TUTTOSCIENZE 4 febbraio 98


SCIENZE DELLA VITA. UNA SVOLTA IMPORTANTE Colpo mirato solo al tumore
Autore: MARCHISIO PIER CARLO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, TECNOLOGIA
NOMI: GAVOSTO FELICE, RUOSLAHTI ERKKI
LUOGHI: ITALIA

UNA delle ragioni che favoriscono la nascita di cure miracolose del cancro è l'avversione agli effetti collaterali delle chemioterapie. In effetti molte chemioterapie sono così potenti da sfiorare il limite tra uccidere il cancro e uccidere il paziente. E in ogni caso, per avere una qualche efficacia, molti trattamenti chemioterapici provocano effetti sgraditi dovuti alla loro tossicità. La principale ragione di questi problemi è che i farmaci chemioterapici sono tutti potenti veleni somministrati per via generale con l'idea che le cellule tumorali siano ad essi più sensibili delle cellule normali: differenza che a volte si rivela molto piccola, ma questo è il tributo che si paga alla loro efficacia, come ha scritto Felice Gavosto qualche tempo fa su " Tuttoscienze". Inoltre l'uso di numerosi farmaci associati serve a condurre una battaglia su molti fronti, cioè contro cellule maligne che vanno incontro a rapide mutazioni nell'ambito dello stesso tumore. I problemi medici e umani dei chiemioterapici sono ben noti agli oncologi. Per questa ragione Erkki Ruoslahti, una delle punte di diamante dell'oncologia sperimentale mondiale, ha recentemente proposto su Science (16 gennaio 1998) un modo brillantissimo per superare i difetti intrinseci della chemioterapia e aumentarne enormemente l'efficacia. Il sistema è apparentemente semplice ma ha dietro di sè vent'anni di sperimentazione. Esso consiste nell'usare un singolo chemioterapico, la doxorubicina, portato a bersaglio non direttamente contro le cellule tumorali ma, in maniera altamente specifica, contro le cellule di rivestimento dei vasi che portano sangue al tumore e ne permettono la rapida crescita. L'idea di attaccare i vasi del tumore è oggetto degli sforzi di molti ricercatori che si ripromettono di far morire il tumore di fame e soprattutto di impedire ai fattori di crescita di alimentare alcune proprietà specifiche delle sue cellule. L'idea di Ruoslahti è tuttavia molto originale e brillante e lavora su due fronti distinti. Da una parte ha identificato piccole molecole peptidiche, delle piccole proteine, cioè, capaci di riconoscere la superficie interna dei vasi sanguigni rivestiti da cellule endoteliali e di selezionare solo quelle specifiche dei vasi dei singoli tumori. Dall'altra usa queste molecole come veicoli per portare quantità minuscole di doxorubicina proprio su queste cellule. In pratica questa idea della chemioterapia è specifica per i vasi dei singoli tumori e lavora su misura. Il pregio è che le molecole tossiche di doxorubicina agiscono solo su cellule specifiche, le cellule endoteliali normali del tumore, in maniera molto efficace e non si spargono per tutto il corpo producendo effetti collaterali. Il lavoro pubblicato su Scien ce riporta la sperimentazione del sistema su topi nei quali si erano preventivamente impiantati tumori umani capaci di crescere e uccidere l'animale in breve tempo. La somministrazione del peptide specifico per il bersaglio endoteliale legato a doxorubicina ha consentito a moltissimi topi di sopravvivere rispetto ai topi di controllo con dosi del farmaco enormemente inferiori. L'analisi dell'effetto sul tumore rivela che solo il tumore è stato attaccato dalla doxorubicina mentre i tessuti normali sono stati risparmiati dall'effetto tossico. Per ora si tratta di un sistema sperimentale estremamente promettente che indica una linea strategica vincente nella guerra contro i tumori. Voglio sottolineare che questa strategia è figlia della ricerca sperimentale. Erkki Ruoslahti, un medico finlandese emigrato molti anni fa in California e direttore scientifico del Burnham Institute, una fondazione di ricerca privata, è uno scienziato di grande valore che lavora da molto tempo sulle molecole di adesione e su quelli che lui chiama i codici di avviamento postale dei tessuti. In altre parole, cerca peptidi specifici che riconoscono molecole cellulari la cui natura ancora ci sfugge ma che consentono di indirizzare farmaci al giusto recapito. Questa strategia verrà applicata ai tumori umani e uscirà presto dalle angustie del laboratorio. Ma ciò avverrà solo quando si sarà certi dell'efficacia del metodo su larga scala e quando si saranno identificati peptidi specifici per ciascun tipo di tumore e chemioterapici ancora più efficaci e privi di effetti collaterali. Ci vorranno anni, forse tanti, ma allora il medico oncologo potrà prescrivere la cura per quel melanoma o quel tumore dell'intestino sulla base di una specifica efficacia terapeutica. Non ci saranno più miracoli taumaturgici ma fiale su misura. Questo lavoro ci insegna ad avere fiducia nella biologia e nella sperimentazione controllata. Ci insegna, spero, a diffidare di terapie miracolistiche non controllate e di chi pensa che la chemioterapia sia un sadico e inutile metodo per far soffrire i pazienti neoplastici. La chemioterapia deve essere affinata e guidata sul bersaglio. Tutti gli oncologi veri conoscono il problema e lavorano per risolverlo. Pier Carlo Marchisio


DALLA "MERCURY" ALLO SHUTTLE Geriatria spaziale Perché Glenn a 77 anni torna in orbita
Autore: GUIDONI UMBERTO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, STORIA DELLA SCIENZA
NOMI: GLENN JOHN, GOLDWIN DANIEL
ORGANIZZAZIONI: NASA, SHUTTLE
LUOGHI: ESTERO, AMERICA, USA
TABELLE: D. Scheda e sezione dello Spacelab

