TUTTOSCIENZE 4 marzo 98


SCIENZE A SCUOLA. LE PALUDI DI MANGROVIE Impraticabili foreste costiere Diffuse in tutte le spiagge tropicali del globo
Autore: PERELLI MATTEO

ARGOMENTI: ECOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Esempi di flora e fauna delle paludi di mangrovie

Alberi nodosi che si protendono dalla superficie del mare, radici ancorate nel profondo maleodorante fango melmoso, verdeggianti corone che si innalzano verso la luce in un rumoreggiare di insetti tropicali. Queste le impressioni che colgono il visitatore nell'avvicinarsi a uno dei più comuni spettacoli delle spiagge tropicali: la palude di mangrovie. E' un ambiente diffuso un po' in tutto il mondo; isole Fiji e Tonga, atolli dell'Oceano Indiano, le barriere coralline al largo dell'America Centrale, le Hawaii, le Galapagos, la Florida, le coste occidentali dell'Africa, da dove pare siano originarie. Le mangrovie sono alberi appartenenti a tre generi distinti, che si distribuiscono a distanze variabili dal mare. Quelli che si spingono di più verso le onde appartengono al genere Rhizophora o mangrovia rossa, caratterrizato da un intreccio di radici avventizie e fusti secondari, simile ad un gigantesco ragno che si erge sulle acque basse proteggendo il lato sotto vento degli atolli. Questi alberi producono frutti allungati che, cadendo, si conficcano letteralmente nel fango, dove si trovano così direttamente piantati. Le varietà bianche e nere a cui appartengono generi come Laguncularia ed Avicennia crescono invece nelle zone più interne. Le mangrovie sono piante estremamente robuste, resistenti alle tempeste tropicali che si abbattono sui territori in cui vivono. Le loro radici rallentano il flusso dell'acqua sulle barriere coralline trattenendo la sabbia. Le particelle di fango trasportate dai fiumi incontrano alla foce l'acqua di mare, i solidi sospesi si attirano a vicenda e le particelle più grosse, che così si formano, tendono a precipitare producendo banchi fangosi tipici della deltazione. Tali sedimenti, ai tropici, sono quasi sempre colonizzati dalle mangrovie. Il contributo di quest'albero alla costruzione delle isole coralline è notevole tanto che i naturalisti hanno a lungo discusso a proposito della definizione, in termini ecologici, della palude di mangrovie. E' una forma estrema di barriera corallina o una foresta inondata costiera? C'è da dire, comunque, che questo ambiente è piuttosto povero e monotono rispetto alle foreste tropicali più all'interno che vantano più di cento specie di alberi in un singolo ettaro. Infatti le coste relativamente ricche dell'Indo-Pacifico hanno solo 40 specie di mangrovie lungo tutta la loro estensione, mentre nell'emisfero Ovest si trovano solo otto specie o poche di più. «Mangrovia» non è un formale termine tassonomico ma si applica a quelle piante vascolari che possiedono un meccanismo fisiologico che permette loro di vivere in acque marine superficiali nonostante l'alto contenuto di sali. L'acqua marina, contenendo una concentrazione salina superiore alla linfa di queste piante, non può entrare per semplice osmosi; occorrono altri meccanismi biologici per permettere alla pianta di assumere tale elemento. Sono inoltre in grado di estromettere l'eccesso di sali che viene a formarsi nei loro tessuti, attraverso sistemi di escrezione che permetterebbero loro di bilanciare il proprio equilibrio osmotico. Inoltre hanno sviluppato la capacità di resistere all'imputridimento dovendo rimanere costantemente immerse, almeno con le parti inferiori, nel fango imbevuto d'acqua. Di solito questo inconveniente viene evitato grazie al notevole sviluppo attorno alle radici di strati cellulari spugnosi. Il fango, oltre al pericolo potenziale di far marcire i tessuti delle mangrovie, potrebbe anche soffocarle, poiché tutte le piante verdi debbono poter respirare attraverso il sistema radicale come attraverso le foglie. Allo scopo di permettere l'assorbimento di ossigeno alcune mangrovie appartenenti al genere Bruguiera e Avicennia hanno sviluppato «pneumatofori», ossia strutture verticali sporgenti dalle radici, dotate di numerosi fori (stomi) attraverso i quali le radici mantengono un contatto con l'aria. La fauna della palude di magrovie è assai variegata. Le aree colonizzate già da parecchio tempo forniscono un habitat ideale per anfibi, rettili, uccelli, mammiferi; questi però non hanno un rapporto diretto sugli animali adattatisi propriamente alla vita del fango delle formazioni deltizie, eccetto, di tanto in tanto, un rapporto di predatore-preda. Tipici della mangrovie sono specie di animali che colonizzano le stesse radice immerse nell'acqua: quindi molti invertebrati come le ostriche (Isognomon), alcune specie di cirripedi, i granchi delle mangrovie dalle chele rosse (Aratus), i granchi violinisti (Uca) che prendono il nome dalle esibizioni che i maschi eseguono con le loro chele, una delle quali è assai più grande dell'altra così da ricordare uno strumento musicale e il suo archetto. Inoltre troviamo alcune specie di molluschi come il massiccio Telescopium telescopium, che si sposta lentamente sui rimpiani fangosi, o come la Cerithidea obtusa, che si attacca a testa in giù alle radici delle mangrovie mediante fili di bisso. Alghe, spugne ed anemoni formano invece un vero e proprio micro-habitat multicolore che ricopre le contorte radici dei mongrovieti. I pesci sono numerosi tra le mongrovie: vanno spesso a deporre le uova tra le loro radici trovando un substrato ideale per la deposizione nascosto ai predatori. Alcune specie sono molto interessanti: ad esempio il pesce arciere, Toxotes jaculator, che nuota appena al di sotto della superficie e spara un getto o una fila di goccioline dalla bocca diretta verso l'alto, contro un insetto posato su una foglia o un ramoscello, e riesce a colpirlo fino a un'altezza di 1,5 m. Il perioftlamo (appartenente alla famiglia Periophtalmidae) è invece un pesce affine ai ghiozzi, di abitudini semiterrestri, che spesso vive semisepolto nel fango, lasciando sporgere solo la bocca e gli occhi roteanti. Per sopravvivere fuori dall'acqua, riempie la camera bronchiale di una miscela di acqua e aria mantenendola sempre ossigenata aprendo e chiudendo le branchie. La pelle, fornita d'uno strato corneo, rimane inoltre costantemente umida. Ha l'abitudine di appollaiarsi alle radici delle magrovie e di saltellare attraverso la superficie fangosa imbevuta d'acqua, coprendo a volte con rapidità notevoli distanze. Nella stagione degli amori i maschi stabiliscono territori esclusivi e scavano nidi nel fango attirando le femmine per far loro deporre le uova con un'esibizione di corteggiamento fatta di leggiadri saltelli. Tra le mangrovie troviamo ancora animali giunti fino a noi, con modestissime modifiche, dal più remoto passato, come ad esempio il limulo (artropede dell'ordine degli Xifosuri), imparentato con i trilobiti che erano diffusi nei mari nel periodo carbonifero, circa trecento milioni di anni fa. Altro animale strano, questa volta un mammifero dell'ordine dei Sirenii, è il dugongo (Dugong dugon), presente nell'emisfero orientale. Lontani parenti degli elefanti, i Sirenii perdiligono le clame acque lagunari, costiere e fluviali dei tropici, nelle quali si muovono nuotando pigramente con il loro corpo a forma di siluro. Sono animali pacifici lunghi da 2,5 a 4,5 metri con gli arti anteriori trasformati in pinne. Strettamente vegetariani, si nutrono del fogliame delle mangrovie, di alghe e si altre piante marine. La ricchezza di forme di vita contenute in questo ambiente naturale ci fa pensare al rischio per la biodiversità. Quando le foreste di mangrovie vengono distrutte è difficile, se non impossibile, il rinascere della vita a causa degli irreversibili sconvolgimenti che si verificano nella struttura fondamentale di questo delicato ecosistema per conto dell'incessante deforestazione ad opera dell'uomo. Matteo Perelli. Acquario di Genova


