TUTTOSCIENZE 1 luglio 98


SCIENZE DELLA VITA GALLES L'eco-centro più efficiente d'Europa
Autore: KRACHMALNICOFF PATRIZIA

ARGOMENTI: ECOLOGIA, TECNOLOGIA
NOMI: FILIPPO DI EDIMBURGO
ORGANIZZAZIONI: CENTRE FOR ALTERNATIVE TECHNOLOGY
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, REGNO UNITO, GRAN BRETAGNA, MACHYNLLETH

PIU'di vent'anni fa, un gruppo di idealisti pensò di trasformare un arido pezzo di terra in una specie di paradiso, dimostrando l'esistenza di soluzioni tecnologiche, nello stesso tempo pratiche e rispettose dell'ambiente. Il luogo scelto era vicino a Machynlleth, nel Galles, in una vecchia cava di ardesia, ricca soltanto di roccia frantumata e poverissima di terra. Sembrava un'impresa disperata. Quando il principe Filippo di Edimburgo volle andare a vedere l'esperimento ancora nella fase iniziale, fu portato quasi in cima alla cava a bordo di un camion azionato elettricamente da un mulino a vento - e poi lasciato a piedi a tre quarti del percorso per mancanza di elettricità. Ma è una storia vecchia. Oggi il Centro per la tecnologia alternativa è il più importante eco-centro d'Europa e attira visitatori da tutto il mondo. Invece di arrampicarsi per un ripido pendio, oggi si viaggia con una funicolare che funziona ad energia idrica; arrivati in cima, si viene accolti dalla serena visione di un lago, creato appositamente per produrre l'energia necessaria alla funicolare. Da quel momento in poi è tutta una scoperta, a cominciare dai gabinetti, dove numerosi cartelli spiegano ai visitatori come le deiezioni vengono trasformate in terreno fertile. Si passeggia in mezzo alle turbine a vento, che forniscono al centro gran parte del suo fabbisogno energetico: l'energia proviene rigorosamente solo da vento e acqua. Perfino la cabina telefonica ha la propria turbina a vento e il proprio pannello solare. L'abitazione-tipo, riscaldata da un unico radiatore, utilizza solo un quinto dell'energia di una casa normale. Tutto l'ambiente è gradevole, dai laghetti popolati di animali al magazzino alimentare, fatto di tronchi e ardesia, con il tetto coperto di zolle erbose per mantenere il fresco d'estate ed evitare il gelo in inverno. Il riciclaggio regna sovrano. Racconta uno dei pionieri che, all'inizio il luogo era talmente sterile che dovevano fabbricare un surrogato di terra utilizzando di tutto, carta e cartone, letame, foglie marce e quel poco di concime che riuscivano a ottenere dagli agricoltori locali. Oggi tutto questo è un ricordo. Energia solare ed eolica sono sfruttate al massimo, e molti Paesi dell'Africa hanno preso in prestito questa tecnologia e stanno cominciando ad applicarla. Quello che era un luogo brullo e sterile è oggi una zona verdeggiante e piacevole. E' diventato anche un luogo di istruzione per bambini, che possono divertirsi e imparare con esperimenti interattivi e contatto con quegli animali da fattoria sempre meno noti alle ultime generazioni. In più la zona è ora frequentatissima da ghiri, nibbi, falchi pellegrini e lontre, che di notte salgono sulla collina per pescare il pesce del lago. L'indirizzo? Centre for Alternative Technology, Machynlleth, Powys SY20 9AZ, tel. 01654-702.400. Patrizia Krachmalnicoff


SCIENZE FISICHE I 3 cerchi di Tatò Le difficoltà tecniche e politiche che l'Enel incontra nell'affacciarsi sul libero mercato
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: ENERGIA, TECNOLOGIA
NOMI: TATO' FRANCO
ORGANIZZAZIONI: ENEL
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TRINO VERCELLESE (VC)

UN blitz: è la prima parola che viene in mente per descrivere l'intervento di Franco Tatò, amministratore delegato dell'Enel, all'inaugurazione della centrale di Trino, nel suo genere la numero uno in Italia e la terza in Europa. Tatò è sbarcato da un elicottero sul piazzale dell'impianto. Con tre minuti di anticipo ha dato il via alla conferenza stampa. Per mezz'ora ha martellato dati e duri giudizi sull'Authority per l'energia e sul governo. Ha concluso con un avvertimento minaccioso: "Noi ci auguriamo di poter condurre rapporti corretti ma non potremo che rendere evidenti in termini di investimenti e di personale le eventuali rinnovate azioni ostili nei confronti dell'Enel". Ed è risalito sull'elicottero. L'Enel sta vivendo la transizione da ente statale in stile sovietico ad azienda di mercato governata in stile iperliberista. Una conversione che sarebbe ardua per qualsiasi impresa ma che lo è ancora di più per un'azienda che produce un bene sociale e strategico come l'energia elettrica. Ma non è questo l'aspetto che preoccupa Tatò. C'è ben altro. A complicare le cose - spiega l'amministratore delegato - intervengono condizioni al contorno che non sono coerenti con la svolta verso il mercato. Prima di tutto esistono contratti d'importazione di energia pluriennali su cui l'Enel non ha possibilità di intervento; poi c'è l'obbligo di acquisto di energia da produttori italiani anche a prezzi non convenienti; e c'è la rigidità del mix di fonti primarie che l'Enel deve bruciare nelle sue centrali termoelettriche (dalle quali dipende il 79 per cento della produzione, contro il 19 di idroelettrico e il 2 di geotermico). I primi due problemi potrebbero avere soluzioni di tipo essenzialmente politico. Si tratterebbe di prolungare un regime assistenziale per traghettare l'azienda verso il libero mercato. Che è un po' la quadratura del cerchio. Il terzo problema ha sfaccettature politiche, tecniche ed economiche. Oggi l'energia termoelettrica dell'Enel è prodotta al 66 per cento bruciando olio, al 21% bruciando metano e al 13% bruciando carbone. L'olio adatto alle nostre centrali ha un mercato bloccato e l'Italia è quasi l'unico cliente. Il metano, tuttora in regime di monopolio, ha un costo nettamente più elevato di ogni altra fonte fossile (circa un terzo più del carbone) anche se una centrale a ciclo combinato come quella di Trino riesce a migliorarne il rendimento dal 40 al 48%. Il carbone avrebbe i vantaggi del minor costo e della massima indipendenza da Paesi instabili (dipendenza invece molto forte per il metano e per il petrolio), ma incontra l'opposizione degli ambientalisti, benché la tecnologia oggi consenta di ridurne le emissioni quasi al livello del metano (a parte la maggior produzione di anidride carbonica). Anche cambiare il mix delle fonti energetiche ricorda la quadratura del cerchio. C'è infine la questione della bolletta. Nella sala comando della centrale di Trino domina un monitor che dice in ogni istante se la produzione di elettricità stia avvenendo in attivo o in passivo. Quel monitor è il simbolo della rivoluzione in corso. Tatò non vuole più "tariffe" ma "prezzi", cioè non politica ma mercato. Conciliare i prezzi con il carattere sociale e strategico dell'energia elettrica: ecco il terzo cerchio. Piero Bianucci


