TUTTOSCIENZE 2 aprile 97


WESLEY CONTRO HEISENBERG Violato il principio d'incertezza? Veniva scoperto esattamente settant'anni fa
Autore: OREFICE ADRIANO

ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA
NOMI: HEISENBERG WERNER, BOHR NIELS, J.P. WESLEY
LUOGHI: ITALIA

ESATTAMENTE settant'anni fa, nel 1927, veniva formulato dal fisico tedesco Werner Heisenberg - nell'ambito della nascente meccanica quantistica - il famoso «principio di indeterminazione» o «di incertezza». Per inquadrarne il contenuto e il significato, si supponga (le cose non vanno poi tanto diversamente) che per misurare posizioni e velocità di un corpo si debba, man mano, «sparargli» addosso dei proiettili, risalendo poi dalla rilevazione delle loro deviazioni alla descrizione del moto studiato. Se i proiettili sono piccoli e poco energici, e se il corpo è molto massiccio, i suoi stati fisici non saranno troppo disturbati dal processo di osservazione, e la descrizione risulterà pienamente soddisfacente. Via via che il corpo osservato diminuisce di massa e volume, però, è chiaro che le sue posizioni e velocità cominceranno ad essere sempre più alterate dall'impatto con i proiettili stessi. Dato poi che i proiettili disponibili (i fotoni) hanno la proprietà che più «piccoli» sono (e atti quindi a determinare con precisione la posizione del corpo) più sono energici (e tali perciò da perturbarne, colpendolo, la velocità) esisterà un limite alla possibilità di conoscere con precisione lo stato fisico (di posizione e moto) di un corpo microscopico. E' questa la sostanza del principio di indeterminazione, o di incertezza, nella forma «ingenua» intuita da Heinsenberg (allora venticinquenne) nel 1927. Si sarà notato che (anche se l'atto della misurazione tende a disturbare le proprietà fisiche osservate) Heisenberg non metteva minimamente in dubbio il fatto che tali proprietà esistessero. L'interpretazione di Heisenberg doveva però cambiare presto drasticamente, sotto l'influsso del ben più anziano e agguerrito Niels Bohr. Ecco i diversi stadi del progressivo mutamento concettuale. Primo stadio: «Se c'è un limite alla misurabilità della realtà fisica, allora tale realtà, oltre quel limite, potrebbe anche non esistere». Secondo stadio: «Tale realtà è perciò una nostra astrazione, e non esiste affatto». Terzo stadio: «Se, sotto il livello di osservabilità stabilito da Heisenberg, si verificassero eventi abitualmente ritenuti inaccettabili (come la comparsa di energia dal nulla) tali eventi non potrebbero (ovviamente]) essere osservati». Quarto stadio: «Quindi tali eventi potrebbero anche verificarsi. Anzi, devono farlo (sia pure entro un'ampia gamma di possibilità virtuali) sennò la certezza della loro assenza sarebbe in contrasto col principio di indeterminazione». Questa versione del mitico Principio è alla base di molta della fisica più avanzata e della moderna cosmologia: oggi si sospetta che l'universo stesso sia scaturito da una fluttuazione clandestina del nulla (il cosiddetto «vuoto quantico»). Premesso tutto ciò, è interessante riferire che sul numero di settembre (1996) della rivista «Physics Essays» è apparso un articolo dell'americano J. P. Wesley, dall'inquietante titolo «Failure of the Uncertainty Principle». In un linguaggio piano e suggestivo l'articolo riporta tutta una serie di esempi chiari e, almeno apparentemente, convincenti (basati sull'atomo di idrogeno, sul decadimento radioattivo, su microscopi ottici e a scansione, su apparecchi radio e su altri semplici sistemi fisici) in cui il Sacro Principio viene, e di gran lunga, violato. Dell'abituale «Via Crucis» percorsa da ogni lavoro innovativo ma scomodo (prima fase: non essere accettato per la pubblicazione; seconda fase: venire ignorato dalla comunità scientifica internazionale; terza fase: divenire oggetto di una seria discussione), l'articolo di Wesley ha superato la prima prova. Inviato nel 1994, l'articolo è stato lungamente vagliato dai recensori, che gli hanno dovuto infine accordare l'im primatur. Siamo ora in viva attesa delle fasi successive. Ma se gli «scandalosi» esempi del terribile Wesley non verranno colti in fallo, la fisica non sarà più la stessa. Adriano Orefice Università di Milano


SUDDIVISIONE DI UN SEGMENTO... Ancora altre soluzioni Dai lettori nuovi procedimenti
Autore: PEIRETTI FEDERICO

ARGOMENTI: MATEMATICA
LUOGHI: ITALIA

ALCUNI lettori hanno scritto o telefonato per segnalare nuove soluzioni al problema risolto dai due giovani studenti americani, Dave e Dan, di cui avevamo dato notizia su «Tuttoscienze» del 19 febbraio scorso. Sono costruzioni che partono sempre da un rettangolo avente come base il segmento da dividere in un dato numero di parti uguali. Purtroppo è impossibile riportare le numerose pagine relative alle diverse dimostrazioni, ma vogliamo ringraziare, per il loro interesse al problema, Bruno Sulotto e Stefano Turato di Torino, Paolo Boggio Togna di Ventimiglia, Claudio Bruzzone di Albisola Marina (Savona) e Piero Brunet di Introd (Aosta). Riportiamo soltanto un cenno al procedimento seguito da Piero Brunet, simile a quello trovato da altri lettori (una dimostrazione è arrivata senza firma). Il procedimento dei due giovani americani risolve separatamente la suddivisione del segmento in un numero pari oppure in un numero dispari di parti uguali mentre il nuovo procedimento risolve il problema per un numero qualsiasi di parti. La figura illustra chiaramente il nuovo algoritmo, che presentiamo con il consenso del suo autore. Lasciamo ai nostri lettori, e in particolare allo studente interessato, il compito di dimostrare, attraverso la similitudine di triangoli facilmente individuabili, che (vedi figura) e così via. Federico Peiretti


SCIENZE A SCUOLA. I PATRIMONI DELL'UNESCO I tesori dell'umanità Oltre 500 siti protetti in più di cento Paesi
Autore: GIULIANO WALTER

ORGANIZZAZIONI: UNESCO
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T.

COMPIE 25 anni l'impegno dell'Unesco - l'organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura - nel campo della conservazione del patrimonio mondiale. Natura, storia, cultura. L'eredità lasciata dall'uomo nel corso della sua avventura sul pianeta e l'ambiente nel quale essa si è potuta sviluppare va tutelata, preservata per il futuro. Il patrimonio mondiale dell'umanità è sotto controllo speciale dal momento in cui, nel novembre 1972, a Nairobi, fu adottata la Convenzione per la protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale. A occuparsi del vasto progetto di inventario di questi beni è stata chiamata l'Unesco. Un impegno al tempo stesso materiale e spirituale, di grande delicatezza, con l'obiettivo di fare dell'intera umanità non solo l'erede ma anche la custode del patrimonio ambientale e monumentale del pianeta. La lista del «patrimonio mondiale» è ricca di 506 beni, suddivisi in 380 siti culturali, 107 naturali e 19 siti misti, situati in 107 Paesi. Si è appena arricchita di 37 nuove ammissioni decise, come ogni anno, da una speciale commissione riunita a Merida (Messico) nel 1996. Si tratta di uno scrigno di bellezze naturali, artistiche, architettoniche, paesaggistiche, monumentali che rappresentano un capitale insostituibile, spesso indispensabile al mantenimento stesso della vita sul pianeta. E che nonostante ciò è minacciato quotidianamente dall'azione irresponsabile degli uomini che troppo poco fanno per tutelarlo, difenderlo dall'azione distruttiva delle guerre, da quella non meno preoccupante del crescente inquinamento, oppure dell'urbanizzazione accelerata e del turismo di massa. L'idea fondante dell'Unesco è che questo patrimonio travalica l'interesse e le competenze dello Stato sul cui territorio si trova l'opera da tutelare, per diventare competenza dell'intera umanità. Dunque la conservazione e la valorizzazione di questo patrimonio comune richiede l'attiva cooperazione internazionale e i singoli stati sono incoraggiati e sostenuti sul piano legislativo, tecnico, finanziario e amministrativo dalle iniziative dell'Unesco. Uno specifico comitato, costituito da una ventina di rappresentanti degli oltre 140 Stati che hanno ratificato la convenzione, valuta annualmente i beni candidati a essere iscritti nella lista e proposti dai singoli Stati che contestualmente impegnano in primo luogo se stessi nella salvaguardia del sito. Se questo sarà accolto nella lista potrà inoltre contare sull'aiuto dello specifico fondo istituito dalla convenzione e mantenuto grazie ai contributi degli Stati membri e a donazioni di privati e istituzioni che consentono di fornire supporti materiali, tecnici o in materia di formazione professionale per personale specializzato. I beni inseriti in questa «mappa delle meraviglie» comprendono, per quanto riguarda la sezione cultura, i monumenti propriamente detti, dalle opere di architettura, pittura e scultura, ai reperti archeologici, alle incisioni rupestri, agli insiemi di edifici e, dal 1993, anche i cosiddetti «paesaggi culturali». La voce «patrimonio naturale» raccoglie invece i monumenti naturali costituiti da formazioni fisiche e biologiche o loro raggruppamenti, significativi sotto l'aspetto estetico o scientifico, le formazioni geologiche e fisiografiche, nonché le zone che rappresentano gli habitat di specie animali e vegetali minacciate che abbiano valore scientifico o per la conservazione. Per entrambe le grandi categorie è inoltre indispensabile il carattere di valore universale eccezionale. Questo è stato definito, nell'ambito degli orientamenti operativi della convenzione messi a punto per valutare il patrimonio mondiale, ricorrendo a specifici criteri. Perché un sito possa essere inserito nella lista del patrimonio mondiale, e accedere al fondo internazionale di intervento, dovrà rispondere ad almeno uno dei criteri. Per i beni culturali sono sei: 1) rappresentare un risultato artistico o estetico unico: 2) aver esercitato un'influenza notevole sugli sviluppi successivi nel campo dell'architettura o delle arti; 3) essere la testimonianza eccezionale di una tradizione o di una cultura; 4) figurare tra gli esempi più caratteristici di un tipo di struttura; 5) rappresentare un esempio eccezionale di un insediamento tradizionale; 6) essere associato con eventi o con tradizioni di importanza universale fuori della norma. Le direttive specificano inoltre che il sito deve qualificarsi per la sua autenticità e carattere originale in rapporto alla o alle culture di cui è espressione e deve essere autentico nella sua forma, nei materiali, nelle tecniche di lavorazione in relazione al suo contesto. I criteri per la selezione dei beni naturali sono quattro: 1) essere esempi rappresentativi dei grandi stadi della storia della Terra, comprese le testimonianze della vita, dei processi geologici in corso nello sviluppo delle forme terrestri o elementi geomorfici o fisiografici di grande significato; 2) essere rappresentativi dei processi ecologici e biologici in corso durante l'evoluzione e lo sviluppo degli ecosistemi e delle comunità di piante e animali terrestri, acquatiche, costiere o marine; 3) rappresentare fenomeni naturali o aree di una bellezza naturale e di una importanza estetica eccezionale; 4) contenere gli habitat naturali più rappresentativi e importanti ai fini della conservazione in sito della diversità biologica, ivi compresi quelli in cui sopravvivono specie minacciate di grande importanza per la scienza o la conservazione. Vedremo prossimamente, in dettaglio, alcuni esempi rappresentativi di questi tesori dell'umanità. Nel disegno sono segnati solo alcuni dei tanti luoghi protetti in Europa. Ricordiamo che in Italia i siti sotto l'egida Unesco sono solo sette: le incisioni rupestri in val Camonica, Santa Maria delle Grazie a Firenze e il centro storico, Venezia, piazza del Duomo a Pisa, e i centri storici di Roma e di San Geminiano in Toscana. Tra i posti più famosi in elenco e segnati sulla cartina: i menhir di Stonehenge in Gran Bretagna; Mont St. Michel e le cattedrali gotiche di Amiens e Chartres (Francia); le grotte di Altamira e la cattedrale di Burgos (Spagna), i centri storici di Varsavia e Cracovia (Polonia), la città di Budapest; la Medina di Tunisi e l'anfiteatro romano di El Djem (Tunisia); i parchi naturali del Tassili N'Ajer e l'oasi di Tadrart (Sahata algerino). Le rovine romane di Cirene in Libia; il Monte Athos, Delfo ed Epidauro (Grecia), la città vecchia di Istambul. Walter Giuliano