SCIENZE DELLA VITA. CASO DI BELLA (Mala) sanità e opinione pubblica Nonostante tutto la mortalità per tumore in Italia è minore che altrove
Autore: GAVOSTO FELICE

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
NOMI: DI BELLA LUIGI
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

PER chi si interessa alla trasformazione culturale in campo sanitario e sociale, potrebbero essere utili alcune riflessioni sul caso Di Bella. In primo luogo bisognerebbe analizzare le vivaci reazioni del pubblico e i segni di malcontento verso la medicina ufficiale. Questo scollamento è sì avvenuto in modo improvviso, scatenato dal caso in questione, ma probabilmente dopo una lunga latenza, con la quale le proposte terapeutiche di Di Bella non hanno nulla a che vedere. Occorre cercare queste cause remote e, fino a poco tempo fa, per nulla appariscenti. E' molto probabile che un eccesso di "speranza" di guarigione da tumore sia stata alimentata, sull'onda dei brillanti successi della ricerca di biologia molecolare, proprio da medici, ricercatori, divulgatori scientifici attraverso i mezzi di informazione, trasmissioni televisive e dibattiti pubblici, determinando un eccessivo ottimismo sul problema cancro. La scoperta delle cause e dei meccanismi con i quali una cellula diventa cancerosa e progredisce nell'organismo ospite è stato un grande evento nella storia scientifica; ma non deve essere confusa, soprattutto da parte dei comunicatori, con l'imminenza della scoperta di una cura radicale, che invece può essere ancora lontana. Molti sentimenti odierni riflettono la delusione che consegue a una speranza troppo prolungata, l'abbassamento della qualità della vita causato dalla terapia e, per molti casi ancora, le persistenti sofferenze, la tristezza e l'angoscia del dramma finale. La sfiducia può progredire in scoramento e diffidenza, nel rifiuto delle cure e nella ricerca di mezzi alternativi. Mai come oggi i pazienti, i loro familiari ed amici, vanno compresi, rispettati e correttamente informati. Occorre fare il possibile per ricucire il loro rapporto con la medicina pubblica, renderli convinti che non si possono prevedere i tempi per una soluzione completa del problema cancro e che, proprio perché il problema è ancora aperto, occorre intensificare la buona ricerca scientifica, l'arruolamento di ricercatori e l'impegno di maggiori risorse per progredire lungo l'unica strada corretta e razionale per vincere, alla fine, la malattia. Un altro fatto che ha contribuito all'insoddisfazione degli utenti e alla loro avversione verso i servizi sanitari, è stato l'eccessivo accanimento dei "media" sulla malasanità presentata come imperante, sempre e ovunque. E' indubbio che esiste malasanità, che esistono imperizia, disorganizzazione, cattiva gestione e anche disonestà. Ma esiste anche una buona sanità della quale non si parla mai. Altrimenti come si spiegherebbe che la mortalità per tumore in Italia è minore che in altri Paesi industrializzati e che la sopravvivenza media della nostra popolazione è quasi da primato? Andrebbero, infine, analizzate le risposte che, autorità sanitarie in primo luogo, ma anche magistratura, clero e quant'altre organizzazioni, stanno fornendo alla reazione pubblica. La libertà di scegliere la cura è spesso interpretata non correttamente. Riportando le leggi di mercato (domanda e offerta) alla sanità, dobbiamo tener presente che proprio la sanità sta al di fuori delle normali regole del mercato, in quanto la domanda non vien fatta dal paziente, cioè dal fruitore dell'offerta, ma dal suo medico, il quale deve, a nome del paziente ed una volta fatta la diagnosi, richiedere la cura che ritiene più idonea, valutandone l'efficacia e, se le opzioni sono più di una, illustrando al malato i vari gradi di efficacia, di effetti collaterali, di probabilità di guarigione. Non è proprio quindi affermare: dobbiamo dare al paziente la cura che ci richiede. Se di una cura richiesta (o molto richiesta come avviene attualmente) ancora non si conosce l'efficacia, questa va ricercata con i mezzi e le metodologie idonee. E' quanto sta facendo l'autorità sanitaria sulla proposta terapeutica Di Bella. Purtroppo, nelle scelte ministeriali e regionali, la sperimentazione clinica, coinvolgente la totalità delle regioni e degli ospedali specialistici, sta diventando, ad un tempo, ridondante rispetto a quanto richiesto dalle discipline biometriche e statistiche, ed impropria perché include metodologie basate soltanto sull'osservazione dei casi in trattamento senza i necessari controlli. Quest'impegno a carattere nazionale e così totalizzante, pone senz'altro il problema del costo, che si presume molto alto. A questo proposito, riandando ai veri centri di opinione, può essere opportuno ricordare quanto affermato dal Consiglio direttivo dell'Associazione dei medici cattolici italiani (La Voce del Popolo, 25 gennaio 1998), nell'invito a riflettere sul problema della terapia Di Bella: "Le risorse pubbliche di cui una società dispone sono limitate e devono essere impiegate al meglio per favorire e proteggere tutti gli aspetti della persona umana. Utilizzare le risorse pubbliche per un progetto di utilità non dimostrata nè presunta non è consistente con una bioetica delle risorse". Felice Gavosto Università di Torino


SCAFFALE Biancotti Augusto: "Le Canarie", BEM, Milano
AUTORE: P_BIA
ARGOMENTI: ECOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

IN piccolo, e purtroppo ormai con molte contaminazioni, le isole Canarie sono un meraviglioso laboratorio naturale, un po' come le Galapagos. Ma nell'arcipelago spagnolo in mezzo all'oceano Atlantico, più che l'aspetto naturalistico, conta quello geologico. Il Pico del Teide, a Tenerife, è un vulcano di grande interesse scientifico, incluso in un progetto di studio internazionale (con i suoi 3530 metri, è anche la vetta più alta della Spagna). Nella vicina isola di La Palma, si va dalla splendida caldera di Taburiente al giovane vulcano Teneguia, sorto nel 1971. In queste isole, dove le condizioni climatiche create dalla quota e dagli alisei sono eccezionali, sorgono due osservatori astronomici dove sono confluiti i maggiori telescopi europei. Augusto Biancotti, ordinario di geografia fisica all'Università di Torino, ci presenta una completa panoramica geologica, ma anche culturale e turistica, dell'arcipelago.


SCAFFALE Bignami Giovanni Romolo: "Uso del territorio", L'Arciere
AUTORE: P_BIA
ARGOMENTI: GEOGRAFIA E GEOFISICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Cementificazione, montagne abbandonate, bacini fluviali sfruttati selvaggiamente e poi abbandonati a se stessi. Dopo decenni di uso selvaggio del territorio, le cose stanno cambiando, sia per il diffondersi di una presa di coscienza scientifica di questi temi sia perché la nostra legislazione incomincia a fornire gli strumenti necessari per una politica razionale. Giovanni Bignami, esperto di geografia territoriale ed economica, condensa in questo volume un quarantennio di esperienze nel settore. (p. bia.)


SCAFFALE Cagliano Stefano: "Guarire dall'omeopatia", Marsilio
AUTORE: P_BIA
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

Cinque milioni di italiani si curano con l'omeopatia, 5000 medici la praticano, 7000 sono i farmaci omeopatici, 150 miliardi il fatturato di questa medicina alternativa. L'omeopatia nasce all'inizio nell'800 da un'idea di Samuel Hahnemann: curare il simile con il simile, ma in dose minima; se una malattia è causata da un veleno, curarla con una minuscola quantità dello stesso veleno. I farmaci vengono preparati con progressive diluizioni. Nelle più spinte, a conti fatti non rimane praticamente traccia del farmaco. Molte sperimentazioni hanno confermato l'inattendibilità dell'omeopatia (a parte l'effetto placebo). E indirettamente anche i danni, quando ci si sottrae a una cura efficace per seguire la tradizione di Hahnemann. Eppure molti medici e farmacisti non rinunciano al business. Stefano Cagliano, medico e ottimo divulgatore, fa chiarezza su questo intreccio di irrazionalità, disinformazione e interessi.