L'amministratore della Nasa Daniel Goldwin lo ha confermato ufficialmente: John Glenn, decano degli astronauti e senatore democratico dell'Ohio, già consigliere del presidente Carter e ora di Clinton, a 77 anni tornerà nello spazio a bordo dello shuttle. Glenn è una figura leggendaria nella storia delle imprese spaziali degli Stati Uniti. Fu il primo americano a compiere un volo orbitale intorno al nostro pianeta. Nel 1962, a bordo della minuscola capsula "Mercury", percorse tre orbite prima di rientrare nell'atmosfera ed ammarare nell'oceano. In tutto la sua missione era durata poco meno di 5 ore, ma aveva contribuito a ridare fiducia al team di Von Braun, colto alla sprovvista dal livello tecnologico dimostrato dall'Unione Sovietica che, in breve tempo, aveva messo a segno due risultati come il lancio del primo Sputnik e il viaggio in orbita di Gagarin. Anche se compiuta qualche mese dopo il volo del cosmonauta russo, l'impresa di Glenn sanciva il sostanziale recupero del ritardo iniziale e la capacità della tecnologia americana di controbattere ad armi pari i progressi sovietici. Non a caso Glenn fu ricevuto come un eroe, con una parata per le vie di New York riservata solo alle figure mitiche della storia degli Stati Uniti. Addirittura si narra che lo stesso presidente Kennedy avesse esplicitamente chiesto alla Nasa di non coinvolgere Glenn in altri voli spaziali per non mettere a rischio la vita di colui che era diventato ormai un eroe della nazione. Che a quei tempi le imprese spaziali comportassero molti più rischi di oggi è un dato di fatto. Basti pensare che proprio il volo della "Mercury 6" fu complicato da diverse avarie: prima il malfunzionamento dei sensori che avevano indicato il distacco dello scudo termico - che se fosse accaduto veramente ne avrebbe decretato la morte certa - poi l'esaurirsi del propellente per controllare l'assetto della capsula, che per questo al momento dell'ammaraggio mancò il bersaglio previsto per più di 60 chilometri. Erano tempi eroici in cui gli astronauti venivano lanciati nello spazio in una capsula delle dimensioni di circa 3 metri per 2, senza che si conoscessero bene le risposte dell'organismo alle condizioni di assenza di peso - si dibatteva addirittura se fosse possibile inghiottire il cibo in orbita - e con mezzi tecnici che possiamo definire non molto sofisticati - Glenn scattò le prime foto della Terra dallo spazio con una macchina fotografica che aveva comprato in un grande magazzino di Cocoa Beach qualche giorno prima del lancio. Sarà interessante vedere quali saranno le sue impressioni quando metterà piede, 36 anni dopo, a bordo della navetta "Discovery", una nave da crociera se paragonata all'angusta capsula "Friendship" su cui ha effettuato il suo primo volo. E che cosa proverà a dividere questa sua esperienza in orbita con un equipaggio composto da astronauti che potrebbero essere suoi nipoti, alcuni dei quali forse non erano ancora nati quando, nel febbraio del 1962, si preparava alla storica impresa che ha aperto la strada al volo umano dello spazio. Certo è che John Glenn ha cercato caparbiamente la sua opportunità per tornare in orbita. Si è sottoposto ad una serie lunghissima di esami medici, per dimostrare di essere in grado di soddisfare i requisiti fisici e mentali imposti dalla Nasa per volare a bordo dello shuttle ed è stato uno dei promotori di alcune ricerche che verranno condotte in orbita e che sono la ragione specifica della sua presenza a bordo come "payload specialist" - cioè come esperto degli esperimenti medici che verranno condotti nel corso della missione STS-95. Glenn sarà al tempo stesso ricercatore e cavia. Con i suoi 77 anni, rappresenterà infatti un soggetto di studio unico per la ricerca biomedica che è andata assumendo un peso sempre più rilevante nell'ambito delle discipline spaziali. L'assenza di peso, che caratterizza ogni attività che si svolge in orbita, crea delle condizioni del tutto particolari - che non sono riproducibili sulla Terra - che hanno permesso di estendere la nostra conoscenza in un campo che sembra promettente: quello della ricerca sui meccanismi di invecchiamento. Già da tempo si è a conoscenza della somiglianza tra gli effetti fisiologici riscontrati negli astronauti che sono stati nello spazio e alcuni dei processi solitamente associati all'invecchiamento. La perdita di calcio nelle ossa, la riduzione del tono muscolare e la difficoltà a prendere sonno sono solo alcune delle sintomatologie comuni che sono state evidenziate nel corso di anni di ricerche effettuate sugli astronauti americani. Riassumendo si potrebbe dire che l'assenza di peso contribuisce ad accelerare alcuni processi fisiologici che cominciano a manifestarsi anche in individui relativamente giovani, mentre sulla Terra sono generalmente associati con la cosiddetta terza età. Va aggiunto che negli astronauti questa sintomatologia è temporanea e sparisce non appena tornati nelle condizioni di gravità terrestre. Mai fino ad ora si erano fatti studi specifici sugli effetti dell'assenza di peso su di un organismo non più giovane e questa opportunità potrebbe aprire orizzonti nuovi negli studi che la Nasa e il " National Institute of Health" - l'equivalente americano del nostro Istituto Superiore di Sanità - stanno conducendo per migliorare le condizioni di vita degli anziani. Quali che siano i risultati scientifici della missione, con la designazione di John Glenn la Nasa si appresta a polverizzare il record di longevità nello spazio, finora detenuto da Story Musgrave, che all'età di 61 anni ha compiuto il suo ultimo volo l'anno scorso, pochi mesi prima di lasciare definitivamente la carriera di astronauta. Per quanto possa sembrare stupefacente, i medici della Nasa sembrano aver raggiunto la conclusione che non ci siano limiti di età per volare nello spazio ed il volo di Glenn dovrebbe portare ulteriori dati in supporto di questa convinzione. Umberto Guidoni Astronauta Agenzia Spaziale Italiana


