

FIN dall'inizio degli Anni 80 si è verificato negli Stati Uniti un costante aumento del numero delle persone in sovrappeso, tale da portare la percentuale di popolazione considerata clinicamente obesa dal 14,5 al valore attuale di 22,5. Non esistono dati completi sul fenomeno fuori dagli Stati Uniti, ma andamenti di crescita dell'obesità si manifestano in vari altri Paesi, come la Gran Bretagna, il Canada, il Brasile e l'Australia. E' notizia recente, comunicata nel corso di un seminario sull'obesità svoltosi a Torino all'inizio dello scorso dicembre, che undicimila torinesi, insieme con mezzo milione di persone in Italia e in altri otto Paesi europei, diventeranno dei "sorvegliati speciali" per tre anni allo scopo di individuare relazioni tra abitudini alimentari, obesità e rischi per la salute. L'eccesso di calorie assunte con il cibo rispetto a quelle spese nell'attività quotidiana è il maggior responsabile dell'accumulo dei grassi, fenomeno preoccupante per tutti i Paesi economicamente più avanzati, tanto che l'Organizzazione mondiale della sanità ritiene che l'obesità sia uno dei più gravi problemi del ventunesimo secolo per la salute umana ed il benessere. A partire dalla metà degli Anni 80, infatti, in molti settori la tecnologia ha fornito strumenti capaci di ridurre l'attività fisica e rendere il lavoro più sedentario, e inoltre sono diventati più disponibili cibi a basso prezzo e ad alto contenuto energetico. L'indice Bmi (Body mass index: indice di peso corporeo, o anche massa corporea), definito come peso in chilogrammi di un individuo diviso per il quadrato della sua altezza in metri, viene utilizzato per classificare in modo scientifico la popolazione in fasce caratterizzate da diverse aspettative di vita e differenti rischi per la salute. Sulla base del valore di questo indice sono considerati obesi gli individui con Bmi uguale o superiore a 30 e preobesi quelli con Bmi compreso tra 25 e 29,9. Una recente ricerca condotta negli Stati Uniti su di un campione di 115.000 donne, seguite per quindici anni, ha indicato minore rischio di morte prematura per la fascia con Bmi inferiore a 19. Rispetto a questo gruppo, il rischio cresce del venti per cento con Bmi compreso tra 19 e 25, del sessanta per cento con Bmi tra 25 e 29 e del cento per cento con Bmi superiore a 29. In una seconda ricerca condotta su di un campione ancora più consistente di donne e uomini è risultato che il più basso rischio di morte da qualsiasi causa per individui di età fino a 74 anni si ha con un indice di peso corporeo compreso tra 19 e 21,9. Mentre alcuni esperti discutono sull'entità dei rischi legati al sovrappeso, altri ritengono che non sia tanto l'eccesso complessivo di grassi, quanto piuttosto la loro localizzazione nel corpo a far aumentare la probabilità di danno alla salute. I grassi addominali, tipici di una struttura del corpo a "mela", sarebbero più dannosi di quelli concentrati nella parte bassa del corpo, tipici di una struttura a "pera". Ciò è da attribuire, secondo i ricercatori del Lawrence Berkeley National Laboratory (California), al fatto che le cellule del grasso addominale possiedono una maggiore capacità nello scindere i lipidi accumulati, causando un pericoloso innalzamento di glucosio e di trigliceridi nel sangue. A metà degli Anni 70 furono fatte nel New England Deaconess Hospital di Boston le prime ricerche sugli effetti derivati da una riduzione volontaria del peso. Per individui con forte sovrappeso, i risultati indicarono che già una riduzione del 10 per cento produceva significative cadute dei livelli di trigliceridi e di zucchero nel sangue, ed aumento delle proteine ad alta densità, capaci di ridurre il tasso di colesterolo e proteggere l'organismo contro le malattie cardiovascolari. Successivamente numerose osservazioni confermarono questi risultati, e cioè un evidente miglioramento dei problemi di salute legati all'obesità come conseguenza di una diminuzione anche modesta di peso, mentre non sempre furono constatate riduzioni nel tasso di mortalità per persone obese senza preesistenti malattie. Alcuni individui presentano una maggiore facilità ad acquistare peso, mentre altri apparentemente possono mangiare qualsiasi cosa senza peraltro dover aumentare la taglia dei loro abiti. Ciò è legato al fatto che il metabolismo, cioè l'insieme dei processi che trasformano il cibo nell'organismo per produrre energia, è più lento per alcuni che tendono quindi maggiormente ad aumentare il loro Bmi, rispetto ad altri con metabolismo più veloce. Ultimamente si sono scoperte nell'uomo proteine simili alle proteine chiamate "disaccoppianti" individuate parecchi anni fa in speciali cellule del grasso bruno, tipico di animali che vanno in letargo, come gli orsi. Le proteine disaccoppianti separano il processo di trasformazione dei cibi dal processo di produzione di energia chimica, per cui i cibi trasformati non danno energia corporea, ma calore che serve a mantenere sufficientemente alta la temperatura degli animali durante il letargo. Non è ancora dimostrato che le proteine disaccoppianti umane separino il metabolismo dalla produzione di energia, ma un'ipotesi interessante considera che variazioni di produzione o di attività di queste proteine possano causare in alcuni individui maggiore o minore velocità dei processi metabolici e, quindi, minore o maggiore tendenza ad accumulare grassi. Le ricerche proseguono e, forse, in futuro saranno a disposizione farmaci per combattere con successo l'obesità; nel frattempo le misure preventive sono ovvie, cioè attività fisica e riduzione della quantità di cibo ad alto contenuto energetico, che sembrano, comunque, soprattutto da parte di qualcuno, difficili da adottare. Gian Angelo Vaglio Università di Torino


