TUTTOSCIENZE 24 dicembre 97


Il primo numero uscì nel 1981: qualche riflessione su giornali, lettori e informazione scientifica 800 volte Tuttoscienze
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: DIDATTICA, EDITORIA, SCIENZA
NOMI: VACCHIERI MARIO
ORGANIZZAZIONI: TUTTOSCIENZE
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)

A noi era sfuggito, ma una lettera ci ha costretti a notarlo: siamo arrivati a 800 numeri di "Tuttoscienze". E questo è l'801. Il lettore che ci ha scritto, Mario Vacchieri, dice cose che ci fanno molto piacere, ma che, come i motti di certe meridiane, inducono anche a riflettere con una fitta di malinconia sulla voracità del tempo: "Sono cresciuto con voi (ho 35 anni, ne avevo 19]). Leggervi è sempre un piacere. Il vostro sapere, scritto in pillole come richiedono le pagine di un giornale, è di facile lettura, ma mai superficiale. Sedici anni sono tanti, tante cose per me sono cambiate in questo periodo; spero che voi rimaniate sempre così". Il primo "Tuttoscienze" uscì il 28 ottobre 1981. Da allora si sono accumulati circa 30 mila articoli e 3200 pagine raccolte in 31 volumi; sono nati i nostri Cd-Rom, di "Tuttoscienze" e di Virt-Lab; abbiamo fatto da battistrada a "La Stampa" su Internet. Ma in 800 numeri questo supplemento non si è mai autocelebrato e non commetteremo ora questo errore. Ci limiteremo a qualche osservazione sull'informazione scientifica. I giornali in Italia non vanno bene. Le copie calano e solo allegando videocassette e omaggi di vario tipo alcune testate riescono a compensare lo scarso interesse del pubblico per il prodotto primario. Lo scarso interesse però non è generalizzato. Una recente inchiesta di mercato, per esempio, dice che "Tuttoscienze" è gradito ai cinque sesti dei lettori. Non piacciono, invece, le pagine di pettegolezzo politico e di pettegolezzo tout court, la lingua italiana seviziata, lo scandalismo, i titoli drogati, l'informazione volgare, la scrittura arrogante. Interpretiamo. I lettori - si direbbe - percepiscono che da un lato ci sono fatti (esperimenti, dati, misure, risultati tecnologici che si toccano con mano anche nella vita quotidiana), e dall'altro lato ci sono quasi soltanto parole vuote. Percepiscono che la ricerca scientifica è per sua natura internazionale, mentre il nostro dibattito politico è provinciale. Percepiscono che la notizia scientifica rimane valida anche dopo anni, mentre gli scoop sul reggiseno di Valeria Marini e le solenni dichiarazioni dei segretari di partito svaporano in qualche ora. Percepiscono che i ricercatori, pur condividendo i difetti e i limiti di tutti gli altri uomini, difficilmente possono barare perché gli esperimenti non conoscono i compromessi praticati nei corridoi di Montecitorio (la fusione fredda insegna). Tuttavia, all'affezionato lettore Mario Vacchieri e agli altri che nelle ultime settimane ci hanno scritto o inviato e-mail di felicitazioni, vorremmo dire che ci piace la scienza ma non lo scientismo. E che la scienza per essere tale deve innanzi tutto essere autocritica, non illudersi di risolvere i problemi in modo definitivo, non ambire a surrogare altre attività umane, dalla filosofia alla politica. Ecco, in questo, spero, siamo cambiati e cresciuti anche noi: nel cercare di trasmettere una cultura scientifica più consapevole dei propri limiti (ma quindi anche dei propri valori) e più aperta al dialogo con la cultura umanistica. Sempre sperando che un giorno la cultura diventi una sola, senza aggettivi. Piero Bianucci


IN BREVE "Arance della salute" per la lotta ai tumori
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA
ORGANIZZAZIONI: AIRC
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

Si terrà sabato 31 gennaio la nona edizione dell'iniziativa "Arance della salute" organizzata dall'Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc). Sacchetti di arance saranno distribuiti al prezzo di 13 mila lire in 1094 piazze italiane insieme con una guida ad una alimentazione corretta per la prevenzione dei tumori. Il ricavato andrà alla ricerca sul cancro.


SCIENZE A SCUOLA. LE ANTICHE FUCINE Con incudine e martello La metallurgia artigianale quasi scomparsa
Autore: SCAGLIOLA RENATO

ARGOMENTI: TECNOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: CENTRO DI STUDI PREISTORICI E ARCHEOLOGICI
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

TRA pochissimi anni, pensionati o morti i vecchi fabbri, delle poche fucine artigianali ancora in funzione rimarrà solo un ricordo. Quello del ferro fucinato a mano è stato, per secoli, un lavoro insostituibile, specialmente per gli attrezzi agricoli, prima della nascita della produzione industriale. Ogni paese aveva una o più officine che provvedevano ai bisogni locali. Ogni pezzo era fatto a mano, uno diverso dall'altro perché lavorati a occhio. Qualche fucina è ancora in funzione anche con magli azionati dall'energia idraulica, cioè con grandi ruote, come i mulini, che danno il movimento alle "teste d'asino", come venivano chiamati i martinetti, giganteschi martelli che danno forma ai masselli d'acciaio rovente appena estratti dalla forgia. Ma c'erano anche fabbri che stiravano l'acciaio solo con mazza e incudine, tanto che quest'ultimo presentava una concavità al centro, scavata da decenni di martellate, in migliaia di ore di lavoro. Luoghi famosi per le loro fucine sono stati la Val Camonica in Lombardia e il Canavese in Piemonte. Le rare fucine superstiti sono antri polverosi e neri, con pavimento di terra battuta, piene di utensili, pinze, martelli, incudini, poche macchine, spesso costruite in casa dagli stessi artigiani, nell'insieme preziosi mini musei di archeologia industriale. Poiché in passato tutte le fucine erano mosse da ruote idrauliche, l'acqua costituiva un fattore determinante, e, prima di costruire un opificio, occorreva chiedere i permessi e scavare fossi e canali di adduzione che esistono ancora. Se infatti si deve cercare una fucina senza sapere l'indirizzo preciso, basta seguire la roggia giusta e non si sbaglia. Uno dei pochi testi sull'argomento, "Dal basso fuoco all'altoforno", è stato pubblicato dal Centro di Studi Preistorici e Archeologici di Varese: contiene gli atti di un simposio, "La siderurgia nell'antichità", tenutosi a Bienno nel 1988. Una tesi di laurea è stata fatta invece nel '94, da tre studenti del Politecnico di Torino (Mauro Borzini, Manuela Calciati e Oriana Marzari), rilevando la Fucina Gaddò a Oglianico (Torino), in funzione dal 1899. L'antico schema dell'opificio prevedeva una pianta quadrata o rettangolare, interrata per assorbire più facilmente le vibrazioni dei magli. L'operatore stava seduto su un basso sgabello davanti ai martinetti, guidando con precisione il pezzo da forgiare tenuto da lunghe pinze, ognuna con un becco diverso, a seconda del pezzo: pochi colpi e nascevano asce, vanghe, zappe, roncole, martelli, picconi, denti per erpici. Questo sistema era detto "a maglio libero", in quanto la forma del manufatto era ricavata appunto a mano libera, disponendo il pezzo secondo la forma desiderata. Un mestiere complesso che s'imparava in anni di lavoro, fatto di mille malizie, esperienze, bruciature. Sovente - lavorando costantemente al risparmio - la materia prima era di recupero: balestre di camion, pezzi di binari, ruote e molloni di carrozze ferroviarie. Tutto veniva scaldato al calor rosso sulla forgia fino a diventare malleabile e quindi lavorato. Sono ancora in funzione anche alcune "trombe idroeoliche", ingegnoso sistema, già in uso nel Medioevo, per dare aria al fuoco di carbone, in sostituzione del mantice azionato a mano. In sostanza la tromba aspirava aria alla sommità di un condotto verticale percorso da acqua in caduta libera, e, con un effetto sifone, la inviava alla forgia. Manovrando una serie di leve, che aumentavano o diminuivano la portata d'acqua, il fabbro regolava il ritmo dei magli, la quantità d'aria alla forgia, la velocità della mola. Il tutto servito da irti e complicati sistemi di cinghie e pulegge che azionavano, volendo, anche il trapano verticale. Tutto senza un watt di elettricità. Anche la tempra di utensili da taglio era fatta valutando a occhio il colore dell'acciaio appena uscito dalla forgia e immerso in olio o acqua: se la tempra era corretta sul filo si dovevano vedere leggeri, quasi impercettibili riflessi aurei dopo il rapido raffreddamento. Ancora anteguerra poi - poiché il carbon fossile era troppo caro - si usava carbone di legna, prodotto in carbonaie spesso vicine al paese, attività che ha contribuito non poco negli ultimi tre secoli alla distruzione dei boschi. Renato Scagliola


