TUTTOSCIENZE 29 aprile 98


AFRODISIACI Cibi e farmaci dell'amore
AUTORE: FOCHI GIANNI
ARGOMENTI: BIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

LO berreste un infuso fatto bollendo i ritagli delle vostre unghie? Probabilmente no. Però c'è chi contribuisce a spingere i rinoceronti verso l'estinzione, bevendo un intruglio simile preparato coi loro corni. Sebbene rinomati come afrodisiaci, essi sono fatti soprattutto di cheratina, appunto come le unghie. Una trentina di anni fa alcuni ricercatori giapponesi vollero farne una analisi chimica completa, e individuarono altri componenti; neanche questi, però, hanno effetti sulle prestazioni sessuali. Eppure, sfuggendo ai controlli, i bracconieri continuano ad ammazzare rinoceronti solo per poterne vendere i corni. Questo commercio illecito e frutto di assurde superstizioni si somma a quello di numerose altre presunte sostanze afrodisiache e l'insieme raggiunge ogni anno parecchi miliardi di lire. La scienza sino a non molti anni fa ha prestato poca attenzione ai settori della farmacologia connessi con l'attività sessuale, lasciando campo libero ai ciarlatani. Molto di ciò che si trova scritto è dunque una raccolta di vecchi miti e antiche tradizioni, in cui è spesso molto difficile individuare eventuali elementi di verità. Alcuni preparati si trovano - e sono molto richiesti - anche nelle farmacie nostrane: gli uomini li comprano per averne sentito decantare confidenzialmente certi effetti, che le confezioni stesse non possono indicare. Un tipo di questi prodotti è balzato recentemente agli onori della cronaca, quando "Striscia la notizia" ha riproposto agli spettatori le sequenze di un inviato della Rai, che a Cuba si dilungava in interviste alla gente su un "farmaco" estratto dalla canna da zucchero: là lo consigliano per abbassare il tasso di colesterolo nel sangue, ma la gente dell'isola dice che abbia effetti benefici anche sulla virilità. Sono quattro anni che se ne parla, e fin dall'inizio qualcuno ha sospettato che sia soltanto un espediente per spillare denaro ai turisti e ai consumatori stranieri. Qualcuno sarebbe anche capace di giurare sugli effetti virilizzanti del cosiddetto muschio del Tonchino, secreto dal piccolo cervide asiatico Moschus moschiferus, altra specie minacciata d'estinzione proprio per questo motivo. I profumieri, che pure l'apprezzano molto, ricorrono invece già da un secolo a surrogati offerti dalla chimica. In realtà, oltre a un componente detto muscone e ad altri composti odorosi, nelle ghiandole di quel mammifero sono contenuti anche ormoni, e non è escluso che questi possano avere un qualche effetto sul nostro organismo: sia ben chiaro, però, che nulla è stato dimostrato finora. Considerazioni analoghe si possono fare per un lungo elenco di alimenti, dei quali oggi come non mai si sentono magnificare certe virtù. Se hanno un effetto, è perché agiscono sulla nostra immaginazione: è probabile, insomma, che per qualcuno non siano nient'altro che una sorta di placebo l'avena, il sedano, l'avocado, il mango e certi funghi. In linea di principio, il discorso potrebbe essere diverso per alcuni frutti di mare: le ostriche, ad esempio, sono ricche di zinco, elemento che, sia pure in piccolissime dosi, è necessario al funzionamento di certi ormoni. Anche il cioccolato ha fama di afrodisiaco, ma probabilmente un'eventuale conseguenza favorevole va ricondotta all'effetto generale che alcune sostanze in esso contenute hanno sul nostro umore. Lo champagne, dal canto suo, è il vino classico negli incontri galanti; ma, come tutte le bevande alcoliche in genere, mette allegria e ha semplicemente una funzione disinibitoria. Esistono poi presunti afrodisiaci che un qualche effetto sicuro ce l'hanno; ma ce l'hanno sulla salute, e tutt'altro che gradevole. Nell'Asia sud-orientale parecchie persone sono state intossicate da preparati di erbe, a cui era stato aggiunto un elemento pericoloso, come mercurio o arsenico. La famosa cantaridina, usata un tempo per i tori da monta, è contenuta in alcune specie di coleotteri detti comunemente cantaridi; fra questi la Lytta vesicatoria, verde e lunga fino a due centimetri, detta anche mosca spagnola. Come dice la seconda parte del nome latino di quest'insetto, la cantaridina è molto irritante: l'effetto cercato è solo una conseguenza indiretta di questa sua azione sul tratto urogenitale. Le riviste mediche riportano parecchi casi di morte per choc emorragico in seguito al suo impiego da parte di poveri illusi: basta una trentina di milligrammi di cantaridina per uccidere un uomo. Dalla corteccia dell'albero africano yohimbè, usata da secoli come afrodisiaco dagli indigeni, s'estrae l'alcaloide yohimbina, che stimola il sistema nervoso centrale e da alcuni studi sembrerebbe accrescere davvero il desiderio e la potenza sessuale nell'uomo; ma non se n'hanno ancora prove certe. Sicuri sono invece gli effetti collaterali: eccitazione del sistema nervoso simpatico, tachicardia, innalzamento della pressione sanguigna. Per dosi alte i disturbi possono giungere a causare la morte. Influenze più o meno rilevanti sul nostro organismo, ma non specificamente provate per quanto riguarda l'attività sessuale, ce l'hanno la mandragora asiatica e il ginseng. Sicuramente nocivi sono lo shilajit (pure asiatico), lo stramonio, la belladonna il giusquiamo (detto in inglese hen bane), la stricnina, la marijuana, ai quali pure molti sconsiderati ricorrono nell'illusione di potersi poi lanciare in grandi prestazioni. Per l'impotenza maschile è stata sperimentata con qualche successo la bromocriptina, derivato sintetico della segale cornuta: essa abbassa il livello della prolattina, che, quando è troppa, inibisce la sintesi degli ormoni sessuali dell'uomo. L'acido iodidrico sembra invece avere effetti positivi sul desiderio sessuale delle donne, finora poco considerato dalla ricerca farmacologica. Un principio attivo contro il morbo di Parkinson, l'L-dopa, ha anche buoni effetti in alcuni casi particolari di maschi con disfunzioni sessuali; ciò alimenta un grosso smercio per uso improprio, sebbene l'L-dopa provochi facilmente, se preso senza controllo, aritmia cardiaca, alterazioni dell'umore, allucinazioni e stato confusionale. Attivi su uomini e donne sono il bupropione - che però causa mal di testa, insonnia, tremori, nausea, costipazione - e il trazodone, noto antidepressivo, che pure ha i suoi effetti sgraditi. Un problema grosso per i ricercatori è l'inesistenza d'un modello animale adeguato su cui sperimentare preliminarmente le varie sostanze. La psicologia del desiderio sessuale umano non si ritrova negli altri esseri viventi, che servono solo a controllare effetti fisiologici. Per il momento non esistono sostanze afrodisiache innocue (il sildenafil, di cui parla l'articolo sottostante, è un caso a sè: non è da considerarsi afrodisiaco). Se del resto non è il caso d'affidarsi agl'intrugli dei ciarlatani, non ha neppure senso pretendere aiuto dalla scienza, in un campo dove la società mostra spesso un'ostinazione maniacale e ingiustificata. Gianni Fochi Scuola Normale di Pisa


SCIENZE A SCUOLA. CINEMA Alberini prima dei Lumiere
Autore: VALERIO GIOVANNI

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, CINEMA
NOMI: ALBERINI FILOTEO
ORGANIZZAZIONI: ISTITUTO GEOGRAFICO MILITARE DI FIRENZE
LUOGHI: ITALIA

