TUTTOSCIENZE 3 giugno 98


SCIENZE A SCUOLA. ESPERIMENTI IN CASA Come scoprire i tanti colori della luce Ecco perché il cielo può essere cangiante o la Luna apparire rossa
Autore: MAINA EZIO

ARGOMENTI: FISICA
LUOGHI: ITALIA

DOPO quello di tre settimane fa, ecco un altro esperimento " casalingo" che riguarda la luce. Occorrente: Una vaschetta trasparente, meglio se rettangolare, di plastica o vetro. Una sorgente luminosa che sia in grado di produrre un raggio luminoso piuttosto stretto: torce elettriche con la possibilità di focalizzare il raggio luminoso o un proiettore per diapositive. Per migliorare la qualità del raggio luminoso è possibile utilizzare una diapositiva completamente nera, non esposta, oppure un cartoncino fissato su un telaietto da diapositive. In entrambi i casi bisogna asportare con una taglierina una finestrella di un paio di millimetri di lato al centro della diapositiva. La diapositiva va inserita nel proiettore, non davanti alla lente. Si deve poi mettere a fuoco il proiettore in modo da ottenere un raggio ben definito. Qualche goccia di latte. Esecuzione. Per una buona riuscita di questo esperimento è necessario che l'ambiente sia in penombra. Riempite il contenitore di acqua. Accendete la sorgente luminosa e posizionatela in modo che il raggio di luce attraversi il liquido. Aggiungete, goccia a goccia, il latte. E' interessante osservare cosa avviene mentre si aumenta lentamente la quantità di latte dispersa nel contenitore. All'inizio, quando l'acqua è trasparente, il raggio luminoso è praticamente invisibile. Via via che si aggiunge latte e l'acqua diventa più opaca, il raggio di luce diventa più chiaramente definito. Infatti, un oggetto risulta visibile solamente se riflette parte della luce che lo colpisce in direzione del nostro occhio. Le molecole di acqua, come quelle dei gas che compongono l'aria e quelle di tutti i materiali trasparenti, riescono a deviare solo una parte minuscola della luce che li investe. Di conseguenza perché sia possibile vedere il percorso del raggio luminoso è necessaria la presenza di impurità come le molecole di latte oppure di piccoli granelli di polvere. Il fenomeno che ci interessa diventa facilmente visibile con due o tre cucchiaini di latte per litro d'acqua. Osservando attentamente il raggio luminoso si nota che cambia colore lungo il percorso. Mentre nel liquido vicino alla sorgente luminosa appare bianco, tendente al blu, il suo colore diventa progressivamente più giallo, poi arancione ed infine rossastro. Aumentando ancora la concentrazione di latte, si può notare che il colore cambia più rapidamente. Che cosa succede. La luce bianca emessa dal sole o dalle lampade di uso comune è la sovrapposizione di tutti i colori del visibile, dal rosso al violetto. Le onde elettromagnetiche corrispondenti ai diversi colori si differenziano soltanto per la diversa lunghezza d'onda, cioè la distanza fra due creste successive. Per avere un'idea delle grandezze tipiche di questi fenomeni ricordiamo che nello spazio di un metro la luce visibile ha fra 1,3 (rosso) e 2,6 (violetto) milioni di creste. Le molecole di gas che compongono l'atmosfera assorbono e riemettono la luce solare diffondendola in tutte le direzioni. La luce blu, che ha lunghezza d'onda più corta, viene diffusa molto più efficacemente della luce rossa. Il tipico colore del cielo durante il giorno deriva dal fatto che è principalmente la componente blu della luce solare a essere diffusa verso terra dall'atmosfera. Al tramonto e all'alba, quando il sole è basso sull'orizzonte, la luce che arriva direttamente ai nostri occhi dalla superficie solare, senza essere diffusa, deve attraversare l'atmosfera per una distanza maggiore rispetto alla parte centrale della giornata, quando il sole è alto nel cielo. La sua intensità diminuisce molto, tanto è vero che verso il tramonto è possibile fissare direttamente il disco solare. La componente blu viene quasi completamente diffusa dall'atmosfera e ai nostri occhi arriva solamente parte della componente arancione-rossa, che regala al tramonto le sue affascinanti colorazioni. Le zone del cielo lontane dal Sole continuano ad apparirci in tutte le sfumature del blu. I colori di albe e tramonti sono particolarmente vividi quando nell'aria è presente una quantità di polveri o di fumo superiore al normale, come succede in periodi di grande inquinamento atmosferico o, al contrario, alla fine di una giornata in cui il vento ha immesso molta polvere nell'atmosfera. Grandi incendi ed eruzioni vulcaniche possono produrre tramonti spettacolari anche molto lontano dal punto in cui avvengono. Lo stesso meccanismo che sta alla base del colore del cielo e dei suoi cambiamenti lungo l'arco della giornata spiega la tinta rossastra della luna quando è appena sopra l'orizzonte e la colorazione azzurrina del fumo di una sigaretta illuminato dal sole. Ezio Maina Università di Torino


IL SUPERTELESCOPIO EUROPEO Un cielo mai visto Prime eccezionali immagini del Vlt
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, TECNOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: VLT, ESO
LUOGHI: ITALIA

ECCO le prime immagini riprese dal nuovo telescopio europeo che sta sorgendo a Cerro Paranal, sulle Ande del Cile. Sono la Nebulosa Farfalla, la stella Eta Carinae, la galassia Centaurus A. Non le avevamo mai viste così bene. In tre fotografie c'è un riassunto di astrofisica. La Nebulosa Farfalla è ciò che resta di una stella collassata per vecchiaia. Eta della Carena è una la stella più massiccia che si conosca e presto si trasformerà in una supernova. Nel cuore della galassia Centaurus A stanno nascendo nuove stelle, ancora avvolte in un grembo di gas e polveri. Le immagini sono state presentate il 27 maggio in conferenze-stampa simultanee nelle capitali degli 8 Paesi che contribuiscono all'Osservatorio australe europeo (Italia, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Olanda, Svezia e Svizzera). Le ha prodotte il primo di 4 telescopi da 8,2 metri di diametro che potranno funzionare sia separatamente sia insieme. Nel 2001, quando i 4 strumenti saranno operativi, l'Europa avrà il telescopio più potente che sia mai stato puntato verso il cielo. Con una superficie di raccolta della luce di 211 metri quadrati, questo telescopio (Vlt, Very Large Telescope) batterà anche i due telescopi americani Keck da 10 metri ciascuno, 152 metri quadrati complessivi. Benché i tg Rai e Mediaset abbiano ignorato l'evento, non era mai successo, dal secolo scorso, che l'Europa conquistasse il primato del più potente strumento astronomico. Ora la grande occasione è venuta: potrebbero essere del Vecchio Continente gli astronomi che per primi arriveranno a vedere i confini del cosmo. Le grandi svolte nella nostra visione dell'universo sono sempre state legate a telescopi di nuova generazione. Negli Anni 20 il riflettore da 2,5 metri di Monte Wilson rivelò che la Via Lattea è soltanto una galassia tra le tante e che l'universo si espande. Il 22 dicembre 1947 il telescopio da 5 metri di Monte Palomar vide la sua "prima luce" e il 26 gennaio 1949 riprese la prima foto (la Nebulosa Cometa NGC 2261 intorno alla stella variabile R Monocerotis): a quel telescopio e ad altri venuti dopo, un po' più piccoli ma tecnologicamente più moderni, dobbiamo gran parte della cosmologia contemporanea. Negli Anni 90, infine, il telescopio spaziale "Hubble" ha segnato una nuova tappa. Il Vlt, pur trovandosi al suolo, avendo dimensioni incomparabilmente maggiori, non mancherà di svelare nuovi e per ora insospettabili panorami celesti. Basti dire che sarà in grado di esplorare un volume di spazio un milione di miliardi di volte più ampio di quello raggiungibile con i telescopi dell'inizio del '900. L'Italia contribuisce all'Eso con 28 miliardi all'anno (sugli 80 complessivamente destinati all'astronomia). Scienza a parte, dal punto di vista economico è notevole che gli investimenti siano tornati a casa maggiorati attraverso le commesse ad aziende italiane (tra le quali l'Ansaldo e la European Industrial Engineering di Venezia). Il Vlt potrà raggiungere la magnitudine 30, cioè vedere oggetti 4 miliardi di volte più deboli delle stelle che riusciamo a scorgere a occhio nudo, e distinguere punti separati da appena 4 decimillesimi di secondo d'arco (più o meno, un uomo sulla Luna]). Per utilizzare nel modo migliore queste potenzialità è necessario disporre di un telescopio di medie dimensioni ma a largo campo, con il quale individuare gli oggetti che verranno poi studiati con il Vlt. Proprio questo è lo strumento sul quale è impegnato l'Osservatorio di Capodimonte diretto da Massimo Capaccioli: il bell'Almanacco 1997-98 pubblicato dall'Istituto napoletano presenta il Vst (Vlt Survey Telescope), un telescopio da 2,5 metri con un campo di un grado e capace di raggiungere in mezz'ora oggetti di magnitudine 25 per secondo quadrato. Piero Bianucci