SCIENZE FISICHE. INIZIA OGGI A PARIGI Mondiale di calcio, ma riservato ai robot Alla Villette una sfida per i cultori dell'Intelligenza artificiale
Autore: CAGNOTTI MARCO

ARGOMENTI: INFORMATICA, SPORT, CALCIO
ORGANIZZAZIONI: FIRA, ROBOCUP
LUOGHI: ITALIA

I riflettori sono puntati sul campo verde. L'attaccante scarta due difensori e infila la palla in rete. Ma non siamo al Mondiale che in questi giorni monopolizza l'attenzione degli sportivi. Per capire che lo sport che ci sta di fronte è molto diverso dal calcio tradizionale basta un'occhiata al campo di gioco: 1,3 metri per 0,9. I tre giocatori non sono alti più di 7 centimetri e mezzo, e si passano una pallina da golf. Quella a cui stiamo assistendo è una partita del Mondiale dei robot, che si disputa ogni anno fra le squadre di numerosi istituti di ricerca nel campo della cibernetica e dell'Intelligenza Artificiale. La prima edizione risale al 1996, organizzata in Corea dalla Fira (Federation International of Robot- soccer Association), a cui ha fatto seguito l'anno scorso in Giappone una seconda competizione internazionale, RoboCup, con robot un po' più grandi. Quest'anno le due manifestazioni si sono accordate per un'edizione quasi contemporanea che si svolge in questi giorni: dall'1 al 3 luglio per la Fira e dal 4 all'8 per RoboCup. Considerata la coincidenza temporale con il Mondiale umano, la sede prescelta non poteva che essere Parigi, presso la Cité des Sciences et de l'Industrie. Le categorie in cui sono divise le 50 squadre prevedono giocatori di 3 centimetri e mezzo, 7 centimetri e mezzo, 15 e perfino 50 centimetri. RoboCup ospiterà anche robot a quattro zampe. Al di là dell'aspetto ludico, il Mondiale dei robot consente di mettere alla prova diversi approcci all'interazione con l'ambiente di un'Intelligenza Artificiale. Se il fine del gioco è semplice, perché si tratta solo di infilare una palla in rete, l'ambiente complessivo è assai difficile da gestire: è nel contempo dinamico, perché tutti gli elementi sono in continuo movimento, e ostile, perché la formazione avversaria si difende dagli attacchi e ne porta a propria volta. Le scelte dei gruppi di ricerca per ottenere la vittoria sono molto differenziate. Alcune squadre hanno elementi tutti uguali che elaborano una strategia a partire dalle informazioni che ricevono. In altre i giocatori hanno ruoli differenti e prestabiliti, come nel calcio umano. La programmazione può limitarsi a descrivere alcuni comportamenti elementari da mettere in atto a seconda delle situazioni di gioco, oppure utilizzare programmi capaci di apprendere dall'esperienza. In questo caso la formazione impara giocando e memorizzando i comportamenti migliori. Il problema è però stabilire quando una strategia può essere definita buona, e quale dei giocatori ha maggiore successo nelle proprie scelte: l'attaccante che ha materialmente segnato il goal oppure il terzino che ha scartato tutti gli avversari fin sotto la porta per passargli la palla? Oltre alla strategia di gioco, la necessità di vincere una partita di calcio con dei robot presenta altri problemi tecnologici interessanti. Per cominciare, bisogna raccogliere le immagini. Nel caso dei robot più piccoli un'unica telecamera osserva l'intero campo e un computer centrale elabora le scelte tattiche e trasmette gli ordini ai singoli elementi. I robot grandi sono invece dotati ognuno di un proprio apparato visivo. Nella fase di trattamento delle immagini si presenta poi il problema di riconoscere gli elementi. La palla, per esempio, può essere parzialmente nascosta dai giocatori. Una volta riconosciuti amici e nemici, bisogna prevederne il comportamento successivo e calcolare la traiettoria della palla. A quel punto ogni computer invia gli ordini, la formazione agisce, modifica la situazione sul terreno di gioco e inizia un nuovo ciclo di elaborazione: raccolta e trattamento delle immagini, riconoscimento degli elementi, previsione dei comportamenti, calcolo delle traiettorie, azione. Quanto più velocemente avviene il processo, tanto maggiore è la superiorità della squadra. Nel primo Mondiale una formazione che eseguiva 60 cicli al secondo ha battuto tutte le altre, che operavano a 10 cicli al secondo, con punteggi fino a 20 a 0. Anche la scelta dell'hardware non è banale. Per esempio la scelta della forma dei robot va fatta in funzione delle esigenze di gioco. I primi modelli avevano quattro ruote e quando si trovavano di fronte la palla erano costretti a fare marcia indietro, prendere posizione e solo allora tirare. I più recenti hanno invece ruote simili alle sferette del mouse, che consentono di cambiare istantaneamente la direzione di marcia. Organizzare una squadra di robot calciatori è un compito tutt'altro che semplice. Ma almeno gli ingegneri possono stabilire le caratteristiche precise di tutti gli elementi della formazione, ed essere certi che ai loro ordini verrà obbedito. Un allenatore, invece, fa quello che può con i giocatori umani che ha a disposizione: dopo averli spediti in campo deve solo sperare che diano il meglio di se stessi. Difficile dire cos'è più difficile. Marco Cagnotti


LUOGHI ITALIANI DA VALORIZZARE Pioggia, vento e fiumi architetti della Terra
Autore: BIANCOTTI AUGUSTO