SCIENZE DELLA VITA. FORSE CELLULE SCAMBIATE PER ERRORE Dolly non è un clone? Sarebbe solo la gemella della madre
Autore: FRONTE MARGHERITA

ARGOMENTI: GENETICA, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: SGARAMELLA VITTORIO, ZINDER NORTON, WILMU IAN
ORGANIZZAZIONI: NATURE
LUOGHI: ITALIA

FORSE non era vero. Dopo un anno speso a discutere sulla liceità della clonazione, sulle sue ricadute per la biologia, sulla possibile utilità della tecnica per l'industria farmaceutica e nella chirurgia dei trapianti, si apprende che la pecora Dolly " forse" non è un clone. Il sospetto aleggiava fra gli addetti ai lavori da mesi e, per la verità, già un anno fa, quando la rivista scientifica Nature dedicò la sua copertina alla nascita del primo mammifero clonato, qualche scettico aveva avanzato dei dubbi. Ora le critiche si fanno più insistenti. A metà febbraio, in un convegno svoltosi nel Kentucky (Usa), alcuni specialisti hanno avanzato l'ipotesi che Dolly non sia figlia di una cellula differenziata e adulta della madre, ma di una cellula embrionale. Le perplessità del mondo scientifico sono state puntualizzate da Vittorio Sgaramella, genetista dell'Università di Cosenza, e da Norton Zinder, biologo della Rockefeller University di New York, in una lettera apparsa recentemente sulla rivista Science. Non è un caso che Science dia spazio alle critiche su di un lavoro che ha mobilitato l'opinione pubblica e gli specialisti di mezzo mondo e che fu pubblicato dalla sua acerrima concorrente Nature. Ecco i punti più roventi del dibattito. La cellula adulta da cui è stato estratto il nucleo che, trapiantato in una cellula uovo, avrebbe dovuto far nascere Dolly, è stata prelevata dalla ghiandola mammaria di una pecora. Ma esiste la remota possibilità che, invece che una cellula adulta e differenziata, i biologi del Roslin Institute di Edimburgo, guidati da Ian Wilmut, inconsapevolmente ne abbiano prelevata una embrionale, non differenziata. Alcune cellule di questo tipo infatti permangono nel tessuto mammario adulto. In questo caso, Dolly non sarebbe il clone di sua madre, ma la sorella gemella. Nulla di eccezionale quindi: gli esperimenti che dimostrano che da una cellula embrionale può nascere un individuo adulto sono infatti piuttosto datati. Ma l'errore potrebbe anche avere un'altra origine. La mamma di Dolly (continuiamo a chiamarla così, col beneficio del dubbio) era incinta quando fu effettuato il prelievo dalla sua ghiandola mammaria. Ebbene: cellule embrionali, appartenenti al nascituro, si trovano, seppur rare, nel sangue delle femmine gravide. In questo caso, quindi, Dolly sarebbe la sorella gemella dell'agnellino che la mamma stava aspettando. Nuovamente, non si tratta di un clone. La nascita di Dolly sembrava aver dimostrato che anche da cellule ormai "vecchie" si può formare un individuo completo. Con le nuove critiche, siamo punto e a capo in una questione che appassiona i biologi da decenni. Dati alla mano, Ian Wilmut si difende sostenendo che con la procedura seguita, la probabilità di prelevare cellule embrionali è un milione di volte più bassa rispetto a quella di prelevare cellule adulte. Eppure, questa possibilità esiste, lui stesso lo ammette. E non è stata verificata. Ma c'è dell'altro. Prima di ottenere il risultato positivo il gruppo di biologi di Edimburgo ha ripetuto l'esperimento più di 400 volte. Lode alla perseveranza, certo, ma dopo quell'unico successo ci sono stati soltanto fallimenti. Nè Wilmut nè altri ricercatori sono riusciti a ripetere l'impresa. Che i risultati vengano confermati da più scienziati è uno dei cardini su cui pioggia il metodo scientifico. "La mancanza di conferme suscita scetticismo" commentano su Science Sgaramella e Zinder: un solo successo su oltre 400 prove deve essere considerato una casualità, perché potrebbe essere dovuto a un errore sperimentale.. . Come, per ssempio, quello di aver prelevato una cellula embrionale al posto di una adulta. I biologi criticano anche la mancanza di una analisi del Dna che dimostri che Dolly sia effettivamente un clone della madre, e Wilmut replica che gli studi sono in corso e che i risultati saranno presto resi noti. Aspri attacchi sono rivolti anche agli editori di Nature che, un po' affrettatamente, lo scorso anno diedero spazio a un lavoro che presentava tanti aspetti dubbi. Ne va, dicono, della credibilità della scienza di fronte all'opinione pubblica. Una credibilità minacciata dalla spettacolarizzazione dei risultati anche da parte di pubblicazioni che, come Nature, godono di un tale credito che il loro nome è spesso preceduto dal binomio "autorevole rivista". Anche gli scienziati hanno le loro colpe. Per attaccare uno studio pubblicato da un'"autorevole rivista" bisogna infatti presentare argomenti molto forti, talmente convincenti che spesso l'onere della critica scoraggia gli stessi ricercatori. Ed è anche questo uno dei punti caldi della questione. Il clamore suscitato da Dolly ha tolto l'esperimento scozzese dal piano della discussione critica scientifica. I commenti dei ricercatori e degli esperti di etica sui giornali e alla tv fanno certamente parte del dibattito scientifico, ma si rischia di parlare a vanvera se le prove tangibili a sostegno di un'ipotesi non sono soddisfacenti per la scienza. La cronaca, anche in questo periodo, straripa di affermazioni morali e politiche su argomenti che non hanno passato l'esame rigoroso del metodo scientifico. Ma nella ricerca, non dimentichiamolo, dovrebbero venire prima i fatti, e poi le parole. In seguito alla nascita di Dolly, si era pensato di clonare animali transgenici in serie per produrre farmaci, di replicare se stessi, di produrre in serie mucche da macello. I bioetici ne avevano discusso, Clinton aveva incaricato una commissione di esperti di valutare la questione, la Chiesa aveva posto il veto per l'uomo. Addirittura, all'inizio di quest'anno, l'Unione Europea ha messo al bando la clonazione per gli esseri umani. Tutti provvedimenti che, "forse", non servivano, anche se, vista la velocità con cui avanza la biologia, il dibattito sulla clonazione potrebbe rappresentare un utile esercizio in vista di eventi futuri. Nell'attesa, dopo aver trascorso tanto tempo sotto la luce dei riflettori (le hanno organizzato persino la festa di compleanno con tanto di cappellino, coriandoli e palloncini), Dolly si gode i pascoli scozzesi. Sotto il profilo scientifico il dibattito è ancora aperto. Belerà bene chi belerà ultimo. Margherita Fronte


LA SCIENZA IN TAVOLA I parametri della pizza "verace" Come individuare i criteri per definirne la qualità
Autore: PAPULI GINO

