TUTTOSCIENZE 25 marzo 98


SCIENZE FISICHE. OLTRE EUCLIDE Problemi di aritmetica estrema Esiste un limite al numero più grande?
Autore: DAPOR MAURIZIO

ARGOMENTI: MATEMATICA
NOMI: ROTMAN BRIAN
LUOGHI: ITALIA

SE chiedi a un matematico, sostiene Brian Rotman sulla rivista The Sciencies, di spiegarti la natura degli oggetti che egli studia - numeri, punti, linee, insiemi, spazi - egli ti esporrà una visione platonica secondo la quale gli oggetti matematici si trovano da qualche parte là fuori "esistenti prima degli esseri umani e della loro cultura, insensibili ai cambiamenti, indipendenti dalla materia e dall'energia, oltre i confini e le necessità dello spazio e del tempo, eppure in qualche modo accessibili alle menti dei matematici". Il punto di vista di Rotman è che quell'idea platonica sta per essere superata grazie alla nascita ed allo sviluppo della matematica sperimentale. Ma di che cosa si tratta? Innanzitutto, osserva Rotman, dobbiamo fare i conti con i computer, che non percepiscono gli oggetti matematici ma, piuttosto, li costruiscono. Ciò induce a ritenere che gli oggetti della matematica siano in realtà pure costruzioni e non entità ideali pre-esistenti: già nel secolo scorso Leopold Kronecker scriveva che "Dio fece gli interi, il resto è lavoro dell'uomo" e, più recentemente, Jan Brouwer ha dato giudizi molto severi su un certo tipo di dimostrazioni della matematica. In particolare egli si riferisce a una tecnica di dimostrazione classica, nota a tutti fin dai tempi della scuola superiore e ampiamente utilizzata per dimostrare l'esistenza di certi enti matematici. Il metodo funziona così: si assume innanzitutto che l'oggetto non esista e poi si dimostra con il ragionamento che questa ipotesi conduce ad una inevitabile contraddizione. A questo punto si conclude che quell'oggetto deve esistere. Un famoso teorema, che si deve ad Euclide, dimostra in questo modo che debbono esistere infiniti numeri primi. La dimostrazione si basa sull'ipotesi che, se così non fosse, dovrebbe esistere il numero primo più grande di tutti, diciamo P. Con questa ipotesi si può far vedere che allora esiste un numero primo più grande di P. Siccome questa conclusione è in palese contraddizione con l'ipotesi dalla quale è scaturita, l'ipotesi è assurda. Pertanto se ne dovrebbe dedurre che i numeri primi sono infiniti. " Sbagliato]", dice Brouwer che, tra l'altro, è un logico: se gli oggetti matematici non esistono là fuori indipendentemente dalla mente dei matematici o dai circuiti integrati dei computer che li costruiscono, ebbene in questo caso l'unica prova accettabile per l'esistenza di un oggetto matematico è una ricetta per costruirlo. Pertanto l'infinito deve sparire dalla matematica. Infatti non è possibile fornire alcuna ricetta per costruire un numero infinito. Secondo Rotman la matematica deve imparare a confrontarsi con la realtà della computazione. Per fare questo è necessario immaginare una aritmetica non- euclidea: potrebbe essere, infatti, che l'aritmetica a noi familiare avesse solamente un valore locale. Perché non ammettere che anche le operazioni aritmetiche più elementari, se effettuate tra numeri molto grandi, potrebbero funzionare in maniera differente rispetto alla loro applicazione a numeri di dimensioni ordinarie, i numeri cioè a noi familiari? Questa considerazione induce Rotman a separare i numeri in due gruppi: i numeri contabili e quelli non contabili. Se ad esempio una cultura primitiva considerasse contabili i numeri inferiori al numero delle dita delle mani, il numero 11 sarebbe non contabile. Per quella cultura 11 sarebbe semplicemente non accessibile. Ma per noi esistono sicuramente dei numeri non accessibili. Molto maggiore di 10, certo] Potremmo immaginare, ad esempio, che un computer ideale, grande quanto l'intero universo, possa contare utilizzando tutta l'energia disponibile nell'universo stesso. Utilizzando le stime dei fisici attorno al valore che la massa- energia dell'universo visibile pare possedere, è possibile calcolare, per mezzo della termodinamica e della teoria dell'informazione, il numero massimo M che questo ipotetico immenso computer potrebbe raggiungere, semplicemente contando. Si tratta dell'equivalente di quanto rappresentano le 10 dita delle mani per quella ingenua cultura menzionata poco sopra. Si tratta dunque del limite superiore per i numeri contabili. Al di sopra di esso, se accettiamo questa visione costruttivista della dimostrazione matematica, esistono numeri che possiamo certo trattare ma le cui proprietà potrebbero essere differenti da quelle a noi familiari: le proprietà di aritmetiche non-euclidee, appunto. Maurizio Dapor


SCIENZE A SCUOLA. RISERVATO AGLI STUDENTI: ECCO IL BANDO Una settimana per giocare all'astronomo Potete vincere un corso estivo presso l'Osservatorio di Pino Torinese
Autore: T_S

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, DIDATTICA, CONCORSI
ORGANIZZAZIONI: LA STAMPA, TUTTOSCIENZE, ADA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, PINO TORINESE (TO)

CONSIDERATELO il nostro modo di inserirci nella "Settimana della cultura scientifica" che si sta svolgendo in questi giorni con più di cinquemila manifestazioni in tutta l'Italia: proponiamo ai nostri lettori più giovani l'opportunità di trascorrere una settimana presso l'Osservatorio di Torino, per partecipare a corsi di astronomia teorici e pratici. Come abbiamo già annunciato mercoledì scorso, l'Associazione per divulgazione dell'astronomia (Ada), in collaborazione con "Tuttoscienze" e con il Comune di Pino Torinese, e con il patrocinio della Regione Piemonte, del Provveditorato agli studi della provincia di Torino, dell'Alenia Spazio, della Cassa di Risparmio di Torino e dell'Istituto Bancario San Paolo, organizza due corsi estivi della durata di una settimana ciascuno per avviare studenti delle scuole medie superiori alla conoscenza dell'astronomia e dell'astrofisica, anche come orientamento nella scelta degli studi universitari. I corsi si terranno nelle settimane dal 22 al 27 giugno e dal 31 agosto al 5 settembre. Ogni corso prevede una permanenza di 6 giorni (dal lunedì al sabato) presso l'Osservatorio astronomico a Pino Torinese (a 15 chilometri da Torino) e si articolerà in una serie di lezioni diurne seguite da osservazioni durante la notte. Gli studenti, in numero massimo di 20 per ogni corso, verranno alloggiati a Pino Torinese presso famiglie e trasferiti in bus all'Osservatorio per le lezioni. Potranno partecipare gli studenti iscritti alle scuole superiori e con età di almeno 15 anni. L'ammissione verrà decisa da un comitato di selezione costituito da tre docenti di astronomia e astrofisica indicati da Ada, "Tuttoscienze" e Comune di Pino Torinese. I concorrenti dovranno inviare a "La Stampa-Tuttoscienze" (via Marenco 32 - 10126 Torino) entro il 18 aprile due temi di 60 righe di 60 caratteri ciascuno su argomenti di astronomia e astrofisica, uno libero e uno scelto tra quelli che qui proponiamo: 1) Che cos'è il big bang? 2) Newton e la mela: la legge di gravitazione universale 3) Le leggi di Keplero e i moti planetari 4) Il Sole: la sua importanza per l'astrofisica moderna 5) La produzione di elementi chimici nel cosmo 6) Telescopi e ricevitori: come migliorano le nostre capacità di indagare il cosmo Nella lettera di accompagnamento ai temi, che dovrà essere controfirmata da un insegnante, i concorrenti dovranno indicare: a) data e luogo di nascita; b) classe e scuola frequentata; c) interessi extrascolastici (sport, letture...); d) la settimana prescelta per il corso. I risultati della selezione saranno pubblicati su " Tuttoscienze" del 30 aprile e le ammissioni saranno notificate ai vincitori con lettera raccomandata entro il 15 maggio. Entro il 30 maggio i vincitori dovranno inviare una lettera di accettazione corredata dalla dichiarazione di regolare iscrizione alla scuola di appartenenza. La graduatoria definita dal Comitato è insindacabile. (t. s.)


