TUTTOSCIENZE 9 dicembre 98


SCIENZE DELLA VITA UN DILEMMA IRRISOLTO Cavalli in pensione E' possibile salvarli dal macello?
Autore: MARTINENGO MARQUET ROBERTO

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ANIMALI, ANZIANI
LUOGHI: ITALIA

DAGLI Stati Uniti arriva una notizia di notevole interesse per gli animalisti. Lo Stato della California ha promulgato una legge che vieta la macellazione dei cavalli la cui carne veniva destinata ad uso alimentare, assimilandoli così ai "pet animals", come cani e gatti, ovvero considerandoli troppo intimi dell'uomo per poter essere destinati alla bassa od alta macellazione. La notizia si inserisce nel contesto di un problema già giunto a nodi cruciali in questi ultimi mesi anche in Italia. Per avvicinarci meglio al problema, occorre dare prima qualche dato. Il cavallo ha una vita naturale media che si aggira sui trent'anni e spesso li supera. La sua vita attiva e di lavoro è però molto più breve, a seconda del campo di attività in cui viene impiegato. Possiamo fare alcuni esempi, rammentando ai lettori che si tratta sempre di dati medi e suscettibili di eccezioni. Nel campo corse al trotto e al galoppo, la vita di lavoro di un cavallo è brevissima, dai 3 ai 6/8 anni, con un prolungamento per quelli in ostacoli di non molti anni. Dopodiché molte femmine e alcuni fortunati stalloni passano alla riproduzione. Per gli altri... carrozzella, cavallo da passeggiata o l'inevitabile macello. I soggetti da concorso ippico e da concorso completo di equitazione hanno una vita sportiva più lunga: dai 4 ai 14/16 ed eccezionalmente 18 anni. Poi, come sopra. Stessi dati per gli sport del polo, del volteggio, del dressage o per le attività da circo e ludiche in genere. Gli unici fortunati a morire di vecchiaia erano i cavalli per il lavoro agricolo. Finivano la loro esistenza tra le stanghe di un carro o davanti ad un aratro... ma non esistono più. Ora veniamo alle non allegre considerazioni pratiche. Un cavallo pesa mediamente da 350 a 600 kg, mangia ogni giorno, tra foraggio, biada e mangimi, 10-12 kg di cibo e beve una ventina di litri d'acqua. Ha bisogno di un box (3 metri per 4 minimo), o almeno di una scuderia e di un uomo - stipendiato - che lo accudisca, riservandogli quello che viene chiamato il "governo", che comprende: pulizia dell'animale, asporto del letame, rinnovo della lettiera sulla quale l'animale sta. Le spese sono quindi enormi. Un cavallo tenuto in scuderia in condizioni dignitose costa al proprietario non meno di 500.000 lire al mese se tenuto in una scuola di equitazione. Le spese salgono vertiginosamente se si ha scuderia privata e stalliere personale. Veniamo ora all'atteggiamento ufficiale. Lo Stato italiano possiede a Grosseto uno splendido allevamento di cavalli gestito da veterinari militari, con un gettito di 70/80 puledri l'anno, che vengono in seguito addestrati dalla Scuola di Cavalleria e da altri enti militari per fornire i quadrupedi necessari allo sport equestre militare, al reggimento carabinieri a cavallo, alle pattuglie in ordine pubblico ed altri impegni ove sia necessario l'impiego del cavallo. Il ferreo testo unico dell'amministrazione statale, e quindi militare, prevede però la riforma degli animali all'età di 16 anni, secondo un equo - ma arido - criterio che prevede a quell'età la fine della capacità funzionale. Lo stesso succede ai privati, alle scuole di equitazione e a tutti coloro che, a vario titolo, gestiscono e possiedono cavalli. Un animale zoppo, asmatico, o semplicemente vecchio, in una parola inutilizzabile, costa esattamente come un animale sano che lavora per il proprietario tutti i giorni. Non sono molti quelli che possono permettersi - pur desiderandolo - di spendere alcuni milioni l'anno in beneficenza. Ho visto proprietari in lacrime - quorum ego - salutare il proprio vecchio cavallo che saliva sul camion per seguire il suo triste destino. Ma le inesorabili leggi economiche, da quelle asettiche dello Stato a quelle di chi deve fare i conti con il proprio bilancio, sono ineluttabili. Non possiamo sapere se il provvedimento del ricco Stato della California preveda anche pensionati per cavalli non più attivi. In mancanza di ciò non è logico, nè funzionale proibire solamente la macellazione dei cavalli senza ulteriori provvedimenti. An diamo al pratico, in altre parole al cortile di casa nostra. Una recente manifestazione animalista a Milano ha impedito lo svolgersi di un'asta di cavalli militari destinati alla riforma. Nobile impegno che ha avuto l'effetto di sensibilizzare l'autorità militare, che ha per ora sospeso la riforma. Ma il problema è irrisolto. Tanto più che il giusto clima di rigore economico che si va manifestando nella pubblica amministrazione esercita pressioni per evitare ogni tipo di spreco. E obiettivamente non si può negare che mantenere come pensionato, per anni ed anni, un cavallo inutilizzabile ai fini pratici sia economicamente sbagliato. L'unica soluzione era stata trovata, individualmente, per qualche cavallo particolare. La Scuola di Cavalleria di Montelibretti teneva nel suggestivo "prato delle querce" fino alla fine cavalli come "The Rock" che, tra Olimpiadi, campionati del mondo, europei e ogni altro genere di competizioni internazionali aveva fatto salire il tricolore sui pennoni di tutto il mondo. Ma sono stati pochi, questi cavalli fortunati, e rigidamente selezionati in base al loro curriculum. Per gli altri...il regolamento. I militari indugiano attendendo decisioni politiche. I privati continuano, anche se con dispiacere, ad eliminare i soggetti non più utilizzabili. Pur appartenendo alla ristrettissima schiera dei cavalieri che pensionano i propri vecchi cavalli con immaginabili danni economici, non posso negare che il problema è per ora senza soluzione. Valide le ragioni dei medici che prescrivono carne di cavallo agli anemici. Valide le ragioni di importatori, allevatori e macellai di equini da carne. Valide le ragioni economiche dello Stato e di quanti devono - per lavoro - mantenere un cavallo. Validissime le ragioni degli animalisti, con cui sentimentalmente mi schiero, non senza però invocare una soluzione. Quale? Purtroppo non ho risposte. R. Martinengo Marquet


PROGETTO DELLA PLANETARY SOCIETY Cerca E.T. nel tuo computer Nel '99 milioni di personal a caccia di extraterrestri
Autore: BONANNI AMERICO