SCIENZE DELLA VITA. DALLE ORIGINI AGLI SPOT TV Il caffè? Nel '600 era considerato solo un medicinale Una leggenda vuole che la pianta sia stata scoperta dal priore di un monastero in Siria
Autore: ACCATI ELENA

ARGOMENTI: ALIMENTAZIONE, BOTANICA
LUOGHI: ITALIA

SARA' bevuto soltanto in paradiso o anche all'inferno? Questa è la domanda che suscita la sempre più frequente pubblicità televisiva del caffè, bevanda definita da qualcuno "filtro della storia" in quanto attraverso le sue vicende si possono leggere importanti aspetti della vita sociale, culturale e politica di molti Paesi. Una leggenda siriana racconta che la scoperta del caffè spetterebbe al priore di un monastero il quale avendo osservato nei suoi armenti un anomalo stato di eccitazione in seguito all'alimentazione di foglie e frutti di uno strano arbusto ne fece preparare un decotto per i suoi monaci affinché non si addormentassero durante una veglia di preghiera. In realtà, anche se la specie Coffea arabica, albero, arbusto o liana, è originaria dell'Etiopia fu coltivata per la prima volta nel Medio Oriente dove sono ancora visibili gli interessanti metodi di irrigazione usati nel 1350 a.C. ad alta quota nello Yemen (Moka è il nome di un porto dello Yemen da dove questa specie veniva esportata). L'uso della bevanda incominciò a diffondersi come un rituale giornaliero tra le mura dei chiostri musulmani. Fin dal '400 dal mondo arabo i chicchi di caffè (semi contenuti in frutto, una drupa simile a una ciliegia) venivano esportati in Egitto e in Turchia. Nel '600 i veneziani ai loro carichi preziosi di spezie, droghe, tessuti importati dall'Oriente aggiunsero anche sacchi del prezioso chicco, avendo imparato l'arte della tostatura dagli arabi e dai turchi, mentre l'Olanda divenne il centro commerciale del caffè e d'altra parte la produzione si spostava verso il Sud America. A quell'epoca il caffè aveva valore esclusivamente medicinale, poi fu considerato un rinvigorente del cervello per effetto degli alcaloidi caffeina e teobromina, mentre nell'Ottocento acquisì valore sociale: permetteva di prolungare l'orario di lavoro allontanando la stanchezza. Molti sono i modi di preparare il caffè: lungo, ristretto, denso, concentrato, con panna, con liquore, e altrettanto numerose sono le specie coltivate. Le più importanti sono: C. arabica, la più diffusa, un alberello alto circa 7 metri, che impiega da sei ad otto mesi dalla fioritura alla maturazione dei frutti, la cui produzione inizia dal quarto anno della piantagione; C. robusta, originaria del Congo, dell'Angola e dell'Uganda, arbusto-albero che raggiunge anche 9 metri di altezza, molto precoce, con un elevato tenore in caffeina, caratterizzata da una produzione molto precoce; C. liberica, della Liberia, coltivato largamente in Indonesia, è un albero che raggiunge l'altezza di 15-20 metri, con grandi fiori, il cui seme, detto fava dai produttori, è poco apprezzato per il suo sapore eccessivamente amarognolo. L'aroma del caffè e il suo effetto stimolante sono largamente influenzati dal terreno, dal concime usato (pare che la cenere di legno usata come fertilizzante conferisca un sapore straordinario), e dall'altitudine (la qualità migliora con la quota). Nelle zone a clima mite il caffè è una pianta attraente per il giardino, grazie al suo bellissimo fogliame lucente sempreverde e ai fiori piccoli, ma fragranti, di colore bianco, che ricordano un poco quelli del gelsomino. Può essere coltivato in grandi vasi nelle zone a clima più rigido e ritirato in un locale protetto durante l'inverno; in questo caso si sceglierà un terriccio neutro o leggermente acido, limoso sabbioso dotato di buon drenaggio. Recentemente si è tenuto a Tegucigalpa, nell'Honduras, un simposio internazionale che ha fatto il punto sulle principali tematiche di ricerca che vengono effettuate su questa specie, come esiste un "Journal of Coffee Research" edito in Brasile che rappresenta la fonte di documentazione più aggiornata sul caffè. La resa in seme è un aspetto importante: questa viene studiata sulla base di correlazioni con il diametro della chioma e la fotosintesi netta. Dall'epoca dell'irrigazione più che dalla quantità di acqua somministrata sembra dipendere la fioritura, l'allegagione e quindi il numero di semi prodotti. Al fine di aumentare la produzione si studiano metodi ed epoche diverse di potatura. Infine anche per il caffè le biotecnologie vengono ormai applicate su larga scala, infatti per l'ottenimento di piantine da San Salvador giunge il protocollo di una sperimentazione basata sulla successione delle seguenti fasi: scelta di una cultivar da propagare; preparazione del materiale vegetale, osservazione del callo formato in vitro, preparazione di sospensioni cellulari; produzione di embrioni somatici in bioreattore; sviluppo degli embrioni in piantine; e infine acclimatazione. Il tutto allo scopo di ottenere la rapida moltiplicazione di individui di particolare pregio produttivo dal punto di vista sia quantitativo, sia qualitativo. Elena Accati Università di Torino


SCIENZE DELLA VITA. LO SCRICCIOLO Il piccolo re della macchia Minuscolo, coraggioso e sempre allegro
Autore: GROMIS DI TRANA CATERINA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T. TAB. CARATTERISTICHE DELLO SCRICCIOLO ============================================================= Lunghezza: 9-10 cm Sopracciglio biancastro Coda corta ed eretta Nido globulare di mschio foglie ed erba imbottito di piume Un aspro e forte canto brontolante: anche «trrrt» «cik» o «cit cit» =============================================================

