TUTTOSCIENZE 25 novembre 98


IN BREVE A Torino il fascino di collezioni invisibili
ARGOMENTI: DIDATTICA
ORGANIZZAZIONI: MUSEO DI SCIENZE NATURALI
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO, (TO)
NOTE: "Arca Naturale"

E' in corso al Museo di Scienze Naturali di Torino (via Giolitti 56, fino al 13 dicembre), una straordinaria mostra fotografica "Arca Naturale", di Dario Lanzardo. Oltre cento immagini scattate nei saloni di un immenso edificio seicentesco (firmato dal Castellamonte), già sede del vecchio ospedale San Giovanni Battista. Accatastati un po' dappertutto, nelle crociere, nei sotterranei, nei corridoi, sono custoditi migliaia di esemplari di mammiferi, rettili, uccelli, insetti, raccolti a partire dalla fine dell'800 e non ancora sistemati. Il paradosso è che l'insieme casuale e polveroso - coccodrilli nel nailon, belve impagliate, una schiera di scheletri di mammiferi - è di grande fascino, più che non fosse ordinatamente esposto in teche e vetrine. La mostra è integrata da un volume catalogo dello stesso Lanzardo, (ed. Giorgio Mondadori), con interventi di specialisti come Paolo Sibille, Francesco Poli, Pier Mauro Giachino, Enrico Sturani e dello stesso fotografo. Per altre informazioni: 011-432.30.80.


SCIENZA E SOCIETA'. PRO & CONTRO Al bivio dei geni brevettati Fin dove è lecito "usare la vita"?
Autore: SGARAMELLA VITTORIO

ARGOMENTI: GENETICA, RICERCA SCIENTIFICA, BIOETICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: RICERCA SCIENTIFICA, CLONAZIONE E MANIPOLAZIONE GENETICA

E' giusto brevettare la vita? Ecco una delle domande che meglio dimostrano la difficoltà del rapporto tra scienza, industria e società. Da tempo ricorre con frequenza crescente e spesso suscita visioni di ricercatori che in combutta con imprenditori e avvocati tramano per sfruttare la vita e per sottrarla ad un suo sviluppo naturale, magari pilotato da una guida trascendente, o manipolato da un orologiaio cieco: in ogni caso non controllato dall'uomo, e con risultati visti nel complesso come buoni. Se poi quella cinica bramosia di profitto esclusivo, talvolta legata al concetto di brevetto, viene estesa ai geni, allora l'inconscia ribellione dell'uomo della strada assume toni da crociata: vi si vede un'offesa alle radici più profonde e sacre della vita, specie della nostra. " Brevettare la vita" presuppone l'usarla e, se si ritiene il brevetto un mezzo per regolare l'uso delle innovazioni che l'uomo riesce ad inventare, significa anche razionalizzarlo. Non ha senso condannare la razionalizzazione e approvare l'uso. Quindi la domanda giusta è: "Usare la vita?". E la risposta non può essere che affermativa. Senza l'uso della vita, la vita non esisterebbe, e neppure l'uomo. Brevettare la vita deve significare permettere a chi, in questo campo, inventi qualcosa utile, di disporre di un certo tempo (di norma 20 anni) per cercare di ricavarne un giusto ritorno economico (o meglio, per evitare che altri sfruttino il suo ritrovato a loro vantaggio). La prassi è vecchia di secoli, e funziona ancora. In questa prospettiva pare difficile contestare le richieste di brevetti sulla vita. Macelliamo milioni di animali al giorno. Se qualcuno inventasse una procedura per migliorare la qualità della carne, perché non si dovrebbe riconoscergli una qualche forma di proprietà intellettuale, ad esempio un brevetto? Operando sul vivente, le difficoltà, più che morali, sono tecniche: di un microorganismo, controllare l'uso è possibile; meno d'una pianta (le varietà sterili sono peraltro sempre più diffuse). L'antico diritto del contadino all'uso gratuito dei semi delle piante che a suo tempo aveva comprato e coltivato conserva valore quasi solo simbolico. E comunque oggi le piante hanno uno speciale statuto protettivo. Qui non si vuole difendere ad oltranza il brevetto. Il lato negativo del brevetto è che spesso, specie di recente, si tenta di ampliarne la portata, ad esempio a "scoperte" che rispetto alle "invenzioni" non devono rispondere a requisiti d'utilità commerciale ma di rilevanza scientifica. Se si fa ricorso ai brevetti per scoperte, s'invade il campo della ricerca di base: ne soffre il libero scambio d'idee, informazioni e dati, che l'alimenta. Ma ricordiamo anche che i brevetti hanno una durata limitata: nulla vieta di ridurla ancora se al detentore dà vantaggi eccessivi visti i suoi investimenti. Nel campo dei brevetti questi confliti sono emersi con particolare violenza nel settore dei geni e dei geni umani in particolare. Mentre la vita è un concetto semplice da capire intuitivamente ma non da definire scientificamente, nel caso dei geni abbiamo precise strutture e formule chimiche: sono molecole composte da varie sequenze di basi A, C, G e T, che formano tratti di Dna, con proprietà speciali: se queste ci sono (o, meglio, sono note), abbiamo dei geni. Non tutte le sequenze di Dna sono geni: nei mammiferi almeno il 90% del Dna non lo sono. Per cui anche la domanda "è giusto brevettare i geni?" è un po' retorica: non si vede infatti una base razionale per una risposta negativa. Non v'è ragione d'attribuire uno statuto speciale ai geni rispetto ai, si perdoni il gioco di parole, reni. Si brevettano le proteine, che sono molecole prodotte dall'attività dei geni. Ben vengano i brevetti, o altra forma di protezione dell'investimento di capitali e neuroni per chi li abbia usati con intelligenza: anche nel settore dei geni. Ma attenzione! Neppure le scoperte/invenzioni sui geni, per essere brevettabili, possono eludere i tradizionali criteri di novità, utilità, non ovvietà, riproducibilità. La polemica qui è scoppiata perché da più parti, ad esempio dall'Istituto nazionale della Sanità Usa (Nih), si era depositata richiesta di brevetto per sequenze di Dna, di cui non solo non si poteva certificare che fossero geni, ma si ignorava persino l'utilità commerciale, data, ma non concessa, una loro qualche utilità fisiologica. A queste richieste seppure con titubanza, alla fine è stata negata, come giusto, la brevettabilità. Negli Stati Uniti, in Giappone e in Europa si tende a concedere brevetti a sequenze di Dna corrispondenti a geni a funzione nota e commercialmente sfruttabile, ad esemepio i geni che codificano l'interferone gamma o per la caseina A. Migliaia di geni sono già stati brevettati. Qui l'ufficio brevetti forse ha errato per eccesso di difesa: infatti oggi se si trovano geni codificanti proteine come quelle appena citate, se ne può brevettare il gene (che è una scoperta), oltre al prodotto, al processo di preparazione, all'uso (che sono invenzioni). Queste successive linee di difesa di una proprietà intellettuale, che spesso riguarda un unico prodotto finito, presentano validità logica e utilità pratica diverse, ma ridondanti. La linea alla quale si può rinuciare senza o con poco danno è la prima, quella che protegge il gene. Un gene codificante una proteina non è un prodotto finito, è un progetto, non è commerciabile e può, se liberamente studiato, generare nuove conoscenze e quindi nuovi usi. Brevettarlo significa contrastare questi potenziali sviluppi. Ben diversa è la situazione di quei geni, o sequenze di Dna cha hanno utilità in sè, che sono prodotti finiti commerciabili in quanto tali, non come progetti. In questa categoria rientrano sequenze regolatrici di attività geniche (per gli addetti: replicatori, promotori, ribozimi, antisenso...), sonde geniche per uso diagnostico e così via. A questi geni, verificato il rispetto dei criteri generali di brevettabilità, deve essere riconosciuto il diritto d'essere esaminati da competenti uffici brevettuali. Chi obietta che così si compromette la ricaduta tecnologica, ricordi che gli anticorpi monoclonali non vennero brevettati: a Kohler e Milstein che li scoprirono nel '76, venne qualche rimpianto, ma ebbero il Nobel; alla ricerca, anche a quella applicata, ne derivò un fortissimo stimolo; l'immagine della scienza ne trasse miglioramento; e vantaggio il pubblico. Il Cern non brevetta le sue scoperte nel campo della fisica e dell'informatica. Veniamo così ai geni "umani", il reale oggetto di molti timori. Siamo in attesa che, tra le tante scoperte che promette, il Progetto Genoma ci consenta anche di individuare geni veramente specifici dell'uomo: sarebbero quelli che ci differenziano dagli altri primati, che quindi dovrebbero esserne privi. Questi ipotetici geni realmente umani potrebbero arrivare al migliaio, su un totale di circa centomila: tanta è la differenza stimata, invero con criteri un po' rozzi, tra i genomi. Qualcuno parla di "geni dell'anima". Ma esistono davvero geni unicamente umani? Quanto sono distinti da quelli degli altri primati? Non è forse meglio parlare di genomi umani? Pare infatti che le differenze siano questione di quantità di certi prodotti e funzioni geniche e di loro connessioni, più che di qualità di specifici geni. Se è così, sarà molto interessante saperne di più, ma forse verrà meno quella sacralità che qualcuno vorrebbe presente nei geni umani. La vita non è sacra, i geni non sono sacri... Nulla di sacro quindi in natura? Certo ogni singolo individuo della specie Homo sapiens sapiens (in realtà d'ogni specie vivente a moderata complessità) possiede un genoma unico e irripetibile, che gli conferisce uno statuto speciale, ma che dà un carattere di inviolabilità e sacralità solo all'uomo, unico ad esserne consapevole tra gli esseri viventi. Ad esempio gli dà il diritto di non essere venduto, nè in toto nè in parte, e quindi, per tornare al nostro assunto, di non essere brevettabile. Vittorio Sgaramella Università della Calabria