IN BREVE Cuore artificiale record italiano
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
NOMI: STACCOTTO ADA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, PAVIA (PV)

Da 30 mesi Ada Staccotto vive con un cuore artificiale: è un record. Le è stato impiantato a Pavia dall'equipe del Policlinico S. Matteo diretta da Viganò.


SCIENZE FISICHE. FISICA Da Alice a Star Trek Due esperimenti e una sorpresa
Autore: CERU' MARTA

ARGOMENTI: FISICA, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: DE MARTINI FRANCESCO, ZEILINGER ANTON, EINSTEIN ALBERT, PODOLSKY BORIS, ROSEN NATHAN, GHIRARDI GIANCARLO, BENNET CHARLES, BOSCHI DANILO, BRANCA SALVATORE
LUOGHI: ITALIA

SULL'ASTRONAVE Enter prise il teletrasporto è all'ordine del giorno. E anche chi non ha mai visto un episodio della serie di Star Trek sa di che cosa stiamo parlando. Il sistema è quello usato dal capitano Kirk e dai membri del suo equipaggio per scendere su qualsiasi pianeta senza dover atterrare: i loro corpi si " smaterializzano" nella macchina del teletrasporto e ricompaiono istantaneamente a destinazione. Dalla finzione alla realtà il termine è entrato anche nel mondo dei fisici. Ma il "Teletrasporto quantistico sperimentale", descritto in un articolo appena pubblicato su "Nature", ha un diverso significato. Solo nella fantascienza è possibile pensare di trasportare un corpo, o semplicemente l'informazione necessaria a "ricostruirlo" altrove in modo istantaneo. E non è questo che hanno ottenuto due gruppi di scienziati, uno diretto da Anton Zeilinger dell'Università di Vienna e l'altro da Francesco De Martini dell'Università di Roma, riuscendo a teletrasportare in laboratorio proprietà quantistiche di una particella. Siamo nel campo dei sistemi microscopici, dove regnano le strane leggi della meccanica quantistica che, con le sue caratteristiche peculiari, ci allontana da una visione classica del mondo. E ci presenta situazioni quasi paradossali in cui sembra che i messaggi viaggino più veloci della luce e che si possa parlare di teletrasporto. Ma facciamo un passo indietro e torniamo agli anni in cui era acceso il dibattito sui fondamenti della meccanica quantistica. Nel 1935 Albert Einstein, Boris Podolsky e Nathan Rosen scoprirono una misteriosa correlazione tra i fotoni, cioè i corpuscoli elementari della luce che sembrano parlarsi da distanze anche lontanissime. Un fenomeno inspiegabile ai loro occhi, e da allora conosciuto come il paradosso Epr. Solo trent'anni dopo, il fisico John Bell dimostrò con un famoso teorema che questa connessione, chiamata "entanglement", esiste davvero. "E' possibile che gli esiti delle misure effettuate in una certa regione dello spazio dipendano dal fatto che venga eseguita una misura su sistemi lontanissimi, praticamente nello stesso istante". A parlare è il fisico teorico di Trieste Giancarlo Ghirardi, presidente della Società Italiana di Fondamenti della Fisica: "La meccanica quantistica ci costringe a riconoscere l'esistenza di effetti non locali (vale a dire istantanei a distanza) ma le cose sono messe in modo tale che questi effetti non possono venire in alcun modo utilizzati per trasmettere informazioni o per esercitare azioni a velocità superiore a quella della luce". Si può però realizzare una forma di trasporto basata sugli stati "aggrovigliati", o " entangled" come dicono gli scienziati: il teletrasporto quantistico, ideato nel 1993 dal fisico Charles Bennet. L'intera informazione necessaria a riprodurre un oggetto si può separare in due parti, una quantistica e una classica. La prima può essere trasmessa istantaneamente ma per usarla occorre conoscere la seconda, che può essere trasmessa solo per vie convenzionali come canali telefonici o elettronici, e quindi a velocità inferiori a quella della luce. Immaginiamo di avere due personaggi: Alice ha un fotone, un corpuscolo elementare della luce, di cui non sa nulla; il suo compito è trasmetterlo a Bob che è molto distante in un luogo non ben precisato. Le regole alla base della meccanica quantistica, precisamente il principio di indeterminazione di Heisenberg, impediscono ad Alice di misurare qualsiasi caratteristica del fotone per comunicarla a Bob, o di "copiare" la particella per mandargliela direttamente. Infatti il processo di misura altera le proprietà dell'oggetto misurato in modo tale che parte dell'informazione si perde inevitabilmente. Sarebbe inoltre troppo lento e insicuro mandare l'originale, soprattutto perché Alice non sa dov'è Bob. Ma i due prima di separarsi hanno condiviso la coppia A e B di fotoni " aggrovigliati" e se Alice possiede A, Bob ha portato B con sè. E' questo il canale quantistico intermediario che permetterà ad Alice di mandare il messaggio (il fotone originario) a Bob. Infatti Alice può eseguire una misura sul sistema formato dal suo fotone-messaggio e da A. In questo modo non saprà nulla delle caratteristiche del messaggio perché il processo stesso della misura le avrà alterate distruggendo il fotone da teletrasportare. Ma, a causa del canale tra A e B, anche B risulterà simultaneamente cambiato e in questo modo è passata la parte quantistica dell'informazione. Ad Alice non resta ora che trasmettere a Bob per via classica il risultato della sua misura, o meglio il tipo di misura eseguita. A questo punto Bob potrà eseguire la misura sulla particella B per trovare una perfetta copia del messaggio. "E non si tratta di una clonazione - precisa De Martini di fronte al delicato apparato ottico realizzato nel suo laboratorio grazie ai fisici Danilo Boschi e Salvatore Branca -. Infatti la misura di Alice distrugge la particella originaria e tutte le sue caratteristiche si ritrovano nel fotone di Bob". Ovviamente i due esperimenti, quello austriaco e quello italiano, sono ben più complicati della storia di Alice e Bob e sono anche diversi fra loro. Ma veniamo ora alle concrete applicazioni tecnologiche del teletrasporto quantistico. Per esempio, la realizzazione di computer quantistici, veloci e sicuri nel teletrasportare dati e risolvere problemi complessi. " Siamo in trattative con Charles Bennet dell'Ibm - racconta De Martini - per costruire con le nostre tecniche sperimentali un componente basilare dei quanto-computer, il control-not. Il funzionamento di questo congegno sarebbe molto simile a quello delle parti che costituiscono il nostro apparato sperimentale". Un'altra applicazione riguarda i metodi di crittografia per trasmettere codici cifrati. "Oggi la crittografia quantistica - dice De Martini - si basa sull'utilizzazione di due canali per tramettere le informazioni, uno classico e uno quantistico. Quest'ultimo porta il 90% dell'informazione che però non può essere decifrata se non si ha una chiave che viene trasmessa attraverso il canale classico. Come nel caso del nostro teletrasporto di fotoni, la trasmissione dell'informazione non può avvenire se non con velocità inferiori a quella della luce". Marta Cerù


