TUTTOSCIENZE 12 novembre 97


SCIENZE A SCUOLA. MINI DIZIONARIO SCIENTIFICO COME SI DICE IN INGLESE? Disegni con diciture bilingui: questa settimana il corpo umano
ORGANIZZAZIONI: HAMMOND INCORPORATED MAPLEWOOD, TUTTOSCIENZE
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. T. Mini dizionario scientifico

La lingua inglese è oggi la lingua ufficiale della scienza, così come in passato lo furono il latino e poi, per periodi più brevi, il francese e il tedesco. Basta provare a navigare in Internet, sfogliare le principali riviste scientifiche di qualsiasi Paese o imbattersi nel programma di un qualunque congresso scientifico per constatare che, senza la conoscenza almeno di un inglese di base, si è tagliati fuori dal mondo della scienza. Questa pagina dedicata alla scuola già l'anno scorso ha avviato la pubblicazione di articoli di iniziazione all'inglese scientifico, e continueremo a pubblicarne anche quest'anno. Li integreremo però anche con disegni didattici di biologia, fisica e tecnologia, che hanno la duplice funzione di insegnare la nomenclatura scientifica italiana e insieme quella inglese. Le tavole sono tratte dal volume «Come si chiama, What's what, dizionario visivo di nomenclatura italiano inglese», già edito da Mondadori ma attualmente esaurito. Il libro, di Bragonier & Fisher, è nato negli Stati Uniti negli Anni 80 ed è stato pubblicato dalla Hammond Incorporated Maplewood, New Jersey, Usa, che ci ha concesso i diritti di riproduzione su «Tuttoscienze».


PARLA PRUNETI «In gita tra gli scavi»
ARGOMENTI: ARCHEOLOGIA, STORIA, CULTURA, EDITORIA
NOMI: PRUNETI PIERO
ORGANIZZAZIONI: ARCHEOLOGIA VIVA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

Il 15 novembre di quindici anni fa nasceva «Archeologia viva», la prima rivista che abbia diffuso tra il grande pubblico questa «scienza umanistica». Per celebrare l'anniversario il mensile, edito da Giunti, si è fatto promotore della difesa della sorgente carsica di Su Golgone (la «fontana di Trevi» della Sardegna), minacciata, con una vicina necropoli di età neolitica, dall'innalzamento del livello di un bacino artificiale sul fiume Cedrino. Il siccesso di «Archeologia viva» è nelle cifre: 35 mila copie, di cui 22 mila in abbonamento. Dice il direttore, Piero Pruneti: «L'archeologia ha conquistato l'interesse del pubblico non solo come scienza ma anche come occasione per occupare il tempo libero in viaggi culturali».


IN BREVE Premio Voltolino per divulgatori
ARGOMENTI: BIOETICA
ORGANIZZAZIONI: PREMIO VOLTOLINO
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, MILANO (MI)

E' nato il Premio Voltolino per la divulgazione scientifica, patrocinato da Ugis e Abiogen. Si può concorrere con articoli e con servizi tv. Per informazioni: Studio Viviani, via Manzoni 43, Milano; tel. 02-65.999.29


IN BREVE Borse di studio al Mario Negri
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

In memoria di Alfredo Leonardi sono state istituite due borse di studio presso l'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri. Sono destinate a laureati in discipline biomediche che desiderino fare ricerca in nefrologia, ematologia, immunologia, neuroscienze e cardiologia.


SCAFFALE Carotenuto Aldo: "L'eclissi dello sguardo", Bompiani
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: PSICOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

LA scienza moderna esorcizza la morte con un atteggiamento che trasferisce nei propri progressi e nelle tecnologie il gesto magico che fu dello stregone o del sacerdote. Eppure, ovviamente, non c'è cura, trapianto o artificio tecnologico che possa qualcosa contro la morte: e al limite, se qualcosa fosse possibile, sarebbe in realtà contro la vita stessa, che dalla propria fine trae il significato più vero. Partendo dall'osservazione che mai come oggi l'uomo è stato "assolutamente solo davanti alla morte", a questa solitudine Aldo Carotenuto - psicoanalista, professore all'Università di Roma, uno dei maggiori studiosi di Jung a livello mondiale - dedica il suo ultimo saggio. E' un percorso alla ricerca del significato della morte che conduce in realtà a una più profonda consapevolezza della vita, pur toccando temi traumatici come l'eutanasia e il suicidio. Perché la morte non si può vincerla, ma "viverla in libertà" sì.


SCIENZE A SCUOLA. WINDOWS 95 Cliccando tra icone e finestre Come navigare alla ricerca dei documenti
Autore: MEO ANGELO RAFFAELE

ARGOMENTI: INFORMATICA
LUOGHI: ITALIA

IL giorno in cui iniziò la distribuzione di Windows 95 si formarono lunghe code davanti all'uscio dei "computer shop" di tutto il mondo informatizzato. Ricordo un distinto signore che passeggiava in via Roma a Torino, ostentando la scatola colorata di Windows 95 con lo stesso orgoglio con cui una signora avrebbe esibito la pelliccia nuova. Temo che quel distinto signore, arrivato a casa e installato il nuovo sistema operativo, sia rimasto un po' deluso. Windows 95 infatti ha rappresentato una novità molto importante dal punto di vista dell'installatore e del progettista di nuove applicazioni, ma ha tradito le aspettative di un prodotto rivoluzionario, di facile impiego anche per il novizio. In particolare, la gestione dei file, ha conservato la logica complessa del Dos e dei Windows precedenti, anche se opportunamente il file è stato chiamato documento e directory, cartella. Inoltre cartelle e documenti sono ancora inseriti nell'organizzazione ad albero che abbiamo visto la settimana scorsa. Alla fase di ispezione del patrimonio cartelle e documenti posseduti, si arriva facilmente, dopo l'accensione della macchina, con pochi "clic" sul pulsante sinistro del mouse. Il primo "clic" deve essere fatto sull'icona Risorse del compu ter; il secondo sulla microicona che entro la finestrella Ri sorse del computer indica l'unità di memoria di massa che voglio ispezionare. Qui, come abbiamo già visto, A: (ed eventualmente B:) indicano il floppy disk; C: (e forse anche D:, E:) indicano lo hard disk (nelle sue varie partizioni) e una scritta misteriosa, fortunatamente accompagnata da un'icona chiarissima, rappresenta il Cd-Rom. La navigazione (elegante dizione del processo di ispezione delle varie cartelle) è semplicissima. Infatti, se "clicco" sull'icona di una cartella (spero che i puristi della redazione di Tuttoscienze non mi censurino la parola, in quanto sono certo che il verbo "cliccare", regolare della prima coniugazione, entrerà nella prossima edizione dello Zingarelli), si apre istantaneamente una nuova finestra contenente le icone di tutte le sottocartelle e tutti i documenti contenuti nella stessa cartella. Poiché ogni sottocartella può contenere altre sottosottocartelle, il processo può continuare indefinitamente, con l'apertura di sempre nuove finestre. Chi avesse già letto l'articolo di mercoledì scorso potrebbe telefonarmi per riscuotere un meritato invito a cena e subito dopo meditare su un'osservazione importante. Il processo che abbiamo descritto - clic più apertura di una nuova finestra - è equivalente a una successione di comandi Dir e Cd (change directory) del Dos. La struttura del file system è rimasta complicata, ma la ricerca di un documento è ora più facile e rapida. Come creare una nuova cartella, ossia come attuare l'equivalente Windows 95 del comando Dos MD (make directory)? E' sufficiente cliccare sulla parola Fi le, in alto a sinistra, nella finestra che mostra le cartelle "sorelle" e i documenti "fratelli" della nuova cartella che si vuol creare. Si apre allora un menù a tendina, nel quale si seleziona la parola Nuovo, e, successivamente, la parola Cartella. Compare allora un'icona nuova, assegnata alla cartella appena creata, con un nome fittizio Nuova cartella. Cliccando su questa denominazione provvisoria si potrà attribuire un nome significativo alla nuova cartella. Nell'antico ambiente Dos la copia di un documento da una cartella a un'altra veniva ordinata con il comando Copy. Ad esempio: copy a:/dir 1/pippo c:/dir2/pluto, ordina la copia del documento pippo contenuto nella cartella dir1 del floppy disk entro la cartella dir2 dello hard disk, e l'attribuzione al documento appena creato del nuovo nome plu to. La stessa operazione può essere eseguita più rapidamente nell'ambiente di Windows 95 adottando la seguente procedura. Si selezioni con il pulsante destro del mouse il documento o la cartella da ricopiare e si selezioni sul menù a tendina che si è aperto, la voce Copia. Successivamente, si selezioni, sempre con il pulsante destro, la cartella entro la quale si vuole eseguire la copia e si selezioni la voce Incolla. La stessa procedura può essere utilizzata anche per eseguire un trasferimento, ossia una ricopiatura di una cartella o di un documento senza duplicazione. A tale fine, è sufficiente selezionare, nella prima parte della procedura, la voce Taglia anziché Copia. Vi è un secondo modo, molto simpatico, per eseguire un trasferimento. Si sposti il cursore sulla cartella o sul documento da trasferire, e si prema il pulsante sinistro del mouse. Quindi, tenendo premuto lo stesso pulsante, si trascini il mouse sino alla cartella entro la quale si vuole eseguire il trasferimento e, una volta arrivati a destinazione, si rilasci il pulsante. Il trasferimento avverrà automaticamente. La stessa procedura può essere adottata per trasferire una cartella o un documento nel Cestino, ossia per cancellare l'oggetto del trasferimento. Il trasferimento nel Cestino è soltanto provvisorio. Infatti, in qualunque momento cliccando sull'icona del Cestino, si potrà ripristinare qualunque cartella o documento precedentemente cancellati. I trasferimenti possono avvenire anche fra supporti di memoria diversi, e, tipicamente, per ricopiare un programma dal floppy allo hard disk. Ma non fatelo, perché è un reato penalmente perseguibile. Copiare le idee degli altri è lecito soltanto ai ricchi e ai potenti. Angelo Raffaele Meo Politecnico di Torino