La grande COMETA i giorni dello show La rivedremo fra tremila anni
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA
ORGANIZZAZIONI: NASA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: Cometa Hale-Bopp

IERI, 1o aprile, alle 5 e 20 ora italiana, la cometa Hale-Bopp ha circumnavigato il Sole. Invertita la rotta, sta ora dirigendosi un'altra volta verso l'esterno del sistema planetario. Il punto dell'orbita più vicino al Sole, il perielio, lo ha raggiunto a 136 milioni di chilometri dalla nostra stella. Il più lontano, l'afelio, è a 60 miliardi di chilometri, dieci volte più lontano di Plutone. Un lungo viaggio attende dunque l'astro che vediamo splendere nel cielo della sera. Il periodo orbitale era di 4200 anni quando Hale e Bopp il 22 luglio '95 fecero il primo avvistameto. L'influsso gravitazionale di Giove lo ha ridotto, attualmente, a 2380 anni. E' il Sole a vestire le comete, con la sua radiazione e con il «vento» di particelle atomiche che soffia intorno a sè. Ora che, come una farfalla attratta da una candela, ha raggiunto e superato il massimo avvicinamento, la Hale-Bopp interpreterà il meglio del suo show. Il calore solare ha fatto in parte sublimare il ghiaccio di anidride carbonica e di acqua che costituisce il nucleo cometario; i gas stanno uscendo a 50 chilometri al secondo dai crepacci della crosta carboniosa come potenti zampilli e vanno a potenziare la coda di gas e di polveri, allungandola di molti milioni di chilometri. Cometa del secolo? Sì, adesso possiamo dire, finalmente, che la Hale-Bopp ha mantenuto la promessa. Bisogna risalire al 1811 per incontrare un'altra cometa così luminosa e con un nucleo così grande (40-70 km). La chioma ha rivelato una eccezionale quantità di polveri, ma anche ossido di carbonio, cianogeno e altre molecole complesse, confermando che le comete sono laboratori di materiale pre-biologico. Dimensioni e quantità di polveri (basta un piccolo telescopio per vederne vari gusci intorno al nucleo) fanno pensare che la Hale-Bopp appartenga alla famiglia di quei corpi celesti che formano la «cintura di Kuiper» oltre l'orbita di Plutone, dove sono già stati individuati più di 30 planetoidi ghiacciati dal diametro sui 200 chilometri, strani ibridi tra asteroidi e gigantesche comete. Gli astronomi stanno lavorando per ricavare dalla Hale-Bopp il massimo di informazioni. Il satellite europeo Iso, che osserva il cielo nell'infrarosso, ha scoperto nelle sue polveri l'olivina, un minerale individuato anche nelle nebulose da cui nascono nuovi sistemi planetari. La Nasa ha lanciato tre razzi per cercare neon e argon, gas nobili che ci darebbero notizie sulle origini della cometa; un quarto razzo partirà il 5 aprile. In quel giorno la Hale-Bopp sarà nella posizione più favorevole per l'osservazione dal nostro emisfero. Affinché tutti possano ammirare la Hale-Bopp, i sindaci di molte città in Italia e nel mondo hanno deciso di spegnere, il 5 aprile, il grosso dell'illuminazione pubblica per un paio d'ore: straordinaria occasione per distogliere, una volta tanto, gli occhi dalla tv e per scrutare il cielo notturno, questa meravigliosa finestra cosmica, inesauribile fonte di riflessioni sul senso dell'esistenza. Farà eccezione Torino. A quanto pare, i torinesi dovranno attendere il prossimo passaggio della Hale-Bopp, tra 2380 anni. E un'altra giunta. Piero Bianucci


ASPETTANDO IL SALVATAGGIO I 23 centimetri persi da Venezia
Autore: ANTONETTO ROBERTO

ARGOMENTI: GEOGRAFIA E GEOFISICA, MOSTRE
ORGANIZZAZIONI: MUSEO CORRER
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, VENEZIA (VE)
TABELLE: C. La laguna di Venezia
NOTE: «Laboratorio Venezia»