ARGOMENTI: AMBIENTE
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

LA Devil's Tower del Wyoming è una montagna a pan di zucchero fatta d'un fascio gigantesco di colonne basaltiche verticali, tese verso il cielo con una tale intensità da destinarla a principale obiettivo degli Ufo per i loro contatti con i terrestri, come immaginò Spielberg negli "Incontri ravvicinati del terzo tipo". Le cave di marmo di Carrara svelano i segreti delle viscere candide delle Alpi Apuane; viste dalla Versilia assumono l'aspetto di ingannevoli lingue di ghiaccio, di nevi perenni improbabili. Ogni terra, a volte con l'aiuto dell'uomo, produce i suoi geotopi, monumenti dello spazio fisico belli esteticamente o preziosi sotto l'aspetto scientifico. Si tratta di sculture naturali modellate dal vento e dall'acqua come le immense scogliere di arenaria in Algeria, Libia, Ciad, o le Calanche della Corsica, con le guglie nodose intagliate nel granito rosato; o di cimiteri di organismi fossili pietrificati da vicende oscure del passato remoto: l'Oviraptor della Mongolia ghermisce con i suoi artigli di dinosauro carnivoro il nido di uova fossili di un altro rettile gigante. I più noti, divulgati all'infinito dai venditori di sogni di tutto il mondo, sono assediati da torme di visitatori e dall'urbanizzazione indotta che ne mette in pericolo l'isolamento, la purezza delle linee se non, più direttamente, la stessa integrità. Data la crescita dei rischi, i Paesi sviluppati stanno organizzando interventi a tutela. Mutuando l'attenzione per il mondo naturale propria della società americana, l'Unione europea ne promuove la catalogazione. L'ansia è viva anche nell'ordinatissima Svizzera: l'Accademia di Scienze Naturali ha creato un Gruppo di Lavoro per l'inventario dei geotopi. In Italia, dove l'organizzazione del territorio è affidata in prevalenza agli enti amministrativi locali, l'urgenza protezionistica si può arricchire di altre motivazioni, probabilmente fertili di sviluppi. Nel nostro Paese, oltre ai pochi luoghi noti, inflazionati e affollati, esistono migliaia di siti geomorfologici, paleontologici, geologici, idrologici, petrografici interessanti, appartati dagli itinerari usuali, ignorati se non da manipoli sparuti di appassionati. Sono sistemi carsici sotterranei non ancora attrezzati; cascate di ghiaccio alpine effimere, ma ricostruite dal gelo ogni inverno; mineralizzazioni rare. Nel Bel Paese celebrato per le cento città, per il "paesaggio costruito" come lo definì Cattaneo, per decenni siamo stati ben poco attenti all'ambiente fisico. L'esplorazione e il rilevamento del territorio permetterà di scoprire e descrivere luoghi belli, vera e propria materia prima per la nostra industria più prospera, il turismo. I giacimenti di geotopi, a differenza delle miniere tradizionali, non si esauriscono se ben utilizzati. Il loro prodotto non può venire esportato, va consumato lì dov'è con vantaggio di chi li coltiva. Con opportuni accorgimenti l'intera filiera della messa in opera del bene può essere tutta preparata in posto: la predisposizione delle vie d'accesso, tracciate in modo da permettere, se possibile, la visione seriale di più reperti; lo studio, l'illustrazione e la divulgazione dei processi naturali che li hanno creati; la ricerca delle interazioni con le comunità locali, le leggende, le tradizioni, gli aneddoti; l'allestimento dell'osteria per il ristoro dei visitatori. Quelli all'interno dei parchi e delle riserve già esistenti contribuiranno a definirne meglio personalità, scopi, fisionomia; quelli all'esterno hanno da diventare poli d'attrazione a vantaggio dei residenti. Assegnandone in appalto la gestione in cambio di sorveglianza e pulizia, promuovendo forme di sponsorizzazione, di adozione, di gemellaggio. Insieme con i più noti biotopi, i geotopi potranno connettersi in una rete a sua volta intrecciata con quella degli edifici e delle sedi artistiche e storiche, contribuendo a produrre cultura, ma anche reddito, orgoglio per le proprie radici, senso di appartenenza e di legame con il territorio. Valori, insomma, merce rara ma preziosa oggi più che mai. Augusto Biancotti Università di Torino


SCIENZE DELLA VITA NUOVE MALATTIE Micobatteri atipici dall'Africa
Autore: GRANDE CARLO

LUOGHI: ITALIA

SI chiamano "micobatteri atipici" (MA) e dall'Africa, continente nel quale provocano nuove malattie subdole e letali, minacciano di diffondersi anche in Europa, dove stress e declino della qualità della vita creano condizioni sempre più difficili per l'organismo umano. Nei Paesi occidentali, infatti, i micobatteri atipici (detti anche Micobatteri Polimorfi Ambientali, MPA) possono essere presenti anche nell'acqua potabile e in quella delle piscine. A scoprirli è stato Salvatore Saporita, medico che lavora da anni nella fascia del Sahel, in Togo, Benin, Burkina Faso, Kenya e Uganda. Uno dei primi casi gli si è presentato all'ospedale di Mattari, nella provincia di Nyeri (in Kenya): qui è giunta una paziente di 65 anni, emaciata, con sintomi tipici della Tbc, salvo - spiega lo studioso - "una notevole voglia di vivere e una grande reattività, pur in presenza di febbre alta". La donna, non fumatrice, era afflitta dalla tosse e da due anni si trascinava da un ospedale all'altro lamentando febbre, catarro. Aveva le spalle ricurve e incavate, come volesse proteggere i polmoni, e un linfonodo sovraclaveare alla spalla sinistra, con una fistola che raggiungeva la scapola. Aveva insommma gli stessi sintomi della Tbc (confermati anche dalle radiografie) ma non rispondeva bene alla chemioterapia che avrebbe dovuto debellare una malattia del genere. Aspirato il pus dal linfonodo, e dopo un assiduo e approfondito lavoro di ricerca, Saporita ha scoperto l'origine della sua malattia: un batterio ("ulcera del Burundi"), che nel Togo si sta diffondendo pericolosamente. Già nel 1990 erano stati individuati tre o quattro tipi di micobatteri di quel genere (come il "micobatterio Malmoe" - scoperto in Svezia), e Saporita è oggi in grado di elencare addirittura una ventina di questi organismi, che hanno struttura diversa (ovale) da quella dei soliti micobatteri (a bastoncino). La malattia viene oggi affrontata con successo grazie a un protocollo di tre-cinque farmaci. La cosa più importante, sottolinea Saporita, è intensificare la ricerca, perché questo tipo di micobatteri diventa particolarmente pericoloso e si manifesta soprattutto per l'abbassamento delle difese immunitarie. E si è già visto che questo sarà uno dei principali punti deboli delle società occidentali, le cui barriere sanitarie sono già troppo indebolite a causa dei cortisonici, ad esempio, dell'inquinamento, dello stress cronico e dell'alterazione dei cibi provocata dall'utilizzo di estrogeni e anticrittogamici. Carlo Grande


SCIENZE DELLA VITA INSONNI 61 ITALIANI SU 100 I microrisvegli decidono la qualità del tuo sonno
Autore: FERRANTE ANNALINA