IN BREVE Le cicatrici convegno a Torino
ARGOMENTI: CONGRESSO
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)

Trent'anni fa sorgeva a Torino il Centro Ustionati, seguito, 15 anni fa, dalla Fondazione Piemontese per le ricerche sulle ustioni. In questo campo, di cui è stato pioniere in Italia Simone Teich Alasia, Torino è dunque una città simbolo, e per questo motivo qui si svolgerà da oggi al 5 giugno il 13o congresso nazionale della Società Italiana Ustioni. Tra le principali linee di ricerca sviluppate dalla Fondazione, il recupero della sensibilità nelle zone ustionate, il trapianto di pelle coltivata in laboratorio, le cicatrici deturpanti nella fase tardiva. Proprio la "cicatrice patologica" sarà il tema centrale dell'incontro torinese. Tel. 011-434.79.00.


SCIENZE DELLA VITA. RICERCA E POTERE Difficili rapporti tra scienza e media
AUTORE: SGARAMELLA VITTORIO
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, DIDATTICA
ORGANIZZAZIONI: NEW YORK TIMES, NATURA
LUOGHI: ITALIA

LA ricerca è vitale per il progresso della cultura, scientifica o umanistica che sia. Occorre quindi sforzarsi per ottimizzarla: ridisegnarne le politiche, le strategie e le tattiche; razionalizzarne le procedure di valutazione; rivederne i meccanismi di incentivazione e finanziamento. Riesaminiamo dunque alcune componenti della ricerca che la cultura occidentale ritiene più importanti. 1) La componente aristocratica, rappresentata dalla genialità dei singoli. E' un elemento innovatore, frutto d'impegno solitario e anticonformistico non sempre facile; questa componente ha caratterizzato gli inizi della ricerca moderna, all'origine svolta in sedi privilegiate (come le accademie). Oggi è meno visibile di ieri, ma non meno importante. 2) La componente democratica, rappresentata dal controllo collettivo sulle iniziative di ricerca. Questa componente ha acquistato peso solo da pochi anni, e non senza contrasti. E' però sempre più evidente che qualche controllo deve esserci, ma anche che deve essere esercitato con prudenza. Dovrebbe essere un diritto-dovere della collettività, da una parte finanziatrice della ricerca e dall'altra destinataria dei suoi benefici, oltre che dei suoi misfatti o omissioni. Ma non può nè deve essere un'avocazione di scelte strategiche nè validazione di risultati. 3) Le componenti di tipo oligarchico. Una potrebbe essere rappresentata dai potentati finanziari e industriali, i soli in grado di mobilitare sia i capitali richiesti dai moderni progetti di ricerca, sia gli strumenti per la loro promozione e diffusione. Queste spesso vanno oltre i limiti pur elastici della tradizionale pubblicità e arrivano ad usare i mass media in operazioni ambigue se non scorrette. Oggi i media costituiscono di per sè una componente oligarchica: idealmente strumento della componente democratica, spesso prestano più attenzione agli interessi dell'oligarchia economico-industriale. Il caso della clonazione di Dolly ne ha fornito una solida evidenza: nella promozione di questa loro scoperta, gli autori hanno messo un forte impegno nel pianificare il coinvolgimento dei media. Qualche osservatore lo ha ritenuto addirittura superiore all'impegno profuso nella parte propriamente scientifica del loro lavoro. Con il risultato che per mesi il battage ha distratto la comunità scientifica dall'esame critico della sconcertante debolezza della seconda: ad una lettura accurata, il lavoro originale su Dolly rivela infatti errori e omissioni, come riconosciuto dagli stessi ricercatori; ma solo dopo che lo scetticismo era diventato esplicito: il numero di Science della fine di gennaio lo documenta. L'opinione pubblica resta in attesa di conferme annunciate come imminenti dagli stessi clonatori di Dolly e da altri gruppi. Ma soprattutto è sconcertata dalla leggerezza con la quale un quotato gruppo di ricerca, un autorevole giornale scientifico quale Nature, comitati di bioetica, commissioni di affermati ricercatori americani e inglesi e quotidiani autorevoli abbiano accettato per buoni (Scien ce aveva eletto la clonazione " scoperta del '97"), risultati che gli stessi autori hanno poi ritenuto bisognosi di conferme indipendenti (che a mesi di distanza ancora mancano). Non dissimile è stato il ruolo dei media nella recente scoperta delle proteine anticancro angiostatina e endostatina, presentate come efficaci nel determinare la regressione di tumori indotti nel topo mediante iniezione sotto cute di cellule tumorali. Un annuncio poco giustificato dall'andamento delle ricerche, ma esaltato dall'autorevole New York Times. L'esplicito sostegno di un premio Nobel a suo tempo coinvolto in operazioni finanziarie giudicate incompatibili con la sua posizione di direttore del Progetto Genoma Umano Usa, al punto da costringerlo alle dimissioni; la promozione di un libro sullo scienziato protagonista di queste scoperte, scritto dalla stessa giornalista autrice dello scoop (a suo tempo autrice di articoli a favore della clonazione umana e di un libro su Dolly); commenti autorevoli ma poco critici di esperti ansiosi di balzare sul carro dell'angiogenesi: questi sono stati alcuni degli ingredienti che hanno quadruplicato in brevissimo tempo le quotazioni di un'azienda biotecnologica, con forti miglioramenti del portafoglio azionario di alcuni speculatori. In effetti di recente si è diffusa una nuova tendenza, nata da un rapporto privilegiato tra le più prestigiose riviste scientifiche e i media a diffusione planetaria. Le prime segnalano ai secondi gli articoli ritenuti più significativi, e i secondi li divulgano con grande rilievo ma spesso con scarsa competenza: oggi per un ricercatore è diventato più importante comparire in prima pagina sul New York Times che su Nature. Si stabilisce così un pericoloso corto-circuito tra centri della ricerca e palazzi del potere. L'intero processo della ricerca ne risulta distorto. In relazione al ruolo oligarchico dei media nei confronti d'una scienza spesso ritenuta oscura e altezzosa, una recente inchiesta condotta negli Stati Uniti (Science, 27 marzo '98) rivela la reciproca sfiducia di oltre 1400 operatori d'entrambi i settori. Sfiducia che non può non trasmettersi al pubblico, privando la scienza del suo indispensabile sostegno democratico. Vittorio Sgaramella Università di Pavia


IN BREVE Associazione malati di porfiria
LUOGHI: ITALIA

E' nata l'Associazione Malati di porfiria, rara malattia ereditaria. Sede a Roma, via San Gallicano 25/a. Tel. 06-58.54.3734.