IN BREVE Corso di laurea per "nuovi maestri"
ARGOMENTI: DIDATTICA, UNIVERSITA'
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, ROMA

E' nato, presso la Terza Università di Roma, il primo corso di laurea in Scienze della formazione primaria, nell'ambito della Facoltà di Scienze della Formazione. Scopo del corso è preparare meglio i futuri insegnanti di scuola elementare sia nella didattica sia nel loro curriculum scientifico.


DIABETICI Glicemia sotto controllo I risultati di uno studio ventennale
Autore: PORTA MASSIMO

ORGANIZZAZIONI: UNITED KINGDOM PROSPECTIVE DIABETES STUDY, ASSOCIAZIONE EUROPEA PER LO STUDIO DEL DIABETE, LANCET, BRITISH MEDICAL JOURNAL
LUOGHI: ITALIA

IL diabete può causare gravi danni agli occhi, ai reni, al cuore e ai nervi periferici. Non essendo chiari i meccanismi alla base di questi danni, non è stato finora possibile produrre farmaci capaci di combatterli. Perfino l'efficacia di quella che sembrerebbe la misura più logica - normalizzare il più possibile i livelli di glucosio nel sangue - era rimasta finora non dimostrata a causa dei grandi numeri di pazienti da sottoporre a sperimentazione e dei lunghissimi tempi di osservazione necessari. Già nel 1993 era stato pubblicato un importante studio clinico condotto negli Stati Uniti su più di 1400 pazienti giovani insulino dipendenti e pubblicato nel 1993, il Dcct (Diabetes Control and Complications Trial), che aveva dimostrato come il mantenimento di glicemie quanto più possibile simili a quelle normali permette di ridurre la comparsa della retinopatia nel 76% dei casi e in circa il 50% il peggioramento di una retinopatia già esistente. Risultati simili erano stati osservati anche per le altre complicanze. Questi dati però erano stati raccolti nei soggetti più giovani e rimaneva l'incertezza sulla loro trasferbilità al rimanente 90% dei diabetici, affetti dalla forma non insulino dipendente che insorge in età adulta. A colmare questa lacuna sono giunti i risultati dello studio Ukpds (United Kingdom Prospective Diabetes Study), presentati a inizio settembre a Barcellona al congresso della Associazione Europea per lo Studio del Diabete, pubblicati su Lancet e British Medical Journal e su Internet all'indirizzo http://www.drl. ox.ac.uk/uk pds/Index.html Iniziato nel 1977 e concluso nel 1997, lo studio Ukpds ha seguito 5102 pazienti per un periodo medio di 10 anni. Particolare non trascurabile, a testimoniare la difficoltà di organizzare studi di questa portata, il costo totale sostenuto da varie agenzie governative e private è stato di 23 milioni di sterline, intorno ai 65 miliardi. I risultati confermano che migliorare il controllo metabolico abbassando l'emoglobina glicata dello 0,9% (un risultato non impossibile da ottenere, al di là dei termini tecnici, con un normale programma di dieta, esercizio fisico, educazione sanitaria e uso più intensivo dei farmaci), riduce l'incidenza di infarto del miocardio del 16 per cento, della retinopatia del 21 per cento e gli interventi di cataratta del 24 per cento. Nei diabetici obesi i risultati sono ancora più clamorosi: ridotta del 42 per cento la mortalità da cause collegate al diabete e del 39 per cento quella da infarto. Oltre alla glicemia è risultato utile controllare a dovere anche la pressione, che è spesso aumentata nei diabetici. Riducendo i valori medi da 154/87 a 144/82 mmHg è stato possibile ridurre ulteriormente la mortalità del 32 per cento, gli episodi di ictus del 44 per cento e il deterioramento della funzione visiva del 47 per cento. Un ultimo aspetto rilevante è emerso dall'analisi di costo-efficacia. Infatti, i risparmi generali della riduzione delle complicanze sono più che sufficienti a compensare i costi aggiuntivi in farmaci e interventi per assicurare un miglior controllo della glicemia e della pressione. Ogni paziente sottoposto a trattamento intensivo ha indotto un risparmio di 26 sterline (circa 75.000 lire) all'anno per il sistema sanitario. Se lo stesso criterio fosse valido nella nostra realtà, che non è troppo dissimile da quella inglese almeno per quanto riguarda la diabetologia, allora nel solo Piemonte si potrebbero risparmiare ogni anno 9 miliardi, e in Italia 110 miliardi, per curare meglio i diabetici, ottimizzando l'uso di farmaci e procedure già oggi disponibili. Massimo Porta Università di Torino


IN BREVE Grande obesità se ne parla a Torino
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO, (TO)

Gli aspetti epidemiologici e i protocolli di studio per la "grande obesità" (indice di massa corporea superiore a 40) saranno discussi a Torino il 4 dicembre presso l'Istituto San Paolo (via S. Teresa 1G). Organizzano il Servizio di dietetica dell'Ospedale S. Giovanni di Torino e l'Istituto auxologico di Milano. Per altre informazioni: 011-633.66.59; 02-5821.6894.