NOMI: TERZANO MARIO GIOVANNI
ORGANIZZAZIONI: CENTRO DI MEDICINA DEL SONNO DELL'UNIVERSITA' DI PARMA
LUOGHI: ITALIA

L'UOMO passa un terzo della sua vita dormendo, ma per molti questo sembra un'utopia. Il 61 per cento degli italiani soffre di insonnia; di questi il 51% soffre di insonnia transitoria e il 10% di insonnia cronica. Su 1000 persone, la percentuale più alta è rappresentata dalle donne e più del 45% sono soggetti tra i 13 e i 40 anni. Questo disturbo viene affrontato quasi esclusivamente con i farmaci, spesso assunti in modo incontrollato: secondo dati Istat i consumatori di sonniferi e ipnotici sono più di 4.000.000 di cui 2. 897.000 donne e 1.353.000 uomini. La Medicina del Sonno oggi è in grado di misurare gran parte delle funzioni vitali dell'organismo e in particolare l'equipe guidata da Mario Giovanni Terzano del Centro di Medicina del Sonno dell'Università di Parma ha messo a punto una tecnica di analisi, il Cap (dall'inglese cy clic alternating pattern), con la quale è possibile sapere quanto una persona ha dormito e soprattutto se ha dormito bene o male. Il riposo è composto per il 75% di sonno non-Rem e per il 25% di sonno Rem ed ha in genere una durata di 7-8 ore. Con un apparecchio che registra le onde elettriche del cervello durante la notte, si è scoperto e misurato una certa quantità di microrisvegli, della durata di circa 1 minuto, che avvengono inconsapevolmente durante il sonno. I microrisvegli sono meccanismi di riequilibrio costante del sonno. Confrontando, dopo una serie di esperimenti, il sonno normale di alcuni soggetti con quello di persone insonni, si è visto che, in genere, chi dorme bene, ha un massimo di 200 microrisvegli, mentre chi dorme male può arrivare fino a 600. Annalina Ferrante


SCIENZE DELLA VITA LE TRE SPECIE DI ZEBRE Perché tutte quelle strisce? Non c'è ancora una spiegazione scientifica
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA
NOMI: MORRIS DESMOND, HACK MACE, RUBENSTEIN DANIEL
LUOGHI: ESTERO, AFRICA

LE zebre chi non le conosce? Tutti coloro che durante le vacanze hanno occasione di visitare i parchi nazionali africani possono ammirare da vicino questi splendidi "cavalli zebrati". Inconfondibile quel loro mantello a strisce bianche e nere. Agli occhi del profano sembrano tutte uguali. Ma gli studiosi che guardano molto più per il sottile, ne distinguono tre specie diverse: la zebra di Burchell (Equus burchelli), quella che ha la maggiore diffusione. La si trova nelle pianure del Continente Nero, dalle savane dell'Africa orientale fino alla boscaglia del Sudafrica. C'è poi la zebra di montagna, che preferisce un clima più temperato e abita le regioni montuose della Namibia e del Sudafrica. Infine c'è la zebra di Grevy, in allarmante declino numerico. Un tempo il suo habitat comprendeva tutta l'Africa orientale, ma oggi si è ridotto a poche aree semidesertiche in Kenya, Etiopia e Somalia. Gli zoologi non solo hanno classificato tre specie di zebre, ma hanno anche scoperto che non esistono due individui perfettamente identici. Ciascuno ha una sua livrea particolare, come se portasse sulla pelle le proprie impronte digitali. Molto difficile rispondere alle domande: che funzione hanno le strisce del mantello? Si sono fatte varie ipotesi in proposito. Desmond Morris ne elenca addirittura nove, ma dichiara: "Ognuna di queste ipotesi presenta degli aspetti validi, ma nessuna è del tutto convincente". Non sappiamo quindi se la zebratura abbia scopo mimetico, come molti sostengono, oppure serva come segno di riconoscimento personale, o abbia altre funzioni. Comunque, studiando le zebre per molti anni consecutivi, Mace A. Hack e Daniel I. Rubenstein hanno scoperto che esistono in questi selvatici due tipi diversi di società. Le zebre di pianura e quelle di montagna vivono tutto l'anno in gruppi stabili formati da uno stallone, diverse giumente (da una a sette) e i piccoli delle ultime generazioni. Naturalmente lo stallone, essendo l'unico maschio adulto, ha il monopolio degli accoppiamenti con le femmine del gruppo. Un tipo di società che esiste in molti altri animali sociali, come i leoni o gli elefanti. Però, mentre in questi ultimi i legami sociali si stabiliscono esclusivamente tra consanguinei, nelle società delle zebre, i legami si stabiliscono tra individui non imparentati tra loro. Questo succede perché, analogamente a quanto avviene in poche altre specie, come i gorilla di montagna o i babbuini amadriade, non solo i giovani di sesso maschile, ma anche quelli di sesso femminile tendono ad allontanarsi dal branco nativo, con tutta probabilità per evitare l'incesto. Infatti se uno stallone rimane padrone di un harem per molti anni, è inevitabile che prima o poi le femmine rimaste "a casa" si accoppino con il padre. A differenza delle colleghe, le zebre di Grevy sono molto meno sociali. I maschi se ne stanno per conto loro, s'impadroniscono di un territorio ricco di risorse e lo difendono ad oltranza. Non formano legami permanenti con le femmine, ma si accoppiano con qualunque giumenta capiti nel loro territorio. Non avrebbero nessun interesse ad inseguirle mentre si spostano in cerca di acqua e di pascoli. Sarebbe una strategia inefficiente e una perdita di tempo perché le femmine sono sessualmente recettive soltanto per un brevissimo periodo dopo il parto e la lunga gestazione che dura tredici mesi. Le giumente dal canto loro quando allattano i piccoli, debbono fermarsi per forza in una località ricca di acqua e di buona erba dove si è insediato uno stallone e sono costrette a rimanervi per vari mesi fino a che i puledri non siano in grado di viaggiare. Così, se riesce a scacciare i rivali, il maschio residente ha buone probabilità di accoppiarsi con le varie femmine recettive che vengono a mangiare e a bere nel suo territorio. La differenza tra i due tipi di società dipende essenzialmente da motivi ecologici. Le zebre di Grevy vivono in regioni semiaride, dove i migliori pascoli sono oasi molto lontane l'una dall'altra. Per cui, per trovare cibo sufficiente, le femmine sono costrette a percorrere grandi distanze. Non sono quindi in grado di formare gruppi stabili. Le zebre di pianura e quelle di montagna invece generalmente abitano zone dove pascoli e punti d'acqua sono uniformemente distribuiti. Comunque, visti i vantaggi della territorialità, vien fatto di chiedersi perché mai i maschi delle zebre di pianura e di quelle di montagna non abbiano adottato la stessa strategia. Invece di dover difendere un intero harem di femmine per potersi accoppiare con quelle che vanno in estro, non sarebbe più conveniente per loro fermarsi in un posto ricco di risorse e aspettare che ci vengano a mangiare e ad abbeverarsi le femmine? La ragione c'è. Come tutti gli equidi erbivori, anche le zebre debbono ingerire grandi quantità di cibo e passano sedici ore del loro tempo mangiando. Specialmente le femmine, quando sono in gravidanza o in allattamento, hanno bisogno di mangiare indisturbate. Solo in questo modo riescono ad allevare nel miglior modo i figli. E invece, nelle specie sociali che formano harem succede che ogni tanto uno o più maschi scapoli cerchino di avvicinarsi e di accoppiarsi con una delle femmine. Quando avviene un'intrusione del genere, le giumente interrompono il pasto - cosa per loro assai dannosa - e si raccolgono in gruppo con le altre femmine, mentre si scatena un duello sanguinoso tra lo stallone e il rivale scapolo. Sono lotte violente che possono durare anche una ventina di minuti. Generalmente riesce vittorioso il maschio residente. Ma alle volte i maschi scapoli cosa fanno? Si coalizzano formando gruppi di assalto. Un solo stallone non riuscirebbe a fronteggiare un attacco del genere. E allora ecco che sorge un livello aggiuntivo di organizzazione sociale. Parecchi stalloni con i rispettivi harem si associano a formare branchi che possono contare anche varie centinaia di individui. E in questi gruppi sociali allargati le femmine possono consumare tranquillamente il loro pasto e allevare al meglio la prole, protette da una folta schiera di difensori. Come sempre è l'unione che fa la forza. Isabella Lattes Coifmann