ARGOMENTI: INFORMATICA, COMUNICAZIONI, ASTRONOMIA
ORGANIZZAZIONI: INTERNET
LUOGHI: ITALIA

NEL film "Contact" Jodie Foster scopre i primi segnali radio di una civiltà extraterrestre mentre armeggia con un computer portatile. Non è detto che le cose debbano andare per forza diversamente: entro febbraio '99 tutti i possessori di un personal computer collegato a Internet potranno dare il loro contributo alla ricerca di intelligenze extraterrestri (Seti, Search for Extra Terrestrial Intelligence). Chiave di tutta l'operazione, denominata "SETIhome", sarà un salvaschermo, uno di quei piccoli software che si mettono in funzione quando il personal computer viene lasciato inattivo per qualche minuto. Ma il SETIhome è più ambizioso: cercherà segni di vita intelligente al di fuori della terra. Il progetto è portato avanti dalla Planetary Society in collaborazione con il programma Serendip, dedicato alla caccia di segnali radio intelligenti in arrivo dalle stelle vicine. Gli scienziati di questo gruppo, appartenente all'università californiana di Berkeley, usano il radiotelescopio di Arecibo, il più grande e sensibile strumento del mondo. Anche se solo una parte delle sue capacità è dedicata a questo studio, la quantità di dati raccolta dall'antenna, costruita all'interno di una valle, è enorme. Milioni di radiofrequenze vengono ascoltate contemporaneamente alla ricerca di quelle caratteristiche che dovrebbero distinguere un segnale naturale da uno artificiale. L'analisi di circa 35 gigabyte prodotti ogni giorno è per il momento affidata a un supercomputer capace di 200 miliardi di operazioni al secondo. Ma non è sufficiente per una ricerca capillare. Così è nata l'idea di coinvolgere anche i milioni di personal computer collegati ad Internet in tutto il mondo. Ognuno di essi riceverà una piccola parte dei dati e lavorerà solo su quella. In pratica, chi volesse partecipare a SETIhome dovrà prima di tutto prelevare via Internet il software necessario e i primi dati da analizzare. Il sito è: http://setiathome.ssl.berkley. edu Lo spazio occupato sul proprio hard disk sarà di appena 20 megabyte. Installato il tutto sul computer, le operazioni andranno avanti automaticamente. Ogni volta che il computer resterà incustodito, magari per la pausa del caffè o per il pranzo, il programma partirà ed esaminerà le informazioni ricevute da Arecibo, il tutto mentre lo schermo mostrerà la zona del cielo esplorata e altre informazioni curiose sul progetto. Può sembrare solo un complicato videogioco, anche perché i produttori di Star Trek ne sono sponsor, ma fa emergere un fatto poco noto: facendo lavorare insieme i piccoli computer collegati a Internet (decine di milioni) si può ottenere una potenza di calcolo enorme, che è già stata sfruttata per qualche progetto sperimentale. Americo Bonanni


IN BREVE Con Bip-bip sai dove sei
ARGOMENTI: ELETTRONICA
LUOGHI: ITALIA

E' in arrivo "Bip-bip", primo localizzatore satellitare tascabile. Misura 7 per 4 per 2 centimetri e capta i segnali dei 24 satelliti Gps. Questi dati vengono scaricati via telefono su un numero verde di Viasat: di qui un operatore vi potrà offrire informazioni su ogni servizio disponibile nei dintorni del luogo in cui vi trovate: medici, posti di polizia, farmacie aperte, cinema, ristoranti, sportelli bancomat, parcheggi e così via. Per saperne di più: 06-439.88.270.


SCIENZE FISICHE. MACCHINE Guccini, Flaubert e il mulino (bianco?)
Autore: MARCHIS VITTORIO

LUOGHI: ITALIA

IL Mulino chiuse nel '58 - ricordano le Croniche epafaniche -, anche oggi quando vedo quelle moli inerti ancora coperte di polvere grigia e la grossa macina fuori scartata, le anelle attorno a casa che non reggono più i muli e i rodi sotto casa che perdono i catini con le leve che arrugginiscono e il bancone che pencola e le paratoie saldate dalle incrostazioni calcaree e il bottaccio secco e terroso pieno d'erbe e di lucertole viene una grande voglia di far correre ancora l'acqua e dar la molla alle macine, a tutte e cinque, a quella da granturco, alla Paola, a quall'altra da grano, a quelle due da roba nera e castagne, e sentire il rumore delle battole che sbatacchiano e mandano giù la roba stessa che si frantuma fra le due pietre e i palmenti che si riempiono, e aprire la porta dei rodi e vedere i catini impazziti che ruotano sul puntone appoggiato alla bronzina e lanciano acqua da tutte le parti in uno schiumeggiare cantante che finisce nel fosso sotto casa del gorello ed emerge cinquanta metri più sotto...". Le parole di Francesco Guccini rinnovano il quadro e la memoria di un'invenzione antica (la ricorda in epoca classica già Antipatro di Tessalonica in una poesia dell'Antologia Palatina) che diventò vera innovazione tecnologica soltanto nel Medioevo, quando il mulino ebbe una diffusione che oggi potremmo paragonare a quella del frigorifero o della lavatrice nel boom economico. Oggi, ma anche ieri, quando Gustave Flaubert nel Dizionario dei luoghi comuni alla voce mulino scriveva che "sta benissimo nei paesaggi". A parte gli spot pubblicitari o le ristrutturazioni contrabbandate spesso per archeologiche e industriali, ben poco resta e lo stesso ricco vocabolario dell'arte bianca si annebbia. Pochi sanno che il mugnaio, la cui iconografia ricorda la tranquillità di chi sa che altri lavorano per lui, doveva faticare con ritmo quasi settimanale per ravvivare le macine, abilmente scanalate per frantumare i chicchi. Vittorio Marchis Politecnico di Torino


SCIENZE FISICHE. TECNOLOGIA Il mouse avrà 450 funzioni Come sta evolvendosi il colloquio uomo-computer
Autore: VALERIO GIOVANNI

ARGOMENTI: INFORMATICA
NOMI: ENGELBART DOUGLAS
LUOGHI: ITALIA

DOPO Mickey Mouse, è il topolino più famoso del mondo. E come il personaggio dei fumetti non fa paura a nessuno. Stiamo parlando del " mouse" (in inglese, topo), il dispositivo che invia ordini al computer. Più o meno ergonomico, più o meno costoso e alla moda, è uno scatolino di plastica contenente, nella parte inferiore, una sferetta, che gli consente quindi di scorrere. Muovendo il mouse, e quindi la sfera, sul piano di lavoro, si può collocare il cursore (rappresentato di solito da una freccina) sul monitor del computer. I movimenti della sfera vengono letti da sensori interni e trasmessi al processore (il cervello del computer) attraverso la lunga "coda" del dispositivo. Inventato 35 anni fa da Douglas Engelbart dello Stanford Research Institute, il mouse è nato come una scatola di legno quadrata, poco più grande di come è ora. I prototipi si possono vedere visitando il sito Internet http://alto.histech.rwth-a achen.de/www/quellen/en gelbart/mouse.html Invece della pallina, che sarebbe arrivata dopo, c'erano due rotelline di plastica poste perpendicolarmente, che trasmettevano gli spostamenti nei due assi. Il dispositivo è stato brevettato nel 1970 proprio come "X-Y Position Indicator". Per gli amici (e per il lungo cavo che sporge come una coda), "mouse". Il soprannome è piaciuto così tanto che gli spagnoli lo chiamato "raton" e anche i francesi, di solito nazionalisti nel linguaggio informatico, hanno preferito tenere il nome "souris", topo. Nel 1984 con la nascita del rivoluzionario computer Apple Macintosh, il mouse è diventato indispensabile per rendere più intuitiva l'interazione tra uomo e macchina. E ora sta conoscendo una nuova giovinezza, con modelli sempre più ergonomici, sofisticati, anche per bambini. "FEELit" è l'ultimo arrivato e promette di far provare sensazioni fisiche come la rugosità delle superfici o le vibrazioni emesse da un oggetto. Per ora, le icone vengono aperte non con il solito doppio click, ma come se fossero pulsanti da premere. I suoi progettisti - sito Internet www.immerse. com pensano però in grande e immaginano un mouse in grado di percepire la trama di un tessuto, o un software didattico capace di rappresentare realisticamente fenomeni come la gravità o l'attrito. Altrettanto fantascientifico appare il modello "KeyHand", un mouse tondo che somiglia a un'astronave in miniatura, con nove tasti e quattrocentocinquanta funzioni complessive, in grado di sostituire comtemporaneamente mouse e tastiera. Assomiglia invece ad una saponetta "Twiddler", prodotto dall'americana Handykey fin dal 1992. Solo ora, agli albori del wearable computer (il computer da indossare), sta riscuotendo un discreto successo. Anche economico: se ne vendono due al giorno, ovviamemnte su Internet, al sito www. handykey.com Si usa, anzi, si suona, con una mano sola, proprio come si fa con gli accordi della chitarra. Ma invece di produrre note, scrive relazioni e impartisce comandi al computer. Sta in tasca, pesa meno di un etto, funziona anche per i mancini e costa 199 dollari (più 32 per la spedizione in Europa). Per utilizzarlo come mouse, si inclina nella direzione verso la quale si vuol " puntare" sullo schermo. Ma il segreto di "Twiddler" sta nei dodici piccoli tasti per le dita e nei sei per il pollice, in grado di riprodurre il comportamento di una normale tastiera. Ogni comando (lettere, numeri, simboli) è una combinazione di tasti come negli accordi musicali. I dattilografi comincino pure a prendere lezioni. Di chitarra. Giovanni Valerio