POCO meno di due anni fa, proprio su questo giornale, «il prolungamento indefinito delle discussioni sulle opere di difesa di Venezia e di riequilibrio della laguna» era stato denunciato da Mario Fazio come «non più sopportabile». Ora è arrivato (ed è già alle nostre spalle) il trentennale del tragico 4 novembre 1966, giorno in cui la città lagunare venne messa in ginocchio da un'acqua alta di 1 metro e 94 centimetri, la più catastrofica da due secoli a questa parte. Tra i riti della mesta ricorrenza, uno più degli altri sarà forse servito a scuotere gli animi, soprattutto dei giovani: la mostra «Laboratorio Venezia», tuttora in corso nelle sale del Museo Correr. Una mostra che, senza volerlo, finisce per essere anche una messa in mora dei responsabili di ogni ulteriore lacerazione scientifica, ritardo politico o pastoia burocratica. Nelle immagini e nei tabelloni didattici (perfino «scolastici», e ben venga la comprensibilità per i non addetti ai lavori]) c'è tutta la dimensione di una crisi ambientale che, trattandosi di Venezia, è certamente la più grave del nostro Paese; e nello stesso tempo la dimensione di un'impresa scientifica e tecnologica che, se pienamente realizzata, sarà una delle più complesse e impegnative di questo scorcio di millennio. I termini della crisi sono una specie di bollettino di guerra. Venezia si è «abbassata» in un secolo di oltre 23 centimetri a causa di fenomeni congiunti della subsidenza e dell'eustatismo, cioè dell'abbassamento del suolo e dell'innalzamento del mare. Fra il 1950 e il 1970, anni di maggior cecità ecologica, l'estrazione dal sottosuolo di acqua per scopi industriali ha fatto «scendere» Marghera di 12 centimetri e Venezia di 8. Così, se all'inizio del secolo Piazza San Marco - il punto più basso della città - si allagava sei o sette volte all'anno, ora succede anche quaranta volte. La laguna è un organismo morfologicamente violentato, non più in grado di mantenere in equilibrio gli opposti fenomeni della sedimentazione e dell'erosione. Ogni anno perde fino a un milione di tonnellate di sedimenti a favore del mare. Barene e velme (i caratteristici fondali appena affioranti dalle acque) si sono ridotte alla metà della superficie che avevano all'inizio del secolo: da 90 a 45 chilometri quadrati. Si punta il dito, fra l'altro, sulle casse di colmata create a Marghera per il polo industriale; sulla profonda ferita che fu, alla fine degli Anni Sessanta, lo scavo del «Canale dei Petroli» per fare arrivare le grandi petroliere a Porto Marghera. Di petroliere, in laguna, ne passano ogni anno 1200, trasportando 12 milioni di tonnellate di prodotti petroliferi: un agguato mortale per Venezia, invano denunciato. Poi, l'inquinamento: ogni giorno 3 milioni e mezzo di metri cubi di acque di scarico industriale, più gli apporti del bacino scolante dell'entroterra con i fosfati delle colture agricole e zootecniche. Potrebbe essere immaginata una macchina più perversa per la morte di Venezia? E trent'anni di progetti e di discussioni sono arrivati a contrapporre un «sistema» coerente e globale di rimedi? Nelle sale del Correr, al di sotto dei tabelloni e dei grafici si sentono covare ancora i tizzoni del dissidio scientifico, intellettuale e politico. Ma c'è anche l'impressione che tutto quanto si poteva studiare, approfondire e discutere è stato studiato, approfondito e discusso. Che la scienza, su Venezia, ha detto tutto, e a volte anche il contrario di tutto. Ora bisogna tirare le somme. Il tempo della gestazione è finito. C'è sul tappeto, a difesa dalle acque alte eccezionali, una gigantesca opera di sbarramenti mobili alle bocche di porto, i tre varchi (Lido, Malamocco e Chioggia) che mettono in contatto la laguna con il mare. Si tratta di una schiera di paratoie incernierate sul fondale delle bocche, da sollevare sfruttando la spinta di galleggiamento in caso di acque alte superiori al metro, in modo da fare argine temporaneo al mare. L'opera, probabilmente la maggiore mai concepita dall'ingegneria civile italiana, è stata progettata dal «Consorzio Venezia Nuova», concessionario dello Stato per gli interventi a salvaguardia di Venezia. E c'è sul tappeto una progettualità, a sua volta imponente, che mira al riequilibrio idrologico e morfologico generale della laguna e al suo disinquinamento. Dalle tante polemiche sono stati comunque partoriti un cospicuo allargamento del problema e un'enorme massa di documenti scientifici. E di interventi, nel frattempo, ne sono stati fatti, sia ad opera dello Stato sia dalle istituzioni locali: tra gli altri il rinforzo di chilometri di litorali e la ricostituzione di barene, mentre si è riavviata dopo trent'anni di inerzia la sacrosanta pratica della pulizia dei 170 rii veneziani dai depositi di fango. Entro l'anno si conoscerà il destino della grande diga mobile sommersa. Si sarebbe dovuta realizzare fra il 1995 e il 2003, con un costo di 5300 miliardi. Non è stato così. Nell'ottobre del 1994 il Consiglio superiore dei lavori pubblici ha approvato il progetto di massima, già concluso da alcuni anni anche nella sua fase sperimentale con un prototipo denominato «Mose». Ma è stata voluta ancora una valutazione di impatto ambientale. La sentenza è attesa per i prossimi mesi. E allora: o l'idea delle paratoie si butterà a mare, o esse serviranno contro il mare (non prima di una decina d'anni). Purché, Venezia, finalmente, da laboratorio diventi cantiere globale. Roberto Antonetto


Le emozioni e le domande che suscita questo eccezionale visitatore celeste Un simbolo di quell'ignoto che da sempre attrae l'uomo
Autore: FERRARI ATTILIO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: Cometa Hale-Bopp

LA cometa Hale-Bopp sta conquistando tutti. Dappertutto di sera o prima dell'alba si vedono gruppi curiosi che in angoli bui si affannano con binocoli e piccoli telescopi. Perché tanta agitazione? In fondo sappiamo che è solo un minuscolo grumo di ghiaccio e polvere del diametro di 40 chilometri (300 volte più piccolo di quello terrestre) che viene dagli estremi limiti del sistema solare, posti a oltre 10 miliardi di chilometri dal Sole, da quella che si chiama la Nube di Oort. Si accende della sua fantastica coda solo perché nei dintorni del Sole, al perielio, è investita dalla radiazione e dal vento solare. La Hale-Bopp è passata a 200 milioni di chilometri da noi: quindi nessun rischio di impatti o di catastrofi. Se anche la tenue, estesissima coda ci sfiorasse, non la sentiremmo neppure. Eppure, se non la paura, l'ansia c'è. La cometa è un visitatore che viene dallo spazio profondo. E' un misterioso viaggiatore che ci sfiora e, senza degnarci di alcuna attenzione, se ne tornerà chissà dove. Ripasserà dalle nostre parti, ma solo fra tre o quattromila anni: la vedranno i nostri pro-pro-pro-nipoti. Nel suo precedente passaggio al perielio nè Atene nè Roma ancora esistevano. Oltre che un viaggiatore nello spazio la cometa è un messaggero che viaggia nel tempo. Qualche anno fa, nel 1986, ci passò accanto la tanto celebrata cometa di Halley, che nel 1911 si era dispiegata in tutta la sua bellezza agli occhi dei nostri nonni. Che delusione per noi] Poco appariscente quest'ultima volta, quasi avesse tradito il messaggio di continuità tra i nostri nonni e noi. Forse è proprio in questo aspetto di comunicazione oltre la durata della vita umana che sentiamo nella cometa il segno di un universo che ci trascende. La Hale-Bopp ci fa sentire parte di uno spazio e di un tempo estesissimi, forse infiniti. In fondo ci rendiamo conto che la nostra stessa civiltà non è che un soffio, poche migliaia di anni nel tempo e poche decine di migliaia di chilometri nello spazio. Sì, abbiamo mandato recentemente sonde oltre le soglie del sistema solare, oltre l'orbita di Plutone. Ma si è trattato di una bottiglia buttata nel mare dell'universo nella speranza che qualcun altro risponda o venga a cercarci; non si è trattato ancora della conquista dello spazio. Anzi, la fisica d'oggi non ci permette neppure di sognare di andare laggiù dove invece la cometa è stata e tornerà. Siamo tanti sulla Terra, ma per ora soli e isolati nell'universo] E' vero che possiamo «vedere» lontano, raccogliendo i fotoni che ci vengono dalle galassie lontanissime, addirittura dal Big-Bang. Ma è veder l'universo in fotografia, non si tratta di una vera visita. Quindi l'emozione che proviamo ha una radice molto profonda. E' il segno della curiosità meravigliosa che dà senso alla vita dell'uomo sulla Terra, curiosità che appartiene a tutti. Spesso, affranti dalle fatiche, dalle tasse, da guerre, disastri, delusioni, incidenti e accidenti, dimentichiamo di essere qualcosa di più che semplici entità fisiche tese alla sopravvivenza materiale. Invece l'uomo è pur sempre alla ricerca di conoscenze nuove, più o meno importanti, ma in cui sempre si rinnova. La ricerca scientifica, per esempio, è una continua e affascinante caccia alle comete, una ricerca di verità che trascendono la realtà di tutti i giorni, ma che ci permettono di migliorare questa realtà e noi stessi. Che cosa vuol dire indagare la struttura intima della materia, o le aggregazioni di galassie primordiali, o il rigenerarsi delle cellule, o la dinamica caotica dell'atmosfera, se non sfiorare essenze e fenomeni appena percettibili, in un certo senso invisibili, intangibili comunque? I risultati della ricerca scientifica vanno e vengono come le comete, antiche e nuove: alcuni risultati si stabilizzano per un certo tempo su orbite stabili, rimangono come parte del del nostro sistema di conoscenza, altri passano brevemente. Ma se qualche risultato svanisce, altre ricerche porteranno nuovi elementi stabili. E soprattutto: come non è la singola cometa a definire il sistema solare, così non esistono teorie definitive, vere per sempre, bensì solo modelli sempre più perfetti. Ma quando l'uomo sfiora nella sua ricerca un «risultato giusto», un modello che funziona, almeno per un po', prova la stessa emozione di chi guarda affascinato la cometa, felice di aver compreso che cosa sia, ma allo stesso tempo curioso di immaginare che cosa si porti dietro, e che mai verrà dopo. La cometa è un elemento del mondo meraviglioso che ancora non abbiamo compreso, men che mai conquistato. Esistono alcune semplici valutazioni che permettono di calcolare che la nostra civiltà, se vorrà sopravvivere al di là di qualche centinaio di migliaia di anni (ma forse potrà estinguersi anche molto prima), deve uscire da questo pianeta. Non solo perché le risorse planetarie potrebbero esaurirsi, ma soprattutto perché altrimenti si isterilirebbe la spinta conoscitiva, il desiderio di vivere. In questo senso «seguire virtute e conoscenza» vuol dire cercare di comprendere l'universo attraverso l'umile coscienza che ne facciamo parte, sì come comete, ma non insensibili come comete. Attilio Ferrari Direttore dell'Osservatorio di Torino


SCIENZE FISICHE. LA FIERA DI HANNOVER Pronto, mi vedi? Alle frontiere dell'elettronica
Autore: VICO ANDREA

ARGOMENTI: ELETTRONICA, FIERA
ORGANIZZAZIONI: CEBIT
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, GERMANIA, HANNOVER

