TUTTOSCIENZE 14 ottobre 98


IN BREVE Antartide museo a Genova
ARGOMENTI: DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, GENOVA (GE)

Al Porto Antico di Genova è stato inaugurato fa il Museo nazionale dell'Antartide, 800 metri quadrati nella Palazzina Millo. Tel. 010-353.8112.


SCIENZE DELLA VITA TRAPIANTI Antiimmunitario da Rapa Nui
Autore: PELLATI RENZO

ORGANIZZAZIONI: UNITED NETWORK FOR ORGANO SHARING, WYETH-AYERST LABORATOIRES
LUOGHI: ITALIA

I trapianti d'organo effettuati in Europa nel 1996 sono stati più di 19.000 (ventimila negli Stati Uniti). Tuttavia oggi, secondo l'Unos (United Network for Organo Sharing), ci sono in Europa 48.000 pazienti in lista d'attesa e 60.000 negli Stati Uniti. Questo divario tende ad aumentare, ed è sempre più evidente l'importanza di avere dei farmaci efficaci per ridurre il fenomeno del rigetto e ottenere un numero sempre più elevato di risultati positivi per non vanificare il sofisticato lavoro chirurgico e relativa ricerca del partner (per non parlare del risvolto economico). Il problema è tutt'altro che facile da risolvere, perché il sistema immunitario com'è noto, è preposto dalla natura a considerare un organo proveniente da una donazione come un nemico, un corpo estraneo da eliminare. Il sistema immunitario infatti, passa costantemente in rassegna una ad una, le cellule presenti nell'organismo e si sforza di separare le cellule che ritiene proprie (definite: "self") da quelle estranee ("non-self"). Il sistema immunitario contraddistingue quindi le cellule "non-self", con un marker, per destinarle alla distruzione. Nei trapianti d'organo, il trattamento d'elezione comporta l'impiego di farmaci immunosoppressori (ciclosporina, azatioprina, corticosteroidi, presi ogni giorno) che possono avere un impatto negativo sulla vita dei pazienti, sia perché espongono l'organismo all'intrusione degli organismi che ci circondano (virus, batteri, funghi), sia per gli effetti collaterali (danni al sistema renale, al sistema nervoso periferico, comparsa di irsutismo, aumenti del peso corporeo). Un passo avanti è stato fatto da un farmaco (sirolimus/rapamicina) il cui principio attivo è stato scoperto nel terreno dell'isola di Pasqua (detta Rapa Nui), da un'equipe di farmacologi dell'Università di Halifax, Canada, partiti alla ricerca di nuovi principi attivi per conto della Wyeth-Ayerst Laboratoires. La molecola attiva della sirolimus/rapamicina blocca in modo selettivo la proliferazione delle cellule T, che sono un componente essenziale della risposta immunitaria dell'organismo. Allo studio in doppio cieco, controllato con placebo, hanno preso parte 576 pazienti sottoposti a trapianto del rene in 40 centri sparsi in tutto il mondo (per l'Italia: prof. Raffaello Cortesini dell'Università La Sapienza di Roma). Il numero di episodi di rigetto acuto si è dimostrato più basso (11%) nei pazienti sottoposti a trattamento con una posologia di 5 mg al giorno (e anche quando questo è avvenuto, gli episodi sono stati meno gravi) rispetto al 29% dei pazienti sottoposti a trattamento con placebo, ciclosporina e prednisone. Per far fronte alle necessità che ancora rimangono nel settore dell'immunosoppressione, la ricerca è in continua attività. Tuttavia, per i trapianti nell'uomo, un problema che interessa in ogni parte del mondo riguarda la mancanza di organi. Sono necessarie iniziative da parte di governi, associazioni per i diritti dei pazienti, privati, per enfatizzare il valore umano della donazione d'organo, indispensabile per salvare una vita. Renzo Pellati


SCIENZE A SCUOLA Un'alga più un fungo Bizzarro esempio di simbiosi
Autore: PIERVITTORI ROSANNA

ARGOMENTI: BOTANICA, BIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Sezione di un lichene foglioso con riproduzione per mezzo di soredi

I licheni sono organismi che racchiudono un importante segreto nella loro vita: rappresentano infatti uno dei più affascinanti inganni che la natura ha saputo produrre consentendo a due individui molto diversi tra loro, un fungo e un'alga microscopica, di vivere insieme dando origine a quella che gli studiosi definirono nel secolo scorso, con un termine coniato appositamente, simbiosi. Prima della sensazionale scoperta, avvenuta nel 1867 ad opera dello studioso svizzero Simon Schwendener, i licheni erano considerati organismi dotati di una propria individualità, e venivano spesso confusi con alghe, muschi e funghi (confusioni non del tutto superate neppure ai giorni nostri!). Il cammino per accettare la duplice natura dei licheni non è stato facile, e il concetto di simbiosi è stato variamente interpretato dai ricercatori: come schiavitù dell'alga, del fungo, situazione idilliaca tra i due partner. Con una visione più moderna oggi si tende a spiegare che il fungo, per poter vivere anche in situazioni ambientali sfavorevoli per un organismo vivente (su colate laviche, nelle zone desertiche, sulle rocce) è stato spinto a unirsi con un'alga. Il motivo principale di questa vita di coppia però è legato all'incapacità da parte del fungo di produrre in modo autonomo il nutrimento, l'alga invece può farlo perché è in grado di sintetizzare zucchero dall'acqua e dall'anidride carbonica, grazie al verde pigmento della clorofilla e all'energia solare. Anziché vivere a spese o perfino uccidere il produttore di zuccheri, come avviene in numerosi funghi parassiti delle piante, quelli dei licheni si differenziano in un ambiente funzionalmente perfetto per il simbionte algale, assicurandone la forma, lo sviluppo, la produttività e, di conseguenza, il continuo rifornimento di zuccheri per se stessi. La possibilità di formare un lichene rappresenta quindi per il fungo un'ulteriore strategia alimentare insieme con altre, più note, che gli consentono di trarre il nutrimento decomponendo residui organici o aggredendo e danneggiando altri organismi o vivendo insieme ad essi senza danneggiarli. Un fungo su cinque delle attuali 64.200 specie conosciute può dare origine alla simbiosi lichenica. La scoperta del dualismo in questi organismi ha aperto la strada alla conoscenza di altri analoghi sistemi come il consorzio tra alghe unicellulari con invertebrati studiato da Brandt, allievo di Schwendener, nel 1882; le ectomicorrize scoperte da Frank nel 1885 o la presenza di batteri del genere Rhizobium nei noduli radicali di alcune leguminose osservata da Hellriegel nel 1886. Con i licheni la natura ha superato se stessa, perché mentre in molte simbiosi i partecipanti sono sempre riconoscibili (si pensi al tartufo con le radici di alcuni alberi o, nel mondo animale, al paguro bernardo con un'attinia), in questi organismi non è così. Infatti il prodotto, vale a dire quello che chiamiamo lichene, è talmente eccezionale, sia per l'aspetto esteriore (provate, tenendone in mano uno, a tentare di riconoscere il fungo e l'alga!), sia per il funzionamento, che risulta meritevole di una disciplina a parte rispetto ai funghi: la lichenologia, divenuta da alcuni anni materia di studio anche in alcune sedi universitarie italiane. I licheni ci ricordano che il modello preda-predatore non è l'unica relazione possibile in natura tra organismi diversi. Essi rappresentano uno dei microcosmi più affascinanti e seducenti del mondo vegetale: un vero e proprio infinito campionario di forme e colori dalla gamma fantasiosa. Un microcosmo rappresentato da almeno 15.000 specie (di cui oltre duemila conosciute oggi in Italia) che con discrezione ci accompagna un po' dovunque. I licheni sono infatti organismi cosmopoliti, presenti dall'Equatore alle regioni polari e dalle scogliere marine (disdegnano solamente la vita sottomarina) alle maggiori quote della superficie terrestre. Se tronchi e rami degli alberi, terreno, muschi e rocce, pietraie d'alta quota, sono le superfici su cui è più facile osservarli, è possibile tuttavia trovare licheni anche su supporti meno consueti per un organismo vegetale, come metallo, vetro, asfalto, cemento, laterizi. I licheni a modo loro sono in grado di comunicare con noi e di fornirci preziose indicazioni, ad esempio, sulla qualità dell'aria che respiriamo. Infatti la loro sensibilità agli inquinanti atmosferici li rende preziosi strumenti biologici da tempo ampiamente utilizzati in Europa, e più recentemente anche in Italia, negli studi di monitoraggio ambientale. Allo specialista in grado di identificarli possono fornire preziose informazioni sull'habitat in cui vivono, sul microclima, sulla composizione, lo stato nutrizionale e la stabilità dei substrati su cui si accrescono, sui punti di ritrovo preferiti da uccelli e da altri animali e spesso riescono a spiegargli un processo evolutivo durato molti secoli. Rosanna Piervittori Università di Torino