LE RICERCHE DEL PREMIO NOBEL Il nucleare secondo Rubbia Come fare centrali sicure e senza scorie
Autore: BATTISTON ROBERTO

ARGOMENTI: ENERGIA, FISICA, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: RUBBIA CARLO, ZECCHINO ORTENSIO
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA
TABELLE: G. Percentuali di elettricità generata per via nucleare

DA qualche anno il Nobel Carlo Rubbia si sta occupando, con l'originalità per cui è noto in tutto il mondo, di nuove applicazioni pacifiche del nucleare. Questa rivisitazione apre prospettive di grande interesse in molti campi: la produzione d'energia, l'eliminazione di residui radioattivi e del materiale fissile di origine militare, la produzione di isotopi di utilità medica, la propulsione spaziale. Alla base di queste proposte c'è l'idea di un nuovo metodo per sfruttare l'energia delle reazioni nucleari, evitando i problemi di sicurezza e di inquinamento che hanno arrestato lo sviluppo di nuove centrali nucleari nel mondo. Prendendo spunto dalle ricerche di Rubbia, il ministro dell'Università Ortensio Zecchino ha proposto di riprendere la ricerca nucleare in Italia, per sviluppare tecnologie nucleari molto più intelligenti e sicure che nel passato. L'"amplificatore di energia" è il primo risultato, in ordine cronologico, degli studi di Rubbia. Si tratta di un reattore a fissione basato sul ciclo del torio 232, un nucleo molto più ricco di neutroni (142) che di protoni (90). Mentre i nuclei di torio bombardati da neutroni possono spezzarsi liberando grandi quantità di energia, non è possibile raggiungere la massa critica, condizione in cui la reazione nucleare può autosostenersi o addirittura sfuggire al controllo, come nei reattori tradizionali. Il reattore al torio deve essere mantenuto attivo tramite un fascio di protoni che, investendo la massa fissile, produce un sufficiente numero di neutroni. Se l'acceleratore si ferma, viene meno il flusso di neutroni e si spegne il reattore. Siccome l'energia generata dal reattore è maggiore dell'energia necessaria a creare l'intenso fascio di protoni, il risultato netto è un guadagno di energia, che viene estratta dai nuclei di torio in regime sottocritico, cioè intrinsecamente sicuro. Paragonando l'energia prodotta da una centrale nucleare a quella liberata da una valanga di neve, le centrali nucleari tradizionali rappresentano dei pendii ripidi, su cui la valanga può attivarsi al minimo disturbo se non viene continuamente frenata da opportune barriere. La centrale al torio rappresenta invece un pendio non molto ripido, in cui la valanga deve essere sempre spinta perché ha una naturale tendenza a fermarsi. Essendo il torio più leggero dell'uranio, gli isotopi prodotti nella catena di reazioni nucleari sono molto meno pericolosi di quelli generati in centrali ad uranio o, peggio, al plutonio; questo è un altro grande vantaggio di questo metodo. La centrale al torio può addirittura diventare un "bruciatore nucleare" che distrugge i residui radioattivi creando energia. Si possono infatti "bruciare" i residui fissili delle centrali tradizionali ma anche quelli delle testate nucleari, trasformandoli in isotopi più leggeri e meno pericolosi, ricavandone allo stesso tempo grandi quantità di energia. Questa è forse l'applicazione più immediata del reattore al torio, dato il problema dell'immagazzinaggio del materiale nucleare derivato dalle centrali e dalle testate atomiche che vengono smantellate. Ma le potenzialità del nucleare " intelligente" non si fermano qui. La medicina nucleare, per esempio, ha un crescente bisogno di isotopi radioattivi per specifici trattamenti. L'Italia è completamente dipendente dall'estero in questo campo e importa ogni anno isotopi radioattivi per centinaia di miliardi per le cure dei tumori o per le radiografie Pet e Spect effettuate con traccianti radioattivi. Reattori nucleari basati sul principio dell'amplificatore di energia possono produrre grandi quantità di isotopi necessari in medicina generando un notevole ritorno economico. Infine arriviamo all'idea forse più affascinante di Rubbia, quella della propulsione spaziale utilizzando l'energia nucleare. In quarant'anni di esplorazione spaziale, i progressi nel campo della propulsione sono stati piuttosto limitati. Andiamo sì nello spazio, ma alla velocità delle tartarughe, viste le dimensioni degli spazi interplanetari. A queste velocità una missione umana su Marte richiederebbe un paio di anni in orbita, con tutti i rischi connessi. Sfruttando i risultati della sperimentazione effettuata al Cern per l'amplificatore di energia, Rubbia ha proposto un sistema che rivoluziona il problema della propulsione, sfruttando le proprietà nucleari di un isotopo dell'americio. Invece di usare l'energia delle fissioni nel modo tradizionale, i frammenti nucleari vengono usati per scaldare efficacemente un plasma che viene espulso dal razzo ad una velocità molto maggiore di quella che si ottiene con la combustione chimica convenzionale. Con pochi chilogrammi di americio si può ottenere la propulsione necessaria per ridurre a pochi mesi il tempo per andare e tornare dal Pianeta Rosso. Questa proposta, attualmente allo studio della Agenzia spaziale italiana, apre delle prospettive di enorme interesse per il futuro dell'uomo nello spazio. L'impiego pacifico del nucleare suscita ancora polemiche. L'unico contesto in cui a mio avviso si può affrontare questo dibattito è quello internazionale. Non solo per gli aspetti negativi legati alla possibilità di incidenti o di guerre, ma soprattutto per quelli positivi, perché i problemi che si possono affrontare con il nucleare, nel campo dell'energia, della medicina, dello spazio e dell'ambiente, sono problemi di portata planetaria legati al futuro dell'umanità sulla Terra ed al di fuori di essa. Nel caso delle applicazioni energetiche del nucleare, abbiamo assistito negli ultimi decenni ad un rapidissimo sviluppo che ha portato con sè anche inattese conseguenze negative che solo oggi possiamo valutare con precisione. Con il tempo si è perciò assistito a una correzione di rotta nel campo delle centrali nucleari tradizionali. Grazie anche ai risultati delle ricerche di Rubbia si può ricominciare a discutere sulle nuove, interessantissime possibilità che si stanno aprendo in questo campo: una occasione preziosa per affrontare costruttivamente un dibattito scientifico e strategico di alto livello, nel quale l'Italia può giocare un ruolo importante. Roberto Battiston Università di Perugia


SCIENZE A SCUOLA SABIN Il vincitore della poliomielite
AUTORE: BODINI ERNESTO
PERSONE: SABIN ALBERT BRUCE
NOMI: SABIN ALBERT BRUCE
LUOGHI: ITALIA

