TUTTOSCIENZE 30 luglio 97


I NOMI DELLE PIANTE In latino e corsivo Da Aristotele a Linneo e oggi
Autore: VIETTI MARIO

ARGOMENTI: BOTANICA
LUOGHI: ITALIA

I nomi comuni o quelli dialettali con i quali si indicano molte piante possono generare confusione e soprattutto variano da un Paese all'altro e quindi non sono universalmente compresi. Per ovviare a questo inconveniente i botanici hanno classificato ogni pianta con un nome scientifico ben preciso, uguale in ogni parte del mondo. Come lingua fu adottato il latino poiché all'epoca delle prime classificazioni veniva usato da tutti gli scienziati; ancora oggi, nonostante non sia più in uso corrente, è adottato in tutto il mondo per denominare le forme viventi. Ai vocaboli in latino classico ne sono stati aggiunti alcuni in latino «maccheronico» per poter indicare tutte quelle piante che non possedevano un nome all'epoca dei romani. In quel periodo infatti, e fino al Medioevo, molte piante erano designate con una frase che ne descriveva le peculiarità. Ancora prima cinesi, egiziani e altri popoli interessati allo studio delle essenze vegetali, le denominavano con vocaboli riferiti al loro impiego pratico (in genere medicinale). Fu Aristotele il primo a rendersi conto che dovevano esserci dei legami tra alcuni tipi di piante e che quindi si sarebbe potuto riordinarle in gruppi ben definiti. Si dovette però attendere fino al '700 per avere un metodo scientifico di nomenclatura degli esseri viventi. Il merito di questa intuizione spetta al naturalista svedese Linneo (Carl von Linnè, 1707-1778) che introdusse la «nomenclatura binomia» («Species plantarum» 1753) in base alla quale ogni specie è designata con due vocaboli soltanto, e non con una frase, il primo riferito al genere di appartenenza ed il secondo alla specie. In questo modo non si potevano creare confusioni o equivoci. Linneo, classificando circa 7300 specie vegetali in base ai loro organi riproduttivi (numero di stami, ovari, ecc.), gettò le basi per la tassonomia, ovvero la suddivisione del regno vegetale in vari gruppi, ognuno comprendente organismi con caratteristiche comuni. Tra il XVIII e il XIX secolo i botanici come B. de Jussieu e A. P. de Candolle elaborarono e svilupparono questo metodo e attraverso analisi meno empiriche, grazie anche al microscopio, hanno potuto ordinare tutte le piante conosciute fino ad arrivare nella seconda metà di questo secolo alla stesura dell'International code of botanical nomenclature. Con questo codice è stata definita la normativa che regola la nomenclatura delle piante: il nome di una specie, accompagnato da una chiara descrizione, deve essere pubblicato su una rivista qualificata e qualora la stessa specie sia stata denominata da più botanici, vale il nome pubblicato per primo. Sia il nome del genere che quelli della specie e della varietà devono essere scritti in corsivo (il primo con iniziale maiuscola). Attualmente la nomenclatura ufficiale comprende circa 250.000 specie vegetali. Diverso è il discorso per le piante coltivate che in genere presentano, rispetto alle specie spontanee, delle differenze morfologiche che vengono conservate solo con la moltiplicazione vegetativa. Per questo motivo è stato redatto un codice apposito, l'International code of nomenclature for cultivated plants (1980), che comprende anche le «cultivar» ossia gli esemplari che presentano differenze, anche piccole, dalla specie di appartenenza, e che sono stati ottenuti mediante selezioni e incroci fatti artificialmente. Il loro nome è scritto in carattere tondo tra virgolette e segue il binomio genere-specie. Se non si riesce a risalire alla specie, il nome della cultivar è preceduto solo dal genere di appartenenza (es. Prunus «Accolade»). Per gli ibridi, incroci tra due specie dello stesso genere, si interpone tra il nome del genere e quello della specie il segno X (Cytisus x beanii). Abbiamo già parlato delle categorie in cui sono suddivise le piante: il genere, che comprende piante affini, la specie, che include piante simili che possono fecondarsi tra loro, e la varietà. Può essere interessante conoscere il significato dei nomi dati a queste categorie. Per alcuni, tramandati da tempi lontani, non è facile, altri sono nomi di fantasia o più semplicemente il nome popolare «latinizzato». Ma molte piante posseggono nomi che hanno un certo senso; possono essere riferiti alla provenienza (Parrotia persica, Cedrus libani), commemorativi in ricordo di un personaggio famoso, dell'esploratore che scoprì la specie o del botanico che l'ha individuata (Hosta sieboldiana da P. von Siebold, Berberis darwinii da Darwin, Euonymus fortunei da Fortune), oppure relativi a caratteristiche botaniche, anatomiche o altri attributi (Liriodendron tulipifera con fiori a forma di tulipano, Ligustrum ovalifolium, Osmanthus fragrans, Buxus sempervirens), all'uso o all'ambiente in cui vive la specie. Può anche accadere che alcune specie vengano riclassificate dai botanici, per cui per un certo periodo sono indicate sia con il vecchio che con il nuovo nome. I vivaisti poi attualmente adottano nomi moderni per le nuove cultivar da loro selezionate; in questo caso il nome dovrebbe essere scritto in tondo ma senza essere racchiuso tra virgolette. Mario Vietti


DIZIONARIETTO
LUOGHI: ITALIA

Acer dal latino «duro» ailanthus albero del cielo (latinizzato da «ailanto» termine originario delle Molucche) albizzia dal nobile fiorentino F. degli Albizzi angustifolia a foglia stretta, dal latino angustus (stretto) aquifolium «a foglie pungenti» aristata dal latino arista (resta della spiga) aspleniifolia da asplenio (felce), con foglie simili a quelle della felce, molto suddivise aucuparia dal latino aucupor = andare a caccia di uccelli (il sorbus aucuparia era usato come esca nella caccia agli uccelli) avellana dalla città di Avella (Italia meridionale) avium riferito al fatto che è gradito dagli uccelli baileyana dal botanico australiano F. M. Bailey biloba a due lobi briotii dall'orticoltore francese P. Louis Briot buxus dal latino classico per indicare la pianta di bosso caerulea dal latino classico = azzurra camellia dal botanico George J. Kamel caprea riferito al fatto che è prediletta dalle capre carnea del colore della carne chamaerops dal greco chamai (in terra) e rops (virgulto) citriodora che profuma di limone, da citrus (limone) coccifera che porta bacche rosse, dal latino coccineus (scarlatto) cordata a forma di cuore (dal latino cor - cordis) davidii dal nome dell'abate francese Armand David dealbata imbiancata (dal latino dealbo) deltoides triangolare (dalla lettera greca delta) deodara dal termine indiano deva-darà (albero degli Dei) floribunda con abbondante fioritura (dal latino floreo e abundo) gleditschia da J. G. Gleditsch direttore del giardino botanico di Berlino griffithii dal botanico inglese W. Griffith halepensis originario della provincia di Aleppo (Halep - Siria) heterophylla dal greco heter (vario) e phyllum (foglia) hillieri in onore del famoso vivaista inglese Hillier inermis dal latino = inerme, indifeso (senza spine) kaki abbreviato dal giapponese kaki-no-ki laciniatum dal latino = profondamente diviso, sfrangiato lantana termine latino per indicare il Viburnum liliiflora con fiori simili a quelli del giglio (dal latino lilium) liquidambar dal latino liquidus (fluido) e dall'arabo ambar (ambra), riferito alla sostanza che scaturisce da questa pianta lusitanica originario del Portogallo (anticamente chiamato Lusitania) nana gracilis dal latino nanus (nano) e gracilis (sottile, fragile), indica una pianta minuta e graziosa nitida splendente, lucente (dal latino nitidus) palustris predilige ambienti umidi (dal latino palus = palude) pisifera che reca piselli (dal latino pisum e fero) pittosporum dal greco pitta (pece) e sporus (seme), riferito allo strato resinoso che ricopre i semi plicata piegata, dal latino plico (piegare, avvolgere) pumila nana (dal latino classico pumilus) rhododendron dal greco rhodon (rosa) e dendron (albero) rubens rosso (dal latino rubens) saccharinum zuccherino (dal latino saccharum) sasanqua dal giapponese sazanka serrata seghettata (serrare deriva dalla sovrapposizione di serra = sega e ferrum = ferro) sinensis - chinensis proveniente dalla Cina subhirtella leggermente ricoperta di peli (da sub e hirtus) thunbergii dal botanico C. P. Thunberg, allievo di Linneo tomentosa peloso, dal latino tomentum (peluria) trichotomum diviso in tre parti (dal greco)


