TUTTOSCIENZE 24 giugno 98


SCIENZE DELLA VITA ZOO-AERONAUTICA Il looping delle mosche Come fanno ad atterrare sul soffitto?
Autore: BERNARDI MARIO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, ZOOLOGIA
NOMI: E. D. EYLES, HYZER WILLIAM
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D.

LA scioltezza di una mosca che atterra su un soffitto ha generato per molto tempo controversie tra gli entomologi, gli ingegneri aeronautici e la schiera assortita di frequentatori dei bar degli Aero Club nel tentativo di capire come si effettua la manovra. Le argomentazioni per spiegare l'elusiva sequenza acrobatica della comune Musca domestica si incentrano sulle due familiari manovre in grado di mettere un aereo a pancia in su: il mezzo "looping" (rotazione attorno all'asse orizzontale, più comunemente noto come " giro della morte") e il mezzo "tonneau" (rotazione attorno all'asse longitudinale dell'aereo). L'unica conclusione emersa da tante dotte disquisizioni fu che nessuno in effetti capiva come faccia una mosca ad atterrare a gambe in alto sul soffitto. Fino dal 1945, presentando i risultati della sua ricerca alla Reale Società Entomologica di Londra, E.D. Eyles, un tecnico della Kodak, concluse che, con le riseve dovute ai limiti delle sue fotografie, la mosca effettuava l'atterraggio con un "mezzo tonneau" finendo per posarsi lievemente angolata rispetto all'asse del moto. Gli ingegneri aeronautici avvalorarono questa teoria e misero alle corde i sostenitori dell'atterraggio col "mezzo looping" sostenendo che questa manovra, data l'alta velocità di esecuzione e il piccolissimo raggio della traiettoria, avrebbe imposto eccessivi carichi dinamici (i noti "g") sulle ali della mosca provocandone il collasso strutturale. Reagendo a questo colpo, i sostenitori del " mezzo looping" addolcirono le loro posizioni proponendo, come ipotesi di compromesso, che le mosche lente atterrassero con un " mezzo looping" e quelle veloci con un "mezzo tonneau". Per ingegneri e scienziati si trattava di qualcosa di più che di mera curiosità. Gli insetti, nella loro padronanza del volo, sorpassano le macchine realizzate dall'uomo sotto vari aspetti e i progettisti sono assai interessati al comportamento di tutti gli esseri volanti. Come la mosca effettui la difficile manovra di atterraggio a pancia in su poteva presentare negli Anni 50 un certo carattere di attualità in un'epoca che vedeva i progettisti di razzi impegnati nella ricerca dei metodi di attracco delle navicelle spaziali negli appuntamenti orbitali... Sta di fatto che lo scienziato americano William G. Hyzer fin dagli Anni 60 si impone di scoprire il segreto delle mosche. Utilizzando un dispositivo in grado di realizzare 9600 fotogrammi al secondo, cercò di attirare le mosche su un finto soffitto spalmato di sciroppo, pesce marcio e letame. L'esperimento ebbe inizialmente esiti scoraggianti. Perfino in zone agricole dove c'è abbondanza di mosche, gli incentivi naturali dimostravano una forza d'attrazione assai superiore a qualsiasi sostanza lo scienziato spalmasse sul suo "soffitto artificiale". I primi risulati utili Hyzer li ottenne in un secondo tempo introducendo mosche appena catturate sul fondo di una scatola per poi attirarle in alto verso una luce proveniente da un coperchio traslucido illuminato dal di sopra con una lampada a incandescenza. L'istinto che spinge le mosche a sfuggire dalla zona d'ombra fu la reazione comportamentale che consentì di ottenere i risultati definitivi. I fotogrammi fecero vedere che le mosche salivano quasi verticalmente con tutte le sei zampe distese e con quelle anteriori protese verso l'alto. Le due zampe anteriori assorbivano l'impatto iniziale col coperchio; a questo istante, facendo perno attorno al punto di presa, la mosca era in grado di far ruotare in alto gli altri quattro piedi portandoli a contatto col soffitto. La velocità di avvicinamento fu stimata nell'ordine di 25 centimetri al secondo. La quantità di moto all'impatto fu valutata dell'ordine di mezzo grammo-centimetro/secondo. Sufficiente a incollare solidamente i pulvilli filiformi del piede che tengono la mosca appesa a pancia in su sopra una superficie liscia. I battimenti indipendenti delle ali della mosca aiutano a stabilizzare il corpo durante la fase di attracco con le zampe posteriori. In volo la mosca usa le zampe posteriori a guisa di timone per dirigersi. Inoltre si avvale dell'effetto giroscopico delle altere (una sorta di bielle con una massa terminale, site su ciascun fianco del torace) usate come organi di bilanciamento. Queste masse vibrando in armonia con le ali facilitano la stabilizzazione del corpo sia in volo che durante l'atterraggio. Dalle immagini risultavano diverse varianti della manovra di attracco. In qualche caso la mosca sembrava effettuare un movimento di flessione elastica delle zampe e di pseudo-ribaltamento attorno all'asse del moto: una manovra che ad occhio nudo può anche essere scambiata con un "mezzo tonneau". Mario Bernardi


IN BREVE Premio Italgas per l'innovazione
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: BENEDETTO SERGIO, POGGIOLINI PIERLUIGI, DURST FRANZ, TRIMIS DIMOSTHENIS
ORGANIZZAZIONI: PREMIO ITALGAS
LUOGHI: ITALIA

Il Premio Italgas per l'innovazione 1998 è stato assegnato al progetto "Polsk: la modulazione della polarizzazione della luce per la trasmissione di informazioni nelle fibre ottiche" di Sergio Benedetto e Pierluigi Poggiolini (Politecnico di Torino) e al progetto "Tecnica di combustione nei mezzi porosi: applicazione nei sistemi di utilizzo domestico" realizzato dal tedesco Franz Durst e dal greco Dimosthenis Trimis (Università di Erlagen). Il primo permette di aumentare in modo eccezionale la velocità di trasmissione delle informazioni su cavi intercontinentali; il secondo consente di migliorare la resa energetica dei bruciatori.


SCIENZE FISICHE. ANCONA Vibrazioni osservate con il laser
Autore: REVEL GIAN MARCO

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA
ORGANIZZAZIONI: UNIVERSITA' DI ANCONA, AIVELA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, ANCONA (AN)