SCIENZE A SCUOLA. ANNIVERSARI Il Redi biologo e poeta
AUTORE: GABICI FRANCO
ARGOMENTI: BIOLOGIA
PERSONE: REDI FRANCESCO
NOMI: REDI FRANCESCO
LUOGHI: ITALIA

POCO più di 300 anni fa, il 1o marzo 1698, moriva a Pisa Francesco Redi, filosofo e naturalista che qualcuno ha definito "l'uomo più indaffarato del suo secolo". Nato ad Arezzo il 18 febbraio 1626, Redi è oggi ricordato come il fondatore della biologia moderna, una disciplina alla quale impose un metodo secondo i grandi principi ispiratori della scienza seicentesca. Epigono di Galilei, il Redi tenne moltissimo ad essere chiamato un "filosofo sperimentatore" e come tale accusò di "credulità" quanti si affidavano alle testimonianze anziché basarsi sulla osservazione diretta. Secondo Redi la verità non deve essere ricercata nei libri, "ma fa di mestiere lavorare di propria mano", secondo il modello del filosofo sperimentatore "che non ha intenzione mai di affermare con certezza, se non quanto con gli occhi propri, dopo molte prove e riprove, ha osservato". Non a caso fece assumere alla Accademia del Cimento il galileiano motto "provando e riprovando". La fiducia nel metodo sperimentale è ribadita dalla minuziosa descrizione dei suoi esperimenti e dall'attenzione per tutto quanto possa aumentare la capacità di indagine: non ci stupisce, quindi, una sua "Lettura intorno all'invenzione degli occhiali" (1678) dove questi sono esaltati come "strumento cotanto utile, e degno veramente d'esser noverato tra più giovevoli ritrovamenti dell'ingegno umano". Redi fu archiatra alla corte del granduca di Toscana e sovrintendente della fonderia e spezieria. I più grandi personaggi richiedevano spesso i suoi consulti per cui Redi non aveva molto tempo da dedicare alle sue molteplici attività non solo di scienziato ma anche di letterato. E nelle sue lettere lamentava spesso il peso delle sue occupazioni che lo costringevano a dedicarsi ai suoi amati lavori "a tempi stiracchiati". Gran curioso del sapere, aveva in casa propria una biblioteca ricchissima dei testi più strani che pareva quella del manzoniano don Ferrante. La sua versatilità nelle lingue gli consentiva di leggere perfino testi arabi. Redi, che nel nome del razionalismo cartesiano e del metodo sperimentale di Galileo sembrava divertirsi a mettere alla prova convinzioni e tradizioni fino allora accettate, contestò il principio della " generazione spontanea", una delle idee cardine dell'aristotelismo che aveva trovato seguaci anche in San Tommaso, William Harwey e persino in Isaac Newton. Con un semplice esperimento, Redi dimostrerà che solamente dalla carne putrefatta esposta alle mosche apparivano vermi, mentre non si aveva traccia alcuna sulla carne putrefatta opportunamente protetta. I vermi, dunque, non nascevano spontaneamente, ma crescevano da larve che venivano depositate dalle mosche. Ma l'idea della "generazione spontanea" era dura a morire. Con la scoperta dei microbi, infatti, molti pensarono che questi esseri crescessero dalla materia morta, e la generazione spontanea riprese quota. In seguito Lazzaro Spallanzani avanzò di nuovo dubbi e alla fine il colpo decisivo alla generazione spontanea venne inferto dalle ricerche e dai successi di Pasteur. Molto interessanti anche i suoi "Consulti medici", basati sul concetto di una "natura" considerata la vera operatrice delle guarigioni. E il medico, con la sua azione, deve rispettarla ristabilendo nel corpo del paziente una armonia naturale. Grande eclettico, Redi scrisse anche "Osservazioni intorno alle vipere" (1664), si interessò di dialetti e di etimologie, fu buon disegnatore, suonatore di flauto e anche abile schermidore. Insomma, molto di più di quel letterato e cortigiano che sui banchi del liceo ci è stato presentato come una figura minore del panorama del Seicento e che affidò la sua fama all'opera letteraria in versi "Bacco in Toscana". Franco Gabici


SCIENZE FISICHE. VESTITI ELETTRONICI Un computer da indossare
Autore: VALERIO GIOVANNI

ARGOMENTI: ELETTRONICA, TECNOLOGIA
NOMI: PENTLAND ALEX
ORGANIZZAZIONI: MIT
LUOGHI: ITALIA

IL primo fu l'orologio: l'idea di portarlo al polso venne a John Harrison nel 1762. Più di due secoli dopo, è così "integrato" che non ci accorgiamo neanche più di averlo, tanto che qualcuno non lo toglie neppure per andare a dormire. Ora tocca al telefono cellulare. Da status symbol, il "telefonino" è diventato per molti un compagno inseparabile. Sempre più piccolo e discreto, si nasconde nei taschini o, più malizioso, in ridottissimi costumi da bagno. Presto sarà normale portarlo con sè 24 ore su 24. Quando accadrà la stessa cosa per il computer? Quando, invece di tenerlo nelle valigette, lo porteremo con noi, su di noi, indossandolo proprio come un vestito? Presto. I computer portatili stanno diventando sempre più leggeri e ancora più potenti, facilmente trasportabili, capaci di rispondere a comandi vocali senza trascinarsi dietro ingombranti tastiere. L'evoluzione dell'informatica porterà al "wearable computer", il computer da indossare: ne è convinto Alex Pentland, un professore del Mit, il Massachusetts Institute of Technology, vera e propria culla del futuro. Da qualche anno, il gruppo di ricerca di Pentland sta progettando il "wearable computer": un pc flessibile pesante meno di un chilo, da portare come una cintura, invisibili microfoni per comandi vocali, occhiali all'apparenza normali che nascondono un display nella lente. I vantaggi? Il calcolatore da indossare funziona sempre, per usarlo non servono le mani, può comunicare in qualunque momento con altre persone (o altri computer, che è la stessa cosa) e ha sensori che percepiscono il mondo esterno. Dopo il primo simposio internazionale, tenutosi lo scorso ottobre a Boston, i "wearable computer" sono più di una curiosità per fan delle nuove tecnologie. Per ora sono un business da zero dollari ma per molti rappresentano la prossima grande rivoluzione del mercato informatico. In attesa di creare una nuova moda pret-à- calculer, i primi computer da indossare sono apparsi, e con successo, nell'avanzatissimo mondo dell'aeronautica. Boeing e McDonnell Douglas hanno infatti sviluppato il sistema Marss (Maintenance And Repair Support System): un computer Pentium con comandi vocali e un casco-display, come quelli usati nella realtà virtuale. In questo modo, gli addetti all'assemblaggio e alla manutenzione di aerei possono vedere sul display i tracciati e gli schemi dei circuiti da costruire (o da riparare) ricevendo via via le istruzioni necessarie. Risultato: le mani sono libere per lavorare, non si usano più pesantissimi manuali, tempo (e quindi denaro) risparmiato. Al solito, i militari hanno approfittato delle nuove tecnologie dei " wearable computer" già dalla Guerra del Golfo. Il Mobile Assistant di Xybernaut può fornire a ogni soldato mappe precise del territorio, con posizioni aggiornate in tempo reale da un sistema Gps e da una telecamera. La miniaturizzazione crescente non potrà che aprire la strada al computer da indossare. Cellulari e Pda (Personal Digital Assistant) sono sempre più piccoli e spesso integrati tra loro. Telefono e posta elettronica finiranno presto in un unico apparecchio, così piccolo da tenere al polso. Proprio come un orologio. Tutto sembra concordare con le previsioni del professor Pentland. Dai giganteschi computer sul pavimento degli Anni 50 ai pc da scrivania degli Anni 70, passeremo a quelli da indossare del 2000. E la quarta rivoluzione informatica sarà quella dei computer "dentro" il corpo. Giovanni Valerio