SCIENZE DELLA VITA. UN PROBLEMA TRASCURATO Italia povera di iodio Una carenza dannosa alla tiroide
Autore: TRIPODINA ANTONIO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

TRA le carenze nutrizionali, quella dello iodio è fra le più importanti per il numero di persone coinvolte e per le conseguenze sulla salute pubblica. Lo iodio è un costituente essenziale dei due ormoni tiroidei, la tri-iodio-tironina (oT3) e la tetra-iodio-tironina (oT4), ed è facile comprendere come una sua carenza possa costituire un fattore limitante la loro sintesi. La carenza di iodio è considerata la causa principale del gozzo " endemico", l'affezione endocrinologica più diffusa nel mondo. Questo perché se la tiroide, per mancanza di un elemento indispensabile, non è in grado di produrre una quantità di ormoni adeguata alle esigenze dell'organismo, viene sottoposta da parte dell'ipofisi (la ghiandoletta, situata alla base del cranio, che controlla e regola molte altre ghiandole) a una iper-stimolazione attraverso il suo ormone Tsh (Thyroid Stimulating Hormone), nell'intento di accrescerne la produzione. L'iperstimolo finisce con il determinare quello che viene definito un aumento di volume della tiroide, prima fase nella formazione di un gozzo o struma (per convenzione si parla già di gozzo quando i lobi della tiroide superano le dimensioni dell'ultima falange del pollice). Se una tale situazione di iperstimolo persiste, l'ulteriore evoluzione è imprevedibile: possono formarsi "nodi caldi" autonomi, che determinano ipertiroidismo; o "nodi freddi", non funzionanti, ma sospettati di una possibile trasformazione tumorale; o la tiroide può acquistare dimensioni tali da comprimere le vie aeree. Secondo le ultime stime dell'Oms (Organizzazione mondiale della sanità) più di un quinto della popolazione mondiale vive in zone con carenza iodica e oltre 600 milioni di persone sono affetti da gozzo. In Italia recenti indagini hanno evidenziato (attraverso il dosaggio dello iodio eliminato nelle urine) un deficit nutrizionale di tale elemento in tutte le regioni e una incidenza di gozzo, più o meno evidente, in circa il 10 per cento della popolazione. Le donne sono a maggior rischio in quanto gli estrogeni favoriscono l'eliminazione renale dello iodio. Un simile deficit planetario vien fatto risalire a circa diecimila anni fa, quando per lo sciogliersi dei ghiacciai dopo l'ultima glaciazione, pare sia avvenuta una specie di " dilavaggio" dello iodio, che dalle zone montane è finito in mare. Se così è, l'Italia è stata particolarmente dilavata, vista la scarsità di iodio del suo suolo, con la conseguenza che povere di iodio sono anche le acque che in esso scorrono, i vegetali che in esso crescono e gli animali che in esso pascolano. E scarso iodio assumono gli abitanti che di tali elementi si nutrono. Si parla di " zona endemica" per gozzo quando tale alterazione è dimostrabile in più del dieci per cento della popolazione globalmente intesa o in più del 20 per cento della popolazione scolastica. Il fatto che in un ambiente con diffusa carenza iodica solo una parte dei residenti sviluppi un gozzo fa supporre che, perché ciò accada, sia necessaria la partecipazione di altri fattori (di probabile natura genetica) che inducono una maggiore sensibilità delle cellule tiroidee all'iper-stimolo ipofisario. Tuttavia il ruolo assolutamente preminente della carenza di iodio è dimostrato in modo inconfutabile dalla netta riduzione del gozzo (e delle altre affezioni tiroidee ad esso collegate) in tutti quei Paesi in cui è stata praticata un'efficace profilassi somministrando tale elemento. In Italia il problema è tutt'altro che risolto, nonostante le campagne di sensibilizzazione promosse dal ministero della Sanità, in collegamento con la Società italiana di endocrinologia e con il comitato nazionale per la prevenzione del gozzo. Il metodo più semplice, efficace ed economico per una seria prevenzione è quello di indurre tutta la popolazione a consumare sale arricchito con iodio al posto del normale sale da cucina: l'assunzione di sale è giornaliera e il processo di "arricchimento" con iodio poco costoso. La iodificazione non modifica le caratteristiche organolettiche del sale, che mantiene il colore, l'aspetto e il sapore di quello non trattato. Non vi è rischio di iperdosaggio di iodio, perché l'organismo espelle con le urine l'eventuale eccesso. Per la nota relazione tra sale e ipertensione, il corretto comportamento alimentare può essere riassunto nello slogan "consumare poco sale, ma quel poco che sia iodato". La dizione "sale marino" non significa sale iodato. In Italia la quota di sale iodato (o iodurato) è ancora inferiore al 2 per cento del sale venduto per uso alimentare. Ciò dimostra quanta poca strada abbia ancora fatto nella coscienza popolare la conoscenza dei problemi creati dalla carenza iodica e come l'obiettivo indicato in occasione della Conferenza Internazionale della Nutrizione Fao/Oms, nel 1992, della completa eradicazione del gozzo endemico e degli altri mali da carenza iodica entro l'anno 2000, sia utopistico. Antonio Tripodina


SCIENZE DELLA VITA. PER LE INFEZIONI VIRALI La difficile strada dei vaccini contro i tumori Dimostrate negli animali risposte immunitarie contro cellule cancerose
Autore: DI AICHELBURG ULRICO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