SCIENZE FISICHE. PRO & CONTRO Bollare il cartellino è l'ultimo problema
Autore: PALMEGIANO GIOVANNI

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: PREDAZZI ENRICO
LUOGHI: ITALIA

ENRICO Predazzi, scienziato riconosciuto e docente apprezzato, si lamentava su Tuttoscienze del 23 settembre "Anche Fermi bolli la cartolina!" dell'introduzione del controllo dell'orario di presenza per i ricercatori. Pur comprendendo che ciò possa essere vissuto da un fisico teorico quasi come una camicia di forza, devo dissentire dal senso generale dell'articolo. Ritengo, infatti, che nel mondo della ricerca esistano problemi più urgenti (non voglio dire più importanti) di un cartellino da timbrare, sia in termini di problemi generali sia di singole questioni concrete. Credo che questo sia il tempo in cui chi si occupa di scienza deve affrontare, ad esempio, le questioni di etica poste dalla clonazione, o più propriamente del problema del limite, esemplificato dall'affermazione, mutuata dalla saggezza popolare: "Non necessariamente l'uomo deve fare tutto ciò che sa fare". Per restare, invece, nella concretezza dell'attualità va ricordato che è sul tappeto la riforma del sistema ricerca, che dovrà affrontare non pochi problemi. Ad esempio nel Cnr ci sono oltre 300 organi di ricerca, con personale numericamente variabile, che si occupano di temi anche molto lontani: dalla metrologia all'archeologia micenea. Ma per poter essere competitivi occorre avere una massa critica e di conseguenza bisognerà ridurne il numero accorpando più strutture oppure eliminando, ahimè, quelle non più di eccellenza. Di qui l'esigenza di un'attenta valutazione dell'attività di ricerca, oggi solo poco più che formale. Ecco un altro bell'argomento di discussione: quali sono i criteri per valutare la produzione scientifica di un ricercatore piuttosto che quella di un ente di ricerca o di un ateneo? Non bisogna poi dimenticare il rapporto tra ricerca pubblica e aziende; il tessuto connettivo della produzione nazionale è fatto da piccole e piccolissime aziende che non hanno possibilità nè di finanziare ricerche nè di farsele finanziare, nè semplicemente di accedere ai risultati delle ricerche. La collaborazione non può essere basata solo sulla buona volontà (o sull'interesse) del singolo ricercatore o del singolo imprenditore. Ho lasciato per ultima la questione del precariato perché è, secondo me, scandalosa: nel solo Cnr su un totale di 7000 dipendenti ci sono quasi mille precari con un'età media che si avvicina pericolosamente ai quaranta (quella dei ricercatori di ruolo è superiore ai cinquanta). E' personale ad altissima specializzazione, che gestisce anche dei laboratori, ma che non ha alcun riconoscimento se non la gloria. Pensiamo in termini concreti, come ci si dovrà comportare in una commissione concorsuale avendo da scegliere tra un giovane brillante, fresco di dottorato, e un assai meno giovane collega precario? Sanare una situazione che rischia di incancrenirsi o privilegiare l'entusiasmo del giovane? Poiché non credo che nel breve termine si possano far assunzioni, temo che il precariato sia destinato a perpetuarsi. Non ci mancano proprio gli argomenti da discutere, professor Predazzi, incluso quello della timbratura del cartellino. Giovanni B. Palmegiano Cnr, Torino


IN BREVE "Cassini-Huygens" un anno dopo
ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
LUOGHI: ITALIA

Da domani a Genova e a Perinaldo convegno sulle sonde Cassini-Huygens in viaggio verso Saturno, dove arriveranno nel 2004. Il lancio risale esattamente a un anno fa.


IN BREVE Corso post-laurea per la divulgazione
ARGOMENTI: DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, MILANO (MI)

L'Istituto di scienze farmacologiche dell'Università di Milano istituisce un corso post-laurea in "comunicazione scientifica". Informazioni: 02-20.48.8219.


IN BREVE Ecoetologia a Catania
ARGOMENTI: ECOLOGIA, ETOLOGIA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, CATANIA (CT)

All'Università di Catania è bandito un corso internazionale in ecoetologia delle coste sabbiose emerse. Per laureati in scienze. Informazioni: 095-730.6017.


IN BREVE Experimenta sull'energia
ARGOMENTI: ENERGIA, DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA

Libero mercato dell'energia, ambiente e impegni della Conferenza di Kyoto sono i temi di un dibattito che si terrà al Politecnico di Torino il 26 ottobre. Nell'occasione, alle 9,30, verrà presentata l'edizione 1999 di Experimenta, che sarà dedicata al rapporto tra ambiente ed energia. Experimenta, un'iniziativa dell'assessorato alla cultura della Regione Piemonte, è stata la prima mostra scientifica interattiva in Italia.


SCAFFALE Foresta Martin Franco e Polizzi Patrizia: "Terremoto", Avverbi Boschi Enzo e Bordieri Franco: "Terremoti italiani", Baldini & Castoldi Autori vari: "I terremoti del l'Appennino umbro-marchigiano", Ed. Compositori
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: LIBRI
LUOGHI: ITALIA

TRE libri per capire il fenomeno dei terremoti e per imparare, per quanto è possibile, a difendersi dal loro attacco. Conviene cominciare dall'agile manuale di Franco Foresta Martin e Patrizia Polizzi. In un centinaio di pagine sono spiegati i meccanismi fondamentali (collegati ai moti delle placche terrestri), i sistemi di rilevamento e di misura, i tentativi di previsione (finora con scarso esito). Ma c'è anche un'analisi ravvicinata della situazione italiana, con una cronistoria degli eventi più catastrofici (200 mila morti e migliaia di miliardi di danni soltanto negli ultimi secoli). Gli autori sono entrambi geologi impegnati nella divulgazione: Patrizia Polizzi in ambito scolastico, Foresta Martin a tutto campo, essendo uno dei più qualificati e affermati giornalisti scientifici. Chi poi volesse approfondire, non ha che da leggere gli altri due volumi: quello di Enzo Boschi (responsabile della Commissione grandi rischi sismici della Protezione civile) e Franco Bordieri dedica particolare attenzione alle secolari inadempienze tecnico- politiche in campo sismico in un Paese come il nostro dove quasi la metà del territorio è esposta a fenomeni tellurici; l'altro è una pubblicazione più specializzata: documenta i sismi che dal 99 a.C. al 1984 hanno colpito l'Appennino umbro- marchigiano.