SCIENZE FISICHE. TECNOLOGIA MEDICA Come funziona la macchina che sostituisce il fegato Gli esperimenti al Sinai Hospital di Los Angeles: salvati 47 avvelenati dai funghi
Autore: BASSI PIA

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, MEDICINA E FISIOLOGIA
NOMI: MURACA MAURIZIO, MORSIANI EUGENIO, PAZZI PAOLO, CATTURAN GIOVANNI
ORGANIZZAZIONI: CEDARS SINAI HOSPITAL
LUOGHI: ESTERO, AMERICA, USA, CALIFORNIA, LOS ANGELES, EUROPA, ITALIA

LE cronache dei giorni scorsi hanno registrato la dolorosa vicenda di una donna di Napoli morta avvelenata dai funghi, mentre forse si sarebbe potuto salvarla con un trapianto di fegato e, in attesa dell'intervento, allacciandola a un fegato artificiale, una macchina ancora in fase sperimentale. Dunque, dopo il cuore, i polmoni, il pancreas e i reni, ora sarà il fegato ad avere un sostituto che entri in funzione il tempo necessario per superare quei momenti di crisi profonda che possono causare la morte del paziente. Di questo organo così prezioso si sa ancora poco, sebbene siano state catalogate ben 600 funzioni, non si sa ancora quali siano quelle che nell'insufficienza epatica portano alla morte del paziente. Che funzioni sostituire? E' la domanda ricorrente dei ricercatori impegnati su questo fronte. Per ora la morte si scongiura sostituendo il fegato ammalato con un fegato umano espiantato oppure finalmente attraverso un supporto metabolico esterno che sostituisce il lavoro di depurazione che solitamente fa il fegato e che non fa perché momentaneamente fuori uso. Questo processo di pulizia del plasma avviene nel fegato bioartificiale il tempo necessario affinché il fegato del paziente si rigeneri, cioè si riproducano cellule sane nel fegato ammalato. Maurizio Muraca, professore all'università di Padova, che con il gruppo di ricerca dell'arcispedale Sant'Anna di Ferrara (Eugenio Morsiani e Paolo Pazzi), sta collaborando al progetto del fegato bioartificiale messo a punto al Cedars Sinai Hospital di Los Angeles nel 1994, spiega l'esperienza di recupero degli insufficienti epatici con questa nuova tecnologia. "Premesso che di fegati artificiali esistono modelli diversi che i ricercatori presenteranno al congresso internazionale "Fegato bioartificiale" che si tiene a Padova il 5-6 dicembre, finora il fegato bioartificiale che ha dato risultati molto interessanti sul piano clinico è quello che funziona presso il Cedars Sinai Hospital con la approvazione dalla Food and Drug Administration. Questo fegato bioartificiale è composto da uno strato biologico, epatociti di fegato di maiale, ed una struttura artificiale di fibre cave di plastica nelle quali viene fatto circolare il plasma del paziente". Questa sbarra filtrante permette che a contatto delle cellule epatiche di maiale vada solo quella parte di plasma del paziente che deve essere elaborato, mentre esclude le molecole che provocherebbero la reazione immunitaria di rigetto. Questo è il grande vantaggio rispetto ai modelli precedenti. In quarantasette pazienti colpiti da insufficienza epatica grave e entrati in coma - la causa è stata avvelenamento da funghi - e sottoposti al trattamento attraverso il fegato bioartificiale, si è verificata la remissione dell'insufficienza dopo 6 ore, rigenerazione delle cellule epatiche in sito e conseguente risveglio dal coma. Un successo che ha aperto nuove strategie di cura che possono evitare in questo modo il trapianto di fegato oppure limitarlo nei casi più gravi. Questi successi ottenuti dagli americani hanno aperto la strada alla cura dell'epatite fulminante ed alla ricerca di strutture bioartificiali più sofisticate e resistenti. Una di queste strutture potrebbe essere una matrice costituita da ossidi di silicio che si sta studiando in collaborazione con il dipartimento di ingegneria dei materiali dell'università di Trento, professor Giovanni Catturan, ideatore del progetto. Questa matrice potrebbe consentire un più intimo contatto tra cellule epatiche del bioreattore e plasma del paziente favorendo gli scambi metabolici e contemporaneamente isolando le cellule stesse dalla reazione immunitaria. Pia Bassi


SCAFFALE Fassati Luigi Raniero: "Goccia a goccia", Longanesi
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: BIOETICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Sempre alla ricerca di etichette, i recensori lo hanno classificato un "thriller medico". Gli ingredienti ci sono: in "Goccia a goccia" troviamo una donna serial killer, le sue vittime, intrighi, tensione narrativa. Ma l'autore, Luigi Rainero Fassati, pur essendo alla quarta prova narrativa, non è un professionista del racconto. E' stato il pioniere dei trapianti di fegato in Italia (dopo essersi specializzato con Starzl a Pittsburgh), insegna all'Università di Milano e dirige il Centro trapianti di fegato del Policlinico milanese. I lettori più attenti lo ricorderanno anche come collaboratore di "Tuttoscienze". Bastano queste informazioni per intuire che "Goccia a goccia" è un thriller speciale: non solo i contenuti sono scientificamente ineccepibili, ma dietro la storia il lettore coglie molti problemi che la bioetica sta discutendo: eutanasia, accanimento terapeutico, potere del medico, consenso informato del paziente, uso di droghe. Un romanzo, dunque, che si presta ad almeno tre livelli di lettura: puramente narrativo, scientifico, bioetico. Piero Bianucci