SCIENZE FISICHE. IN AUSTRALIA E CALIFORNIA Grandi onde artificiali per gli amanti del surf
Autore: MORETTI MARCO

ARGOMENTI: SPORT, TECNOLOGIA
NOMI: BLACK KERRY
LUOGHI: ESTERO, OCEANIA, AUSTRALIA

IL surf è nato alle isole Hawaii, dove i polinesiani cavalcavano le onde in equilibrio su leggere tavole di legno lunghe fino a cinque metri, come riportò già il capitano James Cook nel suo diario di bordo. E proprio a Honolulu, negli Anni Sessanta, Kimo Walker della University of Hawaii iniziò la ricerca per creare onde artificiali adatte a "performance" con il surf. Perché una delle caratteristiche di questo sport è l'imprevedibilità: potenza, lunghezza e altezza di onde e maree subiscono milioni di varianti. I grandi campioni trascorrono il loro tempo vagando fra le spiagge del Pacifico, fissando il mare, studiando le maree regolate da cicli lunari, cercando di catturare il frangersi dei cavalloni più lunghi. Per restare sulla cresta dell'onda si fondono con il mare, indagano la potenza e la direzione dei venti e delle maree, seguono le previsioni meteorologiche. Affrontano situazioni sempre nuove, perché l'oceano è una fonte inesauribile di possibilità. Nell'arte di cavalcare i frangenti nulla viene dato per scontato, nonostante l'utilità dell'osservazione, niente è garantito, nemmeno ai campioni. D'altra parte, l'onda che si spezza vicino alla riva nasce a migliaia di chilometri di distanza: è impossibile interpretarla con esattezza. Dopo vent'anni di ricerche la soluzione per creare "palestre marine" adatte agli amanti del surf è venuta da un altro angolo del Pacifico. Kerry Black, del National Institute of Water and Atmospheric Research della Waikato University di Hamilton in Nuova Zelanda, ha osservato il frangersi delle onde nei più famosi luoghi oceanici in cui si pratica questo sport. Ha controllato i fondali che fornivano le onde più lunghe in Australia, Nuova Zelanda, Bali, Hawaii, Tahiti, California e Brasile. Verificato che - in teoria - l'onda si spezza a un'altezza di otto decimi superiore alla profondità dell'acqua; che l'onda migliore per il surf è quella con il pelo dell'acqua inclinato tra i 20 e i 65 gradi; e che a onde deboli si alternano cavalloni forti in un crescendo di altezza e ripidezza fino a formare i tubi d'acqua tanto amati dai surfisti, Kerry Black ha messo a punto il progetto per la fabbricazione di spiagge artificiali dove praticare il surf. Individuati i tre luoghi adatti, due in Australia e un terzo in California, sono iniziati i lavori. Ammucchiando migliaia di sacchetti di sabbia pochi metri sotto la superficie dell'oceano, è stato creato un reef - una sorta di scogliera capace di creare onde lunghe fino a 300 metri. Secondo gli scienziati neozelandesi, questo fondo artificiale permetterà loro di governare la velocità e l'intensità dei frangenti. La verifica avverrà alla fine di quest'anno con l'entrata in funzione della prima "palestra" per surfisti sulla Gold Coast australiana in una città chiamata, non a caso, Surfers Paradise. Marco Moretti


EUROPA-USA Una sfida per capire l'universo
Autore: MIGNANI ROBERTO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, TECNOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: VLT, ESO
LUOGHI: ITALIA

DUNQUE il gigante ha aperto gli occhi. Anzi, il primo occhio, perché di occhi ne ha ben quattro. Il gigante di cui stiamo parlando sarà presto il telescopio più grande del mondo: è il Very Large Telescope (Vlt): una batteria di 4 telescopi gemelli dal diametro di 8,2 metri ciascuno che l'Eso, l'Osservatorio australe europeo, ha realizzato in un decennio di lavoro. Qui accanto trovate le prime immagini ottenute. Il Vlt sorge a 2500 metri in cima al Cerro Paranal, nel deserto di Atacama, 1000 chilometri a Nord di Santiago del Cile, luogo sperduto e inospitale, ma prescelto dall'Eso per la sua elevatissima percentuale di notti serene, per la scarsità di precipitazioni e per la purezza della sua atmosfera. Presi singolarmente, i quattro telescopi sono di dimensioni eccezionali: sono superati solamente dai telescopi gemelli statunitensi Keck I e II, situati sul vulcano Mauna Kea nelle Hawaii, che hanno un diametro di 10 metri. Tuttavia, grazie ai ritrovati della tecnologia ottica sviluppata nell'ultimo decennio, i 4 telescopi del Vlt potranno lavorare in sincronia, osservando simultaneamente la stessa regione di cielo. In questo modo, il loro rendimento complessivo equivarrà a quello di un unico enorme telescopio da 16 metri, una volta e mezzo più grande dei rivali Keck. Il nuovo gioiello di tecnologia, una pietra miliare nella storia dei telescopi, permetterà all'Europa di mantenere per lungo tempo il primato nell'astronomia ottica dal suolo. In questo progetto va ricordato il grande contributo dato dall'Italia sia in uomini (tra tutti il direttore dell'Eso, Riccardo Giacconi, il coordinatore del progetto Massimo Tarenghi, Marco Quattri e Stefano Stanghellini, responsabili della parte meccanica) sia in tecnologia. Lo "scheletro" dei quattro telescopi di Vlt, infatti, è stato realizzato dall'Ansaldo e assemblato a Milano. Come dicevamo, la notte del 25 maggio, il Vlt ha aperto per la prima volta verso il cielo uno dei suoi occhi. Fuori di metafora, il primo telescopio della batteria (UT1) ha compiuto la sua prima osservazione reale del cielo o, come si dice nel gergo degli astronomi, ha visto la sua " prima luce". L'eccitazione ha raggiunto l'apice quando, la notte del 25 maggio, subito dopo l'osservazione, i primi dati hanno iniziato ad arrivare a Garching direttamente dal Cile via Internet. Un team di astronomi si è messo all'opera per ridurre i dati e per preparare le immagini destinate a fare il giro del mondo. I risultati sono stati presentati mercoledì scorso a giornali e tv in conferenze stampa contemporanee presso le capitali degli Stati membri dell'Eso. Ovviamente, l'inaugurazione di UT1 segna solo l'inizio del progetto Vlt. Anzi, per dirla con le storiche parole di Winston Churchill, "è la fine dell'inizio". I restanti tre telescopi gemelli vedranno la loro prima luce ciascuno a distanza di un anno partendo da UT2 (nel 1999) via via fino a UT4 nel 2001, quando il Vlt diventerà pienamente operativo. Gli obiettivi che si potranno realizzare con un telescopio di tali dimensioni vanno dallo studio delle galassie primordiali, distanti miliardi di anni luce e, quindi, incredibilmente deboli, alla ricerca di pianeti extrasolari. In agosto le potenzialità del Vlt verrano messe alla prova con una serie di osservazioni "limite" coordinate dai responsabili scientifici dell'Eso guidati da un altro italiano, l'astronomo bolognese Alvio Renzini. Cosa aspettarsi per il futuro dell'astronomia ottica da Terra? Sicuramente, non è prevista la costruzione di un "gemello" del Vlt, magari nell'emisfero Nord, nè da parte dell'Eso, nè da parte di altri paesi come Stati Uniti o Giappone, pure impegnati nella realizzazione di altri grandi telescopi. Ma, come conferma lo stesso direttore Riccardo Giacconi, nuovi progetti sono già allo studio e riguardano la realizzazione di supertelescopi dal diametro di 50 o 100 metri, quindi con una capacità di raccolta di luce da 40 a 150 volte maggiore di quella di un singolo telescopio del Vlt. Questi giganti potrebbero vedere la luce dopo il 2020, in tempo per raccogliere l'eredità del Vlt. Roberto Mignani Osservatorio australe europeo


SCIENZE A SCUOLA. PINO TORINESE Il corso per studenti astronomi
ORGANIZZAZIONI: OSSERVATORIO ASTRONOMICO
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, PINO TORINESE (TO)