LA classica definizione dei vaccini è la seguente: preparazioni capaci di indurre una condizione di immunità specifica contro le infezioni. I vaccini hanno dunque il compito di prevenire le malattie infettive. Il concetto di vaccino è associato implicitamente a quello di infezione. Tuttavia si parla di vaccini anche a proposito dei tumori, l'argomento è di grande attualità. Nelle cellule tumorali sono presenti, come nei batteri e nei virus, specifiche molecole dotate di potere antigene (stimolante anticorpi), assenti nelle cellule normali. Ne deriva che questi antigeni possono essere il bersaglio di reazioni immunitarie, in altre parole esiste una risposta immunitaria anti-tumorale. Oggi sono note le basi molecolari della immunità anti-tumorale, il che ha permesso l'identificazione di numerosi antigeni specifici dei tumori, possibili bersagli della immunità. Negli ultimi tempi si è dimostrata negli animali la presenza di risposte immunitarie contro le cellule tumorali, risposte tuttavia poco efficaci. Orbene, l'insieme di questi risultati fa pensare che un aumento di codesta risposta immunitaria specifica possa tradursi in una immunità efficace. Per esempio è stato possibile proteggere i topi dall'attecchimento di cellule tumorali, "vaccinandoli" con le stesse cellule irradiate. Ancora più interessante, è stato possibile sopprimere le metastasi utilizzando linfociti (elementi del sangue fondamentali per l'immunità). Partendo da queste osservazioni Rosenberg e altri hanno trattato malati con metastasi di melanoma inoculando linfociti presenti nel tumore, ed hanno ottenuto in qualche caso una regressione del tumore. In sostanza l'insieme di questi risultati porta a concludere che gli antigeni riconosciuti dai linfociti potrebbero essere bersagli importanti d'una reazione immunitaria anti-tumorale nell'uomo. Uno dei principali obiettivi è dunque identificare le molecole antigene presenti nelle cellule tumorali, potenziali bersagli delle risposte immuni. Si tratta di molecole proteiche, e precisamente di peptidi, associati alle molecole HLA (Human Leucocyte Antigen) codificate dai geni del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC). I linfociti T riconoscono la presenza di questi antigeni tumorali. Riassumendo sono immaginabili due tipi di strategie. Il primo riguarderebbe i tumori conseguenza di infezioni da virus - per esempio dai Papovavirus - tumori benigni in varie specie animali e nell'uomo (condilomi acuminati, verruche), però anche con possibilità di trasformazione in carcinomi: con la vaccinazione si potrebbe proteggere dall'infezione virale oppure, a infezione avvenuta, prevenire lo sviluppo di lesioni cancerose. Il secondo tipo si riferirebbe a vaccini curativi (immunoterapia vaccinica) capaci di fare reagire un tumore già stabilitosi. Recentemente si sono compiuti progressi nell'aumentare il potere immunogeno della cellula tumorale agendo su certi componenti cellulari, le citochine (IL-2, IL-4, GH-CSF). Inoltre si sono utilizzati peptidi sintetici per immunizzare topi nei quali erano state trapiantate cellule di tumori. In conclusione la conoscenza delle basi molecolari, e soprattutto dei meccanismi messi in giuoco dalle risposte immunitarie, fa intravedere la possibilità di identificare i potenziali bersagli di nuovi mezzi terapeutici dei tumori. Ulrico di Aichelburg


FENOMENI CELESTI La locandina del cielo 1998
Autore: P_BIA

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, LIBRI, EDITORIA
NOMI: DE MEIS SALVO, MEEUS JEAN, MOLISANTI ENRICO, FERRERI WALTER
ORGANIZZAZIONI: HOEPLI, ORIONE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: «Almanacco astronomico», «Asteroidi», «Catalogo Messier»

CERTO noi guardiamo il cielo notturno con un atteggiamento ben diverso da quello che fu dei Re Magi in viaggio verso la stalla di Betlemme ma, oggi come ieri, la volta celeste continua ad essere una finestra sull'universo che rinnova ogni sera il suo panorama. Per conoscere in anticipo e per comprendere gli spettacoli che nel 1998 si svolgeranno sul palcoscenico celeste lo strumento più efficace è l'"Almanacco astronomico" di Salvo De Meis e Jean Meeus, edito quest'anno dalla rivista mensile "Orione" e da Hoepli (15 mila lire). Ecco, mese per mese, i fenomeni più importanti o più curiosi. Gennaio. La Terra passa al perielio, cioè nel punto della sua orbita più vicino al Sole (circa 147 milioni di chilometri), il giorno 4. Il 17 la cometa Tempel- Tuttle si troverà alla minima distanza da noi, a poco più di 50 milioni di chilometri. Febbraio. Il 5 la Luna occulterà la stella Aldebaran, la più luminosa della costellazione del Toro e una delle più brillanti del cielo. Il 26 ci sarà una eclisse totale di Sole, visibile però soltanto da una ristretta fascia compresa tra l'America Centrale e l'America del Sud. Marzo. Il 13 avverrà una eclisse lunare di penombra: ma il fenomeno risulterà quasi impercettibile. Il 26 la Luna occulterà il pianeta Giove, ma di giorno. Il 27 mattina Venere sarà alla massima elongazione dal Sole. Aprile. Altra occultazione lunare di Aldebaran. Maggio. Il pianeta Plutone opposto al Sole. Giugno. Il Sole tocca il punto più alto nel cielo il giorno 21 (solstizio estivo). Luglio. Il giorno 3 la Terra passerà all'afelio, cioè nel punto della sua orbita più lontano dal Sole (circa 151 milioni di chilometri). Agosto. L'11 sciame delle Perseidi (stelle cadenti o lacrime di San Lorenzo). Il 22 eclisse anulare di Sole, visibile soltanto da Sumatra, Borneo, Nuova Guinea. Settembre. Il 16 Giove in opposizione, le condizioni migliori per osservarlo. Ottobre. Il 20 eclisse di Callisto, uno dei quattro grandi satelliti di Giove. Novembre. Il 5 la Luna passa davanti alle Iadi, ammasso di stelle giovani nel Toro. Dicembre. Il 12 sciame delle meteore Geminidi. Il 30-31 altra occultazione di Aldebaran da parte della Luna (il fenomeno è ciclico). Allegato al numero di "Orione" in edicola a gennaio i lettori troveranno poi un libro prezioso, "Asteroidi", sempre di Salvo De Meis e Jean Meeus: contiene, oltre alle effemeridi dei pianetini principali, anche molte informazioni sulla loro natura fisica, curiosità (per esempio sugli "asteroidi italiani"), consigli per le osservazioni e dati sui pianetini che sfiorano la Terra. Edito da "Orione", il cui direttore scientifico è Walter Ferreri, segnaliamo infine il "Catalogo Messier" curato da Enrico Molisanti (25 mila lire), unica opera in italiano che descriva minuziosamente tutti gli oggetti che il famoso astronomo francese nel '700 catalogò per non confonderli con le comete, che erano il suo vero interesse: nebulose, galassie, ammassi di stelle aperti e globulari alla portata dei telescopi amatoriali.(p. bia.)