FARE UN ERBARIO Conservare fiori, foglie, redici
Autore: M_V

ARGOMENTI: BOTANICA
LUOGHI: ITALIA

FARE un erbario non difficile e pu essere una buona idea per rendere pi utille e interessante le scampagnate estive. Oltre al divertimento, l'erbario potr... avere anche una funzione didattica in quanto sar... possibile osservare le differenze morfologiche e strutturali tra le varie piante. Non avr... le pretese di un erbario «scientifico», ma potrebbe diventare un documento duraturo (le piante essiccate hanno il pregio di rimanere praticamente inalterate, tanto che ancor oggi abbiamo erbari di diversi secoli fa ben conservati), utile per analizzare le modifiche avvenute nel corso degli anni in una particolare area geografica. Fin dall'inizio della raccolta importante porsi dei limiti tematici: scegliere cio un gruppo ristretto di vegetali che abbiano caratteristiche comuni, botaniche e non (appartenenza alla stessa famiglia, un particolare habitat, tipo di foglia...), altrimenti si rischia di perdersi visto che in Italia sono presenti pi di 5000 specie vegetali. Successivamente si potr... sempre ampliare la collezione. Poich risalire alla specie non sempre facile, conviene prelevare contemporaneamente alcune parti significative della pianta che, anche se non verranno inserite nell'erbario, sono indispensabili per l'identificazione (la pi importante il fiore, ma anche frutti, rami, corteccia, radici sono utili). Per le specie erbacee tutto pi semplice perch si preleva la piantina completa di apparato radicale, avendo cura di eliminare subito quanta pi terra si riesce. Conviene anche raccogliere pi campioni della stessa specie per avere disponibili pi particolari anatomici e per poter scegliere, dopo l'essiccazione, quello riuscito meglio. Per la raccolta occorrono: una paletta o un robusto coltellino, forbici, pinzette per le parti fragili, sacchetti di nylon e giornali umidi per la conservazione provvisoria, etichette sulle quali indicare luogo, periodo, habitat, diffusione e ogni altra indicazione utile alla classificazione. Subito dopo la raccolta si asportano eventuali ramificazioni laterali e parti poco significative o danneggiate e si sistemano i reperti nei sacchetti o tra i fogli umidi di giornale per evitare che prima di arrivare a casa si secchino eccessivamente. I sacchetti non devono essere esposti al sole poich la condensa che si crea all'interno pu instaurare processi di marcescenza. E' necessario fare in modo che il campione sia contenuto per intero sulla pagina dell'erbario, eventualmente piegando lo stelo su se stesso oppure tagliando le parti poco importanti o ancora dividendo la pianta e mettendo sullo stesso foglio la parte basale e quella apicale. I campioni vengono posti tra alcuni fogli di carta assorbente (in alternativa, per risparmiare, si possono usare vecchi quotidiani) e impilati uno sopra l'altro; in questa fase si allargano foglie e fiori e si da alla pianta la disposizione definitiva che avr... nell'erbario. Per compensare differenze di spessore si possono inserire, tra un foglio e l'altro, dei pezzetti di carta. La «pila» verr... collocata sotto dei pesi in modo che la pressione sia uniforme in tutti i punti; per la pressatura esistono anche appositi essiccatoi che accelerano il processo. Le piante che seccando tendono a rompersi (aghifoglie, eriche...), possono essere pennellate con colla diluita in acqua. Durante l'essiccazione, soprattutto nel primo periodo, occorre sostituire sovente i fogli assorbenti; per evitare di rovinare le piantine si cambia prima il foglio superiore, si rovescia e si cambia quello inferiore. Intanto si controlla lo stato di disidratazione raggiunto. Il tempo di essiccazione varia da pianta a pianta ma dipende anche dall'umidit... ambientale e dalla tecnica usata. L'essiccazione completata quando, sfiorando i vegetali, non si avverte pi quel senso di frescura che si ha invece in presenza di umidit.... I formati standard di un erbario sono 25x37,5 e 30x46 e lo spessore del foglio quello di un cartoncino (circa 200 g/mq). La composizione della pagina deve risultare gradevole ed eventualmente comprendere bustine con semi e frutti. Conviene fissare le piantine sulla pagina con delle striscioline di carta incollate alle due estremit... o pinzate con uno spillo in modo che in futuro sia facile asportarle. Per finire si completa ogni pagina con il nome della specie, il luogo e la data della raccolta e ogni altra informazione utile. Se le piantine sono perfettamente essiccate e conservate in ambiente asciutto, non dovrebbero svilupparsi muffe. Per i parassiti della carta utile tenere nel freezer per qualche giorno le pagine con i campioni chiuse in sacchetti di nylon; inoltre negli scatoloni dove saranno riposti gli erbari si provveder... a mettere periodicamente un po' di canfora, che ha una buona azione antiparassitaria. Mario Vietti


GOLETTA VERDE Il mare? Pulito a metà E scende l'indice di gradimento dei turisti
AUTORE: PERELLI MATTEO
ARGOMENTI: ECOLOGIA, MARE, VOTAZIONE, AMBIENTE, INQUINAMENTO, CONTROLLI, TURISMO
ORGANIZZAZIONI: GOLETTA VERDE, LEGAMBIENTE, UE UNIONE EUROPEA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA
TABELLE: T. Le bandiere blu. Le migliori spiagge in Italia

LA Legambiente ha recentemente pubblicato il rapporto sull'inquinamento delle principali località balneari italiane per il 1997. I risultati? Confortanti: «Metà del "mare delle vacanze" è pulito. Solo in un punto su dieci i livelli di inquinamento superano sensibilmente i limiti di legge. Più basso, invece, l'indice di gradimento dei turisti, che hanno bocciato località come: Rimini, Rapallo, Ostia, Gabicce Mare puntando il dito contro la cementificazione dei litorali, il traffico, il rumore, la scarsa manutenzione di spiagge e centri abitati». Dei circa quattrocento campioni prelevati dalle due imbarcazioni-laboratorio partite il 26 giugno scorso da Santa Margherita Ligure, «...più di duecento hanno fatto registrare inquinamento fecale (causato dagli scarichi fognari) entro i limiti di legge». In poco più di 30 punti i livelli di contaminazione superavano di almeno cinque volte il consentito. Quindi i Bagni Nettuno a Sestri Levante, la spiaggia grande a Positano, la spiaggia La Botte ad Andrano (Puglia), la spiaggia a Nord della foce del Marano a Riccione, la spiaggia dei sassi a Porto Rotondo, la spiaggia di Cefalù hanno indossato la non ambita «maglia nera» tra le località balneari. Buona invece la situazione nelle più rinomate Portofino, Isola d'Elba, Capri, Tropea, Alghero per non parlare della mitica Cala Luna nel golfo di Orosei in Sardegna». Il record negativo di mare inquinato spetta nuovamente alla Campania (niente bagni nel 21,4% delle sue coste), seguita dal Lazio (17,1%) e dalla Sicilia (7,5%). A livello provinciale le situazioni peggiori si registrano a Caserta (43,4% del litorale non idoneo alla balneazione), Caltanissetta (38,3%), Napoli (27,2%), Roma (5,3%), Palermo (15,5%) ecc. Il quadro è abbastanza incoraggiante ma occorre tenere conto che l'operazione di Legambiente quest'anno non ha effettuato prelievi alla foce dei fiumi, nelle grandi città, nei punti vietati alla balneazione dal ministero della Sanità. Il mare passato al setaccio dalla Goletta Verde è stato solo quello dove gli italiani fanno effettivamente il bagno, se no ne avremmo viste certamente delle belle] Ma dove sono le istituzioni pubbliche? Francesco Ferrante, direttore generale della Legambiente, spiega: «Bisogna verificare la bontà degli interventi presi per migliorare lo stato di salute delle coste, indicare per tempo ai cittadini quali sono le spiagge pulite e quali le sporche, per dare a tutti un elemento in più nella scelta del posto dove trascorrere la villeggiatura. Ed è ovvio che questa valenza viene meno, se il ministero della Sanità come ha fatto lo scorso anno, e peggio ancora quest'anno, rende pubblici i suoi risultati a stagione balneare iniziata. Anzi quando e se il ministero presenterà finalmente il suo rapporto rischia addirittura di creare confusione». Lasciando perdere le polemiche tra «Goletta Verde» e ministero, consideriamo i dati del rapporto di Legambiente. Si tratta di analisi batteriologiche ed in particolare di parametri indicativi dell'inquinamento microbiologico delle acque come: Coliformi totali, Coliformi fecali e Streptococchi fecali. Appartengono a queste categorie molte delle principali specie batteriche considerate patogene per l'uomo e che potrebbero essere causa di infezioni in seguito alla balneazione. Per quanto concerne i coliformi fecali, che derivano in maggior parte dagli scarichi fognari, appartengono a questa categoria generi individuabili nella famiglia delle Enterobacteriaceae come: Escherichia, Salmo nella, Shigella, Yersinia ecc. Per esempio il genere Salmonella è responsabile di infezioni come tifo e paratifo che sono rispettivamente provocate da S.typhi e S.enteritidis e procurano febbri enteriche differenziate in febbre tifoide e paratifoide. Il genere Escherichia a cui appartiene la specie E.coli, normale nel tratto intestinale degli animali e dell'uomo, non è patogeno, eccetto che per quei pochi ceppi che possono causare enteriti. La sua presenza nelle acque è sempre indice di contaminazione fecale. Ci sono poi altri microrganismi appartenenti ad altre famiglie come il genere Vibrio (responsabile del colera, V.cholerae che provoca appunto una affezione diarroica acuta accompagnata da vomito e crampi addominali), il genere Pseudomonas con la specie P.aeruginosa che si trova in condizioni normali in circa il 10% dei campioni di feci umane rappresentando una fonte di epidemie e di contaminazione cutanea. Infine agli Streptococchi fecali appartengono a specie come S.faecalis un enterococco che normalmente abita nel tratto intestinale dell'uomo e di vari animali a sangue caldo, è causa frequente di infezioni urinarie e di endocarditi subacute. Ricordiamoci comunque che in acqua marina oltre ai batteri possiamo trovare altri microorganismi tra i quali Virus (per esempio il virus dell'epatite A) e funghi responsabili di numerose altre patologie. Per non parlare degli inquinanti chimici provocati da scarichi civili, industriali e agricoli come idrocarburi, fertilizzanti, pesticidi, tensioattivi, metalli pesanti. Occorre quindi essere prudenti ed evitare di fare il bagno vicino a grossi centri, anche se non c'è il divieto di balneazione, e lavarsi dopo il bagno con acqua e sapone in modo da asportare eventuali microrganismi e sostanze chimiche per evitare irritazioni e infezioni della pelle come foruncoli, impetigine, dermatiti varie, verruche. In presenza di ferite, disinfettarsi soprattutto se ci si rende conto di aver fatto il bagno in acqua poco raccomandabile. Gli esperti dicono che non è facile associare con sicurezza le infezioni provocate dalle specie microbiche sopraindicate con il fatto di aver fatto il bagno in un mare inquinato, certo è che evitando le aree ad alto rischio si diminuisce la probabilità di incorrere in sgradevoli inconvenienti estivi. Matteo Perelli ricercatore, Acquario di Genova