SI avvicina l'inizio del primo corso di astronomia organizzato all'Osservatorio di Pino Torinese per i primi 20 studenti dei 40 che con i loro "temi" inviati alla redazione di "Tuttoscienze" hanno vinto le selezioni. Il secondo corso si terrà a fine agosto-inizio di settembre. Durante le esercitazioni gli studenti potranno utilizzare alcuni telescopi e strumenti dell'Osservatorio sotto la guida esperta di docenti universitari, astronomi e tecnici. Il piano di questa vacanza di studio è ormai definito. Eccone le linee generali. Le lezioni teoriche riguarderanno: 1) come orientarsi in cielo (le coordinate celesti, sorgere e tramontare degli astri, le costellazioni); 2) i dati astronomici dalle osservazioni all'analisi; 3) la misura del tempo e le distanze delle stelle; 4) il sistema solare, con particolare attenzione agli asteroidi; 5) il Sole; 6) fisica ed evoluzione delle stelle; 7) galassie e quasar; 8) cosmologia; 9) come si progetta un sistema spaziale. Le lezioni pratiche riguarderanno innanzi tutto l'osservazione del cielo ad occhio nudo per imparare a riconoscere le costellazioni principali e per rendersi conto di come cambino gli astri sull'orizzonte con il variare delle stagioni. Si passerà poi alle nozioni di base sul funzionamento dei telescopi e sulla tecnica della fotografia astronomica, anche con i sensori elettronici (Ccd). Le osservazioni inizieranno con la ricerca di un asteroide o di una cometa per mezzo di un telescopio. Seguirà l'osservazione delle varie caratteristiche spettrali delle stelle. Con un telescopio si osserveranno alcune stelle doppie, con componenti più o meno difficilmente separabili. Si passerà poi alla determinazione della curva di luce di un oggetto dalla luminosità variabile e alla determinazione delle coordinate dell'Osservatorio con un teodolite. Si parlerà anche di osservazioni nei raggi X e si farà la simulazione al computer di un viaggio intorno a un buco nero. I docenti saranno, oltre al direttore dell'Osservatorio Attilio Ferrari, Gianluigi Bodo, Maurizio Busso, Roberto Casalegno, Alberto Cora, Mario Di Martino, Walter Ferreri, Mario Lattanzi, Silvano Massaglia, Marina Orio, Renato Pannunzio, Massimo Robberto, Paola Rossi, Paolo Tanga; interverranno anche Giorgio Palumbo dell'Università di Bologna e Franco Bevilacqua di Alenia Aerospazio. Sostengono questa iniziativa culturale la Regione Piemonte, il Comune di Pino Torinese, il Comune di Torino, la Fondazione Crt, la rivista "Nuovo Orione", Miotti Strumenti per l'astronomia, Abit, Alenia Divisione Spazio. Quest'ultima sarà meta di una visita guidata: buona parte dell'astronomia moderna, infatti, è frutto di imprese spaziali che hanno permesso di osservare l'universo, dal sistema solare alle galassie più lontane, per mezzo di sonde e di satelliti scientifici.


IN BREVE Nuovo tipo di parafulmine
ARGOMENTI: TECNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

Come difendersi dai fulmini? La risposta più recente dice che è meglio neutralizzarli che attirarli, come di solito si faceva con i parafulmini derivanti dagli esperimenti settecenteschi di Beniamino Franklin. Il nuovo dispositivo, brevettato dalla Ispe di Varese, si chiama Lpd (Lightning prevention device): in esso un varistore mantiene sempre elettricamente scarica la struttura da proteggere.


SCIENZE FISICHE. NUOVA TEORIA I batteri originano le nuvole?
Autore: BOZZI MARIA LUISA

ARGOMENTI: BIOLOGIA
NOMI: HAMILTON WILLIAM
LUOGHI: ITALIA

CHI non ha mai dedicato un attimo a guardare le nuvole, fantasticando sulla loro forma e natura? Una recentissima ipotesi suggerisce un'interpretazione che va oltre qualsiasi fantasia: le nuvole sarebbero il mezzo di trasporto aereo di milioni di microscopiche creature, alghe unicellulari marine e batteri, che vi salirebbero sopra per migrare in cerca di fortuna. Poiché le nuvole non sono sempre disponibili, se le fabbricano da sè e decollano, soprattutto dagli oceani, ma anche dagli alberi. Formate le nuvole, iniziano il trasferimento ad altri lidi dove approdano con la pioggia, la neve o la grandine. Tutte le fasi del viaggio, dal decollo all'atterraggio, sarebbero sotto il controllo dei passeggeri: ecco quanto William D. Hamilton, biologo evoluzionista dell'Università di Oxford, e Tim Lenton, studioso di scienze ambientali dell'Università di East Anglia, Norwich, hanno scritto in "Ethology, Ecology and Evolution", la rivista scientifica del Dipartimento di biologia animale di Firenze. Secondo l'ipotesi di Hamilton e Lenton è per questo che alcuni batteri e alghe unicellulari avrebbero evoluto la capacità di creare il vento e condensare le nuvole: per espatriare, senz'altro fine che il loro proprio uso e consumo. Il fenomeno è stato descritto per le zone tropicali, dove numerosissimi esami diretti dimostrano che negli strati di aria immediatamente sopra l'acqua dell'oceano si trova un numero altissimo degli stessi microorganismi, batteri e alghe unicellulari, che vivono nel mare sottostante; e organismi microscopici si trovano anche nelle nuvole e ancora più su, perfino a 50 km di altezza, lo attestano le spore rinvenute sui missili. Come arrivano lassù? Per i microorganismi marini la parte più difficile è il decollo. Per sfuggire alla forza di coesione delle molecole d'acqua non hanno altro che entrare in una delle infinite goccioline degli spruzzi che si formano quando un'onda si rompe. Occorre un vento di 20 chilometri all'ora per creare il moto ondoso. Immaginate sulla superficie di un mare tropicale un velo di alghe unicellulari, un clone di migliaia di individui, che nelle ore più calde assorbe la luce solare, riscalda l'acqua e per irraggiamento gli strati di aria soprastanti. Piccole differenze di pressione innescano una minicircolazione di correnti verticali: nasce un vento locale che via via increspa la superficie, crea una turbolenza nell'acqua con bolle che salgono trascinando vita microscopica, e quando le bolle in superficie si rompono nella schiuma, minutissime gocce piene di microorganismi vengono spruzzate nell'aria, catturate dalle correnti ascensionali e portate in alto nella troposfera. Un gas, il dimetilsolfito, incrementa il sistema delle correnti ascensionali. Molte alghe lo emettono in grandi quantità. La formazione di una nuvola richiede la presenza di particolari molecole, nuclei di condensazione intorno ai quali il vapore passa alla fase liquida. Ebbene, il dimetilsolfito prodotto dalle alghe è il precursore di un nucleo di condensazione, lo ione solfato. A mano a mano che il vapore condensa in goccioline di acqua rilascia calore, che potenzia le correnti richiamando aria dal basso. Un clone di alghe in una giornata di sole sarebbe un grado di innescare in poche ore tutto il processo, dalle correnti ascensionali, al vento, alle nuvole. Se per le alghe, che sono i passeggeri più grossi, la parte problematica del viaggio è il decollo, per i batteri, molto più piccoli e leggeri, è invece la discesa. La permanenza nell'atmosfera non può durare a lungo, perché i raggi ultravioletti alterano gli acidi nucleici, Rns e Dna, sede del materiale genetico. Qual è il modo più semplice per scendere da una nuvola? La pioggia, naturalmente. Fabbricare la pioggia non è semplice, ma questi batteri hanno quello che ci vuole: particolari proteine sulla membrana cellulare che agiscono come nuclei di formazione dei cristalli di ghiaccio indispensabili per formare le gocce di pioggia. Mentre insospettati orizzonti si aprono nel campo della meteorologia, d'ora in poi se piove o tira vento saprete con chi prendervela. Altri particolari su Internet (http://www.unifi. it/unifi/dbag/ eee/). Maria Luisa Bozzi


SCIENZE FISICHE. SOFTWARE Ottomila dotte citazioni a portata di computer
Autore: A_CON