Turisti con occhio da geologo
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

LE vacanze offrono anche l'opportunità di qualche piccola esplorazione alla scoperta di singolarità del territorio dotate di un fascino dalle molte sfaccettature: legato innanzi tutto alla loro bellezza, ma anche al meccanismo geologico che le ha generate, alla suggestione delle forze della natura, all'interazione tra queste forze e una millenaria attività biologica e, più recentemente, dell'uomo. In questa pagina il lettore troverà qualche suggerimento per abbinare il turismo all'osservazione geologica sia in Italia sia nelle isole Canarie, arcipelago al quale il geografo Augusto Biancotti ha dedicato il suo ultimo libro (edizioni BEM, Milano).


LAVE E GROTTE Canarie, i vulcani raccontano
Autore: A_BI

ARGOMENTI: AMBIENTE
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, SPAGNA, ISOLE CANARIE
TABELLE: C. D. Geologia delle Canarie

AL centro dell'acrocoro montuoso di Gran Canaria si erge gigantesco il monolito basaltico del Roque Nublo, montagna sacra al popolo dei guanci, punto d'incontro fra l'uomo e il Cielo, dove si celebravano le più importanti cerimonie religiose degli aborigeni poi sterminati dagli europei invasori. La Cueva de los Verdes a Lanzarote è un tunnel lungo sette chilometri congiungente il vulcano esploso del Monte Corona con il mare, e prosegue sotto il fondale per una lunghezza esplorata di altri mille metri. La grotta tortuosa, nerissima, con le gocce di lava rapprese sulle pareti convesse, raggiunge in molti punti il diametro d'una decina di metri. Nei tratti più ampi sui lati del tubo si riconoscono vari episodi eruttivi, con le oscillazioni in ascesa e in discesa delle correnti magmatiche. Le tracce del flusso ardente sono impresse nella roccia in lunghi solchi paralleli, cornici in rilievo, terrazze laterali create dai crolli imposti da ciascun episodio. La volta delle caverne a tratti è caduta creando vaste conche oblunghe, i Jameos. La più celebre, il Jameos del Agua, ospita oggi una installazione turistica, un auditorium e gli edifici della Casa de los Volcanes, dove è ospitata l'esposizione della storia naturale dell'isola. L'arcipelago delle Canarie, frutto di trenta milioni di anni di eruzioni effuse dai giunti di tensione aperti sul fondale dell'Atlantico dal movimento delle zolle crostali, è luogo ricco di geotopi rari e curiosi. Troviamo labirinti simili in grandiosità alle grotte appena descritte soltanto sulle vicine Azzorre e nelle lontane Sandwich. Ancora di più del Nublo, il Teide di Tenerife, il grande vulcano che perfora il cielo di smalto a 4000 metri di altitudine, è sito geologico d'interesse universale, ed insieme simbolo storico e di culto. Tonefiz, la Montagna Bianca, il Monte d'Inferno com'è chiamato nelle sue varie accezioni, secondo la leggenda ospitava nel cratere sommitale Echeyde, la divinità testimone dei giuramenti. Chi violava la parola d'onore era votato alla perdizione, preda del demone Guayota, acquattato nel profondo. La prima fase di sfruttamento selvaggio delle bellezze delle isole oceaniche fortunatamente è terminata. La popolazione ha capito l'importanza di conservare e valorizzare lo sbalorditivo patrimonio naturale. I geotopi presenti dovunque vengono descritti, protetti, valorizzati da interventi architettonici magistrali, quelli di Cesar Manrique in primo luogo, l'artista della metonimia, che riporta una parte dell'orografia dei luoghi nell'opera come riferimento al paesaggio vulcanico nel suo insieme. Gli effetti positivi si fanno evidenti. Gli scempi delle dune di Maspalomas erose dall'edilizia alberghiera e residenziale sono quasi dimenticati, mentre cresce l'interesse per La Gomera e il parco di Garajonay, monumento mondiale della biodiversità dell'Unesco; per El Hierro, la terra più remota e i suoi concheros, depositi di conchiglie calcinate dal sole, ampi centinaia di metri, residui del cibo d'un tempo degli autoctoni; per l'Islote d'Hilario, dove a pochi metri sotto terra sono raggiunti i 600 gradi di temperatura, dimora, secondo un racconto popolare, di un pastore eremita che visse là per quindici anni da solo con la sua cammella.(a. bi.)


