TUTTOSCIENZE 21 maggio 97


IL MISTERO DEL TEMPO Illusione o essenza dell'universo?
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: EPISTEMOLOGIA
NOMI: PLACIDO BENIAMINO, PRIGOGINE ILYA, TIPLER FRANK, GIORELLO GIULIO, TIEZZI ENZO, DE CRESCENZO LUCIANO, ACCORNERO GUIDO
ORGANIZZAZIONI: SALONE DEL LIBRO
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)

SI apre domani al Lingotto il decimo Salone del Libro di Torino: schiera 1368 editori, ha in programma 170 dibattiti, attende almeno 200 mila visitatori. E ruota intorno a un tema ambizioso, sfaccettato, elusivo: l'immortalità. Come sempre, proponendo per il Salone del Libro un tema generale, Beniamino Placido ha inteso offrire uno spunto di riflessione, ma anche delimitare un terreno sul quale possa svolgersi un gioco di società più o meno intellettuale (talvolta anche intellettualistico). La scienza ha saputo stare al gioco. Ospiti del Salone saranno il premio Nobel per la chimica. Ilya Prigogine, che del concetto di tempo ha fatto il perno dei propri studi, e il fisico americano Frank Tipler, che ritiene di poter dimostrare la risurrezione dei morti con le equazioni della meccanica quantistica, la cosmologia e l'informatica. Di fronte al tempo la fisica ha un atteggiamento schizofrenico. I fenomeni fisici più semplici sono indifferenti alla direzione dello scorrere del tempo. Posso filmare il moto dei pianeti intorno al Sole e poi proiettare il film all'indietro invertendo il tempo: la legge di Newton risulterà ugualmente rispettata. Altrettanto vale per i fenomeni nel microcosmo dell'atomo. Da questi punti di vista, il tempo non esiste: Einstein lo definì una «ostinata illusione». Al contrario, se consideriamo fenomeni complessi, bisogna fare i conti con la seconda legge della termodinamica, che stabilisce una direzione del tempo ineluttabile, senza ritorno. La legge in questione può avere varie formulazioni, ma in sostanza afferma che nell'universo l'energia può soltanto degradarsi, fino a una totale uniformità, che è l'equivalente termodinamico della morte biologica. D'altra parte la direzione del tempo è qualcosa di evidente ed essenziale anche in fenomeni come l'evoluzione dalle forme di vita più semplici a quelle più complesse, o l'evoluzione dell'universo dal Big Bang alle attuali galassie in fuga. Per non parlare dello sbiancarsi dei nostri capelli... Fino a pochi anni fa la scienza ha cercato di ridurre tutti i fenomeni, anche i più complessi, a fenomeni semplici. Cioè indifferenti al tempo. Ma oggi - sostiene Prigogine - questa rimozione non è più possibile. Avanzano le scienze della complessità, le scienze del caos. Sabato, alle ore 16, nella Sala dei Cinquecento, Prigogine (che su questi temi ha appena pubblicato da Bollati Boringhieri «La fine delle certezze») ne dibatterà con il filosofo della scienza Giulio Giorello, il chimico-fisico Enzo Tiezzi e con Luciano De Crescenzo, scrittore e divulgatore della filosofia. Quanto a Frank Tipler, potremo ascoltarlo venerdì alle 15; anche lui - ovvio - in margine ad un suo libro molto discusso e discutibile: «La fisica dell'immortalità» (Mondadori). Ma il tema dell'immortalità, più ancora che la fisica, chiama in causa la biologia. Sabato alle 15 Alberto Piazza discuterà di ingegneria genetica con John Harris, Giovanna Melandri, Maurizio Mori e Riccardo Chiaberge; e sul tema si tornerà domenica alle 11, con Boncinelli, ancora Piazza e altri. Infine, una curiosità: persino «Nature» in questi giorni si occupa dell'immortalità, con una inchiesta sociologica svolta nella comunità scientifica americana. Ne riferisce qui accanto Ezio Giacobini. Una pura coincidenza. Ma a Guido Accornero, padre del Salone, farà piacere. Immortalità a parte, comunque, non dimentichiamo i libri scientifici e i giovani lettori. Tra le tante iniziative, segnaliamo, lunedì alle 14,30, «Leggere la scienza» (organizzano Provveditorato, Provincia di Torino e Salone del libro). Piero Bianucci


INCHIESTA SU «NATURE» Lo scienziato non desidera l'eternità Il 64 per cento su un campione di mille ricercatori americani dichiara apertamente il proprio disinteresse per la vita oltre la morte I matematici sono i più inclini a credere in un ente divino, lo scetticismo dei fisici e degli astronomi ha ormai raggiunto quello dei biologi
Autore: GIACOBINI EZIO

ARGOMENTI: EPISTEMOLOGIA
NOMI: JENNINGS BRYAN WILLIAM, LUBA JAMES
ORGANIZZAZIONI: SALONE DEL LIBRO
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)

QUANDO, nel 1916, l'eminente psicologo statunitense James Luba spedì un questionario a mille scienziati americani con la domanda «Credete in un Dio che comunica con l'umanità tramite l'intelletto e il cuore e che si può pregare con la speranza di ricevere una risposta?» non poteva immaginare le conseguenze della sua inchiesta. Non solo provocò uno scandalo di dimensioni nazionali ma i risultati ebbero un notevole impatto politico. Per limitarci alla reazione politica più importante, il senatore democratico William Jennings Bryan, alleatosi con l'ala conservatrice delle organizzazioni cristiane americane, accusò l'inchiesta di rappresentare un'espressione del male delle tendenze moderniste. Così, non solo James Luba, ma molti scienziati delle università americane, davanti all'opinione pubblica, finirono con l'essere ritenuti colpevoli di un tentativo di corruzione della fede dei loro studenti. Che cosa aveva scoperto di così grave, James Luba, da irritare tanto gli animi religiosi? I risultati dell'inchiesta pubblicati a Boston nel 1916 come studio psicologico, antropologico e statistico dimostravano che la maggioranza (60 per cento) degli scienziati americani (uomini e donne) selezionati a caso in varie università dichiarava di non credere in Dio, di dubitare dell'immortalità dell'anima (50 per cento) e di non desiderare affatto di divenire immortale (66 per cento). Basandosi sui suoi dati, James Luba prevedeva inoltre che con il diffondersi dell'istruzione scientifica in tutta la società americana anche l'agnosticismo sarebbe aumentato. Profezia vera o falsa? Nel 1996 due studiosi americani si sono proposti di verificare i dati di Luba con uno studio identico svolto a distanza di 80 anni dal primo. I dati sono ora pubblicati nella prestigiosa rivista scientifica «Nature». La previsione di Luba di un aumento del numero di scienziati non credenti non si è avverata. Paragonando i dati del 1996 di Larson e Witham con i suoi possiamo calcolare che se si mantiene la tendenza degli ultimi ottant'anni occorrerà almeno un secolo per arrivare alla quasi totalità di scienziati agnostici. C'è poi una serie di dati che riguardano il concetto e il desiderio dell'immortalità (guarda caso, proprio il tema del Salone del Libro che sta per aprirsi a Torino). La differenza tra i dati dell'inchiesta di ottant'anni fa e quelli attuali non consiste in un aumento significativo dell'agnosticismo quanto in una diminuzione della credenza, oggi, nell'immortalità dell'anima, con una caduta dal 51 al 38 per cento. Ma ancora più forte è la caduta «di un intenso desiderio di immortalità»: dal 34 per cento al 9 per cento, con il 64 per cento degli scienziati che dichiara apertamente di «non desiderare affatto l'immortalità» (anche se uno degli intervistati commenta: «Però sarebbe bella»). Quest'ultimo quesito punta direttamente al cuore del contrasto tra emotività e razionalità. Malgrado lo scetticismo del 1916, ben il 73 per cento degli scienziati non credenti di allora desiderava l'immortalità mentre oggi questo gruppo è molto più scettico (commento di un intervistato: «Non ha senso desiderare il ridicolo»). Nei risultati delle due inchieste ci sono poi altre interessanti differenze. Tra gli scienziati di oggi i matematici sono i più inclini a credere nel divino (40 per cento) mentre il primato dello scetticismo tocca ai fisici e agli astronomi (78 per cento di non credenti). Questo dato, curiosamente, è molto simile a quello trovato per i biologi nel 1916 (70 per cento di non credenti). Agli inizi del secolo fisici famosi come Lord Kelvin, Eddington e Millikan difendevano pubblicamente la loro fede mentre oggi questo atteggiamento è raro. Ci può forse stupire il crescente agnosticismo degli astrofisici in un periodo nel quale una teoria cosmologica come quella del Big Bang potrebbe portarci verso una visione religiosa naturalista e panteista dell'universo. Altrettanto sorprendente è la relativa stabilità della fede nei biologi se si pensa che nel 1916 il naturalismo evolutivo darwiniano non solo era una eresia dal punto di vista religioso ma era ancora molto dibattuto negli ambienti scientifici. Oggi viene accettato dalla stragrande maggioranza dei biologi di ogni fede, e anche dal Papa. I dati di Luba erano raccolti tra il 20 per cento degli scienziati del tempo mentre quelli di Larson e Witham, data l'enorme espansione della scienza americana, derivano da un campione relativamente più piccolo (mille sui circa trecentomila scienziati che lavorano negli Stati Uniti). Le università americane sono oggi molto più eterogenee per etnicità, credenze religiose, nazionalità e culture diverse delle europee (basti l'esempio dell'Università di Berkeley, dove il 45 per cento degli studenti e il 25 per cento dei professori è di origine asiatica). E' quindi difficile paragonare la situazione americana a quella europea. Essa sembra però confermare i dati di inchieste come quella svolta nel 1969 dalla Commissione Carnegie su sessantamila professori universitari americani: di essi soltanto il 30-40 per cento si ritiene «conservatore dal punto di vista religioso» e va in chiesa con la stessa frequenza della popolazione generale. Ezio Giacobini