SCAFFALE Goodstein David e Judith: "Il moto dei pianeti intorno al Sole", Zanichelli Begelman Mitchell e Rees Martin: "L'attrazione fatale della gravità", Zanichelli
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ASTRONOMIA, FISICA
LUOGHI: ITALIA

La gravità è la forza della natura più onnipresente nella nostra vita quotidiana, se non altro perché ci conferisce un peso, eppure è anche la più sorprendente nelle sue estreme conseguenze e, nonostante la teoria della relatività di Einstein, la meno compresa. Due bei libri della Zanichelli ci introducono ora alla conoscenza non superficiale della forza di gravità: "Il moto dei pianeti intorno al Sole" di David e Judith Goodstein e "L'attrazione fatale della gravità" degli astrofisici Mitchell Begelman e Martin Rees. Per scrivere il loro saggio i due Goodstein hanno disseppellito una lezione che il 13 marzo 1964 il grande fisico Richard Feynman tenne alle matricole del Caltech spiegando perché le orbite dei pianeti sono ellittiche. Il saggio divulgativo sui buchi neri è in realtà una sintesi dell'evoluzione stellare e galattica, con capitoli sui quasar e sui getti delle galassie attive. Il testo è molto chiaro e ben illustrato.


SCAFFALE Hy Ruchlis: "Non è vero... ma ci credo!", Ed. Dedalo
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Non passare sotto le scale, evitare i numeri 13 e 17, leggere gli oroscopi, non farsi tagliare la strada da un gatto nero... Le superstizioni sono moltissime e variano a seconda dei luoghi e dei gruppi sociali. Hy Ruchlis, professore di pedagogia alla Dickinson University, nella prima parte di questo libro analizza varie credenze popolari e nella seconda delinea le basi di una mentalità scientifica e fornisce gli strumenti (calcolo delle probabilità, statistica, metodo sperimentale) per liberarci dagli inganni della superstizione.


SCIENZE DELLA VITA. PERCHE' PIACE TANTO Il cioccolato droga dolce
Autore: VAGLIO GIAN ANGELO

ARGOMENTI: ALIMENTAZIONE
ORGANIZZAZIONI: INSTITUTE OF FOOD RESEARCH DI NORWICH
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, REGNO UNITO, GRAN BRETAGNA

PERCHE' il cioccolato piace tanto? Ha ragione chi lo considera in grado di dare una sensazione di benessere generale e gli attribuisce proprietà di antidepressivo, di stimolante, di afrodisiaco? Da indagini sulla sua composizione risulta che il cioccolato contiene componenti farmacologicamente attivi e quindi alcune delle proprietà che gli sono attribuite hanno una spiegazione scientifica. Il cioccolato ha una lunga storia. Furono gli antichi Maya a usare per primi i semi dell'albero del cacao ("theobroma cacao" il cui significato è alimento degli dei) che cresceva nelle foreste tropicali. Dai semi seccati, tostati e sminuzzati veniva ottenuto un liquido spesso che i Maya mescolavano con acqua ed aromi vari. I semi di cacao furono portati in Spagna all'inizio del XVI secolo insieme al procedimento per trattarli e ottenere la massa liquida, che contiene il 55-58 per cento di burro cacao. Questa solidifica per raffreddamento e costituisce la base del cioccolato e di tutti i prodotti a base di cacao. Il cioccolato contiene alcune ammine, in particolare feniletilammina, molecola con struttura correlata alle anfetammine e come queste in grado di innalzare temporaneamente la pressione arteriosa ed il livello di glucosio nel sangue. Ciò rende molto lucidi e fornisce un particolare senso di benessere. Una teoria suggerisce che, quando si mangia cioccolato, vengono rilasciate dal cervello tracce di beta-endorfina, un peptide oppiaceo, e questo fenomeno sarebbe la causa del senso di piacere. Tra le sostanze contenute nel cioccolato - più di 300 - si trovano stimolanti come la caffeina e la teobromina appartenenti alla famiglia delle metilxantine. La caffeina è in quantità molto piccole: 800 grammi di cioccolato al latte contengono la stessa quantità di caffeina di una tazzina di caffè, mentre la teobromina è in quantità molto maggiori. Secondo ricercatori dell'Institute of Food Research (Istituto di Ricerca sugli Alimenti) di Norwich in Gran Bretagna, è possibile che la teobromina, benché abbia effetti stimolanti molto deboli, influenzi in sinergia con altri componenti bioattivi il desiderio di cioccolato. Un gruppo dell'Istituto di Neuroscienze di San Diego in California, ritiene di avere individuato una spiegazione farmacologica del piacere di mangiare cioccolato nella presenza di alcune sostanze che hanno sul cervello effetti in qualche misura simili a quelli della marijua na. I grassi del cacao e del cioccolato sono chimicamente e farmacologicamente correlati ai lipidi del cervello N-arachidonoiletanolammina o anandamide (termine derivato da ananda che in sanscrito significa grande gioia), N-oleoiletanolammina e N-linoleiletanolammina. Queste sostanze interagiscono con il sistema recettore del cervello e simulano gli effetti psicotropici prodotti da droghe vegetali cannabinoidi. Da tempo è noto che l'anandamide iniettata nei ratti provoca ipotermia, diminuita percezione del dolore e ipomobilità, effetti confrontabili a quelli provocati dai principi attivi della marijuana. I fenoli sono altri composti presenti nel cioccolato e contenuti anche nel vino, che hanno un effetto positivo sulla salute. Un quadretto di cioccolato al latte contiene quasi la stessa quantità di fenoli che un bicchiere di vino rosso e il cioccolato amaro quantità anche maggiori. I fenoli sono dotati di proprietà antiossidanti e quindi capaci di proteggere contro le malattie cardiovascolari. Si ritiene, infatti, che impediscano l'ossidazione di lipoproteine aventi bassa densità e la conseguente formazione dei grassi cosiddetti "cattivi" che aderiscono alle pareti delle coronarie e provocano disturbi cardiovascolari. Un altro gruppo di ricerca, all'Università del Galles a Cardiff, ha indagato la composizione del cioccolato ed ha individuato nell'alto contenuto di stearato presente nel burro di cacao il fattore che ne controlla la stabilità ed il comportamento alla fusione. Il burro di cacao contiene, infatti, sostanze grasse costituite da 30- 37 per cento di esteri del glicerolo con acido stearico, 24-31 per cento di corrispondente palmitato e 33-39 per cento di oleato. Questa composizione rende il burro di cacao solido a temperatura ambiente, ma quando si mangia il cioccolato i grassi assorbono calore dalla bocca e fondono. E' la combinazione del gusto dolce e della particolare consistenza dei grassi, a dare al cioccolato la sua unica e piacevole sensazione di fusione in bocca. Gian Angelo Vaglio Università di Torino


CONTROLLO DEL TEMPO In 20 minuti via la nebbia, e il jet parte Si sta sperimentando una tecnica che utilizza l'azoto liquido
Autore: LO CAMPO ANTONIO