LE TERMITI BRASILIANE Kamikaze in difesa del nido Ma è una cimice il loro vero grande nemico
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ETOLOGIA
NOMI: MILL ALAN, MCMAHAN ELIZABETH
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Diverse specie di termiti; T. La sezione di un termitaio

SI lanciano sul nemico ed esplodono come le auto imbottite di tritolo. Sono le termiti kamikaze di una ventina di specie brasiliane. Le ha scoperte il ricercatore Alan Mill della Southampton University. Questi autodistruttori appartengono alla casta dei soldati, i difensori dei termitai. Ciascuno di loro contiene nell'addome uno speciale liquido irritante. Se avverte all'intorno odori o vibrazioni sospette, si limita a tendere leggermente i muscoli addominali, in modo che una sola gocciolina di liquido giunga alla bocca e da qui venga spruzzata contro il nemico. E' un avvertimento che può risultare efficace nei confronti di animaletti poco aggressivi. Ma se si tratta di una formica (le formiche sono le peggiori nemiche delle termiti) che osa attaccarlo e morderlo con le sue potenti mandibole, il soldato contrae i muscoli addominali con una violenza tale che la sottile parete ventrale si spacca e l'intero carico di liquido viene proiettato all'esterno. Attaccato e attaccante rimangono inglobati nel liquido vischioso che si rapprende rapidamente all'aria solidificandosi. E muoiono entrambi, prigionieri della stessa trappola. E' finita l'epoca in cui sembrava che le termiti non ci riguardassero perché piaga dei soli paesi tropicali. Vivono e prosperano nella zona temperata due specie. Una è la formica dal collo giallo (Calotermes flavicollis) che si accontenta di aggredire il legno degli alberi morti e fa poco danno. L'altra è la termite lucifuga (Reticulitermes lucifugus), che aggredisce anche gli alberi vivi e attacca tutte le parti in legno degli edifici nonché la cellulosa dei libri. Si sono scoperti focolai termitici in archivi, biblioteche, musei, monasteri, edifici pubblici e privati d'Europa e Stati Uniti. Tecnici e studiosi sono mobilitati da tempo nella lotta contro le termiti. E le speranze si appuntano soprattutto sulla ricerca dei nemici naturali, perché l'arma più efficace per combattere gli insetti dannosi è sempre la lotta biologica. Finora sono stati scoperti due di questi nemici. Il numero uno è la Lomamya latipennis, un minuscolo insetto che vive allo stato larvale nei termitai della specie americana Reticulitermes hesperus. E' lì che lo hanno trovato e identificato due entomologi della Università di Berkeley, J. Johnson e K.S. Hagen. Quando ha fame, questa larvetta spruzza sulle termiti un getto di gas venefico che paralizza le vittime. L'effetto è fulmineo. Le termiti colpite cadono riverse e la giovane Lomamya se le può mangiare con tutta tranquillità. Le larve più grosse ne divorano anche sei in un boccone. L'azione del gas è persistente. Anche se lo sperimentatore interviene allontanando le larve killer, l'effetto del gas velenoso continua ad agire sulle termiti introdotte a bella posta nella zona appestata. E' ancora presto per cantare vittoria. Occorre isolare la sostanza antitermitica e controllare se sia efficace anche contro altre specie. Più sofisticato il comportamento del nemico numero due. L'ha descritto l'entomologa Elizabeth A. McMahan