IN BREVE Glicogenosi gene mutante
ARGOMENTI: GENETICA, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: BENEDETTI ANGELO, SORRENTINO VINCENZO
LUOGHI: ITALIA

Due gruppi di ricercatori, uno belga e uno italiano (ne fanno parte Angelo Benedetti e Vincenzo Sorrentino dell'Università di Siena), grazie a finanziamenti Telethon, hanno identificato diverse mutazioni in un gene responsabile della glicogenosi di tipo 1b, malattia che in Italia colpisce una persona su cinquantamila. Per altre informazioni: 02-26.434.726


SCAFFALE Gribbin John: "Enciclopedia di Astronomia e Cosmologia", Garzanti
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ASTRONOMIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

L'"Enciclopedia di astronomia e cosmologia" che si aggiunge alla preziosa collezione delle "Garzantine" è, in origine, "Companion to the Cosmos" di John e Mary Gribbin. Ma Libero Sosio non si è accontentato di farne una perfetta traduzione e vi ha aggiunto un gran numero di voci (molte delle quali di interesse essenzialmente per il nostro Paese), nonché una ricca bibliografia e un'originale bibliocronografia. Ne è uscito un volume di oltre 600 pagine, con 2577 voci, 456 illustrazioni, 56 tabelle, 24 tavole a colori e persino 8 carte del cielo nelle quali le costellazioni sono riprodotte con inchiostro fosforescente, in modo da renderle visibili al buio. Ma oltre che alla consultazione, questa enciclopedia si presta anche a una lettura continua grazie a una cinquantina di box che costituiscono una vera e propria serie di piccole monografie sui temi più avanzati della ricerca astrofisica: dalla relatività speciale e generale alle teorie di grande unificazione, dal big bang al modello inflativo, passando per il paradosso di Olbers e la radiazione fossile. Fitta e funzionale la rete dei rinvii interni tra voci che trattano temi confinanti.


FINANZA E FENOMENI CAOTICI La Borsa? E' un fluido turbolento I fisici vogliono scoprire le "leggi" dell'economia
Autore: DEL ROSSO ANTONELLA

ARGOMENTI: FISICA, ECONOMIA
NOMI: YI-CHENG ZHANG
LUOGHI: ITALIA

MENTRE i mercati mondiali diventano sempre più turbolenti, i fisici tentano l'avvicinamento agli scottanti temi della finanza e dell'economia. Invasione di campo o, piuttosto, un nuovo approccio nell'affrontare andamenti bizzarri, cadute improvvise e risalite esponenziali? La nuova disciplina si chiama econophysics ed ha avuto il suo battesimo ufficiale alla conferenza di Budapest del luglio '97. Dopo la conferenza di Roma nel marzo 1998, un'altra importante conferenza su questi temi si è svolta a Palermo dal 28 al 30 settembre, organizzata, tra gli altri, da Mantegna dell'Università di Palermo. L'econophysics si avvale delle conoscenze raggiunte in vari campi della fisica, della matematica e dell'economia: dalla teoria dei frattali, alla fisica statistica, ai vari modelli già creati dai diversi econonomisti per interpretare i mercati finanziari. Cosa c'è di nuovo allora? Prima di tutto, i fisici sono in grado di utilizzare strumenti e tecniche di approccio sconosciuti alle altre discipline. Non è infatti la prima volta che i fisici si cimentano con "sistemi complessi" nei quali il numero di variabili e correlazioni è elevato e la ricerca di un meccanismo di base è un compito molto difficile. Approcci simili a quelli tentati ora nell'economia erano stati già applicati per sviluppare la teoria dei campi, per costruire i modelli termodinamici, per capire le transizioni di fase e gli effetti di coerenza in vari sistemi. La prima difficoltà che si incontra nello studio dei sistemi finanziari è la relativa scarsezza di dati sperimentali; solo recentemente, infatti, si è potuto usufruire di una certa quantità di dati da analizzare e ciò ha permesso un primo riscontro tra i modelli sviluppati e la realtà dei mercati finanziari. Lo scopo finale è quello di cercare di riprodurre in economia ciò che in fisica già esiste: leggi che riescono a predire l'evoluzione di un sistema in maniera rigorosa e costante. Facciamo un semplice esempio: la fisica ci dice che le mele cadranno sempre dall'albero verso la terra e mai viceversa. Questa sicurezza, oltre che dall'esperienza, è avallata da un modello teorico in cui la Terra esercita la forza di gravità su tutti i corpi e così facendo li attrae verso il suo centro. Ebbene, è forse possibile attendersi un certo risultato da un determinato investimento che segua un certo modello teorico? Rispondere è complicato, e la polemica è aperta tra gli stessi studiosi interessati al problema. Una parte di loro, tra cui Yi- Cheng Zhang, docente di Fisica Teorica all'Università di Friburgo (Svizzera) e uno dei primi fisici a dedicarsi a problemi economici, reputa impossibile riuscire a costruire un modello che sappia predire il risultato di un certo investimento o l'andamento di Wall Street. Lo scopo dei fisici è quello di ottenere una valutazione della probabilità che un certo avvenimento accada e non prevederlo quantitativamente o temporalmente. "Una fondamentale differenza - dice Zhang - tra i problemi classici affrontati dalla fisica finora e i nuovi temi dell'economia sta proprio nella influenzabilità di quest'ultima. Se, per esempio, si arriva a una teoria sbagliata sul comportamento degli atomi, questi non ne sono influenzati. Al contrario, l'andamento di una Borsa, è estremamente sensibile ad ogni input esterno, giusto o sbagliato che sia rispetto alle condizioni reali". Ciò non significa che non si possa dire nulla sull'argomento. Anzi, con gli strumenti di cui si è arricchita la fisica statistica negli ultimi vent'anni e con sempre più dati a disposizione, la via per la conoscenza approfondita dei più complessi sistemi economici è aperta. Alcuni studiosi si spingono fino a mettere a confronto la crescita di alcuni sistemi economici con lo sviluppo delle specie biologiche. La crescita di una specie o, continuando con il parallelismo, di un'impresa o, al limite, di un intero paese, non può essere infinita ma tenderà sempre a una sorta di equilibrio determinato dalla quantità di risorse a disposizione. E ancora: partendo da alcuni dati sperimentali, è stato possibile mostrare come il tasso di cambio di alcune importanti valute come il marco tedesco, sia del tutto simile alla turbolenza di un fluido con stati di vortice. Sembra quindi possibile guardare a Borse, tassi di cambio e sviluppi economici come a sistemi il cui andamento risulti prevedibile o comunque sia descrivibile tramite modelli già noti. Per chi fosse interessato ad approfondire l'argomento, ecco il sito del gruppo di lavoro dell'Istituto di Fisica della Materia dell'Università di Genova, che mette a disposizione una serie di altri link con altri Istituti in Italia e nel mondo: www.ge.infm.it/econophysics E Internet, la grande rete telematica, già da tempo presenta sorte di "giochi" in cui si ha un certo capitale iniziale virtuale a disposizione e la possibilità di investire, sempre virtualmente, su titoli reali seguendo l'andamento reale delle Borse mondiali. Per coloro che volessero cimentarsi ecco un esempio: www.investgame.ch Antonella Del Rosso Università di Friburgo


SCIENZE A SCUOLA LA LEZIONE / BIOLOGIA Manna? No, licheni Usati da secoli in farmacologia
Autore: R_PI

ARGOMENTI: BOTANICA, BIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Esempi di licheni