E' l'affare del momento. Le telecomunicazioni fanno gola a tutti e chiunque ha la possibilità di fare affari con telefonia cellulare e reti telematiche, computer multimediali e schermi piatti, microtelecamere per videoconferenze e cavi in fibra ottica, ci si butta a capofitto. Al Cebit di Hannover, la più importante fiera europea dell'informatica e dell'elettronica che si è svolta a metà marzo, questa linea di tendenza è stata confermata da tutti i settemila espositori presenti. Tanto per fare qualche esempio, la Philips nel solo 1996 ha investito 2 mila miliardi per potenziare il proprio settore di telefonia mobile. In Svezia è il terzo produttore di cellulari e potrebbe presto diventarlo anche in Italia, specie se andrà in porto una trattativa con Omnitel. Anche la Bosch, che non si era mai interessata troppo di telecomunicazioni, sta mettendosi al passo con i tempi: nel '96 la sua divisione Tecnica delle comunicazioni ha investito ben il 10 per cento del fatturato nello sviluppo di nuovi prodotti (la media è del 4-6 per cento). La telefonia mobile è forse il settore più in espansione. Ormai esistono prodotti affidabili a partire da 400 mila lire (attenzione, però, alla qualità delle batterie) e la battaglia si gioca sulla versatilità e sulla raffinatezza degli accessori. Il produttore danese Dancall, praticamente introvabile in Italia, ha presentato il WorldPhone, il primo cellulare capace di funzionare sia sulla rete europea sia su quelle nordamericana, giapponese e australiana. Con un solo numero di telefono si può essere rintracciati in ogni angolo del globo. Sullo stesso versante è il Microtac International 8800 della Motorola a doppia banda, che può appoggiarsi sia alla rete Gsm a 900 MHz, sia sulla Dcs a 1800 MHz, un prodotto interessante per chi si muove in Europa e ha bisogno di scegliere di volta in volta il servizio migliore. Dal punto di vista hardware l'oggetto più curioso è il Philips Genie (il più leggero Gsm del mondo: 95 grammi) che è lungo 11 centimetri e ha un microfono retrattile per poterlo avvicinare meglio alla bocca. Dieci numeri possono essere memorizzati e composti automaticamente semplicemente pronunciando a voce il nome dell'amico che si vuol chiamare. Interessante anche il videotelefono cellulare della Bosch (per il momento poco più che un prototipo) che funziona con lo standard H.324 e si appoggerà, quando sarà completata, alla rete Dect. Sul versante personal computer, in attesa di veder arrivare sul mercato il lettore Dvd- Rom (per ora c'è solo quello della Pioneer) e il network computer, tre sono gli aspetti più interessanti: la disponibilità di nuovi schermi piatti anche per i pc da tavolo, l'ultima generazione di calcolatori «palmari» (ne parliamo nella scheda qui accanto) e il riconoscimento vocale, che sta diventando «di serie» per quasi tutte le marche e faciliterà ai profani l'uso del computer. Per gli utenti professionali la gamma degli schermi tradizionali a tubo catodico è stata ulteriormente perfezionata (con i Sony Trinitron, gli Hitachi e i Philips Brilliance in testa), mentre l'utente occasionale o casalingo può ora scegliere per un display a cristalli liquidi. Con la ricca esperienza accumulata sui portatili, la tecnologia Lcd ha dimostrato di aver compiuto un salto di qualità e anche per quanto riguarda la precisione dei dettagli e i colori. Se ne guadagna in spazio (il PlanFlat Lc40 della Panasonic è spesso appena 6 centimetri) e in salute: senza voler entrare nella polemica sulle radiazioni emesse dagli schermi, con i monitor a cristalli liquidi il problema è eventualmente risolto alla radice. Sul retro dello schermo è poi anche possibile incorporare in tutt'uno processore, hard- disc e lettore cd-rom. Come hanno già fatto numerosi produttori. La Intel ha presentato il suo ultimo processore, l'Mmx (ma per il lancio sul mercato, in estate, il nome di battaglia sarà Pentium 2), appositamente studiato per applicazioni multimediali con una velocità di elaborazione simultanea di suoni, dati e immagini (con qualità televisiva) superiore del 60 per cento rispetto al Pentium di oggi. Due le velocità di clock (150 e 166 MHz), un basso consumo energetico che lo rende particolarmente adatto ai portatili e una spiccata propensione per le immagini digitali: elaborazioni in 3D, videoconferenza, applicazioni grafiche. Sempre per assecondare la crescente voglia di multimedialità del mercato dei computer domestici, la Panasonic ha realizzato un nuovo drive per cd-Rom a 24 velocità. L'accesso è appena di 85 millisecondi, la quantità massima di trasferimento dati è di 3,6 KB al secondo. Andrea Vico


SCIENZE FISICHE Il tuo ufficio, dovunque Va all'attacco il computer palmare
Autore: A_VI

ARGOMENTI: ELETTRONICA, FIERA
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, GERMANIA, HANNOVER

ORMAI il personal computer portatile dev'essere multimediale: hard-disk da almeno 1 giga, schermo a colori, lettore per cd- rom, processore adeguato e batterie all'altezza della situazione. Nel migliore dei casi, 2,7-2,8 chilogrammi da portarsi a spasso tutti i giorni. Per chi non ha bisogno in ogni momento di un portatile, ma non vuol rinunciare alla «portabilità» del proprio ufficio, c'è oggi una soluzione intermedia offerta dai computer «palmari». Calcolatori che stanno nel palmo della mano, non ancora potenti come un pc e senz'altro più evoluti di una data-bank, quelle agendine elettroniche in circolazione da 5-6 anni. Accanto alle solite funzioni di agenda e rubrica telefonica, sono stati potenziati i vari programmi editor, contabilità e foglio elettronico. Gli utenti di questi calcolatori tascabili sono infatti soprattutto giornalisti, operatori finanziari, agenti di commercio che devono tenere aggiornati gli ordinativi e il magazzino. Di tutto rispetto le prestazioni: mediamente 2 mbyte di rom e 4 di ram, schermo a cristalli liquidi da 25-30 linee per 60-80 caratteri, interfaccia a icone, 300-400 grammi di peso, dimensioni al di sotto dei 20x10 centimetri e non meno di 60 ore di stand-by. Quasi tutti offrono una facile connessione con un telefonino e la posta elettronica. La Hewlett Packard propone il 200Lx, particolarmente attrezzato per la matematica finanziaria e la gestione del listino di Borsa, mentre tra le novità della Sharp, figura il Pmc1 (Personal mobile communicator), dove il palmare è tutt'uno con un telefonino Gsm e la tastiera è sostituita da uno schermo su cui si agisce con un'apposita penna. Anche la Panasonic ha scelto di abolire i tasti per il suo Jacket Pocket S10 (un minuscolo 486 a 32 bit): sul display a cristalli liquidi si agisce con uno stilo, ma si può far comparire una sorta di «tastiera virtuale». In questo particolare settore del mercato si inserisce, ora, un nuovo nome, la Philips. Ad Hannover ha presentato il Velo 1 che al suo esordio ha già conquistato gli addetti ai lavori (e ha vinto due primi premi come miglior novità hardware). Il Velo è perfettamente compatibile con qualsiasi personal anche perché ha preinstallata un'apposita versione di Windows 95, che caratterizza anche il Libretto, il «tiny-pc» della Toshiba. I prezzi? dalle 700- 800 mila lire delle macchine più semplici, ai circa 1 milione e 700 mila lire per i palmari più sofisticati.(a. vi.)


SCIENZE FISICHE. NOVITA' Lenti di gas per i laser più potenti
Autore: FURESI MARIO

ARGOMENTI: OTTICA E FOTOGRAFIA
NOMI: BANG-LI XIE, NOTENT MARK, MICHELIS MAX
LUOGHI: ESTERO, ASIA, CINA, PECHINO

A Pechino tre ricercatori, il cinese Bang-Li Xie della locale Accademia delle Scienze e i sudafricani Mark Notent e Max Michelis dell'Università del Natal stanno portando a termine un progetto ideato anni or sono da un nucleo di ricercatori della Bell e poi abbandonato. Il progetto è incentrato sull'idea di sostituire, nel congegno direzionale di un laser ad alta potenza, le normali lenti di vetro con altre fatte di gas. Questo nuovo genere di lenti offre vari vantaggi, a iniziare da una migliore concentrazione dei raggi laser che, di conseguenza, acquistano maggiore energia e occupano una minore superficie guadagnando in precisione. Possono inoltre consentire più numerose applicazioni ed estenderle a campi dove, come in quello della fusione nucleare, le lenti di vetro trovano difficile impiego. Va aggiunto che le lenti di gas offrono maggiore sicurezza quando i raggi laser sono ad alta potenza. Va infine rilevato che le lenti di vetro presentano due inconvenienti che non sussistono usando quelle di gas: la riflessione dell'8 per cento dei raggi laser e il rischio di andare in frantumi quando i raggi superano una data potenza. Il funzionamento delle lenti di gas si basa sullo stesso fenomeno naturale che dà origine ai miraggi e, in particolare, a quello noto come «fata morgana». Un fenomeno che, per esempio, è facile osservare, in certe condizioni atmosferiche, quando alla costa calabra si guarda verso quella sicula e si vedono apparire, sopra la superficie marina, costruzioni che simulano il panorama di una città trasformando in torri e castelli virtuali le casupole e le scogliere della spiaggia. Similmente avviene che, cambiando la temperatura, cambia l'indice di rifrazione della lente di gas, mutando di conseguenza la direzione del raggio laser; cioè la stesso risultato che si otterrebbe con una lente di vetro. Mario Furesi


SCIENZE FISICHE. INCENERITORI DI NUOVA GENERAZIONE Bicarbonato per «digerire» i fumi inquinanti Immesso nei filtri, trasforma in sale l'acido cloridrico
Autore: BASSI PIA

ARGOMENTI: CHIMICA, ECOLOGIA
NOMI: MORSELLI LUCIANO
ORGANIZZAZIONI: SOLVAY ITALIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. L'inceneritore che non inquina
NOTE: Sistema Neutrec