ARGOMENTI: METEOROLOGIA, TECNOLOGIA, NEBBIA
NOMI: BONALDI SILVIO
ORGANIZZAZIONI: AEROPORTO DI PARMA, SOCIETA' AUTOSTRADE, TECNAGRO
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

SI può dissolvere la nebbia in 20 minuti su piste di aeroporti o tratti autostradali? La risposta è sì, e ce lo dimostra un progetto italo-russo operativo ormai da alcuni mesi. Grazie a un accordo fra la Tecnagro (una associazione per l'innovazione tecnologica nei settori della meteorologia e della climatologia), l'Aeroporto di Parma e la Società Autostrade, il "Progetto Nebbia" è in pieno svolgimento nel sito aeroportuale emiliano e nel tratto autostradale fra Parma Ovest e Parma (ritenuto fra i più pericolosi). Le cifre parlano chiaro: in novembre vi sono in media 175 ore di nebbia a Milano Linate, 106 ore a Torino Caselle, 164 ore a Verona Villafranca. Peggiore la situazione in dicembre: 206 ore a Linate, 130 a Caselle, 192 a Verona. La tecnica di dissolvimento, di ideazione russa, utilizza gas criogenici, cioè a bassissima temperatura, come l'azoto liquido. Si tratta di abbassare la temperatura liberando nell'aria, tramite una rete di contenitori detti "dispenser", una soluzione di azoto liquido compresso nelle bombole a 190 gradi sotto zero. L'abbassamento della temperatura trasforma le particelle di vapore della nebbia in minuscoli cristalli di ghiaccio che, per effetto del maggior peso specifico, cadono a terra diradando la nebbia rapidamente. Perché il sistema funzioni, è essenziale la conoscenza di ogni parametro meteo-climatico (temperatura, densità delle particelle, velocità e direzione dei venti), per determinare le quantità di azoto da liberare nell'atmosfera. L'impatto ambientale in pratica è nullo, essendo l'azoto un gas inerte che compone oltre l'80 per cento dell'atmosfera terrestre. I contenitori sono collocati in due anelli concentrici di diametro 3-4 e 8-10 chilometri. L'esperienza dei russi indica che il tempo necessario per il dissolvimento rapido della nebbia dopo l'accensione dei dispenser, sia di 20-30 minuti, e che il quantitativo di azoto consumato in ogni evento è di 150-200 chilogrammi per ora. "I contenitori" - dice Silvio Bonaldi, di Tecnagro - vengono attivati "da un erogatore situato sopra ognuno di essi, che viene aperto in funzione delle condizioni meteo e del vento. I contenitori vengono aperti uno per volta e l'operatività verrebbe limitata alle ore di maggior traffico aereo e maggiore probabilità di formazione di nebbia, più o meno tra le 22 e le 6 del mattino. Questo per contenerne i costi e garantire un migliore rapporto costi/benefici in questa fase sperimentale". Quanto costa? "Circa due miliardi di lire, ma quando potrà essere operativa i costi scenderanno sensibilmente", dice Bonaldi, che aggiunge: " Nonostante i risultati incoraggianti dei test finora effettuati all'aeroporto di Parma tra Tecnagro e Central Aerological Observatory di Mosca, il progetto è ancora penalizzato da lentezze burocratiche degli enti pubblici e da difficoltà di reperire fondi da parte di privati. Abbiamo comunque avuto approvazione e finanziamenti dal ministero degli Esteri: il progetto di questo sistema può infatti consentire maggiore versatilità e risparmio rispetto agli I.L.S. e M.L.S., i sistemi di navigazione aerea anti-nebbia che sono installati soltanto su pochi velivoli. E poi le compagnie aeree sono condizionate da contratti con le assicurazioni, per cui anche con sistemi di bordo completi, gli aerei di molte compagnie non atterrano con nebbia poiché le assicurazioni impongono una visibilità maggiore". Antonio Lo Campo


IN BREVE Laurearsi via satellite
ARGOMENTI: DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

Il 10 novembre è nato Raisat Nettuno, consorzio promosso dal ministero della Ricerca per diffondere corsi universitari via satellite e permettere il conseguimento del diploma di laurea breve in collegamento con le università statali, con regolare immatricolazione ed esami in sede. Quest'anno si incomincia con Ingegneria ed Economia e amministrazione d'impresa.


SCIENZE DELLA VITA. IL DIK DIK Piccolo e monogamo Antilope pigmea che vive in Africa
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ETOLOGIA, ZOOLOGIA
NOMI: KOMERS PETR, BROTHERTON PETER, RHODES ANNA
LUOGHI: ESTERO, AFRICA, KENYA, NAMIBIA