IN CHE STATO LE COSTE Per ogni chilometro 175 edifici
ARGOMENTI: ECOLOGIA, MARE
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

Il 58% del litorale italiano è affetto da edificazione intensiva e in media, per ciascun chilometro di costa ci sono ben 175 edifici. E' uno dei dati emersi dal monitoraggio effettuato dal WWF fin dal 1995. Soltanto il 29% della costa nazionale risulta integralmente libera da edificazione ma questo dato risente dell'alta percentuale (73%) di aree incontaminate presenti in Sardegna. Infatti, analizzando i risultati, si evince una forte frammentarietà delle aree da preservare: esistono solo 6 ambiti costieri omogenei prevalentemente liberi maggiori di 20 km di cui uno in Veneto, il Delta del Po, uno in Campania e quattro in Sardegna, mentre sono 33 quelli di ampiezza compresa tra i 10 e i 20 chilometri. Queste aree non soltanto sono integralmente libere da insediamenti, ma sono tratti in cui l'eventuale presenza di infrastrutture e di edificato sparso è abbastanza limitata per permettere operazioni di recupero del territorio. Al termine del monitoraggio, il WWF ha censito 362 aree costiere libere, di cui 98 nella sola Sardegna. Dopo l'indagine, il WWF ha analizzato le prime 47 aree costiere delle 365 ancora libere da edificazioni che vanno assolutamente tutelate. Ora l'associazione propone a Comuni, Regioni e al Governo di predisporre strumenti specifici di intervento, primo fra tutti il vincolo di inedificabilità.


Oceani messi a nudo Dai satelliti una mappa dei fondali mondiali
Autore: TIBALDI ALESSANDRO

ARGOMENTI: GEOGRAFIA E GEOFISICA
NOMI: SANDWELL DAVID, SMITH WALTER, GORE AL
ORGANIZZAZIONI: ISTITUZIONE AMERICANA SCRIPPS PER L?OCEANOGRAFIA, ENTE AMERICANO PER L'OCEANO E L'ATMOSFERA
LUOGHI: ESTERO, AMERICA, USA, DC, WASHINGTON
TABELLE: C. I mari e gli oceani della Terra

IMMAGINIAMO di essere in viaggio nel cosmo e, rivolgendo lo sguardo alla Terra, di accorgerci che tutti i mari sono svuotati con i fondali quindi perfettamente visibili. Fantascienza? No, è un po' quello che è successo a Washington, quando David Sandwel dell'Istituzione Americana Scripps per l'Oceanografia e Walter Smith, dell'Ente Americano per l'Oceano e l'Atmosfera, hanno presentato alla comunità scientifica internazionale la più dettagliata mappa esistente dei fondali marini di tutto il mondo, ripresi dallo spazio da un satellite artificiale. Numerosi eminenti geologi e geofisici intervistati hanno dichiarato che questa nuova mappa rappresenta la più grande scoperta dopo i dati degli Anni 40-50 sulla tettonica delle placche, cioè dopo l'individuazione dell'attività sismica e vulcanica sottomarina connessa ai movimenti tra le varie placche che scompongono la parte più superficiale della Terra. La nuova mappa presenta infatti informazioni sulla topografia dei fondali marini - conosciuta tecnicamente come batimetria - venti volte più dettagliate di quelle ottenute finora con i classici metodi di rilevamento con l'ecoscandaglio dalle navi. I rilevamenti dalle navi sono stati infatti effettuati in modo dettagliato solo in zone estremamente limitate. La batimetria della nuova mappa rivela centinaia di strutture geologiche prima sconosciute, tra le quali importanti faglie, cioè zone di rottura della crosta terrestre lungo le quali si hanno movimenti, di cui probabilmente molte attive responsabili dei terremoti oceanici. Inoltre, rivela un numero doppio di vulcani sottomarini rispetto alle conoscenze precedenti, nuovi abissi oceanici e nuove zone di fondali bassi. Su quest'ultimo tema bisogna riferire una storia curiosa. Nell'ultimo decennio, un gruppo di pescatori di una zona della Nuova Zelanda si andava arricchendo con partite di pesca incredibilmente abbondanti in un tratto di mare ritenuto profondo dalle mappe batimetriche, e quindi poco adatto alla concentrazione di banchi di pesci. Si arrivò al punto di discutere nei congressi scientifici questa anomala concentrazione di pesce in una zona di mare profondo. Adesso invece, l'«occhio spaziale» dà ragione ai pescatori neozelandesi. La nuova mappa rivela infatti una catena di vulcani sottomarini, la cui presenza, fino ad ora inimmaginata, permette il sostentamento di una ricca fauna ittica. Questi nuovi dati sono quindi utili per ubicare le zone di fondale marino più promettenti per la pesca, con ovvie ricadute economiche. Ma non solo] Saranno utilizzati per la navigazione, per la ricerca di idrocarburi e di minerali, per valutazioni sulla circolazione profonda delle masse d'acqua oceaniche e sul clima, per la vulcanologia, per il rischio sismico, e, in generale, per la comprensione dell'evoluzione geologica presente e futura del nostro pianeta. Infine, questi dati sono utili ai militari, per i cui scopi era stato originariamente lanciato il satellite, la navigazione dei sommergibili e il calcolo delle traiettorie dei missili. Il satellite «Geosat» venne lanciato dagli americani nel 1985 con a bordo uno strumento radar in grado di rilevare l'altezza delle onde marine con una elevatissima precisione: il margine di errore è infatti di pochi centimetri. La superficie del mare presenta, oltre alle onde e alle anomalie dovute alle correnti e al vento, delle zone fisse di altezza diversa che riflettono il campo gravitazionale terrestre locale. In pratica, dove ci sono depressioni nei fondali, queste si riflettono in superficie con una diminuzione del livello del mare, mentre dove il fondale è rilevato, la superficie marina presenta degli inarcamenti. Per esempio, un vulcano sottomarino che si eleva di duemila metri dal fondale circostante, si riflette con un innalzamento di due metri della superficie del mare. Questo si spiega con il fatto che la superficie del mare tende a disporsi sempre perpendicolarmente alle traiettorie di massima attrazione della gravità. In altre parole, le masse rocciose più spesse, corrispondenti quindi ai rilievi dei fondali oceanici, attirano maggiormente l'acqua marina dalle zone limitrofe; i bacini oceanici invece hanno uno spessore di rocce più ridotto che tratterrà di meno la massa d'acqua creando in superficie delle depressioni nel livello del mare. Siccome le traiettorie dei missili sono sensibili alle variazioni del campo gravitazionale terrestre, i militari intendevano studiare le anomalie della superficie marina per localizzare le relative anomalie gravimetriche e correggere così i calcoli di guida dei missili. Questi dati rimasero a lungo segreti, fino a quando il Gruppo di Lavoro per l'Ambiente degli Usa, fondato nel 1985 da Al Gore - che sarebbe poi diventato il famoso senatore - iniziò a fare pressioni per declassificarli. Il segreto militare è stato finalmente tolto nel luglio 1995 anche perché, bisogna dirlo, contemporaneamente iniziavano ad essere disponibili i dati simili raccolti dal satellite artificiale europeo ERS-1. Attualmente decine di scienziati di tutto il mondo stanno lavorando per integrare i dati dei due satelliti, ottenendo così mappe sempre più dettagliate di tutti i fondali marini. Questi dati permetteranno di migliorare le conoscenze sui fondali oceanici tanto quanto il telescopio orbitante Hubble ha incrementato lo studio del cosmo. E la ricaduta che ci si aspetta non sarà solo per la comunità scientifica ma anche per l'economia civile.Alessandro Tibaldi Università di Milano