SU una colonna della XVIII dinastia egizia sono attestati casi di paralisi poliomielitica che inducono a pensare alla presenza della malattia nell'antichità: un'affezione che solo alla fine del Settecento compare nei trattati di anatomia patologica e che oggi, grazie a scienziati come Jakob von Heine, Rilliet, Barthez, Kussumaul, Landsteinez, Popper, Amstrong e Frank Gollan, e agli scopritori dei vaccini, Salk e Sabin, è quasi debellata in tutti i Paesi del mondo. "Un buon ricercatore deve avere un'enorme curiosità, tenacia e una grande onestà. Se una sua scoperta gli sembra troppo bella per essere vera, ci sono buone possibilità che non lo sia": queste parole Albert Bruce Sabin, lo scienziato americano di origine polacca morto 5 anni fa, ripeteva a chi lo intervistavano sulla realizzazione del vaccino e sul perché non avesse mai ricevuto il Nobel. Il premio fu invece dato nel 1954 ai ricercatori statunitensi John F. Enders, Frederick C. Robbins e Thomas H. Weller, per i loro studi sulla coltivazione del virus della poliomielite in colture di tessuti animali. Sabin è stato uno dei più grandi ricercatori della medicina del '900. A lui l'umanità deve la preparazione del vaccino attenuato orale contro la poliomielite. Dimostrò l'innocuità dei virus attenuati (assumendoli egli stesso e somministrandoli alle proprie figlie) e si impegnò nella diffusione del vaccino, adottato soprattutto in molti Paesi in via di sviluppo. Sabin nacque nel ghetto di Bialystock, in Polonia, il 26 agosto 1906. Figlio di un artigiano ebreo, emigrò a 15 anni in America. A vent'anni era uno studente modello di Odontoiatria alla New York University, ma dopo aver letto I cacciatori di microbi di Paul de Kruif ne rimase affascinato tanto da cambiare facoltà. Dopo la laurea in medicina andò a lavorare all'Università di Cincinnati (dove sarebbe rimasto per trent'anni) e divenne assistente del dottor William Parcker. Ma perché scelse di studiare la poliomielite? "Iniziai quasi per caso - spiegò in più occasioni - Avevo appena terminato gli studi alla facoltà di Medicina a New York nel 1931 quando scoppiò l'epidemia di polio". Fu in questo periodo che il giovane microbiologo fece la sua prima scoperta: dimostrò che la sede prediletta del poliovirus è l'apparato intestinale e non quello polmonare. Reperì e catalogò ben 2700 diversi ceppi virali e stabilì che essi rientrano tre tipi. Il vaccino Sabin fu introdotto prima in Unione Sovietica e nei Paesi dell'Est, nei quali nel 1961-'62 non si verificò nessun caso di polio. Dopo questi risultati e dopo che in un precedente esperimento non si verificò alcun caso di polio nei 181 mila bambini di Cincinnati sottoposti a questo tipo di vaccinazione, il vaccino Sabin fu introdotto anche negli Usa. In Italia arrivò nel 1964, ma l'obbligatorietà della vaccinazione fu solo due anni dopo: questo ritardo fu causa di quasi 10 mila casi di polio, con più di mille decessi e ottomila paralisi. Nella sua lunga carriera Sabin ricevette ben 40 lauree ad honorem in diversi Paesi. Ernesto Bodini


L'energia guardando al 2020
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: ENERGIA, FISICA, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: RUBBIA CARLO
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA
TABELLE: C., T. Numero di reattori nucleari in funzione nel mondo

IN questo momento nel mondo lavorano 437 reattori nucleari per una potenza di 352 mila megawatt. Trentasei nuovi reattori sono in costruzione, per 27.000 megawatt. Da questi dati l'energia nucleare sembrerebbe ancora in crescita. Ma non è così. Per fare una centrale occorrono almeno 10 anni e i piani energetici che ora arrivano in porto risalgono a una quindicina di anni fa: cioè all'era ante-Cernobil. Il nucleare è come una nave: la frenata è lunga, incomincia a molte miglia dalla costa. Mancano nuovi ordini di centrali nucleari: il freno è schiacciato, anche se non si vede ancora. In realtà, stiamo vivendo il crepuscolo dell'atomo. Svezia, Germania e Svizzera negli ultimi mesi hanno deciso una graduale uscita dal nucleare. La stessa Francia, che trae dall'uranio il 78% della sua elettricità, ora che i verdi sono al potere, dà segnali di svolta. Nel 2020 in gran parte le centrali oggi in funzione avranno finito il loro ciclo produttivo. E non saranno state sostituite. E' la fine del nucleare? No, è la fine di un certo nucleare, tecnologicamente vecchio e socialmente sempre meno accettato. Basti dire che gli attuali reattori, appartenenti ai due tipi ad acqua bollente e ad acqua pressurizzata, derivano ancora dai reattori militari sviluppati negli Anni 50 per i sommergibili. Nè sembra praticabile la via dei "reattori veloci", che sfrutterebbero l'uranio 50 volte meglio: Superphenix, in Francia, reattore veloce a partecipazione italiana e tedesca, ha avuto molti problemi e ora, sconnesso dalla rete elettrica, è ridotto a laboratorio sperimentale. Ma sono passati quarant'anni: di strada la tecnologia ne ha fatta, e se vogliamo rispettare gli accordi di Kyoto contro l'emissione di anidride carbonica, bisognerà tagliare i combustibili fossili e salvare il nucleare. Come si legge qui accanto, Carlo Rubbia propone reattori di nuova concezione, sicuri e capaci di divorare non solo le proprie scorie a lunga vita, ma anche l'uranio e il plutonio che sono la scomoda eredità del disarmo russo-americano. Nell'"amplificatore di energia" di Rubbia la reazione è innescata da protoni su un bersaglio di torio. Il fascio di protoni si accende e si spegne come una lampadina e il torio non può dare una reazione a catena; quindi la centrale è assolutamente sicura. Inoltre i prodotti di decadimento del torio hanno vita breve: non ci si deve più misurare con scorie che, come il plutonio, hanno tempi di dimezzamento della radioattività di 24 mila anni. Dunque il nucleare tornerà in questa sua nuova veste amichevole? A lungo termine certamente. Su tempi più brevi, dipende da vari fattori. C'è la lobby internazionale degli scienziati e delle industrie che lavorano alla fusione nucleare controllata, una tecnologia che promette energia pulita e a buon mercato, ma sta perdendo colpi: i tempi si allungano ormai al 2050 e gli Stati Uniti non hanno aderito a "Iter", progetto mondiale per la fusione, che a questo punto vacilla. Se i fusionisti fossero battuti, i soldi così risparmiati potrebbero servire allo sviluppo dei reattori a fissione di nuova generazione (la linea Rubbia). In questo senso si è schierato il nuovo ministro della Ricerca Zecchino alla Conferenza su ambiente ed energia che si è svolta pochi giorni fa a Roma. Anche per i reattori al torio, tuttavia, il passaggio dagli esperimenti alla commercializzazione richiederà 10-15 anni. L'ostacolo maggiore sta nel mercato: è difficile che l'industria investa in reattori della nuova generazione finché il petrolio costa pochi dollari al barile. E' lo stesso problema che rallenta lo sviluppo dell'energia solare: il kilowattora fotovoltaico costa sempre meno, ma il prezzo del petrolio è sceso ancora più rapidamente. Con tutto ciò, converrebbe finanziare, se non altro, lo sviluppo scientifico della linea Rubbia, in modo da essere pronti, e armati dei relativi brevetti, quanto i tempi matureranno. Un'ultima osservazione. Nel quadro mondiale, l'Italia è una anomalia: i referendum, fatti sull'onda di Cernobil, hanno ucciso non solo la nostra industria nucleare ma anche la formazione di fisici e ingegneri specializzati nel settore. Ora che le nostre centrali sono chiuse, non abbiamo neppure le persone competenti per smantellarle. Piero Bianucci