FIN dall'antichità l'uomo ha imparato a conoscere e ad utilizzare i licheni, e ancora oggi molte specie vengono raccolte per le loro proprietà terapeutiche, alimentari, decorative. Quanti di voi, ad esempio, sanno che i piccoli cespugli e gli alberelli utilizzati nella costruzione dei plastici di edifici in miniatura o venduti nei negozi di modellismo o usati per preparare ghirlande e addobbi natalizi, non sono altro che licheni del genere Cladonia? Quanti sanno che il profumo in commercio con il nome "muschio di quercia" viene in realtà ricavato da alcuni licheni del genere Evernia e Pseudevernia? Anche per i licheni, come per le piante superiori, esiste una ricca documentazione, anche nostrana, sui loro usi economici passati e attuali, e per dare maggiore forza a questo patrimonio di conoscenze alcuni studiosi hanno azzardato il termine di etnolichenologia. L'uso più antico è probabilmente quello a scopo medicinale: pare risalga agli antichi Egizi. Successivamente si trovano testimonianze in Cina, nelle civiltà occidentali e anche in Italia i medici della Scuola salernitana includevano tra i loro medicamenti alcuni preparati a base di sostanze estratte dai licheni. All'inizio del XVI secolo, con l'affermarsi della "teoria della signatura" che individuava le presunte proprietà terapeutiche in base all'aspetto esteriore dei vegetali, anche ai licheni vennero attribuite specifiche virtù medicinali a seconda delle loro caratteristiche morfologiche. Per questo Lobaria pulmonaria, il cui aspetto ricorda gli alveoli polmonari, veniva utilizzata nella cura delle affezioni dell'apparato respiratorio mentre la caduta dei capelli, assillo dell'uomo moderno, allora veniva curata utilizzando Usnea barbata, simile ad una fluente chioma. Oggi però il lichene più noto e usato in fitoterapia è Cetraria islandica, meglio conosciuto come lichene d'Islanda (il cui nome deriva probabilmente dal fatto che gli Islandesi e le popolazioni del Nord Europa per primi lo utilizzarono per scopi alimentari e medicinali). In farmacia ed erboristeria la Cetraria viene venduta sotto forma di pasticche, sciroppi dalle proprietà espettoranti ed antitosse, anche se non mancano dentifrici e prodotti cosmetici reclamizzati per il loro contenuto a base di estratti di licheni artici. In medicina omeopatica è invece utilizzata sotto forma di tintura madre e di granuli. Tutt'altro che secondario l'impiego dei licheni a scopo alimentare non solo da parte degli animali ma anche dell'uomo. Numerose specie infatti hanno rappresentato, per molte popolazioni, la salvezza durante i periodi di carestia, integrando o in alcuni casi sostituendo le farine dei cereali. La manna che cadeva ogni mattina per gli Ebrei guidati da Mosè e che formava estesi tappeti chiari altro non era che una pioggia di frammenti di Lecanora esculenta. Il fenomeno biblico ha trovato conferme più recentemente nel 1891 in Turchia. Ancora oggi questo lichene si trova in vendita nei bazar di alcune località asiatiche in quanto viene utilizzato per preparare un tipico pane locale. In numerosi trattati di economia domestica, in cui vengono fornite indicazioni sulla raccolta di vegetali spontanei da utilizzare nell'alimentazione umana, è possibile trovare interessanti ricette che illustrano i diversi metodi per ricavare da alcuni licheni un surrogato della farina di cereali. Se da un lato alcune specie possono far parte della nostra alimentazione, soprattutto in situazioni di emergenza, altre contengono sostanze tossiche causa di gravi avvelenamenti. Nei ricettari di bellezza pubblicati a partire dal XVI secolo non manca mai la "polvere di Cipro", indispensabile in molte preparazioni cosmetiche dell'epoca e ottenuta da licheni polverizzati. Già Plinio nel primo secolo dopo Cristo citava nelle sue opere, a proposito di essenze profumate, alcuni licheni che crescevano sugli alberi. Ancora oggi notevoli quantità di licheni vengono raccolte ogni anno nei boschi di diversi Paesi europei ed extraeuropei per essere utilizzate dall'industria profumiera. I licheni, infatti, sono ricercati per le loro ottime qualità fissative e per ricavarne essenze dalla ricercata fragranza un po' esotica. Da alcune specie (Evernia prunastri e Pseudevernia furfuracea) si estrae un olio denso da cui si ottiene un prodotto denominato "muschio di quercia", profumo dall'aroma muschiato che entra in molte preparazioni cosmetiche (saponi, dopobarba, lozioni). Ormai decaduto, a causa dei coloranti sintetici, l'interesse da parte dei tintori e tessitori verso questi organismi per l'estrazione di sostanze coloranti denominate, a seconda dei diversi metodi di preparazione, oricello, laccamuffa, tornasole e con le quali tingevano i loro filati. Nel XV secolo questo commercio divenne molto fiorente nel bacino mediterraneo e in Italia furono i mercanti toscani ad averne quasi il monopolio. La famiglia fiorentina che si occupo' della commercializzazione dei licheni tintori divenne, grazie a questi lucrosi traffici, così ricca e famosa che prese il nome di Oricellai, nome mutato più tardi in Rucellai, ancor oggi esistente in Toscana. (r. pi.)


IN BREVE Milano, al Planetario scienza e teatro
ARGOMENTI: DIDATTICA, ASTRONOMIA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, MILANO (MI)

Al Planetario di Milano il 20 ottobre, ore 18, inizia una serie di quattro spettacoli teatrali a tema scientifico. Si incomincia con " Zephyrin e il meteorite d'oro", da un romanzo di Jules Verne. Tel.: 02-805.7309.


IN BREVE Multimedia: "Omnia 99"
ARGOMENTI: DIDATTICA
ORGANIZZAZIONI: DE AGOSTINI
LUOGHI: ITALIA

La De Agostini ha presentato la nuova edizione della sua enciclopedia multimediale "Omnia 99" in collaborazione con la Lotus. E' disponibile in versione Classic in un solo Cd-rom e Gold in 2 Cd. Il secondo disco comprende una ricca galleria di immagini e video, oltre alle nuove versioni degli atlanti del corpo umano, dello sport e della musica. Per i più giovani, "Base Terra", atlante della Terra e dello spazio, e "Omnia Junior", con 8000 lemmi.


SCIENZE FISICHE. CURIOSI STUDI DI UN MATEMATICO Petrarca tra sonetti ed equazioni La passione per Laura tradotta in grafici
Autore: PEIRETTI FEDERICO

ARGOMENTI: MATEMATICA
NOMI: JONES FREDERIC, FRANCESCO PETRARCA
LUOGHI: ITALIA

CHI avrebbe mai pensato che si potessero studiare i versi del Petrarca con le equazioni differenziali? Le stesse equazioni usate per studiare il moto dei pianeti o l'andamento della Borsa, sono state applicate da un ingegnere del Politecnico di Milano, Sergio Rinaldi, docente di Teoria dei Sistemi, allo studio dei sentimenti del poeta innamorato. La dinamica dell'amore, ha trovato una dimensione matematica. Petrarca incontrò per la prima volta Laura nella chiesa di Santa Chiara in Avignone, il 6 aprile 1327. Alla donna, molto bella ma già maritata, che lo tenne "ardendo" per 21 anni, dedicò il Canzoniere: 366 poesie, molte delle quali esprimono i diversi stati d'animo del poeta, presentate secondo uno schema che sembra diverso da quello temporale. La maggior parte delle poesie sono senza data e gli studiosi si sono sempre sforzati di ritrovare l'ordine cronologico dei versi del Petrarca. Frederic J. Jones, dell'Università di Wales, Cardiff, dieci anni fa, aveva svolto una approfondita analisi linguistica e stilistica del Canzoniere, proponendo una scala di valori varianti fra più1 e -1 e corrispondenti ai diversi sentimenti del Petrarca, come risultavano dai suoi versi e che variavano dall'ardente passione alla più profonda disperazione. I valori intermedi corrispondevano a stati emotivi meno intensi quali amore, tenera amicizia, simpatia, struggente melanconia, inquietudine o angoscia. Possiamo immaginare, ad esempio, di classificare i versi seguenti come "angoscia", con un valore corrispondente a -0,8: "Io son de l'aspectar ormai sì vinto,/ et de la lunga guerra dei sospiri,/ ch'i aggio in odio la speme e i desiri,/ ed ogni laccio ond'e"l mio core avinto". Quelli che seguono si potrebbero invece classificare come "amore", con un valore corrispondente a più0,6: "Allor fui preso; et non mi spiacque poi,/ sì dolce lume uscia dagli occhi suoi!". Jones ha determinato così sei cicli emotivi nella relazione tra Laura e Petrarca. L'amore del poeta oscilla regolarmente tra estasi e disperazione, con un periodo regolare di circa quattro anni e questo risultato gli ha permesso di datare le rime del Petrarca. Rinaldi è partito da questo lavoro per sviluppare un raffinato modello matematico del Can zoniere: "Quando, alcuni anni fa, decisi di occuparmi di dinamica dell'amore - afferma - pensai che non ci fosse caso migliore del Petrarca, il più grande poeta d'amore della letteratura occidentale, con una relazione molto turbolenta e quindi interessante da studiare in termini di dinamica". Rinaldi ha determinato tre equazioni differenziali che esprimono le successive variazioni del rapporto fra Laura e Petrarca. In particolare Laura è descritta da un'unica variabile L(t), che esprime il suo amore per il poeta. I valori positivi di L corrispondono, ad esempio, a simpatia, incoraggiamento e calda amicizia, mentre i valori negativi a freddezza e avversione. La personalità del poeta è più complicata e necessita, secondo Rinaldi, di due variabili: P(t) che esprime l'amore per Laura e Z(t), che rappresenta l'ispirazione poetica del Petrarca e che condiziona il suo atteggiamento nei confronti dell'amata. Laura, ben disposta a piccole schermaglie amorose, rispondeva positivamente alle sollecitazioni del Petrarca soltanto entro precisi limiti convenzionali, finché non sentiva in pericolo la sua tranquillità familiare. Oltre questi limiti, la sua reazione era di immediata chiusura. In termini matematici possiamo dire che i sentimenti di Laura nei confronti del Petrarca sono lineari soltanto per bassi valori di P e quando questi salgono, L precipita a valori decisamente negativi. Successivamente Laura si lasciava commuovere dalla disperazione del poeta e, con P su valori negativi, L ritorna a salire verso valori positivi. Il modello di Rinaldi mette in evidenza il comportamento ciclico dei due innamorati, quale emerge dai versi del Canzonie re, con un alternarsi di periodi di esaltazione amorosa a periodi di disperazione, confermando le deduzioni di Jones. Rinaldi osserva che la variabile Z all'inizio sale molto lentamente, ma si mantiene poi sempre positiva. Questo spiega perché Petrarca scrisse i suoi primi versi soltanto tre anni dopo aver conosciuto Laura, ma proseguì poi senza interruzioni la sua produzione lirica. "Il modello di Laura e Petrarca - dice Rinaldi - è molto particolare. I caratteri dei due protagonisti sono piuttosto singolari. Ma la mia ricerca ha individuato anche altri modelli potenzialmente applicabili a tutte le coppie di innamorati. Ora ho intenzione di studiare il caso più complicato di un rapporto caotico a tre. E penso alla storia di Jules e Jim come nuovo campo di indagine". Rinaldi ha dimostrato che anche l'amore ha le sue leggi matematiche, ma un innamorato preferirà sicuramente ignorarle. Sarebbe deluso se scoprisse che gioia e sofferenza seguono cicli regolari, matematicamente prevedibili. Dice Petrarca: "Viva o mora o languisca, un più gentile/ stato del mio non è sotto la luna,/ sì dolce del mio amaro è la radice". Chi vuole approfondire l'argomento, si colleghi in Internet al sito della Society for Industrial and Applied Mathematics, che pubblica la ricerca di Rinaldi: http://www.siam. org/jour nals/siap/58-4/30592.html Il lavoro di Jones si trova all'indirizzo: http//www.boydell.co.uk /1764.htm Le rime del Canzo niere si trovano nella Biblioteca Telematica del Progetto Manuzio: http://www.liber liber.it/home/index.htm Federico Peiretti