dell'Università della Carolina del Nord. E' un ospite abusivo delle termiti Nasutitermes. Appartiene alla famiglia delle cimici. Una famiglia malfamata per via della cimice dei letti che ci succhia il sangue, ma comprendente anche un gran numero di specie vegetariane. Si chiama Salvayata variegata ed è ghiottissima di termiti. Per poterle catturare, deve prima eludere la sorveglianza dei soldati che presidiano i termitai. E non è un'impresa da poco. I soldati hanno un naso allungato come quello di Pinocchio. E proprio da quel prolungamento facciale schizza fuori in caso di attacco la sostanza tossica e appiccicosa che abbiamo già detto. Ma la Salvayata non si scoraggia. E cosa fa? Aggira l'ostacolo, camuffandosi in modo da diventare irriconoscibile. I nidi delle termiti che intende attaccare sono fatti di un materiale simile a cartone e stanno appesi ai rami degli alberi come grossi frutti. La cimice riesce a sgretolare tante bricioline di quella sorta di cartone e se le attacca su tutta la superficie del corpo, usando come colla il secreto vischioso dei peli che la rivestono. Questo camuffamento visivo sarebbe inutile a rigor di logica, dato che sia le operaie che i soldati sono ciechi. Ma evidentemente insieme con quei pezzetti di cartone, la cimice si porta dietro l'odore del termitaio. Ed è appunto questo che trae in inganno il sensibilissimo olfatto dei difensori. I soldati non solo non la vedono, ma spesso le camminano addirittura addosso, scambiandola per un pezzo del nido. Appena trova un forellino nell'involucro del termitaio, la cimice vi sguscia dentro e si apposta. Ecco un'operaia che ignara viene verso di lei. Lesta, la cimice l'afferra e la trascina fuori. Prima che la poveretta possa rendersi conto di quel che sta accadendo, la trafigge con il suo apparato boccale, appuntito come un punteruolo cavo. E attraverso quella sorta di siringa, le inietta gli enzimi salivari che hanno il potere di liquefare chimicamente i tessuti, trasformandoli in una sorta di bibita. Così la Salvayata si succhia la preda liquefatta. Della vittima rimane solo l'involucro esterno vuoto. Quell'involucro però la cimice si guarda bene dall'abbandonarlo. Da quel momento le serve come esca per attirare altre termiti. Fa penzolare dal forellino d'ingresso i resti della vittima e immediatamente il suo odore richiama le compagne. Le termiti hanno l'abitudine di mangiarsi i loro morti perché nessun materiale nutritivo vada perduto. Sicché ecco una seconda operaia che si avvicina all'involucro e l'afferra per portarlo come riserva viveri nel cuore del nido. Ma la cimice non molla e siccome è più forte riesce ben presto a trascinarla fuori. In quattro e quattr'otto la liquida alla stessa maniera della prima. Con questo sistema la cimice si mangia in media otto termiti operaie per pasto. Ma la studiosa americana ne ha osservata una che nell'arco di tre ore riuscì a mangiarsene addirittura trentuno! Isabella Lattes Coifmann


SCIENZE A SCUOLA TANTE LE SPECIE ANIMALI A RISCHIO L'equilibrio spezzato che porta all'estinzione In concreto pericolo mammiferi, rettili, anfibi e perfino pesci
Autore: GIULIANO WALTER

ARGOMENTI: ECOLOGIA, ZOOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: WWF
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA
TABELLE: T. I dati in Italia secondo il Wwf