ARGOMENTI: INFORMATICA, ELETTRONICA
ORGANIZZAZIONI: IPSE DIXIT
LUOGHI: ITALIA

C'E' sempre una frase capace di sintetizzare un concetto, di sottolineare una situazione o un evento. Frasi spesso già scritte o dette da altri, che al momento buono però ci sfuggono, che è difficile ritrovare nella mente. "Ipse Dixit" è un software che rimedia a questo problema: contiene infatti una completa raccolta di citazioni, aforismi, motti, proverbi e frasi celebri. Le citazioni selezionate e raccolte sono circa ottomila. A facilitare la ricerca, l'indice è organizzato per autore, argomento e parole. La vera caratteristica innovativa di "Ipse Dixit" (e il suo fondamentale vantaggio rispetto ai libri di citazioni) sta nell'immediatezza d'utilizzo e nella potenza della ricerca. Il programma può essere tranquillamente tenuto aperto mentre si scrive con il proprio elaboratore di testi per ottenere in un attimo l'ispirazione, il suggerimento o lo spunto più adatto per continuare la stesura di un testo. Usare il programma (che si accontenta di un processore 386, con Windows 3.1 o 95, 4 mega di Ram e 4 mega di spazio libero sull'hard disk) è davvero elementare: basta scegliere il metodo di accesso preferito e scorrere la lista che compare nella parte sinistra della finestra. Un comodo cursore permette di posizionare la lista sulla lettera iniziale della voce da cercare, lista che può poi essere scorsa per trovare la giusta citazione. L'interfaccia del programma è intuitivo, semplice da usare prima ancora che da spiegare: c'è anche una pulsantiera sotto la sbarra dei menù, che permette di compiere tutte le operazioni cliccando col mouse. Oltre alla ricerca per argomento o autore, è anche possibile risalire ad una citazione in base ad una o più parole contenute in essa. Ad esempio è possibile trovare tutte le citazioni di Dante in cui si parla di donna (o donne): sarà sufficiente digitare Dante & donna. Scorrere "Ipse Dixit" è infine divertente. Può stupire che Socrate affermasse che "Un uomo troppo onesto non può essere un politico", e fa sorridere la battuta di Walter Matthau: "Il mio dottore mi diede sei mesi di vita ma, quando non potei pagare il conto, me ne diede altri sei". Le altre ottomila citazioni, ve lo assicuriamo, non sono da meno. (a. con.)


IN BREVE Il sogno 100 anni dopo Sigmund Freud
ARGOMENTI: PSICOLOGIA
NOMI: FREUD SIGMUND
LUOGHI: ITALIA

E' trascorso un secolo dal tempo in cui Sigmund Freud scrisse " L'interpretazione dei sogni", testo fondamentale della psicoanalisi pubblicato e distribuito due anni dopo, nel 1900, in appena 600 copie (di cui 400 rimasero invendute). Da questo anniversario prende lo spunto la Società psicoanalitica italiana nell'organizzare a Roma, dall'11 al 14 giugno, il suo undicesimo congresso nazionale. Segreteria organizzativa: 06- 862.000.40.


SCIENZE DELLA VITA. STRATEGIE DI SOPRAVVIVENZA Nell'inferno del deserto Adattamento ed evoluzione di piante e animali
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ECOLOGIA, ETOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Animali del deserto

NELL'INFERNO del deserto, la parola d'ordine è una sola: adattarsi o morire. E l'adattamento ha richiesto milioni di anni di evoluzione. Sono riuscite a passare indenni attraverso il filtro della selezione naturale soltanto le specie animali che hanno saputo imbroccare la strada giusta, che sono riuscite a escogitare i trucchi più efficaci. Non si può dire certo che il deserto sia un habitat brulicante di vita, soprattutto se lo si attraversa nelle ore più calde del giorno. Però, appena tramonta il sole, ecco che sbuca fuori un numero incredibile di animali, in prevalenza di dimensioni modeste. Sembra infatti che una delle carte vincenti in quell'habitat ostile sia la piccolezza. Essere piccoli significa non aver bisogno nè di troppa acqua nè di troppo cibo. Significa trovare più facilmente un buchetto dove ripararsi dai raggi cocenti del sole. Sono insetti, ragni, scorpioni, lucertole, serpenti, piccoli mammiferi. Anche sauri formato mignon come i geconidi del genere Saurodactylus lunghi appena quattro centimetri, due e mezzo dei quali spettano alla coda. E mammiferi minuscoli come i topi-canguro del genere Dipodomys. O come le volpi pigmee o volpi dalle grandi orecchie (Vulpes velox e Vulpes macrotis) dei deserti sudoccidentali americani. Ma soprattutto i rettili si adattano al deserto in maniera stupefacente. Le lucertole del genere Acanthodactylus hanno nelle dita delle zampe posteriori una larga carena di squame che ne aumenta notevolmente la superficie. E con quella specie di pattini scivolano fulminee sulla sabbia. La vipera di Mac Mahon (Eristicophis macmahoni), che vive nei deserti del Pakistan e dell'Afghanistan, porta ai lati del capo due larghe squame a forma di ali che le servono da pale per rimuovere la sabbia. Ci sono poi i "pesci di sabbia" che non sono affatto pesci, bensì rettili del genere Scincus. Si chiamano così perché sembra che nuotino nella sabbia come pesci. Hanno la palpebra inferiore e l'apertura auricolare ricoperte da robuste squame che proteggono occhi e orecchie. A un espediente analogo ricorre l'agama del deserto (Agama mutabilis). I suoi occhi sono protetti da squame allungate come ciglia che sbarrano l'ingresso ai granelli di sabbia. Per serpenti e lucertole il problema dell'approvvigionamento idrico non si pone. Questi rettili l'acqua se la procurano bevendo il sangue delle prede. Le lucertole mangiano sprattutto insetti, i serpenti hanno un menu più variato insetti, lucertole, piccoli uccelli, roditori. Ci sono poi i rettili a dieta mista, animale e vegetale. Come l'uromastice (Uromastix acanthinurus) che oltre a ragni e insetti, mangia volentieri anche piante succulente come le cactacee. Ma l'acqua è un po' come il denaro. Non basta procurarselo. Bisogna anche saperlo amministrare. E' quello che fanno in genere tutti gli animali del deserto che hanno escrezioni poverissime di acqua ma ricche di acido urico e di guanina, e un tegumento di notevole spessore che elimina o riduce ogni forma di traspirazione. I rettili sono animali a sangue freddo. Ma quando una lucertola si crogiola al sole, la temperatura del suo sangue sale e il suo metabolismo si fa più attivo. Se però la temperatura supera un valore limite (che differisce da specie a specie) allora la lucertola è costretta a rifugiarsi in una fenditura della roccia o in una tana sotterranea. Al tramonto, quando la sabbia, che è cattiva conduttrice del calore, si raffredda anche il corpo del rettile diventa freddo. Insomma, come gli anfibi e i pesci, anche i discendenti dei dinosauri non sono capaci di mantenere costante la temperatura del corpo. Cosa che invece sanno fare egregiamente uccelli e mammiferi. C'è anche chi sa dosare con grande abilità la quantità di calore che assorbe. Prendiamo ad esempio l'uromastice, la lucertola del deserto che gli arabi chiamano "Dab". Al mattino, quando il sole è ancora debole, il suo dorso, di un bruno scurissimo, assorbe maggior quantità di calore e l'animale si dispone perpendicolarmente ai raggi solari. Più tardi, quando l'insolazione aumenta, l'uromastice cambia colore e posizione. La livrea si fa più chiara in modo da assorbire meno calore. Ma quando la temperatura supera i 40/42 gradi, anche il sauro non ce la fa più e deve rifugiarsi all'ombra, pena la morte. Generalmente gli abitanti del deserto hanno lo stesso colore della sabbia o delle rocce, cosa che li rende quasi invisibili. Ma l'Agama mutabilis non viene meno alla tradizione di famiglia che è quella di cambiare colore quasi come i camaleonti. Durante l'epoca degli amori, il giallo sbiadito della livrea maschile acquista luminose sfumature azzurre. Servono a segnalare alla femmina che è giunta l'ora delle nozze. Se c'è un predatore in vista, gli animali che vivono nei deserti generalmente non fuggono. Preferiscono interrarsi. Si mettono a scavare una cunetta con rapidità impressionante e vi si infilano a tempo di record. Maestra in quest'arte è la vipera cornuta (Cerastes cerastes), così chiamata per via dei due cornetti che le spuntano sopra gli occhi. La sua tecnica di scavo è singolare. Se c'è un pericolo in vista, l'animale si adagia, rimane per un attimo immobile, poi con estrema rapidità si mette a girare all'impazzata, incominciando dalla coda che fa da pala. E in men che non si dica sprofonda nella sabbia. Dell'animale interrato affiorano solo gli occhi e i cornetti. Ma c'è un nemico implacabile da cui gli abitanti del deserto non riescono a difendersi. E' il predatore uomo, che dà la caccia soprattutto all'uromastice. Il rettile si difende come può, dando scudisciate a destra a sinistra con la coda ricoperta da scaglie spinose. Ma è proprio quella la parte che interessa il cacciatore per la sua morbida carne dal sapore di pollo. Isabella Lattes Coifmann


IN BREVE Meridiane da scoprire
ARGOMENTI: METROLOGIA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, MANTA (CN)

Si è conclusa a Manta la bella mostra di meridiane "Il tempo silenzioso" curata da Gian Carlo Rigassio, collezionista di meridiane e autore di splendidi libri su questo tema. La mostra riaprirà il 25 settembre a Casalzuigno (Varese) a Villa della Porta Bozzolo.