SCIENZE FISICHE La roulette a fotoni Il paradosso dei quanti visto da Bell
Autore: ODIFREDDI PIERGIORGIO

ARGOMENTI: FISICA
LUOGHI: ITALIA

CHIUNQUE abbia osservato una roulette avrà notato che i colori rosso e nero escono in modo perfettamente casuale, senza alcuna regolarità. Che cosa si potrebbe pensare allora se ogni volta che due persone visitassero due particolari casinò, e registrassero le successioni di colori usciti alle rispettive roulette, si accorgessero poi che le due successioni sono esattamente le stesse? Ovviamente, soltanto che le due roulette sono truccate, cioè collegate in modo da farle diventare una sola. Se però i gestori dei casinò spergiurassero che non ci sono trucchi, permettessero controlli, e non si scoprisse niente di sospetto? Beh, questa è proprio la situazione di certi recentissimi esperimenti di fisica. Supponiamo che due persone non in comunicazione fra loro ricevano periodicamente una busta contenente un foglio, che può essere bianco o nero: esse aprono la busta, registrano i colori del foglio, e confrontano le registrazioni dopo aver ricevuto un gran numero di buste. Se ogni volta nelle due buste c'è un foglio dello stesso colore, allora esse noteranno una perfetta identità fra le loro osservazioni (anche nel caso in cui la scelta del colore da parte del mittente fosse stata ogni volta casuale). Viceversa, dalla perfetta identità delle loro registrazioni i due destinatari potranno dedurre che ogni volta nelle due buste c'era un foglio con lo stesso colore. Fuor di metafora: il foglio nella busta corrisponde a una particella, il colore a una proprietà fisica misurabile, i destinatari a due osservatori isolati fra loro, e l'apertura delle buste a una misura della proprietà della particella. Se le particelle hanno sempre lo stesso valore della proprietà fisica in questione, ci sarà una perfetta identità tra le due misure. Viceversa, se esiste una perfetta identità fra le misure e i due osservatori non sono in comunicazione fra loro, allora si può dedurre che le particelle avevano ogni volta lo stesso valore della proprietà. Passiamo ora a una versione più elaborata della metafora. Supponiamo che le due persone ricevano periodicamente una busta contenente un foglio diviso in tre strisce, ciascuna delle quali può essere bianca o nera, e che la busta si possa aprire in tre modi diversi, ciascuno dei quali permette di vedere una sola striscia. Le due persone decidono ogni volta indipendentemente quale striscia aprire, registrano i risultati delle loro osservazioni, e li confrontano dopo aver ricevuto un gran numero di buste. Se ogni volta nelle due buste c'è lo stesso tipo di foglio, in cui strisce corrispondenti abbiano cioè lo stesso colore, allora: quando i destinatari hanno aperto la stessa striscia, hanno sempre visto lo stesso colore; quando i destinatari hanno aperto strisce qualunque, hanno visto lo stesso colore almeno 5 volte su 9. La prima conclusione è ovvia. Per quanto riguarda la seconda, basta notare che i fogli hanno sempre almeno due strisce dello stesso colore (poiché ci sono solo due colori, ma tre strisce). Essi devono dunque mostrare lo stesso colore in almeno 5 casi sui 9 possibili: i 3 in cui viene osservata la stessa striscia, ed i 2 (simmetrici) in cui i destinatari osservano appunto le due differenti strisce con lo stesso colore. Possiamo ora applicare la metafora alle particelle nel modo già fatto, ad esempio supponendo di misurarne la polarizzazione. Il fenomeno è ben noto, grazie alle lenti polarizzate degli occhiali: esse permettono il passaggio completo della luce polarizzata in una direzione, non permettono il passaggio di quella polarizzata in direzione perpendicolare, e permettono un passaggio parziale della luce polarizzata in direzioni intermedie. Che cosa succede se consideriamo particelle che hanno la stessa polarizzazione (ad esempio, perché sono state emesse da uno stesso atomo eccitato da raggi laser), e ne misuriamo la polarizzazione in tre possibili direzioni prestabilite? L'argomento precedente ci dice che se si misura la polarizzazione nella stessa direzione per entrambe le particelle, si avrà sempre lo stesso risultato. E se invece si fanno le misure in direzioni scelte a caso fra le tre possibili, in media si avrà lo stesso risultato almeno 5 volte su 9. Ma qualcosa è andato storto, perché è possibile invece scegliere le tre direzioni di misura della polarizzazione in modo tale che lo stesso risultato si registri effettivamente sempre nel primo caso, ma solo metà delle volte nel secondo (e quindi meno del previsto, perché 5 volte su 9 sono più di metà). Il problema è: che cosa è andato storto? Gli esperimenti potrebbero essere stati maldestri, ma questo sembra escluso: essi sono stati ripetuti molte volte, con grande accuratezza e ingegnosità, soprattutto dal gruppo di Alain Aspect a Parigi. Forse abbiamo fatto male i conti, ma anche questo sembra escluso: non abbiamo infatti usato che matematica elementare, applicata nel più banale dei modi. L'unica possibilità è allora che, se la natura è un postino, le particelle che essa recapita non siano come buste con fogli colorati: la cosa è ovvia letteralmente, ma in senso astratto ciò significa che a livello microscopico la natura non si comporta nello stesso modo a cui siamo abituati a livello macroscopico. In particolare, particelle che sono tanto distanti da non poter comunicare fra loro a velocità inferiori a quella della luce, sembrano ciò nonostante comportarsi in modo perfettamente casuale se considerate individualmente, ma coordinato se considerate insieme. Proprio come le due misteriose roulette. L'argomento precedente, famoso sotto il nome di teorema di Bell, mostra dunque che se non vogliamo fare gli indiani di fronte alle risultanze sperimentali, ci toccherà forse fare gli indiani nel campo della metafisica, e accettare una visione olistica del mondo che credevamo tipica dell'Oriente superstizioso. Piergiorgio Odifreddi Università di Torino


SCIENZE A SCUOLA. PRINCIPIO DI HUYGENS Le onde della luce Già studiate da Newton e Cartesio
Autore: BO GIAN CARLO

ARGOMENTI: FISICA
LUOGHI: ITALIA

LA luce diede filo da torcere a Cartesio (che scoprì le leggi della riflessione) e a Newton che suggerì la teoria corpuscolare. Suppose Newton che la luce fosse costituita da particelle minuscole viaggianti a enorme velocità: veniva riflessa da uno specchio perché le particelle rimbalzavano sulla sua superficie e venivano invece deviate quando penetravano in un mezzo rifrangente (come il vetro o l'acqua) perché lì viaggiavano più velocemente che nell'aria. La teoria di Newton non era però capace di spiegare, ad esempio, perché le particelle di luce verde venivano rifratte più di quelle di luce gialla o come mai due fasci di luce possano incrociarsi senza esercitare alcuna azione l'uno sull'altro, come se le particelle non entrassero in collisione. Ci pensò Huygens, lo scienziato che applicò il pendolo a un orologio nel 1678: fu lui a elaborare la teoria secondo la quale la luce è fatta di piccolissime onde (e oggi porta il suo nome una sonda spaziale in viaggio verso Titano, satellite di Saturno che Huygens scoprì). Supponendo che la luce viaggi più lentamente in un mezzo rifrangente che nell'aria, fu possibile spiegare la diversa rifrazione subita dai vari tipi di luce che lo attraversavano: l'entità della rifrazione varierebbe con la lunghezza delle onde; minore la lunghezza d'onda, maggiore la rifrazione. Così, ad esempio, la luce che subisce una maggiore rifrazione, quella viola, avrebbe una lunghezza d'onda minore di quella azzurra, che l'avrebbe minore di quella verde e così via. Secondo Huygens l'occhio distingueva i colori a causa della diversa lunghezza d'onda e intanto si spiegava perché due fasci possono incrociarsi senza " disturbarsi". Però non bastava. Non spiegava ad esempio perché i raggi luminosi viaggino in linea retta e formino ombre dai contorni netti oppure perché i raggi non "aggirino" gli ostacoli come invece fanno le onde sonore. Gli scienziati in quel periodo stavano con Newton, per via della sua fama e perché la sua teoria dei corpuscoli sembrava più logica. Bisognò attendere fino al 1801, quando Thomas Young, medico e fisico inglese, con un semplice esperimento fece pendere la bilancia dalla parte di Huygens. Sistemò due fori vicinissimi di fronte a uno schermo e li fece attraversare da un raggio sottilissimo. Se era valida la teoria dei corpuscoli i due raggi avrebbero formato sullo schermo una macchia più luminosa dove si sovrapponevano, e altre meno luminose dove non si sovrapponevano. Non fu così. Sullo schermo Young trovò una serie di frange luminose separate da frange scure; sembrava che in questi intervalli di "buio" le due luci, sommandosi, "inscurissero". L'imbroglio fu chiarito dalla teoria ondulatoria. Se le due serie di onde avevano i massimi che coincidevano, cioè erano in fase, si " rinforzavano" e formavano la frangia luminosa; se non erano in fase si annullavano nel buio. Il Principio di Huygens. "Ogni punto di un fronte d'onda agisce come punto di partenza di un'onda elementare". Nella figura in alto, OE è lo specchio. AL è il fronte d'onda piano che va verso lo specchio. Se O diventa centro di vibrazione da cui partono onde, quando in P arriva l'impulso, in E è pure arrivata la luce da D, perché DE=OP. Ciò significa che il fronte OD lo ritroviamo in PE. Tutti i punti del tratto OE diventano centri di vibrazione in istanti successivi, rimandano le loro onde (archi di cerchio). E' l'inviluppo di questi archi a costituire il fronte dell'onda riflessa. "Inviluppo" è una superficie che s'adagia su tutti i fronti d'onda elementari; in questo caso l'inviluppo è piano. Partendo dal concetto di raggio che si riflette con angolo r=i, o dall'immagine delle onde originantisi secondo il principio di Huygens, si arriva allo stesso cammino per il fascio rinviato dallo specchio. Nelle altre direzioni non c'è energia perché le onde, interferendo, si elidono. Gian Carlo Bo