LETTERA APERTA AL MINISTRO BERLINGUER Non si vive di sola ricerca applicata Il Cnr deve cambiare, ma salvando gli studi di base
AUTORE: CLEMENTI FRANCESCO, MONATECUCCO CESARE, MELDOLESI JACOPO
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, MINISTRI
NOMI: BERLINGUER LUIGI, BIANCO LUIGI
ORGANIZZAZIONI: CNR
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, ROMA

MINISTRO Berlinguer, abbiamo letto con molto interesse la sua intervista apparsa su «Science». In essa lei affronta con chiarezza una esigenza che tutti gli scienziati italiani ritengono fondamentale e urgente: la riforma della rete scientifica in Italia. Riteniamo giusto che la riforma abbia inizio dal Cnr, un ente prestigioso che oggi si trova però in una profonda crisi, istituzionale e di identità. Siamo d'accordo che anche per il Cnr e per gli altri enti di ricerca non universitari si stabilisca una «mission» che ne caratterizzi le finalità. Siamo, invece, molto preoccupati dalle scelte strategiche. Lei dice chiaramente che «il Cnr non deve fare ricerca di base ma solamente ricerca applicata», ribadendo che la nomina di Luigi Bianco a presidente del Cnr si inserisce in questo piano in quanto «egli ha una lunga esperienza di ricerca applicata». Infine sostiene che la ricerca di base si deve fare soltanto nelle università. A questo proposito vorremmo esprimere con forza il nostro dissenso nei confronti di una visione della ricerca scientifica che rischia di essere guidata da criteri limitati e burocratici. Per illustrare le nostre convinzioni ci serviremo di alcuni episodi, storici e recenti. 1. La distinzione tra ricerca di base e applicata è oggetto di intenso dibattito. Più di cento anni fa Luigi Pasteur insegnava ai suoi ricercatori che la distinzione importante non è tra ricerca di base e applicata, ma tra ricerca di buona qualità e ricerca di cattiva qualità. Ogni osservatore attento sa dei moltissimi casi, anche recenti, nei quali risultati di base si sono trasformati rapidamente, e spesso inaspettatamente, in risultati di grande rilievo sociale ed economico. Basti ricordare lo sviluppo delle biotecnologie nel settore della diagnostica medica e della produzione agraria, le nuove terapie per l'Aids scaturite da ricerche di biologia cellulare, le tecnologie Tac, Pet e Nmr applicate alla medicina di tutti i giorni. La richiesta che oggi l'industria farmaceutica e biotecnologica fa al ricercatore non è quella di condurre nel suo laboratorio il lavoro applicato ma piuttosto quella di fornire spunti, modelli e criteri di base, indispensabili per lo sviluppo di ricerche applicate e competitive. 2. Il Giappone, che è il Paese avanzato forse più attento ai problemi industriali e applicativi, ha recentemente modificato la sua politica scientifica tradizionale. Dopo un approfondito esame dei risultati ottenuti in questi ultimi anni attraverso una politica finalizzata quasi solo alla ricerca applicata, ha cambiato obiettivo, orientandosi soprattutto verso il potenziamento di centri di eccellenza per la ricerca di base. 3. Riguardo all'Italia ci si domanda se davvero la ricerca di base potrà essere proseguita adeguatamente nell'ambito dell'università o se non continuerà il processo di lento ma progressivo ridimensionamento. A prescindere dai problemi di coordinamento, come si potrà fare un lavoro di questa importanza praticamente in assenza di specifici finanziamenti? Infatti i finanziamenti universitari non solo hanno avuto finora un ruolo assolutamente marginale nei campi più caldi della ricerca ma sono stati di recente ridotti. 4. Nel Cnr coesistono tutte e due le anime della ricerca, di base e applicativa. Questo dualismo è un patrimonio importante da preservare, incoraggiandone il coordinamento con opportuni incentivi, quali la brevettabilità e la rimunerazione delle ricerche. Il Cnr può giocare un ruolo strategico fondamentale per il progresso della ricerca nel nostro Paese. Tra gli aspetti che possono essergli attribuiti ricordiamo i seguenti: 1) Programmare e coordinare la ricerca in Italia. 2) Esplorare i settori nuovi della ricerca, che l'università, oberata di didattica e sclerotizzata in discipline accademiche, non riesce a seguire adeguatamente. 3) Potenziare i settori nei quali siano necessari investimenti coordinati di risorse ingenti, difficilmente attivabili in un'area frammentata come la ricerca universitaria. 4) Sviluppare i servizi tecnologici di alto livello cui potrebbe accedere sia l'università, sia l'industria, sia altre organizzazioni pubbliche e private. Si pensi per esempio ai grandi centri di calcolo e alle reti telematiche. Naturalmente per aderire alle nuove prospettive qui riassunte il Cnr deve cambiare. Deve divenire un organismo agile, sia nella struttura scientifica sia in quella burocratica, capace di valutare con flessibilità e rigore le proprie unità di ricerca e i propri ricercatori, e di intervenire in conseguenza; e deve avere una amministrazione snella e decentrata. In conclusione, riteniamo che la riforma della ricerca possa essere affrontato con possibilità di successo solo tenendo conto che la riforma del Cnr deve portare alla valorizzazione dei suoi aspetti positivi, non alla loro eliminazione. E' necessario che vengano stabiliti criteri trasparenti di valutazione della ricerca basati, come in tutti gli altri Paesi avanzati e a livello europeo, sull'opinione di peer reviewers. Soltanto così diventerà possibile distinguere la ricerca buona da quella cattiva e provvedere di conseguenza in termini di finanziamenti. E' necessario che commissioni di esperti internazionali vengano nominate per tutte le strutture di ricerca del Cnr, con funzioni di valutazione e di stimolo per il lavoro di ricerca. E' necessario che le strutture del Cnr vengano rivitalizzate, anche con l'immissione di giovani ricercatori, ferma ormai da troppo tempo. Le condizioni di disinteresse e di sottofinanziamento in cui la ricerca è rimasta per decenni hanno contribuito alle difficoltà che l'Italia incontra in questo periodo storico. Noi crediamo però che una revisione attenta della politica della ricerca, basata soprattutto sulla qualità e sul merito, sarebbe ancora in grado di riportare la comunità scientifica italiana a competere a livello europeo ed internazionale, nel segno delle nostre migliori tradizioni. Francesco Clementi Università di Milano Cesare Montecucco Università di Padova Jacopo Meldolesi Dibit e Università di Milano


