TUTTOSCIENZE 26 marzo 97


IL PUNTO SULLA LOTTA AL CANCRO Un timer innesca i tumori Studi sull'«orologio biologico» delle cellule
Autore: TOSTESON DANIEL

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, BIOLOGIA
NOMI: UNIVERSITA' DI HARVARD, FACOLTA' DI MEDICINA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. La genesi di un tumore maligno nel tessuto epiteliale

IL '900 è stato il secolo della fisica. Esplorando le proprietà elementari della materia e dell'energia, grandi fisici come i premi Nobel italiani Guglielmo Marconi ed Enrico Fermi hanno dato un contributo fondamentale alla creazione di tecnologie che hanno cambiato il mondo, dalla radio alla fissione nucleare per generare energia, dalla elaborazione elettronica dei dati al laser. Scrutando il cielo gli astrofisici, moderni discepoli di Galileo, hanno stabilito quale sia il posto dell'uomo nell'universo, insegnandoci che siamo gli abitanti di un prezioso piccolo pianeta blu che ruota tra un miliardo di stelle e di galassie. Io credo che il ventunesimo secolo sarà quello della biologia - specialmente della biologia medica - dal momento che abbiamo incominciato a utilizzare i nostri strumenti tecnologici più avanzati per svelare i segreti dei tessuti, delle cellule e dei geni del nostro corpo. La ricerca nella genetica, nella biologia molecolare e nello sviluppo (lo studio della crescita embrionale) è sulla buona strada per comprendere le interazioni biochimiche fondamentali che generano e mantengono le migliaia di miliardi di cellule specializzate dell'organismo umano. Così come, in breve tempo, le idee germogliate dai fisici si sono trasformate in realizzazioni tecnologiche, la comprensione della struttura e delle funzioni della cellula certamente metterà i ricercatori in grado di porre rimedio ai danni genetici che provocano il più misterioso e devastante morbo che affligge l'umanità: il cancro. Grazie alla rivoluzione biotecnologica degli ultimi 25 anni, i ricercatori in Europa, Asia e Nord-America - inclusi quelli che ho l'onore di rappresentare in qualità di Rettore della Facoltà di Medicina dell'Università di Harvard - hanno fatto scoperte fondamentali sugli errori molecolari delle cellule che scatenano il cancro. Nell'embrione in via di sviluppo uno dei compiti più importanti della cellula è dividersi, cioè fare copie di se stessa per popolare i tessuti e gli organi, e assumere caratteristiche specifiche, per esempio quelle dei muscoli, delle ossa o del sistema nervoso. Gli artefici di queste funzioni nell'interno della cellula sono le proteine, catene di aminoacidi le cui proprietà biochimiche sono determinate in gran parte dalla loro conformazione tridimensionale. La conformazione di una proteina dipende dalla precisa sequenza dei suoi aminoacidi, informazione che è immagazzinata nel Dna. Questa informazione (il gene) è contenuta nel nucleo della cellula ed è usata come stampo ogni volta che è necessario sintetizzare la proteina. Tuttavia, non solo è importante costruire la proteina in modo corretto: è critico costruirla secondo un programma preciso, altrimenti il piano di sviluppo dei tessuti e degli organi viene alterato. Oggi i biologi vedono il cancro come una versione alterata del programma di sviluppo, una malattia in cui i processi normali della sintesi delle proteine e della divisione cellulare sono innescati in momenti inappropriati e non possono essere facilmente arrestati. Un sistema molecolare noto come «l'orologio del ciclo cellulare» determina quando la divisione cellulare debba iniziare. La ricerca degli ultimi sei anni ha dimostrato che un intreccio di segnali molecolari fra le cellule controlla questo orologio e impartisce l'ordine di arrestarsi o di progredire. Questi segnali mantengono le cellule in armonia reciproca. Infezioni virali, esposizioni a cancerogeni chimici, radiazioni, o semplicemente errori nella duplicazione del Dna durante la divisione cellulare, possono cambiare o eliminare geni che codificano proteine con un ruolo cruciale in questa rete di comunicazione, talvolta con conseguenze disastrose. In alcune donne, per esempio, due proteine chiamate pRB e p53 sono inattivate nelle cellule infettate dal virus del Papilloma. La funzione della proteina pRB è di arrestare la divisione cellulare legandosi ad altre proteine che stimolano l'espressione dei geni. La p53, invece, è un «correttore di bozze» che controlla che la duplicazione del Dna sia esatta e che spinge la cellula al suicidio se trova degli errori. Senza questi guardiani molecolari l'orologio del ciclo cellulare sfugge a ogni controllo. Queste scoperte hanno generato una messe di prospettive affascinanti per combattere il cancro. Per esempio, all'Istituto per la Ricerca e la Cura del Cancro di Torino, diretto da Felice Gavosto, i ricercatori coordinati da Paolo Comoglio stanno studiando come un gene necessario allo sviluppo dell'embrione umano, chiamato MET, possa trasformare le cellule sane in letali cellule cancerose. Questo gene codifica una proteina con funzione di recettore che attraversa la membrana delle cellule epiteliali, come quelle che rivestono l'intestino. Quando una proteina con funzioni di segnale intercellulare, chiamata HGF (Epatocyte Growth Factor), è captata dal recettore Met, viene attivato un programma genico che porta alla proliferazione e alla migrazione della cellula. I ricercatori di Torino hanno scoperto che nel cancro del colon un errore nella produzione del recettore Met spinge le cellule a proliferare e a muoversi anche in assenza del segnale HGF. Se gli scienziati potranno trovare il modo di spegnere il recettore malfunzionante, si potrà impedire alle cellule del cancro del colon di proliferare senza controllo. I miei colleghi della Facoltà di Harvard e io personalmente siamo lieti che, grazie alla generosità e alla lungimiranza del conte Giovanni Auletta Armenise e della sua defunta moglie Dianora Bertacchini, si siano potute stabilire nuove collaborazioni internazionali che permetteranno a queste ricerche di svilupparsi ancora più rapidamente in futuro. In gennaio la Armenise-Harvard Foundation for Advanced Scientific Research ha selezionato quattro centri italiani di eccellenza per produttività scientifica. A questi sono stati assegnati i fondi necessari per stabilire una collaborazione nel campo della ricerca biomedica avanzata. Quesli centri, che includono l'Istituto per la Ricerca e la Cura del Cancro di Torino, riceveranno sostegno finanziario per collaborare con la Scuola di Medicina di Harvard per almeno tre anni. Quattro centri analoghi sono stati creati dalla Fondazione a Boston, presso la Facoltà di Medicina di Harvard. Credo che il ventunesimo secolo eguaglierà le stupefacenti conquiste scientifiche del secolo che finisce anche svelando i segreti dei meccanismi che portano al cancro. Credo anche che per arrivare a questi risultati sia necessario un lavoro di squadra che superi le barriere tra le discipline scientifiche e le nazioni. E' la strada che stiamo seguendo. Daniel Tosteson Rettore della Facoltà di Medicina Università di Harvard, Usa


Scomoda eredità I geni del cancro della mammella
Autore: DI RENZO MARIA FLAVIA

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, GENETICA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: G., D. Cancro mammario: sopravvivenza in Italia. Percentuale di sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi per i vari tipi di tumore nell'uomo e nella donna