ARGOMENTI: ALIMENTAZIONE
ORGANIZZAZIONI: MEDIASCIENCE INTERNATIONAL
LUOGHI: ITALIA

SI può "unificare" la pizza napoletana? La risposta è sì, e difatti l'Uni - l'ente italiano che soprintende alla " normalizzazione" dei sistemi e dei prodotti industriali in ambito nazionale e internazionale - nei giorni scorsi ha costituito un gruppo di lavoro per la "Pizza Napoli Verace" con lo scopo di codificare le caratteristiche delle materie prime, dei sistemi di cottura e di tutto ciò che può assicurare il rispetto della ricetta tradizionale, a garanzia dei consumatori e degli stessi produttori. L'iniziativa rientra nei compiti della Commissione alimenti e bevande dell'Uni, autrice - tra l'altro - di una norma analoga per il caffè espresso che, a suo tempo, suscitò un certo scalpore (chi fosse interessato può vedere Tuttoscienze del 17 febbraio 1993). Molti, infatti, si domandarono (e continuano a domandarsi) se la definizione di certi "fattori concreti" sia in grado di assicurare il pieno soddisfacimento dei nostri sensi gustativi perché le percezioni del gusto e dell'olfatto, specie nelle loro sfumature e interazioni, sfuggono alle valutazioni tecniche (anche se basate su valori statistici di riferimento) per rimanere nel campo della percettività personale. Tuttavia, la ricerca scientifica sta sviluppando da tempo strumenti per la misura dei parametri sensoriali, e risultati importanti si sono avuti recentemente con la realizzazione di sensori elettronici olfattivi ad architettura neuronale, in grado di identificare le famiglie molecolari presenti nelle emissioni odorose, ricavandone una " impronta" caratteristica. L'agenzia "Mediascience international" ci informa che, sulla base di tale ricerca, una società francese ha messo a punto una apparecchiatura la cui affidabilità è stata verificata - in competizione con 24 esperti "annusatori" del Gruppo italiano Torrefattori di Caffè - nel distinguere la qualità " arabica" da quella "robusta" e nell'individuare il luogo di origine delle piantagioni (Colombia, Brasile, Uganda, Camerun). La stessa strumentazione viene utilizzata in enologia per controllare, attraverso l'odore, la qualità dei barili di quercia destinati all'invecchiamento dei vini pregiati; e, negli stabilimenti di macellazione dei suini, per eliminare dalla catena di smontaggio le bestie castrate male o in ritardo, la cui carne ha un odore poco piacevole ai fini eduli. Di "nasi elettronici" meno sofisticati dei precedenti ma altrettanto utili ci si serve per il monitoraggio di zone abitate soggette ad inquinamento olfattivo derivante da discariche, inceneritori, processi industriali, acque inquinate, ecc. ; quando, cioè, si tratti di intervenire a garanzia della vivibilità ambientale anche se la gente ha il raffreddore. Gino Papuli


SCIENZE FISICHE. IPERTESTI Il nuovo linguaggio di Internet Cascading abbrevia i tempi per scaricare pagine Web
Autore: DE CARLI LORENZO

ARGOMENTI: INFORMATICA, COMUNICAZIONI
ORGANIZZAZIONI: INTERNET
LUOGHI: ITALIA

GLI osservatori sono d'accordo nell'attribuire allo sviluppo del World Wide Web, il settore ipertestuale di Internet, la causa prima della espansione della rete. Il linguaggio del Web è l'Html (da HypertText Markup Language), il quale non è propriamente un linguaggio di programmazione bensì un codice che, interpretato dai programmi di navigazione ipertestuale come Netscape o Explorer, fornisce il contenuto testuale di una pagina Web e la sua forma grafica. Chi prepara le informazioni destinate al Web redige dei documenti in cui scrive ciò che intende far leggere ai destinatari e nei quali inserisce anche quei codici (invisibili al lettore) grazie ai quali il programma di navigazione compone la pagina ipertestuale. Implicitamente dichiarando la sua dipendenza dal modello televisivo, il successo del Web ha continuato a crescere in proporzione all'incremento della quantità di immagini immesse e dello sforzo durato per accompagnare queste immagini a suoni e animazioni, con lo scopo di fare del Web non solo un ipertesto ma un vero e proprio strumento di comunicazione multimediale. Se l'evoluzione multimediale del Web per un verso ha indotto i produttori di software a creare programmi capaci di fornire suoni e animazioni senza soluzione di continuità per creare l'illusione di una fruizione senza intralci, chiara e fluida, per l'altro verso essa ha sollecitato i consumatori a dotarsi di computer sempre più potenti capaci di trarre tutti i vantaggi potenziali dal nuovo software. L'incremento delle informazioni multimediali ha avuto uno sviluppo che solo in parte ha modificato la scrittura dei documenti Html, la cui sintassi fondamentale resta quella che nel 1989 Tim Berners-Lee e Robert Cailliau proposero al Cern. Ciò nondimeno l'uso sempre più massiccio di immagini, ottenute con quei programmi (come Photoshop) prima usati solo dai grafici della carta stampata, ha manifestato la povertà delle soluzioni offerte dal linguaggio Html sia per quanto riguarda la capacità di impaginare i testi, sia per quanto riguarda la "formattazione". Concepito solo per mettere in relazione dei testi, creando così degli ipertesti, l'Html non poteva soddisfare le esigenze di quei grafici per i quali è una condizione espressiva primaria poter avere il pieno controllo della pagina in tutti i suoi aspetti. Per soddisfare i bisogni di chi auspicava una più accurata padronanza della pagina al fine di piegare anche il Web alle esigenze espressive dei grafici, Netscape introdusse tutta una serie di nuove estensioni del linguaggio Html (poi diventate uno standard) che permisero, tra l'altro, l'uso degli stili per i caratteri (neretto, corsivo...) e l'uso delle tabelle (diventate un potente strumento di impaginazione). Poi anche Explorer introdusse nuove estensioni gradite a chi auspica un buon controllo grafico della pagina, come quelle che, per esempio, consentono di scegliere la famiglia di caratteri desiderata (Helvetica, Courier...). Questo aumento degli attributi che tendono ad adeguare l'Html alle esigenze dei grafici non ha in realtà risolto alcun problema, rendendo anzi sempre più pesanti le pagine Web, col forte rischio di dover trasformare in standard de facto l'iniziativa individuale di questo o quel produttore di software. Una svolta radicale a questa situazione sta per essere data da Cascading Style Sheets (Css), un codice che si cominciò a sviluppare al Cern nel 1994 e il cui uso è stato raccomandato dall'organismo che presiede alla elaborazione degli standard per il Web. Si tratta di un linguaggio molto semplice che permette l'accurata descrizione di tutti gli aspetti grafici di una pagina Web. Per esempio, senza usare le tabelle, Css permette di stabilire precisi margini non solo a sinistra e a destra, ma anche in alto e in basso. Stili, famiglie, colori e dimensioni dei caratteri possono essere scelti a piacere, ottenendo accurati effetti grafici prima impossibili se non creando immagini (che avrebbero inevitabilmente appesantito la pagina). Il vantaggio di Cascading Style Sheets rispetto a tutte le estensioni del codice Html finora introdotte è quello di separare nettamente il contenuto letterale di una pagina Web dal codice che ne descrive lo stile. Ciò significa che per cambiare, anche profondamente, lo stile di un intero sito Web basta modificare il contenuto del solo documento contenente la descrizione degli stili; ma significa anche che le pagine Web da "scaricare" sono molto più leggere. Per ora solo Netscape Navigator 4.0 è in grado di decodificare in misura accettabile i documenti redatti con Cascading Style Sheets. Probabilmente Internet Explorer 4.0 non sarà da meno, ma la versione 3 del programma di Microsoft si dimostra molto lacunosa. Lorenzo De Carli


SCIENZE FISICHE. SCIENZA & LETTERATURA Leopardi astronomo Il poeta attratto dalle stelle
Autore: GABICI FRANCO

ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA, ASTRONOMIA
NOMI: GIACOMO LEOPARDI
LUOGHI: ITALIA

NELLA prima delle sue "lezioni americane", quella dedicata alla " leggerezza", Italo Calvino ricorda la grande passione di Leopardi per la Luna, che per il poeta di Recanati non costituì solamente un motivo lirico ma qualcosa di più, perché "quando parlava della Luna Leopardi sapeva esattamente di cosa parlava". E fu proprio la presenza ingombrante di Leopardi in questi temi lunari a far desistere Calvino nell'andare oltre. In un primo momento, afferma infatti Calvino, "volevo dedicare questa conferenza tutta alla Luna (...) poi ho deciso che la Luna andava lasciata tutta a Leopardi. Perché il miracolo di Leopardi è stato di togliere al linguaggio ogni peso fino a farlo assomigliare alla luce lunare". Oggi, a 200 anni dalla nascita, astronomi e astrofili prendono coraggio e rivendicano Giacomo come fratello e collega e soprattutto invitano la critica a prendere in considerazione gli aspetti astronomici e scientifici dell'opera leopardiana, che non sono affatto marginali. La passione di Giacomo per il cielo è testimoniata dalla ponderosa " Storia dell'astronomia dalla sua origine fino all'anno 1811" che scrisse ad appena tredici anni quando era invaso da una specie di " furore filologico". Anzi secondo qualcuno Giacomo avrebbe scritto questa opera quasi per riposarsi dalla fatica dello studio della lingua greca] Anche se questo lavoro giovanile non soddisfece mai il suo autore (venne, infatti, pubblicato postumo da Halle nel 1880), rappresenta un momento importante nella storia del suo pensiero, il passaggio dalla filosofia alla erudizione e alla filologia. La " Storia dell'astronomia" si conclude nel 1811, l'anno in cui appare la cometa scoperta dall'astronomo francese Flaugergues e che Patrick Moore ha definito "la cometa più grande mai registrata". La " storia dell'astronomia" di Leopardi è sicuramente una delle prime storie di questa disciplina che siano state scritte. In una bibliografia generale pubblicata nel 1887 vengono citate solamente 31 opere, prima di questo lavoro giovanile di Giacomo, ma meno di dieci reggono il confronto per la vastità e la completezza dei dati. Negli Anni Settanta il poeta ingegnere Leonardo Sinisgalli radiografa i Canti, che definisce "il libro unico così carico di stelle", e trova che il termine "stelle" ricorre 19 volte. In realtà sono venti, perché nell'elenco di Sinisgalli manca una citazione del "Bruto minore". In un recentissimo studio, invece, il critico Paolo Rota ("Le Lune leopardiane", Clueb) concentra l'attenzione sul termine "Luna", che ricorre 25 volte nei versi e due volte nei titoli ("Alla luna", "Il tramonto della luna"). Il topos poetico di Leopardi è dunque un suggestivo planetario nel quale il lettore rivive le meraviglie del cielo stellato, sempre filtrate dal malinconico raggio di Luna. Giacomo ammirava Copernico e in una gustosa "operetta morale" intitolata all'"Ardimentoso Prussiano" ("Il Copernico"), ci presenta un Sole indispettito che fa sapere all'Ora Prima di non avere più intenzione di affacciarsi sulla scena del mondo perché stanco "di questo continuo andare attorno a far lume a quattro animaluzzi che vivono in su un pugno di fango tanto piccino". E offre anche una giustificazione meccanica del suo comportamento: "Come può questo globo (...) far muovere intorno a sè il Sole e quei pianeti, che sono maggiori di esso?". Secondo Leopardi l'astronomia senza la matematica era "scienza incertissima, frivola, inesatta, volgarissima", mentre l'astrologia è definita "parto infelice dell'umana ambizione e follia". Il poeta dell'"Infinito" crede nell'esistenza di forme di vita in altri mondi e nel "Cantico del gallo silvestre" sembra formulare un "principio antropico" ante litteram: "Se il sonno dei mortali fosse perpetuo, ed una cosa medesima colla vita; se sotto l'astro diurno, languendo per la terra in profondissima quiete tutti i viventi, non apparisse opera alcuna; non muggito di buoi per li prati, nè strepito di fiere per le foreste, nè canto di uccelli per l'aria, nè sussurrar d'api o di farfalle scorresse per la campagna; non voce, non moto alcuno, se non delle acque, del vento e delle tempeste, sorgesse in alcuna banda; certo l'universo sarebbe inutile". Ma torniamo alla Luna. La Luna di Leopardi è sempre piena, quasi un segno di speranza nel buio della notte. E con la Luna Giacomo sembra anche divertirsi, come nella XXXVII "canzone", dove il pastore Alceta racconta a Melisso di aver visto cadere la Luna in un prato. O quando nel "dialogo della terra e della luna" la nostra Terra chiede al suo satellite se sia proprio vero che tutte le cose smarrite dagli uomini siano finite presso di lei. E ricevuta la risposta affermativa, propone alla Luna una specie di "convenzione" in virtù della quale verrebbe restituito ai terrestri il senno perduto con conseguente liberazione della Luna perché, come commenta la Terra, " io penso che tu medesima abbi caro di essere sgomberata, massime del senno, il quale intendo che occupa costì un grandissimo spazio". Leopardi scriveva questa "operetta morale" alla fine di aprile del 1824. Sono passati quasi due secoli, ma il senno dei terrestri continua ad occupare sulla Luna "grandissimo spazio". Franco Gabici


SCAFFALE Mazzitelli Italo: "Guida alla scoperta del cielo"; Serra Cristina: "Le biotecnologie"; Editori Riuniti
ARGOMENTI: DIDATTICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Tornano i benemeriti "Libri di base" degli Editori Riuniti, e tornano in versione tecnologicamente avanzata: i volumi sono accompagnati da un floppy disk, in modo che editoria su carta e editoria elettronica si rafforzino reciprocamente. Ottimi i primi due volumi, dedicati all'astronomia e alle biotecnologie.


SCIENZE FISICHE. UN ESPERIMENTO ECCEZIONALE Neutrini sparati da Ginevra su un bersaglio in Abruzzo
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: FISICA, RICERCA SCIENTIFICA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, LA THUILE (AO)
NOTE: Convegno «Les rencontres de physique»

DA Ginevra partirà un fascio di neutrini, attraverserà le Alpi, penetrerà nella roccia del Gran Sasso e finirà in un rivelatore sotterraneo chiamato "Icarus". Scopo dell'esperimento: capire finalmente la natura di queste particelle misteriose e sfuggenti. Il che non è curiosità esclusiva dei fisici. I neutrini hanno in sè la chiave di due problemi che dovrebbero interessare anche l'uomo della strada: si tratta infatti di comprendere meglio il funzionamento del Sole e di stabilire se l'universo si espanderà eternamente o se è destinato, prima o poi, a collassare in un Big Crunch simmetrico al Big Bang che gli diede origine 15-20 miliardi di anni fa. Di questi temi si sta discutendo a La Thuile, in Valle d'Aosta, a "Les rencontres de physique" che costituiscono ormai un appuntamento fisso di fine inverno per un centinaio di ricercatori di tutto il mondo. Altri temi del convegno (che è iniziato lunedì e si concluderà sabato) sono il modello standard delle particelle elementari, le ultime ricerche sul quark Top, le teorie di supersimmetria, la caccia a fenomeni fisici inediti. Tra i partecipanti, Giorgio Bellettini e James Peebles. Torniamo ai neutrini. Queste particelle vengono emesse in varie reazioni: dal decadimento dei neutroni ai processi di fusione termonucleare da cui deriva l'energia del Sole e di tutte le altre stelle. Esistono tre tipi di neutrino: uno associato all'elettrone, uno al muone (un elettrone pesante) e uno alla particella Tau. I neutrini potrebbero essere privi di massa ma la teoria non esclude che invece possiedano una massa, per quanto piccola. Le misure più raffinate hanno posto un limite: se i neutrini hanno massa, questa sarà comunque inferiore a 5 elettronvolt (circa un centomillesimo dell'elettrone, che è la più leggera tra le particelle elementari). Bruno Pontecorvo ha elaborato una teoria secondo la quale, se disponessero di massa, i tre neutrini potrebbero trasformarsi l'uno nell'altro. Se si riuscisse a dimostrare con un esperimento che in effetti è così, giungerebbero a soluzione i due problemi a cui abbiamo accennato, quello delle reazioni termonucleari che avvengono dentro il Sole e quello dell'espansione dell'universo (infinita o temporanea?). Incominciamo da questa seconda questione. Ammettendo che i neutrini abbiano una massa anche soltanto di 4-5 elettronvolt, la massa complessiva dell'universo aumenterebbe enormemente perché queste particelle sono numerosissime (circa un miliardo per ogni nucleone). Di conseguenza potremmo concludere che la materia oscura di cui si hanno vari indizi è costituita probabilmente da nubi di neutrini intorno alle galassie, e che l'universo finirà in un collasso. Quanto al funzionamento del Sole, il problema è che attualmente non si osservano tutti i neutrini previsti dalla teoria ma soltanto due su tre. Se si dimostrasse che i neutrini si trasformano da un tipo all'altro, la questione si risolverebbe. In pratica l'esperimento consisterebbe nell'inviare un fascio di protoni dell'acceleratore Sps del Cern di Ginevra contro un bersaglio; nell'urto si produrrebbe un fascio di neutrini muonici, che viaggerebbero per mille chilometri fino al Gran Sasso. Lungo il tragitto qualcuno potrebbe trasformarsi in un neutrino Tau, e questa sarebbe la prova dell'esattezza della teoria. L'esperimento è previsto per i primi anni del prossimo secolo. La sua efficienza dipenderà dalle dimensioni del rivelatore da costruire nel laboratorio del Gran Sasso. Si partirà con 600 tonnellate per arrivare a 1800. Un'impresa ciclopica. Piero Bianucci