SCIENZE FISICHE. OSSERVATO DALLA SONDA NEAR L'oscura Mathilde Un asteroide più nero del carbone
Autore: DE MARTINO MARIO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA
NOMI: BARKS CARL
ORGANIZZAZIONI: NEAR, NASA, DISCOVERY
LUOGHI: ITALIA

IL grande successo e le impressionanti immagini del suolo marziano inviate a terra dal robot Sojourner hanno offuscato un altro grande appuntamento spaziale verificatosi una settimana prima: il fly-by da parte della sonda Near (Near- Earth Asteroid Rendez-vous) dell'asteroide 253 Mathilde. Si tratta del terzo e più grande asteroide osservato da vicino da una sonda spaziale, ma, a differenza di 951 Gaspra e 243 Ida immortalati dalle telecamere della sonda Galileo in viaggio verso Giove e costituiti da rocce silicacee, Mathilde è formato prevalentemente da composti del carbonio e ha quindi un colore estremamente oscuro: riflette tra il 3 ed il 4% della luce del Sole, due volte meno del carbone. L'importanza dello studio di asteroidi di questo tipo risiede nel fatto che presumibilmente sono oggetti che nei 4,5 miliardi di anni di vita del Sistema Solare non hanno subito processi che possano aver alterato in maniera significativa la loro composizione originaria, e rappresentano quindi un campione della materia di cui era costituita la nebulosa circumsolare da cui si è formato il nostro sistema planetario. La fascia degli asteroidi è formata da decine di migliaia di piccoli pianeti di composizione diversa (le dimensioni di quelli sinora scoperti vanno dai 950 km di Cerere sino a pochi chilometri), è localizzata tra le orbite di Marte e Giove ed ha una larghezza che supera i 150 milioni di chilometri. E' ormai certo che gli asteroidi sono corpi che a causa delle perturbazioni gravitazionali indotte dal vicino Giove non hanno potuto aggregarsi per formare il decimo pianeta e la varietà composizionale di questi oggetti ed i meccanismi che governano la loro evoluzione si sono rivelati negli ultimi decenni un potente strumento per studiare le fasi evolutive che hanno portato alla formazione del Sistema Solare come oggi lo conosciamo. L'obiettivo principale della sonda Near, lanciata nel febbraio 1996, e prima delle missioni a basso costo (150 milioni di dollari) del programma Discovery della Nasa, è 433 Eros, un asteroide di una ventina di chilometri di diametro che appartiene ad una numerosa famiglia di oggetti che non fanno parte della fascia principale, ma da cui quasi certamente provengono, le cui orbite si avvicinano e talvolta intersecano quelle della Terra, rappresentando quindi un potenziale pericolo per il nostro pianeta. L'appuntamento con Eros è previsto per il gennaio 1999 quando Near, raggiunto l'obiettivo, si immetterà in orbita ad esso ad una distanza di poche decine di chilometri per effettuarne uno studio estremamente dettagliato. Ed è proprio la necessità di tenere bassi i costi della missione che ha portato Near nelle vicinanze di Mathilde. Infatti per risparmiare, il lancio fu effettuato con un vettore relativamente poco potente confidando nella spinta gravitazionale (gratuita) che verrà data alla sonda, per aumentarne l'inclinazione dell'orbita, nel gennaio del prossimo anno durante un suo passaggio ravvicinato con la Terra. Le immagini di Mathilde trasmesse da Near e riprese da una distanza di circa 1200 chilometri, ci hanno lasciati stupefatti. Quando, insieme ai colleghi del gruppo di Planetologia dell'Osservatorio di Torino, le abbiamo viste apparire sugli schermi del computer, la prima domanda che ci siamo posti è stata quella di come un oggetto delle dimensioni di poco superiori ai 50 km possa aver resistito senza andare in frantumi ad impatti che hanno scavato crateri di dimensioni paragonabili o addirittura superiori al suo raggio e profondi alcuni chilometri. Il più grande di questi ha un diametro di circa 30 km e si stima che sia profondo 10 - al suo interno potrebbe starci comodamente una città come Torino, compresa la sua cintura. Si pensa che sia stato causato dalla collisione con un oggetto delle dimensioni di circa 3 km che viaggiava ad una velocità intorno ai 5 km/sec. (18.000 km/ora). Ma la maggiore sorpresa, e forse anche una spiegazione alle dimensioni dei crateri, è venuta qualche giorno dopo quando la sonda ha inviato a terra i primi dati che hanno permesso di determinare la massa di Mathilde. La misura è stata effettuata indirettamente grazie al rallentamento (1 millimetro al secondo) subito dalla sonda durante il passaggio ravvicinato e causato dal debole campo gravitazionale dell'asteroide. Da questa minuscola decelerazione è stato calcolato che la massa di Mathilde è di circa 100.000 miliardi di tonnellate, un milionesimo della Luna. Assumendo un diametro medio di 52 km (un valore preliminare determinato grazie alle immagini inviateci da Near), Mathilde ha una densità di 1,3 grammi al centimetro cubo - di poco superiore a quella dell'acqua. Ma le meteoriti di composizione analoga a quella di Mathilde e che con ogni probabilità provengono dalla fascia degli asteroidi, hanno una densità di 2,6 grammi al centimetro cubo. Sebbene la densità potrà aumentare una volta che si terrà conto della forma irregolare dell'asteroide, è improbabile che il valore finale possa alla fine avvicinarsi a quello suddetto. La spiegazione più plausibile è che Mathilde sia formata da un conglomerato di detriti poco compattati («ruble pile»). Se così fosse, sarebbe anche giustificata la presenza degli enormi crateri. Infatti, come dimostrato anche in laboratorio, l'energia dell'impatto su oggetti di questo tipo viene in buona parte dissipata dalla struttura non omogenea del bersaglio, evitando così la sua distruzione catastrofica. Le analisi teoriche ed i modelli numerici dimostrano che asteroidi di questo tipo possono esistere e la loro origine potrebbe essere dovuta alla riaccumulazione gravitazionale sul frammento di maggiori dimensioni rimasto dopo la distruzione catastrofica del corpo originario a causa di un impatto verificatosi in epoche remote. Per la verità il primo ad intuire che almeno alcuni asteroidi potevano essere formati da accumuli di frammenti tenuti assieme dalla reciproca attrazione gravitazionale fu Carl Barks, il più creativo e originale degli illustratori della Walt Disney. Barks infatti negli Anni 50 disegnò un fumetto in cui si vede Paperino che lanciatosi da un'astronave su un asteroide sprofonda in questo ammasso di frammenti e riappare dalla parte opposta dove viene salvato dal provvidenziale intervento di zio Paperone che lo raccoglie con una retina per farfalle. A partire dagli Anni 70 questa ipotesi ha raccolto molti consensi e adesso, grazie a Near, sembra anche che vi sia un riscontro osservativo diretto. Mario De Martino Osservatorio Astronomico di Torino