QUANDO la brutta stagione incalza, dalle montagne inospitali scende un piccolo folletto a portare coraggio e allegria nella desolazione malinconica dell'inverno. Nell'aria di neve saltella solitario, talmente rapido da sembrare un topo piuttosto che un uccello e il suo trillo vivace attraversa impavido le nebbie; si mostra allo scoperto stranamente confidente, quasi petulante, con il petto abbassato e la coda rivolta in su. E' lo scricciolo (Troglodytes troglodytes), uno dei più piccoli tra i nostri uccelletti, così poco appariscente per dimensioni e colori che molti non l'hanno mai visto, anche se in Europa vive dal Mediterraneo alla Scandinavia, in Italia ovunque, in Piemonte lungo tutto il territorio eccetto le zone di pianura a più estese monoculture, come le risaie del Vercellese e la pianura alessandrina coltivata a grano. L'ardito " Re cit" per i piemontesi, "Re di macchia" per i toscani, ha un'ampia adattabilità ecologica e da vero re sa stare dappertutto: si riproduce nelle zone di pianura, nelle aree collinari e montane fino oltre il limite della vegetazione arborea, purché trovi un po' di bosco con arbusti e siepi e un corso d'acqua con zone ombrose e fresche. Il nido è tra i più belli: è costruito di solito vicino al suolo, in piccole scarpate o anfratti o tra radici contorte, o anche in edifici, sfruttando vecchi nidi di rondine. All'esterno sembra un ammasso di foglie secche e gli si può passare accanto cento volte senza notarlo, ma sotto quel primo strato che serve a ingannare l'occhio c'è un accogliente talamo: una palla di muschio con la piccolissima entrata nascosta e l'interno rivestito di morbide piume. E' il maschio il muratore; a volte costruisce anche quattro nidi prima di riuscire a trovare una compagna che gli dia retta. E poi, formata la famiglia, usa volentieri le vecchie seconde e terze case, per dormire non solo isolato o in coppia, ma anche con tutta la nidiata. I piccoli, covati e imbeccati alternativamente dai due genitori, hanno un atteggiamento simile ai giovani umani delle ultime generazioni: restano a lungo nel loro rifugio-fortezza, stanno assieme anche quando sanno già volare e tormano a dormire a casa anche quando sono ormai indipendenti. Questo succede d'estate, ma è l'inverno la stagione in cui lo scricciolo ispira struggimenti ai poeti come Pascoli: "Viene il freddo. Giri per dirlo/ tu, sgricciolo, intorno alle siepi.../Tutto intorno screpola rotto./Tu frulli ad un tetto, ad un vetro..." La neve e il gelo spingo- no il reuccio sedentario a cercare luoghi più ospitali e ad apparire con movimenti erratici ed altitudinali in ambienti non frequentati durante il periodo riproduttivo, nelle zone aperte di pianura, negli orti e nei giardini. E' facile allora vederlo, pur con il suo mimetico color sottobosco striato di marrone e una taglia che non supera i 10 centimetri di lunghezza, perché è fiducioso e simpatico, e manifesta la sua curiosità con rapidi inchini ripetuti, raddrizzando la coda verso l'alto anche più del solito. L'uomo non è un nemico: oltre a snobbare l'uccelletto come ghiottoneria (se non altro per l'infinitesimale bocconcino che ne risulta tolte le piume), addirittura torna utile alle popolazioni di scriccioli che vivono a più stretto contatto con la civiltà. E' stato dimostrato da studi recenti che queste sono più abbondanti e hanno maggior successo riproduttivo rispetto agli scriccioli che vivono in zone più selvagge: la presenza dell'uomo allontana i predatori che riducono la loro pressione sugli uccelletti canori abitatori dei giardini. Così negli ambienti antropizzati aumenta la produzione dei piccoli ed è florida la popolazione totale. Il cibo è quasi sempre abbondante perché la dieta degli scriccioli è sufficientemente varia: il becco appuntito simile a un forcipe cattura in ogni fessura larve, insetti, ragni e ogni sorta di piccoli invertebrati e, se questi mancano, anche bacche e semi non vengono disdegnati. Esiste un sito di Internet dove sono raccolti innumerevoli dati di ornitologia che si chiama "Scricciolo", forse a indicare qualcosa di piccolo ma che contiene tutto il necessario. L'indirizzo è: http://www.symbolic.it/capinera/scricciolo Serve ad entrare in un mondo fantastico, lontanissimo da quello dove la parola scricciolo evoca solo l'idea di un bambinetto gracile e vivace, e a dare notizia di meravigliose creature che vivono poco al di là della porta di casa, e che sembrano lì apposta per allietare gli animi con trilli e saltelli, se si presta loro un momento di attenzione. Caterina Gromis di Trana


SCOPERTA BIOMEDICA L'immortalità? Fermiamo il timer delle cellule Con l'enzima telomerasi forse si potrà controllare l'invecchiamento
Autore: TRIPODINA ANTONIO

ARGOMENTI: GENETICA, BIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: HARLEY CALVIN
ORGANIZZAZIONI: GERON
LUOGHI: ESTERO, AMERICA, USA, CALIFORNIA, MENLO PARK
TABELLE: D.T. L'orologio della vita