SCIENZE A SCUOLA IN LABORATORIO / GIOCARE CON LO STOMACHION La " scatola di Archimede" Un rompicapo geometrico dell'antica Grecia
Autore: PEIRETTI FEDERICO

ARGOMENTI: MATEMATICA
LUOGHI: ITALIA

IL manoscritto di Costantinopoli, un palinsesto contenente le opere di Archimede e venduto all'asta pochi giorni fa per 2 milioni di dollari (Tuttoscienze, 4 novembre 1998), ha riportato l'attenzione su un antico gioco greco dal nome curioso: Stomachion. Il grande scienziato siracusano dedicò alcune pagine alla presentazione del gioco, simile al più celebre Tangram, il "quadrato delle sette astuzie" (TuttoScienze, 14 gennaio 1998). Non sappiamo se sia stato lo stesso Archimede a inventare questo puzzle oppure, com'è più probabile, se ne abbia soltanto studiato le proprietà geometriche. Dello Stomachion parlano anche diversi autori latini che lo hanno ribattezzato la "Scatola di Archimede": Loculus Archimedius. Ausonio, poeta latino vissuto nel quarto secolo d. C., paragona lo Stomachion ad una poesia con versi di metriche diverse e in un suo manoscritto riporta la figura di un elefante, costruito con i 14 pezzi dello Stomachion. Per avere un modello dello Stomachion si parte da un quadrato che dev'essere diviso in 14 parti. Con questi pezzi, realizzati un tempo in avorio (e che oggi il lettore potrà realizzare più semplicemente in legno o in cartoncino), si ricompongono, oltre all'elefante di Ausonio, centinaia di oggetti, animali e personaggi, simili a quelli ottenuti con i 7 pezzi del Tangram. In figura è indicata la costruzione dello Stomachion. Si parte da un foglio a quadretti sul quale si segna un quadrato di 12 per 12 quadretti. Si divide poi il quadrato nel modo indicato e si ottengono i 14 pezzi del puzzle. Abbiamo così 11 triangoli, 2 quadrilateri e un pentagono. Calcoliamo l'area di questi poligoni applicando un teorema poco noto, ma praticamente molto utile, il teorema di Pick: "L'area di una figura geometrica i cui vertici siano punti di un reticolo è uguale alla somma del numero dei punti interni e della metà dei punti toccati dal contorno della figura meno un'unità". Se indichiamo con I i punti interni, T i punti del contorno, abbiamo la formula: I più 1/2T - 1. Questo teorema scoperto da George Alexander Pick, un matematico austriaco amico di Einstein, morto nel 1943 in un campo di concentramento, venne ripreso da Hugo Steinhaus nel 1950 in un suo libro, Matematica per istantanee, pubblicato in italiano da Zanichelli e considerato giustamente uno dei capolavori della letteratura sulla matematica divertente. In figura abbiamo riportato, come esempio, il calcolo dell'area di due poligoni, con il teorema di Pick, "la cui dimostrazione - osserva Steinhaus - non è ovvia", ma che non richiede, per essere applicato, particolari competenze matematiche e che ha diverse applicazioni pratiche. Ad esempio, per calcolare l'area di una piantagione, con gli alberi piantati a distanze regolari, sarà sufficiente applicare la formula che abbiamo appena visto. E' facile verificare con il teorema di Pick che lo Stomachion ha 2 pezzi di area 3 quadretti, 4 pezzi di area 6, un pezzo di area 9, 5 pezzi di area 12, un pezzo di area 21 e un pezzo di area 24. Lasciamo al lettore il piacere di scoprire nuove forme, grati se vorrà segnalarcele, e proponiamo un ultimo problema: comporre con i 14 pezzi tre figure geometriche le cui aree siano uguali allo stesso numero intero. Un'ampia presentazione dello Stomachion si trova nel sito della Drexel University: http://www.mcs. drexel.edu /~crorres/Archimedes/Sto machion/intro.html E un'attraente presentazione interattiva si trova alla pagina di Alex Bogomolny, nel sito della Mathematical Association of America: http: //www.maa.org/edito rial/knot/Pick.html Federico Peiretti


SCIENZE FISICHE. VITA IN ORBITA, IERI E OGGI Parla Garriot, pioniere dello Skylab Montati i primi due pezzi della Space Station
AUTORE: LO CAMPO ANTONIO
PERSONE: GARRION OWEN KAY
NOMI: GARRION OWEN KAY
ORGANIZZAZIONI: NASA
LUOGHI: ITALIA

DA qualche giorno i primi due pezzi della Stazione spaziale sono stati assemblati in orbita dagli astronauti dello Shuttle. "L'Italia è protagonista assoluta in questa impresa di cooperazione internazionale per lo spazio", dice Owen Kay Garriott, classe 1930, nativo di Enid, nell'Oklahoma, ex astronauta Nasa, oggi consulente del programma "Space Station". Garriot ha ricordato l'importanza del ruolo europeo e italiano in questo progetto spaziale durante una videoconferenza organizzata dal parlamento europeo a Bruxelles, in collegamento con alcune scuole medie europee, tra le quali gli Istituti Gobetti e Buonarroti di Genova. Padrone di casa, in veste di europarlamentare ed ex astronauta, Franco Malerba, che in passato lavorò con Garriott allo sviluppo dello Spacelab, il laboratorio pressurizzato dell'Agenzia Spaziale Europea. "Più della metà dei moduli pressurizzati è di fabbricazione italiana - ha ricordato Garriott - e l'Italia, grazie agli accordi con l'Asi e l'ottimo lavoro dell'Alenia, è l'unica nazione, Stati Uniti e Giappone a parte, in grado di sviluppare e realizzare moduli e laboratori che consentano all'uomo di vivere e lavorare nello spazio. Ho avuto l'opportunità, nel 1983, di partecipare alla prima missione dello Spacelab, precursore degli attuali moduli italiani, che verranno assemblati con la stazione spaziale. E fu un grande successo, sia come funzionalità, sia per l'aspetto scientifico. Spacelab infatti, ha consentito, anche nelle successive 15 missioni, di effettuare esperimenti, che hanno rappresentato il primo passo verso quelli che si faranno sulla nuova stazione orbitante". Garriott, già professore di ingegneria elettronica all'Università di Stanford, uno dei pochi ad aver viaggiato su una capsula "Apollo" e poi a bordo di uno Shuttle, è anche il vero pioniere della nuova generazione di astronauti, gli "specialisti di missione". " All'epoca ci chiamavano semplicemente astronauti-ricercatori. Io fui scelto con il primo di questi gruppi: eravamo in cinque ed era il 1964. Il programma Apollo non era nemmeno cominciato, ricordo che gli edifici di assemblaggio come il Vab erano ancora in costruzione, e razzi come il Saturno 5 erano ancora un progetto tutto da realizzare. Noi invece eravamo destinati allo spazio su un futuro laboratorio orbitante". Il progetto si concretò e Owen partì su una capsula Apollo sospinta da un Saturno 1-B il 28 luglio 1973 con Alan Bean e Jack Lousma, nella seconda missione diretta allo Skylab, forse il primo vero tentativo di stazione orbitante della storia. " Il volume abitabile non era quello che avrà la stazione spaziale una volta completata, 368 metri cubi contro 1200, ma per quell'epoca era molto. Furono 59 giorni di lavoro molto intenso, che ci consentirono di effettuare esperimenti medici, osservazioni e studi sul Sole, telerilevamento e realizzazione di nuovi materiali. Tutto questo non è stato possibile con lo Shuttle, l'abbiamo fatto di recente con i russi nei voli congiunti sulla Mir, e sarà uno dei fattori di grande importanza sulla nuova stazione orbitante. Insomma, il nostro vecchio Skylab resta una pietra miliare". "Con i suoi otto laboratori pressurizzati, e le nove piattaforme esterne - spiega l'ex astronauta - la stazione spaziale sarà un vero e proprio istituto di ricerca a 400 chilometri dalla Terra, per applicazioni che riguardano medicina, fisiologia, biologia, fisica, chimica, scienza dei materiali, astrofisica e scienze della Terra. Invece, sul fatto che possa servire per futuri viaggi su Luna e Marte come si è detto da qualche parte, ho qualche dubbio. Può essere utile, tuttavia, per procedere con gli studi sull'uomo nelle lunghe permanenze nello spazio". Antonio Lo Campo