LA quantità dei rifiuti solidi urbani prodotti in Italia supera i 26 milioni di tonnellate annui, un quantitativo che a lungo andare potrebbe coprire tutto il territorio nazionale di discariche. La termodistruzione appare come l'unica soluzione al problema. Molti Paesi industrializzati l'hanno già adottata: la media europea oscilla fra il 50 e l'80 per cento, con relativo recupero energetico, mentre in Italia solo il 10 per cento dei rifiuti viene termodistrutto. Un ritardo che si spera sarà colmato con l'applicazione della legge Ronchi, art. 5, che dal 1o gennaio 2000 consente di smaltire in discarica solo i rifiuti inerti, che presumibilmente saranno un 20 per cento del totale. Non solo le leggi, soprattutto la ricerca e le nuove tecnologie applicate agli inceneritori di vecchia concezione - che diventano così impianti di termodistruzione con recupero energetico obbligatorio - fanno cadere le obiezioni che in passato hanno bloccato gli inceneritori. Gli impianti moderni, ormai è dimostrato perché sono stati adottati anche da grandi agglomerati urbani europei quali Bruxelles, Barcellona, Stoccolma e così via, ora possono essere l'alternativa valida alle maleodoranti discariche pubbliche, fonti di malattie per la proliferazione di virus e batteri. In questa ottica la Solvay Italia, azienda nota per la produzione della soda e del bicarbonato, ha messo in atto dal 1991 un nuovo sistema denominato Neutrec (neutralizzazione e recupero), applicato agli impianti di depurazione dei fumi prodotti negli inceneritori durante la combustione, per mezzo del bicarbonato. I composti dispersi nei fumi sono per la maggior parte acido cloridrico, ossido di zolfo, mentre le temibili diossine, in passato causa della lotta agli inceneritori, sono in realtà in rapporto all'acido cloridrico solo un decimo di milionesimo. La tecnologia Neutrec è tanto semplice quanto efficace: si inietta del comunissimo bicarbonato di sodio macinato nel condotto fumi prima del filtro finale. Il bicarbonato a contatto con i fumi caldi in uscita dalla caldaia si trasforma in carbonato di sodio poroso che reagisce ad esempio con l'acido cloridrico presente nei fumi formando il cloruro di sodio (ovvero normale sale da cucina), che verrà recuperato e ritrasformato. In un inceneritore inoltre, l'odore tipico di decomposizione che accompagna gli ammassi dei rifiuti non c'è più; in primo luogo perché i rifiuti sono stoccati al coperto, all'interno dell'impianto stesso, in prossimità della bocca del forno che viene alimentata con braccio robotizzato, in secondo luogo essendo l'odore composto di particelle organiche, esse vengono aspirate e convogliate all'interno del forno. Neutrec ha trovato la sua applicazione in Italia in 26 impianti di cui 13 inceneritori di rifiuti (Lombardia, Triveneto, Emilia Romagna, Toscana), monitorati periodicamente. La regione che ha più impianti d'incenerimento con recupero energetico è l'Emilia Romagna, che fin dagli Anni 70 ha sviluppato questa politica fornendo per di più teleriscaldamento per l'inverno e telecondizionamento per l'estate agli abitanti di Reggio Emilia. In particolare, l'impianto di Reggio Emilia, monitorato anche dai laboratori dell'Enel di Piacenza, dà valori molto al di sotto di quelli proposti dalla direttiva Cee 94/67, applicata con severità in Germania e Olanda. Luciano Morselli, docente al dipartimento di chimica dei materiali all'università di Bologna, che sta conducendo per conto della regione Emilia Romagna il piano dell'incenerimento e del recupero energetico, come previsto dal decreto Ronchi, è certo che la tecnologia della termocombustione è l'unica via d'uscita al problema rifiuti che troppo spesso crea serie problematiche d'ogni tipo alla società intera e sottolinea che soltanto per smaltire i rifiuti ospedalieri speciali infettivi occorrerebbero in Italia entro il 2000 almeno 80 nuovi impianti di termocombustione: attualmente ne abbiamo 29. Ovviamente per l'economia dell'impianto esso deve essere costruito nelle vicinanze dell'agglomerato urbano, in questo modo si eviterebbe il trasporto dei rifiuti, seppure selezionato alla fonte dal cittadino, per chilometri e chilometri, essendo le discariche confinate nelle campagne, purtroppo anche in quelle coltivate, con altrettanto disagio per l'agricoltura. Pia Bassi


SCIENZE FISICHE. TECNOLOGIA Cavi elettrici sicuri ed ecologici
Autore: A_V

ARGOMENTI: TECNOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: CEAT CAVI
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, SETTIMO TORINESE (TO)

LA nostra vita è appesa a un filo: quello elettrico. Senza elettricità ormai non sapremmo più vivere: in un appartamento in media ci sono 800 metri di cavi elettrici. Che raddoppiano considerando tutti i fili elettrici contenuti negli elettrodomestici. Un vero e proprio sistema nervoso che deve garantire efficienza e sicurezza per evitare folgorazioni e lo sviluppo di incendi in caso di cortocircuito. Da qualche anno però si pensa anche all'ambiente: che succede, infatti, quando un cavo elettrico finisce in discarica? Attualmente buona parte dei cavi a bassa tensione (quelli normalmente usati nelle abitazioni) è isolata grazie a un rivestimento a base di cloruro di polivinile, meglio noto come Pvc, utilizzato in campo industriale fin dal 1946. Per garantire la non propagazione delle fiamme, nel 1969 il rivestimento di Pvc è stato rinforzato con paraffina clorurata, ossidi di metalli pesanti e cariche minerali attive. Questa miscela non prende fuoco, ma nella combustione il cloro contenuto nel polimero si libera nell'aria sotto forma di acido cloridrico. Un gas letale. Un altro passo avanti per la sicurezza delle persone si è fatto inserendo, nella seconda metà degli Anni 70, piombo e altri minerali capaci di evitare i fumi di acido cloridrico. Con gravi conseguenze per l'ambiente. Come si può immaginare, abbandonato tra gli altri rifiuti di una discarica il piombo del rivestimento dei cavi inquina il terreno circostante. La quadratura del cerchio? La nuova linea di cavi Ecopartner sviluppata dai laboratori Bicc Ceat Cavi di Settimo Torinese ed entrata in produzione da pochi mesi. Un rivestimento in gomma «Pvc & lead free», che garantisce la stessa affidabilità e la stessa sicurezza in caso di incendio dei vecchi cavi elettrici senza danneggiare l'ambiente nè quando il cavo è in servizio, nè quando finisce in discarica.(a. v.)


SCIENZE DELLA VITA. LE PULCI (O AFANITTERI) Campioni di salto in alto I maggiori studiosi sono dei Rothschild
Autore: STELLA ENRICO

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, COLLEZIONISMO, MOSTRE
NOMI: ROTHSCHILD CHARLES, ROTHSCHILD MIRIAM, NEVILLE HANCE CHARLES
ORGANIZZAZIONI: BRITISH MUSEUM
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, REGNO UNITO, GRAN BRETAGNA, LONDRA