SI sa che i mammiferi maschi nella loro stragrande maggioranza sono poligami. Il fatto che le femmine siano impegnate a lungo nella gestazione e nell'allattamento dei figli costituisce una specie di alibi per la loro condotta da Casanova. Quel che conta è il successo riproduttivo, cioè il numero dei figli. Ed è naturale che per avere una prole quanto più numerosa possibile, i maschi abbiano tutta la convenienza ad accoppiarsi con tante femmine anziché con una sola. C'è però un piccolo numero di specie (meno del 5 per cento dei mammiferi) che fa eccezione e pratica la monogamia. Il maschio si accontenta di una sola femmina e fa con lei coppia fissa per gran parte o per tutta la sua vita. Fra queste specie monogame troviamo il dik-dik, la graziosa antilope pigmea che vive nell'Africa orientale e in quella sudoccidentale. Leggermente più grande di una lepre, ha corpo minuto, zampe estremamente sottili, il capo ornato da un ciuffetto di peli alla sua sommità, grandi occhi cerchiati di nero. Il maschio, un po' più piccolo della femmina, porta sulla fronte due cornetti appuntiti. Ne ha fatto oggetto dei suoi studi Petr E. Komers, un ricercatore svedese dell'Università di Uppsala. Risulta dalle sue osservazioni che i maschi sono fortemente territoriali. Marcano i confini del loro territorio con grossi mucchi di escrementi. Ed è proprio esaminando la forma e la dimensione delle feci che Komers riesce a scoprire una sorta di " impronte digitali" che gli consentono non solo di distinguere gli animali l'uno dall'altro, ma anche di determinarne il numero complessivo nell'area in osservazione (Parco nazionale Tsavo nel Kenya). Per studiare il loro comportamento, lo studioso si avvale della telemetria. Cattura gli animali di notte abbagliandoli con la luce di un flash e applica loro un collare radiotrasmittente. Può constatare così che i maschi raramente mettono piede fuori dal loro territorio, anche se c'è una femmina disponibile a poca distanza. Le femmine, invece, non badano tanto ai confini. Se una femmina residente valica i confini del territorio, il maschio immediatamente la raggiunge e la spinge con le corna costringendola a rientrare entro le mura di casa. Sembra che sia lui il più interessato a mantenere il legame di coppia. Le femmine cercano di evitarsi. Se due di loro s'incontrano, cambiano strada per evitare il contatto. Se poi capita che una femmina in estro depositi il suo sterco e se ne vada, interviene sollecitamente il maschio che annusa il deposito e si affretta a defecarvi sopra per nasconderne l'odore. Un odore che richiamerebbe certamente i maschi del vicinato. I rivali non sono mai lontani. E non appena succede che un maschio sposato muore (i dik-dik vivono circa sette anni) o viene ucciso, altri maschi invadono il suo territorio entro un paio di giorni. Per stabilire chi sarà il fortunato che sostituirà il defunto, i nuovi venuti combattono tra loro, usando come armi le sottili corna aguzze. I combattimenti possono durare anche parecchi giorni. E' chiaro che sarà il vincitore a impalmare la vedova. Le cose vanno diversamente quando muore una femmina. Allora il maschio rimane entro il suo territorio, in attesa che si presenti una nuova femmina. Un'attesa che può durare un mese o anche più. Ed è lei che in definitiva fa la sua scelta. Se giudica il maschio sano, capace di tenere testa ai competitori, allora gli concede il privilegio di sposarla. Sei mesi dopo l'accoppiamento nasce un solo piccolo. La madre lo depone in un luogo ben nascosto e lo va ad allattare di tanto in tanto. Lo sviluppo del figlioletto è molto rapido. Quando ha soltanto due o tre settimane incomincia già a seguire la madre o il padre nelle loro peregrinazioni nella boscaglia. Raggiunge la maturità sessuale a sei mesi. Ora, la domanda è: perché alcuni mammiferi, a differenza della maggioranza dei loro colleghi, scelgono la monogamia? La spiegazione tradizionale è che la scelgono quando entrambi i genitori sono indispensabili per assicurare la sopravvivenza dei figli. Questo motivo è valido per certe specie, come il saltarupe, altra antilope di piccole dimensioni. Nei saltarupe, che si riconoscono a prima vista perché quando si arrampicano sulle rocce mantenendosi in equilibrio sulla punta degli zoccoli sembrano ballerine che danzino sulle punte, il vincolo coniugale è molto stretto. Ma non è l'amore che tiene avvinti maschio e femmina per tutta la vita. E' piuttosto la paura dei numerosi predatori. Per cui mentre l'uno è intento a brucare l'erba, il partner fa la guardia, pronto a dar l'allarme in caso di pericolo. Quando poi la femmina è occupata ad allevare i piccoli, il maschio deve tutelare il partner impegnato nella cura dei figli. E non ha scelta. Correre la cavallina significherebbe per lui perdere sistematicamente tutti i discendenti ed estinguere la specie. Ma nel dik dik non si può dire che occorra la cura di entrambi i genitori per allevare i figli, dato che questo compito ricade esclusivamente sulle spalle della femmina. Il maschio, come risulta dalle ricerche di Peter Brotherton e di Anna Rhodes dell'Università di Cambridge, si limita a cacciar via dal suo territorio gli intrusi di sesso maschile. Però si mostra assai più tollerante se gli intrusi sono di sesso femminile. E non si può dire sia particolarmente vigile nella difesa dei piccoli dai predatori. Quando gli studiosi (che hanno osservato per più di mille ore 23 coppie di dik-dik nel Parco nazionale Etosha, in Namibia) hanno trasmesso la registrazione del richiamo di un'aquila americana predatrice dei giovani dik-dik, le femmine sono rimaste all'erta venti volte più a lungo dei maschi. E allora perché a questa specie di antilopi conviene la monogamia? I due ricercatori britannici ritengono che il marito legittimo sia così impegnato nel tener lontani i pretendenti della moglie standole dietro continuamente e coprendo le sue tracce odorose, che non avrebbe il tempo di fare altrettanto con più di una femmina. Naturalmente siamo nel campo delle ipotesi. Isabella Lattes Coifmann


IN BREVE Pisa: onde gravitazionali
AUTORE: M_CA
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, FISICA
ORGANIZZAZIONI: INFN, CNRS
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, PISA (PI)

Nel convento delle Benedettine a Pisa è stato presentato l'esperimento Virgo, nato dalla collaborazione fra l'Infn italiano e il Cnrs francese. Alla cerimonia erano presenti il ministro della Ricerca Luigi Berlinguer e il suo collega d'Oltralpe, Claude Allegre. L'incontro è stato l'occasione per presentare un Cd- rom dedicato alle onde gravitazionali e all'esperimento italo- francese. Virgo sarà uno dei più grandi interferometri esistenti: è progettato per rivelare le onde gravitazionali prodotte da sorgenti cosmiche, previste dalla relatività generale ma mai osservate direttamente. Fasci di un laser di realizzazione francese percorreranno tre chilometri in due tubi a vuoto perpendicolari, verranno riflessi da specchi isolati da tutti gli effetti terrestri con una sospensione frutto della ricerca italiana, e infine riuniti. Dalle interferenze i ricercatori valuteranno la variazione della lunghezza fra i bracci dovuta all'arrivo di un'onda gravitazionale. Lo strumento sarà operativo nel 2001; alla fine del '98 sarà pronto un prototipo con bracci di sei metri. Contemporaneamente in Usa entreranno in funzione i due interferometri Ligo. (m. ca.)


SCIENZE DELLA VITA. IL CERVELLO Più sinapsi nelle donne? Per compensare il minor volume
Autore: GIACOBINI EZIO

ARGOMENTI: BIOLOGIA
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, DANIMARCA

SE pesassimo dieci cervelli femminili e dieci cervelli maschili di individui della stessa età e dello stesso peso, in assenza di particolari malattie neurologiche (studio che è possibile solo post mortem), noteremmo una sensibile differenza statistica di peso a sfavore delle donne. Essa ci porterebbe a concludere che il sesso femminile "ha meno cervello" di quello maschile. Finora si è creduto che a una minore massa cerebrale corrispondesse una maggiore densità di cellule nervose in certe zone (ad esempio nella corteccia cerebrale) tale da compensare il minore volume dell'organo. Questa spiegazione ha soddisfatto entrambi i sessi e ci ha dato motivo di vivere in pace fino ad ora. Le cose non stanno più così da quando due neuroscienziati di due diversi istituti danesi (a Copenaghen e ad Aarhus) hanno utilizzato una nuova tecnica particolarmente fine di conteggio delle cellule chiamata stereologica. Essa permette di contare le cellule nervose dei diversi strati della corteccia cerebrale non solo trasversalmente o orizzontalmente al taglio come si faceva in precedenza ma da diversi angoli. Gli scienziati sono così riusciti a contare tutte le cellule, comprese quelle che sfuggivano ai conteggi precedenti. Pakkenberg e Jorgen, i due neuroistologhi (neurostereologhi) danesi, hanno utilizzato ben 94 cervelli dei due sessi deceduti in seguito a cause non neurologiche. Un'opera monumentale se si pensa che in uno strato solo della corteccia dello spessore di pochi millesimi di millimetro alloggiano milioni di cellule nervose. Innanzitutto il nuovo studio conferma il dato ben noto che il cervello degli uomini ha dimensioni maggiori di quello delle donne. La sorpresa viene però dal conteggio quando si trovò che i maschi avevano un 16% in più di neuroni corticali delle donne. Per dirla in modo più esatto si conta nel cervello maschile una media di 23 miliardi di cellule contro 19 miliardi in quello femminile. Non si trova invece alcuna differenza tra i due sessi per quanto riguarda la densità (impaccamento) delle cellule. Si tratta di una vera differenza di numero. Questi dati pubblicati il luglio scorso nel Journal of Comparative Neurology mandarono in crisi non tanto i circoli femministi quanto gli psicologi che si interessano di differenze di comportamento tra i due sessi. Secondo alcuni non si poteva spiegare la differenza di qualsiasi comportamento complesso nei termini di una variazione così vistosa di numero di neuroni. Altri psicologi non si trattennero dallo speculare che tali differenze potessero dipendere invece dal concentrarsi di popolazioni più ricche di cellule in quelle parti del cervello maschile devolute a speciali funzioni come il ragionamento cosiddetto "spaziale", che è più sviluppato negli uomini che nelle donne. Neppure questa spiegazione sembrò reggere ai risultati descritti nel lavoro dei danesi che dimostravano una distribuzione simile nelle varie parti del cervello dei sue sessi. La differenza era semplicemente numerica non di distribuzione. A questi dati anatomici molto interessanti manca un'osservazione più difficile da compiere, cioè il conteggio preciso del numero di connessioni tra cellula e cellula (dette sinapsi nervose). Il numero di sinapsi potrebbe essere diverso nei due sessi a favore delle femmine e tale da compensare il numero minore di cellule. Sono infatti le sinapsi a costituire gli elementi fondamentali della rete nervosa del cervello responsabile per la funzione (memoria, apprendimento e comportamento). Nell'attesa che arrivino questi risultati importanti possiamo già formulare qualche ipotesi? Non è vero ad esempio che ogni giorno nel nostro cervello vadano perduti milioni di cellule a causa dell'invecchiamento. Si sa ora che è la malattia, ad esempio l'Alzheimer, a far morire le cellule nervose ed a diminuire le sinapsi. Non la vecchiaia. Oltre i 75 anni di età tale malattia colpisce più le donne che gli uomini. Se le donne avessero in partenza meno neuroni degli uomini il danno sarebbe maggiore e più rapido il deterioramento. Per confortare le lettrici concludiamo affermando che non è solo il numero delle cellule nervose che conta, ma il grado di sviluppo dei circuiti nervosi che formano il cervello. Ezio Giacobini