SCIENZE FISICHE ASTRONAUTICA Il satellite salvato dalla Luna
Autore: BONANNI AMERICO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
ORGANIZZAZIONI: ASIASAT 3, HUGHES
LUOGHI: ITALIA

IL 25 dicembre 1997 ai tecnici della base spaziale di Baikonur non deve essere certo sembrata una giornata storica, anzi. Il quarto stadio di un razzo Proton aveva funzionato male, spedendo un satellite per telecomunicazioni nell'orbita sbagliata. A prima vista, un fallimento completo. Invece stava per iniziare un capitolo nuovo dell'avventura spaziale: per la prima volta un satellite commerciale, uno di quelli che di solito ci trasmettono film o partite di calcio sulla parabola di casa, avrebbe compiuto una missione lunare. Nessuno scopo scientifico: semplicemente una azzardata operazione di salvataggio che si è conclusa il 17 giugno, dopo due passaggi dietro la Luna destinati a entrare nella storia. Asiasat-3, questo il nome originario del satellite, era stato costruito dalla Hughes per fornire trasmissioni tv e telecomunicazioni a buona parte dell'Asia. Come tutti i satelliti di questo tipo, avrebbe dovuto raggiungere l'orbita geostazionaria, a 36 mila chilometri dalla Terra, dove i satelliti orbitano alla stessa velocità di rotazione del nostro pianeta, e quindi ci appaiono fissi nel cielo. Il cattivo funzionamento del Proton, però, aveva spedito Asiasat-3 su un'orbita fortemente ellittica, del tutto inutile. Inoltre il piccolo motore di bordo, concepito per compiere lievi aggiustamenti di posizione, non aveva abbastanza carburante per correggere la rotta e spingere il satellite sulla giusta traiettoria. A quel punto le compagnie di assicurazione non poterono fare altro che dichiarare il satellite inutilizzabile. Ma gli ingegneri della Hughes non si sono arresi e hanno tirato fuori un piano di salvataggio mai tentato prima: anche se i razzi del satellite non bastavano per portarlo sull'orbita buona, erano comunque sufficienti, paradossalmente, per spedirlo dietro la Luna, distante circa 400.000 chilometri. In un gioco di biliardo cosmico, la forza gravitazionale del corpo celeste avrebbe attirato a sè il satellite per poi rimandarlo verso la Terra, ma stavolta con un'orbita diversa, più adatta per un uso commerciale. Questa tecnica, chiamata "gravity assist", è stata già usata molte volte per le sonde interplanetarie della Nasa. Lo stesso Apollo 13 si salvò sfruttando la gravità lunare. Il 13 maggio 1998 Asiasat-3, rinominato "Hgs-1", è così diventato il primo satellite privato a vedere la faccia nascosta della Luna, un'avventura affrontata precedentemente solo dalle sonde scientifiche e dalle missioni Apollo. Appena iniziato il viaggio di ritorno verso la Terra, i tecnici, galvanizzati dal successo ottenuto, hanno deciso di fargli compiere un altro giro in modo da correggere ulteriormente l'orbita. Il secondo passaggio dietro la Luna è avvenuto il 6 giugno, e anche in questo caso i calcoli si sono dimostrati perfetti, tanto che 11 giorni dopo, con un'altra piccola accensione del motore, Hgs-1 si è sistemato su un'orbita geostazionaria molto simile a quella prevista. Purtroppo anche dopo il salvataggio il satellite non potrà mai essere perfettamente stabile nel cielo, e questo rende impossibile il suo uso per le comuni trasmissioni tv. Ma ci sono molte altre applicazioni per le quali potrà fare un ottimo lavoro, ad esempio le comunicazioni militari. Così la Hughes, grazie a un accordo con le compagnie di assicurazione, ha messo in vendita Hgs-1: il compratore avrà un satellite nuovo di zecca ad un prezzo stracciato. In più, la " missione lunare" ha dimostrato che il passaggio dietro la Luna può facilitare l'invio in orbita terrestre di altri satelliti. Americo Bonanni


SCIENZE DELLA VITA ORIGINI DELLA SAUNA FINLANDESE Si usava anche per seccare la carne di renna In Finlandia, 5 milioni di abitanti, ne esistono 625 mila pubbliche
Autore: MORETTI MARCO

LUOGHI: ESTERO, EUROPA, FINLANDIA

COME rimedio allo stress, anche in Italia si va diffondendo la moda della sauna, un costume nato almeno duemila anni fa tra le gelide steppe dell'Asia centrale e poi esportato in tutto il mondo dalla Finlandia, dov'è tuttora un rito associato all'identità nazionale. Non a caso "sauna" è l'unica parola finlandese adottata da tutte le lingue del mondo. Nonostante non esistano documenti storici in proposito, all'origine della sauna c'è probabilmente il bisogno di compensare il clima scandinavo: le rigidissime temperature invernali, ma anche le estati miti con il termometro che raramente supera i 20 gradi centigradi non permettendo al corpo di sudare ed espellere così le tossine. Nell'antica Finlandia rurale la sauna era più che un costume igienista: era un luogo vergine e sacrale, il centro attorno a cui ruotava la casa e la vita. Nei cottage sulle rive dei laghi, la sauna era il locale più importante: dove partorivano le donne, perché qui c'era sempre acqua calda a disposizione. Era il luogo dove iniziava e finiva la vita: qui venivano lavate le salme prima del funerale. Ma il suo interno secco permetteva anche di farvi essiccare le salsicce e la carne di renna. Anche oggi che la Finlandia è un Paese moderno e tecnologicamente avanzato, la sauna resta un rito irrinunciabile, legato allo stile di vita di gente che trascorre lunghissimi e rigidi inverni tra laghi e foreste imbiancati da generose nevicate. "Quando il lago si ghiaccia e il giorno dura appena sei ore con temperature a 30 gradi sotto zero, fare una sauna è come rivivere. Stare nudo a 100 gradi sudando fino al limite della resistenza, per poi correre fuori e tuffarsi nel buco scavato nel ghiaccio, nell'acqua gelida, è rigenerante", racconta Kimmo Karjalainen, un istruttore di canoa cinquantenne che vive sul lago Saimaa. Il passaggio dal caldo intenso della sauna al gelo di un tuffo o di una rotolata nudi nella neve (sostituibili con una doccia fredda), è uno degli atti più salutari del costume nordico: una sorta di ginnastica per l'apparato circolatorio, un allenamento per il sistema di termoregolazione del corpo capace di rafforzare le difese immunitarie e prevenire i disturbi respiratori legati alla stagione invernale. Ovviamente la sauna con i suoi drastici sbalzi di temperatura è sconsigliata a chi ha la pressione alta o, in genere, problemi cardiovascolari. E' anche indubbia la sua funziona anti-stress, il calore intenso - in Finlandia la si fa tra gli 80 e i 100 gradi - permette il più rapido smaltimento dei prodotti di scarto del metabolismo. Per questa ragione è molto usata da chi pratica sport agonistici: permette di smaltire rapidamente l'acido lattico. E la sua aria calda e secca riscalda le mucose distendendo i bronchi e le vie respiratorie. Per seccare ulteriormente l'aria dell'ambiente e favorire la traspirazione si versa acqua calda sulle pietre ardenti della caldaia. Quando la temperatura diventa insostenibile, i finlandesi si versano addosso secchi d'acqua, e raggiunta la saturazione si flagellano con rametti di betulla per riattivare la circolazione prima di tuffarsi nella pozza gelata. L'alternanza tra caldo e freddo viene ripetuta fino a tre volte. La sauna non è un costume limitato agli abitanti delle foreste. In Finlandia non esiste struttura pubblica - scuola, albergo, ristorante, fabbrica, ufficio - che non sia dotato di una sauna: ne esistono 625 mila pubbliche in un Paese con appena cinque milioni di abitanti. Tutte le case vengono costruite con una sauna: i condomini ne hanno sempre una pubblica. Nella stanzetta foderata di legno si entra rigorosamente nudi: non c'è pruderie, nei luoghi pubblici sono sempre divise per sesso, ma in famiglia o tra amici uomini e donne si mescolano senza pudori nè implicazioni sessuali. Ed è considerata una scortesia rifiutare una sauna quando ne viene offerta l'opportunità. Non manca mai la sauna anche nei centri congressuali, dove dopo lunghe discussioni e contrattazioni, è tra caldo e sudore che spesso si concludono gli affari. Marco Moretti