LA storia è costellata di invenzioni "rubate", copiate o soltanto meglio sfruttate, dal telefono conteso tra Meucci e Bell alle geniali creazioni degli ingegneri della Xerox, rimaste per sempre nei laboratori. Non fa eccezione la vicenda di Filoteo Alberini, uno dei pionieri del cinema italiano, regista, produttore, gestore di sale e inventore. L'11 novembre 1895, il ventottenne Alberini, impiegato all'Istituto Geografico Militare di Firenze, brevetta il " kinetografo", apparecchio cinematografico del tutto simile a quello dei Lumiere. Ma, qualche settimana dopo, la prima proiezione pubblica dei Lumiere blocca sul nascere ogni futuro commerciale del kinetografo. Senza capitali nè una struttura industriale alle spalle, Filoteo Alberini, inventore part-time, non può fare nulla contro lo strapotere dei Lumiè re. Però, per primo, crede nelle potenzialità del cinema come spettacolo e nel 1901 apre una sala a Firenze, seguita nel 1904 da un'altra a Roma, il Moderno, in piazza dell'Esedra. Nel 1904 fonda una delle prime case di produzione italiane. Dai suoi stabilimenti, pone le basi per una vera e propria industria cinematografica. Recluta dalla Francia un regista della Pathè, Gaston Velle, e gira lui stesso "La presa di Roma", primo film a soggetto del cinema tricolore, un kolossal - diremmo oggi - di circa 15 minuti che inaugura il genere storico. Intanto Alberini prosegue le sue ricerche. Nel 1911 brevetta una macchina da presa su pellicola più grande di quella standard, una sorta di Cinemascope. Qualche anno più tardi costruisce un "autostereoscopio", che permette una visione stereoscopica (cioè tridimensionale) senza usare lenti aggiuntive. Produce apparecchi per riprese panoramiche, perfeziona diversi tipi di obiettivi. Ma nessuna delle sue invenzioni, proposte anche alle grandi case di produzione americane, verrà riconosciuta e sfruttata economicamente. Avrà lo stesso amaro destino anche la prima cinepresa amatoriale, con caricamento in piena luce, costruita da Alberini proprio un secolo fa: antenata della Super8 e della videocamera, anticipo' l'era del cinema fai-da-te. Giovanni Valerio


SCIENZE DELLA VITA. LA BIOLOGIA SI FA SPETTACOLO Darwin sul palcoscenico Ironico dramma di Giorgio Celli
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: BIOLOGIA, TEATRO
NOMI: DARWIN CHARLES, CELLI GIORGIO, MARCHESINI GABRIELE, ROBUTTI ENZO, MASCHERPA SERGIO, BAY CHIARA
ORGANIZZAZIONI: TEATRO BONCI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: «Darwin delle scimmie»

SI è molto discusso del naso di Cleopatra, e si è detto che una piccola variante di quell'appendice avrebbe potuto cambiare il corso della storia. Dovremmo dedurre che oggi la Storia è nelle mani, e nel bisturi, dei chirurghi plastici. I quali, comunque, non esistevano ancora nel secolo scorso, e quindi non avrebbero avuto la possibilità di influire sul corso della biologia. Già, perché di Charles Darwin al capitano FitzRoy, cultore della fisiognomica, non piaceva il naso. Per questo tentennò prima di assumerlo come naturalista nel suo viaggio intorno al mondo a bordo del "Beagle". Dopo tutto con lui avrebbe dovuto dividere la cabina in una navigazione dalla durata prevista di due anni (che poi divennero quasi cinque). In questi casi anche una piccola incompatibilità si fa pesante. Alla fine però FitzRoy superò le sue resistenze nei confronti del naso di Darwin. Così quel giovanotto che aveva tentato invano di laurearsi in medicina e aveva poi seguito studi teologici, si imbarcò sul "Beagle". E la biologia ebbe la sua rivoluzione: tornato dal suo giro del mondo, Darwin tracciò il paradigma dell'evoluzione per selezione naturale: nelle scienze della vita, una tappa paragonabile a quella segnata da Galileo nelle scienze fisiche. La storia del naso di Darwin è accennata anche in un dramma in 10 quadri di Giorgio Celli che ha avuto la sua "prima" al teatro "Bonci" di Cesena il 16 aprile e che nel prossimo autunno andrà in tournee a Bologna, Reggio Emilia, Ravenna, Modena e Roma. Lo spettacolo "Darwin delle scimmie" fa parte di un percorso didattico che comprende anche mostre, conferenze e proiezioni: un progetto culturale che Celli, entomologo dell'Università di Bologna, scrittore e autore della trasmissione "Nel regno degli animali" su Rai Tre, ha ideato per i comuni di Cesena e di Bologna. La regia è di Gabriele Marchesini, che ha diretto la compagnia "Teatro perché" con Enzo Robutti nel ruolo di Darwin, Sergio Mascherpa nel ruolo dell'Orango e Chiara Bay in quello di Emma Darwin. Si oscilla tra il surrealismo e la didattica di derivazione brechtiana. Ma ciò che prevale è, per fortuna, lo humour di Celli, già sperimentato in spettacoli come "L'Angelo dell'Altrove" (sul mondo di Jules Verne), " Copernico e le stelle" e "Vita e morte di Ramiro dell'Orco" (da un episodio del "Principe" di Machiavelli). Non ho potuto assistere allo spettacolo. Però ne ho letto il copione. Celli vi ha sintetizzato in modo rigoroso e divertente le molte e complicate sfaccettature del personaggio Darwin e del suo pensiero scientifico, senza rinunciare ad alcuni messaggi rivolti al mondo contemporaneo. Il primo quadro, un convegno di scimmie antropomorfe che devono decidere quale atteggiamento assumere circa le tesi darwiniane, è un capolavoro di ironia. La posizione di Darwin verso la religione (e viceversa) è un altro tema portante (non dimentichiamo che solo qualche anno fa Giovanni Paolo II ha fatto cadere le ultime preclusioni della chiesa cattolica verso l'evoluzionismo). Ma c'è anche tutta l'umanità di Darwin: la sua vecchiaia, la sua malattia cronica, il dolore per la perdita della figlioletta Annie, il suo misurarsi con la morte. Un evento naturale, certo, quando è la morte altrui. Ma innaturale, e forse soprannaturale, quando è la nostra morte. Anche se, per caso, ci chiamassimo Charles Darwin. Piero Bianucci


SCIENZE FISICHE. "ARTEMIS" Il satellite-laser Sarà in orbita nel 2000
Autore: LO CAMPO ANTONIO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, TELECOMUNICAZIONI
LUOGHI: ITALIA