IN BREVE Premio Ape a Enzo Tiezzi
ARGOMENTI: DIDATTICA
ORGANIZZAZIONI: PREMIO APE
LUOGHI: ITALIA

Il libro di Enzo Tiezzi "Fermare il tempo" (Cortina) ha vinto il Premio Ape (Associazione Progresso Economico, Milano).


SALVIAMO IL NOSTRO PASSATO Ruspe sull'archeologia I tombaroli stanno uccidendo una scienza
Autore: RECAMI ERASMO

ARGOMENTI: ARCHEOLOGIA, STORIA, CULTURA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

TUTTI sappiamo dei danni provocati dagli scavi archeologici clandestini. Riassumiamo la situazione. Fino a qualche anno fa, i tombaroli scavavano: così, molti pezzi archeologici erano "salvi", anche se perdevano la maggior parte del loro interesse scientifico una volta tolti dal loro contesto, e anche se andavano dispersi per lo più in collezioni private all'estero. Ora invece i tombaroli usano le ruspe, buttando all'aria e le necropoli e le città alla ricerca delle sole monete antiche, che poi individuano col metal-detector. E ciò perché trasportare monete non è pericoloso, e il loro mercato è praticamente libero. Così facendo, insieme con le tombe di epoca classica, distruggono spesso anche le sottostanti sepolture preistoriche (che, tra l'altro, non contengono monete). Ne abbiamo visto i risultati con i nostri occhi, e di frequente, in Sicilia: da Monte Catalfaro (Mineo) a Castel del Bolo (Bronte). Ma non minori sono i danni causati in varie zone dell'Italia Centrale e Meridionale, per l'arretratezza delle leggi e delle istituzioni, dagli scavi agricoli ed edilizi; e soprattutto nel settore così interessante e ricco, e così trascurato, della preistoria (abbiamo visto trasformati in agrumeto i più estesi, interessanti e bei villaggi neolitici). A estremi mali, estremi rimedi. Premettiamo però che, se si vuole davvero togliere (come sarebbe giusto) questo "lavoro" agli scavatori clandestini, bisogna prepararsi a fornirgliene un altro: diversamente finiranno con il compiere altri tipi di reato. In Sicilia, interi paesi vivono sfruttando le tombe classiche, col tacito accordo di alcune autorità locali; accordo comprensibile finché non nascono alternative di lavoro. Abbiamo udito di capi-tombaroli che ogni mese solevano prendere l'aereo, carichi, per l'estero: magari per il British Museum di Londra. La cosa non deve stupire: a Copenaghen, per fare un esempio, la sezione più ricca del museo è quella etrusca; se si vanno a guardare le date, i vasi risultano tutti "acquisiti" negli Anni 60 e 70! Altri paesi vivono col falso. I musei stranieri sono pieni anche di falsi e per fortuna viene voglia di dire (il tam-tam dei tombaroli, che in Sicilia così come in Toscana giunge presto alle orecchie di tutti - ma chi può esserne certo? - da anni va ripetendo che perfino il famoso vaso di Eufronio, pagato circa un milione di dollari dal Metropolitan Museum di New York, è soltanto la riproduzione di un vero vaso di Eufronio, effettivamente scoperto e subito finito in una cassetta di sicurezza. Sembra perfino che due degli intermediari abbiano pagato l'imbroglio con la vita). Vediamo alcune possibili soluzioni. Per tagliare le gambe al mercato nero, il primo grande intervento sarebbe autorizzare (come negli Usa) i sovrintendenti - o un loro delegato - a vendere il materiale sovrabbondante che ingombra i sotterranei dei nostri musei: spesso non catalogato, col rischio che qualsiasi custode possa appropriarsene. Tutti i loschi agenti dei musei stranieri che girano l'Italia facendo incetta di materiale archeologico (che spediscono poi a casa entro uova di Pasqua, o con trucchi del genere) perderebbero almeno parte del loro mestiere. E le nostre sovrintendenze, col ricavato, potrebbero finalmente erigere nuovi musei e pagare personale per tenerli aperti giorno e sera. Anzi, potrebbero cominciare ad assumere i tombaroli come tecnici specializzati, e farli lavorare per quotidiani interventi d'urgenza che salvino ciò che i lavori edilizi e agricoli ogni giorno mettono allo scoperto. Se questi fermi durassero poche ore o pochi giorni, molte imprese comincerebbero ad accettarli, invece di far distruggere tutto subito e di nascosto per il timore di un lungo blocco dei lavori. Oggi questi interventi rapidi non si possono fare soprattutto per mancanza di personale. Quando si parla della situazione coi responsabili, questi spesso si stringono nelle spalle: e hanno ragione perché sono solo in quattro gatti, quando va bene, con territori vastissimi a cui in teoria badare. Gli amanti dei "sacri principi" - ma molto meno amanti della realtà effettuale - si ribelleranno all'idea che qualche " sacro" oggetto venga alienato (mentre contemporaneamente migliaia di testimonianze vengono triturate dalle ruspe o, per un valore di miliardi al giorno, escono dall'Italia). E' vero che ogni frammento può essere importante, ma quando anche cambiasse padrone - soprattutto se finisce in un museo straniero - non andrebbe perduto; a volte, anzi, ne risulterebbe valorizzato. Chi avesse ancora dei dubbi, vada a vedere la sommità di una collina ai bordi della Piana di Catania: Piano Casazze. C'era una città greca, con necropoli, per una estensione totale da capogiro: quasi un chilometro quadrato. Ora, si vede una zona di pochi ettari tutta a buchi: pare un Vietnam; si riferisce al periodo in cui i tombaroli sca vavano le necropoli. Il resto è stato tutto spianato colle ruspe: necropoli, città, muri, colonne; a perdita d'occhio. Di questa enorme città greca la scienza probabilmente non saprà mai più nulla. Ci si può gingillare con le belle parole mentre succedono di queste cose, e i villaggi preistorichi si trasformano ogni giorno in polvere arata e terrazzata? Quando si sente parlare di sarcofaghi greci, di candido marmo scolpito, tagliati a fette per potere essere trasportati clandestinamente ai mercati di Basilea o Zurigo? Chi ha veramente a cuore l'opera d'arte preferirebbe che in Sicilia e Toscana si intensificasse, sì, il controllo contro gli scavi illegali, ma che il mercato fosse libero; ci rendiamo conto che ciò è provocatorio, e non è possibile; ma almeno quel sarcofago ora sarebbe integro, foss'anche in una collezione privata o perfino all'estero! La vera applicazione pratica di un principio - ben lo si sa - può spesso apparire in contrasto con il principio stesso. Bisognerebbe poi applicare le leggi esistenti. Se lo Stato pagasse davvero ai rinvenitori, come previsto, un quarto del valore degli oggetti ritrovati, molti di questi non finirebbero più all'estero. Quando corrono voci sul ritrovamento di un tesoretto di monete antiche, invariabilmente queste voci riferiscono che esso è passato alla fine nelle mani di un ricettatore straniero, cioè di un inviato di qualche banca svizzera, o giù di lì; e i ricettatori non pagano certo più di un quarto del vero valore. Non avrebbe allora potuto prendersele lo Stato quelle monete? Al limite, rivendendole alla luce del sole, ci avrebbe guadagnato; e si tratta sempre di miliardi. L'ultima grande soluzione, non meno importante, e pure a costo zero, consisterebbe nel rendere finalmente libera la ricerca scientifica preistorica e archeologica, nel senso che gli istituti universitari competenti, e assimilati, dovrebbero potere intervenire ovunque liberamente, senza pastoie burocratiche e senza dovere attendere assurdi permessi dalle sovrintendenze e dal ministero. La censura preventiva delle sovrintendenze, che a volte pongono intralci per gelosia o per puro esercizio di potere, dovrebbe essere eliminata, insieme col loro strapotere sugli istituti di ricerca scientifica. Al contrario, oggi basta che un tizio qualsiasi goda della fiducia della sovrintendenza perché possa scavare come e dove vuole; mentre illustri istituti e illustri scienziati fanno anticamera. Se per studiare gli elettroni bisognasse chiedere il permesso ai carabinieri, in fisica gli italiani cesserebbero subito di essere tra i primi del mondo! Visto che le sovrintendenze non possono che svolgere una limitata attività scientifica, bisogna facilitare l'intervento di tutti i veri competenti in uno spirito nuovo: lo spirito, per intenderci, che animò a suo tempo la Fondazione Lerici, sempre in corsa coi tombaroli per arrivare prima. Per finire, bisognerebbe chiedere anche la collaborazione attenta di tutti i semplici cittadini; la legislazione vigente risale, se non erriamo, al 1928, e permette al cittadino che incontri un coccio di calpestarlo e frantumarlo, ma non di raccoglierlo per portarlo a vedere alla sovrintendenza. Essa fu concepita avendo in mente dei rari ritrovamenti singoli e grandiosi; ed è del tutto inadeguata ora che, in vaste parti della Penisola, si cammina letteralmente su selci scheggiate, cocci preistorici, frammenti di vasi classici. E che fare perché l'infinità di oggetti posseduti da singoli privati divengano noti alla scienza e pubblicabili? Quando si verifica che quasi non c'è famiglia, in Sicilia o in Magna Grecia o in Etruria, che non abbia in casa un oggetto greco o etrusco, o un manufatto preistorico, viene l'idea di un condono o una sanatoria, come per le tasse. Tutti gli oggetti ottenuti fino ad una certa data potrebbero divenire "legalmente affidati" al possessore, purché questi entro un'altra data ne faccia denuncia alla sovrintendenza. Una montagna di reperti verrebbero così a trovarsi a disposizione degli studiosi. Successivamente, si dovrebbero però inasprire controlli e pene per il possesso abusivo di materiale preistorico e archeologico. Chissà che non ci pensi almeno qualche Regione, ora che molti poteri in tale campo sono stati decentrati. Erasmo Recami Università di Bergamo