LE vibrazioni costituiscono oggi un campo di ricerca di particolare interesse, soprattuto per le sue numerose applicazioni pratiche. I fenomeni vibratori, infatti, coinvolgono sia aspetti dell'ingegneria meccanica - per esempio i mezzi di trasporto e i macchinari - sia problemi legati alla società civile, come il comfort ambientale, la lotta ai rumori molesti e persino la conservazione delle opere d'arte. Un salto di qualità nello studio delle vibrazioni è stato possibile grazie al laser. Le tecniche di misura utilizzate fino a qualche tempo fa non consentivano di comprendere fino in fondo i fenomeni vibratori poiché presentavano limiti di applicabilità, sensibilità e accuratezza spesso molto vincolanti. Il sistema classico per la misura delle vibrazioni fa ricorso, infatti, a sensori che devono essere applicati - in numero limitato - su alcuni punti dell'oggetto vibrante: in questo modo essi spesso alterano, con la loro presenza, la grandezza che stanno misurando e non consentono lo studio di oggetti molto piccoli o leggeri. Oggi lo sviluppo di tecniche di misura basate sulla luce laser, e quindi senza alcun contatto con l'oggetto in osservazione, permette di estendere enormemente le potenzialità delle analisi basate sulla misura di vibrazioni. Questi metodi permettono di rilevare le vibrazioni di un oggetto non solo in un singolo punto, ma su tutta una superficie, acquisendo rapidamente grosse quantità di dati che possono essere automaticamente elaborate da un calcolatore. Il progresso compiuto nella misura delle vibrazioni si può paragonare alla situazione di non dover più appoggiare un dito sull'oggetto che si sta muovendo, ma di poter sentire le sue vibrazioni tenendo la mano a una certa distanza. Il ricorso alle tecniche laser permette di estendere le applicazioni di misure di vibrazioni a nuovi settori. Uno fra questi è quello dell'ingegneria biomedica, dove il ricorso alla luce come mezzo di indagine consente di studiare con precisione e sistematicità fenomeni biologici fino ad oggi non osservabili direttamente, quali ad esempio il comportamento vibratorio della membrana timpanica o l'effetto delle vibrazioni di utensili sul corpo umano. Anche nella conservazione delle opere d'arte le tecniche di vibrometria laser sono di grande utilità perché consentono di monitorare in modo non intrusivo le zone di distacco negli affreschi e di fornire importanti indicazioni per l'operazione di restauro. Il campo che ha ricevuto, negli ultimi anni, l'impulso maggiore è quello della qualità dei prodotti e dei processi nell'industria. La forte concorrenza, che caratterizza il mercato nazionale e mondiale, ha spinto le aziende a impegnarsi in maniera crescente per ottenere prodotti di qualità con limitate vibrazioni ed emissioni acustiche. Le tecniche di vibrometria laser possono oggi essere utilizzate con successo come supporto di indagine nella fase progettuale e per il controllo di qualità in linea senza incidere in modo significativo sui tempi di produzione. Sulle misure di vibrazione con tecniche laser si è svolta dal 16 al 19 giugno presso la Facoltà di Ingegneria dell'Università di Ancona la terza edizione della Conferenza internazionale sulle misure di vibrazione mediante tecniche laser. Il Congresso è stato organizzato dall'Aivela, l'Associazione italiana di velocimetria laser, con il contributo del Dipartimento di Meccanica della Facoltà di Ingegneria dell'Università di Ancona, presso cui ha sede l'associazione. La conferenza, promossa da Enrico Primo Tomasini, presidente dell'Aivela, ha visto riuniti 200 esperti di misure di vibrazioni provenienti dalle più prestigiose università e centri di ricerca del mondo. Nonostante l'alto livello tecnico, la conferenza ha voluto essere l'occasione per diffondere la cultura della vibrometria laser a un pubblico più ampio, non solo di addetti ai lavori, ma anche di imprenditori e di tecnici impegnati in aziende dal forte contenuto tecnologico. Gian Marco Revel Università di Ancona


SCIENZE FISICHE. NE DISCUTE L'UNIONE EUROPEA Anche Internet avrà un Codice? Dovrebbe dare certezza agli usi commerciali
Autore: MALERBA FRANCO

ARGOMENTI: ELETTRONICA, INFORMATICA, TELECOMUNICAZIONI, COMMISSIONI, MERCATO
ORGANIZZAZIONI: INTERNET, UE UNIONE EUROPEA
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, BELGIO, BRUXELLES

LUNEDI' prossimo la Commissione europea chiama a Bruxelles i responsabili delle industrie interessate all'elettronica e alla società dell'informazione per una giornata di dibattito in vista della stesura di una Carta di Internet. Se vedrà la luce, la Carta conterrà principi e codici di comportamento per favorire un armonico sviluppo del commercio elettronico, rispondendo alle incertezze e alle attese degli utilizzatori di Internet sul piano dei principi e del diritto. Ma cosa mai c'è di nuovo in Internet che non si possa gestire con una semplice estensione delle regole già in vigore per gli altri mezzi di comunicazione? In effetti se l'apparizione della tv già ha cambiato le nostre abitudini, le comunicazioni Internet promettono molto di più: televisione, radio e stampa trasmettono messaggi indifferenziati verso un uditorio senza capacità di interazione, sempre più distratto e disaffezionato; Internet invece ha una capacità di comunicazione bidirezionale e il suo uditorio è essenzialmente l'individuo, ora alla ricerca di una specifica informazione ora di un collegamento con altri individui con i quali condivide un interesse, pronto ad acquistare nuovi servizi con la stessa ingordigia con cui si è recentemente dotato di telefono portatile. Mentre i mezzi di diffusione tradizionali sono di solito strettamente regolati, su Internet chiunque può diventare editore e dialogare con i propri associati. Internet cambia il modo in cui distribuiamo informazione in due aspetti essenziali: ogni messaggio può divenire altamente partecipativo mentre i costi di distribuzione scendono quasi a zero su base mondiale; non ci sono punti di passaggio o di controllo centrali, il costo di accesso è relativamente basso e non si richiedono particolari licenze per entrare a far parte del mondo Internet. Internet è nella sua infanzia: l'infrastruttura portante è ancora in larga misura una rete analogica di capacità limitata; se dati e immagini corrono già bene sulla rete, le sequenze di immagini - cinema e televisione - richiedono autostrade più ampie e nuove tecnologie di compressione dell'informazione digitale che stanno ancora maturando. Ma le statistiche dimostrano che la partecipazione a Internet cresce in modo esponenziale; se qualche anno fa si prevedevano per il 1998 tre milioni di utilizzatori in Europa, oggi sappiamo che ce ne sono già 18 milioni. L'evoluzione di Internet ha un'importanza strategica per-ché propone nuovi modelli di organizzazione e di impresa che anticipano i caratteri dell'economia del futuro: scompaiono le gerarchie (il controllo centralizzato di beni e processi fisici tipici della società industriale), emerge una nuova società capace di adattarsi facilmente alla dimensione mondiale e basata sui beni della conoscenza. Si può avanzare l'ipotesi che organizzazioni estremamente complesse come la società dell'informazione non debbano essere controllate dal centro ma dalla periferia, come nel mondo biologico, un ambiente che nella sua complessità si autogoverna con leggi semplici, senza che ci sia un unico punto di gestione centrale; l'ordine si realizza attraverso l'interazione di un numero grandissimo di entità individuali, legate tra loro da una fitta rete di collegamenti e di retroazioni. Il fuoco alle polveri sul tema delle regole del commercio elettronico è stato dato negli Stati Uniti: il 1o luglio 1997 Clinton annuncia una iniziativa nel campo del commercio elettronico suggerendo una collaborazione tra l'industria e il governo, per promuovere su scala mon diale un ambiente legale solido e uni forme per il com mercio elettronico. L'autore della proposta - il consigliere del presidente Ira Magaziner - suggerisce che il governo non dovrà svolgere compiti di polizia sulla rete ma incoraggiare il settore privato ad autoregolamentarsi. L'iniziativa delinea l'obiettivo di un mercato di libero scambio su Internet, indipendente dalla giurisdizione in cui ogni particolare venditore o acquirente risieda. L'industria americana accoglie con favore l'orientamento liberista della proposta: troppe tasse o censure potrebbero soffocare la formidabile impresa di Internet prima che possa veramente fiorire. In Europa invece si teme che una politica assolutamente liberista su Internet favorisca il sistema economico più forte e preparato, e quindi l'industria americana. Ma alla conferenza di Bonn del 6-8 luglio '97 si confermano anche da parte europea alcuni dei principi ispiratori della proposta Clinton: liberalizzazione dei servizi di telecomunicazione, tutela della privacy e della sicurezza delle transazioni elettroniche, protezione della proprietà intellettuale, nessuna discriminazione fiscale pro o contro il commercio elettronico. Il Commissario europeo Martin Bangemann lancia l'idea di una Carta internazionale di Internet. In realtà Bangemann sta già pensando, dopo il lavoro per liberalizzare il mercato delle telecomunicazioni, a una iniziativa di rivisitazione di tutta la legislazione in questo settore per tener conto delle "invasioni di campo" rese possibili dalle nuove tecnologie della voce e dell'immagine digitali e dalla globalizzazione dei servizi via satellite. Bangemann - esponente del pensiero liberale europeo - pensa a una legislazione leggera ed evolutiva, "per principi" - più che "per norme e proibizioni" - come si addice a una società sempre più complessa che vuole proteggere e affermare i suoi valori ma che accetta la presunzione di onestà e correttezza deontologica come funzionale alla sostenibilità stessa dei processi dell'economia. Su queste basi sembra possibile stabilire un dialogo con l'industria e raggiungere un accordo con gli Stati Uniti per arrivare a un documento politico comune su un metodo di coordinamento internazionale, a base multilaterale, che riconosca le competenze delle organizzazioni internazionali nelle singole materie e che promuova la partecipazione del settore privato e delle associazioni di categoria alla definizione delle nuove re gole. La scommessa politica della Commissione è di poter formulare e approvare la Carta entro il 1999, prima della fine della legislatura. Franco Malerba Astronauta e relatore al Parlamento europeo sulla Carta di Internet