SCIENZE FISICHE. NUOVE IMMAGINI NASA Si schianterà su Marte Il drammatico destino di Phobos
Autore: GUAITA CESARE

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, FISICA
ORGANIZZAZIONI: NASA
LUOGHI: ITALIA

LUCI ed ombre a bordo della Mars Global Surveyor (Mgs). Il 10 agosto scorso l'ennesimo triste annuncio da parte della Nasa: per problemi a un'antenna la mappatura globale di Marte subiva un secondo ritardo di altri 9 mesi. Per contro, all'inizio di settembre c'è stata la conferma di un grande scoop: le migliori immagini mai ottenute del satellite marziano Phobos, riprese il 19 agosto da 1080 km di distanza. Phobos è il maggiore e più bizzarro dei due satelliti di Marte. Assieme a Deimos venne scoperto da Asaph Hall durante la grande opposizione del 1877, con un nuovo rifrattore da 66 centimetri. Negli anni seguenti le sue caratteristiche sono apparse davvero speciali. Il piccolo satellite si muove infatti in un'orbita circolare (ad una quota di 5891 km), sul piano equatoriale di Marte e nello stesso senso (antiorario) del pianeta: solo che, avendo un periodo di soli 7h39' (contro un giorno marziano di 24h37'), dalla superficie di Marte Phobos appare sorgere da Ovest e tramontare ad Est tre volte al giorno! In questa situazione si innescano maree così violente che, secondo i calcoli, il satellite è destinato a precipitare sul pianeta in meno di 30 milioni di anni: questa è già una buona ragione per escludere che Phobos sia un satellite molto antico. Con le prime osservazioni spaziali (Mariner 6/7 nell'agosto '69, Mariner 9 nel dicembre '71, Viking 1/2 nel 1970/71) si è capito che c'è ben poco in comune tra la composizione di Marte e quella del suo satellite. In particolare, la forma irregolare (27X21X19 km), la bassissima densità (2 gr/cm3) e la colorazione estremamente scura (albedo del 6%) avvicinano piuttosto Phobos ad alcuni asteroidi ricchi di carbonio della fascia asteroidica più esterna. Da questo punto di vista la somiglianza con l'asteroide Matilde, sfiorato nel giugno '97 dalla sonda Near, è veramente notevole. Oltre che per i bassi valori di albedo e densità, Phobos assomiglia a Matilde anche per la presenza di una craterizzazione al limite della disgregazione completa. In particolare il piccolo satellite marziano è letteralmente dominato dall'impronta di Stickney, un cratere di 10 km, che porta il cognome della moglie di Hall (Angelina Stickney, appunto). Proprio su Stickney ha puntato i propri strumenti la Mgs, inviandoci una documentazione davvero straordinaria. Le immagini dei Viking ci avevano mostrato come, dal bordo di Stickney, si diparta un sistema di profonde fessurazioni che avvolgono, a livello globale, quasi tutto il satellite (in alcuni casi la lunghezza tocca i 25 km): un chiaro sintomo che, al momento della formazione del cratere, Phobos ha letteralmente rischiato di sfaldarsi! La Mgs ha fatto quanto fu impossibile ai Viking: ha cioè scrutato, con una risoluzione massima di soli 4 metri, l'interno del grande cratere in contemporanea con lo strumento Moc (Mars Orbiter Camera) e con lo strumento Tes (Thermal Emission Spectrometer). La Moc ha inizialmente mostrato per Stickney una morfologia analoga a quella che la sonda Galileo aveva riscontrato all'interno dei maggiori crateri dell'asteroide Ida. In parole povere, le pareti sono apparse disseminate da una moltitudine di massi isolati di grandi dimensioni (dalle ombre le stime maggiori arrivano a 50 metri): si tratta evidentemente di detriti formatisi durante l'impatto e dotati di massa sufficiente a ricadere sul satellite (ricordiamo che, su Phobos, qualunque oggetto pesa 1/1000 che sulla Terra e che la velocità di fuga è di soli 40 km/ora). Ma Stickney, con la profondità, è anche un approccio naturale allo studio della composizione interna di Phobos. Moc ha sfruttato questa possibilità esaminandone le pareti più interne, che non sono apparse uniformi, bensì suddivise in una mescolanza di terreni chiari e scuri. Questo è un indizio di una composizione globale non omogenea e conferma quanto venne già osservato, all'inizio degli Anni 90, dalla sfortunata sonda sovietica Phobos 2. Da qui l'idea che Phobos, lungi dall'essere un unico blocco di materiale originario, potrebbe essere un corpo riagglomeratosi da frammenti collisionali secondari. Questo riassemblamento dovrebbe aver lasciato dei vuoti all'interno, il che giustificherebbe automaticamente anche la densità così bassa. Ma è ben noto che eventi collisionali violenti danno luogo anche a una gran quantità di polvere che, per una questione di massa, è l'ultima a depositarsi sulla superficie. Non a caso la sonda Galileo ha individuato ampi depositi di polvere su Gaspra, un asteroide di sicura origine collisionale. E, secondo le recenti osservazioni di Mgs, di polvere sembra che ne esista davvero tanta anche sulla superficie di Phobos. Indizi indiretti sono stati acquisiti dallo strumento Tes, in grado di fare misure di temperatura, a partire dell'energia infrarossa emessa tra 6 e 50 nm. L'interno di Stickney scrutato da Tes ha dato risultati molto interessanti (fig. 3): le parti in ombra hanno infatti mostrato una temperatura di -112oC mentre a pochi km di distanza, sul terreno soleggiato, la temperatura si innalza subito fino a -4oC. Su una superficie rocciosa non potrebbe mai instaurarsi un simile gradiente termico: da qui la necessità di postulare che la superficie di Phobos sia ricoperta da qualche metro di polvere sottilissima ed ad altissima conducibilità termica. Una possibile fonte di questa polvere fu, probabilmente, l'urto che staccò Phobos da un asteroide della fascia esterna e lo fece schizzare verso il Sistema solare interno dove Marte, casualmente, riuscì a catturarlo. Cesare Guaita Planetario di Milano


IN BREVE "Telema": scienza e informatica
ARGOMENTI: INFORMATICA
ORGANIZZAZIONI: TELEMA
LUOGHI: ITALIA

Il numero di "Telema" da oggi nelle edicole e in libreria è dedicato alle trasformazioni che l'informatica sta portando nella ricerca. Interventi di Giulio Giorello, Enrico Bellone, Luciano Maiani, Sandro Spinsanti.