MENTRE tradizioni che sarebbe bene abbandonare infliggono - in mille sagre paesane e in palii internazionali - crudeltà gratuite agli animali usati come strumenti per incolti divertimenti, una parte delle società si interroga sempre di più su quale deve essere un atteggiamento responsabile nei confronti degli altri esseri viventi. I confini della bioetica tendono a divenire sempre più impalpabili per lasciare libertà d'azione a sperimentazioni la cui utilità, anche solo per sondare le frontiere della conoscenza, va messa in discussione. Alle soglie del nuovo millennio non è inutile una riflessione anche su queste aberrazione del comportamento dell'uomo. "I diritti degli animali, un dovere degli uomini" è lo slogan sotto cui è nata l'associazione "Animalisti Italiani" (via degli Ontani 32, 00172 Roma, telefono 06-232.325.69, e- mail: md3755&mclink.it) impegnata per salvare gli animali dalle crudeltà dell'uomo. Ma varrebbe la pena estendere l'approfondimento alla globalità del rapporto tra la nostra specie e gli altri animali. Un tema pesantemente segnato, in epoche recenti, dall'estinzione di specie a causa dell'impatto dell'uomo e delle sue attività economiche sull'ambiente naturale. Un problema che ha come prima conseguenza l'impoverimento di quella biodiversità la cui salvaguardia è stata assunta come impegno dell'intera umanità. Per l'Italia la questione è di grande responsabilità. Il nostro Paese è, in Europa, quello più ricco di diversità animale, con 57.344 specie. Ben il 68 per cento delle 543 specie di vertebrati presenti nella nostra penisola sarebbe tuttavia minacciata. E i vertebrati sono un indice significativo di uno stato generale dell'ambiente che non lascia presagire nulla di buono anche per le altre specie. Secondo un'indagine del Wwf sugli animali a rischio, in Italia su 9615 specie di uccelli sarebbero seriamente minacciate 875, a rischio di estinzione 704, in immediato rischio di estinzione 403. I dati per le medesime categorie, applicate a 4355 mammiferi, diventano rispettivamente 598, 612 e 484. Alle 497 specie di anfibi: 25, 75 e 49; tra le 2158 specie di pesci sono seriamente minacciate 101, a rischio di estinzione 443 e in immediato rischio di scomparsa 291. Se spostiamo l'attenzione a livello planetario, due specie su tre di uccelli sono in diminuzione e l'11% rischia l'estinzione; il 25 per cento dei mammiferi va incontro alla stessa sorte e il 14 per cento in tempi molto ristretti. Altrettanto grave la situazione delle 24. 000 specie di pesci classificate, mentre solo un quinto dei rettili e un ottavo degli anfibi è stato studiato sotto il profilo dello stato di conservazione e i risultati non indicano una buona salute, con una percentuale tra il 20 e il 25 per cento di specie minacciate. Altro problema non secondario, in carenza di una piramide ecologica efficiente e di catene alimentari compromesse dall'intervento umano, è quello del controllo delle popolazioni di determinate specie particolarmente prolifiche e/o senza più controllori naturali. Sono presenti in letteratura casi eclatanti, si pensi ad esempio ai conigli in Australia, ma anche in tempi recenti su aree più limitate, non mancano preoccupazioni nel controllo delle popolazioni animali. I cinghiali, o gli ungulati in talune aree protette stanno creando preoccupazione per i danni al patrimonio vegetale, coltivato o naturale. Inutile dire che l'ottimo si avrebbe con la ricostituzione degli equilibri naturali primigeni. Uno sforzo in questa direzione si sta da tempo producendo con la reintroduzione di determinate specie, ma ciò richiede tempi biologici non su breve periodo. Ed allora occorrono progetti specifici che di volta in volta, possono essere predisposti. Lo studio del passato può essere di grande utilità, e l'apporto di varie discipline, dall'archeologia alla storia, dall'etnologia alla zootecnia, alle scienze naturali, può rivelasi importante nella ricerca di nuovi comportamenti. Il problema della corretta gestione delle popolazioni animali, che significa prima di tutto la loro salvaguardia, parte infatti dai cacciatori paleolitici e arriva ai responsabili della gestione degli attuali parchi. E' indispensabile trovare un punto di compatibilità tra l'utilizzazione delle specie animali e la loro sopravvivenza a lungo termine. L'esperienza dell'allevamento può essere punto di riferimento, senza dimenticare che anche tra le razze selezionate nella storia umana ce ne sono che rischiano l'estinzione. Sulla base delle riflessioni espresse all'inizio la gestione della fauna va affrontata considerando anche l'effettiva indispensabilità di certi comportamenti nei confronti delle altre specie viventi. Perché se effettivamente il nostro antenato della notte dei tempi trovò vantaggio dalla caccia è altrettanto sicuro che oggi possiamo senza alcun riflesso negativo rinunciare a certe abitudini che nulla aggiungono al nostro benessere ma che in compenso infliggono ingiustificate sofferenze ai nostri compagni di viaggio sul pianeta Terra. Walter Giuliano