SCIENZE DELLA VITA RIPRESE NEGLI ABISSI Regista una foca monaca Con una minicamera sul dorso dell'animale
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA
NOMI: MARSHALL GREG, BONESS DARYL
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: C. Distribuzione della foca monaca
NOTE: «Vita segreta di una foca monaca»

SE è difficile studiare in natura specie che vivono in territori impervi, come i gorilla di montagna o i panda, ancora più difficile è spiare i comportamenti di animali marini nell'immensa conca oceanica. Vi sono specie acquatiche che vengono in terraferma per riprodursi, come foche, tartarughe, elefanti di mare o pinguini. In questo caso è agevole studiarle nella fase terrestre. Ma quando si rituffano in mare, dove trascorrono la maggior parte della loro esistenza, l'occhio dello studioso non è più in grado di seguirli e la fase acquatica della loro vita rimane un mistero. L'uomo però non si arrende. Proprio questo mistero stimola il suo ingegno. Ed ecco l'ultima trovata. Non ci si accontenta più della telemetria per seguire sott'acqua le evoluzioni di foche o di leoni marini, telemetria che ci dà peraltro risultati abbastanza modesti. Si fa diventare l'animale stesso protagonista. E non solo protagonista. Lo si fa diventare anche cameraman e regista. L'idea, frutto di dieci anni di ricerche, è di Greg Marshall, un biologo marino della National Geographic Television di Washington: si applica una cinepresa direttamente al dorso della foca o del leone di mare. Il dispositivo, chiamato Crittercam, è stato applicato finora a vari animali marini, come tartarughe, squali, foche, capodogli. Ma quelli che hanno dato i migliori risultati sono foche e leoni di mare perché entrambi, dopo un lungo viaggio marino, tornano sempre agli stessi luoghi di riproduzione ed è possibile così recuperare il film che, ignari, hanno girato. La principale difficoltà che ha incontrato Marshall è stata quella di creare un dispositivo così piccolo e leggero da non disturbare l'animale, ma che fosse anche capace di resistere alle alte pressioni degli abissi. Nell'apparecchio sono inclusi misuratori della profondità, della temperatura e della luce, nonché un microfono che registra i suoni eventualmente emessi dall'animale. L'invenzione è diventata di pubblico dominio con l'uscita del primo film: "Vita segreta di una foca monaca". Protagonista una foca monaca delle Hawaii, un specie che ha subito uno spaventoso calo numerico (60 per cento) negli ultimi 40 anni e oggi conta circa 1200 individui. Certo, la sensazione dello spettatore è stranissima. E' come se si mettesse lui stesso nella pelle della foca. Per un momento ha l'impressione di nuotare dietro la testa dell'animale, ma appena il pinnipede fa una piroetta, anche l'ambiente circostante si capovolge: d'improvviso sulla sua testa c'è il fondo marino, mentre la luce solare filtra dal basso. Con questa singolarissima tecnica è stato possibile stabilire dove vanno a mangiare le foche monache. Si pensava finora che andassero a fare incetta di cibo nelle acque poco profonde degli atolli. Invece si è scoperto che si dirigono verso il mare aperto e incominciano a cacciare quando raggiungono la zona compresa tra i 60 e i 100 metri di profondità, una zona che, a differenza di quella degli atolli, non gode di protezione. Qui le foche cacciano polpi, granchi, pesci corallini e gronghi. E i pescatori umani fanno loro la concorrenza. Noi sappiamo benissimo come si riproducono elefanti, leoni di mare ed altri pinnipedi che trascorrono l'epoca degli amori in terraferma. I maschi arrivano per primi, combattono tra loro per scegliersi ciascuno il territorio che ritiene migliore. E la rivalità tra i maschi si fa ancora più accesa quando giungono le femmine. Sono gli individui dominanti, i più forti, quelli che riescono ad avere la meglio e a formarsi un harem che difendono strenuamente dagli attacchi dei rivali. Ma nelle specie di pinnipedi che si riproducono in mare, quale strategia adottano i maschi per intercettare le femmine nel momento in cui entrano in acqua? Finora non lo sapevamo. Il Crittercam ci ha permesso di scoprirlo. Lo dobbiamo alle lunghe ricerche che Daryl Boness, ricercatore capo della Smithsonian Institution di Washington, ha effettuato nelle fredde acque dell'Oceano Atlantico al largo della Nova Scotia. I maschi si comportano in modo davvero strano. Nel periodo cruciale della stagione riproduttiva si avvicinano alla spiaggia, nuotano lungo il fondo e facendo vibrare il collo emettono rumori bassi e rimbombanti che in un curioso crescendo sfociano in un suono fortissimo. Continuano a nuotare e a far chiasso per parecchio tempo. Ma ogni quattro o cinque vibrazioni del collo salgono a galla emettendo un fiotto di bollicine. Dopo aver osservato questo comportamento per varie stagioni consecutive, Daryl Boness non ha avuto dubbi. Secondo lui si tratta di una parata amorosa per far colpo sulle femmine. E avvalora questa ipotesi la constatazione che quando una femmina entra in acqua, non si accoppia con il maschio più vicino, come avviene negli harem terrestri, ma sembra che operi una scelta, che scelga insomma quello che più le aggrada. Ci si augura che il Crittercam possa dare risposta a molti altri interrogativi. Che possa spiegare ad esempio per quale motivo i leoni di mare della Nuova Zelanda si sentano così irresistibilmente attratti dalle reti a strascico dei pescherecci. E questa è forse la principale causa del progressivo calo numerico di una specie così rara. Ne rimangono sì e no 12.000 esemplari, la maggior parte dei quali vive nelle remote isole Auckland. Questi leoni di mare sono veri campioni di immersione. Scendono fino a 570 metri sotto il livello del mare e possono rimanere immersi fino a 11 minuti. Per svelare ciò che fanno a quelle profondità, varie femmine di leoni di mare della Nuova Zelanda sono state munite di un Crittercam corredato da un anello di luce rossa (la luce che non disturba gli animali) capace di illuminare un'area di due o tre metri davanti al muso. Si spera, perfezionando sempre più l'invenzione, di spiare ciò che succede in quel mondo tenebroso ancora inaccessibile all'uomo. Isabella Lattes Coifmann


IN BREVE Centro torinese di bioingegneria
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)

Il Centro di Bioingegneria inaugurato ufficialmente poco più di un anno fa a Torino ha presentato nel "Rapporto 1997" 6 progetti di ricerca di base, 5 di ricerca clinica e 3 di formazione permanente. Il laboratorio è una struttura del Politecnico ospitata presso l'ospedale torinese Valletta. Compagnia di S. Paolo e Fondazione Crt hanno messo a disposizione 4 borse di studio di 30 milioni. Tel. 011- 391.0021.