SCIENZE DELLA VITA. ALIMENTAZIONE Olio di mais contro l'invecchiamento La vitamina F limita l'effetto "irrigidente" del colesterolo
Autore: CESTARO BENVENUTO

ARGOMENTI: ALIMENTAZIONE
LUOGHI: ITALIA

UNA dieta equilibrata è fondamentale per rallentare i processi fisiologici dell'invecchiamento così come l'insorgere di molte patologie degenerative (aterosclerosi, diabete, ipertensione, dislipidemie, tumori) che all'invecchiamento spesso si accompagnano. Ma in che cosa consiste una dieta corretta ed equilibrata? Bisogna che i cibi assicurino sia l'apporto delle calorie necessarie al funzionamento del nostro corpo, sia i nutrienti essenziali per assicurare le sintesi di tutte le macromolecole funzionali (proteine, acidi nucleici, glico e fosfolipidi di membrana) che si sono usurate e devono essere sostituite per assicurare il mantenimento di tutte le funzioni vitali dell'organismo. Tra i tanti nutrienti essenziali (aminoacidi, vitamine, oligoelementi e sali minerali) parleremo qui di due acidi grassi per l'appunto essenziali che rispondono al nome di acido linoleico e di acido linolenico. Questi due acidi grassi anche chiamati fattore vitaminico F sono due molecole che il nostro corpo non è in grado di sintetizzare pur avendo la necessità quotidiana di disporne in dosi adeguate per poterli utilizzare (come tali o dopo trasformazione in acidi grassi polinsaturi superiori) per la biosintesi dei fosfolipidi contenenti acidi grassi polinsaturi. Il fattore vitaminico F assicura il mantenimento dell'adeguato grado di "fluidità" di tutte le membrane cellulari degli organi del nostro corpo contrapponendosi all'effetto "irrigidente" provocato dall'eccesso di colesterolo e dalle alterazioni strutturali e funzionali causate dai processi ossidativi che si manifestano nel corso dell'invecchiamento e delle patologie dismetaboliche ad esso correlate. Di quanti acidi grassi polinsaturi abbiamo ogni giorno necessità? E a quali alimenti che li contengono dobbiamo rivolgere la nostra attenzione? In che quantità dobbiamo consigliarne l'assunzione? Alla prima domanda hanno già risposto i dietologi di tutto il mondo: una dieta corretta ed equilibrata non deve contenere un quantitativo di grassi superiore al 30% delle calorie totali assunte e inoltre il 5- 6% di queste calorie totali deve essere fornito specificatamente dagli acidi grassi essenziali: questo si traduce per un individuo adulto che assimila giornalmente 2000 calorie in un'introduzione totale di grassi (ogni grammo di grassi equivale a 9 calorie) pari a circa 66 grammi, di cui circa 13 grammi devono essere rappresentati dagli acidi grassi polinsaturi. Se consideriamo che 40-45 grammi di grassi sono forniti dai cibi più di frequente presenti nelle diete, quali carne, uova, latte e formaggi (grassi che sono prevalentemente saturi o monoinsaturi), è evidente che per introdurre i 13 grammi di acidi grassi essenziali con i restanti 20 grammi di grassi da introdurre, è consigliabile utilizzare oli che assicurino un elevato apporto di acidi grassi essenziali. L'olio di mais è uno tra gli oli a più elevato contenuto di acidi grassi polinsaturi dato che ne contiene dal 50 al 58% del totale (si ricordi per confronto che i migliori oli di oliva non superano mai l'8% del totale). Questi acidi grassi polinsaturi sono indispensabili al nostro organismo, ma sono anche facilmente ossidabili, e questo è senz'altro un evento che deve essere evitato dato che i lipoperossidi che si potrebbero originare sono sicuramente nocivi al nostro stato di salute. Un olio per essere considerato un buon condimento deve dunque fornire tutti questi acidi grassi essenziali ma contemporaneamente anche un adeguato apporto di antiossidanti che ne prevengano i processi ossidativi. L'olio di mais è particolarmente ricco di vitamina E, il più efficiente antiossidante lipofilo, inoltre è di gran lunga il più ricco tra gli oli di semi e di oliva, di coenzima Q. Questo coenzima, già da tempo utilizzato quale farmaco nelle patologie cardiache, poiché è in grado di migliorare la resa energetica nei mitocondri, si è dimostrato ora in grado di svolgere anche un'intensa attività antiossidante a livello di membrane cellulari e lipoproteine plasmatiche e questa attività antiossidante è sinergica a quella della vitamina E. Ma non finiscono qui le proprietà nutrizionali dell'olio di mais. Quest'olio è infatti fra i più ricchi di Beta-sitosterolo come tale e di suoi derivati. I Beta-sitosteroli si sono dimostrati in grado di prevenire l'eccessivo accumulo del colesterolo plasmatico e questo per due motivi diversi ma tra loro sinergici: il primo è che i Beta-sitosteroli inibiscono l'assorbimento intestinale del colesterolo contenuto nei cibi, il secondo è che questi steroli inibiscono la biosintesi endogena del colesterolo (ed è questa la forma più pericolosa per promuovere l'accumulo di questo grasso nel sangue). Va infine ricordato che l'olio di mais promuove la biodisponibilità nell'uomo della trilinoleina, un trigliceride contenente tre molecole di acido linoleico di cui l'olio di mais è, come già ricordato, particolarmente ricco. Questa trilinoleina, identificata per essere il composto attivo di un estratto medicale di Ginko-Biloba da tempo utilizzato nella prevenzione delle patologie cardiache, è attualmente oggetto di studi approfonditi per le sue straordinarie proprietà antiaterosclerotiche cardioprotettive dovute essenzialmente alla sua elevata attività antiossidante. Benvenuto Cestaro Università di Milano