SCIENZA E SOCIETA'. EPISTEMOLOGIA Heisenberg batte Heidegger Rileggiamo la polemica tra il fisico e il filosofo
Autore: REGGE TULLIO

ARGOMENTI: EPISTEMOLOGIA
NOMI: HEISENBERG WERNER, HEIDEGGER MARTIN, VON WEIZSAECKER CARL FRIEDRICH, VATTIMO GIANNI
LUOGHI: ITALIA

HEIDEGGER e Heisenberg (in breve H&H) furono esponenti di alto prestigio della cultura tedesca nel periodo 1920-1970, il primo come sommo filosofo e il secondo come uno dei più grandi fisici di tutti i tempi. Entrambi furono testimoni delle tragedie della seconda guerra mondiale, ma Heidegger fu per un breve periodo membro del partito nazionalsocialista. Anche Heisenberg fu duramente criticato per la sua partecipazione al fallito programma nucleare tedesco. Un articolo di Otto Poeggeler (International Journal of Philosophical Studies, 1993) illustra la disputa H&H svoltasi a più riprese lungo l'arco di un mezzo secolo e che toccò numerosi problemi riguardo al ruolo della scienza nella società. L'articolo è troppo lungo per essere esaminato in dettaglio ma ci dà lo spunto per alcuni commenti. In primo luogo chi proviene dal mondo scientifico ha gravi difficoltà a comprendere il pensiero di Heidegger che esplode in un diluvio biblico di neologismi a volte intraducibili e comunque non compiutamente formalizzati. D'altro canto ancora oggi i filosofi trovano insondabili le profondità della meccanica dei quanti, altri invece, sulla scia della New Age, aggiungono ai quanti postille mistiche deliranti delle quali i fisici farebbero volentieri a meno. Non a caso il dibattito H&H appare come un dialogo tra sordi e il suo fallimento e quello di tanti tentativi di questo genere non desta stupore. All'epoca Heisenberg era convinto di poter derivare tutta la fisica delle particelle elementari dalla teoria della Urmaterie, una generalizzazione non lineare dell'equazione di Dirac valida per l'elettrone ma dopo un fuoco di paglia la proposta affondò nel scetticismo generale. L'Urmaterie preoccupo' invece non poco Heidegger, secondo cui la "formula finale" avrebbe stabilito il dominio tra popoli alla conquista del mondo secondo un processo storico iniziato con gli esperimenti di Galileo sulla caduta dei gravi. Nella polemica risalta il suo assoluto disinteresse nei riguardi dei contenuti conoscitivi ed estetici della scienza, la continua confusione tra scienza e tecnologia e la maggiore apertura culturale di Heisenberg, fra l'altro uno splendido pianista a lungo indeciso se darsi ai concerti o alla fisica. Come fece acutamente notare Carl Friedrich von Weizsaecker, i dialoganti sono riusciti a leggere il Fedro di Platone giungendo a conclusioni diametralmente opposte. Heisenberg apprezzava moltissimo la parte che riguardava Eros e l'ascesa della conoscenza, Heidegger considerava invece la discussione che nel dialogo segue l'Eros e che tratta della scoperta della verità come il punto più alto della filosofia greca. Sotto questo aspetto il dibattito H&H è emblematico ma non unico e si è ripetuto sotto varie etichette culturali e a vari livelli fino alla querelle odierna tra ambientalisti e tecnologi. Più che indulgere in una sterile polemica varrebbe forse capire le ragioni della spaccatura secolare tra cultura scientifica e umanistica e tra idealismo e positivismo che di quelle hanno esaltato gli aspetti più caricaturali. Kant esaltava "il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me" e a lui risale la prima interpretazione corretta delle nebulose a spirale come galassie. L'amico Vattimo, a cui ho chiesto come mai non avesse preso lo spunto da Kant, mi ha risposto con franchezza che la scienza è andata così avanti da divenire incomprensibile, e in effetti è molto difficile seguirne il cammino se non si è del settore. Tuttavia i principi fondamentali che due secoli fa erano alla portata di Kant e lo affascinavano sono ancora validi e accessibili a tutti; lo stesso Voltaire era ben al corrente della legge di gravitazione universale. Dalla discussione con Heisenberg emerge chiaramente che Heidegger dava la precedenza alla Besinnung (riflessione) sulla scienza e considerava la poesia e la propria filosofia come verità ultima, una conclusione che non desta stupore ma su cui nutro dubbi, anche perché vizio comune di quasi tutti i filosofi. Del teorema di Goedel che illumina nel profondo il concetto di verità e incompletezza nella matematica e di riflesso nelle altre scienze non appare traccia nel dibattito forse perché ricco di sottigliezze formali che lo rendevano inaccessibile. Di fronte al sostegno della follia di Hitler rimane comunque inesplicabile il terrore di Heidegger nei riguardi della innocua e astratta teoria della Urmaterie: cara Besinnung, se ci sei batti un colpo. Tullio Regge Politecnico di Torino


SCIENZA E SOCIETA'. MACCHINE La calamita è innamorata
Autore: MARCHIS VITTORIO

ARGOMENTI: FISICA
LUOGHI: ITALIA

APRIAMO il "Dialogo" di Francesco Aretino e leggiamo, non senza qualche sorpresa. "Io aveva sculpito uno angioletto di sugaro piccin piccino, e colorito benissimo; e nel mezzo del fondo d'un bicchier forato stava un perno, cioè uno stiletto sottile, sopra del quale si fermava la pianta del piè de l'angiolo: onde si voltava con il soffio. Il giglio che teneva in mano era di ferro, e ne lo incantarlo pigliava una bacchetta, ne la cima tutta di calamita e ne lo accostarla al ferro, si volgeva dove voleva la bacchetta; e quando una o uno desiderava sapere s'era amato o se rifaria la pace con lui e con lei, io scongiurando e borbottando parole infrastagliate, faceva il miracolo con la bacchetta, a la calamita de la quale il giglio di ferro veniva drieto: e così l'angiolo mostrava la bugia per verità". La singolare macchina della verità che Pietro Aretino descrive così succosamente nella terza giornata del suo "Dialogo", pur avendo dubbie funzioni, è una macchina magnetica. Essa fa uso di quella calamita che Guyot de Provins nel 1180 chiamava marinette e descrive come una pietra laide e noirette e che nel 1269 aveva stimolato la curiosità e la fantasia di Petrus Peregrinus sino a fargli scrivere una "Epistula de magnete". Se le idee intorno alle proprietà dei magneti fossero chiare, o meno, possiamo arguirlo da Giovanni Battista Ramusio nella "Istoria delle Indie occidentali" di Oviedo (Libro 10, capitolo terzo): "Io voglio in tutte le cose accostarmi con Plinio il quale dice che la calamita tira a sè il ferro, la quale virtù gliela fa perdere l'aglio. (...) Chi ritrovò così nascosi secreti, come sono quelli che Plinio qui di sopra diceva, e che ad una così eccellente e maravigliosa pietra quanto è la calamita (senza la quale andrebbono per il mare i marinai come ciechi) una così vil cosa come è l'aglio gli faccia forza?". Fantasia e scienza si confondono quando non c'è ancora il senno (della scienza) del poi, ma era ben chiaro già allora che "la calamita è del ferro amante": lo ricorda il Marino nell'"Adone". Non è un caso che ancora oggi nella lingua francese la calamita porti il nome di "aimant". Vittorio Marchis Politecnico di Torino