IN BREVE Progetto Rotary "Adotta un bacino"
ARGOMENTI: ECOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

E' diventato operativo un progetto di tutela ambientale e di protezione civile che consente un monitoraggio delle acque dei torrenti nella provincia diTorino tramite un programma specificatamente realizzato dalla Scuola di Applicazione con il sostegno dei Rotary Club di Chivasso, Chieri, Ciriè, Cuorgnè, Giaveno, Ivrea, Moncalieri, Settimo, Susa e Valle Mosso. Tra i bacini che rientrano nel progetto, quelli di Orco, Malone, Dora Baltea, Trivero- Ponzone, Strona e Sessera.


SCIENZE A SCUOLA. LE PIUME DEGLI UCCELLI Leggere e bellissime Servono anche per comunicare
Autore: GROMIS DI TRANA CATERINA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Penne e piume

LE penne e le piume degli uccelli ci appaiono come un miracolo di bellezza: di qui gli ornamenti degli indiani, i cappelli dei moschettieri, i copricapi ornati di penne delle antiche dame. Cento penne scandiscono la marcia dei bersaglieri; la penna nera dell'aquila è la bandiera degli alpini. Penne e piume nelle canzoni, negli inni, nelle opere liriche, nelle poesie, nell'arte. Per gli uccelli sono segnali, quindi hanno funzione comunicativa; si sono evolute proprio per questo, per comunicare, compagne del canto, e se sono attraenti per noi, per una sorta di convergenza evolutiva, tanto di più lo devono essere per i loro possessori, specie per specie. Se noi rimaniamo abbagliati davanti a un maschio di pavone che fa la ruota, chissà come deve esserne rapita la sua compagna, ipnotizzata da tutti quegli occhi e occhi e occhi che si dipartono sfolgoranti dal centro della ruota dove ci sono quelli veri. Per molti uccelli penne e piume hanno uno scopo fondamentale nel corteggiamento e nelle parate nuziali, quando il maschio si presenta alla femmina con una livrea di gala, pavoneggiandosi all'inverosimile. L'incanto è lo stesso per ogni tipo di piumaggio, sgargiante o mimetico, disposto a pennellate multicolori o a sfumature color bosco, così morbido e leggero da far cadere in estasi la corteggiata, che sceglie il più bello tra i suoi vanitosi spasimanti. Le penne sono meraviglie dell'ingegneria naturale che, con un disegno intricato di barbe e barbule ha reso rigida e nello stesso tempo flessibile una primigenia squama di rettile diventata leggera e capace di volare, e il loro fascino è anche nel mistero che ne circonda l'origine. C'è una frase scritta da Giorgio Celli a proposito di misteri: "E mentre per lo scienziato i fenomeni devono servire ad espugnare il mistero, per il mistico devono, al contrario, testimoniare per esso". Qui il "mistero" è stato espugnato dall'Archaeopteryx lithographica (= "antiche ali scritte sulla roccia"), l'"Adamo", fossile di 140 milioni di anni, mezzo rettile e mezzo uccello, con una caratteristica che lo distingue dai rettili volanti suoi contemporanei: era completamente rivestito da penne. E prima di lui? Solo squame. Qui il mistero non è stato espugnato, pochissime sono le tracce di quello che c'è stato in mezzo, nessuna prova. Così, se gli scienziati non vogliono diventare dei mistici, devono azzardare ipotesi. Non ci sono ragionevoli dubbi sull'origine degli uccelli dai rettili, probabilmente piccoli dinosauri carnivori forse già almeno in parte pennuti, ma il tempo ha fatto giustizia dei resti delle piume, strutture di cheratina come le squame, le unghie, i peli, difficili da conservare. Di recente la Cina ha regalato alla conoscenza due rettili fossili rivestiti di una sorta di piumaggio, ma a che cosa queste penne servissero non si sa. Affascinante è l'idea che si siano originate dalle squame non per volare ma per mantenere costante la temperatura corporea, funzione che peraltro continuano a svolgere (arruffare le penne serve per trattenere uno strato protettivo d'aria attorno al corpo). Con lo scopo primario della termoregolazione si spiegherebbero i passaggi intermedi: le zone rivestite da queste squame modificate, approfondate da una parte e sfrangiate dall'altra, divennero sempre più ampie, fino a rivestire tutto il corpo e permettere al primo pennuto di accorgersi per caso che sì, tenevano caldo, ma sembravano fatte apposta per spiccare il volo. E se invece l'idea della termoregolazione come scopo primario non fosse altro che una fantasticheria? Il clima di quei tempi era davvero tale da rendere necessario trovare il modo di stare al caldo? Perché invece non spiegare il passaggio da squame e penne come conseguenza del volo planato dei rettili precursori dei pennuti? Quando si impara a volare, sia pure solo planando o saltellando sempre più in alto a caccia di insetti, è ovvio che poi si vada avanti e che venga il desiderio di librarsi, e di piroettare, e di giocare con le correnti e di arrivare fino al limite di stallo. E allora da una squama un po' sfrangiata, solo un piumino, possono essersi specializzate le penne delle ali con le loro forme che nei diversi uccelli servono per il volo battuto o per quello planato, oppure con la superficie superiore morbida e lanosa per attutire il fruscio dell'aria nel volo silenzioso dei rapaci notturni; e le timoniere della coda e tutte le altre, un insieme perfetto per diventare conquistatori dell'aria. Il Museo di Storia Naturale di Carmagnola quest'anno ha organizzato una mostra su penne e piume: il protagonista, che ha raccolto e ordinato con infinita pazienza questa affascinante collezione, si chiama Renzo Ribetto e fa il guardiaparco alla Rocca di Cavour. Il suo punto di arrivo è naturalistico, ma l'origine di questa passione è mistica: ha iniziato a raccogliere le penne perché sono belle e basta. Se poi i colori rossi e gialli e bruni sono così grazie a pigmenti come i carotenoidi e le melanine, e gli azzurri sono il frutto della presenza di cheratina trasparente sopra un pigmento nero, tanto meglio se ci è dato di saperlo. Se non lo sapessimo penne e piume sarebbero belle lo stesso, accattivanti e quasi provocatorie nel trasmetterci i loro mistici, intriganti messaggi. Caterina Gromis di Trana


IN BREVE Giornata mondiale dell'ambiente
ARGOMENTI: ECOLOGIA, MANIFESTAZIONI
LUOGHI: ITALIA

Venerdì 5 giugno, in occasione della Giornata mondiale dell'ambiente, l'Accademia dei Lincei organizza a Roma (inizio 9,30, Palazzina dell'Auditorio, via Lungara 230), il convegno "Flora e fauna a rischio in Italia". Per riflettere tra l'altro, oltre alla conservazione della biodiversità, sul fatto che, mentre specie combattute ad oltranza (come mosche, zanzare, topi e blatte), sono abbondanti e in perfetta salute, altre non combattute, e in qualche caso protette, sono in declino.