MEDICINA molecolare è un'espressione che da tempo circola, come un crescente rumore di fondo, non solo nei circuiti accademici ma anche in quelli dell'informazione di massa. Questa medicina, senza contrapporsi a quella clinica, si propone di fare diagnosi e terapia partendo dalle conoscenze molecolari. E' quasi finito il grande sforzo di ottenere la sequenza del Dna della specie umana (il famoso Progetto Genoma); sono stati identificati moltissimi geni responsabili di malattie note; si sta passando all'applicazione delle informazioni scientifiche acquisite alla medicina. Ormai le notizie scientifiche circolano anche nei supermercati dell'informazione (giornali popolari e salotti televisivi) e perciò richiedono una divulgazione rigorosa e una regolamentazione adeguata. Infatti la richiesta da parte del pubblico di conoscere e utilizzare le ultime scoperte scientifiche è tanto più forte e confusa quanto più la malattia in questione, come il cancro, spaventa per la sua grande diffusione e l'insorgenza insidiosa. Nel caso del tumore della mammella, la possibile ereditarietà è nota da tempo. Ora sappiamo che circa il 10 per cento della popolazione porta in specifiche zone del proprio Dna (i geni) alterazioni che predispongono al tumore della mammella. Queste alterazioni provocano un elevato rischio di sviluppare il tumore. Alcuni dei geni coinvolti - ma non tutti - sono stati identificati: in circa il 20 per cento dei casi il gene non è ancora identificabile ma la famigliarità è certa. Il sospetto è fondato quando almeno tre parenti in primo grado (mamma, nonna, bis-nonna o sorelle) abbiano avuto un tumore della mammella. I geni già noti (chiamati Brca1, Brca2, Brca3 e Atm) hanno grandi dimensioni e struttura complessa. Le alterazioni che li colpiscono possono essere le più diverse. Queste informazioni suggeriscono che per ora uno scree ning di massa della popolazione per identificarei portatori sia difficilmente proponibile. La diagnosi genetica famigliare invece deve essere proposta alla famiglia del paziente portatore di un tumore identificato, se questo presenta un'incidenza famigliare rigorosamente documentata. L'analisi può essere eseguita solo in un centro accreditato multidisciplinare, dove la competenza medica e scientifica si integrino. Ma soprattutto il centro deve essere in grado di assistere a lungo termine quel nuovo tipo di paziente fisicamente sano ma «malato molecolare», per il quale gli inglesi hanno coniato il termine di «unpatient». Da più parti gli istituti per la ricerca sul cancro, tra cui quello di Candiolo in Piemonte, sono stati indicati come le istituzioni idonee per lo svolgimento di questa attività di diagnosi e prevenzione secondaria avanzate. Essendo impegnati sul fronte della ricerca, sono i centri più qualificati per il trasferimento in tempo reale delle informazioni dalla ricerca alla clinica, nel rispetto delle regole etiche. I problemi etici oggi vengono enfatizzati, sulla scia delle disposizioni adottate con urgenza negli Stati Uniti per le ricadute sul sistema assicurativo-assistenziale. Nel nostro paese, la Commissione oncologica nazionale del ministero della Sanità, coordinata dai professori Rilke e Chieco-Bianchi, ha indicato con equilibrio i criteri generali per la prevenzione e la diagnosi dei tumori ereditari. La Commissione ha identificato i pazienti che potrebbero giovarsi della diagnosi genetico-molecolare, adeguando l'intervento medico all'interesse del paziente e dei suoi famigliari. La Commissione ha delineato le caratteristiche dei centri da accreditare e ha posto gli appropriati limiti etici. Le polemiche da sempre accompagnano la storia della ricerca sul cancro. Anche la vicenda dei geni che predispongono al tumore della mammella si è rivelata fin dall'inizio (nove anni fa) un crocevia in cui le vie della scienza incrociano le vie della divulgazione. I primi articoli su questi geni suscitarono un passa-parola che rimbalzò sulle pagine dei giornali a larga diffusione prima che le informazioni tecniche potessero essere lette dagli addetti ai lavori sulle riviste scientifiche. Gli uffici stampa delle istituzioni scientifiche dovettero fronteggiare una tale pubblicità che alcuni di essi, come l'Imperial Cancer Research Fund inglese, istituì dei corsi di comunicazione per insegnare ai suoi medici a rispondere a domande specifiche senza tradire il rigore scientifico e senza alimentare speranze improprie. Un simile clamore ha suscitato recentemente l'offerta al pubblico negli Stati Uniti, da parte di una compagnia biotecnologica, per «solo» 295 dollari, di un test per l'identificazione di una delle lesioni di uno dei geni noti, il già citato gene Brca1. Si rivelò presto che l'analisi offerta al grande pubblico in realtà aveva valore solo per una comunità ristretta, quella degli ebrei Ashkenazi, in cui quella lesione è frequente. L'informazione, giunta incompleta e mal commentata al grande pubblico, aveva suscitato speranze e aspettative sbagliate. Un'informazione appropriata invece è quella che accompagna il buon lavoro di quei centri che sono in grado di offrire ai pazienti e alle loro famiglie l'assistenza idonea. Maria Flavia Di Renzo Università di Sassari


Al via l'Istituto di Torino Avviati i laboratori, presto la clinica
NOMI: GAVOSTO FELICE, BERGOGLIO CORDARO EMILIA, ZANETTA GIAN PAOLO
ORGANIZZAZIONI: ISTITUTO PER LA CURA E LA RICERCA SUL CANCRO
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, CANDIOLO (TO)
TABELLE: D. Cellula di mammifero. Associazione con tumori umani, strategia di cura

FINALMENTE Torino ha il suo Istituto per la cura e la ricerca sul cancro. Sotto la direzione scientifica di Felice Gavosto, nel settembre scorso è già iniziata l'attività di ricerca con l'apertura della Divisione di biologia molecolare. Seguiranno altre due divisioni: oncologia clinica e immunologia oncologica. Con l'Ordine Mauriziano, rappresentato dalla presidente Emilia Bergoglio Cordaro e dal direttore generale Gian Paolo Zanetta, è stata stipulata una convenzione per l'attività di cura. A luglio si apriranno gli ambulatori e i laboratori di diagnostica, entro dicembre il Day Hospital e il primo reparto di degenza, con 80 posti letto. Ricerca di base, ricerca applicata e terapia si troveranno dunque a stretto contatto: una situazione che è la premessa per una più efficace lotta contro i tumori, come dimostrano ormai numerose esperienze straniere. Si completa così la «fase 1» della realizzazione dell'Istituto e parte la «fase 2», che prevede una seconda struttura per le degenze, con 90 posti letto. La «fase 1» ha richiesto un investimento di 70 miliardi, raccolti dalla Fondazione Piemontese per la ricerca sul cancro in parte grazie a offerte di cittadini e in parte tramite contributi di Italgas, San Paolo, Cassa di Risparmio e azionisti Fiat. Il Centro, che sorge nel Comune di Candiolo, sarà funzionalmente integrato con l'Ospedale Umberto I, e collaborerà strettamente con l'Università di Torino. L'obiettivo finale è un Istituto per la ricerca e la cura del cancro «a carattere scientifico», in modo da dotare anche il Piemonte di un istituto di questo tipo (in Italia ce ne sono sette).