SCIENZE DELLA VITA. STORIA, GEOGRAFIA E ZOOLOGIA Maya, cannibali per necessità Perché non fu l'America a scoprire l'Europa
Autore: ZULLINI ALDO

ARGOMENTI: STORIA
NOMI: HARRIS MARVIN
LUOGHI: ITALIA

PERCHE' è toccato a Cristoforo Colombo scoprire l'America e non è stato un americano a scoprire l'Europa? Una risposta molto convincente a questa domanda viene da una scienza sottovalutata dagli storici: la zoologia. Altro problema: perché gli antichi maya e aztechi praticavano una religione fondata sul cannibalismo? La risposta, ancora una volta, viene dalla zoologia e in particolare dalla zoogeografia. Ecco come. Il continente americano è stato colonizzato dall'uomo solo di recente: non prima dell'ultima glaciazione. L'arrivo dei migratori umani attraverso lo stretto di Bering colse di sorpresa i grandi mammiferi nordamericani, già decimati dal clima glaciale, e in poco tempo scomparvero mammut, cavalli, grandi carnivori e altra importante fauna locale. Così, fino all'arrivo di Colombo il continente americano rimase privo, o quasi, di animali domesticabili. Le uniche eccezioni erano i tacchini e i cani che, difatti, venivano allevati e mangiati. Ma non è facile allevarne molti, perché i tacchini vanno alimentati con cereali e i cani con carne. Tra il Vecchio Mondo e il Mesoamerica venne così a crearsi una frattura carica di conseguenze: da questa parte dell'oceano l'uomo disponeva di pecore, capre, buoi, bufali, cavalli, asini, cammelli, maiali, elefanti, cani, oche, anatre, galline e altro ancora. Questi animali fornivano carne, latte, forza lavoro (per trasporti e aratura), pelli e uova. Dall'altra parte dell'Atlantico, come abbiamo detto, mancava tutto questo bendidio. Ecco perché da noi l'evoluzione tecnologica è stata più veloce e, alla fine, è stata l'Europa a scoprire l'America, e non viceversa. L'uomo può vivere anche senza alimentarsi di carne, perché tutte le piante contengono un po' di proteine. Ma nessun vegetale contiene nelle proporzioni giuste tutti gli amminoacidi di cui abbiamo bisogno. Una dieta vegetariana funziona solo se si utilizzano numerose specie di piante e se viene integrata con latte o formaggio. In mancanza di tutto questo, l'uomo sente un forte bisogno di carne. In tutto il mondo, Europa compresa, nel corso delle grandi carestie ci sono sempre stati casi di cannibalismo, ma in misura piuttosto ridotta. Ben diversa era la situazione, in epoca precolombiana, nell'altopiano centrale del Messico. In quest'area, che arrivò ad ospitare fino a due milioni di abitanti, il fabbisogno proteico non poteva essere soddisfatto dalla caccia nè, come abbiamo visto, dall'allevamento. Ecco perché, come raccontano gli storici, questo fu il teatro dei più grandi festini antropofagi che siano mai avvenuti. Ci sono sempre stati sacrifici umani nell'antichità. Persino in Grecia, ai tempi della battaglia di Salamina, il generale Temistocle fece immolare tre prigionieri persiani affinché gli Dei concedessero la vittoria ai greci. E fino al primo secolo avanti Cristo anche i romani praticarono, sporadicamente, sacrifici umani. Non parliamo poi dei celti e di altri "barbari". Anche la storia di Abramo, che si appresta a sacrificare Isacco, non è che un ricordo del processo evolutivo che ha sostituito gli animali (l'agnello sacrificale) all'uomo. Propaggine estrema di questa evoluzione è il rito dell'eucarestia. Ma torniamo al Mesoamerica. Anche i maya e gli aztechi avevano, come tutti, la tradizione dei sacrifici umani, ma con una differenza: erano uomini affamati di proteine. Per soddisfare il loro bisogno fisiologico dovevano immolare moltissimi prigionieri e per far ciò dovevano organizzare incursioni e guerre. E infatti per secoli i maya, e soprattutto gli aztechi, terrorizzarono i loro più deboli vicini con frequenti campagne militari. La fine di ogni razzia veniva celebrata con grandi feste popolari che prevedevano l'uccisione di centinaia o anche migliaia di prigionieri sugli altari posti in cima alle piramidi. I sacerdoti, brandendo un coltello di ossidiana, strappavano alla vittima il cuore ancora palpitante per offrirlo alla divinità e il corpo, dopo essere stato decapitato, veniva fatto rotolare giù per i ripidi gradini della piramide. Successivamente veniva smembrato per essere distribuito e mangiato. Anche in tempo di pace non passava giorno senza che qualche prigioniero, o qualche schiavo, venisse sacrificato. Tutti gli altari e i templi erano perennemente imbrattati di sangue e numerosi teschi adornavano le vie e le piazze. Bernal Diaz, che si trovava nella capitale azteca, scrive intorno al 1520 che nella piazza di Xacotlan erano allineati ordinatamente più di centomila teschi umani. E' evidente che questi sacrifici di massa, per quanto numerosi e frequenti, non potevano far fronte al fabbisogno proteico di tutto il popolo, ma questo non ha molta importanza. Conta invece il fatto che la classe dirigente, i sacerdoti e i militari, potessero usufruire di queste proteine. Sono costoro, dopotutto, che decidono le guerre e le cose alle quali tutti devono credere. Questo modo "zoologico" di interpretare la storia (sviluppato dall'antropologo Marvin Harris e dai sostenitori del materialismo culturale) trova un'interessante conferma nelle altre società del continente americano. A Nord e a Sud del Messico, infatti, sono esistite numerose etnie e civiltà che però non sono mai state, o quasi, cannibali. Secondo il paradigma citato, questo fatto si spiega facilmente ricordando che gli indiani delle praterie nordamericane si procuravano facilmente proteine cacciando i numerosi bisonti e altra selvaggina, risorse che rendono inutile il cannibalismo. Analogamente, nell'emisfero Sud gli inca potevano sempre ricavare un po' di proteine dai lama e dalle cavie. In ogni territorio il popolamento animale è un fattore importantissimo per la forma che dovranno assumere le società umane che lo abitano. Lo sviluppo della caccia, piuttosto che lo sviluppo dell'allevamento o dell'agricoltura, la pace, la guerra, la religione, la morale e il modo di vivere degli uomini, non si possono capire a fondo se si trascura il ruolo degli animali. Aldo Zullini Università di Milano


SCIENZA E SOCIETA'. LE LEONIDI Per i radar gran pioggia di meteore
Autore: CEVOLANI GIORDANO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA
LUOGHI: ITALIA