IN BREVE Telethon: trovato il gene di Opitz
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, GENETICA
ORGANIZZAZIONI: TELETHON
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

A Milano presso l'Istituto Telethon di genetica e medicina l'equipe di Andrea Ballabio ha identificato il gene responsabile della sindrome di Opitz, una grave malattia ereditaria che causa malformazioni di numerosi organi e parti del corpo.


SCIENZE FISICHE. SI CERCANO CONFERME Un gluone travestito da quark? Scoperta in Inghilterra una particella "esotica"
Autore: CAGNOTTI MARCO

ARGOMENTI: FISICA
NOMI: CLOSE FRANK, BARNES TED
LUOGHI: ITALIA

IN inglese glue significa "colla". Non a caso, dunque, le particelle che fanno da mediatrici della forza nucleare forte sono state chiamate gluoni. Questa interazione infatti diventa tanto più intensa quanto più le particelle che ne risentono vengono allontanate le une dalle altre. E' grazie alla forza nucleare forte che tre quark rimangono uniti per costituire gli adroni (i protoni e i neutroni) che si trovano nei nuclei atomici, e che un quark e un antiquark formano un mesone. Tutto ciò è previsto dalla teoria della cromodinamica quantistica (Qcd), che descrive le interazioni fra i quark ad alte energie. Le equazioni della Qcd diventano però molto complesse quando le energie in gioco sono basse. Dunque sono poco noti il comportamento e le proprietà dei gluoni quando le interazioni si fanno più intense e si formano i protoni e i neutroni. Già alla fine degli Anni 70 alcuni fisici teorici cominciarono a ipotizzare l'esistenza di mesoni in cui i gluoni giocano un ruolo più importante di quello di trasmettitori della forza nucleare forte. Una sorta di "vibrazione" potrebbe porli in stati eccitati la cui energia contribuirebbe a formare particelle costituite da un quark, un antiquark e, appunto, un gluone. Per la loro stranezza questi mesoni sono stati definiti "esotici". Il gluone potrebbe dunque condurre una doppia vita: mediatore della forza nucleare forte e, nei mesoni esotici, anche costituente fondamentale della materia. "Se la loro esistenza fosse confermata", afferma Frank Close del Laboratorio Rutherford-Appleton, in Inghilterra, "avremmo la prova che il gluone è un costituente della materia con lo stesso grado di rispettabilità del quark". I numeri quantici, come il momento angolare, lo spin e la carica, di un mesone esotico avrebbero valori proibiti per un mesone normale, costituito semplicemente da un quark e da un antiquark. Purtroppo è molto difficile riconoscere una particella del genere fra le innumerevoli tracce di mesoni comuni che si osservano in un acceleratore dopo un'interazione fra adroni. Negli ultimi quindici anni più volte si è tentato di osservare un mesone esotico, con risultati non convincenti. Finalmente nell'agosto di quest'anno un gruppo di ricercatori del Brookhaven National Laboratory di New York ha annunciato di avere ottenuto il risultato tanto atteso, i cui particolari sono stati pubblicati in settembre su Physical Review Letters. Nell'esperimento E852, iniziato nel 1994, essi hanno colpito un bersaglio di idrogeno liquido con un fascio di pioni (un tipo di mesoni normali). Le particelle provenienti dall'impatto fra i pioni e i protoni sono state studiate da un rivelatore in grado di determinarne con precisione le proprietà. E, fra 200 milioni di collisioni, 400 mila indicano l'esistenza di particelle con una massa di 1370 MegaelettronVolt (un protone ha massa di 940 MeV), con numeri quantici proibiti per i mesoni comuni ma possibili per i mesoni esotici. Ma una rondine non fa primavera, e la storia della fisica è lastricata di particelle osservate una volta, mai più riviste in esperimenti successivi, e infine cadute nel dimenticatoio per mancanza di conferme ulteriori. Serviva una prova indipendente, dunque, che però quasi subito è arrivata da un esperimento compiuto al Cern. I ricercatori del laboratorio di Ginevra hanno fatto scontrare un fascio di antiprotoni con i neutroni presenti nella materia. Fra le molte particelle createsi durante l'urto, si trovavano anche alcuni mesoni con numeri quantici esotici in buon accordo con i dati ottenuti al Brookhaven Laboratory. Il mesone esotico entra dunque a pieno diritto a far parte dello zoo delle particelle? Non è così semplice. Per cominciare, infatti, fra i tre gruppi di ricerca che hanno operato a New York esistono leggere differenze nel valore della massa misurata. Non è chiaro dunque se esistono tre diversi mesoni esotici, oppure se qualcuno, da qualche parte, ha commesso un errore. Ma Frank Close fa notare che esiste una terza possibilità: "Probabilmente si tratta dello stesso oggetto, che però ha proprietà dinamiche tali da dare l'impressione di avere masse diverse". Inoltre non è ancora veramente sicuro che gli strani numeri quantici osservati siano la prova dell'esistenza di una particella formata da un quark, un antiquark e un gluone. Qualche fisico ha infatti sostenuto che potrebbe trattarsi del primo caso osservato di un oggetto costituito da ben quattro quark. Una particella interessante, certo, ma meno importante di una in cui un gluone riveste il ruolo di costituente fondamentale alla pari dei quark. Frank Close è possibilista: " Tutto quello che sappiamo è che non è costituito semplicemente da due quark". Ma Ted Barnes, fisico teorico dell'Università del Tennessee, ricorda che "la cromodinamica quantistica prevede la possibilità di così tante particelle con 4 quark che, se davvero esistessero, le avremmo osservate già da tempo". Marco Cagnotti