SCIENZE FISICHE. EUTANASIA DI UNA NAVICELLA SPAZIALE La Nasa abbandona Pioneer 10 Fu la prima sonda a uscire dal sistema solare
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
ORGANIZZAZIONI: PIONEER 10
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Il viaggio della sonda spaziale Pioneer 10 oltre il Sistema Solare

NELLA geografia di Omero e dell'eroe Ulisse, le Colonne di Ercole si collocavano a Gibilterra. Oggi sono a più di dieci miliardi di chilometri da noi, ben oltre l'orbita di Plutone, pianeta estremo del sistema solare. Come Ulisse nel suo ultimo viaggio si avventurò nell'ignoto oceano Atlantico, così due navicelle da anni stanno addentrandosi in quegli spazi tenebrosi: «Pioneer 10» e «Voyager 2». Ma gli Ulisse contemporanei, cioè gli scienziati della Nasa, per «seguir virtute e conoscenza» devono fare i conti con i finanziamenti del governo americano; e dato che questi scarseggiano, a virtute e conoscenza bisogna forzatamente rinunciare. Così, tra cinque giorni, il 31 marzo, verrà definitivamente interrotto il contatto radio con «Pioneer 10». La malinconica decisione è stata annunciata al Jet Propulsion Laboratory e al Centro Ames in California il 3 marzo, cioè esattamente nel venticinquesimo anniversario della partenza del «Pioneer 10», che fu lanciato da Cape Canaveral nel 1972 con un razzo Atlas- Centaur. A tagliare lunedì prossimo il cordone ombelicale sarà il direttore della missione Fred Whirt. Eutanasia di una sonda spaziale. Con la sua piccola radiotrasmittente da 8 watt (una lampadina da frigorifero), «Pioneer 10» continua a inviare dati sulla radiazione cosmica e sull'eliosfera: messaggi che, per via della distanza, impiegano 10 ore ad arrivare fino a noi. Quattro dei 12 strumenti di bordo funzionano ancora. Eppure la navicella - 250 chilogrammi, un'antenna parabolica da 2,74 metri - era progettata per campare solo tre anni. E' stata lei a inviarci, il 3 dicembre 1973, le prime immagini ravvicinate di Giove e dei suoi satelliti: una impresa che da sola basterebbe a darle un posto nella storia della scienza. Il 13 giugno 1983, dieci anni dopo l'incontro con Giove, «Pioneer 10» divenne il primo oggetto costruito dall'uomo a lasciare il sistema solare. Così la tecnologia incominciava a percorrere quegli itinerari che l'immaginario aveva già mille volte sondato, così sfidava quei confini che fino ad allora erano appartenuti alla fantascienza. Quando «Pioneer 10» superò l'orbita di Plutone - le Colonne d'Ercole interplanetarie - correva a 49.198 chilometri orari. Sembra molto, e lo è. Non però su scala astronomica. Di questo passo la navicella americana potrà incontrare la stella più vicina, Proxima Centauri, tra 26.135 anni. Fra 32.610 anni sarà nei dintorni di Lambda Serpentis. E fra 227 mila anni raggiungerà Altair, nella costellazione dell'Aquila. Non sapremo mai che cosa vedrà, chi incontrerà. Del resto la sua fonte di energia è già vicina all'esaurimento. Non è così per la sonda «Voyager 2». Anche questa navicella ha oltrepassato l'orbita di Plutone, ma le sue pile nucleari funzioneranno fino al 2018. C'è ancora la possibilità di avere informazioni importanti sui dintorni del sistema solare, e in particolare notizie sul campo magnetico del Sole. Nella primavera '93 - per esempio - questa sonda spaziale ci ha inviato i primi dati sul confine della regione chiamata «eliosfera», la zona di transizione dove il vento di particelle atomiche soffiate a gran velocità dal Sole si disperde e si confonde con il rarefattissimo «mezzo interstellare». E ora avanza nella regione da cui proviene la cometa che sta attraversando i nostri cieli, la Hale-Bopp. Ma dopo il 2018, sempre che i bilanci della Nasa non richiedano pure in questo caso una eutanasia, calerà il silenzio anche sul «Voyager 2». La navicella potrà però - eventualità improbabilissima - portare un suo messaggio a qualche essere alieno, qualche signor E. T. che venisse a trovarsi lungo il suo cammino. A bordo, infatti, c'è un disco dorato che riporta molte notizie sulla Terra e sull'umanità che la abita. Tra l'altro, in quel disco sono incisi brani musicali (da Mozart a Beethoven fino a qualche battuta di jazz e di rock), rumori come lo sciabordio del mare e il rombo di un'eruzione vulcanica, persino lo schiocco di un bacio. Rimane da appurare se nella Galassia siano disponibili giradischi. E' più rudimentale, ma un messaggio viaggia anche sul «Pioneer»: è una targa dorata che riporta la rotta della sonda, alcune nozioni scientifiche fondamentali e il disegno di un uomo e una donna nudi. All'epoca del lancio fiorì su quei graffiti una polemica curiosa perché l'uomo appare inciso sulla targa con i suoi attributi sessuali, la donna no. Linda Sagan, che disegnò quelle figure preoccupandosi anche di mettere nei lineamenti del volto qualcosa di tutte le razze umane, era stata infatti censurata dalla Nasa. A 25 anni di distanza il costume sembra aver fatto tanta strada quanto la sonda. Ma ormai il signor E. T. non potrà più avere informazioni obbiettive sull'anatomia della nostra specie. Quanto all'astronomo Carl Sagan, profeta della vita extraterrestre e ideatore dei messaggi messi su «Pioneer» e «Voyager», se n'è andato anche lui, per un tumore, il 20 dicembre dell'anno scorso. Scusate, questo è un articolo triste. Piero Bianucci


SCIENZE FISICHE. RICERCA La «scossa» che solidifica un liquido
Autore: LAPENTA GIOVANNI