SCIENZE DELLE VITA. IL FALABELLA Perfetta miniatura di un cavallo Deriva dagli equidi portati in America dagli spagnoli
Autore: MARTINENGO MARQUET ROBERTO

ARGOMENTI: ZOOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

TRA le tante curiosità non ancora completamente spiegate che la natura ha prodotto, esiste anche il cavallo in miniatura. Si potrebbe pensare ai notissimi ponies inglesi, delizia dei nostri bambini. Invece vogliamo descrivere - e cercare di spiegare nelle sue origini - una razza di cavalli che non sono ponies ma, appunto, veri e propri cavalli in miniatura. E, diciamolo subito, senza alcun intervento d'ingegneria genetica o altre manipolazioni. Innanzitutto, la storia. Il cavallo che noi conosciamo non esisteva in epoca storica nelle due Americhe fino all'arrivo dei colonizzatori, ancorché la famiglia degli equidi sia originaria del Nord America, da dove, verso la fine del Terziario (trenta milioni di anni fa), passò per migrazione prima in Asia e poi in Europa, scomparendo dal luogo d'origine. Il nostro cavallo in miniatura discende quindi dai cavalli che i conquistadores spagnoli portarono seco per nave, obbligati a questo mezzo di trasporto e di fatica per coprire le immense distanze del subcontinente sudamericano. Gli scontri con gli indigeni e gli avvenimenti bellici portarono alla libertà alcuni di questi cavalli che, trovando un luogo favorevole alla sopravvivenza, si diffusero rapidamente nelle immense pianure dell'attuale Argentina. Le condizioni ambientali imposero però alcuni mutamenti genetici dovuti al clima, al cibo ed alle complessive condizioni così diverse da quelle della loro terra natale. Dagli originali cavalli andalusi il vento del Sud, le tempeste, il rado cibo delle pampas hanno creato il "criollo", più piccolo, più resistente, più docile e quindi in sostanza più adatto alla nuova patria. Tutto ciò fin verso la metà dell'Ottocento. Allora tra questi cavalli già così cambiati avvenne una vera e improvvisa - quindi inspiegabile - mutazione genetica. Verso la metà del secolo scorso nella provincia a Sud di Buenos Aires degli indiani Mapuche compare uno stalloncino grande meno della metà di un cavallo normale, non affetto da malformazioni, anzi perfettamente proporzionato. Un ranchero locale, Newton o Newtall (le notizie non sono sicure), avo del se~nor Falabella, riuscì a catturarlo. I successivi incroci, sperimentali ma volti ad un preciso disegno, avvenuti sempre nella famiglia, ne fecero il progenitore della razza chiamata ancora oggi, in tutto il mondo, Falabella. I dati. Si tratta della perfetta miniatura di un cavallo normale. Il peso varia tra gli 80 e i 110 chilogrammi, a seconda del sesso e dell'età. La statura è compresa tra i 75 e gli 85 centimetri al garrese, lo stinco sta tra 9 e 12 centimetri di circonferenza (le corrispondenti misure di un cavallo normale, di stazza media fra le numerose razze esistenti, sono: 500-600 chilogrammi, 160-170 centimetri al garrese e 20-26 di stinco). I mantelli più comuni sono il sauro ed il sauro slavato, esistono inoltre il pezzato, il rabicano, il grigio ed il molto più raro baio. Il carattere del Falabella è amichevole ed affettuoso verso l'uomo. Non morde e non calcia. Si nutre di pascolo in paddocks ovviamente di modestissime dimensioni; tenuto in scuderia, con un chilogramo di fieno e due pugni di biada. Non necessita di ferratura, ma è sufficiente il pareggio dello zoccolo all'incirca ogni due mesi. Non può essere montato se non da bambini molto piccoli, ma tira con buona volontà e buona attitudine il carrozzino con una persona. Può raggiungere e superare i trent'anni di vita e, nonostante le piccole dimensioni, non è affatto delicato di salute. Diffusione. In Italia non ve ne sono ancora molti. Abbiamo visitato uno splendido allevamento nel Grossetano, dove un gentiluomo con sua moglie possiede un piccolo branco di questi splendidi cavallini, che si riproducono nella tenuta in assoluta libertà. Si ha notizia di due altri piccoli allevamenti, uno nel Modenese e uno in Lombardia. Qualche Falabella è comparso alla Fiera di Verona, con prezzi dai 5-6 milioni in su, a seconda del sesso, dell'età e della bellezza. Sempre più conosciuto e apprezzato, si ha l'impressione che il Falabella stia diventando di moda. Data la sua adattabilità, lo si trova nei luoghi e nei climi più diversi, dall'Alaska al Giappone al Sud Africa. Naturalmente è molto diffuso nel mondo anglosassone, sempre all'avanguardia in tutto ciò che riguarda la natura, il mondo animale e i cavalli in particolare. Come succede con tutti i fenomeni in crescita, anche questo ha creato problemi economici, di priorità e di precedenze. Esistono almeno quattro associazioni del cavallo in miniatura. Una in Argentina, una in Inghilterra e una o due negli Usa. Tutte queste rivendicano, naturalmente, il diritto ad avere l'unico e autentico libro delle origini, con rilascio di pedigree e competenza sugli alberi genealogici. Bisogna dire, però, per dovere di cronaca, che ogni merito di partenza va alla famiglia Falabella, nella persona di J. C. Falabella che, fin dagli Anni 40, ha creato un primo, seppur approssimativo, libro delle origini con stabilizzazione degli standard della razza e risalente fino al famoso, citato stalloncino del suo avo. L'aspetto e la tipologia del cavallino smentiscono la teoria di alcuni che vedono l'immissione in razza di sangue pony Shetland inglese. Semmai è più verosimile il miglioramento tramite incroci con il purosangue inglese di piccole dimensioni; incroci che possono aver migliorato l'aspetto senza snaturare la qualità di base. Andando alla quotidianità, il maggior pregio del Falabella sta nel fatto di poter possedere un cavallo e gioire della sua presenza senza inconvenienti maggiori di quelli che può dare un grosso cane. Chiunque abbia un giardino con un piccolo prato può tenerlo. La pulizia è poco onerosa e il costo di mantenimento molto basso. Le cure sono modeste, data la sua salute di ferro. E' facile quindi capire come i bambini impazziscano di gioia e i genitori non si debbano preoccupare, visto che lo si può montare senza rischiare cadute e che è molto più mite e docile di altri animali domestici. Roberto Martinengo Marquet


SCAFFALE Insolera Delfino: "Come spiegare il mondo", Zanichelli
AUTORE: P_BIA
ARGOMENTI: EPISTEMOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

Delfino Insolera (1920-1987), ingegnere con una laurea in filosofia, dopo essere stato un pioniere dei computer alla Olivetti, dal 1960 ha lavorato alla Zanichelli come direttore editoriale e consulente. Questo volume raccoglie appunti, articoli, note di diario: documenti preziosi per scoprire un intellettuale dalle qualità eccezionali.