SCIENZE A SCUOLA. ATTRITO Quelle sgommate inutili
Autore: CAGNOTTI MARCO

ARGOMENTI: FISICA
LUOGHI: ITALIA

L'AUTO parte sgommando, la gente si volta. Il conducente compiaciuto per l'attenzione ottenuta non sa di aver dato prova, oltre che di maleducazione, anche di ignoranza: volendo accelerare rapidamente ha sbagliato tutto, perché non conosce le proprietà dell'attrito. Di primo acchito potrebbe sembrare solo una gran seccatura. Invece l'attrito è essenziale per ogni attività umana. Senza di esso non potremmo scrivere, perché le particelle di inchiostro non sarebbero trattenute sul foglio. Non saremmo neppure in grado di parlarci, perché il suono si trasmette attraverso l'aria a causa dell'interazione di ogni molecola, per una sorta di attrito, con le molecole circostanti. Nè potremmo muoverci: chi ha avuto occasione di trovarsi senza pattini su una superficie ghiacciata sa bene che agitarsi non serve a niente. Camminiamo, parliamo, scriviamo, e non pensiamo mai che senza attrito quasi ogni azione ci sarebbe impossibile. Il fatto che le superfici sfreghino o meno una contro l'altra conferisce all'attrito proprietà diverse. Quando ogni punto di una superficie rimane a contatto con un solo punto dell'altra si parla di attrito statico. E' il caso ovvio di un corpo fermo ma anche, meno banalmente, del pneumatico di un'automobile in moto. L'attrito dinamico si osserva invece quando le superfici strisciano, ed è meno intenso di quello statico. Per verificare la differenza basta spingere un libro su una superficie ruvida: la forza che serve a mantenere il moto è sensibilmente inferiore a quella necessaria a farlo iniziare. Ecco perché partire sgommando è controproducente: lo sfregamento fra gomma e asfalto provoca un attrito dinamico e dunque una forza e un'accelerazione inferiori a quelle che si otterrebbero partendo con più calma. Per la stessa ragione quando si vuole frenare rapidamente è meglio non inchiodare di colpo, arrestando la rotazione delle ruote: in questo modo si provoca uno sfregamento e si ottiene un attrito statico, mentre sarebbe maggiore l'attrito dinamico delle ruote che continuano a girare senza strisciare. E quando è questione di vita o di morte la differenza è significativa, perché senza inchiodare si riduce lo spazio di frenata del 20 per cento. Le proprietà dell'attrito statico e di quello dinamico possono essere sfruttate per trovare il baricentro di un righello sbilanciato a un estremo, tenendolo sollevato orizzontalmente con due dita poste sotto le estremità e avvicinando le mani. Infatti il primo dito in movimento scivola risentendo di un attrito dinamico, mentre il secondo, sottoposto al più intenso attrito statico, rimane fermo. Tuttavia la forza non è determinata solo dalla natura delle superfici a contatto, ma anche dal peso che agisce su di esse. Dunque non appena sul dito in moto si trova una frazione del peso del righello sufficiente a contrastare l'attrito statico sull'altro, il primo si ferma e il secondo inizia a spostarsi. I ruoli si scambiano finché le dita non si incontrano esattamente nel punto in cui il righello, per quanto sbilanciato, rimane in equilibrio: il baricentro, appunto. Su scala molto più ampia, l'attrito interviene anche nel determinare la durata del giorno e la distanza della Luna. Nello scorrimento di una corrente di marea si ha una perdita di energia per attrito, da cui deriva un rallentamento della rotazione della Terra e dunque un allungamento dei giorni. In effetti da prove geologiche e paleontologiche sappiamo che nel lontano passato i giorni erano più lunghi. Ma il momento angolare del sistema Terra-Luna deve rimanere costante, così per compensare la perdita di rotazione del nostro pianeta la Luna si allontana. Misure precise eseguite con gli strumenti lasciati sulla superficie lunare dalle missioni Apollo hanno rilevato una variazione della distanza compatibile con le previsioni teoriche. Qual è il meccanismo che agisce a livello microscopico per provocare l'attrito? I libri di testo meno aggiornati parlano della presenza di minuscole asperità sui materiali, che non sono mai perfettamente lisci. In realtà studi moderni hanno evidenziato come probabilmente sia più importante l'adesione fra le superfici dovuta a interazione a livello molecolare. Marco Cagnotti


SIGARETTE Il grande killer assale il Terzo Mondo
AUTORE: RAVIZZA VITTORIO
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, DEMOGRAFIA E STATISTICA
NOMI: HIROSHI NAKAJIMA, MACKAY JUDITH
ORGANIZZAZIONI: OMS, WHO
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D.T. I danni all'organismo

IL 1998 è iniziato negli Stati Uniti all'insegna di norme contro il fumo ancora più severe: in California ora è proibito persino fumare per strada. E in Italia - dove da lunedì le sigarette sono rincarate di 200- 300 lire al pacchetto - è stato abbassato il limite di legge per il catrame che si respira fumando. Il tabacco uccide. Nei Paesi più avanzati milioni di fumatori decidono di smettere di fumare ma, nello stesso momento, nei Paesi in via di sviluppo il fumo fa ogni giorno altri milioni di reclute. "Il fumo uccide oggi 3 milioni di persone l'anno; se la tendenza all'aumento dei fumatori non si invertirà le vittime saranno 10 milioni nel 2025 di cui 7 milioni nei Paesi in via di sviluppo", annuncia la World Health Organization (Oms), l'agenzia delle Nazioni Unite per la salute. La settima conferenza mondiale su tabacco e salute (anzi " tabacco o salute" come precisa il tema ufficiale del vertice) si è tenuta a Pechino: sede non scelta a caso perché all'ecatombe prevista per il 2025 la Cina parteciperebbe da sola con 2 milioni di morti e perché la regione Asia-Pacifico è quella che ha il più alto tasso di aumento di fumatori del mondo, con un consumo di sigarette raddoppiato tra l'inizio degli Anni 70 e l'inizio degli Anni 90. Ciò che laggiù sta avvenendo è in sostanza simile a ciò che avviene in tutte le regioni del mondo in via di sviluppo, dove risiede l'80 per cento della popolazione mondiale, e dipende sia da fattori locali sia da strategie decise dalle multinazionali del tabacco nei Paesi industrializzati. C'è alla base di tutto il crescente potere d'acquisto della popolazione che mette le sigarette alla portata di masse crescenti di consumatori, in particolare dei giovani e delle donne. Questo influenza l'azione dei grandi produttori di tabacco proprio nel momento in cui trovano difficoltà a difendere il proprio mercato nei Paesi occidentali, dove l'azione anti- fumo diventa via via più dura e i fumatori appaiono sempre più disposti a seguirne i consigli. I veicoli di penetrazione, nota la Who, sono quelli che la gente percepisce come i simboli di una nascente società del benessere: la pubblicità, le sponsorizzazioni di eventi sportivi o artistici, l'abbinamento con l'abbigliamento e la moda, con gli equipaggiamenti sportivi, con le vacanze. "I giovani e le donne costituiscono un bersaglio specifico cui le società del tabacco inviano un messaggio che dice: fumare è affascinante, moderno ed elegante". Salvo a passare, in qualche caso, alle maniere forti. "Negli Anni 80 - nota un comunicato della Who - alcuni Paesi asiatici furono minacciati di sanzioni se non avessero aperto i propri mercati all'importazione di sigarette americane". L'ambiente, d'altronde, presenta scarse capacità di difesa: nel pubblico, ha sottolineato a Pechino il direttore generale della Who, Hiroshi Nakajima, la consapevolezza della pericolosità del fumo è scarsa, le risorse da dedicare alla contro-pubblicità delle multinazionali inesistenti, i pubblici poteri spesso impegnati in altri e apparentemente più assillanti problemi. "L'assenza di un accordo internazionale per proteggere i Paesi meno sviluppati dall'assalto del marketing dei giganti del tabacco rende questi Paesi estremamente vulnerabili". Del tutto particolare il caso Cina: 300 milioni di fumatori, cioè tanti quanti ne esistono in tutti i Paesi sviluppati messi insieme, un consumo di tabacco che è quattro volte quello del maggior consumatore del mondo, gli Stati Uniti; su tre sigarette prodotte nel mondo una viene fumata da un cinese e tra l'85 e il '92 mentre nei Paesi sviluppati il consumo pro capite di sigarette diminuiva del 13 per cento in Cina saliva del 20: per ogni sigaretta fumata in meno nei Paesi sviluppati tre sigarette fumate in più in Cina. Per la Cina, avverte il Who, la diffusione del tabacco è una bomba ad orologeria pronta ad esplodere nel ventunesimo secolo. Per fortuna nella regione vi sono anche situazioni molto diverse; Australia e Nuova Zelanda hanno ormai una lunga storia di lotta al fumo (in Nuova Zelanda fuma il 30 per cento degli uomini contro una media del 60 nell'intera regione Asia- Pacifico), Singapore ha bandito la pubblicità del tabacco fin dal '71 mentre la Cina ha proibito il fumo su tutti i voli interni già nell'83. La prossima ondata sarà al femminile, prevede la World Health Organization. "Una delle maggiori sfide che ci troviamo davanti oggi nel mondo è quella di prevenire la diffusione del fumo tra le donne, specie nei Paesi in via di sviluppo dove attualmente quelle che fumano sono solo il 7 per cento", ha detto alla conferenza di Pechino Judith Mackay, rappresentante di Hong Kong. La più alta percentuale di donne fumatrici si ritrova negli ex Paesi socialisti dell'Europa Centrale e dell'Est (il 28 per cento), nei Paesi ad economia consolidata (23 per cento) e in quelli dell'America Latina e dei Caraibi (21 per cento); in tutte le altre regioni le donne che fumano sono meno del 10 per cento, cui però vanno aggiunte in molti Paesi le donne che il tabacco comunemente lo masticano. In testa alle donne fumatrici ci sono quelle danesi (37 per cento), seguite da quelle norvegesi (35,5 per cento), da quelle della Repubblica Ceca (31 per cento) e dalle lontane abitanti delle Fiji (30 per cento). Ai tre milioni l'anno di morti da tabacco le donne partecipano per mezzo milione ma sono in aumento quasi dappertutto e, con questo trend, secondo la Who, nel 2020 le vittime saranno un milione l'anno. Sul terreno fertile delle giovani donne la propaganda delle grandi industrie del tabacco affonda i colpi con messaggi aggressivi e seducenti, che fanno leva sugli emergenti ideali di indipendenza e di emancipazione, sull'attrazione sessuale, sul desiderio di essere alla moda. Fin troppo facile prevedere il seguito: "Se non saranno introdotte efficaci misure anti tabacco il trend di crescita delle donne fumatrici che si è manifestato nei Paesi più sviluppati si ripeterà nei Paesi in via di sviluppo", avverte la Who. Vittorio Ravizza