IL ritorno delle meteore Leonidi era indubbiamente l'evento astronomico più atteso del 1998. Ma a giudicare dalla delusione degli spettatori che fin dalla tarda sera del 17 novembre avevano seguito l'evento, le Leonidi non hanno ruggito più di tanto, sfatando tutte le previsioni. Del resto, le osservazioni dello sciame effettuate in questi due ultimi secoli, indicavano che fantastiche piogge di Leonidi possono verificarsi 1 o 2 anni dopo il passaggio al perielio della cometa madre - la Tempel-Tuttle, che avviene ogni 33 anni, fino a raggiungere valori 10 mila volte la normale attività annuale. Ma, nonostante le apparenze, qualcosa di eccezionale è veramente accaduto nella mattinata del 17 novembre anticipando di 16 ore l'atteso spettacolo. A rivelarlo, sono a distanza di qualche giorno, le osservazioni del radar Bologna-Lecce del Cnr che hanno seguito senza interruzione il passaggio dello sciame, registrando gli echi riflessi dalle tracce ionizzate lasciate dalle meteore nella loro interazione con l'atmosfera. Per la loro velocità che è la più elevata che si conosca per i corpi che appartengono al sistema solare, le Leonidi sono le meteore più brillanti e sono in grado di produrre echi lunghissimi con durata fino a 10-12 minuti dovuti alla riflessione delle onde radio dalle tracce ionizzate lasciate dalle particelle al contatto con l'atmosfera. Dalle 2 alle 10 ora locale del 17 novembre il radar ha registrato in pratica senza interruzione gli echi riflessi dalle tracce lasciate da numerosissimi bolidi che hanno saturato gli schermi radar per un tempo pari a circa il 95% del tempo di registrazione consentito. Il picco dell'attività dello sciame è stato registrato attorno alle 6 ora locale, quando il radar per un'ora ha registrato senza sosta i segnali radio riflessi dalle tracce meteoriche. In più di 25 anni di osservazione radar degli sciami meteorici in Italia non si era mai assistito a un evento di portata così eccezionale per la durata e per l'intensità dei segnali registrati. Non è possibile valutare con precisione l'esatto numero di questi corpi anche per l'incapacità del radar nell'inseguire simultaneamente due o più bolidi concomitanti. Per avere un'idea di quanto è accaduto, lo sciame ha prodotto in 8 ore di attività centinaia di echi con durata superiore a 1-2 minuti (alcuni di durata di 4 minuti ed oltre), ognuno dei quali associato a un bolide che ha liberato in atmosfera un'energia pari o superiore a mezzo chilo di esplosivo convenzionale. Una possibile spiegazione a questo comportamento imprevisto delle Leonidi nel 1998 è che la Terra abbia incontrato due zone dense (filamenti) di materiale cometario: il primo costituito da grosse particelle incontrato con largo anticipo (16 ore prima) rispetto al punto d'incontro (nodo) della Terra con il piano della cometa; il secondo costituito da particelle più piccole che era stato previsto dopo il passaggio al nodo e che in definitiva ha prodotto un'attività più modesta a partire dalle prime ore del 18 novembre. L'attività delle Leonidi del 1998 ricalca con buona approssimazione quella del 1965, un anno prima della grande pioggia del 1966. Questo lascia ben sperare per il prossimo anno anche se le osservazioni del passato fanno capire che su base statistica il fenomeno della pioggia di meteore è un evento tutt'altro che prevedibile. Giordano Cevolani Responsabile stazione radar Bologna-Lecce del Cnr


SCIENZE A SCUOLA. COME FUNZIONA / IL FORNO A MICROONDE Pizza calda e padella fredda Le radiazioni elettromagnetiche in cucina
Autore: VOLTE PAOLO

LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Come funziona un forno a microonde

LE virtù di efficienza, rapidità e praticità del forno a microonde in cucina sono note a tutti: un cibo può essere riscaldato in pochi secondi mentre il contenitore, se appropriato, rimane freddo e può essere toccato a mani nude. Questo fatto, che continua a suscitare meraviglia in tutti quelli che incominciano a usare un forno a microonde, è solo il più marginale dei vantaggi; in realtà l'aspetto più interessante del forno a micronde è il forte risparmio di energia che si ottiene: infatti il calore trasmesso in questa forma ha dispersioni pressoché nulle, come dimostra il fatto che nella cottura di un cibo il contenitore, che non interessa cuocere, rimane freddo. In un forno tradizionale le sorgenti di calore sono o la fiamma del gas o una resistenza elettrica che diviene incandescente; in entrambi i casi il calore (o energia) si sviluppa sotto forma di radiazione elettromagnetica con frequenze dal visibile all'infrarosso, che vengono assorbite da tutti i corpi presenti nel forno: l'aria, le pareti del forno, il contenitore del cibo e il cibo stesso. Per di più, essendo queste radiazioni poco penetranti, il calore è trasmesso prima alla superficie esterna del corpo e si propaga all'interno gradualmente. In un forno a microonde le radiazioni elettromagnetiche sono tutte della stessa frequenza (2,45 GHz, molto minore di quella delle onde del forno tradizionale) e trasmettono la loro energia solo a corpi i cui costituenti microscopici possono vibrare a quella frequenza: nei cibi tale costituente è l'acqua contenuta, le cui molecole possono ruotare 2,45 miliardi di volte al secondo, che si riscalda ed arriva all'ebollizione quasi istantaneamente. Oltretutto l'eccitazione è contemporanea in tutto il volume, sicché si ha un riscaldamento uniforme, anzi con la tendenza ad iniziare in profondità. L'uso delle microonde come fonte d'energia fu preso in considerazione dapprima per scopi industriali (primi Anni 60) e con troppa fretta relegato ad applicazioni marginali (come appunto la culinaria). Ciò accadde perché, essendo l'energia ancora a basso costo, non vi erano motivazioni economiche per sostituire i ben collaudati processi tradizionali (e neppure vi era attenzione ai problemi ambientali); quando poi sorse la necessità di risparmio energetico ci si accorse che, pur essendo il fenomeno perfettamente compreso in linea di principio, non esisteva un'esperienza applicativa che desse la certezza di ottenere i risultati desiderati. Fu solo alla fine degli Anni 70 che si fecero le prime ricerche sull'azione delle microonde nei processi chimici, anche se limitate a casi molto specifici come la polimerizzazione di alcune resine epossidiche e la vulcanizzazione della gomma, quest'ultima con un successo tale da sostituire il processo tradizionale. A metà degli Anni 80 erano stati messi a punto anche processi rapidi di incenerimento di materiali organici come rifiuti e prodotti biologici, ma fu solo nell'86 che si ebbe la svolta decisiva con la pubblicazione di lavori in cui, in una serie di reazioni chimiche vere e proprie come ossidazioni, esterificazioni ed addizioni nucleofile, si osservava un fortissimo incremento della velocità di reazione (qualche centinaia di volte, in certi casi). L'effetto delle microonde sulle reazioni chimiche si indica con l'acronimo More (microwave oven reaction enhancement). La difficoltà di applicare le microonde per il riscaldamento "tout-court" sta nel fatto che ogni materiale risponde in modo diverso alla loro interazione: i metalli rimangono freddi perché le riflettono; anche gran parte degli isolanti rimangono freddi, ma perché sono ad esse trasparenti; altri isolanti come l'acqua, gli ossidi di nichel, di cromo, ferro e manganese le assorbono bene raggiungendo in breve tempo temperature molto alte; spesso l'assorbimento ed il conseguente riscaldamento sono funzione della temperatura di un materiale: ad esempio, l'allumina, la silice e molti vetri sono trasparenti alle microonde da freddi ma le assorbono se leggermente riscaldati; materiali trasparenti possono diventare assorbitori se contengono molte impurezze. Questa gran varietà di comportamento fa sì che ancor oggi ogni nuova idea d'applicazione debba esser preceduta da accurati studi sul comportamento d'ogni componente del sistema. Si aggiunga la difficoltà del controllo della temperatura (i termometri a termocoppia e a resistenza perturbano il sistema riscaldandosi autonomamente mentre i termometri ottici vedono la temperatura superficiale, diversa da quella interna), e si comprenderà come, nonostante la tecnologia odierna, l'uso delle microonde nei processi produttivi proceda con relativa lentezza. Un'indagine condotta a metà degli Anni 90 in Usa dalla National Material Advisory Board ha indirizzato la politica degli investimenti nella ricerca verso lo studio delle possibili applicazioni delle microonde nei processi produttivi, motivando la scelta con la politica del risparmio e la coscienza ambientalista. Grazie a questa spinta in Usa e in altri Paesi a tecnologia avanzata le applicazioni si sono estese ad un gran numero di sintesi organiche, a svariati processi di polimerizzazione, alla sintesi rapida di radiofarmaci; si prospettano poi nuove possibilità come la saldatura di ceramici od anche la realizzazione di asfaltature con grande rapidità e risultati perfetti. In Italia ci si è mossi in ritardo; infatti alla prima conferenza internazionale sull'argomento, "First World Congress on Microwave Processing", svoltasi tra il 5 e il 9 gennaio 1997 a Lake Buena Vista (Florida), non è stato presentato nessun contributo scientifico italiano, nonostante una presenza industriale italiana massiccia, a dimostrazione di un diffuso interesse per il settore. Ma quest'anno nel congresso nazionale a Fermo (in giugno) si è constatato un affannoso tentativo di recupero: accanto agli originali gruppi di Modena (ceramici), Salerno (organica) e Bologna (radiofarmaci) si stanno organizzando gruppi di ricerca a Torino, Pavia, Genova, Milano, Napoli ed altri. Non resta che sperare vengano incoraggiati con adeguati finanziamenti; il nostro Paese ha infatti, più degli altri, bisogno di una tecnologia che comporti il risparmio energetico. Paolo Volte Università di Torino