ARGOMENTI: FISICA, RICERCA SCIENTIFICA
LUOGHI: ITALIA

LA comprensione dei sistemi complessi è una delle principali sfide scientifiche contemporanee. Gli oggetti, naturali e tecnologici, sono composti da molte parti che interagiscono tra loro. Molto spesso l'interazione reciproca tra le parti fa assumere al sistema un comportamento che può sembrare inatteso. Ad esempio, se a un liquido non acquoso (come gli oli sintetici) vengono mescolate particelle finissime di materiali solidi, si può ottenere un nuovo liquido che all'apparenza si comporta normalmente, ma se inserito tra due elettrodi collegati a una batteria diventa solido. Quando la batteria viene staccata il materiale ridiventa liquido. Questo effetto, chiamato elettroreologico, fu scoperto 50 anni fa. Subito si intravidero prospettive di applicazione pratica, tanto che lo scopritore, Winslow, brevettò l'invenzione. Da allora molti brevetti sono stati depositati e innumerevoli applicazioni sono state proposte, soprattutto in Russia. Nuovi ammortizzatori intelligenti in grado di attutire completamente ogni sbalzo anche sulle strade più devastate. Muscoli elettroreologici per robot e per l'industria aerospaziale. Ma in commercio non c'è un solo apparato che utilizzi l'effetto elettroreologico. La ragione è semplice: i fluidi elettroreologici finora ottenuti con tentativi empirici o per caso non sono adatti a un uso industriale perché solidificano troppo lentamente e restano troppo molli. Il fallimento è dovuto sia a ragioni economiche sia al modo in cui sono state condotte le ricerche. La causa economica risiede nel fatto che le industrie interessate all'uso dei fluidi elettroreologici (settore automobilistico) non sono le stesse che li potrebbero sviluppare (settore chimico). Ma oltre a questo, la ricerca, per scarsità di mezzi, ha finora proceduto per tentativi cercando in modo empirico. Uno dei più grandi successi è stato ottenuto da uno studente americano che ha scoperto che la sua cioccolata, se fusa, era un buon fluido elettroreologico. Sembra ragionevole ritenere che metodi più sistematici potrebbero dare risultati più sostanziosi. Come funzionano i fluidi elettroreologici? L'effetto principale è dovuto all'allineamento delle particelle solide disperse nel fluido. La presenza di elettrodi carichi polarizza le particelle solide cioè tende a far migrare le cariche positive nell'estremo della particella rivolto verso l'elettrodo negativo, e le cariche negative nell'estremo rivolto verso l'elettrodo positivo. Le particelle, pur mantenendo una carica netta nulla, assumono opposte polarità ai loro estremi. Questo fa sì che esse si attraggano e respingano tra di loro, fino a che non si raggiunge una situazione in cui le particelle formano catene in cui la regione carica positivamente di una particella è in corrispondenza della regione negativa di un'altra particella. Queste catene si estendono da un elettrodo all'altro e causano una resistenza meccanica simile a quella dei solidi. Così si spiega la transizione da liquido a solido. Appena si stacca la batteria, le particelle perdono la polarizzazione, le catene si spezzano e si disperdono, e il materiale ritorna liquido. Il meccanismo così descritto è praticamente tutto quello che si sa, e si è sempre saputo fin dalla prima scoperta, sui fluidi elettroreologici. Bisognerebbe invece capire quanto si polarizzano le particelle sospese, con che forza di attraggono tra loro per formare le catene e con che velocità si formano le catene. Con queste risposte si potrebbero progettare fluidi di interesse industriale scegliendo con cognizione di causa i materiali che compongono il liquido. Come ottenere queste risposte e andare oltre la cioccolata fusa? La risposta è probabilmente nei computer. La simulazione al computer dei processi industriali e degli oggetti di uso comune sta diventando una nuova frontiera della scienza. Sono stati simulati sistemi composti da migliaia di particelle solide sospese in un fluido ed effettivamente si è vista la formazione delle catene sopra descritte. Affinando e perfezionando queste tecniche si potrà prevedere la forza dell'effetto elettroreologico in materiali diversi e si potranno progettare fluidi migliori, finalmente di interesse commerciale. Giovanni Lapenta Politecnico di Torino


SCIENZE FISICHE. ANALISI CHIMICHE DEL CNR La Fenice, escluso un incendio accidentale Le ceneri conservano tracce dei meccanismi all'origine delle fiamme
Autore: STURARO ALBERTO

ARGOMENTI: CHIMICA, PERIZIA, INCENDI, TEATRO
ORGANIZZAZIONI: LA FENICE, CNR
LUOGHI: ITALIA

GLI incendi non sono tutti uguali: possono differire tra loro per le cause che li hanno generati. L'individuazione della causa delle fiamme è richiesta con sempre maggiore insistenza in campo forense, assicurativo e legale in modo da stabilire se l'incendio è di natura dolosa o accidentale. E' il caso, per esempio, del rogo che ha distrutto il teatro La Fenice di Venezia. Alla soluzione del problema finora ha contribuito l'ingegnere, che sulla base di osservazioni sul posto, quali la zona di innesco, la velocità e le traiettorie di propagazione del fuoco, la sequenza temporale degli eventi, il verificarsi di eventuali fenomeni elettrici (corto circuito, surriscaldamento di apparecchi elettrici) ed elaborazioni al computer sulla resistenza al fuoco di determinati materiali e/o strutture, può indicare le cause del fenomeno. In questo quadro si può inserire, a pieno titolo, il chimico il quale è attrezzato a individuare e riconoscere la presenza di eventuali liquidi infiammabili (acceleranti) impiegati per innescare e alimentare l'incendio nelle sue prime fasi. La persona che provoca il dolo è fondamentalmente convinta che «tutto vada in fumo». Invece il processo di combustione realizzato in maniera così poco scientifica, ha rendimenti modesti. A limitare la combustione del liquido infiammabile intervengono, oltre a fattori fisici quali la difficoltà a vaporizzare, anche impedimenti legati al luogo di innesco dell'incendio. L'accelerante può essere assorbito dai materiali con cui viene a contatto, nonché incunearsi tra le fessure e fughe del pavimento e quindi esser preservato dalla combustione mantenendo pressoché inalterata la sua composizione chimica. Materiali come il legno, le stoffe e i tappeti svolgono una funzione insostituibile in appoggio al chimico che punta a individuare queste microsacche di infiammabile nei materiali o zone potenzialmente additivate. L'individuazione di questi residui dell'incendio nella zona di innesco, operando in stretta collaborazione con l'attività e le competenze dell'ingegnere, può risultare vincente nella classificazione di qualsiasi incendio. La caratteristica peculiare di questi infiammabili è che non sono un composto puro, ma in genere una miscela variegata di specie chimiche, appartenenti alla famiglia degli idrocarburi. E' sulla base di questo dato che avviene il riconoscimento in quanto il tracciato strumentale ottenuto da ogni campione viene confrontato con quello derivante dai prodotti di riferimento (benzina, gasolio, cherosene e altri). Tuttavia, la soluzione non è così semplice perché l'infiammabile, una volta versato, subisce una naturale e/o forzata concentrazione che lo porta con discreta velocità, dell'ordine di giorni, ad arricchirsi nei componenti meno volatili, per cui il tracciato di riferimento si modifica nel tempo. In questo processo vengono messe in evidenza con il trascorrere del tempo le impurezze e i componenti pesanti, modificando a favore di questi ultimi i rapporti relativi tra tutti i composti presenti nella miscela originale. Nella perizia sull'incendio del teatro «La Fenice» di Venezia, data la complessità dell'evento e l'interesse dell'opinione pubblica, il Pubblico Ministero ha attivato un gruppo di esperti di varie discipline in modo da recuperare il massimo delle informazioni utili alla soluzione del caso. Nell'occasione sono state messe in campo, per un'azione sinergica, le competenze e la professionalità di un esperto in prevenzione incendi, la professionalità e la memoria storica sull'evento di chi ha seguito in diretta l'evoluzione del sinistro. Inoltre c'è stata l'accurata ricostruzione degli impianti elettrici e degli utensili in uso assieme alla ricerca e alla scientifica datazione della documentazione fotografica sull'argomento, nonché le oltre 200 analisi eseguite dal mio gruppo dell'Ufficio sicurezza e prevenzione del Cnr di Padova su 55 campioni nei quali sono state ricercate le tracce di 18 potenziali acceleranti. Le conclusioni della perizia, con il contributo di tutte le competenze, hanno permesso di escludere con sicurezza la causa accidentale. Alberto Sturaro Cnr, Padova


SCIENZE DELLA VITA. IN GERMANIA Cani aggressivi a scuola Corsi obbligatori per animali e padroni
Autore: MOLINARIO PIER VITTORIO

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ANIMALI, DOMESTICI, LEZIONI
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, GERMANIA
NOTE: Corsi di educazione canina