SCIENZE A SCUOLA IN ORIGINE ERA L'"INCENSO DI GIAVA" La storia della parola benzina Poi vennero i fiori di benzoino e il benzene
Autore: FRANCESCHINI ALFREDO

NOMI: IBN BATTUTA
LUOGHI: ITALIA

LA storia della parola benzi na è lunga e contorta. Incomincia verso la metà del XIV secolo, quando un emulo arabo di Marco Polo, Ibn Battuta, torna da un lungo viaggio in Asia e racconta di un bel balsamo che gli abitanti di Sumatra si procurano incidendo la corteccia di un albero. Un balsamo, scriverà il naturalista Mattioli, "odoriferissimo, trasparente, soave al gusto". Ibn Battuta chiama quel balsamo Luban Giawi, cioè "incenso di Giava" (gli arabi del suo tempo confondono Giava con Sumatra). Ma in Europa le due parole diventano una sola perdendo per di più la sillaba iniziale, scambiata per l'articolo determinativo (altre volte, come in almanacco o alchimia, successe l'inverso: l'articolo arabo al venne creduto parte integrante della parola cui era applicato). E così, verso il 1430, per indicare quel balsamo si trova documentato il vocabolo catalano Benjuì, e nel 1461 l'italiano Benzoì; nei secoli seguenti si avranno numerose varianti, come Belzuino o Belgiuino, ma alla fine a prevalere sarà Benzoi no. Oggi è sotto tale voce che i dizionari indicano la resina ricavata dallo Styrax Benzoin, albero della famiglia delle Stiracacee: trova impiego in cosmetica per il profumo gradevole, in medicina per le proprietà antisettiche. Torniamo indietro, al 1608, quando esce postumo il " Traité du feu et du sel" del francese Blaise di Vigenere: in esso si dice fra l'altro che, riscaldando il benzoino e raffreddandone i vapori, si ottiene una polvere bianca: i "fiori di benzoino". La natura di questa polvere verrà stabilita soltanto nel 1832, da due famosi chimici tedeschi: Liebig e Wohler. Si tratta di una sostanza con formula bruta C7H6O2, a reazione acida; e poiché è un acido (in tedesco Saure), derivato dal benzoino (in latino medievale Benzoe), il suo nome sarà Benzoesaure (il nostro acido benzoico). Un anno più tardi un altro chimico tedesco, Mitscherlich, con il suo allievo francese Peligot, riscalda acido benzoico con calce; ottiene un distillato incolore, odoroso, infiammabile, con formula C6H6: giacché proviene dal Benzoesaure lo chiama benzin. L'anno seguente Liebig ne approfondisce lo studio, e lo denomina Benzol, per l'apparenza oleosa. Ma il nome definitivo sarà Benzene, poiché i chimici riserveranno la desinenza -olo ai composti contenenti l'ossidrile -OH: come etanolo, metanolo, fenolo. La "Benzin" del Mitscherlich era dunque, in realtà, il Benzene, il capostipite degli idrocarburi aromatici. Che, per inciso, era già stato scoperto nel 1825 da uno scienziato oggi celebre per tutt'altri studi: Michael Faraday. Una azienda inglese, la Portable Gas Co., produceva a quei tempi gas illuminante pirolizzando oli di balena e merluzzo. Per distribuirlo agli utenti il gas veniva compresso in bombole, al cui fondo si raccoglieva un liquido oleoso; ma ciò privava il gas di parte del suo potere illuminante, e l'azienda affidò a Faraday un'indagine sui possibili rimedi. Egli cominciò analizzando il liquido, e stabilì che conteneva carbonio e idrogeno, nel rapporto atomico 2 a 1 (il rapporto vero è 1 a 1): lo chiamò quindi bicar buret of hydrogen. Si trattava in realtà del benzene. Ma torniamo alla "Benzina": il neologismo viene usato per anni come sinonimo di benzene o benzolo. La terminologia chimica si va però precisando, come abbiamo visto, e con il tempo il termine passerà a designare - per analogia di caratteri fisici - una delle frazioni basso- bollenti che si ottengono nella distillazione del petrolio. In principio l'uso è quello di smacchiatore: nel 1887 il Petrocchi, nel "Dizionario della Lingua italiana", dice che "s'adopra comunemente per smacchiar panni"; così ancora nel "Vocabolario etimologico della lingua italiana" del Pianigiani, 1907, e nel " Vocabolario nomenclatore" del Premoli, 1909. Salvo errore bisogna arrivare al 1914 perché Orsat Ponard, nel suo "Vocabolario delle idee", parli dell'uso come carburante per motori. Come si vede, a partire dall'incenso di Giava, il cammino è stato lungo. E, curiosamente, quel cammino è intrecciato con quello di un'altra parola oggi assai diffusa: "polistirolo". Si tratta di un polimero ben noto, specie per le applicazioni allo stato espanso, come isolante termico o come materiale da imballaggio. Come si usa, il polistirolo si prepara polimerizzando lo stirolo, un idrocarburo aromatico simile al benzene (oggi più correttamente chiamato stirene, per le ragioni viste prima). Esso deve il suo nome al fatto di essere stato per la prima volta ottenuto, da Gerhardt, partendo dallo "storace" (in latino styrax), una resina solida, odorosa, usata al posto dell'incenso nella Chiesa orientale. E questa resina si raccoglie incidendo la corteccia dello Styrax officinale, un albero parente stretto dello Styrax Ben zoin: quello stesso cui siamo debitori della nostra "benzina". Alfredo Franceschini