SCIENZE A SCUOLA. INGLESE Pollution uguale inquinamento
Autore: CARDANO CARLA

ARGOMENTI: DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA

RIPRENDIAMO il tema inquinamento occupandoci di un fenomeno frequente nei nei fiumi, nei laghi e in mare: l'eutrofizzazione. Ecco un brano sull'argomento che permette l'analisi di una serie di vocaboli inglesi necessari alla comprensione di argomenti di biologia. Accanto a termini molto simili ai corrispondenti italiani ne troviamo altri meno ovvi, sui quali ci soffermeremo. (...) Pollution may be caused by natural substances such as faecal material, or by chemicals synthesised by people. A major problem at present in the developed world is the pollution of rivers and streams by too much nitrate-rich material. Minerals such as nitrates and phosphates may be leached from the soil into the waterways. As a result, populations of algae and photosynthetic bacteria are able to grow very rapidly, making the water appear cloudy and scummy (algal bloom). The death of these photosynthetic organisms then provides a rich food supply for decomposers. The decomposers use up large quantities of oxygen from the water in the processes of decay, which in turn may deprive other organisms such as fish and crustaceans of oxygen, causing them to die. Their bodies add to the organic material available to the decomposers and so the situation gets worse. The process is known as eutrophication, and it may happen quite naturally. However, two major sources of human pollution have made eutrophication increasingly common, and are leading to the death of many rivers, streams and ponds. Crop farmers are using their land more and more intensively. To replace the nutrients used by the plants, and to compensate for the fact that the crops are not left to rot and return minerals to the soil, farmers apply artificial fertilisers. These fertilisers are particularly rich in the very soluble nitrates, along with phosphates, and potassium. When fertilisers are leached from the soil into waterways by rain, eutrophication is the likely result. The other source of pollution which may lead to eutrophications is sewage. If relatively untreated human sewage or animal wastes are pumped into a river or lake, they form a massive food supply for decomposing organisms. These decomposes then use up much of the available oxygen to deconpose the sewage and eutrophication - death of the waterway - is again the result. (A. Fullick, Biology, Heinemann Publishers, Oxford, 1994). Faecal: vocabolo simile a quello italiano. Lo segnaliamo per lo spelling, diverso nell'inglese-americano: fecal. Synthesised: la parola è usata anche con altri spelling, tutti accettabili: synthesize, synthetize, synthetise. Parola capostipite è synthesis, simile alla parola italiana. Dal greco syn=insieme e thenai=mettere. Leached: da leach=colare attraverso, percolare, filtrare. Un sinonimo è percolate. Una parola derivata è leaching cesspool =fossa biologica a dispersione. Bloom: fioritura; come in italiano, se riferita alle alghe, ne indica lo sviluppo abnorme. Decay: è il processo di deterioramento e decomposizione, in questo caso causato dai microrganismi decompositori. Il termine è usato anche per indicare il prodotto stesso del processo. Altri significati in campo scientifico: dental decay=carie dentaria. Radioactive decay: decadimento radioattivo e de cay constant=costante di decadimento. Significati corrispondenti si hanno per il verbo de cay. Eutrophication: riconoscibile come corrispondente alla parola italiana eutrofizzazione, come quella deriva dal greco: eu=buono, trophè=nutrizione. Rot: andare incontro a decomposizione, marcire, causare la decomposizione. E' sinonimo di to decay in questo significato e di to brake down. Fertilisers: fertilizzanti. Da notare il differente spelling in inglese-americano: fertilizers. Sewage: acque di scolo, liquami delle fognature. Sewage dispo sal plant: impianto di trattamento dei liquami. Animal wastes: i rifiuti, in questo caso quelli che derivano dall'allevamento, usati come concime. Termine analogo è ma nure, che indica rifiuti animali, di solito mescolati a paglia. Carla Cardano


IN BREVE Progetto Carriere iniziativa Telethon
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA
ORGANIZZAZIONI: TELETHON
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

Attirare in Italia bravi ricercatori: è l'obiettivo dell'iniziativa di Telethon "Progetto Carriere". A far da richiamo è l'istituzione di tre posizioni a diversi livelli di carriera: assistant, con salario annuo di 60 milioni e grant di ricerca di 80; associate, salario 110 milioni, grant di 180; senior, salario 160 milioni, grant di 500. La posizione avrà una durata di 5 anni. Informazioni: 02-2900.3644.