DI immortale nell'uomo vi è soltanto il filamento di Dna che, a partire da Adamo ed Eva, dividendosi nelle cellule sessuali e variamente accoppiandosi di generazione in generazione, non viene mai distrutto: il corpo mortale è un passaggio obbligato, ma del tutto provvisorio, per propagare la propria duplicazione. Le cellule pensanti dell'uomo, tuttavia, non si sono mai rassegnate a questo effimero destino e da sempre si affannano nella ricerca dell'elisir di lunga vita, nella speranza di sconfiggere la vecchiaia e la morte. Cinquemila anni fa i cinesi mangiavano i testicoli di belve; nel Medio Evo veniva consigliata carne di vipera; nell'Ottocento ci si impiantava nella coscia i testicoli di gallo. Voronof tra il 1920 e il 1940 impiantò quasi tremila testicoli di scimpanzè, ricavandone in verità, ma solo lui, un grande beneficio. Negli Anni 50 fu la volta delle iniezioni di cellule embrionarie da parte dello svizzero Niehans. Negli Anni 60 spopolò il Gerovital della dottoressa Aslan. Oggi, migliaia di moderni Faust sono impegnati in avanzatissimi laboratori nel tentativo di sollevare il velo che ancora avvolge i meccanismi dell'invecchiamento cellulare. E già si intravede qualche affascinante prospettiva. A Menlo Park, in California, ricercatori del Centro di biologia molecolare della Geron, diretto da Calvin Harley, studiando i meccanismi patogenetici della " progeria", una rara malattia genetica che rende i bambini precocemente vecchi, hanno notato che i soggetti che ne sono affetti hanno i "telomeri", cioè la parte terminale dei cromosomi, particolarmente corti; hanno quindi attribuito a questa particolarità la causa del rapido invecchiamento, considerando i telomeri il "timer" della vita della cellula. La lunghezza dei telomeri diminuisce infatti ad ogni duplicazione cellulare, fino al punto che, non essendo più possibili altre suddivisioni, la cellula muore. Un enzima, la "telomerasi", modula l'erosione dei telomeri, proteggendoli dall'usura. Nelle cellule giovani vi è abbondanza di questo enzima, che va man mano riducendosi fino a scomparire nelle cellule anziane. I ricercatori del centro della Geron hanno tentato di riportare indietro le lancette dell'orologio molecolare aumentando il contenuto cellulare dell'enzima in questione. E ci sono riusciti, come riferiscono nell'ultimo numero della prestigiosa rivista "Science". Inserendo telomerasi in cellule anziane, hanno visto queste cellule riacquistare vigore e riprendere a suddividersi ben oltre i limiti fisiologici finora osservati. E' stato così confermato che la telomerasi è in grado di "stabilizzare" i telomeri e di rendere immortali le cellule. Il pensiero è corso subito all'affascinante prospettiva di ritardare l'invecchiamento di tutto l'organismo. Ma si è affacciato anche qualche spettro: una " overdose" di tale enzima non potrebbe provocare una proliferazione incontrollata delle cellule, come avviene nei tumori, le cui cellule, replicantisi indefinitamente, sono grandi produttrici di telomerasi? Il dubbio è legittimo e una ricerca parallela sta valutando la possibilità di ottenere il risultato opposto: riuscire ad inibire l'enzima che protegge i telomeri, in modo da annullare l'immortalità delle cellule maligne e sconfiggere così il tumore. In altri laboratori si sta invece indagando sui meccanismi della " apoptosi", la morte cellulare programmata. La maggior parte delle cellule, una volta svolto il proprio compito biologico, ha la capacità di distruggersi attivando un programma di suicidio. E' già stato individuato il gene (p53 sito sul cromosoma 11) che innesca gli eventi che portano alla fisiologica morte cellulare e si intravede la possibilità di frenare tali eventi per aumentare la vita delle cellule. Altri ricercatori hanno ottenuto un significativo aumento della sopravvivenza di insetti (drosofila) e di piccoli mammiferi (topi) inserendo nel loro Dna il gene che codifica per l'"elonging-factor 1-alfa (ef-1- alfa), un enzima coinvolto nella sintesi proteica. La "grande illusione" viene quindi continuamente alimentata. Ma le stesse cellule pensanti non possono non porsi una domanda: possono alcuni interventi spettacolari ma settoriali "risettare" l'incredibile complessità della vita? Antonio Tripodina


PRO & CONTRO Psicoanalisi dell'eros di Bill Clinton
Autore: CAROTENUTO ALDO

ARGOMENTI: PSICOLOGIA, PRESIDENTE, RELAZIONI, SESSO, DONNE
NOMI: CLINTON BILL
LUOGHI: ITALIA

L'opinione pubblica mondiale è assorbita dalle vicende di natura sessuale attribuite al presidente Clinton. Che gli americani ne siano stravolti non dovrebbe sorprenderci, visto il rilievo esasperato che essi danno all'immagine, prima ancora che alla sostanza; ma che ciò debba porre in secondo piano questioni assai più urgenti e importanti - Cuba, l'Iraq - dovrebbe indurci a riflettere sulla validità delle ragioni morali addotte contro Clinton. Fra l'altro è rimarchevole il fatto che da tre anni un giudice cerchi di "incastrare" il presidente - con grande dispendio economico - senza trovare nulla di più efficace di uno scandalo "a luci rosse". Eppure, l'intera vicenda, agli occhi di uno psicologo, non rivela nulla che sia fuori dall'ordinario. Nella nostra professione, costellata di segreti che in genere non vengono rivelati a nessuno, veniamo a conoscenza delle più svariate modalità attraverso le quali ogni essere umano governa la propria sessualità. Non esiste esperienza umana più intima e fondante della sessualità, perché essa è l'unica che può dirsi pervasa dalla presenza del divino e, come tale, acquista un significato immenso, sacrale. Ma proprio per questa sua caratteristica " sacralità" è anche il punto più debole e più esposto di un essere umano. La storia dei "grandi nomi" ci insegna che, se si vuole attaccare una persona, non saranno le sue idee o i suoi risultati ad essere oggetto di aggressioni - perché quelli esistono e sono inconfutabili - ma soltanto i suoi costumi sessuali. Tornano in mente i grandi film di spionaggio, dove per far fuori un politico scomodo si va a scavare nei recessi della sua vita sessuale e, se non si trova nulla di discutibile, allora lo si va a colpire sugli affetti. Proprio in questi giorni sta per uscire un film di fantapolitica che sembra una premonizione delle attuali vicende clintoniane. Lo strumento più usato è sempre una donna giovane - come se alle donne non si potessero assegnare altre ambizioni - che ad un certo punto della sua vita viene indotta in tentazione da un uomo che si approfitta di lei, facendo leva sul suo carisma, sulla sua forza o sulla sua potenza. Ma la donna-vampiro (da cui il termine "vamp") o l'uomo distrutto dalla sua stessa brama di potere sono motivi quasi archetipici nella storia della lotta tra i sessi. Sono copioni più che sperimentati, da cui emergono due elementi importanti: la pochezza di coloro che se ne avvalgono per distruggere il rivale incomodo - non trovando armi migliori, o falle peggiori su cui battere - e lo scarso valore che si attribuisce all'intimità della vita sessuale e affettiva di un uomo, tanto da farne lo zimbello del mondo intero. Eppure l'esperienza, nel nostro mestiere, ci insegna che c'è meno da temere da qualcuno che non disdegna di cogliere i piaceri della sensualità, piuttosto che da qualcuno che ne rifugge. La totale rimozione o negazione di simili aspetti, che - lo si voglia o no - fanno parte della nostra umanità, dovrebbe indurci alla preoccupazione. Chi esercita il potere ai massimi livelli deve essere il più possibile irreprensibile, ma ciò non significa che debba perderne in umanità. La perfezione è immagine per occhi divini, ma per l'uomo è solo un'ambizione, non un dogma. Probabilmente, per esprimerci in termini psicologici, questo accanimento sulla sessualità di Clinton rivela l'om bra e il punto debole di colui che attacca, che cerca nell'altro il capro espiatorio delle sue paure. Siamo davanti a un meccanismo proiettivo che si nutre dell'invidia e del senso di colpa di coloro che vorrebbero, ma non possono. Aldo Carotenuto Università di Roma "La Sapienza"