SCIENZE FISICHE. AUSTRALIA E' morto Eugene Shoemaker
AUTORE: M_D_M
ARGOMENTI: ASTRONOMIA, MORTE
PERSONE: SHOEMAKER EUGENE
NOMI: SAGAN CARL, SHOEMAKER EUGENE
ORGANIZZAZIONI: NASA
LUOGHI: ITALIA

NEGLI ultimi otto mesi il mondo della scienza planetaria è stato funestato dalla perdita di tre eminenti scienziati. Lo scorso dicembre ci ha lasciati Carl Sagan, uno dei più entusiasti propugnatori dell'esplorazione spaziale del Sistema Solare e appassionato divulgatore; un mese fa ha perso la vita, per la caduta di un albero sulla sua auto nel corso di una tempesta di vento, Jurgen Rahe, uno dei maggiori esperti di comete e responsabile delle missioni spaziali planetarie della Nasa. Infine il 18 luglio è morto in un incidente stradale Eugene Shoemaker, famoso nel mondo anche fra i non addetti ai lavori per la scoperta nel 1993, insieme alla moglie Carolyn ed al collega Levy, della cometa che 16 mesi dopo si schiantò su Giove. L'incidente si è verificato in una remota regione dell'Australia centrale dove Shoemaker, si trovava per studiare alcuni dei crateri da impatto scoperti in quel continente e causati dalla caduta di piccoli asteroidi. Eugene, i cui interessi furono inizialmente rivolti verso la geologia, sin dai primi Anni 60 divenne molto conosciuto anche nell'ambiente astronomico per i suoi studi pionieristici sulla meccanica degli impatti ad ipervelocità e sulla natura e origine dei crateri lunari. Con la moglie ha scoperto più di 800 asteroidi oltre a numerose comete. Nel 1994 la Nasa, su sollecitazione del Congresso degli Stati Uniti, lo incaricò di costituire un comitato di scienziati per studiare le tecniche migliori per identificare e catalogare in un periodo di tempo non superiore ai 10 anni tutti gli oggetti di dimensioni superiori al chilometro (presumibilmente circa 2000) che incrociano o si avvicinano all'orbita della Terra, costituendo quindi un potenziale grave pericolo per il nostro pianeta. Il lavoro si concluse nel giugno 1995 ed i suoi risultati costituiscono adesso la base per ogni tipo di ricerca in questo campo. Sin dalla sua prima giovinezza Eugene era fermamente convinto che un qualche giorno degli astronauti avrebbero passeggiato sulla Luna e sin da allora tutta la sua vita professionale fu rivolta a diventare uno di essi. Purtroppo gli stringenti regolamenti medici non gli permisero di essere selezionato per il programma Apollo e proprio lo scorso anno affermò che «il non poter essere sbarcato sulla Luna e non aver potuto prelevare campioni del suolo è stata la più grande delusione della mia vita, ma se così fosse stato, probabilmente non sarei andato all'Osservatorio di Monte Palomar per riprendere oltre 25.000 lastre fotografiche del cielo notturno e non avrei avuto l'emozione di scoprire centinaia di piccoli pianeti».(m. d. m.)


SCIENZE FISICHE. RICERCA E MISSIONI SCIENTIFICHE Agenzia Spaziale Italiana 6500 miliardi in 5 anni
Autore: MUSSO CARLO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, RICERCA SCIENTIFICA, PROGRAMMA
ORGANIZZAZIONI: ASI AGENZIA SPAZIALE ITALIANA, CIPE
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

UNA delle richieste emerse con più chiarezza dall'incontro nazionale su «La ricerca scientifica in Asi: 1998 - 2002», tenutosi venerdì 11 luglio nell'aula convegni del Cnr, è stata quella di una più efficace informazione del pubblico circa gli sviluppi della ricerca spaziale in Italia. Questo breve resoconto vuole essere una prima risposta a questa esigenza. L'occasione era particolarmente significativa, in quanto si è trattato della prima volta in cui la comunità scientifica, le maggiori industrie coinvolte in attività spaziali e l'Agenzia hanno avuto modo di confrontarsi in un incontro di ampio respiro. Il presidente di Asi, prof. De Julio, ha aperto i lavori presentando i criteri base del Piano spaziale nazionale (Psn) che dovrà coprire il quinquennio 1998-2002. Tra le note positive, il presidente ha ricordato le delibere del Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) che fissano, seppur in maniera indicativa, la disponibilità finanziaria di Asi per i cinque anni di durata del Psn in 6500 miliardi. Secondo il presidente, questo è un chiaro segno della volontà politica del governo di sostenere il programma spaziale, in particolare quello scientifico che, non a caso, occupa il primo posto nelle suddette delibere del Cipe. Asi ha risposto a questo orientamento con alcuni provvedimenti di notevole importanza. Il «Regolamento di organizzazione e funzionamento», recentemente approvato, ha permesso di istituire l'Area per la ricerca scientifica, che deve coordinare e attuare, secondo quanto definito nel Psn (processo top-down), il programma che nasce e viene sviluppato dalla comunità scientifica (processo bottom-up). I primi risultati di questa strategia sono emersi negli interventi dei coordinatori dei gruppi di lavoro, formati, sul modello di quanto avviene all'Agenzia spaziale europea, per valutare le oltre 500 proposte arrivate in risposta ai quattro bandi emersi da Asi a partire dallo scorso marzo. A tale proposito il prof. Bignami, direttore dell'Area per la ricerca scientifica, ha presentato il nuovo programma Asi di selezione e studi per piccole missioni scientifiche, con attenzione sia al carico utile sia al progetto deiveicoli, che dovrebbe dare impulso nei prossimi anni ad un'attività nazionale che preveda il lancio di un satellite scientifico ogni due, tre anni. La discussione generale ha permesso di entrare con maggior dettaglio nei problemi della ricerca, evidenziando tra l'altro la necessità di un maggiore impegno Asi nella formazione di giovani specialisti nel campo delle scienze spaziali. Muovendosi in questa direzione, Bignami, ha annunciato un piano di borse di studio finanziate dall'Agenzia, che partirà il prossimo anno. L'idea è quella di favorire, tra l'altro, la nascita di «scienziati industriali» - come li ha definiti il direttore generale di Asi, ing. Scerch - cioè di figure professionali capaci di associare alle conoscenze scientifiche fondamentali quelle competenze tecnologiche e di gestione necessarie alla realizzazione di un progetto spaziale. Accanto a questi fatti positivi non bisogna dimenticare la difficile situazione cui la nuova dirigenza di Asi deve far fronte. Il prof. Setti, presidente del Comitato Scientifico, ha sottolineato come, nell'immediato futuro, sarà necessario ridurre, se non addirittura cancellare, alcuni programmi, e ridisegnare dal principio la formulazione dei bandi per le proposte di esperimenti, che negli anni passati sono stati spesso generici, rendendo molto laborioso il processo di selezione, con gravi riflessi sulla tempestività di erogazione dei finanziamenti. Il bilancio complessivo di questa riunione è da considerarsi in ogni caso positivo, tanto che una decisione che ha trovato tutti d'accordo è stata quella di programmare per il prossimo autunno una serie di incontri tematici, che vanno nella direzione di una sempre maggiore interazione tra Agenzia e mondo scientifico e industriale, per il bene di tutta l'attività spaziale italiana. Carlo Musso Ist. Fisica Cosmica Milano


SCIENZE FISICHE. FOTOGRAFIA DIGITALE Una guerra mondiale a colpi di pixel I colossi del settore impegnati nella corsa tecnologica. Il tramonto della pellicola
Autore: ARPAIA ANGELO

ARGOMENTI: OTTICA E FOTOGRAFIA, TECNOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: DIGITAL PHOTO, DIGITAL VIDEO, SONY, KODAK, CANON, MINOLTA, AGFA, POLARODI, FUJI, NIKON, OLYMPUS
LUOGHI: ITALIA