LA decisione del governo del Nord-Reno-Westfalia in Germania, di imporre la frequenza di «Corsi di educazione canina» ai padroni di cani aggressivi, pone il problema di distinguere il concetto di educazione da quello di addestramento. Nella terminologia sperimentale, addestrare un animale significa insegnargli (renderlo destro, abile) a svolgere determinate operazioni, mentre educarlo significa abituarlo a essere gestito e manipolato con facilità. I due procedimenti di solito non hanno molto in comune, anche se i risultati dell'uno possono interferire pesantemente con quelli dell'altro: un animale insufficientemente «educato» rende male nell'addestramento, uno affaticato o traumatizzato dall'addestramento può diventare difficile da gestire. Applicato alle pratiche cinofile, il concetto di addestramento ha subito nei decenni passati una notevole semplificazione. Mentre un tempo si riferiva esclusivamente all'apprendimento e al perfezionamento di mansioni specialistiche (addestramento alla caccia, alla conduzione del bestiame, alla guida dei ciechi, alla difesa, ecc.), in tipi razziali o attitudinali appositamente selezionati, diffondendosi l'uso di un sempre maggiore numero di razze per scopi di compagnia, esso ha finito col riguardare soprattutto le pratiche di obbedienza restrittiva: quelle che consentono ai proprietari di tenere gli animali sotto controllo anche in situazioni ambientali critiche (critiche per la presenza ma anche per l'assenza di particolari stimoli: ad esempio per inattività, per noia). Inevitabilmente la generalizzazione degli scopi ha portato a generalizzare anche le tecniche utilizzate, che sono diventate le stesse per tutte le razze e spesso anche per tutti i tipi caratteriali. Il che ha cominciato ben presto a porre, oltre che problemi di resa, anche problemi di tolleranza. L'autocontrollo reattivo che si può pretendere da un cane da pastore (che è stato in un certo senso «inventato apposta» per un uso specifico) non è certo lo stesso che si può pretendere da un mastino. D'altra parte il grado di inattività e di monotonia ambientale che un mastino riesce a tollerare è del tutto improponibile, ad esempio, per un cane da pastore. Per queste e altre ragioni, nei Paesi di più radicata cultura cinofila si sono venuti precisando, negli ultimi anni, sia nuovi e più differenziati metodi di addestramento all'obbedienza, sia un più rigoroso, più responsabile e soprattutto più aggiornato (in senso tanto affettivo che comportamentale) concetto di educazione canina. Negli Stati Uniti esistono già da diverso tempo Classi di Obbedienza differenziata sia per obiettivi sia per tipi razziali o caratteriali, alle quali i proprietari di cani potenzialmente pericolosi o «problematici» vengono precauzionalmente indirizzati dagli stessi veterinari. Ma è soprattutto con le informazioni di tipo educativo che gli specialisti del comportamento (Behavior Consultants, che possono affiancare i veterinari generici o essere essi stessi medici veterinari specializzati), divenuti ormai figure professionali molto diffuse nel Paesi anglosassoni, si sforzano di facilitare fin dall'inizio il rapporto cani-proprietari-ambiente. Il presupposto teorico (e non solo teorico, visto che è ampiamente dimostrato), è che qualsiasi cane, dotato di un normale equilibrio neurofisiologico, a partire dal secondo- terzo mese di vita, impieghi tutte le proprie energie per adattarsi positivamente (o vantaggiosamente: per lui, s'intende) all'ambiente sociale che lo ospita, e che questo sforzo sia tale da riuscire a modificare anche molto profondamente le tendenze innate, razziali o individuali, che lo caratterizzano. Il problema è consentirglielo. O meglio, il problema è far sì che questo adattamento, che in ogni caso si verifica, si accordi con le presenti e, soprattutto, con le future esigenze del proprietario. Le principali difficoltà che i proprietari incontrano nel facilitare questo adattamento spontaneo sono essenzialmente e in ordine d'importanza e di frequenza: a) l'ansia, di solito per le conseguenze immediate di tale spontaneità; b) l'incapacità o il rifiuto di dare, innanzi tutto a se stessi, delle regole di comportamento; c) l'impossibilità o l'indisponibilità ad interagire attivamente con l'animale per un periodo di tempo giornaliero socialmente significativo (tale da non comportare senso di abbandono o superficialità di rapporti: diciamo, orientativamente, un'ora al mattino e una al pomeriggio); d) i pregiudizi razziali o caratteriali, sia negativi che positivi, riguardo alle capacità dei singoli animali. Come si vede, non rientrano nella lista nè le difficoltà imposte dall'ambiente fisico (diciamo che non deve trattarsi di un'astronave]) nè l'esperienza o le specifiche attitudini dei proprietari. Per credere basta interrogare uno dei tanti gestori di pompe di benzina che hanno consentito ai loro animali di adattarsi perfettamente e nella più totale libertà alle esigenze del loro lavoro. Pier Vittorio Molinario


SCIENZE DELLA VITA. CAPELLI: CADONO IN PRIMAVERA Una molecola cura la calvizie
Autore: PELLATI RENZO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA
ORGANIZZAZIONI: CENTRO RICERCHE OREAL
LUOGHI: ITALIA

I capelli sono tanto importanti nel determinare l'aspetto di una persona da assumere anche significati simbolici. Per i monaci orientali, ad esempio, il cranio rasato è simbolo di castità e celibato, per i religiosi del mondo occidentale la tonsura è stata, e rimane, un segno di umiltà. L'uomo moderno, invece, laicamente teme la caduta dei capelli, e quindi la calvizie, per motivi estetici. In primavera questo problema si ripresenta perché la caduta dei capelli subisce un naturale incremento (come del resto avviene in autunno). Fin dal tempo dei tempi, contro la caduta dei capelli sono stati suggeriti i rimedi più disparati. Dalle applicazioni di grasso di serpente degli antichi egizi, agli infusi di erbe dei ricettari di Caterina Sforza. Ora però siamo ad una svolta. Le ricerche si sono orientate in modo rigoroso sul follicolo pilifero, che è la struttura anatomica che accoglie la radice del pelo. Si è notata una differenza fra quello presente in un soggetto colpito da alopecia androgenetica (calvizie comune) e quello di un soggetto normale. Nel primo caso si rivela un maggiore spessore, una zona infiammatoria al livello del bulbo e soprattutto un fenomeno di fibrosi progressiva. In altre parole, un indurimento del tessuto di sostegno (collagene), un invecchiamento precoce. In questa situazione la radice del capello viene letteralmente ostacolata nei suoi processi vitali e portata verso l'esterno dove muore per mancanza di nutrimento. A questo punto il capello viene espulso e il bulbo va incontro a una prematura interruzione del ciclo pilifero. Di conseguenza la capigliatura si dirada progressivamente, fino alla calvizie. Queste ricerche (effettuate nel 1992 da A. M. Kligman) hanno consentito al Centro ricerche Oreal di studiare una molecola (Aminexil o 2-4 diaminpirimidina 3-oxide) che agisce in modo mirato alla radice dei capelli arrestando il processo di indurimento del collagene: inibisce l'enzima lisil-idrossilasi, responsabile delle striature ialinizzate e granulamatose tipiche del collagene indurito. La nuova molecola, utilizzata in soluzione concentrata all'1,5 per cento per applicazioni locali, in associazione con principi antiinfiammatori (Triclosan, Piroctone Olamina), si oppone quindi al fenomeno della fibrosi, mantiene il collagene morbido, porta alla normalità il metabolismo del cuoio capelluto. Di solito i prodotti utilizzati in cosmesi non sono sperimentati nell'ambito ospedaliero. Aminexil invece è stato sottoposto a indagini in tre istituti (Fondazione A. De Rothschild, Hopital Saint-Louis (Francia), Amersham General Hospital, in Gran Bretagna), coinvolgendo 351 volontari e paragonando i risultati ottenuti al placebo (sostanze inerti). Dalle analisi risulta un aumento dell'8 per cento del capelli in fase di crescita dopo 6 settimane di trattamento, con un aumento della densità della capigliatura del 5 per cento. Ovviamente, per ottenere dei risultati convincenti, bisogna tener presenti i fattori che influenzano lo stato di salute del capello (smog, colorazioni, acconciature e cosmetici impropri, eccesso di sebo, farmaci). I capelli risentono anche di un'alimentazione squilibrata? La risposta è senz'altro sì, ed è verificabile nelle persone che subiscono dimagramenti eccessivi (anoressia nervosa), oppure praticano diete dimagranti drastiche e troppo protratte. Un'alimentazione troppo ristretta, povera come qualità proteica, carente in vitamine e sali minerali può rendere i capelli fragili e scarsi. Per avere capelli robusti, bisogna tagliarli corti? Non ci sono esperienze cliniche controllate su questo problema. Comunque il taglio incide sul fusto del capello, che non è vitale, e non incide sul follicolo, che è la parte direttamente interessata alla crescita. Renzo Pellati