E' il più grande satellite per telecomunicazioni mai sviluppato dall'Europa spaziale, e il lancio non poteva che essere affidato a uno dei razzi vettori più potenti al mondo. Artemis, sigla di Advanced Relay and Technology Mission (Missione di collegamento dati avanzata), sta per lasciare l'Alenia Aerospazio di Roma: nei primi mesi del 2000 andrà in orbita geostazionaria, a 35.800 chilometri sopra l'equatore. Nel frattempo al Centro dell'Agenzia Spaziale Europea Estec in Olanda verrà sottoposto a test vibroacustici e strutturali. Sarà un lancio insolito per un satellite europeo, in quanto si usufruirà del potente razzo giapponese H-2A. In attesa che entri in servizio operativo l'Ariane 5, il cui terzo lancio di collaudo è previsto per luglio, l'Europa spaziale si affida a un razzo potente e già collaudato, le cui caratteristiche e potenzialità sono simili a quelle di Ariane 5. Può sembrare paradossale, ma l'unica difficoltà potrebbe riguardare un problema molto terrestre. I lanci dal poligono nipponico di Tanegashima, una piccola isola a Sud del Giappone, possono subire ritardi di mesi a causa di un accordo che il governo ha stipulato con i pescatori. I lanci dei razzi che passano sopra il mare impedirebbero per ragioni di sicurezza lo svolgimento regolare della pesca, una delle maggiori fonti economiche della regione, e per questo in determinati periodi dell'anno nessun razzo si muove dalle piattaforme seminascoste nella giungla di questo isolotto del Sol Levante. "Se non vi saranno grossi problemi al satellite o al razzo - dice Dickinson, Project Manager di Artemis - tutto ciò non dovrebbe influire sulla data del lancio, ancora da definire ma che prevediamo per inizio 2000. Si tratta di un accordo di cooperazione tra l'ESA e la Nasda giapponese, che ci offrirà il vettore in cambio dell'utilizzo dei dati ottenuti da Artemis. In origine era previsto su Ariane 5, ma i ritardi causati dall'incidente del primo volo del vettore europeo hanno fatto cadere la scelta su un razzo dalle caratteristiche simili. Tutto questo lo si è verificato dopo attente analisi di simulazione di un modello del satellite, comparate con test simulati di lancio con Ariane 5 e con l'H-2". Per Artemis verrà utilizzata la versione potenziata chiamata H-2A, prossima alle capacità di Ariane 5. Artemis peserà alla partenza 3,1 tonnellate, e l'intero carico dovrà essere trasferito in orbita geostazionaria dal secondo stadio dell'H-2, spinto da un motore a idrogeno e ossigeno liquidi da 14 tonnellate di spinta. Il primo stadio ospita alla base due booster a combustibile solido, che forniscono ognuno una spinta di 220 tonnellate e un motore a idrogeno e ossigeno da 120 tonnelate di spinta nel vuoto. Quando giungerà a Tanegashima via mare, il satellite Artemis verrà caricato anch'esso dei propellenti liquidi per i piccoli propulsori sviluppati da FiatAvio, che gli consentiranno le manovre di assetto orbitale. La vita operativa del satellite è prevista in 10 anni: in orbita, subito dopo il lancio dispiegherà pannelli solari lunghi 11 metri. Artemis è il primo passo verso un sistema europeo di rilancio-dati globale, per missioni di satelliti posti in orbita bassa, specie per quelli di monitoraggio ambientale. Con un rivoluzionario sistema a laser, effettuerà il rilancio a terra dei dati ricevuti da satelliti ambientali come Spot 4 ed Envisat. E' dotato di un trasponditore per la navigazione che fa parte del sistema europeo "Egnos", che migliorerà le prestazioni degli attuali sistemi, come il Gps. Artemis farà parte del futuro sistema globale di navigazione satellitare europeo Gnss, che consentirà a treni, navi,e aerei di conoscere con esattezza la propria posizione anche in zone sprovviste di assistenza. Consentirà inoltre collegamenti voce-dati tra stazioni fisse terrestri e terminali su mezzi mobili come camion, treni e autovetture in Europa occidentale, nelle zone del bacino del Mediterraneo, in Medio Oriente e in Russia fino agli Urali. Un'ultima annotazione: Artemis è un satellite europeo che parla italiano. Lo dicono chiaramente le cifre: il nostro Paese ha avuto il 40 per cento della partecipazione totale; la Francia è seconda con il 21. Ben sedici aziende sparse sulla Penisola sono impegnate nel programma con un milione di ore di lavoro per progetto e sviluppo, e un altro milione di ore per costruire il satellite. Antonio Lo Campo


SCIENZE FISICHE. STRANEZZE CLIMATICHE L'Antartide al secco Esistono anche valli senza ghiacci
Autore: TIBALDI ALESSANDRO

ARGOMENTI: METEOROLOGIA
ORGANIZZAZIONI: ENEA, CNR
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: C. Mappa dell'Antartide con le stazioni scientifiche internazionali

LA maggior parte di noi immagina l'Antartide - dove anche quest'anno ricercatori del Cnr con il coordinamento dell'Enea hanno lavorato presso la nostra base permanente che sorge presso Terra Nova - come una grande distesa di ghiaccio, costellata da pochi affioramenti rocciosi che emergono stagionalmente lungo le coste, durante le brevi estati antartiche. In realtà esistono valli aride sempre prive di ghiaccio o neve, il cui fondo è caratterizzato da distese sabbiose e rocciose su cui scorrono rari torrenti al massimo per due mesi all'anno. Per tutti i restanti dieci mesi si trovano solamente pochi laghi che, aggiungendo un altro enigma, sono privi di fiumi immissari ed emissari. In queste valli la temperatura media annuale è di 20 gradi sotto zero: eppure in esse sono state rinvenute forme di vita: licheni, muschi, batteri e vermi. Da quando furono scoperti questi deserti nell'Antartide, conosciuti scientificamente come "valli secche antartiche", le loro caratteristiche assolutamente uniche hanno rappresentato una serie di misteri che ultimamente vengono gradualmente svelati. Un grande impulso alla comprensione di queste singolari valli è stato dato recentemente durante un congresso internazionale negli Stati Uniti. Il congresso ha radunato scienziati di diversa estrazione culturale da tutto il mondo, comprendendo geologi, glaciologi, climatologi, chimici, fisici, biologi e zoologi. Dalla sinergia e dal confronto dei risultati conseguiti in diversi campi disciplinari è ora possibile proporre delle nuove spiegazioni. Il clima delle valli secche antartiche è simile a quello dei deserti freddi: è caratterizzato da temperature molto rigide, che possono arrivare anche a meno di 40-50 gradi sotto zero, e precipitazioni nevose annuali inferiori ai dieci centimetri. La poca neve che cade, inoltre, evapora prima che possa contribuire al bilancio idrologico del sistema, cioè prima che possa generare dei depositi di neve che poi si trasformano in ghiaccio oppure che al disgelo vadano ad alimentare i torrenti. Si è così scoperto che i laghi esistenti sul fondo di queste valli si formano unicamente grazie all'apporto di acque derivanti da alcune lingue glaciali della circostante calotta che si protendono sui fianchi vallivi. Durante le estati antartiche, la radiazione solare fonde parzialmente queste lingue glaciali creando dei torrenti stagionali che alimentano i laghi. E' molto singolare però sottolineare che la fusione del ghiaccio avviene anche al di sotto dello zero e a queste latitudini caratterizzate da un sole che si mantiene molto basso all'orizzonte. La spiegazione risiede nel fatto che la fusione del ghiaccio non avviene sulla superficie sub-orizzontale dei ghiacciai, che presenta un angolo molto piccolo rispetto ai raggi solari, ma sulle scarpate verticali intagliate sul fronte e sui fianchi delle lingue glaciali. Queste scarpate infatti presentano una superficie all'incirca perpendicolare alla radiazione solare e più adatta quindi all'assorbimento dell'energia del sole; inoltre si trovano generalmente vicino ai fianchi vallivi, laddove la roccia cede all'aria circostante l'energia solare assorbita. Come abbiamo visto, la presenza dei laghi nelle valli secche antartiche è strettamente collegata alla fusione glaciale, a sua volta dipendente dalla radiazione solare. Ne consegue che lo studio delle variazioni del livello di questi laghi nelle epoche passate può permettere di risalire indirettamente alle variazioni climatiche antiche e recenti. Dallo studio geologico dei depositi lacustri si è così scoperto che il livello dell'acqua dei laghi è attualmente più alto di quello raggiunto negli ultimi millenni. In particolare, si è osservato un aumento considerevole del livello a partire dall'inizio del ventesimo secolo. Ne consegue che evidentemente si sta accentuando in questo secolo il cambiamento climatico che comporta un aumento della radiazione solare. Questa seppur minima e stagionale radiazione solare regola non solo la presenza e la profondità dei laghi in queste valli secche, ma anche l'esistenza delle forme di vita perfino in condizioni estreme al di sotto del ghiaccio. Si è infatti scoperto che i batteri sopravvivono in questi laghi anche quando la loro superficie è ghiacciata. Come già detto, a queste latitudini la luce solare colpisce anche la superficie dei laghi con un angolo molto basso; gli organismi che vivono sotto il ghiaccio ricevono la radiazione solare in quanto questa viene anche riflessa verso il basso da bolle d'aria che si formano entro il ghiaccio quando questo ricongela dopo essersi parzialmente fuso. In questi ambienti i batteri devono essere in grado di adattarsi a condizioni molto diverse ed estreme, che vanno da estati brevi relativamente calde - vicino allo zero - ad inverni rigidi, secchi e privi di luce. Si è scoperto che batteri e alghe sono in grado di sopravvivere anche per anni senza alcun apporto d'acqua. Si dispongono così a resistere in uno stato praticamente di ibernazione; quando successivamente vengono in contatto con acqua, ritornano in vita e ricominciano l'attività fotosintetica. I licheni usano invece una strategia di adattamento alternativa. Nelle valli secche i licheni sono idrofili, sono in grado di assorbire direttamente il vapor d'acqua dall'aria e svolgono attività fotosintetica fino a 20 gradi sotto zero. In ogni caso, l'umidità presente nell'aria delle valli secche è troppo bassa anche per questi tipi di licheni. Per sopravvivere in questo ambiente particolare, i licheni hanno la necessità di avere ammassi nevosi nelle immediate vicinanze: questi assicurano infatti una sufficiente umidità dell'aria. I licheni si rinvengono quindi nelle zone più elevate delle valli secche, dove le nevicate sono relativamente più abbondanti e la copertura nevosa persiste più a lungo. Alessandro Tibaldi Università di Milano