SCIENZE FISICHE. COLLEGAMENTO DALLO CSELT Pronto qui Piramide... Scienziati italiani sull'Everest
Autore: RAVIZZA VITTORIO

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: COMI MICHELE, MORO SIMONE, PAGLIANI SILVIA, DA POLENZA AGOSTINO, MARCONI CLAUDIO, VATTA ANDREA
ORGANIZZAZIONI: CSELT
LUOGHI: ITALIA

VENERDI' 16 maggio, ore 11,30. Sul video del laboratorio dello Cselt, estrema periferia Nord di Torino, le immagini sono precise e i colori vivi, anche la voce arriva nitida e forte. Michele Comi, Simone Moro e Silvia Pagliani riferiscono senza enfasi del loro lavoro; tutto appare facile, normale, una banale teleconferenza. Ma qualcosa di speciale c'è: i nostri tre interlocutori si trovano al centro dell'Asia, a 5050 metri, sui contrafforti dell'Himalaya, e, tanto per gradire, fuori infuria da giorni una violenta bufera, che ha causato otto morti tra le numerose spedizioni alpinistiche impegnate sul «Tetto del mondo». Comi, Moro e Pagliani sono tre ricercatori che da tempo lavorano nel laboratorio-osservatorio «Piramide» costruito sulle pendici himalayane nel 1990 nell'ambito del progetto Ev-K2-Cnr ideato e diretto inizialmente da Ardito Desio, al quale è succeduto ora Paolo Cerretelli. E' il laboratorio scientifico più alto del mondo; costruito in territorio nepalese, è appunto una piramide di alluminio e vetro, autosufficiente dal punto di vista energetico e dotata di tutte le normali attrezzature di un laboratorio di ricerca. Fin dalla sua apertura il laboratorio è diventato punto di riferimento per università, istituti scientifici e ricercatori di tutto il mondo, in particolare di quelli nepalesi, pachistani e cinesi, orientandosi specificamente allo studio degli effetti dell'alta quota sull'organismo umano, alla geologia della tormentata regione himalayana, al controllo delle variazioni climatiche attraverso lo studio dei ghiacciai, alle ricerche tecnologiche in un ambiente caratterizzato da ridotta pressione atmosferica, forti escursioni termiche e durissime condizioni meteo. Il collegamento in video e voce in tempo reale in condizioni così estreme è frutto di un progetto studiato dallo Cselt, l'avanzato centri studi sulle telecomunicazioni di Torino, e realizzato insieme con Telecom Italia. Suoni e immagini riprese all'interno della «Piramide» sono codificate in forma digitale e inviate a uno dei satelliti della costellazione Inmarsat collocato a 36 mila chilometri di altezza al di sopra dell'Oceano Indiano, rilanciati verso una delle numerose stazioni di terra (nel nostro caso quella norvegese di Eik), e da qui instradati sulla rete Isdn europea, la stessa che viene utilizzata per le normali videoconferenze, fino all'utente finale. Il sistema è già stato usato, e via via affinato, per collegare la spedizione «Overland» tra novembre '95 e aprile '96 di quattro camion Iveco che da Roma hanno raggiunto New York via terra passando per la Siberia, e per la barca «Telecom Italia» del velista Giovanni Soldini tra giugno e agosto dello scorso anno durante le regate oceaniche «Europe 1 Star» e «Quebec-St Malo». Il collegamento di oggi avviene in un momento cruciale del progetto Ev-K2-Cnr: Comi, Moro e Pagliani sono soli nella «Piramide» perché gli altri (ricercatori dell'Istituto di tecnologie biomediche avanzate del Cnr di Milano, alpinisti del gruppo Ragni della Grignetta di Lecco, Scoiattoli di Cortina, guide alpine valdostane, venete, lombarde, svizzere e francesi) insieme agli sherpa nepalesi, sono sulla montagna, impegnati nel progetto East (Extreme altitude survival test); progetto che prevede la permaneza per due notti di 10 alpinisti al Colle Sud, 8000 metri di quota tra l'Everest (8846 metri) e il Lhotse (8501). Sotto la guida del leader della spedizione, Agostino Da Polenza, sono già stati allestiti due campi base intermedi ma da alcuni giorni il vento violentissimo impedisce di collocare la tenda che dovrà ospitare le cavie umane a quota 8000. Come vanno le cose lassù? Dalla «Piramide» Comi chiama Da Polenza con il walkie-talkie; il capo della spedizione è appena tornato al campo base dal campo 2 a quota 6400 metri. «Stiamo relativamente bene - riferisce -; vedo fuori dalla tenda una forte tormenta. Se il vento non molla avremo delle difficoltà». Si avverte la sua voce rotta, il respiro frequente. La scarsità di ossigeno già al campo base si fa sentire ma le difficoltà aumenteranno rapidamente alle quote superiori, spiega dalla «Piramide» la dottoressa Pagliani, fisiologa dell'Università di Brescia; tutte le cellule del corpo, comprese quelle del cervello, della retina, quelle uditive e olfattive, sono sottoposte a un forte stress. Con il progetto East si vogliono valutare gli effetti dell'ipossia estrema. «E' auspicabile - ha scritto Claudio Marconi, dell'Istituto di tecnologie biomediche avanzate del Cnr di Milano - che da questi studi possano derivare benefici per tutti quei pazienti con insufficienza cardiaca o respiratoria i cui tessuti periferici, e in particolare i muscoli, si trovano in una condizione similare di ipossia cronica, pur vivendo a livello del mare». Il collegamento sta per finire; c'è ancora il tempo per una fantastica visione dei settemila coperti di ghiacciai eterni che circondano la Piramide e per vedere un enorme seracco che si stacca e precipita in una nuvola bianca fino ad avvolgere con il suo pulviscolo ghiacciato lo stesso laboratorio. Sul tema «piramide», da segnalare un recentissimo lavoro di Andrea Vatta, giovane divulgatore scientifico di Trieste, che ha firmato «Il tricolore sul tetto del mondo», una puntuale ricerca sulla stazione scientifica, tra cronaca e storia, dal progetto all'inaugurazione avvenuta nel 1990, alla serie di complessi esperimenti tuttora in corso. Il volume verrà presentato il 21 maggio all'Università di Trieste in occasione di un convegno su «Himalaya e Karakorum», festeggiando anche i cent'anni di Ardito Desio, ideatore del progetto. Interverrà il professor Shams dell'Università del Punjab in Pakistan. Informazioni: 040-37.16.78. Vittorio Ravizza


SCIENZE FISICHE. MATEMATICA Alla ricerca del numero più casuale
Autore: DAPOR MAURIZIO