SCIENZE DELLA VITA. A CHANTILLY IN FRANCIA Museo vivente del cavallo Nelle scuderie più belle del mondo
Autore: MARTINENGO ROBERTO

ARGOMENTI: DIDATTICA
NOMI: BIENAIME' YVES
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, FRANCIA, CHANTILLY

LA famiglia dei principi di Condè, ramo cadetto dei reali di Francia, ha certamente lasciato tracce nella storia, ma la sua fama nei secoli è dovuta anche al fatto di aver costruito le più belle scuderie che esistano al mondo. Luigi Enrico di Borbone, settimo principe di Condè, credeva nella metempsicosi e poiché immaginava di reincarnarsi, dopo la sua morte, in un cavallo, fece erigere delle scuderie degne del suo rango. In questo luogo favoloso, un benemerito dell'amore per questi meravigliosi animali, Yves Bienaimè, ha creato il museo vivente del cavallo. Lo scopo è stato, ed è, di ristabilire un contatto tra il pubblico e l'animale che, indispensabile all'umanità per migliaia di anni, ha perso nel mondo contemporaneo la sua utilizzazione come mezzo di trasporto e di lavoro. Ad un centinaio di chilometri da Parigi, vicino al principesco castello di Chantilly, sorgono queste scuderie di 186 metri di lunghezza, sormontate da una cupola ottagonale di 28 metri di altezza. Ai tempi del principe, ospitavano 240 cavalli ed un centinaio di persone addette alle loro cure. Ma non si pensi solo al passato. L'edificio fu costruito tra il 1719 e il 1740 su progetto dell'architetto Jean Aubert, ma l'attuale impiego è assolutamente moderno. La struttura, pur avendo più di due secoli, è in perfetto stato e viene utilizzata per dare la migliore idea possibile del cavallo, dal passato ai giorni nostri. Dopo aver ammirato l'architettura, si può passare allo scopo per cui viene usata. Ci sono nei loro box e poste cavalli di tutte le razze, naturalmente con speciale riguardo a quelle francesi ed iberiche, queste ultime particolarmente adatte all'addestramento chiamato "di alta scuola", secondo una tradizione che risale alle corti europee dei secoli passati. Il cavallo non può essere pensato come un animale da giardino zoologico: deve infatti uscire tutti i giorni e fare esercizio, per la propria salute e mantenimento fisico. Per questo motivo, amazzoni e cavalieri del museo provvedono tutti i giorni a montare i cavalli che vi sono ospitati. La parte pedagogica è estremamente esauriente; intorno all'immensa corte d'onore si susseguono trenta locali di esposizione per trenta diversi argomenti, che dicono tutto il possibile sul passato e sul presente del cavallo, dando anche la possibilità di ipotizzare quale possa essere il suo futuro. Si spazia dall'allevamento ai vari tipi di sport; dall'ippologia alla veterinaria ed alla ferratura, dalla bardatura alle coperte ed ai finimenti di lusso; dal cavallo nell'arte ai più preziosi fou lard di seta disegnati sull'argomento, fino ad una magnifica collezione di vecchie cartoline che ritraggono l'impiego dei cavalli in pace e in guerra. Dopo aver visitato queste sale, l'idea del cavallo nel mondo attuale diventa più precisa e si può riassumere in cinque settori di attività umane ad esso riferite. Allevamento, che comprende palafrenieri, allevatori, capi scuderia, oltre all'indotto sull'agricoltura per il nutrimento. Corse: fantini, driver di trotto, allenatori, uomini di scuderia. Centri equestri: palafrenieri, istruttori di poneys, istruttori di equitazione, guide di turismo equestre, maestri. Ricerca e sviluppo: addetti alla riproduzione, veterinari, ricercatori. Amministrazione: tecnici degli allevamenti, capi scuderia, amministratori, quadri degli sport militari. Le considerazioni finali sono, in primo luogo, che una così completa presentazione scientifica e pratica del cavallo rivolta al pubblico non esiste altrove; che il museo è - rara avis - assolutamente autosufficiente e sopravvive egregiamente grazie ai propri introiti, ed infine che, per avvicinare le persone ad un argomento così piacevole ed interessante, si tratta del posto giusto e del modo giusto. Roberto Martinengo


NUOVA IPOTESI SULL'ASTRO DI NATALE Non fu una cometa Giove si nascose dietro la Luna
Autore: DI MARTINO MARIO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA
NOMI: MORGAN MICHAEL
LUOGHI: ITALIA