IN BREVE Premio Federchimica "Futuro Intelligente"
ARGOMENTI: CHIMICA, PREMIO
ORGANIZZAZIONI: PREMIO «FUTURO INTELLIGENTE»
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

E' bandita la nuova edizione del Premio "Futuro Intelligente", promosso da Federchimica per la promozione della ricerca e per la diffusione di una corretta informazione scientifica, particolarmente nel settore chimico. Si può concorrere con articoli, documentari, studi. Una sezione è riservata a neolaureati e laureandi. Per informazioni: 02-2681.0275. Su Internet si può vedere il sito: www. cloro.org


SCIENZE A SCUOLA LA LEZIONE / SCIROCCO, LIBECCIO... Quando l'aria diventa vento Le cause di fenomeni locali coma la bora e il fohn
Autore: VARALDO ANTONIO

ARGOMENTI: FISICA, METEOROLOGIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D.

DA bambini si pensa che sia il movimento delle piante a creare il vento. Più avanti si comprende che le cose non stanno proprio così, ma non sempre divengono chiare genesi e dinamica dei moti d'aria. Il vento si origina quando l'aria si sposta, seguendo direzioni pressoché orizzontali, per compensare la non uniforme distribuzione negli strati inferiori dell'atmosfera; distinguendo zone dove l'aria è dilatata e spinta verso l'alto (bassa pressione) da zone dove è concentrata e compressa al suolo (alta pressione) si ha spostamento dall'alta verso la bassa pressione. L'esempio più chiaro di questo meccanismo si osserva quotidianamente lungo le linee di costa, tra mare e terraferma; durante il giorno l'energia solare viene assorbita in modo differente dalle diverse superfici: infatti l'acqua, in continuo rimescolamento, porta il calore verso profondità maggiori di quanto non accada sulla terraferma, dove il calore si concentra negli strati superficiali. Differenti risultano quindi anche le conseguenze per le masse d'aria a diretto contatto con tali superfici: l'aria al di sopra della terraferma si surriscalda rispetto a quella sovrastante la superficie marina, si espande, e origina un'area di bassa pressione relativa; al contrario sul mare l'aria è meno dilatata e si ha l'alta pressione. Ecco le premesse allo spostamento di aria dal mare verso terra noto come brezza di mare. Con l'arrivo della notte la situazione si inverte (brezza di terra), poiché l'acqua, che mantiene più a lungo il calore, risulta meno fredda della superficie terrestre. Anche per i monsoni, caratteristici venti stagionali, si può ricorrere ad un modello simile, paragonando l'estate al giorno e l'inverno alla notte. Nel bacino del Mediterraneo i principali venti hanno specifiche denominazioni, attraverso le quali si viene immediatamente a conoscenza della direzione di spostamento dell'aria, della posizione di alte e basse pressioni e dell'area geografica coinvolta; così il maestrale è afflusso di aria fredda proveniente da Nord-Ovest, attraverso la valle del Rodano, dovuto alla presenza di una depressione sul Mediterraneo. Lo scirocco è un vento secco proveniente da Sud-Est che, attraversando il mare, si carica di umidità e giunge quindi sulla penisola italiana portando brutto tempo; la sua azione è collegata direttamente anche all'innalzamento delle acque nella laguna di Venezia, in quanto determina la spinta d'acqua dal basso verso l'alto Adriatico. Per tramontana si intende il forte vento freddo proveniente da Nord, conseguenza della permanenza di un'area di alta pressione sull'Europa centro- orientale; manifestazioni locali dovute a situazioni bariche di questo genere sono anche la bora, violento e gelido vento tipico del golfo di Trieste, ed il fohn, vento caldo e secco che spira sulla Pianura Padana dopo aver valicato l'arco alpino: in quest'ultimo caso la massa d'aria subisce raffreddamento, poiché costretta a risalire i versanti alpini, e quindi cede umidità con abbondanti precipitazioni, per poi ridiscendere, riscaldandosi, lungo i versanti opposti. Antonio Varaldo