SCIENZE DELLA VITA. SCOPERTA Le cellule che creano i muscoli
Autore: MARCHISIO PIER CARLO

ARGOMENTI: GENETICA, BIOLOGIA
NOMI: MAVILIO FULVIO, FERRARI GIULIANA, COSSU GIULIO
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

IL futuro della medicina sta nel promuovere la connessione tra il progresso della ricerca biologica e le sue potenziali applicazioni mediche. Questa medicina molecolare è la vera chiave del miglioramento dei mezzi terapeutici e ha come bersaglio tutte le malattie su base genetica, cancro compreso, che dipendono in modo più o meno diretto da un difetto del funzionamento dei geni. Tra le malattie genetiche più diffuse e dotate di forte presa emozionale c'è la distrofia muscolare, che colpisce individui giovani distruggendone lentamente i rapporti sociali ma lasciando intatta la coscienza del male che progredisce inesorabilmente. Al futuro terapeutico della distrofia muscolare di Duchenne contribuisce in maniera sostanziale una ricerca pubblicata da Science il 6 marzo. E' un risultato interamente italiano, dovuto all'interazione di un gruppo di biologi molecolari guidati da Fulvio Mavilio e Giuliana Ferrari al Tiget-San Raffaele di Milano e di un biologo dello sviluppo muscolare, Giulio Cossu dell'Università di Roma. La base del loro lavoro è semplice e geniale e apre prospettive biologiche che vanno ben al di là dell'applicazione al muscolo. Nella distrofia muscolare viene a mancare una proteina fondamentale per la funzione del muscolo che si chiama distrofi na. La distrofina manca perché il gene che ne controlla la sintesi non funziona o funziona male. In teoria basterebbe far rifunzionare il gene per la distrofina per curare definitivamente la malattia a patto che si riesca a far arrivare al muscolo distrofico cellule in grado di promuoverne la rigenerazione. Purtroppo la capacità di rigenerazione autonoma del muscolo è modesta ed è sostenuta solo da un numero limitato di piccole cellule, chiamate cellule satelliti muscolari presenti nel contesto del muscolo. La genialità del lavoro del gruppo sta in un'osservazione che deriva da una profonda conoscenza dei meccanismi di sviluppo e cioè dall'aver trovato che nel midollo osseo, tra le numerosissime cellule impegnate a produrre globuli bianchi, globuli rossi e piastrine, esistono cellule che mantengono per tutta la vita la capacità, tipica degli elementi embrionali, di diventare cellule di altro tipo attivando un programma genetico diverso e specifico. Alcune di queste cellule non ancora impegnate in un programma di sviluppo preciso, possono diventare cellule satelliti del muscolo. Questo è ciò che è stato dimostrato dal gruppo di ricerca padano-romano, a dimostrazione che la collaborazione scientifica non conosce beghe di campanile. Le cellule potenzialmente miogeniche, cioè capaci di diventare i precursori del muscolo, isolate dal midollo osseo di topo, possono raggiungere siti di lesione muscolare e partecipare alla riparazione delle fibre muscolari danneggiate. Isolare queste cellule non solo dal topo ma dai pazienti di distrofia, farle crescere in laboratorio e inserire geni mancanti fa parte delle prospettive di questo lavoro e segna un futuro terapeutico per tutte le malattie degenerative del muscolo. Non si creda tuttavia che si possa facilmente passare a una fase applicativa nell'uomo. Bisogna essere estremamente cauti ché gli ostacoli da superare sono e saranno tanti. La riparazione terapeutica nella distrofia muscolare, già tentata in passato con poco successo ma senza le solide basi scientifiche di questo lavoro, potrà diventare una realtà solo a patto che si investano risorse umane e materiali in questo sforzo. Telethon la sua parte la fa finanziando due solidi gruppi di lavoro nell'Istituto Scientifico San Raffaele. Il finanziamento pubblico manca ma speriamo che la situazione migliori. Voglio concludere con un messaggio per il lettore attento ai problemi della cultura biologica e della medicina moderna. Non illudiamoci che i miracoli possano avvenire facilmente. I veri farmaci del futuro stanno nelle nostre stesse cellule, come l'articolo di Science dimostra, e non è lontano il giorno in cui fiale e siringhe saranno rimpiazzate da veicoli biologici capaci di raggiungere tutti gli angoli remoti del corpo umano, a patto che si arrivi a conoscerlo bene.Pier Carlo Marchisio


SCIENZE FISICHE. ESPOSTO A MILANO Tron-X, il robot dal volto umano
Autore: BASSI PIA

ARGOMENTI: ELETTRONICA, TECNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

TRON-X, il primo dei "robot condiscendenti", agisce con movimenti del tutto umani: ti stringe la mano guardandoti negli occhi, solleva una valigia. E in futuro potrà guidare un'astronave negli spazi intergalattici, rivestito di morbido silicone, cavaliere errante con i nervi d'acciaio, inossidabile al trascorrere dei millenni. Un androide obbediente come la colf "Caterina" del famoso film di Alberto Sordi, comandato a distanza da astronauti terrestri che si alterneranno per generazioni alla consolle dei comandi della Nasa. E' la fantascienza che si fa realtà per soddisfare il nostro immaginario. Infatti Tron-X è nato per esigenze cinematografiche ed è un personaggio molto scritturato, con Arnold Schwarzenegger è l'interprete principale del film Terminator. E' stato realizzato dalla Showtronix, una società australiana specializzata in effetti speciali cinematografici, con la componentistica della Festo, un'azienda tedesca leader nel settore di componenti e sistemi di automazione pneumatica in catene per l'industria automobilistica, alimentare, imballaggio e lavorazione del legno. La forza vitale del robot è l'aria compressa che fa muovere con precisione i cilindri pneumatici e le valvole proporzionali. Segnali digitali vengono inviati dal sistema di controllo alle valvole Cp, novità della gamma Festo, che forniscono l'energia necessaria a sviluppare i movimenti sincronizzati del mento, a far muovere gli occhi e a guidare il movimento delle palpebre, grazie a mini cilindri della serie Eg. Altri tipi di cilindri a doppio effetto, sempre diretti dalle valvole Cp, permettono al robot di muovere singolarmente le dita delle mani. Tron-X è alto 2,04 metri e pesa 2 quintali. Il peso è concentrato sulla parte superiore e inferiore del tronco, il cui movimento è dato dai cilindri rotativi di grande diametro. I movimenti dolci e spontanei sono controllati dalle valvole proporzionali. Come una qualsiasi automobile, l'androide può contare su pezzi di ricambio, valvole e cilindri, e su una capillare rete di assistenza tecnica sparsa in tutto il mondo. Quando non è impegnato sul set, Tron-X è fulcro d'attrazione per milioni di visitatori alle diverse fiere dell'automazione: a Sydney, dove fu esposto per la prima volta nel 1997, poi a Tokyo e recentemente a Milano.Pia Bassi