SCIENZE DELLA VITA. PROGETTO GENOMA: 700 STUDIOSI A TORINO L'uomo letto nel Dna Mappati 22 mila geni in due anni
Autore: P_B, PIAZZA ALBERTO

ARGOMENTI: GENETICA, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: DULBECCO RENATO, BERLINGUER LUIGI, VEZZONI PAOLO
ORGANIZZAZIONI: CNR, LE SCIENZE
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: G. Il Progetto Genoma
NOTE: «Progetto Genoma»

IL Progetto Genoma, ricerca in collaborazione mondiale che punta a decifrare integralmente il patrimonio ereditario dell'uomo, occupa da qualche giorno le pagine dei giornali. Non per i suoi eccezionali risultati, che l'articolo di Alberto Piazza qui accanto cerca di sintetizzare cogliendo l'occasione offerta da un importante convegno, ma perché Renato Dulbecco, responsabile della parte italiana del progetto, ha denunciato il mancato finanziamento da parte del Cnr. E dato che a luglio scadrà il contratto di Dulbecco con il Cnr, non è escluso che il premio Nobel per la medicina lasci il nostro Paese per tornare negli Stati Uniti. Di fronte a questa emergenza, il ministro della Ricerca Berlinguer ha affermato che i 40 miliardi necessari per portare a termine la parte italiana dell'impresa si possono e si devono trovare, magari frugando tra le pieghe di altri bilanci. Auguriamoci che sia davvero così. Intanto chi volesse approfondire l'argomento può leggere "Il Progetto Genoma" (96 pagine, 12 mila lire), un utilissimo Quaderno della rivista "Le Scienze" curato dallo stesso Dulbecco e da Paolo Vezzoni. (p. b.) -------------------------------------------------------------------- TORINO ha ospitato qualche settimana fa il convegno internazionale " Human Genome Meeting 1998". Benché politici e giornali lo abbiano ignorato, questo incontro ha offerto un'occasione unica per fare il punto sulla conoscenza dei 70-80.000 geni che, impacchettati nei cromosomi dei nuclei di ogni cellula, regolano la nostra vita e la nostra evoluzione. Per dare un'idea delle dimensioni dell'incontro (che si è svolto per la prima volta in Italia) è sufficiente dire che vi hanno partecipato 700 ricercatori di ogni parte del mondo (ma soprattutto Stati Uniti e Regno Unito) per ascoltare 26 relazioni e 88 comunicazioni, oltre a discutere le ricerche presentate in 327 poster. L'iniziativa del convegno si deve alla Human Genome Organization (Hugo), un'associazione internazionale senza fini di lucro costituita da circa 1200 scienziati, selezionati in più di 50 Paesi, coinvolti nel Progetto Genoma Umano. Scopo statutario della Hugo è: a) promuovere una collaborazione internazionale sul progetto affinché l'analisi del genoma possa essere ottenuta il più rapidamente e il più efficacemente possibile; b) favorire il libero flusso di informazioni senza vincoli di interessi individuali, industriali o nazionali; c) offrire una palestra di confronto globale per discutere i problemi scientifici, medici, etici, legali, sociali e commerciali sollevati dall'uso e dal trattamento delle conoscenze sul genoma dell'uomo. E' impossibile passare in rassegna esaustiva tutto ciò che è stato trattato per tre giorni nelle sale del Lingotto: vorrei soltanto trasmettere a chi legge il significato di alcuni problemi sollevati (chi desiderasse approfondimenti più impegnativi ha a disposizione il fascicolo dal titolo Il Progetto Genoma uscito in questi giorni nei Quaderni de Le Scienze). Tecnologia. La mappa del genoma umano è ormai completa. Per mappa del genoma si intende non la determinazione di tutti i nucleotidi del Dna che all'interno di ogni cromosoma la compone (si parla in questo caso di sequenza del genoma, scopo ultimo del progetto), ma l'identificazione di singoli nucleotidi o brevi sequenze in punti specifici, noti e sufficientemente equidistanti in tutti i cromosomi affinché possano funzionare da punti di riferimento rispetto ai quali ogni gene dalla localizzazione ignota possa venire mappato con una ragionevole precisione. Negli ultimi due anni il numero di geni mappati ammonta a circa 22.000. Poiché il numero di basi nucleotidiche di Dna totali nel genoma umano è circa 3 miliardi, ogni 150.000 basi del genoma (in media) è stato identificato un marcatore di riferimento: se immaginiamo la sequenza delle basi di Dna come un'autostrada di 300 chilometri, il numero dei marcatori genetici di riferimento identificati corrisponde a una indicazione stradale ogni 15 metri, una risoluzione media che è ritenuta sufficiente per localizzare ogni gene misurandone la distanza dai marcatori più vicini. La mappa del genoma, che può ritenersi oggi compiuta, non esaurisce il problema di sequenziare tutte le basi nucleotidiche comprese tra i punti di riferimento. Il Dna contenuto nei cromosomi umani non può essere sequenziato tutto intero: la tecnologia più avanzata permette di clonare in cromosomi artificiali batterici inserti lunghi da 80 a 300 migliaia di basi, ma il sequenziatore automatico più recente può effettuare due rilevazioni al giorno, ciascuna delle quali analizza 64 sequenze non più lunghi di 700 nucleotidi. Sembra molto difficile superare questo limite, a causa del quale si prevede che il sequenziamento dell'intero genoma possa essere compiuto entro il 2005 a un ritmo esponenziale di 400 milioni di nucleotidi in media all'anno, partendo dalla situazione attuale (gennaio 1998) in cui si è sequenziato circa il 3,3 per cento. Genomica funziona le. I geni costituiscono solo il 2 o 3 per cento del genoma umano. Una parte non indifferente dei ricercatori che si occupano del Progetto ritiene prioritario