SCIENZE DELLA VITA. IL CILENTO E L'UNESCO Un sonoro orizzonte di campane La zona di Paestum «patrimonio dell'umanità»?
Autore: GRANDE CARLO

ARGOMENTI: ACUSTICA, ANTROPOLOGIA E ETNOLOGIA
NOMI: LAUREANO PIETRO, ANZANI GIUSEPPE, MAURANO CARLA, NICOLETTI DOMENICO, BOUCHENAKI MOUNIR
ORGANIZZAZIONI: UNESCO
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, FRANCIA, PARIGI, ITALIA, PAESTUM (SA)

DIMMI ciò che senti e ti dirò chi sei: il rapporto tra «paesaggio sonoro», cioè i suoni e rumori che si avvertono ogni giorno, e l'appartenenza a una comunità è uno degli aspetti più originali del dossier inviato alla sede dell'Unesco a Parigi, dagli architetti Pietro Laureano, Giuseppe Anzani, Carla Maurano e Domenico Nicoletti, per chiedere che Paestum e il Cilento in Campania, diventino «patrimonio dell'umanità». La terra dei miti, di Enea e del nocchiero Palinuro, di Ulisse in fuga dal canto delle sirene sull'isoletta di Licosa, possiede atout culturali e naturali invidiabili: è considerato un gioiello paragonabile alle Meteore in Grecia o a Hierapolis-Pamukkale in Turchia, già nella lista protetta dell'Unesco. Colpisce però il ricorso anche a questo parametro «scientifico» per testimoniare l'antichissima unità culturale dell'area. Il progetto del quale si sta discutendo a Parigi rappresenta una novità assoluta: sarebbe la prima volta, almeno per il nostro Paese, nella quale viene «adottato» a livello internazionale non solo un singolo sito archeologico, ma anche l'ampia regione che lo contiene. Le vestigia archeologiche ospitate dal Cilento sono importantissime: dalla greca Posidonia, ribattezzata Paestum da italici e romani (con i suoi templi dorici, tra i più belli del Mediterraneo), a Velia, «figlia» di esuli focei e patria di dei filosofi Parmenide e Zenone. Il «paesaggio sonoro» è invece legato al suono delle campane. Fin dall'alto Medioevo, quando non esisteva ancora il «tempo dei mercanti» misurato meccanicamente, esse erano orologio e calendario del tempo civile e religioso. Le parrocchie potrebbero essere considerate proprio lo spazio acustico definito dalla portata del suono delle campane, che raccoglievano attorno a sè la comunità. Un'improbabile etimologia agli inizi del Duecento faceva addirittura derivare il termine «campana» dalla gente che viveva nei campi. Osservando, nel «dossier Cilento» presentato al direttore parigino Mounir Bouchenaki, la tavola con le emergenze sonore del '500 e i cerchi concentrici che ne indicano l'intensità (inversamente proporzionale al quadrato della distanza dall'origine), si scopre che fra le aree c'erano molte sovrapposizioni, segno che gran parte del territorio era «coperto» da una o più campane. Gli abitanti avvertivano quindi di appartenere a una comunità policentrica, ma non è affatto escluso - anzi è molto probabile - che il loro orecchio potesse distinguere il suono della «loro» campana, sulla base delle diverse caratteristiche timbriche. La campana, un po' come un «mass media» oggi, segnava con rintocchi opportunamente codificati (a martello, a morto, a stormo) le informazioni più importanti per la vita collettiva. Annunciava solennità, calamità, l'«Angelus» e il calar della notte, l'avvicinarsi della Pasqua. Dal giovedì al sabato della settimana Santa le campane del Cilento venivano legate in segno di lutto ed erano sostituite da strumenti di legno di varia foggia, detti «crepitacoli». Il rumore che producevano era in netta opposizione con il suono «divino» del bronzo. Naturalmente il paesaggio sonoro si modifica nel tempo: può essere «hi-fi» o «lo-fi» (come hanno appurato alcuni studiosi) cioè con un rapporto segnale/disturbo più o meno elevato. Ebbene, nel corso dei secoli l'«antropizzazione» del territorio ha limitato di molto la qualità della colonna sonora delle nostre giornate. La rivoluzione industriale ha provocato il drastico abbassamento della «fedeltà», introducendo suoni continui, veloci e ridondanti. In età pre-industriale, invece, il paesaggio sonoro era assolutamente «hi-fi»: si distinguevano nitidamente i suoni degli uomini e quelli naturali, come il vento fra gli alberi, i versi degli animali, lo scroscio dell'acqua fra le rocce. Combinando ad esempio il soffio del vento su una prateria con il rumore di una cascata, ognuno era in grado di definire l'impronta sonora («sound marck») del proprio territorio, l'aspetto sonoro del suo ge nius originario. Alla fine del Medioevo dovevano essere ben pochi i suoni prodotti dall'uomo in grado di gareggiare con quelli naturali: oggi contro i decibel di aerei, camion, elettrodomestici e automobili sembrano esserci scarsi rimedi. Se non, per rubare una battuta a Oreste del Buono, «studiare da sordi». Il dossier-Cilento presentato all'Unesco fornisce un altro insolito indicatore archeologico-culturale: la fitta rete di sentieri, anche preistorici, che collegavano il territorio al suo interno e con le aree circostanti, dal Tavoliere alle Murge, fino all'Adriatico e allo Ionio. Paestum, alla foce del Sele, era un importantissimo incrocio commerciale fra le rotte del Tirreno e le due vie carovaniere che si inoltravano all'interno: una verso Metaponto, l'altra verso Sibari. La regione tra il golfo di Salerno e il Vallo di Diano, dunque, rappresenta il vero ombelico geografico e culturale del Mediterraneo, punto di scambio tra le antiche genti italiche, tra mare e montagne, tra Oriente e Occidente. Il Cilento è inoltre un'eccezionale cerniera biologica fra il centro Europa e il clima arido africano. Il ministero per l'Ambiente ne ha fatto un parco nazionale: molti tratti delle coste tra capo Palinuro e Marina di Ascea sono coperte di ulivi, agavi, pini d'Aleppo e ginestre, e sono ancora miracolosamente intatte. Le «linee di cresta», cioè sulle cime dei monti, erano fin dalla più remota antichità percorse da pastori per la transumanza. Erano sentieri circondati da boschi per cacciare e grotte in cui rifugiarsi, più confortevoli, delle paludi di fondovalle, dove era necessario guadare i fiumi. Sulla Costa Palomba, vicino a S. Angelo a Fasanella, un grande guerriero scolpito nella roccia (l'«antece», in lingua locale, cioè l'«antico») guarda ancora le alture circostanti. Sindaci, Provincia di Salerno e responsabili del parco attendono dunque lo sbarco dell'Unesco: avrà miglior fortuna, assicurano, di Carlo Pisacane e dei suoi trecento, sbarcati a Sapri, nel vicino golfo di Policastro. Carlo Grande