INFORMATICA & NANOTECNOLOGIE Vi presento il costruttore universale Robot che si riproducono per esplorare il cosmo
Autore: GALANTE LORENZO

ARGOMENTI: INFORMATICA, TECNOLOGIA
NOMI: VON NEUMANN JOHN, ULAM STANISLAW, CONWAY JOHN, MAZZITELLI ITALO
LUOGHI: ITALIA

CONOSCETE gli "automi cellulari"? Il primo a parlarne fu John von Neumann degli Anni 40; l'idea gli venne tentando di rispondere alla domanda: "Può una macchina essere programmata in modo da creare una copia di sè?". Erano gli anni dei primi calcolatori elettronici, per cui l'interrogativo del matematico ungherese appare quanto meno ardito. Egli immaginò l'esistenza di una macchina che, una volta dotata di una descrizione di sè, sarebbe stata in grado di trovare e assemblare i pezzi necessari alla costruzione di una gemella. Lo stesso von Neumann, però, si rese conto della mancanza di un ingrediente fondamentale: l'automa neonato, pur correttamente realizzato, sarebbe stato privo della descrizione in questione e quindi incapace di autogenerarsi. Dato che l'esperimento in corso era del tutto immaginario, non ci furono problemi a superare l'inconveniente: con un pizzico di magia la macchina, a cui von Neumann stava pensando, fu subito in grado di duplicare la descrizione di sè e, poi, di inserirla nell'automa gemello. Il congegno appena descritto fu battezzato dal suo inventore col nome altisonante di "costruttore universale" e, per quanto possa sembrarci strano, condivide con gli esseri viventi alcune delle sue proprietà. La molecola di Dna, ad esempio, è in grado sia di trovare e assemblare le sostanze utili per formare una molecola uguale a sè stessa, sia di trasmettere alla molecola figlia l'intera sequenza di basi che determina i caratteri ereditari. Finora abbiamo parlato di un dispositivo ideale, funzionante, in linea di principio, solo nella nostra mente; esso ci permette, è vero, di pensare alla autoriproduzione senza presupporre che alla sua base ci debba essere la vita, ma avrebbe poco senso se non si trovasse un modo pratico per realizzarlo. Von Neumann si sforzò nell'intento e, grazie a un consiglio del suo amico Stanislaw Ulam, portò a termine l'impresa. Ulam, anch'egli un matematico, gli suggerì un mondo astratto, in cui sarebbe stato possibile mettere alla prova un costruttore universale; von Neumann trovò la maniera per riuscirci. Il mondo di cui stiamo parlando è oggi noto come " automa cellulare", gli oscuri termini che avete letto all'inizio di questo articolo; ora vi racconto di che si stratta. Innanzitutto in ogni mondo esistono uno spazio e un tempo: nel mondo degli automi cellulari, lo spazio è un reticolo di celle che ricoprono un piano (ma il discorso si può generalizzare a qualsiasi dimensione), il tempo scorre ad intervalli regolari e discreti. Supponiamo poi che ogni cella possa trovarsi in uno stato scelto tra un numero finito di possibilità e che la scelta dello stato di una cella ad un certo istante dipenda dalla condizione, sua e delle celle adiacenti, valutata all'istante precedente. Per esempio consideriamo un reticolo quadrato le cui celle possano essere nere o verdi (2 stati possibili) e scegliamo le seguenti leggi per l'evoluzione dei colori: 1.Se una cella è nera all'istante t, essa diventa verde all'istante tpiù1 se, e solo se, esattamente tre delle sue otto vicine sono verdi al tempo t. 2.Se una cella è verde al tempo t, essa diventa nera al tempo tpiù1 se, e solo se, meno di 2 o più di 3 vicini sono verdi al tempo t. Sono le regole del "Gioco della Vita", l'automa cellulare inventato da John Conway negli Anni 60; la prima legge si può interpretare come la nascita di una cella, la seconda come la morte. Sottoponendo a queste leggi un reticolo con un numero sufficiente di celle "vive" (verdi), potremmo assistere alla formazione di gruppi di celle nomadi che si spostano diagonalmente, a raggruppamenti che oscillano periodicamente tra diverse configurazioni, alla estinzione della vita in certe zone, all'incremento incontrollato in altre. Questo è solo un insieme possibile di regole, che governano gli automi cellulari, se ne possono inventare molte altre, aumentando il numero degli stati o pensando a reticoli esagonali e così via] Von Neumann riuscì a dimostrare l'esistenza di almeno un automa cellulare in grado di riprodurre se stesso: le celle del reticolo potevano trovarsi in 29 stati diversi e la configurazione di partenza era piuttosto complessa, eppure quello strano mostriciattolo era in grado di leggere un programma (la descrizione), di eseguirlo (costruire l'oggetto descritto dal programma) e di inserire il listato del programma in ciò che il programma stesso aveva portato a creare] Grazie al lavoro di due ricercatori italiani, Nobili e Pesavento, ho avuto modo di ammirare il costruttore universale di von Neumann in azione (il soft ware è disponibile in rete all'indirizzo: http: //alife.santa fe.edu/alife/topics/jvn/jvn. html). Il famigerato costruttore appare come un agglomerato di celle colorate in modo diverso (ad indicare i diversi stati in cui esse si trovano) che accede a una descrizione di una macchina da costruire (il programma). Le istruzioni del programma gli vengono offerte mediante una sequenza di celle, poste una di seguito all'altra a formare una linea; il costruttore si preoccupa di andare a leggere le istruzioni, costruisce la macchina descritta dal programma e quindi la dota della sequenza di istruzioni da cui ha attinto. Il software di Pesavento e Nobili non permette di assistere alla duplicazione del costruttore universale stesso, la lista di istruzioni (la linea di celle) sarebbe troppo lunga e l'automa impiegherebbe troppo tempo per eseguirle tutte. Ci offre, però, l'opportunità di immaginare come potrebbe fare. Per finire, pare che le nostre speranze di esplorare nuovi sistemi stellari si basino proprio su oggetti di questo tipo. Italo Mazzitelli, un ricercatore dell'Istituto di astrofisica di Frascati, sostiene che in un futuro non troppo lontano a bordo le sonde spaziali non avranno uomini ma potenti elaboratori e un costruttore universale realizzati con nanotecnologie, magari saranno trascinate da una "vela" e, giunte in prossimità del primo sistema stellare, ci invieranno le informazioni richieste, costruiranno alcune copie di sè e le invieranno verso altre stelle. Lorenzo Galante


SCIENZE FISICHE. ASTRONOMIA Invasa la Via Lattea Una galassia nana la sta urtando
Autore: BONANNI AMERICO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA
NOMI: IBATA RODRIGO, GILMORE GERARD, IRVIN MIKE, WYSE ROSEMARY
ORGANIZZAZIONI: UNIVERSITA' DI CAMBRIDGE
LUOGHI: ITALIA