lo studio di quella parte del genoma: è possibile analizzarla selettivamente sequenziando tutti gli Rna messaggeri che vengono trascritti a partire dal Dna dopo aver eliminato le porzioni non codificanti. Il problema è che esistono molte migliaia di Rna messaggeri espressi nei vari tessuti, tipi cellulari e stadi di sviluppo. Promosse per lo più dal consorzio Image le ricerche in questo settore sono molto attive soprattutto nel campo dello studio dell'espressione genica e nell'elaborazione di software di riconoscimento di sequenze funzionali all'interno del genoma. A tutt'oggi sono stati caratterizzati più di 420.000 frammenti parziali di Dna specifici per una sequenza di Dna codificante. Genomica e malattie. Sono stati identificati geni per malattie ereditarie specifiche rare ed è stato ipotizzato un meccanismo probabilmente coinvolto in alcuni casi di mania depressiva bipolare. Una tavola rotonda è stata dedicata alle malattie multifattoriali, cioè a quelle malattie dovute sia a molte componenti genetiche sia a molte componenti ambientali. L'analisi del genoma permetterà sempre meglio di mappare e conoscere i geni che ci rendono suscettibili a queste malattie con l'idea che molto probabilmente ogni farmaco dovrà in prospettiva essere sintetizzato su misura per rispondere meglio alle suscettibilità genetiche di natura individuale. Un workshop intero è stato dedicato ai tumori. Si è parlato anche di terapia genica: più di 200 sono i protocolli clinici intrapresi per un totale di oltre 2000 pazienti trattati. Oltre alla immunodeficienza congenita, sono stati proposti protocolli clinici per la fibrosi cistica, l'ipercolesterolemia familiare, la malattia di Gaucher, ma per nessuna di esse sono stati conseguiti al momento risultati clinicamente significativi. Aspetti sociali. E' un tema che dovrebbe starci particolarmente a cuore, affrontato dal convegno in due simposi. Nel primo, "Problemi di politica pubblica", si è parlato di clonazione e di xenotrapianto, di ricerca genetica e diritti umani, della ricerca sul genoma in Paesi sottosviluppati: tutti con un equilibrio, una mancanza di emotività ben rari nei dibattiti sugli stessi argomenti che leggiamo sui nostri giornali. Nel secondo simposio, "Il ruolo dello scienziato nella regolamentazione della genomica", sono stati trattati i seguenti argomenti: come integrare i dati genomici ai dati medici; protezione e sfruttamento delle conoscenze genetiche nella popolazione cinese; la legislazione francese in bioetica; come regolamentare la genomica: significato sociale e regole scientificamente appropriate; per una disciplina ed una legislazione della genomica che travalichi i confini nazionali; il senso della diversità genomica e la sensibilità del pubblico nei suoi confronti. Ho riportato l'elenco completo dei titoli degli interventi per dare l'idea dell'estrema articolazione delle riflessioni con cui ci siamo confrontati ed anche per sfatare l'immagine spesso evocata di uno scienziato per lo più indifferente ai problemi morali che il suo lavoro gli pone. Le mie sensazioni di osservatore italiano? Innanzitutto qualche motivo di ottimismo: la partecipazione dei nostri ricercatori italiani, certo anche per la sede, è stata rilevante (una settantina su 650 partecipanti), pari a quella dei tedeschi e appena inferiore a quella del Regno Unito (110) e degli Stati Uniti (105). Il contributo scientifico quale risulta dal numero degli autori italiani (210) sul totale degli autori (3600) che hanno collaborato a presentare relazioni o poster, pur non paragonabile a quello del Regno Unito o degli Stati Uniti riflette con il suo 6 per cento una situazione che, commisurata con la percentuale del reddito per finanziare la ricerca nel nostro Paese, si può definire dignitosa o anche miracolosa. Desolante è invece risultato un altro aspetto: dei circa 40 espositori che con i loro stand riflettevano l'interesse dell'industria biotecnologica verso le ricerche sul genoma umano, una ventina erano americani, 9 del Regno Unito, 5 della Germania, uno o due distribuiti in Francia, Olanda, Svezia e nessuno italiano, salvo una ditta di distribuzione di prodotti: una situazione da colonia che la dice lunga sul nostro futuro se non riusciamo (o vogliamo) correggere la rotta. Non era certo consolante l'assenza totale del mondo politico e del mondo imprenditoriale italiano. E suscita frustrazione constatare che certi rappresentanti del mondo politico torinese sfilano accanto a chi esprime il suo disagio compiendo atti illegali, mentre nessuno di loro bada ai giovanissimi ricercatori che, ugualmente privi di lavoro stabile, si danno da fare per contribuire al progresso culturale del Paese. A completare il quadro c'è il silenzio del giornalismo italiano, in quei giorni molto attento a seguire i viaggi all'estero del professor Di Bella. Fino a quando il nostro Paese non si renderà conto che la ricerca scientifica non è lusso ma un fattore trainante di benessere futuro sul quale investire parte della nostra ricchezza presente, temo che lo sforzo compiuto per avere a Torino un incontro così importante destinato a rimanere incompreso. Alberto Piazza Università di Torino


SCIENZE A SCUOLA.TECNOLOGIA SUL MARE Le barche estreme Dalla chiglia basculante all'albero alare
Autore: CABIATI IRENE

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, TRASPORTI, VELA
NOMI: ROMANELLI ANDREA, BUZZI SANDRO
ORGANIZZAZIONI: FILA, JUNOPLANO
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T. Caratteristiche fisiche di Fila e Junoplano