ARGOMENTI: MATEMATICA
LUOGHI: ITALIA

OGNUNO di noi è in grado di stabilire se un sistema sia ordinato oppure no. La stanza dei nostri bambini, al termine di una domenica piovosa passata in casa a giocare, sarà probabilmente un sistema disordinato. Gli oggetti, i giocattoli, i mattoncini di Lego, le bambole e così via saranno infatti disposti in maniera casuale su tutta la superficie del pavimento, sui tavoli, sulle sedie, sui letti. Dopo che i pargoli si saranno addormentati il lavoro dei loro genitori ritrasformerà la stanza in un sistema ordinato. Al termine di quel lavoro il livello di casualità nella disposizione degli oggetti all'interno della stanza si sarà notevolmente ridotto. Lo stesso vale per una sequenza di numeri. E' piuttosto facile persuadersi del fatto che la sequenza 10101010 è più ordinata della 10011100. Il problema diventa tuttavia più complicato se si desidera fornire una misura del livello di casualità associato alle due sequenze di numeri. O, più in generale, se si desidera confrontare i valori di casualità di sequenze con un elevato valore dell'entropia, o disordine. E', probabilmente, molto difficile esprimere un giudizio su quale, tra la stanza dei nostri bambini e quella delle loro amiche che abitano nella casetta accanto, sia la più disordinata. Di questo problema si sono recentemente occupati due ricercatori - Burton Singer insieme con il matematico free-lan ce Steve Pincus - i quali hanno pubblicato, nel mese di aprile di quest'anno, i risultati della loro ricerca sulla prestigiosa rivista «Procedings of the Natio nal Academy of Sciences». Consideriamo la sequenza dei decimali presenti in alcuni numeri irrazionali, vale a dire quei numeri che non sono esprimibili come il rapporto tra due numeri interi. I due numeri irrazionali più famosi sono forse pi greco = 3,14159... (il rapporto fra la circonferenza e il diametro del circolo) ed e = 2,71828... (la base dei logaritmi naturali). Le sequenze di infinite cifre che costituiscono questi due numeri sono chiaramente due sequenze di numeri casuali. Quale delle due sequenze è più casuale? Secondo il metodo di analisi proposto dai due ricercatori l'ordine di casualità di pi greco è superiore a quello di e. Per esemplificare il metodo utilizzato dai due matematici, ricorriamo alle due sequenze di cifre binarie 10101010 e 10011100. Se una sequenza di cifre è casuale, allora tutte le cifre dovrebbero essere presenti per circa un ugual numero di volte all'interno della sequenza. Le due sequenze binarie che stiamo considerando soddisfano chiaramente questo criterio. Se, tuttavia, consideriamo le cifre due per volta ci accorgiamo che mentre nella prima sequenza compare solo la coppia 10, nella seconda sono presenti sia la 00, che la 01, la 10 e la 11. Per questa ragione l'ordine di casualità della seconda sequenza è superiore a quello della prima. La nostra intuizione sulla superiore irregolarità della seconda sequenza rispetto alla prima trova conferma, dunque, utilizzando il metodo quantitativo di Pincus e Singer. Estendendo questo ragionamento a gruppi di cifre via via più grandi è dunque possibile stabilire quantitativamente l'ordine di casualità di qualunque sequenza di cifre. La questione ha naturalmente interessi che vanno ben oltre l'aspetto puramente accademico. In effetti le sequenze di numeri casuali sono utilizzate in svariati settori applicativi. Le simulazioni al calcolatore di processi fisici quali, ad esempio, quello dell'interazione radiazione-materia utilizzano il cosiddetto metodo di Monte Carlo, una procedura matematica basata sulla generazione automatica di numeri casuali. Anche nella criptografia spesso si tenta di nascondere un messaggio aggiungendo sequenze casuali di cifre binarie tali da rendere il messaggio complessivo quasi casuale. Il metodo proposto dai due matematici consentirebbe di distinguere tra messaggi codificati e rumore casuale. Maurizio Dapor Istituto Trentino di Cultura


SCIENZE FISICHE. ASTRONOMIA POPOLARE Addio cometa Hale-Bopp hai fatto riscoprire il cielo
Autore: PRESTINENZA LUIGI

ARGOMENTI: ASTRONOMIA
NOMI: VANIN GABRIELE
LUOGHI: ITALIA

CI voleva la cometa Hale- Bopp perché gli italiani riscoprissero il cielo notturno. La mobilitazione degli astrofili e di qualche Osservatorio professionale ha trascinato il pubblico e i mass media. Il successo dell'iniziativa «La notte della cometa» è stato notevole su due versanti: quello di avvicinare la gente a un raro spettacolo celeste e quello di riportare un po' di buio nelle strade delle nostre superilluminate città, sensibilizzando opinione pubblica e amministrazioni comunali sui guai e gli sprechi dell'inquinamento luminoso, di cui nemmeno gli ambientalisti fin qui avevano mostrato di accorgersi; questa volta, invece, Legambiente è scesa in campo, almeno là dove è rappresentata. Successo nell'insieme «molto soddisfacente», l'ha definito il presidente dell'Unione astrofili italiani, Gabriele Vanin, lui stesso in prima linea con i gruppi del Friuli e del Triveneto. «Naturalmente - ha aggiunto - dobbiamo tener conto che si trattava di una prima volta, per tutti e anche per noi, che abbiamo avuto l'opportunità di saggiare dal vivo problemi e difficoltà. E' andata così bene che proporremo una "Notte della Luna rossa" in occasione dell'eclissi lunare del prossimo 16 settembre». In effetti, oltre che nel Veneto, notevoli punte d'interesse popolare si sono registrate in Lombardia (Varese, Milano, Tredate, Brescia-Lumezzane e vari altri centri maggiori e minori), a Torino (seimila persone al Lingotto per i 5 telescopi portati dal Gruppo Herschel), Firenze, Roma, Napoli, Campocatino (Frosinone), Palermo, Catania, Caltanissetta e molti altri Comuni siciliani, ad opera di 15 dei maggiori gruppi di astronomi non professionisti. Un solo esempio: in provincia di Catania sono stati 14 i Comuni coinvolti, grazie ai gruppi astrofili del capoluogo e di Giarre-Riposto. Nonostante le bizze del tempo, hanno funzionato in diverse date dal 4 al 24 aprile due postazioni a Catania, una a Motta S. Anastasia, AciCastello, Aci S. Antonio, Acireale, S. Giovanni la Punta, Maletto, Caltagirone, Grammichele e inoltre a Fiumefreddo, Riposto, Giarre, Castiglione, Zafferana. Dappertutto telescopi e binocoli in piazza, interesse vivissimo, scolaresche in moto, code dietro gli strumenti, collegamenti Internet, conferenze di presentazione, foto che andavano a ruba. Talvolta il black- out delle luci stradali è risultato poco più che sinbolico, in altri casi si è esteso ad aree cittadine più vaste; ma l'adesione di principio c'è stata sempre. E intanto a Serra la Nave (Etna Sud), altre code dietro al telescopio messo in opera dall'Osservatorio astrofisico a 1700 metri di quota per 5 serate. Uno sforzo e un coinvolgimento da rinnovare: e che, nell'intero Paese, si è esteso a oltre centomila persone. Ecco perché si dice soddisfatto chi ha lanciato l'iniziativa, non nascondendosene le alee e i problemi pratici; ma contando, a ragione, sull'impatto di un'osservazione non comune, che ha solleticato la curiosità di una quantità di persone, molte delle quali sicuramente non avevano mai sentito dire com'è fatta una cometa. Meno brillante il bilancio per ciò che riguarda i mass media: abbiamo visto buona e talvolta ottima informazione, giornalistica e televisiva, ma anche vuoto ciarpame. Pochi hanno spiegato alla gente che la cometa non «passava» il 5 aprile, ma si sarebbe vista per l'intero mese; altri sono incappati in qualche zero in più, o hanno cercato di rispolverare la fama malaugurosa delle comete, come eran viste sino al Rinascimento. Ma nel pubblico c'era sete di nozioni serie. Non foss'altro che per questo, la Hale-Bopp ha innescato un sano desiderio di conoscenza scientifica, benché in Italia si esca dalle scuole senza un minimo di nozioni d'astronomia. Luigi Prestinenza