Stazione spaziale, rinvio a novembre Slittano i primi lanci ma l'Italia è puntuale
Autore: LO CAMPO ANTONIO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
NOMI: GOLDIN DANIEL, RODOTA' ANTONIO, DE JULIO SERGIO, GUIDONI UMBERTO
ORGANIZZAZIONI: ISS STAZIONE SPAZIALE INTERNAZIONALE, NASA, ASI
LUOGHI: ITALIA

FORSE i ritardi sono finiti. Qualche giorno fa la Nasa ha comunicato i tempi e i particolari del nuovo programma dei lanci per la costruzione in orbita della Stazione spaziale internazionale (Iss), la più importante impresa astronautica dai tempi dell'Apollo. I numerosi rinvii già accumulati sono dovuti ad alcune difficoltà nel mettere d'accordo Stati Uniti, Russia, Giappone, Canada e i 14 Paesi dell'Agenzia spaziale europea, e ultimamente soprattutto ai gravi problemi economici che affliggono Mosca. I russi sono in piena crisi, e i fondi per lo spazio scarseggiano da tempo. Per avviare l'assemblaggio della più grande infrastruttura orbitante mai realizzata (spazio interno per 7 persone pari a quello di due Jumbo 747, 75 metri di lunghezza, 100 di larghezza, 40 di altezza, peso 460 tonnellate) è necessario lanciare un modulo di servizio che contiene serbatoi di combustibile e sistemi per il fissaggio dei primi elementi americani (il Nodo 1, adattatori pressurizzati e parte di un traliccio portante). Ora il lancio di questo modulo russo, secondo il nuovo programma, è fissato per metà novembre, e la navetta "Endeavour" con i primi elementi partirà da Cape Canaveral il 3 dicembre. Saranno i primi due lanci di una serie molto lunga (almeno 50, ma se vi saranno problemi se ne dovranno fare di più), tra navette, vettori russi ed europei, che permetteranno di completare la base orbitante in tre fasi, entro il 2003. La scorsa settimana si sono dati appuntamento al Johnson Space Center di Houston, dove c'è la base che segue i voli umani della Nasa, i capi delle agenzie spaziali che partecipano al programma. Ricevuti da Daniel Goldin, amministratore della Nasa, c'erano anche Antonio Rodotà, direttore generale dell'Esa, e Sergio De Julio, presidente dell'Agenzia spaziale italiana. E per l'occasione è stata presentata ufficialmente la nuova "launch schedule" per i lavori in orbita. I ritardi della stazione spaziale stanno condizionando pesantemente anche il programma di voli dello Shuttle. Ormai le quattro navette della flotta sono pronte a dedicarsi esclusivamente ai voli di costruzione in orbita, e dopo l'ultima missione "Discovery", rientrata da poco, non vi saranno lanci Shuttle per quasi cinque mesi, fino al 29 ottobre, data attualmente ancora fissata per il volo che vedrà tra i protagonisti il vecchio eroe dello spazio John Glenn. Il modulo di servizio russo, la vera chiave per aprire i lavori in orbita, lascerà presto gli hangar del centro russo "Energhija", per essere collocato in cima al razzo vettore "Proton", e finalmente si darà il via al grande meccano spaziale. Se i ritardi dei russi hanno fatto slittare il programma, procede regolarmente il lavoro italiano. Il 24 luglio verrà inviato a Cape Canaveral, partendo con un cargo dell'Airbus dall'aeroporto di Torino-Caselle, il primo dei moduli logistici, che rappresentano la parte italiana della stazione, insieme a due dei tre "nodi" d'attracco e al modulo Columbus dell'Esa. Il modulo logistico, un mini- modulo largo 5 metri e lungo 7, verrà periodicamente agganciato e staccato dalla stazione, per consentire rifornimenti di materiale vario, come attrezzature scientifiche e viveri. Il primo partirà all'inizio del 2000, seguito due mesi dopo da un secondo modulo. Per queste missioni si sta addestrando anche il nostro unico astronauta in servizio attivo a Houston, Umberto Guidoni. Verrà presto raggiunto da due nuovi astronauti italiani. L'Asi li sta selezionando in questi giorni. Entro un mese ne conosceremo i nomi. Antonio Lo Campo


C'E' VITA NEL COSMO? Appuntamento con ET a Torino
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, RICERCA SCIENTIFICA, CONGRESSO
NOMI: DRAKE FRANK, COCCONI GIUSEPPE, MORRISON PHIL, STRUVE OTTO, SEGAN CARL, REGGE TULLIO, BIGNAMI GIOVANNI, BELLONE ENRICO
ORGANIZZAZIONI: ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO, NASA, CENTRO ITALIANO STUDI SETI, ASI
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)

L'Accademia delle Scienze di Torino ospiterà venerdì un convegno sotto l'etichetta "Seti Day". Seti sta per Search for Extra Terrestrial Intelligence: ricerca di forme di vita intelligenti extraterrestri. L'intervento di apertura toccherà a Frank Drake, l'astronomo che per primo si mise in ascolto con un radiotelescopio nella speranza di captare il messaggio di qualche signor ET. L'incontro di venerdì sarà anche il battesimo del neonato Centro Italiano Studi Seti, associazione fortemente interdisciplinare che riunirà astronomi, fisici, biologi, ingegneri, filosofi e umanisti interessati al problema della vita anche al di là dei provinciali confini del nostro pianeta. Dal Big Bang al Dna: così potremmo riassumere l'avventura scientifica di questi anni. Origine ed evoluzione dell'universo sono ormai abbastanza comprese. La vita, con la sua molecola a doppia elica che racchiude il programma genetico, molto meno. Soprattutto non sappiamo se nell'universo esistano altre forme di vita intelligenti (ammesso che la nostra lo sia). In generale, la comunità scientifica pensa di sì. Ma la ricerca delle prove è difficilissima. Se poi si pensa di scoprirle captando dallo spazio segnali radio artificiali, la sfida diventa quasi impossibile. Proprio per questo molti scienziati la snobbano. Ma per lo stesso motivo una minoranza la raccoglie. Tutto incominciò nel 1959 con una lettera alla rivista "Nature" nella quale Giuseppe Cocconi e Phil Morrison proponevano di applicare le tecniche della radioastronomia alla ricerca di segnali intelligenti, suggerendo anche la lunghezza d'onda verosimilmente più indicata: quella di 21 centimetri su cui emettono gli atomi dell'idrogeno, l'elemento più semplice e diffuso dell'universo. Drake, allora studente, propose al suo professore, Otto Struve, discendente di una dinastia di astronomi partita dall'Osservatorio russo di San Pietroburgo nella prima metà dell'Ottocento, una tesi di laurea sperimentale riguardante la costruzione di un radioricevitore dedicato all'ascolto su questa lunghezza d'onda. Struve accettò, e mise a disposizione del giovane Drake il radiotelescopio di 24 metri di diametro di Green Bank, in Virginia, uno dei migliori di quell'epoca. Drake puntò Tau Ceti ed Epsilon Eridani, due stelle vicine a noi, simili al Sole, e per questo forse adatte ad avere pianeti. Dalla prima, silenzio. Dalla seconda, un segnale nitido e forte. No, non era ET: Drake aveva captato la radio di un aereo spia U2 in volo nella stratosfera... Da allora vari altri programmi di radioascolto cosmico si sono susseguiti, tutti senza esito, tranne qualche falso allarme. L'ultimo, avviato dalla Nasa nell'ottobre 1992, doveva spiare 800 stelle nel raggio di un centinaio di anni luce da noi. Il Congresso americano gli ha tolto i finanziamenti un anno dopo. Ma i programmi Seti vanno avanti, sia pure a fatica: con fondi privati e sfruttando il cascame di dati raccolti con radiotelescopi per altre ricerche (più utili alle carriere accademiche, ma anche meno eccitanti). I programmi Seti hanno i loro paladini. Morto Carl Sagan, l'autore di Contact, libro e film, negli Stati Uniti tengono duro Frank Drake, Jill Tarter e un manipolo di altri entusiasti; in Europa spicca il francese Jean Heidmann, già direttore dell'Osservatorio di Parigi; in Italia guarda con interesse al Seti il responsabile del radiotelescopio di Medicina (Bologna), Stelio Montebugnoli. Il Centro Italiano Studi Seti ha tra i suoi fondatori Tullio Regge (presidente), Giancarlo Genta (Politecnico di Torino), Attilio Ferrari (direttore dell'Osservatorio di Torino), Piero Galeotti (Università di Torino), Claudio Maccone (International Seti Committee). Al "Seti Day" interverranno il bioastronomo Cristiano B. Cosmovici, i filosofi Giulio Giorello e Vittorio Mathieu, il fisico Vittorio Canuto (Nasa), il teologo Giuseppe Tanzella-Nitti, il biologo Salvatore Santoli, il presidente dell'Unione astronomica italiana Massimo Capaccioli, il direttore scientifico dell'Asi Giovanni Bignami ed Enrico Bellone (Le Scienze). L'idea è di far crescere il dibattito culturale intorno ai programmi Seti, ma anche, se possibile, di promuovere ricerche sperimentali: Claudio Maccone, uno dei fondatori, è un esperto di analisi del segnale e ha proposto una suggestiva missione spaziale chiamata "Focal" che permetterebbe di captare radiosegnali amplificati dalla lente gravitazionale generata dal Sole. Nel 1900, in una di quelle fasi di fermento che si manifestano nelle transizioni di secolo (figuriamoci in quelle di millennio), a Parigi fu bandito un premio di 100 mila franchi per chi riuscisse a stabilire il contatto con extraterrestri. Marte però venne escluso: troppo facile, pensavano i finanziatori del concorso. Noi oggi sappiamo che in realtà il problema della comunicazione con eventuali alieni è molto più complesso di quanto allora si immaginasse. Ma vale la pena di affrontarlo. Essendo un problema-estremo, un problema-limite, meglio di altri si presta a stimolare il "pensiero laterale", cioè il pensiero più creativo. Questo effetto stimolante, a prescindere da ogni altro esito, già di per sè sarebbe un risultato apprezzabile. Piero Bianucci