VELOCITA', stabilità, sicurezza. Sono queste le caratteristiche che cercano i progettisti di barche a vela destinate ai record. La scomparsa di Andrea Romanelli, uno dei protagonisti della grande avventura velica in mare e sul tavolo di progettazione, propone un dilemma che resta quasi sempre senza risposta. Vale la pena di affogare in mezzo all'oceano per un record? La vela estrema è un laboratorio in fermento, nel quale Romanelli era un vivace propositore, in stretto contatto con specialisti di altri settori come l'aeronautica e le telecomunicazioni. La ricerca riguarda i materiali, le forme, le attrezzature, l'abbigliamento e il cibo. Tutto ciò va anche a beneficio di chi naviga con barche da crociera: soluzioni avveniristiche diventano presto di serie. Uno dei settori di ricerca più stimolanti è il rimedio al ribaltamento, incidente che può accadere a qualsiasi barca. Contro le conseguenze di un rovesciamento sono stati perfezionati alcuni accorgimenti come l'albero stagno (riempito di schiuma non affonda); una forma appropriata della tuga (anche per evitare l'ingresso di acqua); l'uso di palloni gonfiabili, di carene liquide e di serbatoi da svuotare e riempire a seconda delle necessità (i ballast). La chiglia basculante, provata per la prima volta in regate oceaniche solitarie per ottimizzare la velocità, si è rivelata utile anche nel ribaltamento. Si tratta di una pinna alla cui estremità è appesa una zavorra che si muove come un pendolo spostandosi lateralmente. La chiglia basculante applicata su Fila, ha avuto un ruolo fondamentale nella tragedia del 3 aprile. "Ci ha salvato la vita - ha dichiarato Soldini -: la barca era stata capovolta dal frangente di un'onda. La testa d'albero si è infilata in acqua ad una velocità di 60 nodi, l'albero si è spezzato, lo scafo si è rovesciato di 180 gradi". Mentre nell'oceano, in piena notte, soltanto uno dei due uomini riusciva a salvarsi, all'interno, è bastato aprire una valvola che, con un sistema idraulico doppio di pistoni (azionabile anche elettricamente), ha fatto adagiare la zavorra della chiglia, da un lato di 45 gradi. Automaticamente lo scafo si è raddrizzato. La chiglia basculante non serve soltanto in casi estremi. E' una invenzione che aiuta ad andare più veloci: con più forza si contrasta il vento, più vela si può issare, più veloci si naviga. Lo si sta sperimentando da pochi mesi sul prototipo di Sandro Buzzi. Il suo Junoplano è un laboratorio di velocità. L'albero e le appendici sono stati studiati per sfruttare al massimo la spinta del vento e per contrastare il freno dell'acqua. Per modificare la posizione dell'albero, delle vele, delle appendici, basta premere i pulsanti, (sulla barra del timone) che governano l'attrezzatura. Non si fatica sui verricelli. Ma non è questo che rende Junoplano diverso da tutti gli altri scafi. Le innovazioni più rivoluzionarie arrivano dagli studi dell'ingegner Calderon dello staff di Stars and Stripes all'Americàs Cup del 1992: il Canting Ballast Twin Foils. Applicando alcune modifiche personali, Sandro Buzzi è in grado di far navigare Juno più forte del vento. Quali sono i principali interpreti di questo gioco ad incastro? La forma dello scafo (lunga e stretta) offre meno resistenza all'avanzamento (ha meno superficie bagnata). Ciò riduce la formazione dell'onda (la romantica scia di poppa è quasi scomparsa). La chiglia basculante (oscilla di 60 gradi per lato) può essere portata sopravvento tanto quanto è necessario per raddrizzare lo scafo grazie ad un pistone della potenza di 100 tonnellate allo stelo e alla zavorra di 4000 chilogrammi, a 4 metri di profondità. Per generare portanza si è divisa la superficie portante in due mezze chiglie (foils) due pinne a prua e poppa. I foils vengono fatti ruotare intorno al loro asse verticale, in tal modo il timoniere aumenta la portanza a seconda delle condizioni del vento. Si elimina così lo scarroccio della barca soprattutto nelle andature di bolina e lasco stretto. L'albero rotante in carbonio piantato in coperta, senza lande, completa la curvatura della randa (vela) portando la spinta del vento più verso prua e quindi dando maggior spinta alla barca che andando più veloce è anche più sicura. Le curva di stabilità della carena accoppiata alla zavorra mobile offre un ambito di stabilità molto elevato che rende quasi impossibile il ribaltamento dello scafo. Ma anche se la barca dovesse rovesciarsi, torna sempre in posizione eretta da sola. Come lo scafo di Giovanni Soldini. Irene Cabiati


SCIENZE A SCUOLA. NEL 1999 A PADOVA Le Olimpiadi della fisica Con la partecipazione di 65 Paesi
Autore: PEIRETTI FEDERICO

ARGOMENTI: FISICA, DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, PADOVA (PD)
NOTE: Olimpiadi Internazionali della Fisica

IL prossimo anno le Olimpiadi Internazionali della Fisica si terranno in Italia, a Padova, dal 18 al 27 luglio 1999. E' prevista la partecipazione di 65 Paesi e di 600 studenti, numeri che sottolineano il successo di un'iniziativa partita dalla Polonia nel 1967, dove erano presenti, alla prima olimpiade, solo 5 Paesi. La Fisica è una delle "specialità" delle Olimpiadi Internazionali della Scienza, i più prestigiosi giochi scientifici riservati agli studenti delle superiori. Le altre gare olimpioniche sono la Matematica, la più antica e la più popolare di queste competizioni, la Chimica, l'Informatica, la Biologia e l'Astronomia. I giochi della Fisica, ai quali l'Italia ha aderito nel 1987, hanno ormai raggiunto la popolarità di quelli della Matematica e coinvolgono centinaia di migliaia di studenti di tutto il mondo. Nel nostro Paese l'organizzazione è affidata all'Associazione per l'insegnamento della fisica, che prepara le gare di selezione dalle quali deve emergere la squadra dei cinque campioni, i rappresentanti dell'Italia nella gara internazionale, che si terrà quest'anno, nel mese di luglio, a Reykjavik. In questo periodo sono in corso le gare di selezione: quest'anno hanno coinvolto trentamila studenti. Le gare sono divise in due sezioni. La prima, più semplice, è riservata agli studenti del biennio delle superiori, la seconda è per gli studenti del triennio ed è tra questi ultimi, attraverso gare a diversi livelli, che vengono selezionati una settantina di studenti i quali partecipano poi alla gara nazionale di Senigallia. Da quest'ultima gara uscirà la squadra olimpionica. L'Italia ha già conquistato negli anni scorsi, oltre a diverse medaglie d'argento e di bronzo, anche una medaglia d'oro, grazie a uno studente del Liceo Classico Cavour di Torino, Davide Gaiotto, a conferma del fatto che una buona preparazione di base, quale può essere quella fornita da un liceo classico, è determinante anche in campo scientifico. Le scuole che intendono iscriversi alla gara devono inviare una lettera di adesione, firmata dal capo d'istituto, alla segreteria del Progetto Olimpiadi, presso il Liceo Scientifico G. Bruno, via Baglioni 26 - 30173 Venezia Mestre. e-mail: olifis&setrade.it. Per informazioni ci si può collegare all'AIF: http:wwv.mclink. it/assoc/aif/olimpia.htm Le Olimpiadi Internazionali della Scienza sono invece ospitate nel sito della Eindhoven University of Technology: http://olympiads.win.tue.n l/index.html. Su queste pagine è possibile trovare i problemi delle edizioni precedenti e tutte le informazioni sulla gara, compresa un'utile bibliografia dei testi da leggere per potersi preparare alla competizione. Allo studente delle superiori che voglia misurare la propria forza nel campo della fisica o all'insegnante che voglia portare in classe un modo diverso di fare fisica, per problemi, andando oltre il libro di testo, raccomandiamo ancora l'ampia serie di problemi pubblicati da Zanichelli Le Olimpiadi della Fisica - Problemi dalle gare italiane e internazionali. Ogni problema è accompagnato da una dettagliata soluzione a cura dei responsabili italiani della manifestazione i quali, a proposito del modo di risolvere un problema e dello stato d'animo con cui lo si deve affrontare, scrivono: "La ricerca della via per la soluzione di un problema è una fase creativa, non si possono dare ricette per trovare i collegamenti necessari; non sappiamo nemmeno se la ricerca avrà successo, o in che direzione ci porterà. Due ingredienti sembrano comunque necessari: il desiderio di risolvere il problema e una sicura conoscenza della materia. E' difficile compiere atti creativi se non siamo interessati a quanto stiamo facendo: potremo al massimo seguire meccanicamente procedimenti già noti e fissati interamente, ma ciò non significa risolvere problemi". Federico Peiretti


SCIENZE FISICHE. MUSICA Lo strumento universale Un computer per creare tutti i suoni
Autore: ROTA ORNELLA

ARGOMENTI: MUSICA, TECNOLOGIA, INFORMATICA
NOMI: BELGERI GISELLA, DI GIUGNO GIUSEPPE
ORGANIZZAZIONI: CEMAT (CENTRI MUSICALI ASSOCIATI)
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