SCIENZE FISICHE. TEST A MENDRISIO Con le auto elettriche la Svizzera fa sul serio
Autore: LIBERO LEONARDO

ARGOMENTI: TRASPORTI, ECOLOGIA
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, SVIZZERA, MENDRISIO

DA tempo la Svizzera cerca di favorire la diffusione dei veicoli elettrici: le ragioni ambientali ed energetiche valgono anche in un Paese che di elettricità ne ha da vendere - la vende per esempio a noi - e solo per il 2 per cento prodotta da fonte termica (il 59 per cento è idroelettrico, il 39 elettronucleare). Secondo alcune stime l'8 per cento del parco veicoli elvetico sarà elettrico nel 2010. Convinti che i veicoli elettrici attuali sono già validi, ma non si vendono perché costano troppo, gli svizzeri hanno deciso di offrirli a metà prezzo, grazie a finanziamenti pubblici e a forti sconti ottenuti dai costruttori, che sono stati ben lieti di concederli per i motivi che dirò. Il comune prescelto per l'esperimento, fra i molti che si erano candidati, è Mendrisio, cittadina di 10.000 abitanti, con 4400 veicoli (55 km da Milano). Nel settembre 1994 è così partito il «Progetto VEL - Veicoli Elettrici Leggeri»; progetto che avrà raggiunto il suo primo scopo se entro il 2001 avrà convinto 352 abitanti di Mendrisio a comprare un veicolo elettrico. Il «listino» comprende una ventina di modelli di vetture e di furgoni più un paio di elettro-scooter. L'azione promozionale va tuttavia ben al di là dello sconto, per quanto forte, perché sono anche tenute sotto scrupoloso controllo la qualità dei veicoli e la serietà dell'assistenza post-vendita. A questo fine, data la novità della materia, sono stati organizzati corsi di addestramento sulla propulsione elettrica che i rivenditori locali possono (e in pratica devono) frequentare. Sono stati inoltre previsti parcheggi riservati ai VEL e colonnine di ricarica (gratuita, durante l'esperimento), sia in Mendrisio sia in comuni circostanti come Lugano e Locarno sia, perfino, nel vicino territorio italiano. Data la severità dei controlli, avere un proprio veicolo ammesso al «Progetto VEL» è un riconoscimento ambito dai costruttori e lo è in particolare riguardo al contenimento dei consumi. Esso è infatti uno degli scopi principali del progetto e viene verificato testando i veicoli su uno speciale percorso-tipo. Per fruire del finanziamento pubblico nella misura massima, un'auto non deve consumare più di 200 Wattora al km (come dire 50 km con un litro, considerato il contenuto energetico della benzina) se è a due posti e non più di 250 se è a 4 posti. Un consumo maggiore, purché entro limiti accettabili, non causa l'esclusione, ma comporta una riduzione del finanziamento. I risultati dell'iniziativa, ad aprile 1997: 74 veicoli elettrici venduti (in proporzione, come se a Torino se ne fossero venduti, a privati, oltre 7000) e 25 domande di finanziamento inoltrate. E' stato tale l'interesse suscitato, che due noleggiatori locali hanno totalizzato, dall'inizio dell'anno, 200 noleggi di VEL (in proporzione, come quasi 20.000 a Torino), alla tariffa, non trascurabile, di 38.000 lire al giorno. Per altre informazioni, ci si può rivolgere a Infovel, via Maspoli 15, Mendrisio (Ch), tel. 0041-91.6460606; fax 0041- 91. 6460535; Internet: http://www.tinet. ch/vel. Leonardo Libero


SCIENZE DELLA VITA. SCARABEIDI QUASI SCOMPARSI Una volta i maggiolini... Un terribile flagello per l'agricoltura
Autore: GROMIS DI TRANA CATERINA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

SI raccontano storie terribili sui maggiolini, coleotteri scarabeidi noti con il nome scientifico di Melo lontha melolontha, che ci arriva dai Greci, come suggerisce una battuta della commedia «Le Nubi» di Aristofane: «Aprite un varco al vostro ingegno, lascia telo volare dove più gli aggrada, come la Melolontha legata per una zampa a un filo». Si dice che nel 1574 i maggiolini in Inghilterra furono tanto numerosi da impedire di girare alle ruote di molti mulini. In Irlanda nel 1688 formarono una nuvola così fitta da oscurare il cielo, distruggendo tutta la vegetazione, per cui il paese prese le desolate sembianze dell'inverno. Di giorno il rumore delle loro mascelle pareva quello che si produce segando un grosso pezzo di legno e la sera il loro ronzio sembrava un rullo lontano di tamburo. Gli irlandesi, privati di altro cibo da queste ingorde spaventose creature, furono costretti a cuocerle e mangiarle. Nel 1804 un forte vento fece precipitare nel lago di Zurigo frotte di questi insetti che formarono un banco fitto di corpi sulla sponda. Nel 1841 la città di Macon, in Francia, fu invasa da nuvole di maggiolini che coprivano le strade e si raccoglievano a palate. In Francia nel 1832 legioni di maggiolini aggredirono una diligenza accecando i cavalli che, spaventati, si rifiutarono di proseguire e dovettero essere riportati dal conducente al villaggio. Queste storie si narrano del maggiolino adulto, nel suo stadio immaginale, quello che dura lo spazio di una breve stagione, per il maschio il solo mese di maggio. E' questo il periodo in cui escono dal terreno, voraci divoratori di vegetali di ogni genere, con preferenza per gli alberi a chioma alta delle latifoglie. Le malefiche creature durante il giorno stanno immobili sotto le foglie che saranno vittime delle loro devastanti mascelle, al riparo dal sole che sembra intorpidirle. E al calare delle tenebre spiccano il volo, con quello straordinario modo che hanno i coleotteri, goffi e pesanti: aprono e chiudono ritmicamente le elitre anche per alcuni minuti, per riempire le trachee d'aria, e via verso il bosco, con un monotono ronzio. Dopo una quindicina di giorni la gran fame si placa e, satolli, si dedicano all'amore. Si accoppiano tra le foglie e le erbe, i resti del loro frenetico banchetto. Il maschio sale sul dorso della femmina e unito a lei si lascia cadere all'indietro, rimanendo così sospeso parecchie ore, mentre la femmina resta aggrappata alla pianta. I maschi, facilmente riconoscibili per le antenne che terminano con una mazza costituita da articoli adagiati uno sull'altro, ma apribili come le stecche di un ventaglio, sono di solito i primi ad uscire dal terreno, e sono anche i primi a morire, qualche ora o al massimo qualche giorno dopo l'accoppiamento. Le femmine, dalle antenne bottoniformi, vivono il tempo necessario alla deposizione delle uova. Scelgono il terreno adatto alla sopravvivenza delle larve e delle ninfe, ben concimato, caldo, non troppo umido, e qui scavano un foro profondo da 5 a 30 centimetri e al fondo depongono un mucchietto di uova. Poi risalgono in superficie, scavano un altro foro e ne depongono un altro mucchietto. L'operazione si ripete fino a che vengono deposte da 60 a 80 uova, anche scavando gallerie orizzontali, per non salire più in superficie e per morire sotto terra. Le uova schiudono nel terreno dopo 4 settimane e le larve nascono in piena estate. Sono molto delicate, sensibili agli sbalzi di temperatura e all'eccessiva umidità del terreno. In un primo tempo si nutrono di sostanze umifere e poi di tenere radichette fino all'autunno, quando con il freddo si approfondano e restano inattive nell'inverno. La primavera successiva tornano alla superficie, più grosse e affamate e, sparpagliandosi in ogni direzione, scavano il suolo in cerca di radici più grosse. Così fino al secondo autunno, quando di nuovo tornano sotto terra a vita latente. Nella terza primavera sono grasse e massicce, lunghe 4 o 5 centimetri, biancastre, caratteristicamente piegate a C. Le loro forti mandibole nere lavorano incessantemente attaccando radici di ogni sorta, anche legnose, devastando orti e campi. Nei secoli passati i «vermi bianchi» erano in grado di distruggere ettari di bosco, attaccando le radici degli alberi prima dall'esterno, di modo che inaridivano le gemme corrispondenti a quelle radici, e poi la radice principale, fino a far morire la pianta. Durante l'ultima estate le larve raggiungono il completo sviluppo, e allora scavano nel terreno fino ad un metro e mezzo di profondità per preparare una comoda nicchia in cui in settembre si compie la meravigliosa metamorfosi: diventano ninfe e dopo poco più di un mese, rotto il loro involucro, nascono gli insetti perfetti, gli individui immaginali, dapprima molli e biancastri, poi via via sempre più forti e affamati. In maggio inizia la loro risalita verso la superficie e se la temperatura non subisce sbalzi gli insetti escono dal terreno sempre più numerosi e famelici. Se la temperatura si abbassa gli sfarfallamenti si interrompono e riprendono quando le condizioni atmosferiche diventano più propizie. Il ciclo del maggiolino è dunque, almeno da noi, triennale in pianura; in montagna e nei paesi d'Europa dove la temperatura media è più bassa (inferiore a 9oC) il ciclo dura 4 o eccezionalmente 5 anni. Da noi quindi le «annate dei maggiolini» si dovrebbero avere ogni tre anni, non sempre con uguale intensità, mentre il loro numero dovrebbe essere molto minore negli anni intermedi. Ma chi oggi ha potuto osservare questo terribile esercito? Sono passati i tempi in cui i fulmini della scomunica furono lanciati sui Maggiolini, causa di immani danni e carestie; accadde in Svizzera nel Quattrocento e la condanna del tribunale di Losanna fu che il loro immenso esercito fosse bandito dal territorio. Allora però non esistevano i mezzi per fare eseguire la sentenza e i maggiolini continuarono a vivere indisturbati. I loro pochi nemici naturali, il carabo dorato, alcuni ditteri, uccelli e mammiferi insettivori, sono insufficienti a tenerli a freno. Molto ha fatto l'aratura del terreno con i moderni mezzi agricoli, che contribuisce sicuramente a contenere le fameliche orde delle larve. Anche i pesticidi, i diserbanti e tutti quei prodotti chimici che tanto disprezziamo in nome della conservazione dell'integrità della natura, almeno in questo caso sono serviti a tenere a freno quello che era un vero flagello. La situazione si è ora rovesciata e i pericolosi insetti sono diventati sparuti testimoni delle modificazioni radicali che l'uomo infligge all'ambiente. Con la loro eventuale scomparsa si spegnerebbe un'altra nota nel concerto della natura. Caterina Gromis di Trana