ENTRARE oggi da profano nell'universo delle tecnologie digitali è un viaggio affascinante e ricco di sorprese. Per non perdere una fetta di mercato futuro le più importanti holding del settore fotografico continuano a presentare sul mercato significative soluzioni tecnologiche d'avanguardia fatte a suon di pixel per migliorare qualità e prestazioni. Sul mercato si fronteggiano aziende come Sony, Canon, Nikon, Olympus, Kodak, Fuji, Agfa, Minolta, Polaroid e molte altre aziende rappresentative per quanto riguarda il Digital Photo e Digital Video. Mentre nel campo professionale si sono già raggiunti standard apprezzabili, nel segmento amatoriale, per proporre un prodotto qualità-prezzo abbordabile sotto il milione, si arranca ancora: si sa da sempre che sono i numeri a far calare i prezzi, chiaro esempio il settore della telefonia cellulare. Tra i colossi mondiali dell'«Entertainment Multimediale» e dell'elettronica di consumo, Sony, ad esempio, la fa da protagonista. E' recente l'uscita, nel Digital Video, di un nuovo modello Handycam Vision (Dcr-Trv7) dotato di un sensore da 810 mila pixel che offre un mini monitor Lcd a colori da 4 pollici, uno zoom ottico 10 x con raddoppio digitale e lo stabilizzatore d'immagine (steady shot). Nel comparto Digital Photo invece è stata presentata di recente la DSC-FI, una macchina fotografica digitale con 4MB di memoria e 24 bits di campionamento colore, risoluzione 640 x 480 per 350 mila pixel, capacità immagini in modo fine 30, standard 58 e 108 in economy. Sony fa ancora un passo in avanti con la tecnologia Stamina, il nuovo sistema di alimentazione destinato a rivoluzionare il mondo dei camcorder, e non solo. Il colosso americano Kodak porta oggi sul mercato una macchina fotografica digitale da 1,2 milioni di pixel. E' il modello DC/120 che traduce una memoria interna di 2 MB con memorizzazione in standard di 20 immagini, incrementabili con schede Compactflash. Dotato di un obiettivo zoom AF 38/114 mm, si dimostra strumento ideale nelle presentazioni di prodotti e nel desktop publishing. L'apparecchio viene fornito con il soft ware Digital Science Picture Transfer per l'invio delle immagini al computer. Altra fotocamera digitale amatoriale di linea slim la presenta Nikon: è la Coolpix 100. Compatta, agevole, non richiede scansione, ha il mirino di tipo ottico, l'otturatore elettronico, funzione macro, esposizione AE programmata e flash automatico, immagazzina 21 immagini a bassa compressione e 42 in normal con riproduzione a 24 bit colore. Viene immediatamente collegata al drive per PC card del computer e non necessita di software di conversione perché le immagini vengono registrate dalla flash memory della Coolpix nell'universale standard Jpeg. Per Canon la fotografia digitale si chiama PowerShot 600; è un apparecchio di buone prestazioni che acquisisce immagini tramite un sensore Ccd da 1/3 di pollice a 570 mila pixel, qualità a 24 bit colore o 8 bit monocromatiche ad alta risoluzione. Con l'Hard Disk Card HC-170M, in compressione normal, si possono immagazzinare 1500 immagini. Più professionali, nel binomio Canon-Kodak, le prestazionali fotocamere Eos-DcsI e Eos-Dcs3 che possono essere utilizzate per documentare avvenimenti sportivi con collegamento immediato al computer, dove spesso il fattore tempo è decisamente importante. Agfa è presente sul mercato del digitale con la Photo 307, un apparecchio realizzato per applicazioni amatoriali e professionali: offre due regolazioni di risoluzione 640 x 480 e 320 x 240 pixel, inoltre immagazzina 36 immagini in alta e 72 in risoluzione standard. Sempre più si parla di nuove frontiere tecnologiche, sia nel mondo degli affari chiamato «Digital Office», sia nella vita privata: è un lento, inesorabile, passaggio dall'era analogica a quella digitale con prodotti multimediali sempre più sofisticati. Questo ed altro è in arrivo per festeggiare l'anniversario speciale del Terzo Millennio. Angelo Arpaia


SCIENZE DELLA VITA. IL RICCIO EUROPEO Un buffo gomitolo di spine I suoi nemici più pericolosi: le auto
Autore: GROMIS DI TRANA CATERINA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

IL riccio è stato per molto tempo considerato dalla tradizione popolare un animale dall'ingegno corto, finché l'etologia ha fatto giustizia del miraggio della «bestia imbecille», insegnandoci a comprendere il linguaggio di ogni animale non più sempre paragonandolo a quello umano, ma riferito alle varie situazioni che hanno richiesto i più diversi adettamenti evolutivi. Il riccio europeo (Erinaceus europaeus), distribuito con diverse sottospecie in tutta l'Europa, in Asia centrale e in Asia minore, assente in America e in Australia, introdotto con successo in Nuova Zelanda, appartiene all'ordine degli Insettivori, e se lo si pensa con un comune rivestimento di peli al posto degli aculei, si ha l'immagine dei mammiferi primitivi del periodo Giurassico, con dentatura poco specializzata, arti generici e un muso appuntito simile a quello delle talpe e dei toporagni. Dice un famoso aforisma di Archiloco: «La volpe ne sa tan te, una il riccio, importante». Infatti il rivestimento di spine che lo rende inconfondibile è stata la sua sola trovata evolutiva e la particolare muscolatura che gli consente di avvolgersi a palla la sua unica, validissima arma di difesa e di offesa. Gli aculei, usati nell'antichità per rendere ruvidi i panni, non sono altro che peli modificati, che emergono da un bulbo sul quale è inserito un muscolo volontario che permette all'animale di drizzarli anche indipendentemente. La muscolatura dorsale, molto specializzata, è formata da un muscolo caudo-dorsale che fa erigere tutti gli aculei, circondato da un muscolo ovale che, contraendosi, agisce come un legaccio attorno ad un sacco, trasformando il riccio in un gomitolo di spine inespugnabile in cui l'aria circola senza difficoltà; così, se deve rimanere a lungo appallottolato, può respirare liberamente. Nonostante questa robustissima corazza, qualche esperto predatore riesce ad avere la meglio sul riccio. I barbagianni e i gufi reali vincono le sue difese a colpi di rostro e con i robusti artigli (se ne ha la prova dalle borre di questi rapaci notturni, a volte formate esclusivamente da aculei); le volpi, alcuni mustelidi, i cani più esperti sembra imparino a spingere la palla spinosa nell'acqua, costringendo l'animaletto ad aprirsi per respirare. Ma non sono tanto i predatori naturali gli attuali nemici del riccio, quanto le automobili, recenti esseri oscuri dai quali il suo semplice cervello da insettivoro non sa difendersi: sulle strade, davanti ai fari accesi il riccio non sa fuggire, ma solo appallottolarsi, e questo non gli serve a niente. Gli aculei e i muscoli che li comandano gli servono anche come arma contro i serpenti, con i quali ingaggia furiose battaglie quasi sempre vittoriose. Le vipere, se non riescono a morderlo sul muso al primo tentativo, che allora è di solito per lui letale, si sfiniscono attaccando la palla di spine contro la quale esauriscono gran parte del loro veleno, fino all'attacco finale ad aculei eretti che le uccide, rendendo il vincitore oltremodo simpatico agli esseri umani. La capacità di appallottolarsi è utile anche durante i capitomboli di questo cacciatore notturno dall'odorato fine e dalla vista debole: durante le sue passeggiate non bada a nulla e a nessuno, e scavalca con decisione gli ostacoli, pronto a raggomitolarsi per non farsi male se cade. Se ci si imbatte in un riccio durante la notte è molto facile avvicinarlo: è così concentrato ad annusare il terreno, incurante di far rumore pestando foglie e rami, che si ferma solo quando è molto vicino. Allora si blocca per un istante, si appallottola per un po', e quando di sente sicuro riparte per la sua strada alla ricerca di qualsiasi piccolo animale che gli arrivi a tiro. Non è molto esigente: oltre agli insetti (comprese le velenose cantaridi, le api e le vespe), cattura chiocciole, lumache, lombrichi, ranocchie, lucertole e topi. E' ghiotto di uova, e saccheggia i nidi degli uccelli che le depongono sul terreno. Ama la frutta e il latte, da cui l'infondata vecchia credenza che riuscisse a succhiarlo direttamente dalle mammelle delle vacche al pascolo. Il riccio, che vive un po' dappertutto nelle campagne, nei boschi e nei giardini, fino al limite dei boschi di conifere, troppo umidi e privi delle morbide foglie di latifoglie necessarie per il rivestimento dei suoi rifugi, è l'unico tra gli insettivori nostrani che va in letargo durante l'inverno. Prepara una tana rivestita di foglie che schiaccia contro le pareti girando a lungo in tondo e su se stesso, per renderla impermeabile, e passa lì arrotolato i mesi più freddi, con il metabolismo ridotto al minimo e una temperatura corporea molto vicina a quella esterna. Il letargo può essere più o meno lungo a seconda delle zone; a volte viene interrotto e il rifugio cambiato. Al risveglio dopo l'inverno, in marzo-aprile, inizia il periodo degli amori. I ricci sono animali solitari, anche se i loro territori spesso si sovrappongono, e solo quando sono innamorati nella loro vita si apre una breve parentesi di socialità. L'amore è un affare serio e pericoloso e il maschio deve essere sicuro della sua bella prima di farsi avanti. Così la corteggia con un lungo rituale di schermaglie amorose, un carosello di saltelli, piccole danze, sbuffi e borbottii che precede l'accoppiamento, durante il quale la femmina consenziente e sottomessa si corica sul terreno con gli aculei ripiegati e le zampe posteriori distese all'indietro, per agevolare la difficile operazione. I piccoli, da 2 a 7, per non ferire la madre durante il parto, nascono con la pelle sottile, rigonfia d'acqua, che dopo due giorni si disidrata scoprendo gli aculei, morbidi, biancastri e radi, che induriscono e aumentano di numero rapidamente. L'aspetto del riccio durante l'autunno, quando è grasso e florido per aver accumulato il grasso che smaltirà nell'inverno, gli ha forse valso il nome popolare di «Porcospino», e le sue carni, già usate un tempo come rimedio contro la calvizie (forse perché gli aculei hanno l'aspetto di capelli fortissimi), fino a pochi anni fa erano abbastanza apprezzate nei paesi mediterranei. Infine è solo una leggenda la divertente storia che lo dice capace di accumulare provviste nel suo rifugio infilzando sugli aculei acini d'uva e addirittura mele, come olive sugli stuzzicadenti, abitudine che, se fosse vera, lo renderebbe più che simpatico: addirittura irresistibile. Caterina Gromis di Trana