INVASORE galattico. Questa espressione da romanzo di fantascienza è stata presa a prestito per indicare un fenomeno astronomico molto particolare: la nostra galassia, la Via Lattea, è stata invasa da un'altra galassia molto più piccola, chiamata "Nana sferoidale del Sagittario". Questa compagna spaziale potrebbe fornire agli scienziati risposte importanti su uno degli argomenti più dibattuti dell'astronomia moderna: la "materia oscura". La scoperta della galassia nana in questione non è recente: avvenne nel 1994 grazie al lavoro di tre astronomi dell'università di Cambridge, Rodrigo Ibata, Gerard Gilmore e Mike Irvin, durante un programma di osservazioni della zona centrale della Via Lattea. In questa regione i tre scienziati scoprirono una galassia molto piccola in orbita attorno alla nostra. Bisogna considerare che quella scoperta dal gruppo di Cambridge non è l'unica a comportarsi in questo modo. Si conoscono infatti altre otto minuscole galassie che accompagnano la Via Lattea orbitandole attorno. Però questa ha una caratteristica tutta sua: nel corso del tempo si è progressivamente avvicinata alla nostra fino a penetrare all'interno dei suoi confini. Le ricerche successive alla scoperta hanno dato una importanza crescente a questa nana: secondo i calcoli compie un'orbita completa attorno alla nostra galassia in meno di un miliardo di anni, e fino ad oggi ha già completato dieci orbite. Ma ognuna di esse l'ha portata più vicina, in un movimento a spirale il cui esito inevitabile, stando alle previsioni, sarà la fusione completa. Si pensa, tra l'altro, che l'inglobamento di galassie nane da parte di quelle più grandi svolga un ruolo importante nella formazione dell'" alone", una sfera di stelle che circonda la regione galattica centrale e che potrebbe essere formata in larga parte da ciò che resta di questi cannibalismi cosmici. Però per la protagonista di questa ricerca il processo non si sta svolgendo alla velocità che ci si potrebbe aspettare: gli astronomi hanno calcolato che la piccola galassia si sarebbe già dovuta disperdere a causa della fortissima attrazione gravitazionale esercitata dalla Via Lattea. Invece, nonostante sia praticamente giunta all'interno, continua a mantenersi piuttosto compatta. "La spiegazione logica - dice Rosemary Wyse, una astrofisica dell'università John Hopkins che si è unita al gruppo degli scopritori per effettuare studi più approfonditi - è che contenga una enorme quantità di materia oscura, capace di esercitare una attrazione gravitazionale interna sufficiente a tenere insieme le sue stelle". Si tratta di un problema ben conosciuto che coinvolge tutta l'astronomia: in generale la massa delle sole stelle visibili, secondo i calcoli, non è tutta quella esistente, anzi, si arriva a pensare che il 90 per cento della materia nell'universo sia invisibile. Così le opportunità di studio offerte dalla Nana del Sagittario, secondo Wyse (che ha appena presentato i suoi lavori ad un convegno dell'Associazione americana per l'avanzamento della scienza), sono uniche: "E' così vicina che possiamo studiare le sue stelle come facciamo con quelle della Via Lattea". Naturalmente non ci sono speranze per la "vittima": ci vorrà qualche miliardo di anni in più, ma il suo destino rimane comunque quello di fondersi all'interno della nostra galassia. Americo Bonanni


SCAFFALE Poli Giorgio: "Biotecnologie", Utet
ARGOMENTI: BIOLOGIA, TECNOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Le biotecnologie stanno cambiando il mondo e saranno la sfida più importante dei prossimi decenni in campo medico, alimentare, economico. Ma saranno anche un tema controverso, che in alcuni casi può sollevare problemi etici e sociali. Perché il confronto di opinioni sia utile, occorre però una buona informazione su ciò di cui si discute. Questo libro, nato con obiettivi didattici e rivolto a professionisti del settore e studenti, può in realtà essere letto da tutti coloro che hanno qualche base scientifica.


I TELEFONINI APPLICANO UNA SUA IDEA Bella, audace, geniale La storia di Hedy Lamarr, diva e scienziata
AUTORE: PEIRETTI FEDERICO
ARGOMENTI: COMUNICAZIONI, STORIA DELLA SCIENZA, ELETTRONICA, DONNE, ATTORI, CINEMA, PREMIO
PERSONE: LAMARR HEDY
NOMI: MANDL FRITZ, ANTHEIL GEORGE, LAMARR HEDY
ORGANIZZAZIONI: NATIONAL INVENTORS COUNCIL, ELECTRONIC FRONTIER FOUNDATION
LUOGHI: ESTERO, AMERICA, USA, FLORIDA

NON è difficile diventare una grande ammaliatrice - diceva Hedy Lamarr - basta restare immobile e recitare la parte dell'oca. Ma la diva di Hollywood acclamata come "la donna più bella del mondo" distrugge il luogo comune che la bellezza debba per forza accompagnarsi con la stupidità: nella realtà, oltre ad essere bellissima, era anche molto intelligente. Lo dimostra il fatto che è l'unica diva a poter vantare un brevetto per un'invenzione, e in un settore così complicato come quello delle telecomunicazioni. Per fare la storia della sua invenzione dobbiamo risalire al 1933, quando dopo il successo di Estasi, il film scandalo in cui compariva nuda - il primo nudo di un film in distribuzione nelle normali sale cinematografiche - sposò un ricco fabbricante di armi austriaco, Fritz Mandl. Hedy Lamarr era nata a Vienna nel 1915 e costretta al matrimonio dai genitori, quando aveva soltanto 18 anni, mal sopportava un marito dispotico che la trattava come una schiava e - ricorda Lamarr - la esibiva come un trofeo ai tanti incontri con generali, trafficanti d'armi ed esperti del settore, i quali parlavano liberamente davanti a lei, sicuri che la bella viennese non avrebbe mai potuto capire i loro discorsi tecnici. Dopo quattro anni, quando Mandl iniziò la sua collaborazione con i nazisti, Hedy Lamarr fuggì a Londra, dove conobbe Louis B. Mayer della MGM, grazie al quale poté sbarcare a Hollywood. Ma non aveva dimenticato quanto aveva appreso stando a fianco del primo dei suoi sei mariti, in particolare i colloqui riservati sulle ricerche che Mandl stava conducendo in un settore molto delicato: il controllo delle armi a distanza. In pratica si trattava di riuscire a teleguidare un missile o un siluro contro l'obiettivo nemico senza che il segnale potesse essere intercettato e annullato. Un semplice segnale radio, di una data frequenza, poteva infatti essere facilmente individuato e bloccato. Si doveva quindi trovare il modo di cambiare frequenza ad ogni istante, cosicché il nemico ricevesse soltanto un indecifrabile rumore di fondo, mentre il segnale sarebbe arrivato chiaro e pulito soltanto a chi trasmetteva e riceveva, se entrambi fossero stati sincronizzati in modo opportuno. Hedy Lamarr pensava che queste idee, sentite a Vienna, opportunamente sviluppate, avrebbero potuto dare un contributo decisivo alla guerra contro il nazismo. Fu l'incontro con un compositore d'avanguardia, George Antheil, nel 1941, a portarla alla realizzazione pratica del suo progetto. Un giorno Antheil stava suonando al piano e lei lo seguiva con la sua voce. Era evidente che nonostante le continue variazioni, riuscivano a intendersi perfettamente. Non era possibile - si chiese - arrivare a un'intesa simile con un cambiamento di frequenza nel controllo radio del siluro? Incominciarono a lavorare insieme su questa idea. In sostanza, il campo di frequenze disponibile venne suddiviso in 88 sottocampi, o canali, tanti quanti sono i tasti di un pianoforte. La trasmissione veniva fatta rimbalzare da uno all'altro degli 88 canali, a intervalli regolari di tempo, ma la sequenza di successione dei canali (ad esempio: 25, 11, 54, 61) doveva essere segreta e nota soltanto al trasmettitore e al ricevitore. Ovviamente questi dovevano essere perfettamente sincronizzati, e disporre di un meccanismo preciso per ricordare la sequenza dei canali selezionati in ogni intervallo di tempo elementare. Antheil trovò la soluzione dei due problemi, adottando un metodo simile a quello dei rotoli di carta bucata usati per far funzionare le pianole meccaniche. Dopo parecchi mesi di lavoro presentarono il loro progetto al National Inventors Council che rilasciò loro un brevetto registrato l'11 agosto 1942, Sistema di Comunicazione Segreta n. 2.292387. In questo modo nacque quella che oggi viene chiamata la "trasmissione a divisione di spettro" o " spread spectrum" (spettro allargato). La tecnologia degli Anni 40 era però ancora inadeguata alla realizzazione pratica di questa idea. Era l'epoca delle voluminose valvole termoioniche e non c'era ancora il transistor. Il progetto non suscitò grandi entusiasmi. La Marina dichiarò che sarebbe stato troppo complicato inserire su ogni siluro un meccanismo di sincronizzazione simile a quello usato per le pianole. Alle insistenze della Lamarr per trasferirsi a Washington e lavorare al National Inventors Council sulla sua invenzione, l'esercito rispose che sarebbe stata molto più utile a Hollywood sfruttando il suo fascino di diva nella raccolta dei fondi necessari per finanziare la guerra. Lamarr abbandonò così la sua idea e rientrò nel suo ruolo di donna fatale. Si racconta che nelle serate organizzate dall'esercito offrisse un suo bacio a chi sottoscriveva almeno 25 mila dollari di obbligazioni e che sarebbe riuscita in tal modo a raccogliere 7 milioni di dollari in una sola notte. Ma la sua idea era corretta e con la tecnologia elettronica fu possibile realizzarla. Nel 1962 la nuova tecnica di comunicazione venne adottata dagli Stati Uniti come sistema di comunicazione a bordo di tutte le navi impegnate nel blocco di Cuba. L'idea di suddividere un ampio campo di frequenza in più canali trova applicazione non soltanto nella crittografia, ma anche quando si voglia suddividere la risorsa trasmissiva fra più comunicazioni. Il suo uso non è soltanto militare, ma oggi trova applicazioni anche nei telefoni cellulari e nella trasmissione Internet senza fili. Negli ultimi due anni l'ufficio brevetti degli Stati Uniti ha registrato ben 1203 brevetti riguardanti la "trasmissione a divisione di spettro". E finalmente anche Hedy Lamarr, che oggi ha 84 anni e vive in Florida, ottiene il meritato riconoscimento per il suo lavoro. La Electronic Frontier Foundation le ha attribuito il premio "EFF Pioneer" per "l'invenzione e lo sviluppo nel 1942 del concetto originale di frequency hopping da cui deriva lo spread spectrum". L'ultima volta che i giornali avevano parlato di lei era stato per un furto in un grande magazzino di Los Angeles. Dalla sua invenzione non ha mai ricavato una lira, ma il premio scientifico che ora ha ricevuto è sicuramente, per Hedy Lamarr, un riconoscimento ben più importante di qualsiasi Oscar, una bella rivincita sul generale che l'aveva confinata a "vendere baci". Federico Peiretti