SCIENZE A SCUOLA. DNA, ZIGOTE, GAMETI Le parole della clonazione Un piccolo glossario scientifico
Autore: VERNA MARINA

ARGOMENTI: BIOETICA, GENETICA, LINGUISTICA
LUOGHI: ITALIA

CLONE non è certo parola sconosciuta nel dizionario della lingua italiana: nel suo significato biologico di «insieme di cellule o organismi geneticamente identici derivati per riproduzione agamica da una singola cellula o organismo» (Zingarelli) e nel suo significato metaforico di «copia identica». Ma quando l'attualità l'ha improvvisamente tolta dalla sua nicchia un po' nascosta mettendola al centro della scena sotto le sembianze di una pecora molto speciale, ha subito una serie di metamorfosi che l'hanno trasformata in una parola multiuso, anche se non sempre adoperata in modo corretto. Ancor più difficile è stato spiegare al grande pubblico in che cosa consista la clonazione. La più chiara, fantasiosa, ma anche calzante esemplificazione l'ha data un biologo: ricostruire un'intera pecora partendo da un «pezzo» del suo corpo è come ricostruire un'intera automobile partendo da un volante o una ruota. Ma «clone» e derivati non sono gli unici termini scientifici che nelle ultime settimane hanno riempito le pagine dei giornali. Come guida ai dibattiti in corso, ecco un piccolo glossario dell'indispensabile, tratto dal libro di Gianna Milano «Bioetica dall'A alla Z» (Feltrinelli). Clonazione. Indica la rimozione del nucleo da un'unica cellula matura di un individuo adulto, poi trapiantato in un uovo il cui nucleo è stato rimosso. L'uovo ibrido così ottenuto può in teoria produrre individui geneticamente identici al donatore del nucleo. Gamete. Cellula sessuale maschile (spermatozoo) e femminile (ovocita). Durante la fecondazione i gameti si fondono dando luogo allo zigote, dal quale deriverà l'embrione. La riproduzione agamica della clonazione non fa ricorso a questo tipo di cellule. Embrione. Prodotto del concepimento, che nasce dall'unione tra uno spermatozoo e un ovocita. Questa fase corrisponde ai primi due mesi di gestazione, poi si parla di feto. Fecondazione (o insemina zione) artificiale. Tecnica ben nota ai veterinari, che la utilizzano da decenni con gli animali. L'inseminazione può avvenire «in vivo» o «in vitro». Nel primo caso, si introduce seme maschile, fresco o congelato, nell'utero di una donna, nel momento più favorevole per la fecondazione. Nel secondo caso, la fusione tra l'ovocita e lo spermatozoo avviene fuori dell'utero, in una provetta, usando una grande varietà di tecniche e ricorrendo anche a seme e ovuli altrui. Nel mondo, i figli della fecondazione artificiale sono oltre 150 mila e di questi 30 mila sono stati concepiti in provetta. Biotecnologie. Qualsiasi processo produttivo che preveda l'utilizzo di agenti biologici, cellule e loro prodotti. Integra conoscenze e tecniche di varie scienze, dalla microbiologia alla chimica, dalla genetica all'immunologia, dalla biologia all'ingegneria genetica ed è usato con piante (pomodori, soia, latte) e animali (topi transgenici da laboratorio). Le possibilità di inserire, con bisturi e sonde molecolari, geni estranei nel corredo genetico di piante o animali in modo da conferire sia a loro sia alla loro progenie nuove caratteristiche sembrano infinite. Dna. Acido desossiribonucleico: è presente nei cromosomi del nucleo delle cellule e gli è affidata la sintesi delle proteine. E' responsabile della trasmissione e dell'espressione dei caratteri ereditari. Dna ricombinante. Tecniche di riprogrammazione genetica; consistono nel tagliare e congiungere chimicamente il Dna per ottenere microorganismi, piante e animali geneticamente modificati. Biodiversità. Il processo evolutivo di tutti gli organismi viventi si basa su fenomeni, come mutazioni e ricombinazioni genetiche, che generano variabilità. La selezione naturale sceglie poi quei pochi che sono più «adatti» a sopravvivere in un certo ambiente. I progressi scientifici e tecnologici nel campo della genetica sembrano offrire la possibilità di intervenire sulla selezione naturale, impoverendola, sulla diversità genetica. Questo può portare a cambiamenti evolutivi più rapidi e alla destabilizzazione di caratteristiche delle specie generate dalla loro coevoluzione con l'ambiente. Non è facile prevederne gli effetti sulla lunga distanza. Bioetica. Neologismo coniato nel 1971, a partire da due vocaboli greci: bio-vita ed etos-morale. Esprime la necessità per lo scienziato, posto di fronte a radicali mutamenti della scena biomedica, di ripristinare un rapporto tra valori morali, cultura umanistica e scienze della vita. Marina Verna


SCIENZE A SCUOLA. «NUOVI» ANIMALI DOMESTICI Frankenstein postmoderni E' in pericolo la diversità genetica
Autore: MARCHESINI ROBERTO

ARGOMENTI: GENETICA, ZOOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: COMITATO DIFESA ANIMALI D'ALLEVAMENTO
LUOGHI: ITALIA