ESPERIMENTO ITALIANO Sullo Shuttle alla scoperta dell'Antimondo Per le particelle cosmiche una "rete" 100.000 volte migliore delle precedenti
Autore: BATTISTON ROBERTO

ARGOMENTI: FISICA, RICERCA SCIENTIFICA, AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
NOMI: KAVANDI JANET LYNN
ORGANIZZAZIONI: NASA, AMS
LUOGHI: ITALIA

LO Shuttle che in questi giorni orbiterà sulle nostre teste ha a bordo il primo esperimento scientifico che sarà installato sulla Stazione spaziale internazionale nel 2002: è lo Spettrometro Magnetico Alfa (Ams), un rivelatore basato su tecnologia italiana in grado di analizzare con una precisione centomila volte migliore che nel passato la composizione dei raggi cosmici, cioè le particelle che muovendosi tra le galassie a velocità prossime a quelle della luce, ci portano informazioni su regioni molto distanti dell'universo. Una sensibilità così spinta permetterà ad Ams di affrontare due problemi fondamentali dell'astrofisica: il mistero della scomparsa dell'antimateria e l'enigma della massa mancante dell'universo. Una donna, l'astronauta Nasa Janet Lynn Kavandi, un ingegnere chimico di 39 anni al suo primo volo nello spazio, terrà a battesimo Ams controllando il suo funzionamento durante i dieci giorni della missione. Nonostante l'antimateria sia stata scoperta più di 60 anni fa, essa continua ad affascinare sia gli scienziati che i non addetti ai lavori. La scoperta dell'antimateria è uno dei casi in cui una scoperta rivoluzionaria è stata effettuata prima in modo teorico che sperimentale. L'antielettrone o positrone fu infatti postulato da Dirac (che ricevette per questa teoria il Nobel nel 1933) ma rivelato solo qualche anno dopo da Anderson (premiato anche lui con il Nobel nel 1936). L'antimateria è uno stato simmetrico della materia rispetto ad alcune proprietà fondamentali, come la carica elettrica. Particelle e antiparticelle hanno la tendenza a distruggersi a vicenda e non possono coesistere a lungo. Al momento del Big-Bang, l'universo era composto in parti uguali di materia ed antimateria. Nei primissimi istanti però i destini di materia e antimateria si sono separati. Ad esempio la nostra galassia e le galassie circostanti sono composte interamente da materia. L'antimateria potrebbe invece essere completamente scomparsa oppure essere concentrata in antigalassie e antistelle in modo simmetrico alla materia. L'obiettivo di Ams è quello di stabilire quale sia stato il destino dell'antimateria, rivelandone le tracce nei raggi cosmici che arrivano nel nostro sistema solare. La sensibilità di Ams è tale che è in grado di rivelare una particella di antimateria in dieci miliardi di particelle di materia, come se durante un temporale a Roma si potesse rivelare una goccia di inchiostro che in qualche punto della città stia cadendo mescolata alle gocce di pioggia. La rivelazione di un solo antinucleo di elio nei raggi cosmici basterebbe a rivoluzionare la nostra comprensione dell'universo. Altrettanto affascinante è la ricerca tesa a determinare la causa della massa invisibile, a capire cioè a cosa sia dovuta l'attrazione gravitazionale che regola i moti delle stelle e delle galassie. Sulla base di tutte le osservazioni disponibili gli ammassi di stelle si spostano con traiettorie spiegabili solo se la massa dell'universo è circa 5- 10 volte più grande di quella che si riesce a determinare osservandone la parte luminosa, quella cioè che emette radiazione visibile o comunque rivelabile con opportuni telescopi. Una delle ipotesi su cui maggiormente si concentra l'interesse degli scienziati è che tale materia sia dovuta a particelle elementari molto pesanti, chiamate neutralini, previste dalle teorie supersimmetriche, particelle ricercate attivamente anche negli acceleratori di particelle. Cercando le tracce dell'annichilazione di neutralini che collidono tra di loro producendo particelle di antimateria (antiprotoni, positroni) e fotoni, Ams potrebbe determinare la composizione della massa mancante dell'universo. L'esperimento Ams è realizzato da una collaborazione internazionale di scienziati europei, cinesi, americani e russi. L'esperimento si basa su un magnete permanente di 2000 chili, costruito in Cina, equipaggiato da sensibilissimi rivelatori di particelle costruiti in Italia. I rivelatori di particelle sono i più grandi mai realizzati per un esperimento nello spazio e utilizzano le tecniche sviluppate nell'ultimo decennio dall'Infn (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) per gli esperimenti con gli acceleratori di particelle. Essi sono stati realizzati da gruppi di ricercatori dell'Università di Bologna e Perugia in collaborazione con le principali industrie aerospaziali italiane, con il supporto dell'Infn e dell'Asi. L'Italia ha una lunga tradizione in questo campo, specialmente nella ricerca di forme complesse di antimateria, quali antinuclei atomici e antiatomi. La scoperta dell'antiprotone fatta da Emilio Segrè (premio Nobel del 1959) è stata seguita nel 1965 dalla scoperta dell'antinucleo di deuterio, fatta da Antonino Zichichi nel 1965, e, più recentemente dalla scoperta dei primi antiatomi di idrogeno da parte di Macrì nel 1995. Le due ultime scoperte sono state compiute con gli acceleratori del Cern di Ginevra, e hanno confermato che la simmetria fra materia e antimateria può essere estesa a legami complessi di particelle elementari, e forse anche a grandi strutture come stelle o galassie. Ed è proprio la verifica dell'esistenza di un "antimondo" uno degli obiettivi principali dell'esperimento Ams. Roberto Battiston Università di Perugia


SCIENZE DELLA VITA. MALATI TERMINALI "Non basta lenire il dolore" Anche in Italia gli "hospice" per morire con dignità
Autore: SCAGLIOLA RENATO

NOMI: GABUTTI WILMA, DE HENNEZEL MARIE
ORGANIZZAZIONI: ASL 6, ASSOCIAZIONE COMUNITA' DI ACCOGLIENZA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, ROCCA CANAVESE (TO)
TABELLE: T. Carta dei diritti dei morenti (dati nel testo)

A Rocca Canavese, piccolo paese di mezza montagna in provincia di Torino, sta per nascere un centro destinato ai malati terminali, soprattutto oncologici. L'edificio c'è già, un'antica villa con parco, manca solo l'autorizzazione della Asl 6 di Ciriè. Sarà un " hospice" con solo 25 posti letto, dove lavoreranno medici, operatori assistenziali, volontari, riproponendo ambiente e atmosfera di una casa "normale", e non di un ospedale. Il modello viene da lontano, poiché l'"Hospice movement" è nato in Gran Bretagna negli Anni 60 e si è diffuso in Usa, Canada, Australia e in altri Paesi europei. Alcuni hospice già funzionano in Italia: il Trivulzio e il Capitanio a Milano, uno a Brescia, un altro ad Aviano in Friuli, mentre una fondazione torinese, la Faro, composta unicamente da volontari, (medici, psicologi, infermieri, fisioterapisti), si occupa da anni, a lato delle strutture sanitarie pubbliche, di assistenza ai malati terminali di tumore. L'iniziativa è dell'associazione Comunità l'Accoglienza, (tel. 011/924.06.49), che ha già da tempo attivato corsi di approfondimento sul tema "Vivere il morire", segue i malati di Aids all'ospedale torinese Amedeo di Savoia, e ha aperto un centro studi che ha come scopo educare ed aggiornare sul tema del morire. Argomento scomodo, un tabù, un pensiero che tutti cerchiamo di dimenticare, anche perché, scrivono i responsabili: "Oggi la durata della vita è molto aumentata, il 70 per cento delle persone muore in ospedale al termine di un processo di infantilizzazione che porta sanitari e familiari a negare al morente il diritto all'informazione sul suo stato. I medici hanno visto ipertrofizzare il loro ruolo fino a diventare quasi "ministri di culto" dell'eterna giovinezza. Alla medicina l'uomo comune fa ormai una richiesta di immortalità, mentre, come scrive Marie De Hennezel, "La morte rimane un immenso mistero, un grande punto interrogativo che ci portiamo dietro nell'intimità più profonda. Nella morte vediamo solo orrore, assurdità, sofferenza inutile e penosa, scandalo insopportabile; mentre è invece il momento culminante della nostra vita, coronamento che le dà senso e valore". Vicepresidente dell'associazione è Wilma Gabutti, primario di ematologia all'Ospedale Infantile di Torino, una lunga esperienza professionale di sofferenze. "Una fase importante per i malati terminali - dice - è il controllo del dolore, ma non solo. E' tutto l'insieme che deve essere progettato e gestito per limitare al massimo la sofferenza anche psicologica. Un insieme che si chiama medicina palliativa poco insegnata nelle Università, ancora in pratica un buco nero nella nostra cultura medica. In Inghilterra ce ne saranno tremila di questi hospice, tutti curati nei minimi particolari e inseriti nel contesto dell'assistenza sanitaria pubblica. Per fare un piccolo esempio, per sedere intorno al letto di un malato, sedie e sgabelli sono disegnati in modo che i visitatori non siano più alti del letto del degente. E quindi non incombano su di lui. In concreto l'obiettivo è rispondere in modo globale ai bisogni fisici, emozionali, psicologici e spirituali, del paziente e della sua famiglia, migliorando la qualità della vita residua. Inoltre ci proponiamo di reagire all'attuale cultura dell'occultamento della morte, riconsegnando al morente la possibilità di essere protagonista della sua fine". Renato Scagliola -------------------------------------------------------------------- CARTA DEI DIRITTI DEI MORENTI Chi sta morendo ha diritto: 1 A essere considerato come persona sino alla morte 2 A essere informato sulle sue condizioni, se lo vuole 3 A non essere ingannato e a ricevere risposte veritiere 4 A partecipare alle decisioni che lo riguardano e al rispetto della sua volontà 5 Al sollievo del dolore e della sofferenza 6 A cure ed assistenza continua nell'ambiente desiderato 7 A non subire interventi che prolunghino il morire 8 A esprimere le sue emozioni 9 All'aiuto psicologico e al conforto spirituale, secondo le sue convinzioni e la sua fede 10 Alla vicinanza dei suoi cari 11 A non morire nell'isolamento e in solitudine 12 A morire in pace e con dignità