SE la stella dei Magi era così spettacolare e appariscente, come mai fu vista solo da poche persone? Gli antichi astronomi cinesi osservavano il cielo con attenzione e continuità, ma negli annali dell'epoca non c'è traccia di oggetti o fenomeni celesti straordinari. Molte sono state le ipotesi sulla reale natura della " stella di Natale", ma nessuna finora appare del tutto convincente. Ora però si avanza l'idea che la "stella" non fosse in realtà un eccezionale fenomeno astronomico, ma piuttosto un oscuro evento astrologico, noto soltanto ad alcuni saggi. Per confermare questa ipotesi, Michael Morgan, un astronomo dell'Università Rutgers (New Jersey), ha collegato eventi astronomici verificatisi negli anni in cui viene collocata la nascita di Cristo con i simboli astrologici rilevanti all'epoca e riportati su alcune monete romane di quel periodo. La conclusione a cui è giunto è che il fenomeno celeste che avrebbe annunciato la nascita di un nuovo re di Giudea è consistito in una doppia occultazione lunare di Giove, in cui il pianeta nell'arco di tempo di un mese scomparve per due volte dietro il disco della Luna. Alcune monete di Antiochia, la capitale della provincia romana di Siria, riportano da un lato il busto di Giove e dall'altro un ariete volto a guardare una stella. Molnar afferma che la stella potrebbe rappresentare due rari eventi che si verificarono nella costellazione dell'Ariete il 18 aprile del 7 d. C., poco prima che la moneta venisse coniata. Il primo fu una congiunzione molto ravvicinata tra Mercurio e Giove, il secondo una levata eliaca di Giove, quando cioè il pianeta appare nel cielo del mattino poco prima il sorgere del Sole. Molnar è convinto che la coincidenza di questi due fenomeni celesti sarebbe stata di estremo buon auspicio per gli astrologi dell'epoca. I Romani inoltre commemoravano i loro trionfi politici coniando nuove monete e Giove come re degli dei veniva sovente utilizzato come simbolo di dominio ed infatti solo un anno prima, nel 6 d. C., i Romani avevano deposto il figlio di Erode, Archelao, e sottomesso la Giudea. La congiunzione e la levata eliaca di Giove avrebbero rappresentato l'epprovazione di questi eventi da parte degli dei. Gli astrologi dell'epoca, come confermato nell'opera di Claudio Tolomeo di Alessandria, "Tetrabiblos", redatta intorno al 150 d. C., avevano compilato delle liste di regioni " controllate" da certi segni zodiacali, da cui risultava che la Giudea era legata alla costellazione dell'Ariete. Ad ogni evento significativo che si fosse verificato in Giudea, il luogo dove guardare per avere un segnale celeste sarebbe stato quindi la costellazione dell'Ariete. Ma quale potrebbe essere stato questo segno? E' noto che le congiunzioni erano fenomeni celesti molto significativi per gli antichi astrologi e tanto più i due corpi si avvicinavano tanto maggiore era l'importanza dell'evento. Una occultazione lunare aveva perciò dal punto di vista astrologico un'importanza eccezionale, in quanto la Luna e un pianeta sembravano toccarsi. Anche in queste occasioni era usanza coniare delle monete, come ad esempio durante il regno di Nerone quando, per commemorare un'occultazione lunare con Venere, avvenuta il 27 aprile del 51 d. C. nella costellazione dell'Ariete, i romani coniarono una serie di monete che su una faccia mostravano un ariete che volto indietro guardava una falce di Luna con vicino una stella. Giove era il simbolo del potere e il pianeta dominava negli oroscopi di molti imperatori romani. Ad esempio fu la posizione di Giove nell'oroscopo di Cesare Augusto che spinse l'astrologo Nigidio Figulo a dichiarare al Senato che "era nato il condottiero del mondo". E' chiaro quindi che un'occultazione di Giove che si fosse verificata nella costellazione dell'Ariete avrebbe dovuto corrispondere ad un importante evento in Giudea, come ad esempio la nascita di un re. Molnar ha perciò controllato se dal 10 all'1 a. C., il periodo in cui secondo la maggior parte delle stime nacque Gesù Cristo, si fosse verificata un'occultazione lunare del pianeta. Secondo i calcoli è risultato che con ragionevole certezza il 20 marzo del 6 a. C., un minuto dopo il tramonto a Gerusalemme, la Luna occultò Giove nella costellazione dell'Ariete. L'occultazione terminò un'ora dopo. Il problema è che nessuno era a conoscenza che l'evento stava accadendo in quanto la luminosità del cielo ne impediva la visibilità. Ma molto probabilmente gli astrologi dell'epoca possedevano già gli strumenti matematici per prevedere un tale fenomeno. Molnar era quindi convinto di aver trovato l'evento celeste che stava cercando, quando con grande sorpresa ha scoperto che una seconda occultazione lunare di Giove si verificò un mese dopo, poco dopo il mezzogiorno del 17 aprile. Come la precedente non fu visibile. Secondo Molnar l'occultazione del 20 marzo del 6 a. C. coincise grosso modo con la nascita di Cristo e fu questo evento a spingere i Magi a intraprendere il loro viaggio, come descritto nel Vangelo di Matteo. Convinti che fosse nato un re di Giudea essi si recarono a Gerusalemme per sapere da Erode dove trovarlo. I sacerdoti della corte di Erode, seguendo un'antica profezia ebraica, suggerirono Betlemme. Quindi non molto prima il verificarsi della seconda occultazione, i Magi predissero l'evento e rimasero stupiti quando si resero conto che sarebbe avvenuto in direzione di Betlemme, a conferma quindi delle indicazioni raccolte a Gerusalemme. I particolari della seconda occultazione sembrano in accordo con alcuni passaggi riportati sulle Sacre Scritture. I dati astronomici mostrano che, poche ore prima dell'evento, Giove sorse all'alba a poca distanza dal Sole (levata eliaca). Quando i Magi lasciarono Erode, recita il vangelo di Matteo, "la stella li precedeva, finché giunta sopra il luogo ove era il fanciullo si fermò". Se le ipotesi di Molnar sono corrette, i Magi visitarono Erode il 17 aprile del 6 a. C. La teoria sembra anche in accordo con i racconti biblici riguardo ad un altro fatto storico. Se Gesù infatti nacque il 20 marzo del 6 c. C., all'epoca della morte di Erode, nella primavera del 4 a. C., avrebbe avuto un'età di due anni e ciò è in accordo con l'epoca della "strage degli innocenti". Secondo Molnar infatti Erode avrebbe emesso questo decreto poco prima della sua morte quando mostrava già evidenti segni di demenza. Le spiegazioni date dall'astronomo americano appaiono molto interessanti e originali e, a differenza di altre teorie, la loro forza sta nel fatto che, dopo aver previsto quali eventi avrebbero potuto attrarre l'attenzione degli astrologi dell'epoca, con dei complessi calcoli si è verificato se nel periodo che ci interessa questi sono realmente avvenuti. Mario Di Martino Osservatorio Astronomico di Torino


IN BREVE Oasi ecologiche prima certificazione
ARGOMENTI: ECOLOGIA, AGRICOLTURA, ALIMENTAZIONE
ORGANIZZAZIONI: PLASMON
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

Il primo caso in Italia di certificazione di un prodotto agroalimentare che coinvolge l'intera filiera produttiva è rappresentato dalla Plasmon e riguarda per ora i suoi prodotti a base di frutta. La certificazione è stata rilasciata dal CSQA, ente costituito nel 1990 nell'ambito dell'Istituto lattiero e di biotecnologie agroalimentari di Thiene. Informazioni: 02-5420.2680.


IN BREVE Ricerca Telethon: il gene di Barth
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, GENETICA
NOMI: TONIOLO DANIELA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, PAVIA (PV)

Il gruppo di ricerca diretto da Daniela Toniolo dell'Istituto di genetica biochimica di Pavia ha annunciato su American Jour nal of Human Genetics che il gene della sindrome di Barth è responsabile di altre due gravi forme di cardiomiopatia infantile. Cresce quindi l'importanza di questo gene già identificato dall'equipe di Pavia.


IN BREVE Risparmio energetico laboratorio a Torino
ARGOMENTI: ENERGIA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)

Un laboratorio dimostrativo sul tema del risparmio energetico è stato inaugurato a Torino presso l'Istituto Avogadro di Torino con la collaborazione del Centro Studi Regis e di Legambiente. Sono disponibili un quaderno illustrativo e una videocassetta. Per informazioni, tel. 011-532.824.