SCIENZE DELLA VITA NEL 1948 NASCEVA "PRO NATURA" Ambiente, mezzo secolo di lotte Tuttora attualissime le motivazioni dello statuto
AUTORE: GIULIANO WALTER
ARGOMENTI: ECOLOGIA, ASSOCIAZIONI, AMBIENTE
NOMI: VIDESOTT RENZO, GALLARATI SCOTTI GIAN GIACOMO
ORGANIZZAZIONI: FEDERAZIONE NAZIONALE PRO NATURA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

CINQUANT'ANNI fa l'ambientalismo prendeva il volo, segnando il passaggio dall'attenzione scientifica verso le emergenze naturali all'impegno per la loro tutela e conservazione. Dal naturalismo si passava alla richiesta di una politica che tenesse in debito conto il valore delle risorse naturali del pianeta, contro gli sprechi, il rapido consumo e la loro compromissione da parte degli inquinamenti. In Italia fu un manipolo di persone, guidate da Renzo Videsott, direttore del primo parco nazionale d'Italia, il Gran Paradiso, a lanciare insieme al protettore dell'orso bruno delle Alpi e promotore del parco Adamello-Brenta- Stelvio, Gian Giacomo Gallarati Scotti, la proposta di un movimento a sostegno della protezione della natura. "L'idea mi è nata dopo aver visto come all'estero, in questo campo, si sia tanto lavorato e raccolto e come troppo poco sia stato fatto in Italia. In quest'Italia che ha dato tante persone valorose nel campo naturalistico operante, non ci dobbiamo scoraggiare. Dobbiamo almeno tentare, dobbiamo trovarci per discutere. Questa nostra discussione preliminare è urgente e serve anche per la probabile Conferenza internazionale di Parigi, sotto l'egida dell'Unesco": così scrisse, tra l'altro, nella lettera invito con cui convocò una riunione a Oreno di Vimercate nella villa Gallarati seguita da una seconda a Sarre in Valle d'Aosta per poi salire al Parco Nazionale Gran Paradiso. Fu proprio presso il castello di Sarre che il 25 giugno 1948 Renzo Videsott, il fratello di Paolo, i fratelli Bruno e Nino Betta, Fausto Stefenelli, Benedetto Bonapace, Raffaello Prati, Fausto Penati, Alberto Deffeyes, Mario Stevenin, Giulio Brocherel e Alberto Durandi fondarono la prima associazione ambientalista del nostro Paese, il Movimento Italiano per la Protezione della Natura, che assunse poi il nome di Pro Natura Italica e che oggi è attiva come Federazione Nazionale Pro Natura con oltre 80 gruppi in tutta la Penisola. Mantengono attualità ancora oggi le motivazioni indicate nel primo statuto del Mipn: 1) sostenere la valorizzazione ragionevole della natura in opposizione agli abusi dello sfruttamento individualistico che pregiudica i più vasti interessi sia spirituali che materiali, presenti e futuri, dell'umanità; 2) promuovere la diffusione di un culto per la natura come strumento di educazione spirituale, morale e fisica; 3) sviluppare ogni forma di protezione della natura e delle istituzioni all'uopo definite dalla Commissione Internazionale nominata dalla Conferenza Internazionale per la protezione della Natura di Brunnen; 4) sviluppare, in particolare l'istituzione di parchi nazionali e di interesse internazionale; 5) agire, mediante collegamento con enti italiani e stranieri che agiscono nella stessa direzione. Renzo Videsott qualche mese più tardi sarà a Fontainbleau a rappresentare l'Italia alla conferenza internazionale che vide la fondazione dell'Unione Internazionale per la Protezione della Natura (denominazione mutata, dal 1956, in Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) come esponente del Parco Nazionale Gran Paradiso e dell'Associazione Nazionale per i Paesaggi ed i Monumenti Pittoreschi d'Italia, mentre il Mipn fu rappresentato dal fratello Paolo e dalla signora Antonia Pruner, e lo stato italiano da Michele De Tomasso. L'atto costitutivo della più importante organizzazione internazionale di tutela dell'ambiente reca le firme dei delegati di 18 governi, 7 organizzazioni internazionali e 107 associazioni nazionali impegnate nella protezione della natura. Era il 5 ottobre 1948 e il Mipn venne ufficialmente riconosciuto quale membro fondatore dell'Uipn. Videsott fu chiamato a far parte del Comitato esecutivo. Il movimento ambientalista prendeva il largo e maturava una coscienza internazionale. Non soltanto per celebrare il cinquantenario della sua fondazione, ma per prendere lo spunto da quell'avvenimento e riflettere sulle politiche ambientali, la Federazione Nazionale Pro Natura organizza una serie di avvenimenti, con il patrocinio del ministero dell'Ambiente e dell'Uicn. Il primo appuntamento è per sabato 27 giugno al castello di Sarre per una cerimonia commemorativa e lo scoprimento di una targa a ricordo della fondazione. Sempre in Valle d'Aosta, dal 9 all'11 ottobre un convegno internazionale con la partecipazione del ministro dell'Ambiente, del segretario generale dell'Uicn e dei principali ambientalisti del nostro Paese sarà dedicato al tema "Tra cultura e politica. Quale ambientalismo per il nuovo millennio?". Anche l'Uicn si prepara a ricordare la storica data dell'ottobre 1948. Il progetto è quello di costituire una rete di Archivi Mondiali della Conservazione per raccogliere i dati storici necessari a una ricostruzione della storia di un movimento che ha sensibilizzato l'intera umanità a sottoporre i suoi progetti di sviluppo alla griglia della sostenibilità ambientale. Aderendo a questo invito la Federazione Nazionale Pro Natura ha colto l'occasione del cinquantenario della fondazione del Mipn per svolgere una ricerca storica sulle proprie origini che verrà pubblicata in due volumi. Il primo, curato da uno dei protagonisti dell'ambientalismo del nostro Paese, Franco Pedrotti dell'Università di Camerino, si intitola "Il fervore dei pochi" e racconta in dettaglio, le origini del protezionismo nel nostro Paese, dai precursori Oscar de Beaux, Beatrice Duval, Eva Mameli Calvino, Guido Castelli, Gian Giacomo Gallarati Scotti, a Renzo Videsott e al suo movimento, non senza uno sguardo a ciò che avvenne a Fontainbleau con la nascita dell'Uicn. Il secondo illustra invece lo sviluppo di quell'iniziativa e il percorso svolto dalla Pro Natura, cui si affiancheranno, a partire dai decenni successivi, numerose altre associazioni in un dinamismo di impegno che farà parlare di un vero e proprio arcipelago verde. Walter Giuliano


IN BREVE "Forza motrice" mostra a Torino
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)

Si aprirà il 25 settembre nelle sale della Reggia di Venaria, presso Torino, la mostra "Forza motrice", dedicata a Galileo Ferraris e al suo fondamentale contributo nella diffusione e utilizzazione dell'elettricità. L'iniziativa rientra nel progetto " Inventori & Invenzioni" sostenuto dalla Festo Pneumatic. Per l'inaugurazione della mostra è in programma un dibattito con Valerio Castronovo, Sergio Cofferati, Franco De Benedetti, Chicco Testa, Sergio Pininfarina, Cesare Marchetti, Kurt Stoll e Sigfrido Leschiutta.