UN pianoforte, o un violino, servono per musiche e tempi i più diversi: Mozart e il festival di Sanremo, Chopin, il jazz e l'opera lirica. Perché non potrebbe esistere uno strumento altrettanto duttile per le composizioni elettroacustiche? E' questo, il senso della Macchina del 2000: progetto dei Centri Musicali Associati (Cemat, presidente Gisella Belgeri), coordinatore scientifico il fisico Giuseppe Di Giugno, lo stesso che, a fine Anni 70, chiamato a Parigi da Pierre Boulez, realizzò il Laboratorio di informatica musicale in tempo reale dell'Ircam. Composta di moduli base assemblabili tra loro, ognuno dei quali capace di 1 miliardo di calcoli al secondo per trattare i suoni (cioè analizzarli, sintetizzarli ed elaborarli in tempo reale), la Macchina del 2000 dovrà essere flessibile, non dipendente dalla tecnologia del tempo e continuamente perfezionabile, programmabile a seconda delle esigenze, accessibile per costi e trasportabile come dimensioni. Preventivo, 7 miliardi; probabile conclusione dei lavori, entro la fine del 2000. Due le equipe impegnate: una musicale e una scientifica. Quest'ultima è composta da docenti universitari di Roma (Tor Vergata), Napoli, Genova, da ricercatori del Cnr (di Pisa), dall'Istituto per la ricerca dell'industria e dello spettacolo (Iris) e dal Centro Ricerche Musicali di Roma (Crm, che alla produzione musicale affianca la ricerca scientifica). "In questa prima fase", dice Giuseppe Di Giugno, "l'hard ware è abbastanza universale, mentre il software è indirizzato alla musica. Ad adattarlo ai settori più disparati provvederanno, in futuro, altri esperti". Vastissimo, il campo delle future applicazioni possibili: dall'industria anche aerospaziale alla lotta contro l'inquinamento acustico, dall'accelerazione dei servizi Internet alle diagnosi mediche (ad esempio, gli studi sul battito del cuore) fino alle inchieste giudiziarie, dove la voce potrebbe diventare fattore di riconoscimento persino più preciso delle impronte digitali. " Succederà come i personal computer di oggi", commenta il fisico, " mentre noi li utilizziamo per scrivere, giochi, grafica o altre cose del genere, ci sono ricercatori che elaborano programmi finalizzati a soddisfare tutt'altre esigenze". Fin dagli inizi (Anni 50) della musica elettroacustica, a compositori e interpreti del nostro Paese, degli altri europei e oltreatlantico, si è presentato il problema della diversità, a volte incompatibilità, dei sistemi rispettivamente utilizzati. Nel tempo sempre più sofisticati, potenti e complessi, ciascuno era ideato per rispondere alle esigenze di singoli artisti o di Centri di ricerca. Con il risultato, dice Michelangelo Lupone, compositore e direttore artistico del Crm, di rendere molto difficili gli scambi e praticamente impossibile il riascolto di opere precedenti, realizzate con macchine che non esistono più. "A chi vivrà nel 2100 e oltre", dice Di Giugno, "la Macchina del 2000 renderà possibile sia ascoltare le opere elettroacustiche composte in passato, sia riproporne le partiture - scegliere, per limitarci all'ambito nazionale, brani di Lupone o Nono o Berio così come oggi si fa con Puccini o Respighi o Albinoni" . E' un sogno lungo, questa "Dream machine", come la chiamano i musicisti del Cemat. Il fisico ci pensa dagli Anni 70 quando, abbandonato il Cern, fondò nella facoltà di Fisica dell'Università di Napoli un gruppo (tuttora operante) per la ricerca in campo elettroacustico e audiodigitale, al contempo collaborando con il Laboratorio della Bell Telephone a New York e con il Centro di intelligenza artificiale di Standford. Nacquero così, prima a Napoli il sistema audiodigitale "4A", poi, a Parigi, una ventina di anni fa, la "4X", prima macchina a porsi con dichiarata ambizione di essere aperta a tutti i linguaggi musicali. Fino ad allora, ricorda Lupone, "un compositore doveva, prima di cominciare a scrivere, verificare con quale sistema avrebbe potuto esprimersi, e in base a esso regolarsi; con la 4X, invece, era l'artista a decidere che cosa voleva fare, e la macchina veniva configurata di conseguenza". Ma costava troppo: circa 200 milioni di allora. Finì che questo strumento, ideato per i musicisti e realizzato all'Ircam, fu comprato da società industriali e anche militari, che lo usarono per controllare simulatori di volo, centrali atomiche, sottomarini - insomma, niente a che fare con la musica. Tornato in Italia nell'86, Di Giugno fonda l'Iris (a Paliano, vicino a Frosinone), composto di una ventina tra fisici, ingegneri e informatici. Un contesto che mette a punto la Musical Audio Research Station (Mars), capace di prestazioni molto superiori alla 4X, oggi diffusa un po' ovunque nel mondo - specie nei Conservatori e negli Istituti di ricerca - anche per i costi limitati e le dimensioni ridotte. Con la Mars si possono riproporre, ad esempio, tutte le opere a suo tempo composte da Nono, nello studio di Friburgo, con macchine enormi, intrasportabili. "Ma i musicisti, come chiunque pratichi l'informatica del resto", dice Giuseppe Di Giugno, "vogliono sempre qualcosa in più; invenzioni e innovazioni non bastano mai". L'ideale? "Un supercalcolatore veramente capace di adeguarsi all'intelligenza umana", risponde Michelangelo Lupone, " fare corpo unico con chi la usa, essere il prolungamento del suo pensiero. Per i musicisti, questo comporterà un rinnovamento anche in fatto di creatività". Ornella Rota


SCIENZE DELLA VITA. FARMACI Malattie articolari: nuova cura
Autore: PELLATI RENZO

ARGOMENTI: FARMACEUTICA
ORGANIZZAZIONI: CENTER FOR DISEASE AND PREVENTION
LUOGHI: ITALIA

IL maggior osservatorio mondiale di epidemiologia (Center for Disease and Prevention di Atlanta) ha previsto che nel 2000 le malattie articolari, che oggi colpiscono più del 10% della popolazione mondiale, avranno un incremento superiore a qualsiasi altra malattia, anche per via dell'invecchiamento della popolazione. A sollievo di questi pazienti oggi sono molto diffusi i cosiddetti Fans (farmaci antiinfiammatori non steroidei), che però hanno il grave inconveniente della gastrolesività. Anche l'aspirina, usata sia per le forme articolari sia per la prevenzione delle malattie cardiovascolari, può danneggiare la mucosa gastrica. Recenti ricerche ci dicono che sarà possibile avere farmaci non gastrolesivi, perché è stata dimostrata l'esistenza di due particolari enzimi: la ciclossigenasi 1 (Cox-1) che favorisce la sintesi delle prostaglandine deputate alla protezione della mucosa gastrica e di altri organi, e la ciclossigenasi 2 (Cox-2) preposta alla sintesi delle prostaglandine responsabili degli effetti infiammatori. I farmaci antiinfiammatori oggi disponibili inibiscono entrambi gli enzimi suddetti. Di conseguenza riducono l'infiammazione, ma riducono anche la presenza di prostaglandine dotate di effetto gastroprotettivo. Per risolvere il problema, la ricerca aveva una sola possibilità: individuare una nuova classe di farmaci capaci di inibire specificatamente la ciclossigenasi 2 (responsabile della reazione infiammatoria), senza inibire la ciclossigenasi 1, alla base della sintesi delle prostaglandine gastroprotettive. Il tentativo è riuscito. E' in avanzata sperimentazione un farmaco inibitore specifico della Cox-2 denominato celecoxib, messo a punto da Philip Needdleman, farmacologo all'Università di Washington, ora direttore della Ricerca Searle. La molecola sarà a disposizione per uso clinico nel 2000, dopo ulteriori indagini sul dosaggio. L'interesse per questa molecola è notevole: si calcola che ogni giorno assumano antiinfiammatori 30 milioni di persone nel mondo, di cui il 20% soffre di lesioni gastriche più o meno evidenti. Uno studio della Regione Friuli Venezia Giulia ha identificato 1505 pazienti (dal '91 al '95) ricoverati per danni gastrointestinali a causa di Fans. Renzo Pellati