SCIENZE FISICHE. INQUINAMENTO DA RUMORE Ritrovare il silenzio La legge contro i fracassoni
Autore: GRANDE CARLO

ARGOMENTI: ECOLOGIA, ACUSTICA, INQUINAMENTO
ORGANIZZAZIONI: LEGAMBIENTE
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA
TABELLE: T. Il frastuono in città

ABBASSARE il volume, prego. Dosi massicce e prolungate di decibel possono provocare tachicardia, disturbi all'apparato digerente (nausea, gastriti, ulcere), variazioni della pressione arteriosa e della capacità respiratoria, alterazioni del campo visivo. Per non parlare degli effetti psicologici: aggressività, emicrania, capogiri, inappetenza, scarsa concentrazione. Già a 30-35 decibel sono in agguato disturbi del sonno. Settanta decibel o più incidono sulla fase più profonda del riposo (il sonno "Rem") e causano frequenti risvegli: tanto baccano - lo hanno rivelato gli ultimi dati del "Treno verde" di Legambiente - si verifica in una strada su cinque, nelle notti magiche italiane. Nella hit del frastuono negli ultimi nove anni (esaminate 480 aree di 89 città) appaiono fra le prime venti peggiori aree 5 località romane (Ospedale Santo Spirito, via Magna Grecia, via Carlo Caneva, via Tiburtina, piazza Venezia), 4 milanesi (i viali Liguria, Marche, De Amicis e piazza Oberdan), 3 di Napoli (piazza Museo Nazionale, Ospedale Loreto Mare, piazza Ottocalli) e altrettante di Firenze (via Bronzino, i viali Matteotti e Gramsci), una di Genova (via Cantore), di Bologna (via Masserenti), di Torino (piazza Vittorio Veneto), di Venezia-Mestre (Ospedale I) e villa San Giovanni (viale Italia). La via più rumorosa in assoluto è piazza Museo Nazionale di Napoli: con 76 decibel sfonda non solo il limite notturno di 45 decibel per le zone residenziali, ma anche quello diurno di 70, fissato per le aree industriali. Delle 480 aree esaminate nel '97 dal Treno Verde solo una, viale 1o Maggio a Reggio Emilia, rientra nei limiti di legge. In una selva di schiamazzi, freni, e pneumatici diamo addio ai sogni (maturano proprio nella fase "Rem") e avanti con sonniferi e tranquillanti: una ricerca compiuta dall'Istituto di medicina del lavoro della Usl 1 di Trieste ha appurato che le farmacie nei quartieri con rumore notturno tra i 55 e 75 decibel ne vendono il doppio (e anche il triplo) rispetto alla media. Quella contro il rumore è una guerra lunga e difficile: in un recente convegno il vice-ministro dell'Ambiente Valerio Calzolaio ha parlato di "burocrazie gattopardesche": "Abbiamo avuto l'impressione che ogni qualvolta si cerca di regolamentare la produzione, lo scambio, la ricezione del rumore si toccano gangli vitali dell'attuale organizzazione di tempi e spazi nella nostra società". Eppure, aggiunge Calzolaio, " un'organica politica acustica potrebbe produrre 70 mila posti di lavoro e 82 mila miliardi di investimenti nei prossimi 15 anni, bonificando, prevenendo e risanando l'inquinamento acustico". Ma il rumore non è l'inevitabile colonna sonora del progresso: una battaglia vinta è il recentissimo varo del decreto anti-rumore da parte della presidenza del Consiglio. Ha individuato sei tipi di aree urbane, per diverse classi di rumore: si va dai 40 decibel notturni in zone super-protette come gli ospedali a un massimo di 70 decibel giorno e notte per le aree industriali. Ma soprattutto stabilisce che la responsabilità della lotta concreta al rumore passa agli enti locali, alle Regioni e ai Comuni: quelli con più di 50 mila abitanti, ad esempio, dovranno dotarsi di un piano regolatore del rumore. Ai fonometri dei vigili urbani e alle Arpa (Agenzie regionali per la protezione ambientale, dipendenti dalle Regioni) spetterà il compito di far rispettare i limiti. "Non basta mettere alcuni numeretti su una legge - spiega il giudice Gianfranco Amendola, celebre autore de "In nome del popolo inquinato" - sennò non cambia nulla. I Comuni, ad esempio, visto che il più grande problema sono i rumori da traffico, devono porre limiti al traffico. Ma soprattutto deve entrare nella testa delle persone che il rumore è un tipo di inquinamento molto subdolo e pericoloso". Lo dimostrano le centinaia di sentenze raccolte nel periodico " Cassazione ambiente", curato da un uomo- simbolo della tutela ambientale, il giudice Raffaele Guariniello: "La nuova legge è buona - dice - ma rischia di circolare disarmata, prevedendo solo sanzioni amministrative. Negli ultimi tempi la difesa contro il rumore incideva di più grazie al deterrente delle sentenze di carattere penale". Altre battaglie decisive della guerra al rumore sono legate all'approvazione di una dozzina di decreti, che applicheranno sul campo le leggi: in vigore quelli sulle discoteche (con multe fino a 20 milioni), sulla misurazione del rumore aereo e sugli aeroporti, sono quasi pronti quelli sui requisiti passivi degli edifici (il ministero dei Lavori pubblici inciderà così sul rumore in ambito edilizio) e quello sui requisiti delle imbarcazioni. In ritardo i decreti sugli antifurto (se ne cercano di non acustici) e sul rumore stradale (che ad esempio vedrebbe Anas, società autostrade e Comuni adottare materiali fonoassorbenti) e quello ferroviario. In arrivo anche campagne di educazione e spot, perché "inquinamento acustico" significa suoni, non solo rumori: suoni imprevisti, che giungono in momenti sbagliati, disturbando da altri compiti: come la musica ad alto volume. Le onde sonore di musiche che non privilegiano l'armonia ma il ritmo e i suoni bassi non interessano solo l'orecchio, ma favoriscono il contrarsi della muscolatura. Nella musica barocca invece la componente "fisica" non prevale su quella cerebrale: il ritmo di certe parti di composizioni barocche con circa 60 battute al minuto (ma questo vale, a quanto pare, anche per il crepitio di un fuoco o lo scroscio di un ruscello) corrisponde ai ritmi del corpo umano, ed ha un effetto tranquillizzante. Fa sì che polso e pressione sanguigna si riducano e che le onde cerebrali sincronizzino gli emisferi destro e sinistro. Nasce così l'armonia del ritmo biologico, corpo rilassato in spirito sveglio. Ciò non significa privarsi del piacere di ascoltare Bruce Springsteen o la techno, ma usando le cuffie non la si impone agli altri: sennò il rumore diventa non solo colonna sonora del progresso, ma anche dei maleducati. Carlo Grande