CHI, entrando in un locale disabitato, ha provato le punture simultanee di un esercito di pulci rese fameliche dal digiuno, non serberà un buon ricordo di questi «gioielli» dell'evoluzione animale. Non sappiamo quando gli afanitteri o sifonatteri (tali sono i nomi attribuiti al gruppo zoologico delle pulci) siano comparsi sulla scena del nostro pianeta. Qualche reperto fossile, pervenutoci intatto perché incluso nell'ambra del Baltico, risale, più o meno, a 50 milioni di anni fa e rivela che le forme vissute in quel lontano periodo rassomigliavano già alle attuali. Ma gli afanitteri (il termine greco vuol dire ali invisibili") derivano da insetti molto più antichi. Abbiamo validi motivi per ritenere che i loro progenitori fossero dotati di due ali, come le mosche, e che in origine, frequentando le tane degli animali vertebrati, si alimentassero di rifiuti. Fu un antenato più intraprendente a scoprire i vantaggi del pasto di sangue e a dare il via a un progressivo adattamento alla vita parassitaria, non scevra di rischi, ma redditizia. Oggi le pulci ci appaiono mirabilmente foggiate per farsi strada e fissarsi tra i peli dei mammiferi o tra le piume degli uccelli: le ali, che sarebbero d'impiccio, sono scomparse, e il corpo compresso in senso laterale presenta speciali setole e spine (alcune hanno la forma di pettini) disposte in modo da agevolarne i movimenti anche in seno a una folta pelliccia. Se si esclude qualche specie sedentaria che penetra nei tessuti dell'ospite, gli afanitteri sono formidabili campioni di salto, come si può arguire osservando la lunghezza delle due ultime paia di zampe animate da una possente muscolatura toracica. La moderna storia delle pulci è strettamente legata ad alcuni autorevoli nomi della famiglia Rothschild, i notissimi banchieri internazionali. Basti dire che la più famosa collezione di sifonatteri del mondo, conservata in una sezione del British Museum, è opera di Charles Rothschild, la cui figlia Miriam, libera ricercatrice ad Ashton (Peterborough) e membro della Royal Society di Londra, figura tra i maggiori specialisti contemporanei di quest'ordine d'insetti. Dobbiamo proprio a lei una serie di studi sulle prodezze atletiche delle pulci. Dai suoi lavori emerge tra l'altro un dato che farebbe impallidire qualsiasi medaglia d'oro olimpionica: la specie Echidnophaga gallinacea può coprire con un rapidissimo balzo la distanza di 116 millimetri, cioè duecento volte la lunghezza del proprio corpo; un uomo altrettanto capace schizzerebbe in cima a una torre alta 350 metri] Sembra incredibile, ma grazie a sofisticati sistemi di registrazione si è stabilito che le pulci del ratto, adeguamente eccitate, riescono a spiccare seicento salti all'ora, e possono farlo per tre giorni di fila, senza concedersi tregua. La cinematografia scientifica ha permesso l'analisi di ogni balzo, accertando che l'insetto prima di atterrare può girare su se stesso, rovesciarsi più volte, impennarsi e così via. Non a caso Hence Charles Neville e la stessa Rothschild affermano che i sifonatteri «volano con le zampe»: infatti l'apparato del salto include un particolare legamento che nelle pulci preistoriche apparteneva alle ali; fondamentale composto di questa struttura è la resilina, una proteina elastica, assai più efficiente della gomma, che immagazzina energia e la libera di colpo nel momento in cui l'insetto distende gli arti per scattare in alto e in avanti; la dispersione in calore è davvero minima: appena il tre per cento. Questo rapido modo di spostarsi è di vitale importanza per i parassiti che sotto gli stimoli della fame possono aver bisogno di raggiungere seduta stante una vittima in transito. Ogni anno molti possessori di cani e di gatti, assenti da casa per le vacanze, tornano nel proprio appartamento disabitato e vengono aggrediti da una folla di pulci; migliaia di minuscoli vampiri, sbucati chissà da dove, saltano addosso agli ospiti appena rientrati, tormentandoli con le loro punture. Ed ecco la chiave del mistero. Come tanti altri insetti, i sifonatteri subiscono una metamorfosi completa. Dalle uova (una femmina ne depone circa cinquecento, a più riprese) sgusciano diafane larvette vermiformi, che in casa si annidano negli interstizi dei pavimenti, nutrendosi di detriti, compreso il sangue disseccato emesso con le feci dei genitori. Al termine dello sviluppo costruiscono un bozzoletto di seta mista a granelli di polvere, dentro il quale si trasformano in pupe, e poi in adulti. A questo punto, uno degli stimoli più importanti che inducono le pulci ad abbandonare l'involucro è rappresentato dalle vibrazioni del suolo, provocate dal passaggio di un ospite da pungere. Se la casa è temporaneamente deserta, gli insetti, maturati in tempi diversi, possono digiunare a lungo, purché rimangano immobili nei loro astucci, risparmiando energie; ma appena avvertono il minimo scuotimento, evadono tutti insieme dai bozzoli e si dirigono verso la fonte alimentare di cui percepiscono il calore e l'odore. Secondo la recentissima «checklist» della fauna italiana (1995), il nostro Paese ospita 81 specie di afanitteri; ognuna ha il suo ospite preferito, ma spesso attacca indifferentemente animali diversi. La pulce del coniglio (Spilopsyllus cuniculi) ci offre invece uno straordinario esempio di adattamento a un ospite esclusivo del quale non può fare a meno per moltiplicarsi. La procreazione dell'insetto è influenzata e addirittura regolata dai cicli ormonali del roditore] Miriam Rothschild ha dimostrato che gli adulti di S. cuni culi non maturano sessualmente finché non si nutrono sulle orecchie di una coniglia gravida, nel cui sangue circola uno stimolante cocktail di ormoni, compresi i corticosteroidi. Non basta: per celebrare il rito nuziale le pulci devono attendere la nascita dei coniglietti; soltanto allora, dopo essersi trasferite sul corpo dei neonati e averne sorseggiato il sangue ricco di ormone della crescita (somatotropina), possono finalmente accoppiarsi. E lì, nel nido dove il lieto evento garantisce la presenza di tanti nuovi roditori da sfruttare più tardi, mamma pulce depone le uova, assicurando alla prole un futuro di lauti banchetti. Enrico Stella Università di Roma «La Sapienza»


SCIENZE DELLA VITA. INDOCINA Le dighe sul Mekong Ciclopici progetti per il 2010
Autore: MORETTI MARCO

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, EDILIZIA, DIGHE
ORGANIZZAZIONI: ASIAN DEVELOPEMENT BANK
LUOGHI: ESTERO, ASIA, CINA
TABELLE: C. Il percorso del fiume Mekong

IL Mekong, «il fiume più bello e selvaggio» della Terra secondo Marguerite Duras, sta per essere ridisegnato in un ciclopico progetto di sviluppo incentrato su comunicazioni e produzione di energia elettrica. Dalla sua sorgente sulle montagne dell'Himalaya tibetano fino al delta vietnamita nel Mar Cinese Meridionale, il Mekong scorre lentamente per 4500 chilometri attraverso sei Paesi in cui vivono 230 milioni di abitanti. Cina, Birmania, Laos, Vietnam, Cambogia e Thailandia concorrono a una conferenza interstatale di cooperazione per lo sviluppo della regione del Mekong. Il piano, articolato in oltre cento «progetti prioritari» per un budget complessivo di 40 miliardi di dollari, prevede la costruzione entro il 2010 di quindici dighe - con relative centrali idroelettriche - sul Mekong e sui suoi affluenti solo nella provincia cinese dello Yunnan. Una strada asfaltata servirà l'asse Bangkok-Phnom Penh-Ho Chi Minh (la vecchia Saigon). L'asfalto coprirà anche 34 piste al crocevia tra Laos, Thailandia e Yunnan: la regione più incontaminata dell'Indocina dove vivono alcune delle ultime etnie tribali. Una linea ferroviaria collegherà Kunming, il capoluogo dello Yunnan, a Bangkok e Singapore attraverso il Laos. E' già in costruzione il primo tratto dalla frontiera thailandese a Vientiane. Con sbarramenti e dragaggi il Mekong sarà reso navigabile dallo Yunnan al delta. L'intera regione sarà inclusa in un'unica rete telefonica e telematica a fibre ottiche. E la costruzione di aeroporti e alberghi di lusso trasformerà il bacino del Mekong in un nuovo polo turistico incentrato sulle spettacolari città dei templi: Pagan in Birmania, Luang Phabang in Laos, Angkor Wat in Cambogia e Lijiang in Yunnan. Un piano che dovrebbe sollevare le diseredate economie di Birmania, Laos, Cambogia e Vietnam: Paesi poveri con infrastrutture rudimentali e gran parte della popolazione con un'economia di sussistenza. Paesi provati da guerre e dittature che oggi avanzano legittime aspirazioni di sviluppo. I primi dubbi sul progetto vengono però proprio da questi Paesi. Mentre lo sviluppo della regione del Mekong è sostenuto a spada tratta da Cina, teatro da tempo di una crescita del 10 per cento annuo, Thailandia, in pieno boom economico, Giappone e Singapore, soggetti finanziari del progetto. A preoccupare è soprattutto l'impatto delle dighe sull'ecosistema del fiume. Gli sbarramenti in Yunnan darebbero garanzie energetiche alla Cina ma - insieme a quelli in Laos - avrebbero il principale scopo di alimentare lo straordinario boom della Thailandia che consuma i due terzi dell'energia della regione. La principale diga costruita in Yunnan creerebbe un bacino capace d'imprigionare per 6 mesi il 20 per cento delle acque del fiume, che ha un fluire approssimativo annuo di 500 miliardi di metri cubi d'acqua. La Cina garantisce che l'impianto regolerà il corso del fiume, ma la possibilità continua a inquietare i Paesi a valle. Il minor flusso del Mekong aumenterebbe le infiltrazioni di acqua salina nella regione del delta mettendo in pericolo le risaie del «granaio» del Vietnam, oltre alla fauna lacustre. L'abbassamento delle acque rischia di vanificare la pesca nel lago di Tonli Sap in Cambogia. E il progetto in Laos di una mega diga (la Nam Theum 2) sull'altopiano del Nakai, capace di 1500 megawatt (10 volte l'attuale produzione del Paese), prevede l'allagamento di metà di un altopiano oggi coperto di foresta pluviale e popolato da specie animali in pericolo d'estinzione come la tigre, l'orso e l'antilope muntjat. Senza contare i danni arrecati a popolazioni tribali come i Meo, i Soh, i Luan, i Thai Bor e i Kaleung che abitano da secoli le regioni tra il Laos e lo Yunnan: spostando altrove i loro villaggi smarrirebbero per sempre parte delle loro culture. Considerazioni ambientali che hanno sollevato le proteste delle organizzazioni ecologiste internazionali e hanno rimesso in discussione il finanziamento della Banca Mondiale a una parte del progetto. La costruzione delle dighe ha sponsor chiari come la Cina e la Thailandia finanziate dall'Asian Development Bank, grazie all'immediato ritorno dell'operazione in due Paesi in piena crescita. Un oleodotto tra la Birmania e la Thailandia è già stato pagato dalle compagnie petrolifere. Lo sviluppo del trasporto aereo sarà opera della Thai: principale vettore della regione. E quello delle strutture alberghiere dalle multinazionali del settore. E' invece molto meno chiaro chi pagherà per realizzare le opere stradali, ferroviarie e per rendere navigabile il fiume: interventi costosissimi che permetterebbero però la creazione di una futura rete di distribuzione commerciale. In prima fila ci sono le megafinanziarie giapponesi, interessate domani a collocare i loro prodotti sul nuovo mercato del Mekong e già oggi a trovare nuove fonti per placare l'insaziabile domanda di legno di Tokyo. In tutto il Sud-Est Asiatico l'industria nipponica del legname ha disboscato all'impazzata: nelle isole Filippine le foreste sono state ridotte dal 60 al 10 per cento del territorio. In Vietnam sono diminuite dal 43 al 27 per cento (un calo per metà dovuto alla guerra chimica), ma Laos, Cambogia e Birmania sono ancora in buona parte coperte da foreste vergini. Un'ottima - quanto preoccupante - ragione per modernizzare la loro rete di trasporti. Marco Moretti