SCIENZE A SCUOLA. SERATA DIDATTICA Sabato l'Italia guarda la Luna Sabato telescopi e astrofili in piazza
Autore: PRESTINENZA LUIGI

ARGOMENTI: DIDATTICA, ASTRONOMIA
LUOGHI: ITALIA

ITALIA in piazza sabato 28 novembre per ammirare la Luna, in collegamento con Rai Radio-1: è una iniziativa dell'Unione astrofili italiani a scopo divulgativo, che punta a uguagliare l'interesse suscitato dalla Notte delle Stelle cadenti del 12 agosto organizzata in molte località della Penisola. A scendere in piazza saranno le delegazioni locali dell'Uai, ossia i gruppi di astronomi non professionisti più organizzati e abituati agli incontri col pubblico. Che, nell'occasione, troverà una batteria di telescopi e potrà osservare, con la guida di esperti, non soltanto le montagne, le valli, i capricciosi solchi della superficie lunare ma anche i pianeti Giove e Saturno, entrambi molto luminosi, il primo a destra, vicinissimo, il secondo a sinistra del nostro satellite. Ben alto nel cielo di levante dopo il tramonto, questo splendido terzetto offrirà ai molti che non hanno mai messo l'occhio a un telescopio l'opportunità di soddisfare la loro curiosità. Dove possibile, saranno spente le luci stradali circostanti, ma in fondo l'osservazione della Luna e dei pianeti è possibile anche con un po' di inquinamento luminoso perché la Luna è molto brillante di per sè e abbastanza grande da riempire l'intero campo di uno strumento d'osservazione. Nel nostro caso, brillerà in cielo con più di metà del suo disco vivamente rischiarato dal Sole: il primo quarto, difatti, sarà già trascorso dalle prime ore del 27 novembre, e questo è il momento più favorevole per ammirare gran parte del rilievo lunare, valli e montagne, circhi e crateri nonché le nere pianure basaltiche dei "mari" nelle migliori condizioni. La Luna subito dopo il primo quarto consente l'osservazione di crateri famosi come quello intitolato a Platone, dal fondo caratteristicamente oscuro, o quelli di Copernico e di Tycho, caratterizzati da raggiere luminose che risalgono a impatti di meteoroidi e alla relativa pioggia di frammenti. Fra le sedi di questo appuntamento con il pubblico, Roma (ai Fori Imperiali), Catania, Sassari, Vigevano. Ma è solo l'inizio di un lungo elenco. Inizio previsto alle ore 21, ma ciò dipenderà da esigenze locali. Luigi Prestinenza


IL WORLD FINANCIAL CENTER Supergrattacielo, ma bucato Alto 460 metri, può accogliere 20.000 persone
Autore: RATTI CARLO

ARGOMENTI: EDILIZIA
NOMI: FITZPATRICK TONY
ORGANIZZAZIONI: OVE ARUP & PARTNERS
LUOGHI: ESTERO, ASIA, CINA, SHANGHAI
TABELLE: T. D. I grattacieli più alti

FORSE, se siete torinesi, vi sarà capitato di salire a piedi da Sassi a Superga. E, arrivando frusti alla Basilica dopo quaranta minuti di marcia sostenuta (un'ora con lena intellettuale), avrete guardato soddisfatti il reticolo lontano delle case di Torino. Pensate allora che a quel punto vi mancherebbero 10 rampe di scale per raggiungere la sommità del World Financial Center, nuovo grattacielo-record in costruzione a Shanghai. Con 460 metri di altezza, 300.000 metri quadrati di superficie per uffici, hotel e un centro commerciale, il WFC sarà nel 2001, a fine cantiere, l'edificio più alto del mondo. In teoria potrebbe accogliere oltre 20.000 persone: quanto cioè, una media cittadina di provincia. La struttura portante non è in acciaio, come nei grattacieli storici americani, ma in calcestruzzo armato. Una innovazione, questa, permessa dalla recente scoperta di miscele ad altissima resistenza, fino a 5 volte più robuste di quelle tradizionali. Il loro impiego ha consentito di aumentare la stabilità del grattacielo al vento, riducendo i costi di costruzione. Proprio il vento, infatti, è la condizione di carico più severa a Shanghai, zona di tifoni, spiega Tony Fitzpatrick, direttore di Ove Arup & Partners e ingegnere progettista della struttura. Per questo motivo l'aerodinamica del grattacielo è stata testata in laboratorio e ha condotto all'ideazione, alla sommità dell'edificio, di un gigantesco foro circolare di 54 metri di diametro (che servirà anche come punto panoramico). Sempre in cima al grattacielo sono state poi previste otto grandi taniche piene d'acqua ciascuna delle dimensioni di un mini appartamento. Lo sciacquio al loro interno, tra una serie di setti grigliati comunicanti, smorzerà le oscillazioni della struttura. E nonostante tutto, in condizioni estreme, l'ultimo piano continuerà ad ondeggiare: quasi un metro nelle raffiche più forti. Sempre a proposito di grattacieli, nel 1996 la Sears Tower di Chicago, per oltre vent'anni grattacielo record al mondo, ha visto insidiato il proprio primato. Cesar Pelli, architetto americano, stava terminando a Kuala Lumpur la costruzione delle "Torri Gemelle". Le quali, sebbene di corporatura più modesta della Sears, avrebbero usurpato il titolo di edificio più alto del mondo grazie a un insolente pinnacolo di 34 metri. Ne risultò una controversia internazionale. E dovette intervenire il Council on Tall Buil dings, autorevole Comitato (americano, s'intende) preposto alla tutela dei grattacieli. Il quale risolse il caso con molto equilibrio; alle Torri Gemelle, sì la palma di edificio più alto del mondo, ma alla Sears Tower quella per l'appartamento più elevato. Fra pochi anni, tuttavia, con la realizzazione del World Fi nancial Center di Shanghai la diatriba sarà definitivamente sedata. Almeno fino al prossimo record. Gli ultimi due secoli di ingnegneria strutturale sono segnati infatti da una sequenza di record raggiunti e poi superati. A partire dal 1854, anno in cui Elisha Otis inventò l'ascensore, si possono ricordare a New York l'edificio dell'Ameri can Security (92 metri nel 1896), il grattacielo Woolwrth (241 metri nel 1910) e la torre Chrysler (319 metri nel 1930), superata in un anno dall'Empi re State Building con 378 metri. Anche i 400 metri vennero toccati per la prima volta a New York con il World trade Center, 417 metri nel 1973; ma i 442 della Sears Tower, a Chicago, distaccarono ben presto questa già ragguardevole altezza. Oggi si sono buttate nella sfida le tigri del Sud-Est asiatico. Le quali, in base ad attendibili previsioni (sebbene antecedenti alla crisi finanziaria) supereranno gli Stati Uniti nel 2001 per numero di edifici sopra i 1000 piedi (305 metri). L'Europa sembra invece fuori gioco. Gli ultimi grattacieli proposti sono stati affossati. A Parigi l'ardita torre di vetro progettata da Jean Nouvel per la Defen se ribattezzata dai Francesi (che si sa adorano la grandeur) Tour sans fins, in realtà non ha avuto neppure un inizio. A Londra la Millennium Tower di Norman Foster, nelle previsioni 385 metri, è stata ridotta a più miti propositi. Nella classifica mondiale dei 23 edifici sopra i 1000 piedi l'Europa non compare: il modesto record continentale è il recente grattacielo della Commerzbank di Francoforte, con 259 metri. Retrogada avversione alla tecnologia o semplice senso della misura? Carlo Ratti Cambridge University