SCIENZE FISICHE. IN ORBITA DA LUGLIO Stazione spaziale atto di fondazione
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Il nucleo iniziale della stazione spaziale internazionale

LUNGA 104 metri e larga 75, 415 tonnellate, quando sarà finita, la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) sarà grande quanto uno stadio da calcio e, orbitando a 450 chilometri di altezza, ci apparirà come una stella artificiale che in pochi minuti scavalca il cielo da un orizzonte all'altro. Giovedì scorso a Washington i governi degli Stati Uniti, della Russia, dell'Europa, del Canada e del Giappone hanno firmato l'atto di fondazione ufficiale di questa prima cittadella dello spazio. A luglio andrà in orbita il primo modulo, il completamento avverrà entro il 2003. Ma già dalla primavera del 1999 tre astronauti la abiteranno in permanenza (diventeranno 7 a regime, quando i laboratori disponibili saranno mezza dozzina), e in autunno inizieranno le attività di ricerca a bordo. Così la gloriosa Mir, realizzata dai sovietici ma di fatto oggi già aperta alla collaborazione internazionale, potrà finalmente andare in pensione. E' un'impresa da 30 miliardi di dollari (50 mila miliardi di lire) che richiederà 47 viaggi dello shuttle e del razzo russo Proton. Alle spalle ci sono vent'anni di incertezze e di rinvii, ma infine l'avamposto dell'uomo nello spazio ha ottenuto l'ultimo "via" politico. Nei laboratori a gravità zero della ISS nasceranno leghe speciali, nuovi farmaci, cristalli con proprietà avveniristiche. E si faranno esperimenti di fisica, chimica, biologia. Da lassù, senza lo scomodo filtro dell'atmosfera, si osserverà l'universo. Ma anche la Terra: nessun luogo sarà migliore di questo per tenere sotto controllo il nostro pianeta, dall'inquinamento dei mari e dell'aria alla deforestazione. Se i colori dell'Italia apparissero sulle varie parti della Stazione, vedremmo che la nostra partecipazione industriale è davvero imponente. L'Alenia è fortemente coinvolta, specie con il laboratorio europeo che sarà ospitato nel modulo Columbus. L'impegno dell'Agenzia spaziale italiana e di quella europea è grande. Si progetta un veicolo di trasferimento orbitale da usare con il nuovo lanciatore "Ariane 5", ci sarà una base a terra per gestire le operazioni in orbita, si pensa anche a un veicolo per il trasporto di astronauti, erede della navetta "Hermes" temporaneamente accantonata. Una base a terra sarà certamente in Italia: il Centro Altec dell'Asi, ospite degli stabilimenti Alenia di Torino. La partecipazione italiana rientra in quella dell'Esa, rispetto alla quale corrisponde ben al 19 per cento, ma ha anche una sua autonomia grazie a un accordo bilaterale con la Nasa firmato nel '91 e aggiornato nell'ottobre dell'anno scorso in vista della realizzazione del modulo logistico. Un altro accordo bilaterale Esa-Asi riguarda gli elementi di raccordo Nodo-2 e Nodo-3. L'atto firmato a Washington (per l'Italia c'era il ministro Berlinguer) ha un significato storico. Sancisce che lo spazio, dopo essere stato a lungo motivo di competizione tra le potenze, è diventato un luogo di cooperazione e di dialogo. Inaugura una stagione di ricerca nuova, nella quale le applicazioni sono ormai vicinissime all'applicazione commerciale, e anzi in alcuni casi hanno già il carattere di produzione industriale. Apre la prospettiva di una nuova fase di esplorazione dello spazio, nella quale laboratori lunari e missione verso Marte saranno le prime tappe. Il compito che ora attende la comunità scientifica è quello di pensare a trarre il massimo profitto dall'impresa. Bisogna che la ISS non riproduca i limiti delle missioni "Apollo", che furono in parte fini a se stesse. Tra gli altri problemi, in particolare per l'Italia, c'è anche quello di preparare nuovi astronauti. Il futuro dello spazio promette molto ma costa molto. Bisogna saperne cogliere i frutti. Piero Bianucci