SCIENZE FISICHE. CALORE IN CASCATA Come ti recupero l'energia La nuova centrale a ciclo combinato di Trino
Autore: VICO ANDREA

ARGOMENTI: ENERGIA, TECNOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: ENEL
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TRINO VERCELLESE (VC)
TABELLE: D. Centrale a ciclo combinato

CON i suoi 700 Megawatt di potenza la nuova centrale elettrica Enel a ciclo combinato di Trino Vercellese è la più potente e la più avanzata in Italia. Inaugurata la scorsa settimana dal presidente Scalfaro, abbina 2 turbine a gas e 2 a vapore ed è in grado di soddisfare il 50% dei consumi elettrici familiari del Piemonte, regione industriale particolarmente ghiotta di energia (più25% rispetto alla media nazionale) che finora produceva in loco soltanto il 47% di tali necessità. Il resto veniva importato dalla Francia e dalla Svizzera. La nuova centrale porta a 3727 Megawatt il totale della potenza installata regionale e al 61% la produzione interna di elettricità. La centrale (intitolata a Galileo Ferraris, l'ideatore del campo magnetico rotante base dei moderni motori elettrici, nato a un passo da Trino) è composta da due "linee di produzione" che lavorano in parallelo. Il processo inizia nel combustore, dove aria compressa e metano bruciano assieme, producendo gas a 1162 gradi centigradi che irrompe nella turbina facendola ruotare a 3000 giri. Un primo alternatore produce così energia elettrica per 123 mila chilowatt (pari all'energia sprigionata da 239 Ferrari alla partenza di un gran premio). Uscendo a circa 500 gradi, il gas viene indirizzato su una caldaia e quel calore che un tempo sarebbe andato sprecato serve oggi a produrre vapore per alimentare una seconda turbina collegata ad un secondo alternatore. Dallo stesso combustibile iniziale è dunque possibile un nuovo ciclo di produzione di elettricità; da cui il nome di centrale a ciclo combinato. La turbina a vapore rende 110 mila chilowatt (215 Ferrari). Tramite un condensatore il vapore torna acqua e l'acqua di circolazione si rinfresca tramite due gigantesche torri di raffreddamento alte 100 metri e larghe altrettanto. La centrale garantisce un ottimo rispetto dell'ambiente. I cicli dell'acqua e del vapore sono a circuito chiuso e non una goccia viene dispersa all'esterno. Mentre una sofisticata rete di monitoraggio (4 centraline automatiche di misura, una stazione meteorologica automatizzata e un congruo numero di sensori sparsi sull'impianto e sulle torri di raffreddamento) invia costantemente informazioni alla sala controllo. In questo modo è possibile valutare la qualità dell'aria e delle acque nonché il rumore e gli eventuali effetti ambientali degli scarichi gassosi. L'unico strascico ancora da valutare sono gli effetti della dispersione di calore che avviene nelle torri di raffreddamento. Altra peculiarità dell'impianto è la sua capacità di "auto-raccontarsi". Secondo un preciso piano di comunicazione ogni componente della centrale ha una macroscopica didascalia che ne illustra le funzioni. Proiettori e schermi presentano alcune semplici animazioni che spiegano cosa sta avvenendo in essi. Traducendo tutto in dati apprezzabili da un pubblico di profani. Per la casalinga di Voghera le 317 mila chilocalorie/ora del combustore sono un dato difficilmente apprezzabile. Meglio dire, quindi, che le 317 mila chilocalorie/ora equivalgono a 10.600 caldaie domestiche. E la capacità di raffreddamento del condensatore (265 mila chilowatt) equivale al lavoro di 330 mila frigoriferi da cucina. Andrea Vico


IN PIEMONTE Torri, pinnacoli e piramidi naturali
Autore: A_BI

ARGOMENTI: AMBIENTE
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, VILLAR SAN COSTANZO (CN)

DALLA rossa pianura dolcemente ondulata di Poirino la strada per Asti, nel suo avvicinamento alle Langhe, scende verso le colline: le alture stranamente stanno più in basso, scavate dall'azione millenaria del Fiume Tanaro e dei suoi affluenti. Sulla scarpata le arenarie bionde sono modellate in morfosculture pittoresche: pinnacoli esili, torri ardite, piattaforme precarie in equilibrio sull'abisso, frutto del ruscellamento. Processi simili costruirono le Piramidi di Terra (chiamati comunemente, con efficace espressione dialettale, i "Cicio del Vilar"), di Villar San Costanzo presso Dronero, (Cuneo), ora inserite nel sistema di parchi regionali. Ogni angolo del Piemonte è segnato dalle tracce della sua storia geologica. Il Ponte del Roch di Lanzo Torinese poggia su rocce cribrate da fori circolari, le "pentole" di un diavolo laborioso secondo la vulgata. Gli esperti meno fantasiosamente ne attribuiscono l'origine a cascate vorticanti nei crepacci dei ghiacciai in avanzata durante il periodo freddo che ebbe il suo culmine circa ventimila anni fa. Gli hogbach, le lunghe cornici verticali di roccia in rilievo sulle pendici della Val Grande, il parco naturale della regione insubrica del Verbano, sono forme strutturali poco comuni in Italia, come i calanchi della Valle Bormida di Spigno allo sbocco nella piana alessandrina. In quest'ultimo caso si tratta di dedali di vallette profonde, a fianchi scoscesi e fra loro separate da spartiacque a lama di coltello. La lunga disputa fra i sostenitori di opinioni contrastanti riguardo alla loro origine ricorda un po' la Questione Omerica. Secondo alcuni sono il frutto dell'azione climatica: la roccia marnosa si contrae e si dilata successivamente per il freddo notturno e l'irradiamento solare diurno, si fessura, si desquama ed è asportata dalla pioggia. Secondo altri la colpa è del disboscamento: il versante denudato diventa preda del dilavamento capace di incidere i solchi. Viene messa in causa anche l'alternanza di nuclei di pietra più tenera con altri più resistenti, il passaggio fra bancate a competenza diversa, il sollevamento tettonico recente che avrebbe ridato vigore alle languenti energie delle correnti fluviali. Come nelle Canarie, anche in Piemonte sui geotopi si è scatenata in passato la fantasia popolare. Le Piramidi di Terra della Valle Maira, per tornare ad un caso citato, rappresenterebbero antichi satanassi pietrificati dalla maledizione di Costanzo, santo milite della legione cristiana Tebea, massacrata nel IV secolo ad Agauno da Massimiliano imperatore pagano d'Occidente. Masche, dragoni, folletti operosi sarebbero gli artefici delle doline carsiche della Conca delle Carsene e del Pis del Pesio, il getto d'acqua sprizzante dalla parete di candido calcare nelle Alpi Marittime. Studiare, descrivere, divulgare queste singolarità d'una natura ora eccellente, ora capricciosa significa dunque anche rivisitare il passato, la tradizione, la poesia delle genti subalpine nel caso nostro, di allevatori nomadi, di commercianti, di stirpi guerriere in altri luoghi al mondo. Ancore provvidenziali alle quali legarsi per equilibrare la deriva verso la globalizzazione senza confini e senza radici tipica dei nostri anni.(a. bi.)