SCIENZE DELLA VITA. 7 APRILE: GIORNATA DELLA SALUTE Allarme globale Epidemie in aumento
Autore: ROTA ORNELLA

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, SANITA', STATISTICHE
ORGANIZZAZIONI: OMS, ONU
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, SVIZZERA, GINEVRA

MALATTIE infettive emergenti: allarme globale, risposta globale. E' questo il tema della Giornata mondiale della Salute 1997, che si celebra il 7 aprile. Il logo dell'Oms - Organizzazione mondiale della sanità, organismo Onu con sede a Ginevra - propone il profilo dei continenti; in basso, la scritta «Global alert», dalla quale parte un motivo a freccia che, diventando sempre più grande, scontorna l'intera figura e culmina nelle parole «global response». Tornano, minacciose, malattie come la malaria (anche nella versione dengue, comune nelle zone tropicali), la tubercolosi, la peste, la difterite, la meningite, la febbre gialla, il colera. Compaiono, almeno altrettanto inquietanti, contagi finora sconosciuti - particolari tipi di febbri emorragiche, ad esempio, o di epatite, o di marasma neurologici presumibilmente collegati al morbo della «mucca pazza». Affezioni misteriose sono sempre esistite; inedita è, però, la rapidità con la quale esse emergono oggi. Nessun dubbio, che l'allarme sia globale. C'è il concreto timore che lo sia meno, invece, la risposta. Occorrerebbe infatti tutta una serie di misure di difficile attuazione. Aumentare il numero di laboratori ed enti che collaborano con l'Oms nel mondo in via di sviluppo, aggiornarli dal punto di vista tecnologico e scientifico, organizzare uno scambio organico, via computer, di dati ed esperienze. Studiare nuove combinazioni per mettere a punto antibiotici completamente efficaci (negli ultimi vent'anni, i microbi sono diventati sempre più resistenti), produrre in quantità maggiore quelli che già ci sono, limitarne la vendita alle farmacie e ai centri sanitari, rendere più consapevoli dei loro effetti sia chi li prescrive sia chi li assume. Individuare i mezzi per indurre le autorità sanitarie dei vari Paesi a denunciare la presenza di malattie infettive sul loro territorio, così come prescrive quella «Normativa internazionale sulla salute pubblica» che è tuttora l'unica legislazione in materia, ma non ha poteri legali per costringere all'adempimento. Per essere avviato e portato a compimento, questo programma esige fondi ingenti. Che non sono disponibili. Il problema è che se non si troveranno, diventerà indispensabile erogarne molti di più, a breve-medio termine. Come nel caso dell'Hiv, riconosciuto solamente dopo che aveva infettato gran numero di persone. L'esperienza sembra del resto non insegnare granché, anche quando è generalizzata. Nella prima parte del nostro secolo, le malattie infettive risultavano in netto e costante calo, parallelo al miglioramento dell'igiene e dell'alimentazione, alla diffusione degli antibiotici (anche se delle resistente comparvero subito, senza però attirare l'attenzione più di tanto), all'avvento di vaccini che negli Anni 70 consentirono lo sradicamento del vaiolo. A quel punto, i fondi destinati alla salute pubblica furono subito incanalati in altre direzioni; gli esperti lasciarono il campo e le nuove leve furono attratte da settori più gratificanti. Il conseguente, progressivo, peggioramento indusse l'Oms, già nel '93, a dichiarare la tubercolosi emergenza globale, e, nel '95, a creare un'apposita Divisione per la sorveglianza e il controllo di malattie riemergenti e di altre, nuove, che via via affioravano. Pochi giorni fa l'Oms ha annunciato un nuovo metodo di cura della tubercolosi chiamato Dots: è basato sulla associazione di quattro farmaci e dovrebbe portare a un dimezzamento delle morti per tubercolosi entro i prossimi anni. Global alert, global response. Speriamo sia così. Ornella Rota


IN BREVE Genodermatosi a Parigi
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, FRANCIA, PARIGI

Sono circa 5000 le malattie rare, cioè quelle che colpiscono da 1 a 5 persone ogni centomila abitanti. Tra queste è la genodermatosi, la cui trasmissione avviene per via genetica. Per prevenirla è nato il Progetto Genodermatosi, promosso dall'Università di Milano in collaborazione con Janssen-Cilag. Di questa malattia si parlerà a Parigi dal 10 al 13 aprile nell'ambito di un seminario di dermatologia.


IN BREVE Materiale edilizio dai fanghi di cartiera
ARGOMENTI: ECOLOGIA, RIFIUTI, INDUSTRIA
ORGANIZZAZIONI: BURGO
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

Dalla lavorazione della carta deriva una grande quantità di fanghi che finora hanno trovato sistemazione nelle discariche. Una sola cartiera, come la Burgo di Verzuolo (Cuneo), produce 30 mila tonnellate all'anno di fanghi, e in Italia esistono decine di stabilimenti simili. Questi fanghi potrebbero essere utilizzati come materiale edilizio: lo dimostra con ampia documentazione una tesi di laurea discussa al Politecnico di Torino, facoltà di Architettura, da Frabrizio Anlero. Due le destinazioni possibili dei fanghi: un granulato utile per riempimenti e un calcestruzzo-carta derivato dal granulato.


IN BREVE Giovani scienziati: un premio europeo
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, PREMIO
ORGANIZZAZIONI: FAST
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, MILANO (MI)

Il Premio europeo per giovani scienziati ha un nuovo logo, opera di un designer italiano scelto tra 200 candidati. Al premio, giunto alla nona edizione, hanno partecipato 120 ricercatori di 25 Paesi. Cerimonia alla Fast, Milano, il 13 settembre. La Fast, Federazione delle associazioni scientifiche e tecniche senza scopo di lucro, celebra quest'anno i cento anni di vita. Informazioni: 02-760.156.72.


IN BREVE Cugine scimmie mostra a Torino
ARGOMENTI: ZOOLOGIA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)

Dal 12 aprile al 13 ottobre si potrà visitare a Torino, presso il Museo regionale di scienze naturali, la mostra «Primates: noi e le scimmie». Eccezionale il patrimonio esposto. Per informazioni, 011-432.3062.


SCIENZE DELLA VITA. INDOCINA Le dighe sul Mekong Ciclopici progetti per il 2010
Autore: MORETTI MARCO

ARGOMENTI: ECOLOGIA, TECNOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: ASIAN DEVELOPEMENT BANK
LUOGHI: ESTERO, ASIA, CINA
TABELLE: C. Il percorso del fiume Mekong

IL Mekong, «il fiume più bello e selvaggio» della Terra secondo Marguerite Duras, sta per essere ridisegnato in un ciclopico progetto di sviluppo incentrato su comunicazioni e produzione di energia elettrica. Dalla sua sorgente sulle montagne dell'Himalaya tibetano fino al delta vietnamita nel Mar Cinese Meridionale, il Mekong scorre lentamente per 4500 chilometri attraverso sei Paesi in cui vivono 230 milioni di abitanti. Cina, Birmania, Laos, Vietnam, Cambogia e Thailandia concorrono a una conferenza interstatale di cooperazione per lo sviluppo della regione del Mekong. Il piano, articolato in oltre cento «progetti prioritari» per un budget complessivo di 40 miliardi di dollari, prevede la costruzione entro il 2010 di quindici dighe - con relative centrali idroelettriche - sul Mekong e sui suoi affluenti solo nella provincia cinese dello Yunnan. Una strada asfaltata servirà l'asse Bangkok-Phnom Penh-Ho Chi Minh (la vecchia Saigon). L'asfalto coprirà anche 34 piste al crocevia tra Laos, Thailandia e Yunnan: la regione più incontaminata dell'Indocina dove vivono alcune delle ultime etnie tribali. Una linea ferroviaria collegherà Kunming, il capoluogo dello Yunnan, a Bangkok e Singapore attraverso il Laos. E' già in costruzione il primo tratto dalla frontiera thailandese a Vientiane. Con sbarramenti e dragaggi il Mekong sarà reso navigabile dallo Yunnan al delta. L'intera regione sarà inclusa in un'unica rete telefonica e telematica a fibre ottiche. E la costruzione di aeroporti e alberghi di lusso trasformerà il bacino del Mekong in un nuovo polo turistico incentrato sulle spettacolari città dei templi: Pagan in Birmania, Luang Phabang in Laos, Angkor Wat in Cambogia e Lijiang in Yunnan. Un piano che dovrebbe sollevare le diseredate economie di Birmania, Laos, Cambogia e Vietnam: Paesi poveri con infrastrutture rudimentali e gran parte della popolazione con un'economia di sussistenza. Paesi provati da guerre e dittature che oggi avanzano legittime aspirazioni di sviluppo. I primi dubbi sul progetto vengono però proprio da questi Paesi. Mentre lo sviluppo della regione del Mekong è sostenuto a spada tratta da Cina, teatro da tempo di una crescita del 10 per cento annuo, Thailandia, in pieno boom economico, Giappone e Singapore, soggetti finanziari del progetto. A preoccupare è soprattutto l'impatto delle dighe sull'ecosistema del fiume. Gli sbarramenti in Yunnan darebbero garanzie energetiche alla Cina ma - insieme a quelli in Laos - avrebbero il principale scopo di alimentare lo straordinario boom della Thailandia che consuma i due terzi dell'energia della regione. La principale diga costruita in Yunnan creerebbe un bacino capace d'imprigionare per 6 mesi il 20 per cento delle acque del fiume, che ha un fluire approssimativo annuo di 500 miliardi di metri cubi d'acqua. La Cina garantisce che l'impianto regolerà il corso del fiume, ma la possibilità continua a inquietare i Paesi a valle. Il minor flusso del Mekong aumenterebbe le infiltrazioni di acqua salina nella regione del delta mettendo in pericolo le risaie del «granaio» del Vietnam, oltre alla fauna lacustre. L'abbassamento delle acque rischia di vanificare la pesca nel lago di Tonli Sap in Cambogia. E il progetto in Laos di una mega diga (la Nam Theum 2) sull'altopiano del Nakai, capace di 1500 megawatt (10 volte l'attuale produzione del Paese), prevede l'allagamento di metà di un altopiano oggi coperto di foresta pluviale e popolato da specie animali in pericolo d'estinzione come la tigre, l'orso e l'antilope muntjat. Senza contare i danni arrecati a popolazioni tribali come i Meo, i Soh, i Luan, i Thai Bor e i Kaleung che abitano da secoli le regioni tra il Laos e lo Yunnan: spostando altrove i loro villaggi smarrirebbero per sempre parte delle loro culture. Considerazioni ambientali che hanno sollevato le proteste delle organizzazioni ecologiste internazionali e hanno rimesso in discussione il finanziamento della Banca Mondiale a una parte del progetto. La costruzione delle dighe ha sponsor chiari come la Cina e la Thailandia finanziate dall'Asian Development Bank, grazie all'immediato ritorno dell'operazione in due Paesi in piena crescita. Un oleodotto tra la Birmania e la Thailandia è già stato pagato dalle compagnie petrolifere. Lo sviluppo del trasporto aereo sarà opera della Thai: principale vettore della regione. E quello delle strutture alberghiere dalle multinazionali del settore. E' invece molto meno chiaro chi pagherà per realizzare le opere stradali, ferroviarie e per rendere navigabile il fiume: interventi costosissimi che permetterebbero però la creazione di una futura rete di distribuzione commerciale. In prima fila ci sono le megafinanziarie giapponesi, interessate domani a collocare i loro prodotti sul nuovo mercato del Mekong e già oggi a trovare nuove fonti per placare l'insaziabile domanda di legno di Tokyo. In tutto il Sud-Est Asiatico l'industria nipponica del legname ha disboscato all'impazzata: nelle isole Filippine le foreste sono state ridotte dal 60 al 10 per cento del territorio. In Vietnam sono diminuite dal 43 al 27 per cento (un calo per metà dovuto alla guerra chimica), ma Laos, Cambogia e Birmania sono ancora in buona parte coperte da foreste vergini. Un'ottima - quanto preoccupante - ragione per modernizzare la loro rete di trasporti. Marco Moretti