TECNOLOGIA SPAZIALE Satelliti economici, quasi fatti in casa Palline di polistirolo per proteggere i più comuni componenti elettronici
Autore: RIOLFO GIANCARLO

NOMI: BOER FABRIZIO, BODINI AMEDEO, JOBS STEVE, WOZNIACK STEPHEN
ORGANIZZAZIONI: NEGESAT, APPLE
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

CHI ha dimestichezza con l'industria spaziale conosce la parola d'ordine: ridurre i costi per rendere l'orbita terrestre accessibile a tutti i possibili utilizzatori. Così si cerca da un lato di realizzare mezzi di lancio più economici, dall'altro di standardizzare la costruzione dei satelliti. Per tagliare i costi, ci sarebbe anche un'altra strada: impiegare componenti elettronici e meccanici di normale produzione al posto di quelli progettati appositamente per lo spazio. L'idea si scontra, però, con l'esigenza di operare in condizioni estreme, nel vuoto e con un'escursione termica violenta. Una soluzione potrebbe essere quella di incapsulare le apparecchiature in una struttura capace di mantenere al suo interno le stesse condizioni della Terra. E' questa la proposta di una minuscola azienda italiana: la Negesat (NEw GEneration SATellite), che sta realizzando un piccolo satellite di nuova concezione. Se qualcuno immagina un centro ricerca con decine di camici bianchi è fuori strada. Il laboratorio è ricavato nel garage in una villetta a Ciriè, comune a pochi chilometri da Torino. Fabrizio Boer, uno dei due soci, è un ingegnere aeronautico poco più che trentenne. Per alcuni anni ha lavorato al progetto del modulo "Columbus", destinato alla stazione spaziale internazionale, ora in via di realizzazione. Con lui, Amedeo Bodini, anch'egli ingegnere, ex dipendente dell'Agenzia spaziale europea. I due stanno lavorando a un veicolo, al cui interno gli strumenti non sono fissati a una struttura di supporto, bensì immersi in una miriade di palline di polistirolo di otto millimetri di diametro. Questo " riempitivo", leggerissimo, protegge le apparecchiature dalle sollecitazioni del lancio. Inoltre, serve a dissipare l'energia termica prodotta dagli equipaggiamenti elettrici. La superficie delle palline è ricoperta, infatti, da un sottile velo di acqua demineralizzata, che conduce il calore, ma non l'elettricità. Soprattutto, dentro il guscio del rivestimento esterno, la pressione è quella dell'atmosfera terrestre. "Avere equipaggiamenti elettronici che lavorano a pressione ambiente e a temperature costanti - spiega Boer - vuol dire abbattere costi di sviluppo e di qualificazione. Il nostro obiettivo è far volare componenti commerciali, più avanzati e meno cari di quelli oggi impiegati nello spazio. Stiamo costruendo un prototipo per i test al suolo e siamo in contatto con alcune industrie del settore, interessate a sviluppare insieme il progetto". Il giovane ingegnere è sicuro si sè. Dopo tutto, partire da un'idea originale e da un laboratorio in un garage può sembrare poco, ma c'è un precedente, e anche illustre: Steve Jobs e Stephen Wozniack, i fondatori della Apple. Giancarlo Riolfo


IN BREVE Scienza e gioco in Cd-rom
ARGOMENTI: DIDATTICA, INFORMATICA
ORGANIZZAZIONI: TECNICHE NUOVE
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

La scoperta dell'atomo, tutto sugli uccelli, un corso elementare di spagnolo, come gli animali vedono il mondo con i loro occhi, la trasposizione multimediale del famoso romanzo di Jules Verne " Ventimila leghe sotto i mari": sono alcuni temi dei Cd-rom appena prodotti da Tecniche Nuove, particolarmente pensati per i ragazzi e per la diffusione della cultura scientifica. Naturalmente non mancano Cd-rom per giocare. Informazioni: 02-757.0220.