SCIENZE DELLA VITA SI PUO' EVITARE? Lo spettro della dialisi Benefici effetti del Ramipril
Autore: TRIPODINA ANTONIO

ORGANIZZAZIONI: THE LANCET, GRUPPO GISEN, ISTITUTO MARIO NEGRI
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA
NOTE: "Rein" Ramipril Efficiency in Nephropathy

IL rene è un organo di importanza vitale, poiché è attraverso di esso che l'organismo elimina le scorie derivanti dai vari processi metabolici. In caso di grave insufficienza renale le possibilità di vita sono legate alla periodica depurazione del sangue per mezzo della dialisi, con il miraggio (che il più delle volte rimane tale) di un trapianto di rene. Ma sia la dialisi sia il trapianto renale sono gravati da gravi disagi fisici e psicologici, obbligando la prima alla schiavitù di una macchina, il secondo (nella pur fortunata evenienza che se ne sia potuto usufruire) a un continuo trattamento anti-rigetto, non privo di effetti collaterali. Stando così le cose, ogni nuova possibilità di rallentare la progressione del danno renale, allontanando il più possibile il ricorso alla dialisi, rappresenta per molte persone una prospettiva di estremo interesse. E' ciò che sembra promettere lo studio "Rein" (Ramipril Efficiency in Nephropathy), i cui primi dati sono stati di recente pubblicati sulla rivista The Lancet. E' uno studio ideato e programmato dal gruppo Gisen (Gruppo italiano di studi epidemiologici in nefrologia), coordinato da Giuseppe Ramuzzi, direttore dell'Istituto "Mario Negri" e del Dipartimento di immunologia dei trapianti e delle terapie innovative antirigetto degli Ospedali Riuniti di Bergamo. Lo scopo della ricerca era valutare l'effetto del ramipril, un farmaco appartenente alla classe degli Ace-inibitori, già da molti anni utilizzati nella cura dell'ipertensione arteriosa, sul decorso delle nefropatie croniche non derivate dal diabete mellito. Era già noto il benefico effetto di un altro Ace-inibitore, il captopril, nel ritardare il decadimento della funzione renale nel diabete mellito di tipo I (insulino-dipendente), ma mai si era fatta una sperimentazione controllata sull'efficacia di questa classe di farmaci nel vasto campo delle nefropatie croniche non diabetiche. Lo studio "Rein" ha coinvolto 14 divisioni di nefrologia e 352 pazienti, suddivisi in due sottogruppi a seconda della gravità del danno renale, valutata dalla quantità di proteine perse nelle urine in 24 ore: se più o meno di 3 grammi. La sperimentazione era prevista in cinque anni, ma un comitato etico indipendente ha stabilito la sospensione della fase sperimentale nel sottogruppo con maggiore compromissione renale dopo solo due anni in quanto già significativamente evidenti i benefici effetti nel rallentare il deterioramento della funzione renale nei pazienti trattati con ramipril rispetto a quelli appartenenti ad un gruppo di controllo trattati con la terapia tradizionale (immediatamente passati al trattamento con ramipril). L'effetto protettivo del ramipril è attribuito alla sua capacità di rallentare il "traffico" delle proteine attraverso i glomeruli, a conferma dell'ipotesi che è proprio questo il fattore che maggiormente contribuisce alla progressione del danno renale. I soggetti appartenenti al sottogruppo con nefropatia cronica meno grave, nei quali meno eclatante è stato finora l'effetto del farmaco, continuano la sperimentazione. Se al termine dei cinque anni previsti, nel 1999, saranno confermati i benefici effetti nel rallentare il declino della funzione renale, si potrà ipotizzare che un trattamento precoce con ramipril, o con farmaci analoghi, possa allontanare di molto lo spettro della dialisi. Antonio Tripodina


ASTRONAUTICA DEL LONTANO FUTURO In viaggio verso altre stelle Ardite ipotesi per uscire dal Sistema solare
Autore: GENTA GIANCARLO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, ASTRONOMIA
ORGANIZZAZIONI: NASA, ACCADEMIA INTERNAZIONALE DI ASTRONAUTICA
LUOGHI: ITALIA

LA fantascienza ci ha abituati all'idea dei viaggi interstellari. Ma sono pure fantasie o in un futuro più o meno lontano l'uomo potrà davvero uscire dal Sistema solare? Gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione di questo sogno sono molti, ma due sono particolarmente ardui: uno, di carattere teorico, è costituito da quel limite di velocità cosmico che è la velocità della luce; l'altro, eminentemente pratico, dall'enorme quantità di energia necessaria per ottenere le velocità necessarie per raggiungere le stelle più vicine in tempi che non siano di millenni. Le distanze che separano le stelle sono enormi: la stella più vicina a noi è la stella tripla Alfa Centauri, che dista da noi 4,3 anni luce, circa 41.000 miliardi di chilometri. Rappresentando il Sole con una pallina dal diametro di 1 centimetro al centro di un campo di calcio, la Terra sarebbe una punta di spillo di 0,1 millimetri di diametro a un metro di distanza. L'orbita di Plutone starebbe quasi esattamente tra le due porte e Alfa Centauri si troverebbe a 292 chilometri di distanza. La sonda Voyager 1, che ha lasciato il Sistema solare alla velocità di 3,5 km/s, raggiungerà una distanza di 4,4 anni luce tra 273.000 anni. Dato che la teoria della relatività ci assicura non solo che nessun oggetto materiale può superare la velocità della luce, ma che tale limite vale anche per qualsiasi mezzo di trasmissione dell'informazione, il tempo minimo di volo teoricamente possibile verso una qualsiasi destinazione espresso in anni è quindi pari alla distanza in anni luce. Ma questo non è tutto. Anche se la velocità della luce sembra tutto sommato insufficiente per un viaggio così lungo, essa è spaventosamente elevata, e per accelerare qualsiasi oggetto a velocità anche molto minori occorrono quantità enormi di energia. Per lanciare una sonda di soli 100 chilogrammi verso Alfa Centauri a una velocità pari a un terzo della velocità della luce occorrerebbe una quantità di energia molto superiore a quella consumata in un anno da un Paese industrializzato come l'Italia. E la durata della missione sarebbe di circa 13 anni, ai quali vanno aggiunti altri 4,4 anni per permettere ai segnali radio della sonda di raggiungere il Sistema solare. Questi dati hanno portato molti a esprimere dubbi sulla possibilità che l'uomo possa mai varcare le grandi distanze interstellari, di persona o con i suoi robot. Ma la storia della tecnologia ci mostra che la disponibilità di energia è cresciuta in maniera tale che la maggior parte delle nostre attuali tecnologie sarebbero sembrate impossibili nel passato per lo stesso motivo: ad esempio la potenza meccanica installata in Inghilterra al tempo di Guglielmo il Conquistatore può essere valutata in circa 17 MW, poco più di un decimo della potenza di un Boeing 747. Già oggi si studiano sistemi di propulsione che permettano di avvicinarsi quanto più possibile alla velocità della luce e, anche se non è possibile prevedere la loro realizzazione a breve termine, gli studi teorici sono ben avviati. Per lo stesso limite di velocità costituito dalla velocità della luce esistono idee scientificamente ben fondate su come forse si potrebbe aggirarlo. L'uomo quindi potrà uscire dal Sistema solare, ma si tratta solamente di una prospettiva per un lontano futuro? Certamente sì, se con ciò si intende inviare sonde verso altre stelle, e per un futuro ancora più lontano (ammesso che sia mai possibile) se si pensa di viaggiare verso lontanissime destinazioni come nella fantascienza. Ma esistono molte mete ai confini del Sistema solare o nelle parti più vicine dello spazio interstellare che si può pensare di raggiungere in un futuro più vicino, a cominciare dal pianeta Plutone, verso il quale la Nasa sta preparando una missione automatica. Altri obiettivi importanti sono la Fascia di Kuiper, una zona oltre l'orbita di Nettuno in cui esistono molti grandi asteroidi, l'eliopausa, zona di confine tra la rarefattissima materia interstellare e il Sistema solare, e la linea focale della lente gravitazionale del Sole, cioè quella zona in cui il Sole fa convergere i raggi luminosi e le radioonde a causa della sua massa, come fanno le lenti nell'ottica classica. E più lontano ancora vi è la nube di Oort, la zona dove si formerebbero, in base a teorie generalmente accettate, le comete. L'Accademia Internazionale di Astronautica ha istituito da una ventina di anni un comitato per l'esplorazione dello spazio interstellare (Isec), con lo scopo di approfondire le tematiche relative all'esplorazione ai limiti del Sistema solare e oltre. Dal 1996 l'Isec tiene un convegno biennale, organizzato dall'Accademia di Astronautica e dal Politecnico di Torino. Dal 29 giugno al 1o luglio una cinquantina di studiosi appartenenti a centri di ricerca, Università e aziende si ritroveranno alla Biblioteca Regionale di Aosta per discutere i vari aspetti di queste esplorazioni ai limiti delle possibilità umane e per proporre missioni che possano aprire all'uomo più lontane frontiere. Giancarlo Genta Politecnico di Torino