Sildenafil La pillola della virilità
Autore: G_FO

ARGOMENTI: BIOLOGIA, FARMACEUTICA, SESSO
LUOGHI: ESTERO, AMERICA, USA

LA chiamano "pillola della virilità": dal 27 marzo, quando negli Stati Uniti l'ente che sovrintende ai cibi e ai farmaci (Food and Drug Administration) l'ha approvata a spron battuto (cioè a meno di sei mesi dalla richiesta), questo nuovo farmaco va a ruba. Da noi dovrebbe arrivare verso la fine di quest'anno o l'inizio del 1999. La storia è cominciata per caso, come spesso succede nella ricerca. Nel 1987 il colosso farmaceutico Pfizer cominciò a sperimentare in Gran Bretagna una nuova sostanza, detta Sildenafil, sintetizzata con la speranza che fosse attiva contro l'angina pectoris. I risultati erano però deludenti, tanto che sei anni dopo il progetto stava per essere accantonato. Sennonché si cominciò a notare che il Sildenafil aveva effetti del tutto inattesi in un campo molto diverso da quello per cui era nato. Il nuovo principio attivo si distingue notevolmente da quelli accennati nell'articolo qui a fianco, sicché non ha nemmeno senso definirlo afrodisiaco. Infatti esso non crea stimoli sessuali dal nulla: al contrario, interviene solo in seguito all'insorgere naturale del desiderio, rimediando all'inceppamento di certi meccanismi fisiologici. Di fatto, il Sildenafil sostiene l'azione dell'ossido nitrico (monossido d'azoto), sostanza presente in piccolissime tracce nel nostro organismo con funzioni di neurotrasmettitore. Esso attiva il guanosin- monofosfato ciclico (c-GMP), che fa rilasciare la muscolatura liscia e così permette l'afflusso di sangue; questo provoca il turgore necessario all'accoppiamento. Il deflusso è in seguito garantito da un enzima, una fosfodiesterasi, che disattiva il c-GMP. Il Sildenafil limita l'azione di quest'enzima, quando il suo normale rapporto d'antagonismo col c-GMP risulta alterato. Ecco dunque, a quanto pare, un rimedio adatto a curare un buon numero di casi d'impotenza. Vale la pena d'insistere su questa natura terapeutica per vari motivi. Innanzitutto, come spesso succede con le medicine, anche il Sildenafil in certi soggetti può avere effetti collaterali sgraditi: mal di testa, vampate di calore, disturbi della digestione, alterazioni della vista (soprattutto nella percezione dei colori). Inoltre può essere pericoloso in associazione con altri trattamenti, come i cerotti transdermici di nitroglicerina per la cura dell'angina pectoris o le terapie antipertensive. L'effetto del Sildenafil dura al massimo un'ora, e non se ne può prendere più d'una dose al giorno. Insomma: come per qualunque medicinale, anche per questa novità è doveroso seguire le prescrizioni mediche. A parte inconvenienti e limitazioni, una volta chiarito che il Sildenafil va visto nella luce opportuna, cioè solo come un aiuto contro l'impotenza, disturbo che è certamente giusto curare, si potrebbe avere un altro effetto benefico. Questo farmaco, che s'annuncia così importante, non forza la natura, ossia non dà un'eccitazione fisica indipendente dal normale desiderio; si può dunque sperare che contribuisca a spazzar via il mito degli afrodisiaci, cioè a far capire che è tanto utile rimediare a una disfunzione, quanto è assurdo inseguire certe straordinarie prestazioni sessuali che solo una fantasia degradata spinge a sognare.(g. fo.)


FINANZIAMENTI Sulla ricerca italiana non piove più
Autore: P_BIA

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, FINANZIAMENTO, STATO
NOMI: PIAZZA ALBERTO, MALDOLESI JACOPO, ABBOTT ALLISON, BERLINGUER LUIGI
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, ROMA

DOMANI, 30 aprile, scade il termine per presentare al ministero dell'Università le domande di finanziamento per il 1999. A settembre si saprà chi è promosso e chi è bocciato. Come sta il sistema ricerca del nostro Paese? L'investimento in ricerca rimane il più basso dei Paesi sviluppati, poco sopra l'1 per cento del prodotto interno lordo: meno di Irlanda e Slovenia, circa un terzo del Giappone e degli Stati Uniti, la metà di Francia e Germania. A pagina 3 di questo numero di "Tuttoscienze" Alberto Piazza fa in punto sul Progetto Genoma, diretto per la parte italiana dal premio Nobel Renato Dulbecco; ebbene, dal 1995 il Cnr e le altre fonti di finaziamento pubbliche si sono inaridite, sicché l'Italia rischia di essere tagliata fuori dai risultati di questa grande ricerca internazionale e di perdere il passo in un settore fondamentale della biomedicina. Il ministro Berlinguer ha scaricato la responsabilità sul presidente del Cnr Lucio Bianco, che a sua volta ha girato la critica alle precedenti gestioni. Mentre si discute, Dulbecco prepara le valigie... Ma si vedono anche, per fortuna, i primi positivi segnali di un modo diverso di amministrare i (pochi) fondi disponibili. Finalmente la distribuzione del denaro che il ministero destina alla ricerca universitaria non segue più i vecchi criteri "a pioggia" ma si ispira a un meccanismo selettivo serio, efficiente e sottoposto a controlli oggettivi. E c'è anche una inversione di tendenza, perché i miliardi da assegnare sono 200, con un aumento del 60 per cento. Fino a ieri la filosofia era quella di non scontentare nessuno. Così su cento domande di finanziamento 90 venivano accolte. Ma, come si dice a Napoli, dividi ricchezza e avrai povertà: ai singoli progetti arrivavano poche decine di milioni, una minima frazione della somma richiesta, soldi che non servivano a niente, neppure ad avviare il lavoro. Risultato: il denaro si spendeva ugualmente ma senza nessun esito. Molti responsabili di progetti di ricerca con quei fondi pagavano a stento le spese telefoniche. Finanziamenti a pioggia, dicevamo, ma forse la metafora è fuorviante. Sarebbe meglio parlare di irrigazione goccia a goccia, quasi indipendente dai meriti dei ricercatori e dal valore del progetto presentato. I primi cambiamenti di rotta si sono già visti nell'ultimo anno. Solo un quarto dei progetti presentati ha trovato accoglienza, gli altri tre quarti sono stati tagliati fuori perché inattendibili o non ritenuti strategici. Conseguenza: i pochi progetti finanziati hanno ottenuto somme vicine alla cifra che era stata richiesta, sicché è stato realmente possibile compiere il lavoro. Anche i criteri - fa osservare Jacopo Meldolesi, ordinario di farmacologia all'Università di Milano e componente della nuova e snellita commissione selezionatrice nominata del ministero - sono diventati credibili e trasparenti: valutano i progetti osservatori indipendenti e autorevoli, italiani e stranieri. Che le cose stiano cambiando lo ha rilevato anche Allison Abbot su "Nature" (9 aprile) e si vede persino dal sito Internet del ministero (http://www.murst.it), dove basta cliccare sulle voci Università, co finanziamento, anno 1997 e relazione fi nale per capire come sono andate le cose. La svolta ha avuto già un effetto positivo: pare che quest'anno il numero delle richieste di finanziamento sia nettamente diminuito. Evidentemente c'è un'autoselezione: chi non si sente in grado di competere seriamente, rinuncia. Tanto si sa che non piove più.(p. bia.)




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