SCAFFALE Tiezzi Enzo: "La bellezza e la scienza", Raffaello Cortina
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: DIDATTICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Non più o non solo una scienza e una tecnica per tenere sotto controllo la natura e piegarla ai fini dell'Homo sapiens, ma una scienza che nella natura recupera prima di tutto la bellezza e fa dell'estetica uno strumento di comprensione e di godimento dell'universo, tanto che arte e ricerca scientifica alla fine si confondono. E' la sfida intellettuale che lancia Tiezzi in questo suo ultimo saggio, fatto di capitoli brevi e impressionistici, che suggeriscono al lettore riflessioni interdisciplinari, proponendo una visione del mondo basata sulla complessità e non più sul riduzionismo. Piero Bianucci


IN BREVE Torino: sviluppo e metrologia
ARGOMENTI: METROLOGIA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)

"Metrologia per lo sviluppo e la competitività" è il tema del dibattito che si terrà il 19 ottobre, ore 10-12, all'Istituto elettrotecnico Galileo Ferraris di Torino. Tel.: 011-397.7306.


SCIENZE DELLA VITA ANIMALI VIZIOSI Ubriaconi e tossicomani S'inebriano con ogni sorta di droghe naturali
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ANIMALI, DROGA
NOMI: SIEGEL RONALD
LUOGHI: ITALIA

PER garantirsi una disinfestazione gratuita e perfettamente ecocompatibile dell'orto, dell'aia, del giardino, qualche furbo contadino cerca di attirare in casa un riccio, gran predatore di topi, scarafaggi e simili, facendogli assaggiare un po' di vino. Ma il riccio non è l'unico animale che abbia un debole per l'alcol. Gli fanno compagnia ben ventotto specie di mammiferi, tra i quali i procioni lavatori, le capre, le pecore, le mucche, i maiali, le renne e gli elefanti. E non basta. I babbuini hanno invece un debole per il té, il caffè, i liquori in genere. Le renne e i conigli mangiano con la massima disinvoltura i funghi velenosi senza risentire alcun danno. Molti animali selvatici sono addirittura tossicomani. Le droghe le trovano già bell'e pronte in natura: l'hashish nelle infiorescenze della canapa indiana, la cocaina nelle foglie della coca, l'oppio nei frutti del papavero sonnifero, allucinogeni vari in altre piante. Così si drogano, si ubriacano, si intossicano. Secondo la tesi dello psicologo Ronald K. Siegel dell'Università di California, gli animali si ubriacherebbero o si drogherebbero intenzionalmente, per lenire le sofferenze e lo stress della vita quotidiana, proprio come fanno gli umani affetti da etilismo o tossicodipendenti. Una equipe di ricercatori guidata da Siegel ha girato il mondo in lungo e in largo, dall'Africa al Sud America, dall'Asia tropicale all'Oceania, per studiare il fenomeno tra gli animali selvatici, direttamente nel loro habitat. Ed è riuscita a individuare duemila casi di animali in preda ai fumi dell'alcol o all'ebbrezza della droga. Non si tratta soltanto di mammiferi, ma anche di uccelli, di rettili e persino di insetti. Tra i mammiferi che si ubriacano i ricercatori si sono soffermati in particolare sull'elefante, l'animale che da più tempo si sa dedito all'alcol. Si raccontano una quantità di episodi al riguardo. Interi branchi che gozzovigliano nei depositi di cereali o che si rimpinzano di frutti fermentati e poi, in preda ai fumi dell'alcol prodotto dalla fermentazione spontanea di frutti o granaglie, irrompono come furie nei villaggi, sfasciando con la forza di un bulldozer tutto quello che trovano sul loro passaggio. Un elefante ubriaco si riconosce a prima vista. Deve sentirsi dentro un gran bruciore. Sudare non può perché non possiede ghiandole sudoripare. E allora agita freneticamente le orecchie per farsi vento, scuote la testa come fa quando vuole scacciare gli insetti molesti, arrotola poi srotola con violenza la proboscide e barrisce come un indemoniato. In qualche caso, ma proprio quando è ubriaco fradicio, cosa che succede quando mangia quantità spropositate di certi frutti fermentati, incomincia a vacillare, esattamente come un uomo. E quando gli si piegano le ginocchia, con un gran tonfo stramazza al suolo. E' il peggior infortunio che possa capitare a un colosso che pesa cinque tonnellate nella specie asiatica e fino a sette in quella africana. Per rendersi conto della gradazione alcolica che un elefante può sopportare, l'equipe di Siegel ha sottoposto a una serie di esperimenti gli individui che vivono nelle riserve californiane. Gli animali avevano a disposizione alcol a diversa concentrazione contenuti in recipienti calibrati. Va detto a questo punto che l'elefante aspira i liquidi con la proboscide, la quale funziona esattamente come la pipetta dei chimici. Una volta aspirato il liquido, il chimico ne impedisce il deflusso applicando il dito all'imbocco del tubicino di vetro. L'animale ottiene lo stesso effetto chiudendo l'estremità della proboscide, dopo l'aspirazione, con l'appendice terminale digitiforme, che, com'è noto, è singola nella specie asiatica, doppia in quella africana. Quindi incurva la proboscide rivolgendola verso la bocca e apre quella sorta di valvola. Il liquido non più trattenuto defluisce rapidamente e il bestione beve a garganella. Ad ogni sorsata un elefante ingerisce l'equivalente di venti boccali di birra. Cosa che non deve far meraviglia se si pensa che queste bestie bevono normalmente dai 70 ai 100 litri d'acqua al giorno. Si è visto negli esperimenti che l'elefante gradisce l'alcol fino alla gradazione del sette per cento, esattamente la stessa che si può trovare in natura nei frutti fermentati. Dopo essersi fatto una bella bevuta, l'elefante perde la sua naturale socievolezza. Mentre da sobrio passa la maggior parte del tempo con i compagni di branco, quando diventa brillo preferisce starsene il più possibile isolato. Il ricercatore americano parte dal presupposto che gli animali (non soltanto gli elefanti) prendano la sbornia o la droga di proposito per dimenticare i guai della vita. Per dimostrarlo, ha tenuto per un mese gli elefanti di una riserva californiana in un territorio volutamente ristretto, e ha osservato quel che succedeva. Lo stress del sovraffollamento in uno spazio limitato ha spinto i proboscidati a bere una dose di alcol tripla rispetto a quella che consumano in condizioni normali. Affogavano nell'alcol il dispiacere di sentirsi a disagio? Non è escluso. Sta di fatto che diventavano così aggressivi che era pericoloso avvicinarli. Probabilmente qualcosa di simile avviene nei pochi paesi in cui la popolazione di elefanti si è fatta molto fitta e c'è grande competizione tra gli individui per il cibo. Indubbiamente negli ultimi anni i casi di intossicazione tra gli elefanti africani sono aumentati di pari passo con l'aumento della siccità e l'intensificarsi del disboscamento, vale a dire col peggiorare delle condizioni ambientali. Ronald Siegel è lo scienziato che si è occupato anni fa del famoso topolino Marijuana di cui hanno parlato ampiamente le cronache. Si trattava di un topo che si era installato nello scantinato del dipartimento di polizia di San Josè, in California, e lì gustava tutti i giorni un cocktail raffinato a base di eroina, cocaina e altre droghe sequestrate dalla polizia. Dopo ripetuti assaggi, il piccolo roditore aveva mostrato di gradire in particolare la marijuana e su quella aveva fatto il nido. Isabella Lattes Coifmann