SCIENZE FISICHE. IL NOBEL PER LA FISICA 1998 Quegli strani elettroni surgelati In certe condizioni la loro carica diventa frazionaria
Autore: LERDA ALBERTO

ARGOMENTI: FISICA, PREMIO
NOMI: TSUI DANIEL, STORMER HORST, LAUGHLIN ROBERT
ORGANIZZAZIONI: PREMIO NOBEL PER LA FISICA
LUOGHI: ITALIA

L'Accademia Reale di Svezia ha conferito il premio Nobel per la fisica del 1998 a Daniel Tsui della Princeton University e Horst Stormer della Columbia University per la scoperta dell'effetto Hall quantistico frazionario e a Robert Laughlin della Standford University per l'interpretazione teorica del fenomeno. La cerimonia di premiazione si svolge domani a Stoccolma. Come si legge nella motivazione, è stata premiata la scoperta di un nuovo stato quantistico della materia che si realizza quando un sistema di elettroni fortemente interagenti viene raffreddato a basse temperature e immerso in forti campi magnetici. Per spiegare questo fenomeno, cominciamo con il descrivere l'effetto Hall classico, dal nome del fisico americano Hall che lo scoprì nel 1879. Consideriamo un nastro conduttore lungo e sottile, percorso da una corrente elettrica che possiamo visualizzare come un insieme di particelle cariche (per esempio elettroni) che scivolano lungo il nastro. Se immergiamo questo sistema in un campo magnetico perpendicolare al nastro, gli elettroni vengono sottoposti a una forza che tende a farli deviare verso uno dei bordi. L'effetto di questo movimento è la comparsa di una tensione elettrica trasversale (cioè fra i due bordi del nastro) a cui è collegata una resistenza di Hall che risulta direttamente proporzionale all'intensità del campo magnetico che l'ha prodotta. Questo fenomeno ha avuto notevoli applicazioni pratiche e in particolare è stato sfruttato per costruire sonde in grado di misurare campi magnetici attraverso semplici misure di tensione elettrica. Nel 1980, poco più di un secolo dopo la scoperta di Hall, il fisico tedesco von Klitzing trovò che a bassissime temperature (272 gradi sotto zero) e in presenza di fortissimi campi magnetici (circa duecentomila volte più intensi del campo magnetico terrestre) la resistenza di Hall ha un comportamento radicalmente diverso da quello classico. In queste condizioni estreme, infatti, essa non varia con continuità proporzionalmente al campo magnetico applicato, ma al contrario risulta quantizzata, cioè al variare del campo magnetico essa assume soltanto un insieme discreto di valori. Questo andamento, verificato in un'ampia varietà di materiali diversi con una precisione di una parte su cento milioni, può essere formalizzato dicendo che l'inverso della resistenza di Hall è un multiplo intero di una determinata combinazione di costanti universali. Pur essendoci state negli Anni 70 alcune avvisaglie di una deviazione dal comportamento classico della resistenza di Hall, nessuno in realtà si aspettava una regola di quantizzazione così semplice e soprattutto un'accuratezza così elevata. Spiegare questo fenomeno fu dunque una sfida per i fisici teorici, subito raccolta da Laughlin, che nel 1981 propose una brillante interpretazione dei dati sperimentali basata sulle proprietà quantistiche universali che i singoli elettroni hanno quando sono costretti a muoversi su una superficie in presenza di un campo magnetico ad essa perpendicolare. In queste condizioni, come previsto da Landau nel 1930, gli ettroni sono vincolati a percorre solo particolari orbite circolari le cui dimensioni sono determinate dal campo magnetico; il numero delle orbite completamente riempite è proprio il numero quantico intero trovato da von Klitzing, che per questa scoperta ricevette il premio Nobel per la fisica nel 1985. L'effetto Hall quantistico è quindi una diretta e inequivocabile manifestazione della meccanica quantistica su scala macroscopica e per la sua straordinaria precisione, da alcuni anni viene usato come base per costruire le resistenze campione in numerosi Paesi. Ma i sistemi di elettroni vincolati a muoversi su una superficie avevano in serbo un'altra sorpresa. Nel 1982 infatti, Tsui, Stormer e Gossard studiando un semiconduttore di alta qualità a base di arseniuro di gallio, scoprirono che l'inverso della resistenza di Hall era quantizzato in multipli frazionari della costante universale scoperta da von Klitzing. Per questo si cominciò a parlare di effetto Hall quantistico frazionario. La prima frazione trovata fu 1/3, ma oggi esiste tutta una gerarchia di frazioni che sono state osservate in diversi materiali con una precisione di alcune parti su centomila. Mentre dal punto di vista sperimentale l'effetto Hall frazionario è molto simile a quello intero, dal punto di vista teorico la comparsa di numeri quantici frazionari del tipo di quelli osservati ha rappresentato un serio problema. Ancora una volta fu Laughlin a fornire una interpretazione del fenomeno. Secondo la sua teoria le bassissime temperature e i forti campi magnetici costringono il sistema di elettroni a condensare e formare un fluido quantistico di tipo complementare diverso da quelli prima conosciuti. Questo fluido ha molte proprietà speciali, ma forse la più spettacolare è la seguente: se uno aggiunge al sistema un elettrone, tutto il fluido ne risente e si creano dei movimenti collettivi che si comportano come particelle la cui carica elettrica è una frazione (per esempio 1/3) di quella dell'elettrone. E' difficile dire oggi quali possano essere sviluppi e applicazioni dell'effetto Hall quantistico frazionario, ma certamente esso è uno dei fenomeni fisici più interessanti e affascinanti perché può fornire nuovi spunti per capire meglio le proprietà fondamentali della materia. Fa piacere constatare che questi temi sono stati e sono tuttora oggetto di ricerca anche presso le università piemontesi. L'interesse per l'aspetto teorico ha avuto il suo impulso iniziale da Sergio Fubini del Dipartimento di fisica teorica dell'Università di Torino, di cui Laughlin è stato più volte ospite, mentre dal punto di vista sperimentale le ricerche vengono condotte principalmente da Giuseppina Rinaudo in collaborazione con l'ingegner Marullo dell'Istituto Elettrotecnico Nazionale Galileo Ferraris. Alberto Lerda Università del Piemonte Orientale


SCIENZE DELLA VITA CARDIOLOGIA Radioonde contro l'aritmia Inviate con una sonda fino al cuore
Autore: TRIPODINA ANTONIO

LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA
TABELLE: D. Le vie di conduzione dello stimolo cardiaco