SCAFFALE Dodman Nicholas: "Il gatto che chiedeva aiuto", Longanesi
AUTORE: P_BIA
ARGOMENTI: ETOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Giovane, capelli ondulati, aspetto hollywoodiano, Nicholas Dodman insegna farmacologia, dirige la Clinica comportamentale alla facoltà di veterinaria della Tufts University (Stati Uniti) ed è considerato uno dei massimi esperti di psicologia animale, in particolare degli animali domestici. Dopo "Il cane che amava troppo", ecco ora questo saggio dedicato al comportamento del gatto, scritto nello stesso piacevole stile aneddotico-narrativo. Troverete la risposta a tutte le vostre domande sui felini, inclusa questa: perché il mio gatto, che pure è così affettuoso, ogni tanto, giocando, mi morde e mi graffia sul serio?


SCIENZE DELLA VITA. PROSPETTIVE DI CURA Dove nasce il mal di testa Scoperto l'interruttore della crisi
Autore: PINESSI LORENZO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, BIOLOGIA
NOMI: WILLIS THOMAS, DIENER CHRISTOPH, MOSKWITZ MICHAEL
ORGANIZZAZIONI: NATURE MEDICINE
LUOGHI: ITALIA

NEL diciassettesimo secolo sir Thomas Willis aveva ipotizzato che l'emicrania fosse causata da un aumento del flusso di sangue alla testa. La vasodilatazione delle arterie craniche sarebbe stata responsabile di una compressione delle fibre nervose del cervello generando, così, il violento dolore caratteristico delle crisi. Questa teoria dell'emicrania, definita teoria "vascolare", è rimasta incredibilmente in piedi fino a quindici anni fa. Solo negli ultimi anni sono stati pubblicati studi nell'animale da esperimento e nell'uomo che l'hanno fatta crollare. In particolare, apparecchiature come la tomografia a emissione di positroni (Pet), il doppler transcranico e la risonanza magnetica nucleare (Rmn), hanno permesso di dimostrare che l'emicrania è una malattia cerebrale e che tutti i sintomi ad essa correlati - il violento dolore cefalico, l'aura, i disturbi gastrointestinali come la nausea e il vomito - sono dovuti ad alterazioni biochimiche ed elettriche cerebrali. Le modificazioni del flusso intra- ed extracranico, messe in evidenza in passato, sarebbero soltanto secondarie alla patologia cerebrale. Rimaneva da dimostrare da quale zona del cervello iniziasse l'attacco emicranico. Hans- Cristoph Diener dell'Università di Essen, in Germania, ha effettuato una serie di studi con la Pet nei pazienti affetti da emicrania senza aura. I risultati delle ricerche, pubblicati su Nature Medicine, hanno dimostrato che durante la crisi emicranica si osserva un aumento del flusso ematico nelle strutture mediane del tronco encefalico. Il tronco encefalico o brain stem è una struttura profonda e mediana che costituisce il punto di passaggio tra il cervello ed il midollo spinale. All'interno di questa complessa struttura vi sono diversi nuclei che regolano, tra le altre funzioni, il sistema di controllo endogeno del dolore (sistema antinocicettivo). Il nucleo più esteso di questa regione, il nucleo sensitivo trigeminale, costituisce il "cuore" del sistema trigemino-vascolare. Segnali prodotti dal generatore emicranico nel cervello provocherebbero, attraverso il sistema trigeminale, una infiammazione delle meningi e dei vasi sanguigni del cranio tramite il rilascio di peptidi correlati al dolore (sostanza P, Cgrp, neurochinina A). L'alterazione evidenziata nel brainstem, con la presenza di uno specifico "pacemaker" delle crisi, sarebbe caratteristica per la malattia emicranica: in altre forme di cefalea primaria (cefalea a grappolo, cefalea tensiva) non è presente. Una ulteriore picconata alla teoria vascolare dell'emicrania è giunta da uno studio, pubblicato agli inizi di gennaio di quest'anno, effettuato utilizzando la risonanza magnetica funzionale (fMri). Questa metodica non è invasiva, non utilizza traccianti radioattivi e può fornire numerose informazioni in merito al flusso ematico cerebrale, alla saturazione di ossigeno ed alla permeabilità delle membrane neuronali. Michael A. Moskwitz, del Massachusetts General Hospital (Harvard Medical School), ha studiato alcuni pazienti affetti da emicrania con aura visiva utilizzando la risonanza magnetica funzionale. L'indagine ha dimostrato che, nel corso della crisi di emicrania, era presente solo una modesta riduzione del flusso di sangue al cervello, tale da non giustificare una origine ischemica della sintomatologia neurologica. Solo un'alterazione del metabolismo e della conseguente attività elettrica del cervello può spiegare la complessa sintomatologia neurologica dell'emicrania con aura. La centralità del cervello nella genesi dell'attacco emicranico ha un importante risvolto terapeutico. Nei prossimi anni verrà dedicata nuova attenzione a quei farmaci antiemicranici che, passando la barriera emato-encefalica, raggiungono direttamente quelle zone cerebrali da cui prendono origine la sintomatologia neurologica e il violento dolore emicranico. Lorenzo Pinessi Direttore Centro Cefalee Università di Torino