SCIENZE DELLA VITA IPERTENSIONE Un cocktail di farmaci abbassa la pressione
Autore: TRIPODINA ANTONIO

LUOGHI: ITALIA

L'ipertensione arteriosa è uno dei maggiori fattori di rischio di malattia e di mortalità cardiovascolare, provocando nel tempo, in modo insidioso, gravi complicanze a livello cardiaco, cerebrale e renale. Nessun dubbio, quindi, sulla necessità di un trattamento, comportamentale e farmacologico. Controverso è invece quale sia il livello di pressione arteriosa che è conveniente ottenere per scongiurare, o limitare al massimo, i danni legati allo stato ipertensivo. Basta portare la pressione diastolica (la "minima") intorno ai 90 millimetri di mercurio (mmHg), come ritenuto finora, o vi potrebbe essere un ulteriore vantaggio scendendo a livelli più bassi? Ma in questo modo non vi è il rischio di incorrere nella temuta "curva J"? Fenomeno, questo, adombrato da alcuni studi, per cui riducendo eccessivamente la pressione arteriosa si assisterebbe, in pazienti già affetti da insufficienza coronarica, a un aumento della mortalità per infarto, probabilmente per un'ulteriore diminuzione di flusso sanguigno coronarico. Per far luce su questi interrogativi si è svolto lo studio Hot (Hypertension Optimal Treatment), che ha coinvolto quasi 19 mila pazienti ipertesi (di cui 2700 in Italia), studiati per quasi quattro anni in 26 Paesi (europei, nord e sudamericani e asiatici), sotto il coordinamento dell'Ostra Hospital di Goteborg, Svezia. L'obiettivo primario è stato indagare, per la prima volta, quale fosse il valore di pressione diastolica da raggiungere col trattamento antipertensivo (uguale o inferiore a 90, uguale o inferiore a 85, uguale o inferiore a 80 mmHg) per ottenere la maggiore riduzione della morbilità e della mortalità cardiovascolare. A questo scopo i pazienti sono stati suddivisi in modo casuale in tre gruppi, di circa 6200 soggetti ognuno, con un "target" di pressione arteriosa diastolica diverso (appunto 90, 85 e 80 mmHg). Con un'ulteriore randomizzazione in doppio cieco (cioè ignota sia allo sperimentatore, sia al paziente) è stata somministrata a una metà dei partecipanti allo studio una piccola dose (75 mg al giorno) di acido acetilsalicilico (aspirina), mentre all'altra metà veniva data una compressa di sostanza inerte (placebo). Lo scopo di quest'indagine collaterale era valutare possibili ulteriori vantaggi nella prevenzione di eventi coronarici associando alla terapia antipertensiva un antiaggregante, quale appunto l'aspirina. Al momento dell'arruolamento la media della pressione arteriosa diastolica era di 105 mmHg. Il primo farmaco utilizzato è stato un calcio-antagonista, la felodipina, a cui venivano man mano associati altri farmaci ipotensivi (ACEinibitori, beta-bloccanti, diuretici) fino al raggiungimento del traguardo prefissato. Lo studio Hot è stato concluso il 31 agosto del 1997 e i primi risultati sono apparsi su "Lancet", nel giugno di quest'anno. Viene riferita una riduzione media della pressione diastolica di 20-25 mmHg, con valori al di sotto di 90 mmHg in oltre il 92% dei pazienti: risultato mai osservato nei precedenti studi di terapia antipertensiva. La morbilità e la mortalità cardiovascolare sono risultati inferiori di circa il 40% rispetto a quelle riportate dalle metanalisi degli studi precedenti. I maggiori benefici si sono ottenuti nei pazienti che avevano raggiunto valori di pressione diastolica tra gli 80 e gli 85 mmHg. Particolarmente beneficiati sono risultati gli ipertesi diabetici, essendosi avuto tra coloro la cui pressione diastolica era stata portata al di sotto degli 85 mmHg un dimezzamento (meno 51%) dell'incidenza di eventi cardiovascolari. L'aggiunta di 75 mg al giorno di acido acetilsalicilico ha ridotto (ma solo in coloro che avevano raggiunto un buon controllo pressorio) l'incidenza di infarto miocardico del 36%, dimostrando per la prima volta l'utilità di una simile associazione, pur al prezzo di un aumento di episodi, peraltro non gravi, di sanguinamento gastrico e nasale. Contraddicendo il vecchio concetto secondo cui una terapia antipertensiva aggressiva tende a peggiorare la qualità della vita, i soggetti che hanno raggiunto livelli inferiori agli 85 mmHg hanno riferito di sentirsi meglio e di avere un umore migliore. Tanto da far ipotizzare che un trattamento adeguato e precoce possa prevenire il declino cognitivo legato allo stato ipertensivo. Lo studio non chiarisce la spinosa controversia dell'esistenza della curva J, per cui viene ribadita l'opportunità di usare cautela (molta gradualità) nell'abbassare la pressione diastolica sotto gli 85 mmHg nei pazienti con cardiopatia ischemica. Questo studio ha anche dimostrato che associando vari farmaci e procedendo per gradi è possibile ridurre di molto la percentuale dei resistenti alla terapia. I risultati dello studio Hot avranno una notevole eco nella pratica clinica, considerando che attualmente in tutto il mondo, Italia compresa, la percentuale dei pazienti trattati la cui pressione diastolica è al di sotto dei 90 mmHg non supera il 20-25 per cento. Antonio Tripodina


LA PAROLA ALLA COMMISSIONE AMBIENTE Venezia, ora o mai più Si decide sul progetto contro l'acqua alta
Autore: ANTONETTO ROBERTO

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, ECOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: CONSORZIO VENEZIA NUOVA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, VENEZIA (VE)
TABELLE: C., D. La Laguna di Venezia e il sistema di paratie mobili Mose