IN condizioni normali non ci accorgiamo di avere un cuore. Questa inconsapevolezza dipende dal fatto che quest'organo svolge la sua pur faticosa funzione di pompa con un ritmo assolutamente regolare. Ritmo dettato dal "nodo seno-atriale" da cui sorge lo stimolo elettrico che, propagandosi attraverso vie specializzate prima ai due atri e quindi, dopo una breve pausa del "nodo atrioventricolare", ai due ventricoli, induce una contrazione sincronizzata delle quattro camere cardiache, in modo che il sangue sia spinto nel circolo polmonare e generale. Se percepiamo la presenza del cuore il più delle volte è perché viene turbata la formazione o la propagazione dello stimolo e insorge un'aritmia. La causa può essere extra-cardiaca (ipertiroidismo, anemia, ernia jatale, crisi d'ansia, eccesso di nicotina, di caffeina, di alcol, effetto di alcuni farmaci), o può essere insita proprio del cuore. Può ammalarsi il nodo seno-atriale, per cui possono aversi pause improvvise o periodi di marcata bradicardia (battiti cardiaci rallentati), con sintomi da scarso afflusso di sangue al cervello (vertigini, pre- sincopi, sincopi). Possono svelare la loro presenza vie di conduzione accessorie (residui della vita embrionaria) che, scavalcando il nodo-ventricolare, determinano una preeccitazione ventricolare, che può rimanere silente per tutta la vita, oppure minacciose tachicardie. Può capitare, infine (ed è l'evenienza più frequente) che a causa di patologie cardiache sottostanti (ischemia, valvulopatie, cardiomiopatie) venga esaltata l'eccitabilità delle fibre miocardiche, con la formazione di "foci ectopici" (cioè al di fuori delle normali vie di conduzione) che scaricano stimoli che inducono contrazioni cardiache anomale. Se il focus ectopico scarica stimoli saltuariamente, una volta ogni tanto, provoca extrasistoli; se scarica stimoli ripetutamente (per la formazione di circuiti autoperpetuantisi) a una frequenza molto elevata, ma regolare, provoca tachicardie o "flutter"; se scarica stimoli rapidissimi e in modo assolutamente irregolare (o se sono presenti più foci) provoca fibrillazioni. A seconda di dove è localizzato il focus aritmogeno, ognuna di queste artimie può essere atriale o ventricolare. Si va quindi da situazioni benigne che non chiedono alcun trattamento (se non l'eventuale correzione dello stile di vita), ad altre che fanno presagire un'evoluzione pericolosa e che esigono una terapia tempestiva. Fino a poco tempo fa l'unica terapia possibile era farmacologica, che rimane ancor oggi la prima scelta. Ma alcune aritmie sono refrattarie a qualsiasi farmaco e, per di più, i farmaci antiaritmici hanno dimostrato di essere un'arma a doppio taglio, potendo indurre alterazioni del ritmo ancora più pericolose di quelle che si vogliono curare. Si sono quindi cercate soluzioni alternative e negli ultimi anni si è avuta una vera rivoluzione nel trattamento delle artmie, protagonisti gli elettrofisiologi interventisti. L'elettrofisiologia cardiaca indaga, per mezzo di sonde che introdotte in una vena raggiungono il cuore, i processi di formazione e di propagazione degli stimoli elettrici. Ad essa dobbiamo, già da molti anni, l'applicazione del pace-maker e, più recentemente, del Cardiverter defibrillatore impiantabile (Cdi), sofisticati e miniaturizzati strumenti in grado di riconoscere e di interrompere nel giro di pochi secondi pericolose aritmie tramite uno stimolo elettrico. Ma il progresso più significativo è stato determinato dall'"ablazione transcatetere" mediante radiofrequenza. Questa tecnica consiste nell'erogazione, per mezzo di sonde che, introdotte in vena, raggiungono il cuore, di un'energia lesiva a livello della zona miocardica da dove origina o da dove passa l'aritmia (individuata attraverso il mappaggio elettrofisiologico), in modo da distruggerla senza creare danni ai tessuti circostanti. Con questa metodica è ormai possibile asportare le vie accessorie; interrompere circuiti innescanti tachicardie e flutter atriali; modulare la risposta ventricolare (in presenza di tachi- aritmie sopra-ventricolari non altrimenti correggibili) inducendo un danno parziale a livello del nodo atrio-ventricolare; trattare con successo alcune forme molto selezionate di tachicardia ventricolare. La nuova frontiera è rappresentata dal trattamento della fibrillazione atriale, di gran lunga la più diffusa delle aritmie (ne è affetto il 5 per cento degli ultrasessantenni), che peggiora di molto la qualità della vita ed è una delle cause principali di ictus cerebrale. Recentemente sono state pubblicate su due riviste cardiologiche le innovative strategie di intervento per questo tipo di aritmia praticate nel Centro aritmologico di Asti ("Circulation" 1998; 97: 2136-2145) e nel Centro aritmolologico di Bordeaux (Francia) ("New England Journal of Medicine" 1998; 339: 659-666). Grazie a mappaggi endocardiaci estensivi sono state identificate limitate aree critiche in atrio destro, con attività elettrica più disorganizzata, responsabili del mantenimento di alcuni tipi di fibrillazione atriale: praticando limitate lesioni lineari è stato possibile interrompere l'aritmia in una buona percentuale dei casi. Antonio Tripodina


IN BREVE Salute e soldi su HMC-card
ARGOMENTI: ELETTRONICA
LUOGHI: ITALIA

E' uguale a una carta di credito, contiene fino a 40 megabyte (pari a 12 minuti di filmato, 20 di musica o 16 mila pagine dattiloscritte) e la si consulta con un lettore di compact disc o di Cd-rom. Potremo registrarvi la nostra storia sanitaria, la nostra situazione economica, cataloghi di prodotti, giochi elettronici, musica, libri. L'hanno messa a punto due ditte italiane, la Digifour e la Optimes. Informazioni: 02-33.60.09.65.


IN BREVE "Scienza nuova" un anno dopo
ARGOMENTI: DIDATTICA
ORGANIZZAZIONI: SCIENZA NUOVA
LUOGHI: ITALIA

Il mensile "Scienza nuova", antologia italianizzata del settimanale inglese "New Scientist", sta per compiere un anno. Nel numero ora in edicola, un dossier sulla diversificazione delle specie viventi.


SCIENZE DELLA VITA PICCIONI VIAGGIATORI Trasvolatori infaticabili L'esercito svizzero li usa ancora
Autore: MAZZOTTO MONICA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA
NOMI: PAPI FLORIANO
LUOGHI: ITALIA