IN BREVE Base del Cnr nell'Artico
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA
ORGANIZZAZIONI: CNR
LUOGHI: ITALIA

E' diventata operativa il 15 maggio la base scientifica «Dirigibile Italia» impiantata dal Cnr al Circolo polare artico, nella Baia del Re, isole Svalbard (Norvegia). La struttura copre 320 metri quadrati e può ospitare otto ricercatori durante tutto l'anno. Le Svalbard ospitano già basi di Francia, Germania, Inghilterra e Giappone.


IN BREVE Vitamina C: non esagerare
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

Benché il premio Nobel Pauling abbia sempre sostenuto l'innocuità della vitamina C (acido ascorbico) ad alte dosi, è stato provato che una quantità superiore a 60 milligrammi al giorno può essere dannosa, specie per quel 10 per cento della popolazione che ha, per motivi genetici, un maggior assorbimento di ferro.


IN BREVE Premio Gambrinus bando 1997
ARGOMENTI: ECOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: PREMIO GAMBRINUS «GIUSEPPE MAZZOTTI»
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, SAN POLO DI PIAVE (TV)

E' stata bandita la quindicesima edizione del Premio Gambrinus «Giuseppe Mazzotti», destinato a libri di ecologia, esplorazione, montagna e artigianato di tradizione pubblicati dal 1o gennaio 1996 al 31 luglio 1997. La segreteria del premio è a San Polo di Piave (Treviso) presso la Biblioteca comunale. Tel. 0422-855.609. La giuria è formata da Danilo Mainardi, Dino Coltro, Paul Guichonnet, Piero Bianucci, Lionello Puppi, Sandro Meccoli, Paolo Schmidt, Italo Zandonella e Antonio Beltrame (segretario).


IN BREVE Cinema scientifico
ARGOMENTI: DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, PARMA (PR)
NOTE: Prix Leonardo

Ultimi giorni per partecipare al Prix Leonardo, il festival del cinema scientifico che si terrà a Parma dal 14 al 18 ottobre. I film devono essere inviati a: Prix Leonardo, via Gramsci 14 - 43100 Parma. Per altre informazioni: 0521-98.20.31.


IN BREVE Internet: atlante di parassitologia
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: FONDAZIONE DENEGRI
LUOGHI: ITALIA

La Fondazione Denegri e la Clinica delle malattie infettive dell'Università di Torino hanno creato su Internet un atlante di parassitologia con 350 immagini riguardanti malattie tropicali. Il sito è destinato a crescere con il contributo di scienziati di tutto il mondo. Indirizzo: http://www.cdfound.to.it


IN BREVE Dottori ambientali: pagine gialle
ARGOMENTI: ECOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: PAGINE GIALLE
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

I laureati in scienze ambientali che desiderano essere inseriti nelle «Pagine gialle dei dottori ambientali» promosse dalla Fondazione Lombardia per l'ambiente possono inviare, entro il 30 maggio, una sintesi della loro tesi e i propri dati a Rosa Maria Panattoni, Foro Bonaparte 12, Milano. Per informazioni: 02-876.716.


SCIENZE DELLA VITA. DEFIBRILLATORI Il cuore elettrico Tecnologia dei pacemaker
Autore: PELLATI RENZO

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, MEDICINA E FISIOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: SORIN BIOMEDICA, FIAT, CNR
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Il prototipo di cuore meccanico «Progetto Icaros»; T. LE CARATTERISTICHE DEL PROTOTIPO DI CUORE MECCANICO «ICAROS» = ==================================================================== PESO: 550 grammi PORTATA: 12 litri di sangue al minuto POTENZA: 13 watt BATTITI IN UN ANNO: 50 milioni GIRI DELLA VITE MOTORE: 4 milioni al giorno REGOLAZIONE: tramite centralina elettronica MATERIALI: Poliuretano (camere ventricolari), carbonio pirolitico e stellite (valvole), altri materiali speciali (collegamento con vene e arterie) --- FUNZIONAMENTO: L'albero motore, a vite senza fine, aziona i piattelli che comprimono alternativamente le pareti per pompare il sangue = ====================================================================