IL 21 ottobre 1998 sarà per Venezia una data spartiacque tra decisioni e risse, tra regole e manovre. Pur con l'incognita della crisi di governo, in quel giorno la commissione del ministero dell'Ambiente incaricata di esprimere la Valutazione di Impatto Ambientale dovrà pronunciare un sì o un no su un gigantesco progetto elaborato per la salvaguardia di Venezia, che di sì ne ha già collezionati quanti bastano. L'ultimo, di tre mesi fa, è il rapporto di un collegio di cinque esperti di fama internazionale, al quale si è aggiunto in questi giorni, su un piano diverso, il via libera a stragrande maggioranza della commissione tecnica della Regione Veneto. Nonostante ciò, diversi segnali fanno pensare che la risposta del ministero dell'Ambiente possa essere un no. Il Comune di Venezia ha voluto a spada tratta un parere scientifico autorevolissimo, ed è stato accontentato. Ma tutto lascia credere che sperasse in una opinione negativa, tale da mettere in dubbio la validità di quel progetto, approvato a suo tempo dal Consiglio superiore dei lavori pubblici (accadeva nell'ottobre del '94: quattro anni fa). Il progetto di cui si parla è quello delle opere mobili alle bocche di porto della laguna, destinate a regolare il fenomeno delle acque alte arginando quelle eccezionali, cioè superiori ad un metro. Progetto da 3700 miliardi (Iva esclusa) elaborato dal ministero dei Lavori pubblici attraverso il Magistrato alle acque di Venezia e il Consorzio Venezia Nuova, concessionario dello Stato per gli interventi di salvaguardia. Progetto nato nel 1981, nel quale scienza e ingegneria internazionali hanno distillato il meglio delle loro competenze. Tutti sanno ormai che i fenomeni combinati dell'abbassamento del suolo di Venezia e dell'innalzamento del livello dell'Adriatico (23 centimetri in un secolo) hanno moltiplicato la frequenza delle acque alte, cioè delle maree che entrano in laguna dalle tre bocche, i varchi che interrompono la linea dei litorali adriatici del bacino veneziano. Sono questi 23 centimetri la causa pressoché esclusiva delle acque alte tanto più numerose: le altre ragioni, che pure esistono (cambiamenti della morfologia lagunare, allargamenti delle bocche) hanno un effetto pari a un innalzamento del mare di appena 2 centimetri. Oggi il punto più basso della città, piazza San Marco con la Basilica, viene allagato quando l'acqua sale di 80 centimetri rispetto al medio mare registrato al mareografo di punta della Salute: il che avviene circa 40 volte l'anno (media sugli ultimi 30 anni, ma nel 1997 sono state 99 volte!), contro le 4-5 volte degli Anni 20. Le acque alte arrivano sette volte l'anno a 100 centimetri, e una volta l'anno a 120 centimetri, il che significa che viene interessato il 39% della superficie di calpestio del centro storico. Le statistiche ricordano le maree più alte degli ultimi vent'anni: 166 centimetri nel 1979, 138 nel 1981, 158 nel 1986, 142 nel 1992, 134 nel 1996. E' nella memoria di tutti i veneziani e degli abitanti delle isole la spaventosa alluvione causata nel 1966 da una marea di 195 centimetri. I danni dell'acqua alta sono valutati in 40 miliardi l'anno, senza quelli, incalcolabili, al patrimonio monumentale. Gli scienziati prevedono che l'innalzamento del mare continuerà, anche se è difficile immaginarne la misura. Lo Studio di Impatto Ambientale del progetto ha ipotizzato tre scenari assai diversi per i prossimi cent'anni: da un minimo di 4,4 centimetri a un massimo di 53,4, con una ipotesi intermedia più probabile di 20 centimetri. E' drammatica comunque la previsione di ciò che accadrebbe con un innalzamento del mare di 30 centimetri: piazza San Marco (e non solo) sarebbe allagata praticamente tutti i giorni, le acque alte di 100 centimetri si avrebbero 94 volte l'anno (ogni 4 giorni) e quelle di 120 centimetri 16 volte l'anno (ogni tre settimane). Ed ecco il maxi-progetto elaborato dal Consorzio Venezia Nuova, cioè in ultima analisi dallo Stato, articolato in due parti complementari. Contro le acque alte superiori ad un metro, la protezione sarà assicurata da barriere mobili sommerse capaci di chiudere temporaneamente le bocche di porto. Contro le acque fino ad un metro, la difesa sarà garantita dalle "insulae", cioè da difese locali consistenti nell'innalzamento fino a 100 centimetri del suolo delle parti più basse della città. Vediamo le paratoie mobili. Possiamo immaginarle come cassoni metallici, larghi 20 metri e alti 15 metri o più, incernierati sul fondale di ognuna delle bocche, l'uno accanto all'altro ma l'uno svincolato dall'altro. Normalmente i cassoni saranno pieni d'acqua e perciò adagiati in un alloggiamento sul fondale, in modo da permettere la navigazione. All'approssimarsi di una marea superiore al metro, verranno svuotati con l'immissione di aria compressa e si solleveranno per spinta di galleggiamento fino ad emergere con la sommità e ad assumere un'inclinazione di 45-50o verso la laguna. In questo modo faranno argine al mare che potrà salire fino a due metri rispetto al livello della laguna senza invaderla. Poiché le paratoie saranno libere di oscillare, esse assorbiranno, trasmettendola all'acqua di laguna, gran parte della forza delle onde marine e non avranno bisogno di strutture straordinariamente poderose sul fondale, come richiederebbero, per non essere sradicate, se invece fossero rigide (sono tali, per esempio, le dighe mobili del Tamigi e quelle sulle foci dello Schelda in Olanda). Le paratoie rimarranno sollevate solo per le ore necessarie al ritorno alla normalità: verranno quindi riadagiate sul fondale, scomparendo interamente alla vista e lasciando passare le navi. Si prevede che con l'attuale livello medio del mare le dighe mobili entreranno in azione circa 7 volte l'anno per un totale di circa 30-35 ore: non è gran danno per le attività portuali veneziane. I cassoni saranno 79, distribuiti così: 18 alla bocca di Chioggia (che è larga 360 metri), 20 alla bocca di Malamocco (larga 400 metri), 41 alla bocca di Lido, che ha dimensioni doppie: qui le paratoie saranno suddivise in due batterie, collegate da un punto di appoggio intermedio, una sorta di isolotto artificiale. Alcuni aggiustamenti di tipo ingegneristico sono stati suggeriti dal Collegio dei cinque esperti internazionali, che, nel riconoscere la validità delle opere mobili, ha raccomandato di adoperarsi per eliminare il possibile fenomeno della risonanza (cioè il rischio che le paratoie sollevate oscillino in fase diversa). Quanto all'impatto visivo, nessuno nasconde che le paratoie mobili comporteranno, in ciascuno dei tre varchi, delle opere di spalla che modificheranno in parte il profilo delle bocche. Ma quello che si vede nel progetto di massima è un impatto paesaggistico contenuto. I detrattori puntano il dito sull'isolotto da costruire in mezzo alla bocca di Lido, che avrà un'altezza di tre metri e mezzo e ospiterà due edifici di controllo e servizio, uno di 11,5 metri e uno di 6,5 metri. Ma anche qui non si tratta che di inventare, nella fase esecutiva del progetto, soluzioni compatibili in un ambiente in cui nessuno si scandalizza di scandali estetici peggiori. Tutta questa macchina di alta tecnologia, processata e promossa più volte, sta aspettando dunque un ennesimo grado d'appello. Contemporaneamente, e in maniera anomala rispetto a una normale procedura di Valutazione di Impatto Ambientale, è in attesa di giudizio anche il pacchetto di misure alternative del Comune. Sono l'innalzamento delle insulae di Venezia a 120 anziché a 100 centimetri, l'apertura delle valli da pesca (una superficie di 88 chilometri quadrati sottratta alla circolazione dell'acqua lagunare per motivi di allevamento ittico), la riduzione della sezione delle bocche di porto e un nuovo orientamento dei moli foranei, la chiusura del Canale dei Petroli che unisce la bocca di Malamocco e Marghera, l'utilizzo del canale Fisolo per la navigazione e altre misure diffuse. Tutte sono state giudicate insufficienti, irrilevanti o negative dai cinque super-consulenti, che hanno confermato la superiorità del progetto della barriere mobili, pur raccomandando esplicitamente che la sua realizzazione avvenga senza sottrarre fondi alla manutenzione ordinaria della città e della laguna: se così accadesse, verrebbero compromessi i benefici ottenuti dal controllo delle acque alte. Un'altra viva raccomandazione degli esperti è la battaglia contro l'inquinamento. E chi potrebbe dargli torto? Nessuno ha mai detto che il progetto Mo. S.E. risolverà tutti i molti mali della laguna. Si può pensare a questo punto che a Roma si disattenda il parere di un collegio che lo stesso governo, sia pure oggi in crisi, ha nominato? A Venezia sono in molti a pensare che possa accadere, visto lo schieramento del ministro dell'Ambiente, dei Verdi e del Comune. Se Ronchi, insieme a Veltroni (è previsto che la valutazione di impatto ambientale avvenga di concerto con il ministro dei Beni culturali) farà pollice verso, il ministro dei Lavori pubblici potrà ricorrere al Consiglio dei ministri. Il progettone entrerà di nuovo in stallo per mesi. E poi, chissà. Intanto Venezia, alla quale l'Italia ha dato in venticinque anni ottomila miliardi, riprenderanno a macinare i veleni e le polemiche che hanno stancato il mondo. Roberto Antonetto


SCAFFALE White Michael: "X Files, scienza estrema", Rizzoli
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

La popolare serie televisiva "X- Files" ha suggerito a Michael White una serie di indagini sulla regione di confine tra scienza e fantascienza: un'occasione per smontare gli inganni dell'astrologia, dell'ufologia e di altre discipline parascientifiche.




La Stampa Sommario Registrazioni Tornén Maldobrìe Lia I3LGP Scrivi Inizio