IL colombo (Columba livia) abita quasi tutte le città in Italia e nel mondo. Lo si può vedere, in tutta la sua impertinenza, posarsi sulla Basilica di San Pietro a Roma, volare sul Tempio di Taj Mahal ad Agra in India, tubare nella Piazza Rossa a Mosca o passeggiare in cerca di briciole nel prato di Central Park a New York. La convivenza con l'uomo non è sempre armoniosa e spesso contro di lui vengono intraprese astiose battaglie. Può essere rassicurante sapere che il rapporto tra colombo e uomo risale ad epoche remote e, specie in passato, non era assolutamente così conflittuale. Nelle zone del Bacino del Mediterraneo ed in Oriente l'uomo allevava questo uccello, oltre che per arricchire la propria tavola, anche per usarlo come postino data la sua abilità nel tornare a casa da distanze elevate. Così, per selezione artificiale, dal colombo selvatico si ottennero varie razze tra cui appunto quella del piccione viaggiatore. In periodi più recenti, durante le due guerre mondiali, il colombo viaggiatore è stato arruolato nell'esercito con il compito importante di ausilio per le comunicazioni dalla prima linea: infatti, volando sopra le trincee, portava attaccato alla sua zampetta un messaggio da consegnare alle retrovie. Ancora adesso, in barba ad Internet, l'esercizio svizzero ha in dotazione, ed allena costantemente, un reparto di prodi messaggeri pennuti. Con la seconda metà dell'Ottocento il colombo assume anche ruoli sportivi diventando un atleta in piena regola. Attualmente in Italia sono molto diffusi circoli colombofili che organizzano gare di velocità e allevatori che selezionano, in base a certe caratteristiche, singoli colombi che, usati in gara, possono divenire dei veri e propri campioni. Campioni a parte, la capacità di tornare alla voliera è diffusa in tutti i colombi e contrasta nettamente con le abitudini quasi sedentarie proprie della specie. Allo stato libero il colombo compie degli spostamenti che raramente superano il chilometro, mentre i colombi viaggiatori sono in grado di ricoprire distanze di centinaia e centinaia di chilometri. La loro abilità risiede nel tornare nel luogo dove sono cresciuti: non è stato ancora possibile addestrare colombi a recarsi in colombaie differenti da quelle di origine. Perciò per mandare un messaggio bisogna prelevare il colombo dal luogo di destinazione, portarlo in un secondo luogo da dove il messaggio deve partire e poi rilasciare il colombo, che nel minor tempo possibile rientrerà a casa, portando anche il messaggio. Per molto tempo i meccanismi operanti nella scelta e nel mantenimento della giusta rotta da parte del colombo sono stati un rebus di difficile soluzione. Da oltre quarant'anni il colombo viaggiatore è stato al centro di numerose ricerche concentrate sui meccanismi di apprendimento e su quelli di orientamento e navigazione. L'enorme numero di dati, in maggioranza ottenuti dal professor Floriano Papi e dai suoi collaboratori dell'Università di Pisa, fornisce una buona approssimazione di come questi uccelli apprendano ed usino le nozioni spaziali. La capacità di orientarsi in un luogo sconosciuto si basa fondamentalmente su stimoli di tipo olfattivo percepiti sul luogo del rilascio e nelle aree percorse durante il dislocamento. Con queste informazioni il colombo è capace di costruirsi una sua mappa che gli indichi perfettamente dove si trova rispetto a casa. La mappa olfattiva viene elaborata nella colombaia durante i primi mesi di vita associando gli odori portati dai venti con la direzione dei venti stessi. Per fare un esempio, se i colombi stando nella colombaia sentono un certo odore portato da un vento che arriva da Est, automaticamente associano questo odore ad una zona posta ed Est rispetto alla loro colombaia. Se in futuro, lontani da casa, percepiranno questo odore sapranno di trovarsi ad Est e per tornare a casa non dovranno far altro che volare in direzione opposta ossia verso Ovest. Per quanto riguarda la direzione da seguire e come mantenerla, hanno a disposizione una bussola di tipo solare coadiuvata probabilmente da una di tipo magnetico (diffuse entrambe nel regno animale) che costantemente gli indicano la direzione dei punti cardinali. Numerosi esperimenti, concepiti proprio per stabilire il ruolo dell'olfatto nella navigazione dei colombi, hanno ormai da tempo dimostrato l'effettiva correlazione di questa capacità con la possibilità data ai colombi di stabilire la direzione dei venti e gli odori da essi trasportati. Colombi allevati in voliere schermate e completamente isolate dai venti locali dimostravano di non sapersi orientare in luoghi sconosciuti: come d'altra parte colombi allevati in voliere con deflettori, in modo da fare arrivare i venti deviati, mostravano, in rilasci da luoghi sconosciuti, un orientamento iniziale deviato in maniera corrispondente. Ovviamente la mappa olfattiva costruita stando nella zona della voliera ha una sua dimensione ben definita. Ad una grande distanza da casa, oltre i confini di tale mappa, gli odori percepiti sul luogo del rilascio non sono più sufficienti per un corretto orientamento. In questo caso una percezione olfattiva durante il trasporto diviene fondamentale. Così, come Pollicino, il colombo fiutando i vari odori durante il viaggio di andata ricostruisce il percorso seguendo i vari "sassolini", ossia i vari odori che lo riporteranno a casa. Monica Mazzotto


IN BREVE Tutela dell'ambiente due corsi a Torino
ARGOMENTI: ECOLOGIA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO, (TO)

Si terranno al Politecnico di Torino due corsi di perfezionamento rispettivamente sulla difesa del suolo (1-12 febbraio '99) e sulla tutela e gestione dell'ambiente (dal 22 febbraio a 5 marzo). Informazioni: 011- 564.76.78; 564.76.86.


SCIENZE A SCUOLA ARSLAB DA SABATO A TORINO Un'immersione multimediale Al Lingotto "Labirinti del corpo in gioco"
Autore: VICO ANDREA

ARGOMENTI: ELETTRONICA, DIDATTICA, MOSTRE
ORGANIZZAZIONI: ARSLAB
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO, (TO)

VOLETE ballare il tango con un partner virtuale che esiste solo perché animato da fotografie che si succedono al ritmo della musica? Oppure preferite provare l'esperienza di Narciso e confrontarvi con la vostra immagine riflessa in uno specchio elettronico che permette di giocherellare con i tratti somatici? O, ancora, siete attratti da esperienze nuove e vi stuzzica condividere "a distanza" un letto virtuale con un compagno/a sconosciuto/a? Da sabato 12 dicembre tutto ciò sarà possibile grazie alla terza edizione di ArsLab, la più importante mostra italiana di arte multimediale, che si inaugura a Torino nello spazio espositivo dei Portici del Lingotto. Quest'anno la rassegna è intitolata " Labirinti del corpo in gioco" e propone dieci installazioni interattive e sei esperienze di laboratorio, tutte unite dal medesimo filo rosso: in un'epoca che si dice sempre più telematica, dove Internet e le reti di computer portano alla smaterializzazione del corpo e sono i bit, e non più gli atomi, a viaggiare da un capo all'altro della Terra, proviamo allora a esplorare e sperimentare come reagiranno i nostri sensi. Ecco quindi la televisione interattiva, dove i personaggi virtuali interagiscono e sono stimolati dallo spettatore, la musica generata in base al ritmo cardiaco o al semplice movimento delle mani o la creazione di un proprio ritratto profumato. Ecco "Joe Mail", una specie di cartone animato elettronico che assume le sembianze del visitatore e si offre di recapitare "di persona" un messaggio di e-mail, oppure " General Intellect", un'installazione interattiva che permette di costruire una città virtuale multietnica e di riflettere sul rapporto tra identità e alterità. Sono decine gli artisti, i ricercatori e i tecnici che hanno lavorato all'allestimento di ArsLab; in buona parte provengono all'Italia (a testimoniare che per quanto riguarda la realtà virtuale e l'arte multimediale il nostro Paese è ricco di stimoli e di laboratori), ma vi sono anche degli artisti provenienti da Germania, Francia, Gran Bretagna e Giappone. Il tutto è stato elaborato dal comitato ArsLab e realizzato da Extramuseum Divulgazione Scientifica e Associazione CentroScienza, con importanti contributi dello Cselt, il centro di ricerca della Telecom. La mostra si aprirà sabato 12 dicembre e si concluderà il 31 gennaio; sarà aperta tutti i giorni (escluso Natale e Capodanno) dalle ore 10 alle 19. L'ingresso costa 11 mila lire, mentre per le scuole è previsto un apposito programma didattico (con un biglietto speciale a 5 mila lire) e saranno a disposizione delle scolaresche guide specializzate che aiuteranno i ragazzi a capire a fondo le motivazioni e le riflessioni che stanno alla base di ogni installazione. Per prenotazioni e altre informazioni: 011-83. 50.60. Infine un post scriptum riservato agli esuberanti giovinotti e giovinotte che fossero attirati dall'esperienza di telepresenza erotica: attenti alle docce fredde. Se speravate in una serata frizzante è meglio cautelarsi con un alternativa più polposa e tangibile. Andrea Vico




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