SCIENZE DELLA VITA MAGGIORE E ORTA Laghi da bere Depurati e ripuliti
Autore: QUAGLIA GIANFRANCO

ARGOMENTI: ECOLOGIA
NOMI: DE BERNARDI RICCARDO
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

COSI' pulita che è da bere. Non è uno slogan, ma una affermazione di Riccardo de Bernardi, direttore dell'Istituto italiano di idrobiologia di Pallanza, una struttura di ricerca del Cnr. E la cosa più sorprendente è che la dichiarazione si riferisce alle acque del Lago Maggiore. Le conclusioni di de Bernardi fanno parte di una ricerca sugli eco-sistemi dei grandi laghi italiani, condotta in collaborazione con i dipartimenti di biologia di Milano e Padova, con il Laboratorio studi ambientali di Lugano e l'Asl di Lecco. In Italia i laghi con superficie superiore a 0,2 chilometri quadrati sono 496: di questi 393 sono naturali, 103 salmastri. Su 154 bacini considerati, solo 32 presentano ancora caratteristiche buone; 62 sono in condizione di avanzata eutrofia o addirittura di ipertrofia. In altre parole: le alghe hanno colonizzato anche i bacini lacustri, a causa degli elevati apporti di fosforo di origine agricola e industriale. Il più importante e diffuso problema per i laghi italiani di bassa quota è appunto quello dell'eutrofizzazione; l'acidificazione costituisce invece una minaccia per i laghetti alpini d'alta quota (circa quattromila). Dagli studi condotti da de Bernardi, Calderoni, Mosello, il quadro che emerge è preoccupante, ad eccezione di due bacini: il Lago Maggiore e il Lago d'Orta. Il Maggiore (o Verbano), secondo in Italia per superficie e volume, alla fine degli Anni 70 denunciava uno stato di salute allarmante, per l'aumento del fosforo. Poi, grazie all'attivazione di impianti di depurazione sulle sponde svizzera e piemontese e alla graduale diminuzione di fosforo nei detersivi, la tendenza si è capovolta. Nella seconda metà degli Anni 80 le mutate condizioni chimiche hanno ridotto la presenza delle alghe, sino a valori normali, tanto che i ricercatori possono ora dire che "l'acqua del Lago Maggiore è potabile". Anche la balneazione è possibile, ma ha due facce: limitata sulla sponda lombarda (il 25 per cento delle spiagge), contro l'80 per cento della riva piemontese, dove la folta presenza degli impianti di depurazione ha eliminato gli scarichi non trattati. Non così per gli altri laghi esaminati. Quello di Garda sta peggiorando; in brutte condizioni anche quelli di Como e Lugano. La maglia nera della classifica tocca ai laghi di Iseo e Idro: "Questi - osserva Rosario Mosello dell'Istituto di idrobiologia - sono caratterizzati da una forte eutrofizzazione". E quando il fenomeno predomina, ad essere minacciata non è soltanto la fauna ma anche l'ambiente: le acque assumono il classico colore verdastro, il che non è un bel richiamo turistico. Ma com'è la posizione dei nostri laghi nei confonti di quella europea? Migliore rispetto, ad esempio, a quella del lago Lemano e di Costanza. Va citato, infine, l'esempio del Lago d'Orta, la cui immagine è riprodotta su un depliant distribuito dall'Unesco, come caso emblematico di risanamento delle acque. L'ex "catino d'ammoniaca" (così era stato battezzato negli Anni 60- 70) allora praticamente morto e acidificato, è resuscitato con un trattamento di "liming". Un esperimento pilota in Europa e tra i pochi al mondo, con l'introduzione di carbonato di calcio di origine naturale. Un trattamento durato oltre un anno che alla fine ha rigenerato un lago fortemente alterato: oggi tutte le spiagge sono balneabili. Inoltre le acque sono tornate ad essere ripopolate dalle specie ittiche scomparse, alcune anche dagli Anni 30. Le conclusioni dei ricercatori: il processo di eutrofizzazione, fenomeno noto sino a qualche anno fa nell'Adriatico, si impadronisce anche dei laghi a basse quote, mentre l'acidificazione è presente in una non trascurabile percentuale nei laghetti alpini. L'inquinamento da sostanze tossiche riguarda meno del 10 per cento dei laghi studiati. Tuttavia la situazione non è disperata, e si può intervenire come dimostrano i casi dei laghi Maggiore e d'Orta. Gianfranco Quaglia


SCIENZE DELLA VITA KILLER DI FINE SECOLO Un vaccino per l'infarto? Con una nuova classe di farmaci
Autore: PELLATI RENZO

ARGOMENTI: FARMACEUTICA
ORGANIZZAZIONI: NEW ENGLAND JOURNAL OF MEDICINE
LUOGHI: ITALIA

IN questi ultimi mesi si è parlato molto dell'avanzamento della ricerca in campo oncologico, trascurando il settore cardiovascolare. La trombosi arteriosa invece può essere considerata tuttora il " grande killer" di questa fine di secolo, perché le sue conseguenze sono tanto più gravi, quanto più vitale è l'organo interessato: infarto del miocardo e ictus cerebrale rappresentano il 45 per cento del totale dei decessi. Numerosi studi sono in corso per chiarire il fenomeno dell'aggregazione piastrinica (vedi il "New England Journal of Medicine"), perché i trombi che si formano nei vasi in cui il flusso è rapido (arterie) sono formati prevalentemente da piastrine (le piccole cellule senza nucleo presenti nel sangue) e da fibrina (il "cemento" che le tiene unite). Le piastrine hanno un ruolo importante quando si tratta di bloccare un processo emorragico. La trombosi può essere considerata una forma mal regolata e inappropriata di emostasi. L'aggregazione piastrinica viene stimolata da una serie di mediatori chimici che contribuiscono al reclutamento delle piastrine circostanti fra cui: la trombina (trasforma il fibrinogeno in fibrina), il trombossano 2 (deriva dall'acido arachidonico presente nella membrana cellulare), e formazione di particolari recettori definiti "integrine". Da qualche anno la ricerca è indirizzata a studiare queste integrine perché si è visto che sono indispensabili alle piastrine per potersi aggregare. Queste integrine sono dei recettori paragonabili ad un ponte di ancoraggio, e sono state definite glicoproteine IIb-IIIa in base alla loro costituzione chimica. Da qui è nata l'idea di trovare dei farmaci che impediscano alle piastrine di collegarsi tra loro. Queste sostanze sono state definite antagoniste delle glicoproteine IIb-IIIa o fibani e si preannunciano come essenziali negli interventi di angioplastica coronarica e posizionamento di "stent", vale a dire quando si tratta di prevenire le "ristenosi" che ancora oggi preoccupano il cardiochirurgo. I primi prototipi di questa nuova classe di farmaci sono, per ora, somministrabili per via endovenosa nell'ambito ospedaliero. Ora si tratta di ottenere delle formulazioni per via orale, più maneggevoli e utilizzabili in trattamenti prolungati (gli esperimenti sono già in corso per mettere a punto i dosaggi e gli effetti collaterali). Sino ad oggi sono conosciuti diversi antiaggreganti piastrinici (ticlopidina, dipiridamolo). Il più usato è l'acido acetil-salicilico (aspirina) il quale però crea, in alcuni casi, problemi di tolleranza gastrica, e inoltre ha un'attività limitata: agisce inibendo esclusivamente uno dei tanti mediatori dell'aggregazione piastrinica, il trombossano 2. Le prospettive della lotta all'aterotrombosi sono dunque promettenti sul piano farmacologico. Ma per vincere, sarà fondamentale la battaglia per ridurre i fattori di rischio che contribuiscono alla formazione della placca aterosclerotica (colesterolo, fumo di sigaretta, ipertensione, immunocomplessi, iperomocistinemia). Le piastrine infatti aderiscono in corrispondenza di ulcerazioni della placca. E' qui che si aggregano e facilitano la formazione del trombo, che restringe ulteriormente il lume vasale con tutti i guai che derivano. Renzo Pellati