IN BREVE Settimana della Scienza
ARGOMENTI: DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

La "Settimana della cultura scientifica e tecnologica", giunta quest'anno alla nona edizione, si svolgerà quest'anno dal 21 al 28 marzo coinvolgendo migliaia di scuole, università, centri di ricerca, musei, associazioni e aziende in tutta l'Italia. Il tema per il 1999 è "Scienza e educazione". Quest'anno non ci sarà un calendario delle manifestazioni stampato ma elettronico, su Internet. L'indirizzo, sul quale a partire dal 15 febbraio gli organizzatori potranno inserire direttamente le le varie iniziative è il seguente: http://scienza.quipo.it/ scienza/99i/


IN BREVE Space University iscrizioni aperte
LUOGHI: ITALIA

L'International Space University anche quest'anno propone un programma di master in studi spaziali della durata di un anno a Strasburgo (Francia) dal 1o settembre 1999 al 28 giugno 2000 e un programma di Summer Session di 10 settimane in Thailandia dal 26 giugno al 4 settembre. Le iscrizioni sono aperte. Informazioni: Maria Antonietta Perino, e-mail: mariaprn&tin.it


ANTITUMORALI Un nuovo piccolo aiuto da una pianta del Tibet
Autore: BASSI PIA

ARGOMENTI: BOTANICA
NOMI: CASCINELLI NATALE, VERONESI UMBERTO
ORGANIZZAZIONI: ISTITUTO DEI TUMORI
LUOGHI: ITALIA

UNA serie di nuovi derivati antitumorali estratti da una pianta originaria della Cina e del Tibet, la Camptotheca acuminata, ha dimostrato di poter inibire la proliferazione dei tumori bloccando l'attività della topoisomerasi I, un'enzima essenziale per la replicazione del Dna della cellula medesima. Questi derivati sono in via di sperimentazione all'Istituto dei tumori di Milano con la collaborazione della casa farmaceutica Sigma Tau che per questo ed altri due progetti ha stanziato 60 miliardi di lire per tre anni di ricerca. Il direttore scientifico dell'Istituto dei Tumori, Natale Cascinelli, ha apprezzato la collaborazione tra istituzioni pubbliche e industrie private per promuovere la ricerca pura. Sperimentare nuove vie per combattere una malattia così multiforme e di varie origini come il cancro, è d'obbligo. Per esempio è in corso negli Stati Uniti e a Milano presso l'Istituto dei Tumori, una sperimentazione con il vaccino Hsppc, un agente immunoterapico ricavato dall'isolamento di complessi pepticidi tumore-specifici ottenuti da un campione di tessuto tumorale del paziente stesso, che ha la funzione di aumentare la risposta dell'organismo. L'equipe dei medici è coordinata dal dottor Parmiani. Altri interessanti risultati si stanno ottenendo all'Istituto Europeo diretto da Umberto Veronesi, dove la Sigma Tau sta collaborando allo sviluppo di un approccio radioimmunoterapeutico innovativo specifico per il tumore al cervello (glioblastoma). A piccoli passi con una vasta gamma di ricerche e sperimentazioni - come l'angiogenesi che "taglia" gli alimenti al tumore, agli anticorpi monoclonali carichi d'energia che aggrediscono le cellule tumorali e le distruggono, solo per citarne alcune - si arriverà un giorno a dominare totalmente le patologie tumorali. Per ora registiamo, dice Veronesi, che la mortalità in Europa è diminuita del 10%, percentuale che speriamo di elevare al 14 per l'anno 2000. Vent'anni fa non ci saremmo aspettati questi risultati, dovuti anche agli sviluppi della ricerca basata sulla biologia molecolare che ci ha svelato il meccanismo di replicazione della cellula tumorale. L'Italia tuttavia presenta una casistica preoccupante, ogni anno si verificano 280 mila nuovi casi che vanno ad aggiungersi ai 500 mila individui già ammalati.Pia Bassi


IN BREVE Un premio a tutela dell'ambiente marino
ARGOMENTI: ECOLOGIA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

E' bandito, come avviene dal 1989, il premio internazionale per l'ambiente "San Francesco - Cantico delle creature", rivolto in modo specifico alla protezione dei mari. Per informazioni ci si può rivolgere al presidente del premio, padre Bernardo Przewozny: 06-5150.3525.




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