SCIENZE FISICHE. TECNOLOGIE PER L'AMBIENTE Alt all'effetto serra Riassorbire l'anidride carbonica
Autore: VAGLIO GIAN ANGELO

ARGOMENTI: ECOLOGIA, TECNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T. Emissioni antropiche di gas nel mondo

UN raddoppio di concentrazione di diossido di carbonio (comunemente detto "anidride carbonica") nell'atmosfera rispetto ai livelli preindustriali porterebbe a un rialzo della temperatura media della superficie terrestre di 2-3oC e ad un cambiamento del clima con conseguenze difficili da prevedere ma probabilmente assai sgradevoli. Eppure alla conferenza di Kyoto sull'ambiente (dicembre 1997) sono emerse le solite difficoltà per un accordo sui livelli accettabili nell'atmosfera e sui tempi di riduzione dei gas responsabili dell'effetto serra. Tra questi, il diossido di carbonio (la cui formula chimica è CO2), è di gran lunga il più abbondante, poiché è prodotto dalla combustione del carbone e dei derivati del petrolio. La sua concentrazione nell'atmosfera è passata dalle 280 parti per milione in volume, corrispondente allo 0,0280 per cento in volume, del periodo preindustriale, alle 370 parti per milione in volume attuali. Le emissioni di CO2 hanno registrato nel 1996 un incremento del 2,7 per cento, il massimo dell'ultimo decennio. I Paesi con le emissioni più alte sono gli Stati Uniti, la Cina e il Giappone e, benché i Paesi industrializzati contribuiscano in quantità assoluta più elevata, sono in generale i Paesi in via di sviluppo ad avere i maggiori incrementi annuali negli Anni 90, Brasile, India e Indonesia in testa. Le ipotesi sulle limitazioni delle emissioni nell'atmosfera di CO2 avanzate nelle conferenze internazionali di Rio de Janeiro (1992) e Berlino (1995), sono state rimesse in discussione a Kyoto. In ogni caso, anche con drastici interventi politici, l'uso dei combustibili fossili come fonte principale per la produzione di energia continuerà a innalzare i livelli di CO2 nell'atmosfera. Se le quantità emesse si mantenessero al livello attuale, la concentrazione del diossido di carbonio nell'atmosfera raddoppierebbe nel ventiduesimo secolo, mentre per stabilizzare la concentrazione di CO2 nell'atmosfera al valore dioggi sarebbe necessaria una riduzione delle emissioni totali a circa il 60 per cento di quelle attuali. Una tale riduzione nell'uso di combustibili fossili per produzione di energia è inverosimile nei prossimi decenni per ragioni legate alle economie sia dei Paesi industrializzati che di quelli in via di sviluppo. L'alternativa ovvia è quella di intrappolare il diossido di carbonio presente nei gas emessi dalle ciminiere delle centrali termoelettriche e degli impianti industriali e dai pozzi di estrazione del gas naturale per un successivo smaltimento. Su questa alternativa è attualmente in corso una verifica sperimentale da parte della compagnia statale norvegese Statoil. Le procedure per intrappolare il diossido di carbonio richiedono una separazione preventiva dagli altri gas emessi e il processo può essere realizzato mediante assorbimento con reazioni chimiche, oppure con l'uso di membrane, attraverso le cui pareti fluiscono solo molecole di alcuni gas e non di altri, oppure con il frazionamento criogenico, basato sulle differenti temperature di liquefazione dei gas. Un altro metodo prevede l'assorbimento selettivo su setacci molecolari, solidi capaci di intrappolare alcuni tipi di molecole e non altre in base a differenze di dimensione. Il diossido di carbonio così catturato viene utilizzato in una certa misura nell'industria alimentare e in alcuni processi di sintesi chimica, oppure viene iniettato nei pozzi petroliferi per favorire l'estrazione del petrolio. La maggior parte deve, comunque, essere smaltita secondo modalità che ne impediscano la fuoriuscita nell'atmosfera per periodi di tempo molto lunghi. Il progetto della Statoil è stato recentemente avviato negli impianti di estrazione di gas naturale di Sleipner West, al largo della costa della Norvegia. Il diossido di carbonio è presente nel gas estratto in quantità del 9,5 per cento e viene ridotto al 2,5 per cento, limite consentito per il gas naturale commerciale, mediante intrappolamento della quantità eccedente, che viene smaltita per iniezione in una falda acquifera, estesa 32 mila chilometri quadrati e situata ad una profondità di 800 metri sotto il fondo marino. La quantità di CO2 iniettata nella falda è di un milione di tonnellate per anno, una quantità pari al 3 per cento delle emissioni totali della Norvegia. Un consorzio della Esso con la compagnia petrolifera indonesiana Pertamina sta progettando per gli impianti di Natuna, situati a 600 chilometri da Singapore a Nord del Borneo, lo smaltimento sottomarino di 100 milioni di tonnellate annue di diossido di carbonio in una falda acquifera molto profonda sotto il Mar Meridionale della Cina. Processi alternativi in fase di studio prevedono la dissoluzione di diossido di carbonio, gassoso come si trova nelle condizioni normali, nelle acque degli oceani mediante lunghe condotte, oppure la sua dispersione negli strati profondi degli oceani dopo passaggio allo stato liquido o sotto forma di blocchi solidi di ghiaccio secco (il diossido di carbonio solido è usualmente chiamato ghiaccio secco). E' in fase di realizzazione un progetto per lo smaltimento diretto nell'oceano presso la costa Kona nelle Hawaii, che si prevede sia operativo entro due anni. Sono stati ipotizzati possibili rilasci verso l'atmosfera di diossido di carbonio, in quantità consistente, smaltito direttamente nelle acque. In realtà questi timori non sono fondati, poiché gli oceani contengono quantità di diossido di carbonio sessanta volte più grandi che l'atmosfera e, quindi, anche se riuscissimo a dissolvere negli oceani tutto il diossido di carbonio emesso nell'atmosfera, la sua concentrazione nei mari aumenterebbe in modo poco più che trascurabile. Un effetto secondario indesiderato è, invece, l'abbassamento del pH, cioè l'aumento dell'acidità dell'acqua nelle zone di immissione. Dispositivi capaci di favorire la dispersione rapida del diossido di carbonio disciolto sarebbero in grado di evitare possibili danni alla vita acquatica. Nonostante si possano estendere le applicazioni di energie rinnovabili in sostituzione di combustibili fossili, gli esperti prevedono che il ricorso a metodi di cattura e smaltimento di CO2, in particolare mediante iniezione in falde acquifere sottomarine, diventerà indispensabile in un prossimo futuro. Gian Angelo Vaglio Università di Torino




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