SCIENZE DELLA VITA. ZOONOSI EMERGENTI Attenzione agli amici animali Nuove patologie: allarme dell'Oms
Autore: BURI MARCO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, ZOOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: OMS
LUOGHI: ITALIA

L'Oms, Organizzazione mondiale della sanità, ha pubblicato dati sulla diffusione di alcune zoonosi emergenti che ci devono allarmare: zoonosi, cioè malattie trasmesse dagli animali all'uomo, ed emergenti perché causate da microrganismi nuovi, oppure già conosciuti ma che appaiono in luoghi o specie animali dove la malattia non era stata ancora osservata. Questa diffusione può essere dovuta a modificazione dello stato immunologico di individui o popolazioni, a meccanismi molecolari di natura genetica degli agenti patogeni ma anche a fattori ambientali e sociali. Le zoonosi di nuova origine si possono distinguere in tre categorie: la prima comprende malattie legate a variazioni nei modi di allevamento, produzione ed abitudini alimentari. Un esempio sono le infezioni da Salmonella enteritidis ed Escherichia coli, scoperte anche in quest'ultimo periodo in mense di scuole ed ospizi. La seconda coinvolge patologie associate al cambiamento di parametri e condizioni ambientali che influenzano direttamente gli agenti e i serbatoi trasmettitori verso l'uomo. Così, variazioni nelle risorse idriche di alcune zone hanno portato Leishmaniosi cutanea nel Nord Africa ed alcuni focolai di Rabbia umana in Brasile e Perù a seguito di contatti con pipistrelli infetti. La terza categoria riguarda agenti patogeni che riacquistano nuove caratteristiche di virulenza attraverso fenomeni di adattamento, mutazione e ricombinazione genetica. Gli studiosi dell'Oms concordano nell'accusare vecchi agenti eziologici che si adattano a nuovi ospiti e territori piuttosto che attribuirne la responsabilità a nuovi virus o batteri. Molto importanti sono la prontezza e la tecnica di ricerca epidemiologica effettuate da medici e veterinari per identificare i fattori a rischio prevenendo così i focolai di malattia. Salmonella enteritidis è tra le più grandi minacce per la produzione avicola e di conseguenza per la salute umana. E' diffusa soprattutto in Europa ed è responsabile dell'80% dei casi di Salmonellosi umana e del 50% di altre tossinfezioni alimentari. L'Università di Friburgo ha evidenziato come l'infezione nell'uomo sia associata ad ingestione di uova crude o impropriamente cucinate. Sono colpiti di più i bambini dai 3 ai 9 anni ed ogni anno ne vengono registrati 1000 nuovi casi. La Salmonella enteritidis fu osservata la prima volta nei polli nel 1988 e si è velocemente diffusa negli allevamenti. Dopo l'unificazione delle due Germanie nel 1991, la diffusione del batterio è aumentata in modo incontrollato per il commercio di animali infetti. Risultati promettenti si stanno ottenendo con vaccinazioni a tappeto sia nei polli che in altri animali insieme alla profilassi diretta con nuove norme igieniche e di disinfezione. La Leptospirosi ha come serbatoi numerosissimi animali. Le leptospire, agenti causali, sono state isolate nei roditori ma ne sono importanti vettori cani, bovini, suini, ovini, caprini, equini ma anche volpi, foche e canguri. In Francia, nel 1993, i casi di Leptospirosi umana sono aumentati in forte percentuale anche nelle aree metropolitane. La maggior parte dei casi (40%) si è verificata nei mesi di luglio, agosto, settembre, mentre il contagio è aumentato per contatto diretto con animali infetti (49%) o con acque superficiali contaminate (47%). Tra gli animali trasmettitori c'è il cane (33%), roditori (28%), bovini (11%), cavalli (2,5%). Nelle aree agricole il contagio è invece diminuito per la meccanizzazione, ma rimane ancora un grosso pericolo per le nazioni più povere. Secondo l'Oms la vaccinazione animale rappresenta un'efficace misura preventiva per le popolazioni a rischio. La Tubercolosi è ancora la principale causa di mortalità umana in tutti i Paesi in via di sviluppo. L'agente causale principale è Micobacterio tubercolosis, ma sono in aumento M. bovis, diffuso in molte specie animali in Africa con epidemiologia non ancora perfettamente conosciuta. Dei 56 Paesi africani, 44 denunciano casi di Tubercolosi bovina e solo 30 adottano limitate misure profilattiche, tenendo presente che il 90% dei bovini africani non viene mai controllato. Studi recenti hanno evidenziato che il 45% dei pazienti umani tubercolotici, in Africa, sono anche Hiv positivi. Nel 1993 si sono verificati 8 casi di rabbia umana, tutti mortali e tutti nelle ex Repubbliche sovietiche. In Europa oltre 100.000 persone all'anno richiedono la vaccinazione a seguito di contatto a rischio con animali sospetti. Nel mondo sono vaccinati 6,5 milioni di persone di cui 5 milioni in Cina, 500.000 in India e 200.000 in Africa. L'unità veterinaria dell'Oms ha divulgato una campagna di vaccinazione orale delle volpi con esche, iniziata nel 1995 con interessamento di tutti i Paesi dell'Europa Centrale su un'area di 300.000 Kmq. Seguirà lo stesso tipo di vaccinazione per cani randagi e selvatici. Le autorità sanitarie mondiali hanno anche segnalato un aumento di malattie trasmesse da artropodi (pulci, zanzare, zecche), non solo in aree tropicali ma anche nel bacino del Mediterraneo. I Paesi più a rischio sono Turchia, 8700 casi in un anno, Marocco, 839 casi, seguono Algeria, Siria ed Egitto. La Leishmaniosi viscerale (Kala-Azar), zoonosi di cui il cane è serbatoio, può interessare con diversa intensità tutti i Paesi mediterranei; endemica in Tunisia, Marocco e altri Paesi nordafricani, ma anche in altri 60 Paesi di tutti i Continenti. Negli ultimi 5 anni ha causato 40.000 morti con episodi di epidemie in Sudan a seguito di cause ambientali e sociali. Ogni anno sono stimati 600.000 nuovi casi ma con previsioni future molto più gravi. La difficoltà di avere cifre precise è dovuta alle forme sub-cliniche, casi non diagnosticati e non denunciati, ma soprattutto dal fatto che è soggetta a notifica solo in una trentina di nazioni. Nella malattia di Lyme la zecca Ixodes ricinus sembra essere il principale ed unico vettore in Europa. Colpisce in Grecia, Spagna, Francia, Italia e Turchia; habitat potenzialmente pericolosi sono boscaglie, savane, zone fittamente erbose. In Usa la malattia è diventata denunciabile in 49 Stati dell'Unione. Marco Buri


SCIENZE DELLA VITA. MOSTRA A BAGNOLI Energia, ambiente e problema rifiuti
Autore: FERRANTE ANNALINA