I PUNTI DEBOLI DELL'IMPRESA Un "Titanic" nel cielo?
Autore: BIANUCCI PIERO

NOMI: DYSON FREEMAN
ORGANIZZAZIONI: NASA
LUOGHI: ITALIA

OGGI la ricerca spaziale consolida la pace tra le superpotenze. Ma divide gli scienziati. Si è appena posata la prima pietra del villaggio spaziale che dovrà orbitare fino al 2015-2020 intorno alla Terra e già le critiche infuriano. Vediamo le più pesanti. Si dice che la Stazione spaziale costa troppo. In effetti 63 miliardi di dollari sono il doppio della spesa per il Programma Apollo che portò 12 uomini sulla Luna. Si dice che nasce vecchia. In parte è vero: ha accumulato 10 anni di ritardo rispetto ai tempi in origine proposti da Reagan. Si dice che la sua utilità è limitata. E non si può negare che l'interesse per la produzione di cristalli e farmaci in microgravità negli ultimi anni sia calato, mentre per gli studi scientifici i satelliti sono più flessibili ed economici. Si dice che un programma così impegnativo, che blocca per anni i voli degli Shuttle e assorbe gran parte degli investimenti di tutte le agenzie spaziali, finirà col soffocare la ricerca e impedire progetti più suggestivi, come la creazione di laboratori sulla Luna o lo sbarco su Marte. Ed è difficile negare che questo sia un argomento fondato. Uno scienziato di grande intelligenza come Freeman Dyson ha scritto un libro apposta per dimostrare che i maxiprogrammi sono nemici della buona ricerca. La Nasa stessa, dopo aver adottato lo slogan "più piccolo, più economico, più veloce", si contraddice nel varare una Stazione colossale, esosa e lentissima (pare che per ogni anno di montaggio se ne accumuleranno due di ritardo). Strano: fatto l'elogio del pattino, si mette in cantiere il "Titanic". Al quale la Stazione spaziale somiglia non solo per il gigantismo ma anche per i rischi. Qualche dato. Lo Shuttle, impegnato in 32 voli per la Stazione, ha una probabilità di fallire ogni 100 lanci. I razzi russi "Proton", impegnati in 11 voli, ne falliscono 8 su cento. Le oltre 1000 ore di attività nello spazio necessarie per il montaggio comporteranno agli astronauti-carpentieri dosi di radiazione pari a migliaia di radiografie. Infine, in 10 anni la probabilità che la Stazione (30 moduli, 4000 metri quadrati di pannelli solari) venga danneggiata da un detrito spaziale vagante è di 1 su 2. Giochereste il vostro conto in banca a testa o croce? Bene: la moneta sta già volteggiando in aria. Da che lato cadrà? Piero Bianucci


LA STAZIONE SPAZIALE INTERNAZIONALE Va in orbita una piccola Onu Il 3 dicembre si inizia l'assemblaggio
Autore: RIOLFO GIANCARLO

NOMI: SHEPERD BILL, GIDZENKO YURI, KRIKALEV SERGEIJ, CABANA ROBERT
LUOGHI: ITALIA

FINALMENTE al via la stazione spaziale internazionale. Dopo anni di studi, modifiche e rinvii, il 20 novembre un razzo Proton decollato da Baikonur ha portato in orbita il primo elemento della città delle stelle: il modulo Fgb, recentemente ribattezzato Zarya, che in russo significa "alba". Il 3 dicembre toccherà allo shuttle Endeavour partire con il secondo pezzo: uno dei tre "nodi" attorno ai quali verranno attaccati i diversi laboratori. Una volta terminata, questa colonia a 400 chilometri dal suolo avrà le dimensioni di uno stadio e una massa di 420 tonnellate. Ospiterà in permanenza 6-7 astronauti in uno spazio grande come la cabina di un Boeing 747, quattro volte il volume interno della stazione russa Mir. I sistemi di bordo, controllati da 52 computer, avranno 13 chilometri di cavi elettrici. Dicevamo dei ritardi. L'ultimo rinvio, di cinque mesi, era stato deciso alla fine di maggio, quando le agenzie spaziali dei paesi partner hanno dovuto prendere atto delle difficoltà della Russia a completare nei termini previsti la costruzione del terzo elemento della stazione: il modulo di servizio, un cilindro lungo 13 metri, destinato ad accogliere i primi astronauti. Alle già notevoli difficoltà di realizzare un progetto basato sulla cooperazione di 15 paesi (Stati Uniti, Canada, Brasile, Giappone, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Italia, Olanda, Norvegia, Spagna, Svezia, Svizzera e Russia: una piccola Onu dello spazio), che impegna centomila persone e il cui costo complessivo è attorno ai 60 miliardi di dollari, si sono aggiunti i problemi economici della Russia. E che, nonostante gli aiuti occidentali, l'agenzia spaziale russa navighi in cattive acque, lo dimostra la strana richiesta fatta pochi giorni dal lancio del modulo Zarya: mutare l'orbita prevista per avvicinarsi alla stazione Mir, ormai abbandonata, e cercare di recuperare alcune apparecchiature. Proposta respinta perché avrebbe comportato complicazioni tecniche e nuovi ritardi. Se la tabella di marcia verrà rispettata, la stazione spaziale internazionale sarà ultimata nel gennaio 2004. I primi inquilini, però, arriveranno già all'inizio del 2000, a bordo di una Soyuz. L'equipaggio sarà composto da un comandante americano, Bill Sheperd, e da due russi, il comandante della Soyuz Yuri Gidzenko e l'ingegnere di volo Sergei Krikalev. Resteranno nello spazio per cinque mesi. A partire dal novembre 2002, potranno essere ospitati sei astronauti. In tutto, la costruzione della stazione internazionale richiederà 45 missioni, con l'impiego della navetta americana e dei lanciatori russi Proton e Soyuz. L'Italia ha un ruolo di primo piano. Nello stabilimento Alenia Aerospazio di Torino stanno nascendo il laboratorio europeo Columbus (sarà lanciato tra la fine del 2002 e l'inizio del 2003) e i "nodi" numero due e tre. L'industria italiana costruisce anche i tre moduli logistici pressurizzati che verranno usati dalla Nasa per trasportare nella stiva dello Shuttle attrezzature e rifornimenti alla stazione spaziale. Il primo, intitolato a Leonardo da Vinci, è partito alla fine di luglio da Caselle, diretto a Cape Canaveral: è stato in assoluto il primo pezzo destinato al villaggio orbitale ad essere pronto, con 17 mesi di anticipo rispetto al primo volo, previsto alla fine del prossimo anno. I ritardi hanno scombinato, tra le altre cose, la sequenza dei voli Shuttle. Così, dopo la missione Sts-95, quella di nonno Glenn, tocca ora alla Sts-88, il cui compito principale sarà portare in orbita Unity, il primo dei tre elementi di raccordo (nodi) della stazione, e collegarlo al modulo Zarya, costruito e lanciato dai russi, ma finanziato dalla Nasa e di proprietà dell'agenzia americana. La partenza dello shuttle En deavour è prevista il 3 dicembre dalla rampa 39B del Kennedy Space Center. A bordo della navetta, cinque astronauti: il comandante Robert Cabana, il pilota Frederick Sturckow e gli specialisti di carico Nancy Currie, Jerry Ross e Jim Newman. A questi ultimi due spetta il compito di svolgere le tre "passeggiate" extraveicolari necessarie per unire i vari cablaggi tra i due elementi: i moduli Zarya e Unity non si sono mai incontrati prima e non è mai stato fatto alcun accoppiamento di prova a terra. Zarya, un cilindro lungo 12 metri, servirà come modulo di controllo, fornendo energia e propulsione nelle prime fasi di vita della stazione spaziale. Unity, è lungo 10 metri e pesa 12 tonnellate. Costruito presso il Marshall Space Flight Center di Huntsville, in Alabama, è dotato di sei punti di attracco, ai quali verranno successivamente collegati altri elementi della stazione. La missione di Endea vour, che prevede anche il rilascio in orbita di un piccolo satellite scientifico costruito dall'Argentina, dovrebbe concludersi dopo 11 giorni sulla pista del Kennedy Space Center. Giancarlo Riolfo




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