SCIENZE FISICHE. FISICA Teletrasporto, il sogno si avvicina? Ipotesi sulla trasmissione di oggetti a distanza
Autore: REGGE TULLIO

ARGOMENTI: FISICA
NOMI: ZEILINGER ANTON, BENNETT CHARLES, DE MARTINI FRANCESCO
LUOGHI: ITALIA

NON sono un ammiratore di Star Trek e mi dà fastidio l'uso di una terminologia pseudoscientifica altisonante ma priva di contenuti. Star Trek è tornato di moda da quando un gruppo di fisici tenta di gettare luce nei meandri oscuri della meccanica dei quanti, la più esoterica e disumana delle teorie scientifiche. I protagonisti di questa vicenda, tra cui l'austriaco Anton Zeilinger, Charles Bennett dell'Ibm ma anche l'italiano Francesco De Martini, sono quasi tutti di casa all'Isi (Istituto per l'interscambio Scientifico con sede a Torino presso Villa Gualino) dove da anni va avanti il progetto " Quantum Information" dell'Unione Europea e quello della "Quantum Computation" sostenuto dalla Elsag Bayley. Einstein non amava i quanti anche se poi alcune sue intuizioni si dimostrarono risolutive nel superare le difficoltà poste dalla teoria. Uno dei suoi ultimi lavori porta la sigla Epr (dal nome degli autori Einstein- Rosen-Podolsky) e ha dato del filo da torcere a generazioni di fisici, cominciando da Niels Bohr. La fantascienza incontra un ostacolo odioso nelle distanze enormi che separano le stelle. La stella più vicina a noi, Alpha Centauri, dista 4,3 anni luce, ossia circa 40.000 miliardi di chilometri, e le astronavi futuribili finora proposte, propulse da reattori nucleari oppure da laser, impiegherebbero non meno di 500 anni per compiere il viaggio. L'ostacolo viene brillantemente superato, ma solo nei romanzi, dal teletrasporto, che appare in due varianti. Nella prima lo spazio cosmico viene immaginato come un immenso lenzuolo e l'uomo come un batterio microscopico che tenta di attraversarlo da parte a parte. Per facilitare il compito si piega il lenzuolo in modo da far combaciare il lembo di partenza con quello di arrivo, accorciando il tragitto. Il salto da un lembo all'altro avviene solitamente attraverso un buco nero oppure un varco o gap che dir si voglia, una porta di forma circolare diafana e scintillante a cui si accede risolvendo un videogame ispirato all'antico Egitto. Purtroppo il buco nero più vicino dista alcune migliaia di anni luce e tutto fa ritenere che l'incauto astronauta che tenti di esplorarlo andrebbe incontro a una triste fine sfracellato da intense forze gravitazionali. Infine, il varco esiste al momento solo nella fantascienza perché gli antichi egizi si sono dimenticati di lasciarci copia del brevetto. La seconda variante è diventata popolare con i recenti annunci dell'avvenuto teletrasporto di particelle. Qui il problema sembrerebbe meno proibitivo. In primo luogo particelle elementari dello stesso tipo sono identiche e non esiste procedimento capace di distinguerle. Due gocce d'acqua, se viste da vicino, differiscono in una miriade di dettagli. Due elettroni o due fotoni possono differire solamente nello spin o momento angolare, una quantità fisica che per un corpo macroscopico caratterizza lo stato di rotazione. Un atomo ha una struttura interna e quindi una infinità potenziale di configurazioni, tuttavia due atomi posti nello stato fondamentale, ossia di energia minima, sono perfettamente identici. Non si tratta quindi di creare nel luogo di destinazione una copia dell'oggetto di partenza ma di reperire a destinazione una particella identica che deve essere posta nello stesso stato di quella originale, stato che è cancellato dal processo di misura. La trasmissione di un oggetto macroscopico non implica quindi trasporto di materia ma solamente quello del modo in cui sono stati assemblati gli atomi che la compongono, compito immane se pensiamo che il corpo umano contiene un numero di atomi che conta grosso modo 23 cifre. In ogni caso gli stessi fisici che lavorano attivamente al progetto ammettono che con la tecnica attuale si può al più sperare di teletrasportare molecole non troppo complesse. Infine le illazioni secondo cui il procedimento ci farebbe superare la velocità della luce sono assolutamente infondate. La possibilità di spedire biomolecole apre orizzonti sconfinati. Una sonda spaziale intelligente potrebbe annusare il suolo marziano o l'atmosfera tossica di una cometa e spedire verso la Terra le molecole più interessanti per una analisi accurata e per vedere se in questi luoghi esiste la vita. Esperti della Nasa anticipano un futuro remoto in cui saranno lanciate verso le stelle più vicine microsonde che arriveranno a destinazione dopo un millennio e spediranno verso la Terra, posto che esista ancora una umanità interessata al messaggio, campioni di qualche detersivo locale. Per giungere a tanto dovremo superare barriere tecnologiche e difficoltà mostruose. Infine, forse più realisticamente, la nuova tecnologia potrebbe essere usata per giungere alla costruzione di un calcolatore quantistico. Per me come per tanti miei colleghi, ma in particolar modo per coloro che lavorano in questo campo, rimane insaziata la curiosità puramente intellettuale di sapere cosa si nasconda dietro la meccanica dei quanti. Finora essa non ha mostrato crepe, ha resistito a tutti gli assalti e ci ha fornito dati e previsioni di stupefacente accuratezza. Anche la gravitazione universale di Newton ha resistito per secoli ma è stata poi superata dalla teoria della relatività generale di cui appare oggi come una approssimazione. Accadrà lo stesso per i quanti? Ci sarà un'altra rivoluzione scientifica? Non è escluso che l'intenso lavoro di ricerca che si svolge in questo campo conduca ad una revisione dei fondamenti della fisica. Tullio Regge Politecnico di Torino




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