ARGOMENTI: ENERGIA, MOSTRE
NOMI: DEL BUFALO SUSANNA
ORGANIZZAZIONI: ENEA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, NAPOLI (NA)

CHE cosa fare concretamente per un uso razionale dell'energia e contribuire alla salvaguardia del mondo in cui viviamo? La risposta a questa domanda è nei 24 pannelli, alcuni dei quali interattivi, della Mostra «Energia per l'Ambiente», realizzata dall'Enea all'interno della Città della Scienza, primo centro italiano interamente dedicato allo sviluppo della cultura scientifica e tecnologica, di proprietà della Fondazione Idis, sorta nell'area del complesso industriale di Bagnoli, a Napoli. «Ogni attività dell'uomo - spiega Susanna Del Bufalo, del Dipartimento Energia dell'Enea e curatrice della mostra - consuma energia e questa energia troppo spesso viene spesa male o può essere prodotta in modo offensivo per l'ambiente. L'obiettivo è quello di indurre ad un cambiamento nei consumi energetici e di stimolare una maggiore attenzione agli effetti inquinanti di un uso indiscriminato delle fonti energetiche». Se consideriamo il consumo mondiale di energia, continua la Del Bufalo, vediamo che «cresce continuamente in corrispondenza del miglioramento del livello di vita e tutti i prodotti e i servizi che usiamo hanno bisogno di energia per essere fabbricati e per funzionare». Solo per fare un esempio Usa e Canada che insieme hanno poco meno del 6% della popolazione mondiale, utilizzano circa il 28% dell'energia consumata nel mondo. Inoltre il 90% dell'energia consumata nel mondo proviene da fonti non rinnovabili come gas e petrolio che bruciando emettono anidride carbonica, il gas che è il maggior responsabile dell'effetto serra. Solo nel 1990 sono stati consumati 8,8 miliardi di tep (unità di misura che indica il calore sviluppato bruciando una tonnellata di petrolio) e si stima che nel 2000 il consumo sarà di 10 miliardi di tep l'anno. In particolare l'Italia, nel 1994, ha consumato energia equivalente a ben 166 milioni di tonnellate di petrolio, quasi tre tonnellate per ogni italiano. L'industria ne ha utilizzato il 31%, i trasporti un altro 33% e il restante 36% è stato impiegato nei consumi civili, cioè riscaldamento degli edifici, elettrodomestici, computer e via dicendo. Un altro elemento che produce effetti nefasti per l'ambiente è la produzione di rifiuti, in continuo e costante aumento: in Europa circa un chilo a testa al giorno. In Italia ben 17,3 milioni di tonnellate di rifiuti domestici l'anno. Se a tutto questo aggiungiamo che la popolazione mondiale, tra il 1950 e il 1990, è praticamente raddoppiata e che per il 2025 si prevedono 8,5 miliardi di abitanti sul nostro pianeta, si può comprendere come questi fattori rappresentino una miscela esplosiva per l'ambiente e la qualità della vita provocando, tra i molti effetti nocivi, inquinamento delle acque, delle città, e un peggioramento dei già gravi fenomeni delle piogge acide, del buco dell'ozono e dell'effetto serra. Oltre ad affrontare complessi temi di carattere generale «Energia per l'ambiente», attraverso un percorso multimediale semplice e divertente, consente non solo di approfondire le conoscenze sull'energia, ma fornisce una serie di indicazioni pratiche su come adottare sistemi di vita che rispettino la natura. Soluzioni, quindi, per una gestione corretta dell'impianto di riscaldamento, dell'illuminazione e dell'uso degli elettrodomestici oltre a quelle relative ad un utilizzo intelligente dei trasporti e dei rifiuti. La mostra rimarrà aperta fino alla fine dell'anno. Annalina Ferrante


FARE UN ERBARIO Conservare fiori, foglie, radici
Autore: M_V

ARGOMENTI: BOTANICA
LUOGHI: ITALIA

FARE un erbario non difficile e pu essere una buona idea per rendere pi utille e interessante le scampagnate estive. Oltre al divertimento, l'erbario potr... avere anche una funzione didattica in quanto sar... possibile osservare le differenze morfologiche e strutturali tra le varie piante. Non avr... le pretese di un erbario «scientifico», ma potrebbe diventare un documento duraturo (le piante essiccate hanno il pregio di rimanere praticamente inalterate, tanto che ancor oggi abbiamo erbari di diversi secoli fa ben conservati), utile per analizzare le modifiche avvenute nel corso degli anni in una particolare area geografica. Fin dall'inizio della raccolta importante porsi dei limiti tematici: scegliere cio un gruppo ristretto di vegetali che abbiano caratteristiche comuni, botaniche e non (appartenenza alla stessa famiglia, un particolare habitat, tipo di foglia...), altrimenti si rischia di perdersi visto che in Italia sono presenti pi di 5000 specie vegetali. Successivamente si potr... sempre ampliare la collezione. Poich risalire alla specie non sempre facile, conviene prelevare contemporaneamente alcune parti significative della pianta che, anche se non verranno inserite nell'erbario, sono indispensabili per l'identificazione (la pi importante il fiore, ma anche frutti, rami, corteccia, radici sono utili). Per le specie erbacee tutto pi semplice perch si preleva la piantina completa di apparato radicale, avendo cura di eliminare subito quanta pi terra si riesce. Conviene anche raccogliere pi campioni della stessa specie per avere disponibili pi particolari anatomici e per poter scegliere, dopo l'essiccazione, quello riuscito meglio. Per la raccolta occorrono: una paletta o un robusto coltellino, forbici, pinzette per le parti fragili, sacchetti di nylon e giornali umidi per la conservazione provvisoria, etichette sulle quali indicare luogo, periodo, habitat, diffusione e ogni altra indicazione utile alla classificazione. Subito dopo la raccolta si asportano eventuali ramificazioni laterali e parti poco significative o danneggiate e si sistemano i reperti nei sacchetti o tra i fogli umidi di giornale per evitare che prima di arrivare a casa si secchino eccessivamente. I sacchetti non devono essere esposti al sole poich la condensa che si crea all'interno pu instaurare processi di marcescenza. E' necessario fare in modo che il campione sia contenuto per intero sulla pagina dell'erbario, eventualmente piegando lo stelo su se stesso oppure tagliando le parti poco importanti o ancora dividendo la pianta e mettendo sullo stesso foglio la parte basale e quella apicale. I campioni vengono posti tra alcuni fogli di carta assorbente (in alternativa, per risparmiare, si possono usare vecchi quotidiani) e impilati uno sopra l'altro; in questa fase si allargano foglie e fiori e si da alla pianta la disposizione definitiva che avr... nell'erbario. Per compensare differenze di spessore si possono inserire, tra un foglio e l'altro, dei pezzetti di carta. La «pila» verr... collocata sotto dei pesi in modo che la pressione sia uniforme in tutti i punti; per la pressatura esistono anche appositi essiccatoi che accelerano il processo. Le piante che seccando tendono a rompersi (aghifoglie, eriche...), possono essere pennellate con colla diluita in acqua. Durante l'essiccazione, soprattutto nel primo periodo, occorre sostituire sovente i fogli assorbenti; per evitare di rovinare le piantine si cambia prima il foglio superiore, si rovescia e si cambia quello inferiore. Intanto si controlla lo stato di disidratazione raggiunto. Il tempo di essiccazione varia da pianta a pianta ma dipende anche dall'umidit... ambientale e dalla tecnica usata. L'essiccazione completata quando, sfiorando i vegetali, non si avverte pi quel senso di frescura che si ha invece in presenza di umidit.... I formati standard di un erbario sono 25x37,5 e 30x46 e lo spessore del foglio quello di un cartoncino (circa 200 g/mq). La composizione della pagina deve risultare gradevole ed eventualmente comprendere bustine con semi e frutti. Conviene fissare le piantine sulla pagina con delle striscioline di carta incollate alle due estremit... o pinzate con uno spillo in modo che in futuro sia facile asportarle. Per finire si completa ogni pagina con il nome della specie, il luogo e la data della raccolta e ogni altra informazione utile. Se le piantine sono perfettamente essiccate e conservate in ambiente asciutto, non dovrebbero svilupparsi muffe. Per i parassiti della carta utile tenere nel freezer per qualche giorno le pagine con i campioni chiuse in sacchetti di nylon; inoltre negli scatoloni dove saranno riposti gli erbari si provveder... a mettere periodicamente un po' di canfora, che ha una buona azione antiparassitaria. Mario Vietti




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