SCIENZE A SCUOLA. I PATRIMONI DELL'UNESCO I tesori dell'umanità Oltre 500 siti protetti in più di cento Paesi
Autore: GIULIANO WALTER

ARGOMENTI: ECOLOGIA, GEOGRAFIA E GEOFISICA
ORGANIZZAZIONI: UNESCO
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T.

COMPIE 25 anni l'impegno dell'Unesco - l'organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura - nel campo della conservazione del patrimonio mondiale. Natura, storia, cultura. L'eredità lasciata dall'uomo nel corso della sua avventura sul pianeta e l'ambiente nel quale essa si è potuta sviluppare va tutelata, preservata per il futuro. Il patrimonio mondiale dell'umanità è sotto controllo speciale dal momento in cui, nel novembre 1972, a Nairobi, fu adottata la Convenzione per la protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale. A occuparsi del vasto progetto di inventario di questi beni è stata chiamata l'Unesco. Un impegno al tempo stesso materiale e spirituale, di grande delicatezza, con l'obiettivo di fare dell'intera umanità non solo l'erede ma anche la custode del patrimonio ambientale e monumentale del pianeta. La lista del «patrimonio mondiale» è ricca di 506 beni, suddivisi in 380 siti culturali, 107 naturali e 19 siti misti, situati in 107 Paesi. Si è appena arricchita di 37 nuove ammissioni decise, come ogni anno, da una speciale commissione riunita a Merida (Messico) nel 1996. Si tratta di uno scrigno di bellezze naturali, artistiche, architettoniche, paesaggistiche, monumentali che rappresentano un capitale insostituibile, spesso indispensabile al mantenimento stesso della vita sul pianeta. E che nonostante ciò è minacciato quotidianamente dall'azione irresponsabile degli uomini che troppo poco fanno per tutelarlo, difenderlo dall'azione distruttiva delle guerre, da quella non meno preoccupante del crescente inquinamento, oppure dell'urbanizzazione accelerata e del turismo di massa. L'idea fondante dell'Unesco è che questo patrimonio travalica l'interesse e le competenze dello Stato sul cui territorio si trova l'opera da tutelare, per diventare competenza dell'intera umanità. Dunque la conservazione e la valorizzazione di questo patrimonio comune richiede l'attiva cooperazione internazionale e i singoli stati sono incoraggiati e sostenuti sul piano legislativo, tecnico, finanziario e amministrativo dalle iniziative dell'Unesco. Uno specifico comitato, costituito da una ventina di rappresentanti degli oltre 140 Stati che hanno ratificato la convenzione, valuta annualmente i beni candidati a essere iscritti nella lista e proposti dai singoli Stati che contestualmente impegnano in primo luogo se stessi nella salvaguardia del sito. Se questo sarà accolto nella lista potrà inoltre contare sull'aiuto dello specifico fondo istituito dalla convenzione e mantenuto grazie ai contributi degli Stati membri e a donazioni di privati e istituzioni che consentono di fornire supporti materiali, tecnici o in materia di formazione professionale per personale specializzato. I beni inseriti in questa «mappa delle meraviglie» comprendono, per quanto riguarda la sezione cultura, i monumenti propriamente detti, dalle opere di architettura, pittura e scultura, ai reperti archeologici, alle incisioni rupestri, agli insiemi di edifici e, dal 1993, anche i cosiddetti «paesaggi culturali». La voce «patrimonio naturale» raccoglie invece i monumenti naturali costituiti da formazioni fisiche e biologiche o loro raggruppamenti, significativi sotto l'aspetto estetico o scientifico, le formazioni geologiche e fisiografiche, nonché le zone che rappresentano gli habitat di specie animali e vegetali minacciate che abbiano valore scientifico o per la conservazione. Per entrambe le grandi categorie è inoltre indispensabile il carattere di valore universale eccezionale. Questo è stato definito, nell'ambito degli orientamenti operativi della convenzione messi a punto per valutare il patrimonio mondiale, ricorrendo a specifici criteri. Perché un sito possa essere inserito nella lista del patrimonio mondiale, e accedere al fondo internazionale di intervento, dovrà rispondere ad almeno uno dei criteri. Per i beni culturali sono sei: 1) rappresentare un risultato artistico o estetico unico: 2) aver esercitato un'influenza notevole sugli sviluppi successivi nel campo dell'architettura o delle arti; 3) essere la testimonianza eccezionale di una tradizione o di una cultura; 4) figurare tra gli esempi più caratteristici di un tipo di struttura; 5) rappresentare un esempio eccezionale di un insediamento tradizionale; 6) essere associato con eventi o con tradizioni di importanza universale fuori della norma. Le direttive specificano inoltre che il sito deve qualificarsi per la sua autenticità e carattere originale in rapporto alla o alle culture di cui è espressione e deve essere autentico nella sua forma, nei materiali, nelle tecniche di lavorazione in relazione al suo contesto. I criteri per la selezione dei beni naturali sono quattro: 1) essere esempi rappresentativi dei grandi stadi della storia della Terra, comprese le testimonianze della vita, dei processi geologici in corso nello sviluppo delle forme terrestri o elementi geomorfici o fisiografici di grande significato; 2) essere rappresentativi dei processi ecologici e biologici in corso durante l'evoluzione e lo sviluppo degli ecosistemi e delle comunità di piante e animali terrestri, acquatiche, costiere o marine; 3) rappresentare fenomeni naturali o aree di una bellezza naturale e di una importanza estetica eccezionale; 4) contenere gli habitat naturali più rappresentativi e importanti ai fini della conservazione in sito della diversità biologica, ivi compresi quelli in cui sopravvivono specie minacciate di grande importanza per la scienza o la conservazione. Vedremo prossimamente, in dettaglio, alcuni esempi rappresentativi di questi tesori dell'umanità. Nel disegno sono segnati solo alcuni dei tanti luoghi protetti in Europa. Ricordiamo che in Italia i siti sotto l'egida Unesco sono solo sette: le incisioni rupestri in val Camonica, Santa Maria delle Grazie a Firenze e il centro storico, Venezia, piazza del Duomo a Pisa, e i centri storici di Roma e di San Geminiano in Toscana. Tra i posti più famosi in elenco e segnati sulla cartina: i menhir di Stonehenge in Gran Bretagna; Mont St. Michel e le cattedrali gotiche di Amiens e Chartres (Francia); le grotte di Altamira e la cattedrale di Burgos (Spagna), i centri storici di Varsavia e Cracovia (Polonia), la città di Budapest; la Medina di Tunisi e l'anfiteatro romano di El Djem (Tunisia); i parchi naturali del Tassili N'Ajer e l'oasi di Tadrart (Sahata algerino). Le rovine romane di Cirene in Libia; il Monte Athos, Delfo ed Epidauro (Grecia), la città vecchia di Istambul. Walter Giuliano




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