SCIENZE DELLA VITA. AL S. MARIA DI ROMA Salvato l'archivio storico del vecchio manicomio
Autore: BODINI ERNESTO

ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA, MEDICINA E FISIOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: CENTRO STUDI SANTA MARIA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, ROMA

CON la chiusura delle strutture manicomiali il Centro Studi Santa Maria di Roma si è posto il problema della salvaguardia del loro patrimonio documentario. Gli ospedali psichiatrici conservano infatti numerose fonti di inestimabile valore che testimoniano il fenomeno della sofferenza mentale e le trasformazioni socio-culturali del nostro Paese. L'Ufficio Centrale per i Beni archivistici del ministero per i Beni Culturali, con il progetto " Carte da legare" ha inteso realizzare una rete di banche dati delle cartelle cliniche conservate negli archivi storici dei manicomi italiani. Una accurata attività di recupero e valorizzazione del patrimonio storico e scientifico dell'ex ospedale psichiatrico Santa Maria della Pietà di Roma, è stata avviata dal Csr, in collaborazione con la Sovrintendenza archivistica del Lazio. Si è proceduto all'inventario delle circa 70 mila cartelle cliniche di pazienti dal 1851 al 1935; mentre il patrimonio archivistico, che va dal 1851 al 1996, è stimato intorno alle 150 mila cartelle. Dallo scorso anno, il Csr ha dato vita a un progetto per la realizzazione del Museo della Mente, un laboratorio che testimonia la memoria animata dell'interesse scientifico ed umano verso realtà di emarginazione e i processi di istituzionalizzazione della sofferenza; cause e risorse volte alla cura e prevenzione di queste situazioni. Il consistente patrimonio di informazioni e materiali non solo è sede di archivio storico, scientifico e sociale sulla nascita e lo sviluppo della psichiatria, ma è anche un centro attivo in grado di svolgere molteplici funzioni che vanno dalla prevenzione, divulgazione scientifica e promozione culturale; alla conservazione, organizzazione e distribuzione delle informazioni ai fini di studio della mente umana. "Lo "spazio interno" dell'uomo - sostengono i membri del Csr - rimane forse una delle poche frontiere ancora aperte. Lo testimonia la straordinaria convergenza che si sta concretizzando tra scienze esatte, scienze umane e scienze della mente sul tema del linguaggio, della comunicazione e della memoria". Sia in Italia che in Europa sono diversi i Musei dedicati alla psichiatria, ma l'originalità del Museo della Mente di Roma (piazza S. Maria della Pietà, 5 tel. 06-683.52.825) consiste, tra l'altro, in progetti per l'abolizione degli spazi "chiusi" e nella ricerca di soluzione esterne all'ospedale; per programmare interventi di sostegno, inserimento e assistenza; e la realizzazione di una rete interdisciplinare di cooperazione tra servizi sociali e sanitari. Ernesto Bodini


IN BREVE Scontro cosmico in Groenlandia?
ARGOMENTI: ASTRONOMIA, FISICA
LUOGHI: ITALIA

La notizia è su Internet, nel periodico on line "L'Istrice" (http: //www.simonel.com): una grande esplosione sarebbe avvenuta il 9 dicembre nel cielo della Groenlandia. Le sue caratteristiche ricordano l'evento di Tunguska del giugno 1908, quando un frammento di asteroide si disgregò sopra la Siberia. Gli scienziati dovranno ora vagliare registrazioni sismiche e immagini registrate dal satellite meteorologico "Noaa 14".


SCIENZE FISICHE. AERONAUTICA Zeppelin NT, la rivincita del dirigibile
Autore: FILTRI TULLIO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, TRASPORTI, TECNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

E' il grande ritorno del dirigibile, la rivincita delle macchine volanti più leggere dell'aria: grande interesse ha destato l'annuncio che ha effettuato il primo volo di collaudo lo Zeppelin NT, in quel di Friedrichshafen, sul lago di Costanza, culla dei grandi dirigibili tedeschi dell'anteguerra. A questo seguiranno altri voli di collaudo, come prescritto dalle autorità preposte alla sicurezza del volo. Lo Zeppelin NT è un dirigibile di tipo semirigido, di 8200 metri cubi gonfiato con elio; ha tre motori da 200 cavalli, una velocità massima di 140 chilometri all'ora, e di crociera 115, una autonomia di 16 ore, oppure di 36 ore con carico ridotto. Porta 12 passeggeri più due piloti. Durante il primo volo, durato 45 minuti, l'Ufficio postale di bordo ha affrancato e spedito cartoline postali, divenute ambita preda dei collezionisti. Gli Zeppelin non volavano più da quasi sessant'anni. L'ultimo della serie, il Graf Zeppelin 2, è stato smantellato il 14 settembre 1938, e la ditta è passata ad altre costruzioni. A che cosa serve oggi un dirigibile? Lo Zeppelin NT sarà adibito a servizi turistici e pubblicitari. Prima ancora del collaudo, erano già stati venduti cinque esemplari a società tedesche e ad una svizzera. Seguiranno dirigibili di maggiori dimensioni, uno da 17.000 metri cubi per 50 passeggeri, uno da 30.000 metri cubi per 84 passeggeri. In genere si pensa al dirigibile come a un mezzo di trasporto di merci voluminose e pesanti. La Zeppelin ha privilegiato il trasporto passeggeri. Già prima della seconda guerra mondiale aveva stabilito un servizio di lusso per passeggeri tra la Germania e gli Stati Uniti. Il dirigibile moderno, rinnovato nelle strutture e nei materiali, bene si presta per viaggi turistici, per visite a zone archeologiche in Italia, in Grecia, nel Mediterraneo. Ha un grande vantaggio rispetto agli altri mezzi aerei: porta i turisti sul posto, li riprende a bordo a visita ultimata, e li conduce in altre località archeologiche o panoramiche, e a costi ragionevoli. Il turismo appare dunque come un campo di attività promettente per il dirigibile. E' augurabile che anche l'industria aeronautica italiana riprenda la costruzione di un mezzo reso famoso da memorabili imprese. Lo Zeppelin NT (NT sta per nuove tecnologie) è di tipo semirigido, cioè di scuola italiana, cosa insolita per una ditta costruttrice del tipo rigido, del quale è caposcuola. Il Congresso internazionale sul dirigibile moderno, tenuto nel 1995 a Trento, presso il Museo Aeronautico Caproni, aveva stabilito che per cubature inferiori ai 100.000 metri cubi era conveniente il tipo semirigido. Nello Zeppelin NT il trave di irrigidimento è situato nella parte superiore e mediana dell'involucro, invece che nella parte inferiore come in passato. Due dei motori sono in posizione mediana, lontana dalla cabina passeggeri, che non sono disturbati dal rumore. Il terzo si trova in coda con compiti anche multidirezionali. In questo la Zeppelin si è ispirata alla soluzione ideata dall'ingegner Enrico Forlanini, e applicata all'Omnia Dir (tutte le direzioni) nel 1930. Le eliche sono basculanti: con asse verticale danno la spinta per la velocità; con asse orizzontale danno una spinta di sollevamento, in fase di involo, in ausilio a quella del gas. L'involucro è di materia plastica, più leggera e più robusta del tessuto di cotone gommato del passato. Lo Zeppelin NT è provvisto di radar meteorologico di bordo, per individuare perturbazioni meteo pericolose, che il dirigibile, con la sua lunga autonomia, può aggirare. Tullio Filtri




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