IL primo pacemaker fu applicato il 6 giugno del 1960 da Chardack e Gage all'ospedale di Buffalo: oggi se ne impiantano 500.000 l'anno in ogni parte del mondo. Da questa scoperta sono nate aziende come la Medtronic di Minneapolis che occupa 12.000 dipendenti, 22 centri di ricerca, 31 centri di produzione sparsi in tutto il mondo. Gli apparecchi attuali, sempre più miniaturizzati, sono in grado di aiutare il medico nella diagnosi, oltre che nella cura dei disturbi cardiaci, grazie a sofisticate tecniche di rilevamento. Di recente sono stati introdotti dei cateteri molto sensibili che registrano la conduzione elettrica in vari punti del tessuto cardiaco. Un algoritmo analizza (e conserva in memoria) tutti i segnali provenienti dal cuore controllando i battiti alla ricerca di segnali di tachiaritmia imminente, ossia di un aumento del ritmo cardiaco, pericoloso per la vita del paziente. La «tachicardia ventricolare» è una condizione in cui il cuore batte troppo rapidamente o presenta un fremito incontrollato (fibrillazione ventricolare) che spesso conduce a morte improvvisa. Le aritmie sono anomalie del ritmo o della frequenza del battito cardiaco, causate da alterazioni degli impulsi elettrici che si propagano nel cuore. Dopo un infarto, un'area di cellule cardiache non viene più irrorata. Le cellule che muoiono originano una cicatrice e intorno ad essa ci sono cellule che si mantengono attive, ma originano o conducono impulsi elettrici in maniera anormale. Così il paziente presenta una serie di sintomi: battito accelerato, svenimenti, capogiro, difficoltà a respirare, dolore al petto. Le fibrillazioni ventricolari, invece, sono caratterizzate dalla perdita di coscienza. Oggi è possibile interrompere i disturbi ripristinando il normale ritmo cardiaco grazie alla terapia elettrica (defibrillatore) che deve essere somministrata con immediatezza, al sorgere dell'episodio. Nella stimolazione antitachicardica, il defibrillatore eroga impulsi elettrici di bassa intensità, per pochi secondi, e il paziente in genere non li avverte. In caso di fibrillazione ventricolare la scossa può essere più forte. I primi defibrillatori pesavano circa 300 grammi ed erano sistemati nella cavità addominale con un vero e proprio intervento di cardiochirurgia. Oggi i defibrillatori pesano al massimo 100 grammi e grandi come una scatola di cerini: il catetere con il cavo elettrico raggiunge il cuore attraverso le vene. Con i nuovi sistemi inoltre, lo shock non è più fisso, ma varia a seconda della reale necessità. Renzo Pellati


SCIENZE DELLA VITA. GENETICA Attenti al prediabete Rischio elevato di ereditarietà
Autore: DI AICHELBURG ULRICO

ARGOMENTI: GENETICA
LUOGHI: ITALIA

IL diabete colpisce oltre 140 milioni di persone nel mondo: è dunque uno dei maggiori problemi della salute. Su dieci pazienti nove hanno il diabete di tipo 2 o non-insulino dipendente, indicato con la sigla Dnid, che inizia in genere dopo i 40 anni (il diabete di tipo 1 o insulino-dipendente, indicato con la sigla Did, è invece giovanile). In Italia il Dnid colpisce circa il 2 per cento della popolazione provocando complicazioni quali insufficienza coronarica, lesioni arteriose degli arti inferiori, lesioni della retina, dei reni, del sistema nervoso. A causare il Dnid intervengono molti fattori, ambientali (superalimentazione, sedentarietà, sovrappeso) e genetici, strettamente associati. Negli ultimi tempi le ricerche di genetica hanno avuto grande sviluppo. Le indagini epidemiologiche e le tecniche di biologia molecolare hanno consentito di individuare casi di Dnid nei quali agisce un solo gene, quindi a trasmissione mendeliana, e altri casi, più numerosi, nei quali agiscono parecchi geni. Si è visto che questi geni diabetogeni si esprimono soltanto in presenza di un ambiente sfavorevole. In altre parole i fattori ambientali provocano il diabete soltanto quando siano presenti anche i fattori genetici. La maggior parte dei geni del Dnid non sono ancora stati individuati, ma cose interessanti si sono apprese per esempio su un gene situato nel cromosoma 7, regolante la glucochinasi, enzima chiave del metabolismo del glucosio. Un altro gene è nel cromosoma 12, un terzo nel cromosoma 20. Alcuni genetisti hanno iniziato l'esplorazione completa del genoma di famiglie diabetiche allo scopo di localizzare, e poi clonare, i geni associati al diabete (vedi L. Hashimoto, C. Habita, J. P. Beressi e altri, «Nature», 1994). Quali conseguenze pratiche si possono attendere dal chiarimento dei meccanismi molecolari alla base del Dnid? Il principale beneficio dovrebbe riguardare la messa a punto di nuove cure efficaci. A parte la dieta, che è la base del trattamento, gli attuali medicamenti per via orale sono le biguanidi, i sulfamidici ipoglicemizzanti e gli inibitori dell'alfa-glucosidasi. Di solito non occorrono iniezioni di insulina, indispensabili invece nel Did, diabete insulino-dipendente. Nel Dnid, come abbiamo detto, il ruolo dell'ereditarietà è indubbio. La concordanza quasi assoluta della comparsa del diabete nei gemelli monozigoti, e il rischio elevato, quasi del 40 per cento, di diventare diabetici se è diabetico un genitore, sono testimoni del carattere genetico della malattia. Una glicemia a digiuno che risulti più volte superiore a 1,4 per mille, e uguale o superiore a 2 per mille due ore dopo la somministrazione per bocca di 75 grammi di glucosio, testimoniano l'esistenza del Dnid. Questi esami dovrebbero sempre essere eseguiti in coloro che hanno antecedenti famigliari di diabete. Questi stessi esami, quando il risultato sia glicemia normale a digiuno ma fra 1,4 e 1,99 due ore dopo la somministrazione di glucosio per bocca, permettono di fare diagnosi di intolleranza al glucosio, ossia di un «prediabete» che può evolvere entro alcuni anni verso un vero e proprio Dnid. Ulrico di Aichelburg


SCIENZE A SCUOLA. IL NASTRO DI MOEBIUS Stravagante burla della geometria Inventato nell'800 dall'astronomo e matematico tedesco
Autore: BO GIAN CARLO

ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA
NOMI: MOEBIUS AUGUST FERDINAND
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Costruzione di un nastro di Moebius

UNA striscia ritagliata da un foglio di cartoncino ha la sua identità: una facciata anteriore e una posteriore, un sopra e un sotto. Si dice che è orientabile. Se ne incolliamo le estremità otteniamo un nastro che ha ancora un bordo superiore e uno inferiore; due superfici, una interna e una esterna. Un dito, scorrendo lungo il bordo inferiore, fa tutto il giro percorrendo ovviamente soltanto il bordo inferiore e analogamente succede per il bordo superiore: il nastro è ancora orientabile. Ora incolliamo le estremità avendo dato un mezzo giro di torsione. Da qui in poi è richiesta la massima cautela perché stiamo palpando un nastro di Moebius fresco di fabbrica, stravagante burla della geometria. Anche se è un po' ritorto, sembra logico pensare che il nastro di Moebius conservi le caratteristiche del nastro precedente: due facce, due margini e così via. Proviamo. Segnato un punto qualsiasi su un bordo facciamo di nuovo scorrere il dito prescelto: arriveremo sempre al punto di partenza. Proviamo anche a tracciare una linea continua - nel bel mezzo - nel senso della lunghezza del nastro: arriveremo sempre al punto di partenza. Il nostro moebius è diventato dunque un nastro con una sola superficie e un solo margine. Abbiamo costruito un paradosso topologico: il mezzo giro si è mangiato un margine e una superficie. Curiosità, genio, stregoneria geometrica, duri inverni del Nord e (sono convinto) emicranie mitteleuropee concorsero verso la metà del XIX secolo a far descrivere ad August Ferdinand Moebius, astronomo e matematico tedesco, le strane proprietà del semplice nastro che da allora porta il suo nome. Forbici. Sezioniamo il moebius a metà, per tutta la lunghezza (è già tracciata) Fino all'ultimo ci aspettiamo di ottenere due nastri. Invece ne ricaviamo uno solo, ritorto con 4 giri di torsione, ma non è più nastro-di- moebius perché ha due superfici e due margini. Altro che emicrania: se tagliamo ancora questo nastro-non- di-moebius per la lunghezza, e speriamo di trovarne uno più lungo, sbagliamo clamorosamente: non avreno un nastro più lungo ma due concatenati. Se non sembra abbastanza strabiliante proviamo a sovrapporre due strisce e a fare un doppio nastro, sempre alla Moebius. Controlliamo che siano veramente due nastri facendovi scorrere uno stecchino e verificando che tra le due strisce ci sia sempre spazio. Ora segniamo un punto di partenza. Tenendo i due nastri con la mano sinistra, con un pennarello incominciamo a pitturare il bordo superiore destro dell'anello interno. Alla fine del primo giro la punta del pennarello sarà sì dalla parte opposta ma sul lato interno del nastro superiore. Ritorneremo al punto di partenza dopo due giri del doppio nastro. E qui si scopre l'amara verità: siamo dei bugiardi perché non è vero che sono due nastri, uno dentro l'altro, come avevamo invece verificato in partenza. Gian Carlo Bo