SCIENZE DELLA VITA NEUROSCIENZE Curare insieme mente e cervello Una visione non settoriale per patologie confinanti
Autore: MONACO FRANCESCO

NOMI: CHARCOT JEAN MARTIN, KRAEPELIN EMIL
LUOGHI: ITALIA

IL "decennio del cervello", grande programma di ricerca internazionale, volge al termine e indubbiamente in questo ultimo scorcio di secolo le neuroscienze hanno avuto una forte espansione, suscitando molto interesse anche nel pubblico: si pensi al successo di film come "Risvegli", da Oliver Sacks, alle campagne Telethon per le malattie neuromuscolari o al sorgere di associazioni per la lotta alle diverse patologie neurologiche o psichiatriche, come epilessia, sclerosi multipla, malattia di Alzheimer, morbo di Parkinson, depressione, schizofrenia. Tutte queste erano fino a ieri considerate "malattie del sistema nervoso" ma oggi usare questa formula è come riesumare un'espressione ottocentesca vista con sospetto da tutti coloro che, con giustificazioni più o meno scientifiche, hanno partecipato al lauto banchetto della scissione della neuropsichiatria nei suoi molteplici rami. Questi sono rappresentati dalla neurologia (che si occupa delle malattie " organiche" o lesionali del sistema nervoso), dalla psichiatria (area delle malattie mentali), dalla neurochirurgia, dalla neuropsichiatria infantile (anch'essa violentemente scossa da tendenze scissionistiche in neuropediatria e psicopatologia dell'età evolutiva), e via via successivamente da altri rami e rametti sempre più limitati. Nè si può sottovalutare l'irrompere sulla scena delle branche psicologiche, che, originariamente partite come studio dello sviluppo e dei comportamenti mentali fisiologici (cioè normali), si sono estese al campo attiguo della patologia. In altri termini, un paziente con patologia mentale oggi ha uguali chance di essere visitato, diagnosticato e curato da uno psichiatra o da uno psicologo clinico (psicanalista, psicoterapeuta o altro). La frammentazione delle varie specializzazioni e quindi delle competenze, se da un lato ha favorito l'approfondimento delle conoscenze settoriali (oggi abbiamo dei neurologi "epilettologi", " parkinsonologi" o altro; degli "psichiatri biologici" così come quelli "psicodinamisti", e così via), dall'altro ha provocato una caduta di quel livello culturale elevato, medico e umanistico, tipico delle generazioni precedenti. Proprio ad esse bisogna rifarsi per stabilire dei punti fermi. Infatti, se esiste una "patristica neuropsichiatrica", essa è da identificarsi nelle grandi figure di Jean-Martin Charcot, il creatore della prima cattedra delle malattie del sistema nervoso all'Ospedale Salpetriere di Parigi nella seconda metà del secolo scorso; Emil Kraepelin (1856-1926), psichiatra tedesco, primo e per certi versi insuperato classificatore dei disturbi mentali; e lo stesso Sigmund Freud, fondatore della psicoanalisi. In un'epoca quasi del tutto priva di strumenti diagnostici, essi riuscirono a descrivere in maniera dettagliata le diverse malattie del sistema nervoso, sul versante sia neurologico sia psichiatrico. Non sarà mai abbastanza sottolineato il fatto che anche Freud aveva iniziato i suoi studi in campi di pura competenza neurologica e da giovane aveva frequentato il reparto di Charcot, personalità che ebbe una grande influenza sulla sua formazione. Alle soglie del Duemila personalità così complesse e complete non sono più pensabili. Capitoli di poche pagine sui manuali di cent'anni fa sono oggi oggetto di volumi interi (vedi, ad esempio, il morbo di Alzheimer). Si è però perduta, nella polverizzazione culturale, la visione unificatrice della mente e del cervello, cioè dello studio unitario, senza preconcetti o pregiudizi, della persona come essere-fisico e come essere-pensante. Basti ricordare, ad esempio, la frequente concomitanza di disturbi psichici in corso di malattie cerebrali (depressione in primo luogo), così come di patologie di ogni tipo (cardiopatie, tumori). Queste sovrapposizioni di disturbi (fisici e mentali) costituiscono esempi di quella che oggi viene definita "co- morbidità", termine coniato da Feinstein nel 1970, e che non rappresenta solo nè una mera coincidenza nè è dovuta a ovvi motivi di causalità ("sono triste perché sono ammalato"), ma che invece è da intendersi come espressione complessa di un disordine (o alterazione) del rapporto (o substrato) indissolubile tra mente e cervello. Le neuroscienze (queste, sì, scienze ad ampio raggio d'azione) hanno oggi il compito di riappropriarsi di questa visione non settoriale e di studiare, pur con le diverse angolature metodologiche (chi con il microscopio, chi con la TAC, chi con i test psicologici) tutti gli "spettri" (campi estesi) di patologie tra loro confinanti, tra cui, ad esempio, il morbo di Parkinson-depressione, l'ictus-depressione, le epilessie-psicosi. Francesco Monaco Università di Torino




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