SCIENZE A SCUOLA. MOSTRA DIDATTICA A TORINO Un'idea luminosa La lampadina, invenzione contesa
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: DIDATTICA, STORIA DELLA SCIENZA, ENERGIA, MOSTRE
NOMI: SWAN JOSEPH, CRUTO ALESSANDRO
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
TABELLE: D. Disegni tecnici di lampadine

NEI fumetti di Walt Disney una lampadina che si accende sulla testa di Archimede Pitagorico ci avverte che l'eccentrico personaggio ha avuto una ennesima trovata geniale, ha concepito una nuova invenzione. Dunque la lampadina è diventata addirittura il simbolo di qualsiasi idea intelligente. Ma chi ha avuto l'idea della lampadina? Quasi tutti risponderanno l'americano Thomas Alva Edison. La questione però è alquanto controversa: benché pochi lo sappiano, ci sono di mezzo - con buone credenziali - anche l'inglese Joseph Swan e l'italiano Alessandro Cruto. A Cruto l'Enciclopedia Treccani dedica in tutto 9 righe e un errore di 27 anni nella data di nascita. Oltre a procurarci un'altra enciclopedia, che cosa si può fare per conoscerlo meglio? Fino al 3 maggio la risposta è: visitate, a Torino, la divertente e intelligente mostra interattiva a lui dedicata presso la "Casa della Tigre". Per prepararvi alla visita, ecco qualche informazione preliminare. Alessandro Cruto nasce a Piossasco, nella cintura torinese, il 18 marzo 1847, 35 giorni dopo Edison. Purtroppo non gli basterà tutta la vita per recuperare questo piccolo ritardo: Edison accende la sua lampadina il 21 ottobre 1879, Cruto quattro mesi dopo, il 4 marzo 1880. Sul primato, quindi c'è poco da fare. Bisogna però aggiungere subito che la lampadina di Edison faceva poca luce e in media si fulminava dopo 40 ore, mentre quella di Cruto era molto più luminosa e brillava per 500 ore (da confrontare con le 2000 delle lampadine attuali). Se poi si vuole sottilizzare sulle date, allora va detto che l'inglese Joseph Swan già il 18 dicembre 1878 aveva presentato alla Chemical Society di Newcastle una sua lampada a filamento di carbone: il calendario quindi stabilisce al di sopra di ogni dubbio che l'inventore della lampadina è Swan. Cruto, figlio di un capomastro, seguì le orme paterne facendo il muratore. Fu però un intelligente autodidatta (frequentava le conferenze di Galileo Ferraris) e un abile sperimentatore. Il suo obiettivo era quello di ottenere diamanti artificiali. Per questo studiò a fondo la cristallizzazione del carbonio. I diamanti, infatti, sono ben ordinati reticoli di atomi di carbonio che si formano a grandi pressioni nel mantello terrestre, nelle profondità del nostro pianeta. Cruto non riuscì a fabbricare diamanti artificiali ma mise a frutto ciò che nei suoi tentativi aveva imparato. Su un filamento di platino del diametro di un centesimo di millimetro reso incandescente dal passaggio della corrente elettrica, fece depositare uno strato di carbonio. L'operazione avveniva in un recipiente di vetro pieno di gas contenente, appunto, anche il carbonio. Il platino veniva poi vaporizzato aumentandone ulteriormente la temperatura: rimaneva così un tubicino di carbonio, che Cruto utilizzò come filamento della sua lampadina. Edison usava un filo di cotone carbonizzato, Swan un filo di carbonio. Le tecniche erano abbastanza simili ma fu Cruto a ottenere i risultati migliori, e la Westinghouse preferì il suo brevetto a quello di Edison. Il quale tuttavia, grazie allo spirito di iniziativa e alla potenza del capitale americano, riuscirà a imporsi al mondo come l'inventore della lampadina (e di molte altre cose) mentre la fama di Cruto non andrà oltre Alpignano, dove aprì una fabbrica di lampadine, poi rilevata dalla Edison (]) e infine, nel 1927, dalla Philips. Ci si può consolare ricordando che Cruto fu il primo a illuminare un treno in corsa (il Torino-Aosta), un battello (sul lago di Ginevra), un ospedale (a Le Havre) e una piazza: per la storia, nell'aprile 1884, piazza Carlo Felice a Torino, mentre Parigi - la "ville lumiere"] - arrivò otto mesi dopo con Place de la Concorde. Prima di Cruto l'illuminazione elettrica si basava sulle lampade ad arco fotovoltaico di Davy, di uso assai limitato perché richiedevano una continua messa a punto degli elettrodi di carbone tra i quali scoccava l'arco luminoso. Dopo Cruto, che morì il 16 dicembre 1908, il mondo andò illuminandosi sempre più, anche grazie a lampade concepite sul principio della fluorescenza (neon e poi lampade a mercurio, al sodio, ad alta e a bassa pressione, con una resa quattro volte più alta in proporzione al consumo di elettricità). Così, dopo millenni di impenetrabili tenebre notturne, oggi l'uomo si trova a fare i conti con un inquinamento luminoso che gli impedisce la splendida visione del cielo stellato. Dal niente al troppo. Mostra "La lampadina e l'elettricità: Cruto, chi era costui?", aperta fino al 3 maggio a Torino presso la " Casa della Tigre", ex zoo, parco Michelotti, corso Casa le 15; orari: lunedì-sabato 16-19, domenica 14-19; prenotazioni per le scuole: 747.171 e 819.65.33. Disponibili due quaderni illustrativi: "La storia di un'invenzione" e "Gli esperimenti del laboratorio". Piero Bianucci


SCAFFALE Abraham Giorgio: "I segreti del nostro corpo", Mondadori
AUTORE: P_BIA
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

LA medicina ha ottenuto grandi risultati con farmaci e interventi chirurgici. Dietro questi successi, tuttavia, si nasconde spesso una visione troppo meccanicistica dell'organismo umano: corpo e psiche vengono visti come entità separate, e non come un tutto unico. Questo libro di Giorgio Abraham, professore di psichiatria all'Università di Ginevra, recupera l'unità psicosomatica e ci propone di instaurare un nuovo rapporto tra la nostra mente e il nostro corpo, per imparare a decodificarne il linguaggio. Tra i temi affrontati: piacere e dolore, veglia e sonno, depressione, paura, angoscia. Citazione dall'ultima pagina: "Non si può restare a lungo sani di corpo e di spirito se si è adottata una condotta basata sull'egoismo, sul desiderio sfrenato del potere, sul proprio esclusivo tornaconto, sull'inganno. Parimenti, non si può restare malati a lungo senza trarne almeno un insegnamento, senza scoprire particolari del proprio corpo di cui magari non ci saremmo mai accorti; senza relativizzare i concetti stessi di benessere e felicità, avendo la capacità e la prontezza di distillare il bene dal male, la salute dalla sofferenza fisica e, soprattutto, un profondo amore per la vita".




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