SCIENZE A SCUOLA. CITTA' D'ACQUA Venezia in Cd-rom Un immenso archivio che contiene tutti i parametri della laguna: ecosistema, elementi di crisi, gli interventi, il quadro finanziario
Autore: ANTONETTO ROBERTO

ARGOMENTI: ELETTRONICA, INFORMATICA
NOMI: FACCIOLI FLAVIA
ORGANIZZAZIONI: CENTRO INTERNAZIONALE «CENTRO D'ACQUA»
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, VENEZIA (VE)

DELLA laguna di Venezia si può ben dire che è ancora sconosciuta, anche se è la più celebre del mondo. Da trent'anni, cioè dalla disastrosa «acqua alta» del 4 novembre 1966, i mali di Venezia hanno dato vita al più colossale laboratorio di diagnosi e al più imponente dibattito scientifico e tecnologico che mai si sia coagulato intorno ad una città. Ma questo enorme magazzino informativo non era stato portato a disposizione dell'opinione pubblica in modo globale e sistematico. Lo si fa ora con un Cd-rom ideato da Flavia Faccioli. Un cofanetto con due dischi, zeppi di 950 Mb, 4000 immagini, 40 tra filmati e animazioni, 100.000 parole di testo, è appena uscito a cura del Centro Internazionale «Città d'Acqua». Anche chi conserva la preferenza per il libro rispetto ai Cd- rom, deve ammettere che questa volta è stato realizzato lo strumento più avvincente per navigare nell'arcipelago di argomenti che sta dietro il titolo «Laboratorio Venezia '66-96». Quattro i settori principali: L'ecosistema, Gli elementi di crisi, Il sistema degli interventi, Il quadro finanziario, legislativo attuativo. Ne discendono, a grappoli intercomunicanti, i dolori e le speranze della laguna veneta. Ognuno li può visualizzare sul monitor seguendo un numero illimitato di percorsi personali. Per esempio può farsi delineare dal computer l'intero quadro dei fenomeni di degrado: subsidenza, eustatismo, erosione dei litorali, alterazioni della morfologia lagunare, acque alte eccezionali, traffico petrolifero, inquinamento e via lamentando. Oppure può esplorare per «oggetti» i 55 mila ettari del bacino lagunare: i canali, i rii, le isole, le barene, le valli da pesca, le casse di colmata, le bocche di porto, i 46 chilometri di litorale che costituiscono il fragile cordone fra mare Adriatico e laguna, la vegetazione e la fauna. Insomma, una enciclopedia da «cliccare» pressoché all'infinito e nello stesso tempo un ennesimo atto di fede nel futuro di Venezia. Nel quale hanno i loro doverosi spazi anche gli interventi che pure sono stati fatti o sono in corso per la salvaguardia della laguna, nonostante i ritardi, le inadempienze e le logoranti discussioni. Il cofanetto con i 2 Cd-rom sarà inviato a casa di chi lo richieda al «Centro Internazionale Città d'Acqua», S. Marco 4403/A - 30124 Venezia (tel. 041-522.35.09, fax 528.61.03) al prezzo di 30.000 lire. Roberto Antonetto


SCIENZE A SCUOLA. COME FUNZIONA IL SONAR Onde acustiche sottomarine Impulsi sonori che riverberano quando incontrano un ostacolo
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Come funziona il sonar

IL termine sonar deriva dall'espressione inglese Sound Navigation and Ranging, cioè navigazione e localizzazione con mezzi acustici; esso indica un'apparecchiatura largamente impiegata in molte attività nautiche o più genericamente subacquee, sia in campo civile sia militare, che utilizza la riflessione di onde sonore per individuare la presenza di oggetti sommersi o per definire la forma e la profondità dei fondali. Il primo sonar acustico subacqueo fu realizzato nel 1942 dal fisico americano Frederick Hunt nel laboratorio di acustica sottomarina dell'università di Harvard sulla base di studi sulla riverberazione iniziati fin dal 1934, studi che avevano dimostratro come in acqua una parte dell'energia di un'onda sonora ritorna alla sorgente quando incontra un elemento che ne interrompe la regolare propagazione. In sostanza il principio di funzionamento è simile a quello del radar salvo che, al posto delle onde elettromagnetiche, utilizza onde acustiche (che in acqua si diffondono a grande velocità e a grande distanza). Impulsi sonori vengono lanciato in tutte le direzioni; se le onde incontrano un ostacolo ne vengono riflesse rimbalzando verso la fonte che le ha emesse; registrate, analizzate e riportate su uno schermo forniscono un'immagine sommaria dell'oggetto o del fondale e consentono di stabilirne la distanza con grande precisione. Molto utilizzato nelle fasi finali della seconda guerra mondiale, da allora le applicazioni del sonar si sono moltiplicate: è un ausilio indispensabile per la navigazione in acque poco profonde e poco conosciute, è utilizzato per cercare relitti affondati (come nel caso della nave albanese colata a picco nel braccio di mare di Otranto, della quale si tenterà il recupero) o banchi di pesci nella pesca d'altura. In campo bellico è il principale mezzo per la lotta contro i sottomarini ma è anche utilizzato per la guida dei siluri. 1. Il generatore di impulsi del sonar è solitamente istallato al di sotto della nave 2. Impulsi prodotti dal sonar3. Eco rimandata da un oggetto 4. Generatore di impulsi sonar. Installato sotto il livello dell'acqua invia le onde sonore e capta le onde riflesse 5. Le informazioni sono trasmesse via cavo o fibra ottica 6. Processore. Traduce i segnali in forma elettronica e li invia al monitor 7. Monitor. Visualizza le immagini degli oggetti individuati dal generatore di impulsi 8. Le onde sonore sono emesse da un cristallo piezoelettrico posto nella testa trasduttrice. Tale cristallo quando viene attraversato da una corrente elettrica alternata emette vibrazioni che provocano onde sonore. Lo stesso cristallo, con un procedimento inverso, capta le onde riflesse; queste infatti lo mettono in vibrazione e ciò provoca l'emissione di un segnale elettrico 9. Motore. Fa ruotare la testa del sonar di pochi gradi alla volta; ad ogni scatto il sonar emette una serie di onde sonore e quindi rimane immobile per il tempo sufficiente a captarne l'eco 10. Scheda contenente i circuiti elettronici. Essi regolano l'emissione dei segnali e la registrazione delle onde riflesse, il trasferimento delle informazioni al processore e controllano il motore 11. Carenatura pressurizzata riempita di olio 12. Regolatore di pressione. Consente di regolare la pressione all'interno della carenatura per adeguarla all'aumento della pressione esterna a mano a mano che il sonar scende in profondità. Ciò per impedire che la carenatura venga schiacciata 13. Collegamento con il processore a bordo della nave 14. Il sonar può essere installato sulla carena di un'imbarcazione o a bordo di un'apparecchiatura sottomarina indipendente 15. Sonar installato su un mezzo sottomarino telecomandato 16. Sonar installato entro un cilindro di acciaio inossidabile trainato mediante un cavo da un'imbarcazione.




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