SCIENZE FISICHE. PROGETTO NASA Una casetta su Marte Sei uomini sbarcheranno nel 2009?
Autore: BOFFETTA GIAN CARLO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
ORGANIZZAZIONI: NASA, AIR & COSMOS
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Moduli Habitat 1 e 2. Mav. Stazione Erv

IL robottino "Sojourner" sceso su Marte il 4 luglio ha perso il contatto con la Terra il 7 ottobre dopo aver fatto più del suo dovere, essendo previsto al massimo un mese di funzionamento. Altre missioni automatiche sono e saranno al lavoro nei prossimi anni. Intanto la Nasa pensa già all'invio di sei astronauti, programma che è stato illustrato ad Houston agli inviati della rivista "Air & Cosmos". Come nella prima salita all'Everest, gli esploratori stabiliranno dei "campi base", dei punti di rifornimento dai quali proseguire con balzi successivi. Il programma è di far partire dalla Terra sei persone a metà novembre 2009 per atterrare sul pianeta rosso a metà giugno 2010, ripartire da Marte nell'ottobre 2011 per ritornare a casa nel giugno 2012. Arrivati su Marte nel 2010, gli astronauti troveranno ad attenderli diverse strutture inviate in precedenza in modo automatico: 1) Un modulo abitabile, Erv 1, un grande cilindro di 7,5 metri di diametro, alto 4,7 metri, posto in orbita intorno a Marte e destinato ad accogliere i viaggiatori in arrivo dalla Terra, dotato del necessario per 800 giorni di vita di 6 persone, partirà nel settembre 2007 e arriverà in orbita nell'agosto 2008. 2) Il modulo Mav (Mars Ascent Vehicle) che verrà utilizzato alla fine della missione per decollare da Marte verso il modulo in orbita. Anche questo modulo, il primo ad atterrare su Marte, partirà ed arriverà nelle stesse date del primo con una piccola centrale nucleare per produrre 160 kWm di energia elettrica, con una stazione di produzione in situ del carburante, con un veicolo pressurizzato di ben 16,5 tonnellate che permetterà a 4 astronauti di effettuare ricognizioni fino a 500 km in 12 giorni ed un piccolo veicolo monoposto, per muoversi entro 10 km. 3) Mentre il Mav sarà in viaggio verrà spedito l'Habitat 1, un cilindro di uguali dimensioni dell'Erv 1, che atterrerà vicino al Mav per creare un avamposto con la sua stazione nucleare, un laboratorio ed un'altra "automobile" pressurizzata. 4) Ventisei mesi dopo la partenza del primo modulo abitabile, Erv 1, e del modulo Mav da utilizzare per decollare da Marte verso la Terra, assicurati che tutto ha funzionato bene, verranno spediti due doppioni identici, Erv e 2 Mav 2 per garantire con sicurezza il ritorno a casa agli astronauti. 5) A metà novembre del 2009 potrà finalmente partire l'Habitat 2 con a bordo 6 uomini e la strumentazione scientifica necessaria all'esplorazione, per atterrare a giugno 2010. La differenza tra questo viaggio ed i precedenti sta nella durata inferiore (8 mesi contro 11) utilizzando una traiettoria veloce anziché quella lenta dei "treni merci". Ciò implica però un ben maggiore dispendio di energia e quindi un costo maggiore. Le tecnologie indispensabili per questa impresa non sono così lontane come si potrebbe immaginare. Per il primo stadio del lanciatore si pensa di utilizzare il russo Energia in grado di mettere in orbita 240 tonnellate, poi i motori a energia nucleare derivati dall'Nd Nerva già provati negli Anni 60, tre per la traiettoria lenta e quattro per la traiettoria veloce. Questi motori sono in grado di portare dall'orbita terrestre 100 tonnellate in orbita attorno a Marte o 65 tonnellate direttamente sulla sua superficie. Occorrerà mettere a punto i sistemi di frenata per l'atterraggio sia su Marte che sulla Terra e naturalmente la casa dove 6 uomini dovranno poter vivere fino a 800 giorni (questi impianti verranno provati nella stazione orbitale internazionale Alpha). Il veicolo Mav è forse il più delicato da mettere a punto: arriverà per primo su Marte, quattro piccoli motori freneranno la discesa, depositerà l'automobile pressurizzata, la centrale nucleare per l'energia elettrica e l'impianto di produzione della miscela ossigeno liquido/metano. I suoi serbatoi saranno vuoti ma gli accorreranno 26 tonnellate di miscela perché i suoi due motori Rl10 gli permettano di decollare, raggiungere una velocità di 5,6 km al secondo per agganciare il modulo Erv che sarà rimasto in orbita attorno a Marte aspettando gli astronauti per il ritorno. Durante il loro soggiorno potranno effettuare passeggiate di 6 ore a piedi nei loro scafandri intorno alla base o usare la piccola vetturetta, simile a quella usata sulla Luna durante le ultime tre missioni Apollo, oppure andare in giro per 500 km con l'auto pressurizzata. Il vero problema è un altro: come trovare i miliardi di dollari necessari. Fra qualche mese il governo Usa disporrà di tutti i dettagli dei costi previsti e la Nasa propone di invitare tutti i Paesi tecnologicamente avanzati a partecipare utilizzando le migliori conoscenze nei vari campi là dove esistono. Il programma Apollo costò 25 miliardi di dollari negli Anni 60, circa 250 di oggi, e anche se la Nasa pensa di contenere i costi in una cifra analoga, è difficile immaginare che una nazione da sola, siano pure gli Usa, possa affrontare questa avventura. Gian Carlo Boffetta




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