SI è parlato diffusamente del caso Dolly, ovvero della possibilità di clonare mammiferi, e questo ha offerto lo spunto per discutere di ingegneria genetica applicata, di quello che l'innovazione scientifica può portare nella nostra vita futura. Tutti discorsi molto pertinenti, e tuttavia io guardando Dolly ho pensato soprattutto agli animali domestici: a quale brutta fine abbiamo decretato per loro. Sì, perché il dibattito dei nostri giorni si è concentrato soprattutto sull'uomo: si è parlato di dignità della vita umana, di grande dono divino da salvaguardare, di un pericolo faustiano postmoderno... tutte sacrosante verità, ma tutte intrise di un antropocentrismo sconcertante. E questo è ancora più sorprendente se si tiene conto che non già la scienza è responsabile di queste aberrazioni applicative, ma proprio l'antropocentrismo. Possibile che davvero siamo così ciechi ed egoisti? In fondo se non abbiamo un occhio di riguardo per gli animali domestici, che sono stati i compagni storici del progresso umano, quale altra diversità potremmo comprendere e salvaguardare? L'esempio di Dolly, infatti non rappresenta un pericolo immediato per l'uomo, bensì decreta la fine degli animali domestici. Un tempo, molti lo ricorderanno, c'erano le razze locali, frutto del lavoro paziente dei nostri progenitori, e questi animali avevano caratteristiche rispondenti all'ambiente in cui vivevano. Poi con l'avvento dei capannoni intensivi tutto questo patrimonio genetico è stato distrutto con estrema superficialità. Oggi si corre verso la produzione in scala di uno stesso animale, attraverso tecniche particolari - come la divisione chirurgica degli embrioni, il cosiddetto splitting, e per l'appunto la clonazione - e il perché è presto detto. In un mondo abituato all'uniformità organolettica, si pensi alle bibite o alle merendine, la diversità biologica viene vissuta come un disvalore e pertanto anche la zootecnia si adegua. Ma i biologi sanno benissimo che in natura la diversità genetica è un valore, per questo la scelta riproduttiva sessuale, che crea continuamente individui diversi nel patrimonio innato, è stata nella storia evolutiva una scelta vincente. La diversità all'interno di una specie è un bene prezioso perché permette alla popolazione di fronteggiare con plasticità le malattie, le variazioni climatiche, i rivolgimenti ambientali. Ecco perché questa corsa all'omologazione genetica e a mio avviso il primo passo verso la distruzione delle specie domestiche. I maiali, cui sono stati inseriti ormoni della crescita umani, hanno uno sviluppo spaventoso, ma poi le loro articolazioni e le loro ossa si spezzano perché non sono in grado di sopportare quel peso. Un altro esempio sono gli animali mosaico, realizzati fondendo embrioni di specie differenti - la famosa quallina, frutto della fusione di un embrione di quaglia con uno di gallina, e la caprecora, frutto della fusione di un embrione di capra con uno di pecora. Questi animali hanno quattro genitori e in pratica non hanno un'identità genetica perché albergano nel loro corpo popolazioni cellulari differenti. Sono dei Frankenstein postmoderni, realizzati assemblando pezzi di diversa origine. La difesa delle specie in via di estinzione è diventata ormai patrimonio culturale di tutti, quello che invece stenta ad essere compreso è il grande debito morale che l'uomo ha nei conversi degli animali domestici. Questi animali sono infatti il frutto di un intervento storico dell'uomo che ne è stato a tutti gli effetti, non dico l'artefice, ma il fattore coevolutivo più importante.Roberto Marchesini Presidente del Comitato difesa animali d'allevamento


SCIENZE A SCUOLA. LA GUERRA DELLE RETI Mattanze in alto mare Nel mondo troppi pescherecci e sempre meno pesci
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: C. Dove infuria la guerra del pesce; D. I diversi tipi di reti utilizzate per la pesca (rete da circuizione, rete pelagica, rete derivante)

GUERRA del pesce»; un'espressione che si sente sempre più spesso. Le dispute internazionali che di tanto in tanto scoppiano sui diritti di pesca hanno la loro origine nelle difficoltà che hanno colpito questa industria negli ultimi 15 anni. In sintesi: ci sono troppi pescherecci e sempre meno pesci e per questo i vari Paesi tendono a proteggere le proprie risorse e gli interessi dei propri pescatori limitando l'attività dei pescatori stranieri. La «guerra del tonno», del '95, tra pescatori inglesi e spagnoli scoppiò perché i primi avevano cominciato a pescare i tonni nelle acque del Golfo di Biscaglia, cosa che non avevano mai fatto prima; inoltre pescavano con le reti, un metodo più efficace ma meno ecologico di quello usato dagli spagnoli che invece impiegano la lenza. Inoltre è piuttosto frequente che i vari Paesi si accusino a vicenda di pescare più pesce di quanto ne consentano le «quote», fissate da trattati internazionali, o di pescare esemplari troppo giovani, che non hanno ancora raggiunto la misura minima per poter essere catturati. -------------------------------------------------------------------- Norme europee sulla pesca Le acque comprese entro le 6 miglia dalla costa sono di esclusiva pertinenza di ciascun Paese; anche le acque comprese tra 6 e 12 miglia sono di pertinenza del Paese costiero, tuttavia per tradizione ai pescatori di altri Paesi è riconosciuto il diritto di pescare determinate specie in certi periodi dell'anno. Le acque tra le 12 e le 200 miglia sono normalmente accessibili a chiunque ma ciò a condizione che il peschereccio sia in possesso della necessaria quota oppure che peschi specie non soggette a quota. Oltre tale limite si estendono le acque internazionali. -------------------------------------------------------------------- Rete da circuizione E' utilizzata per catturare pesci di branco, come aringhe o sgombri. Il peschereccio cala un capo della rete in un certo punto poi si mette in moto e, calando man mano altra rete, descrive un largo cerchio fino a ritornare al punto di partenza; infine, tirando un cavo di acciaio posto nel bordo inferiore, viene chiuso il fondo della rete che è immediatamente salpata. -------------------------------------------------------------------- Rete pelagica (sciabica d'alto mare) E' impiegata anch'essa per pescare aringhe e sgombri. -------------------------------------------------------------------- Rete derivante (detta anche spadara perché utilizzata in particolare per la cattura del pesce spada) Questo tipo di rete è sotto accusa perché causa la morte di migliaia di cetacei. Alla fine di quest'anno sarà fuorilegge. -------------------------------------------------------------------- DOVE INFURIA LA GUERRA DEL PESCE (tabella di Airone) 1. India - 2. Thailandia - 3. Mare di Timor - 4. Indonesia - 5. Cina / Vietnam - 6. Isole Spratly - 7. Taiwan / Cina - 8. Filippine - 9. Isole Kurili meridionali - 10. Mare di Okotsk - 11. Isole del Pacifico - 12. Galapagos - 13. Honduras - 14. New England / Georges Bank (Usa) - 15. Grand Banks (Canada) - 16. Newfoundland (Canada) - 17. Regno Unito / Irlanda - 18. Atlantico del Nord / Golfo di Biscaglia - 19. Isole del Canale - 20. Svalbard - 21. Mare del Nord - 22. Mediterraneo - 23. Somalia - 24. Senegal - 25. Argentina / Falkland - 26. Usa / Canada. -------------------------------------------------------------------- Il Mediterraneo è considerato un mare ricco qualitativamente, ma con popolamenti non paragonabili come quantità ai mari tropicali o nordici, ed è considerato uno dei meno pescosi del mondo. Sui fondi sabbiosi vivono molluschi e anellidi e praterie di piante acquatiche come poseidonie e zosterie. Sui fondali rocciosi abbondano specie come sparidi, serranidi, blennidi, labridi. Al largo si trovano pesci pelagici migratori come clupeidi, sgombridi, tunnidi, carangidi. Più popolato e redditizio per la pesca l'Adriatico, grazie alle sue scarse profondità e agli apporti fluviali che favoriscono lo sviluppo di fitoplancton, primo anello della catena alimentare. Nel Mediterraneo le tonnare tradizionali sono in crisi perché da alcuni anni la pesca dei tonni avviene in altomare ad opera di grandi pescherecci giapponesi che per individuare i branchi impiegano il sonar o addirittura gli elicotteri.




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