CON ANTIDEPRESSIVI Smettere di fumare
Autore: GIACOBINI EZIO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, PSICOLOGIA, FARMACEUTICA
ORGANIZZAZIONI: NEW ENGLAND JOURNAL OF MEDICINE
LUOGHI: ITALIA

PERCHE' usare farmaci antidepressivi per cessare di fumare? Fumo e depressione sono fortemente legati tra di loro. I fumatori sono molto più soggetti a episodi di depressione che i non-fumatori. La letteratura psichiatrica dimostra che i fumatori che abbiano sofferto di depressione sono più dipendenti dalla nicotina e hanno più difficoltà a cessare di fumare. Quando ci riescano, spesso ricadono nella depressione. Negli Stati Uniti come in Europa la farmacoterapia antifumo inizia generalmente con dei cerotti a base di nicotina o con delle gomme da masticare che ne contengono basse dosi. Malgrado la popolarità di questa terapia meno di un 10 per cento dei fumatori riesce a trattenersi dal fumare per almeno un anno. Se poi ritenta la medesima terapia a base di nicotina, il successo è ancora minore. La possibilità di un altro tipo di terapia è quindi attraente sia per il paziente sia per il medico. Fu proprio l'osservazione della frequente associazione fumo-depressione a motivare una cura a base di antidepressivi in pazienti non aventi una depressione in corso. Esiste una seconda ragione per associare gli antidepressivi alla terapia del fumo. Una delle ipotesi che tentano di spiegare la causa della tossicodipendenza da nicotina (e da altre sostanze stupefacenti) si richiama al rilascio di neurotrasmettitori cerebrali come dopamina, serotonina e la norepinefrina. Ebbene, questi tre mediatori chimici degli effetti della nicotina nel cervello sono gli stessi che intervengono nei fenomeni depressivi e che quindi vengono manipolati dai farmaci antidepressivi. Si è anche pensato che depressione e dipendenza da nicotina avessero un fondo predisponente comune di carattere genetico. Il primo studio clinico controllato sull'effetto di un antidepressivo come il bupropione è uscito di recente nel New England Journal of Medicine. Il bupropione e il suo metabolita attivo idrossibupropione posseggono la proprietà farmacologica di bloccare la ricaptazione della dopamina e della neropinefrina da parte delle cellule nervose. Il bupropione, come i composti triciclici antidepressivi (non suoi parenti), ha inoltre la capacità di ridurre l'attività elettrica di particolari cellule nervose come quelle del locus coeruleus che sembrano esser legate sia alla farmacodipendenza che alla depressione. Lo studio americano comprendeva 615 fumatori (non depressi) trattati o con una confezione di bupropione a rilascio lento (tre dosi diverse) o con una sostanza inerte (placebo). Per non interferire con la terapia farmacologica venne sospesa ogni forma di psicoterapia. La terapia venne iniziata una settimana prima della astinenza totale dal fumo e durava sei settimane. Al termine della cura si constatava che il 45 per cento degli individui che avevano ricevuto il bupropione non aveva più fumato contro il 20 per cento di coloro che erano stati trattati col placebo. Più importante era la differenza a distanza di un anno del 23 per cento contro il 12. Il bupropione era ben tollerato ma dimostrava in certi casi effetti collaterali come secchezzza della bocca, insonnia, mal di capo e riniti. Un secondo studio clinico è appena terminato in Usa utilizzando un altro farmaco antidepressivo di tipo triciclico come la nortripilina. Esso dimostra come per il bupropione di raddoppiare il numero di chi riesce a cessare di fumare per un periodo di un anno. Il margine di sicurezza sia della nicotina somministrata per cerotti che del bupropione si è dimostrato soddisfacente e malgrado i timori pare che la nicotina sia abbastanza sicura dal punto di vista cardiovascolare anche per chi continua a fumare durante la terapia. Non vi è alcuna prova che la nicotina provochi tumori. Non è però prudente farne uso in gravidanza malgrado esista una massima indicazione per cessare di fumare in questo periodo proprio per il pericolo di gravi danni provocati dal fumo e dalla nicotina al feto. Esistono pure controindicazioni e pericoli nel caso della somministrazione di antidepressivi per cui è strettamente necessario un controllo medico durante la terapia. Sono infine in corso di sviluppo nuove terapie farmacologiche antifumo che si basano sull'effetto su tipi particolari di ricettori nicotinici cerebrali che vengono appunto stimolati dalla nicotina. Il fumo da sigaretta continua ad essere una causa di morte prematura e di invalidità di rilievo mondiale, ma è ormai altamente prevenibile con metodi farmacologici. Ezio Giacobini


SCAFFALE Verrecchia Anacleto: "Diario del Gran Paradiso", Fogola
ARGOMENTI: ECOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Il "Diario del Gran Paradiso" del germanista Anacleto Verrecchia è prima di tutto un testo letterario di alto profilo: in forma di annotazioni impressionistiche presenta il dialogo di un giovane intellettuale con la natura, intrecciando considerazioni morali, filosofiche, letterarie ed esistenziali. Ma queste pagine sono anche ricchissime di osservazioni etologiche sulla fauna d'alta montagna. Non si tratta di una etologia scientifica in senso stretto, ma proprio per questo talvolta è più penetrante, anche per il continuo contrappunto di riflessioni etiche. Come quando Verrecchia osserva che gli animali "vivono attaccati al filo del presente e hanno per così dire l'innocenza del divenire".




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