IN BREVE Motore Zefiro test riuscito
ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
ORGANIZZAZIONI: FIATAVIO
LUOGHI: ITALIA

Al poligono dell'aeronautica militare di Salto di Quirra, in Sardegna, è stato provato con successo il propulsore spaziale Zefiro, realizzato da FiatAvio negli stabilimenti di Colleferro (Roma). Si tratta del propulsore progettato per il secondo stadio del razzo Vega, proposto dall'Agenzia spaziale italiana come capostipite di una nuova famiglia di lanciatori leggeri da sviluppare in sede europea sotto guida italiana.


SCIENZE FISICHE. NUOVE TECNOLOGIE Sull'auto guidata dal radar Più sicuri nella nebbia e nel traffico
Autore: RAVIZZA VITTORIO

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, TRASPORTI
ORGANIZZAZIONI: CNR, CENTRO RICERCHE FIAT, UDC, ATA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
TABELLE: D. Strada con trasporti integrati nell'ambiente

L'AUTO corre spedita in autostrada a 130 chilometri l'ora; davanti ha un pesante autocarro che arranca ai 50. La distanza tra i due veicoli sta rapidamente diminuendo ma il guidatore della vettura non rallenta, forse è distratto, forse non vede l'ostacolo perché c'è nebbia fitta. Il tamponamento sembra inevitabile. Ma un attimo prima che venga oltrepassata la distanza di sicurezza, il motore dell'auto rallenta, i freni entrano in funzione, la velocità decresce gradualmente e rapidamente fino a 50 chilometri l'ora e l'auto resta in coda all'autocarro fino a quando il guidatore non decide di sorpassare. Un'auto così, affidabile, che non si distrae, capace di "vedere" nella nebbia circola da qualche tempo a Torino. E', per ora, un "test bed", un veicolo sperimentale che, sotto le anonime sembianze di una "Bravo" o di una "K", nasconde capacità insolite. Al Centro Ricerche Fiat di Orbassano ci stanno lavorando da tempo nell'ambito di un progetto il cui obiettivo, come spiega con linguaggio tecnico Paola Carrea, è quello di "specificare, sviluppare e valutare l'integrazione delle strategie di ottimizzazione del flusso di traffico con l'assistenza al guidatore per il controllo longitudinale del veicolo". Il progetto, denominato "Urban Drive Control (UDC)", sviluppato dal Centro Ricerche Fiat e finanziato a livello sia nazionale (Cnr-Piano finalizzato del traffico) sia europeo (Telematics applications) è stato presentato al convegno "Infomobility 98", svoltosi a Roma al Cnr il 22 e 23 giugno a cura dell'Associazione tecnici dell'automobile (Ata). L'auto che abbiamo appena descritto è fornita di quello che viene definito un sistema di "cruise control adattativo". L'acceleratore e il freno sono controllati da una centralina elettronica; utlizzando un pulsante posto sul cruscotto il guidatore imposta la velocità voluta, da 30 a 150 chilometri (sotto i 30 chilometri all'ora il sistema, in questa modalità di impiego, non entra in funzione), che l'auto manterrà da sola, senza bisogno nè di accelerare nè di frenare. Un radar posto sotto il paraurti anteriore è in grado di rilevare ostacoli fino a una distanza di 160 metri, di valutarne la velocità, e di agire sul motore e sui freni. Questo sistema è ormai in uno stadio avanzato, tanto che si sta ormai lavorando alla sua standardizzazione. Ma altre funzioni, più complesse, sono in sperimentazione. Con la funzione "Stop and go" il sistema funziona per velocità da 0 a 70 chilometri l'ora, tipiche della marcia in città. I radar in questo caso sono tre radar laser di cui uno al centro del frontale, gli altri due ai lati, e sono in grado di rilevare ostacoli da 0 a 20 metri. Quando si procede in coda il sistema mantiene una distanza costante dal veicolo che sta davanti, si arresta quando questo si arresta e riparte quando questo riparte. Il vantaggio immediato per il guidatore è evidente: quello di avere un vigile coequipier che lo esime dalla noia e dalla fatica del viaggiare in colonna e che, soprattutto, non si distrae, come invece accade spesso in queste situazioni al guidatore umano con i conseguenti tamponamenti. Ma un vantaggio di ordine più generale si protrà ottenere quando un buon numero di veicoli, almeno il 20 per cento, sarà dotato del sistema: si eliminata quella che i tecnici del traffico chiamano " instabilità del plotone", fenomeno per cui una tranquilla frenata del guidatore che sta in testa si trasforma per quello che sta in coda in una frenata brusca (se non in un tamponamento). Quando molti veicoli saranno attrezzati, la marcia, sia in città sia in autostrada, potrà essere uniforme, con distanze costanti tra un veicolo e l'altro; quasi come i vagoni di un treno. "In questo modo - sottolinea l'ingegner Paola Carrea - si otterrà una ottimizzazione della portata delle strade e della autostrade" che saranno in grado di smaltire in sicurezza un maggior numero di veicoli. Terzo livello del progetto Udc: il telecontrollo. Le esperienze del Centro Ricerche Fiat si stanno svolgendo a Torino su corso Grosseto. Da poco, accanto ai semafori di questa ampia strada molto trafficata, sono comparse delle paline bianche; si tratta di " beacon", cioè di trasmittenti a microonde che inviano ai computer di bordo delle auto sperimentali una serie di dati utili a impostare una velocità di crociera che consenta di trovare sempre il verde. La sperimentazione si inserisce nel progetto europeo "5T" (Tecnologie Telematiche per i Trasporti e il Traffico a Torino) avviato dal Comune, progetto che si basa su una rete urbana di gestione del traffico con semafori intelligenti, pannelli segnaletici a messaggio variabile, trasmissione di informazioni di vario tipo, dalle condizioni meteo ai limiti di velocità, collegamento con autobus, tram, ambulanze. In questo caso l'auto, che alla partenza si collega con un satellite Gps per avere ora e posizione esatta, sfrutta contemporaneamente le tre funzioni e viaggia inserita in un flusso di input che arrivano dalla rete urbana. Oltre a Torino sono numerose, in Italia, le grandi città che, assillate dal traffico, guardano con interesse all'esperimento, che punta a ottenere più sicurezza, maggior velocità, minori consumi e minor inquinamento. E' evidente che, dati i grossi investimenti necessari nei centri urbani, l'introduzione del telecontrollo non è per domani. "Prevediamo che se ne possa parlare dopo il 2005", dicono i tecnici che ci stanno lavorando. Vittorio Ravizza




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