TUTTOSCIENZE 11 dicembre 96


LO PSICHIATRA Quei casi che i farmaci risolvono
Autore: RAVIZZA LUIGI

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, PSICOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

LA depressione negli ultimi quindici anni ha attratto fortemente l'attenzione non soltanto dei clinici psichiatri e dei ricercatori neurofarmacologi e psicologi, ma anche dell'uomo della strada. Questa maggior attenzione è dovuta sia all'aumento delle conoscenze sui meccanismi fisiologici della depressione sia alle accresciute possibilità terapeutiche per mezzo di farmaci. Nonostante questi progressi, le opinioni sull'essenza di questa malattia non sono affatto concordi; anzi, esse continuano ad essere discordanti a seconda che la depressione venga vista dal clinico o dallo psicologo. Questa diversità di punti di vista rischia di produrre malintesi, disorientamento e confusione nel pubblico. Da parte del clinico si sente l'opportunità e anzi la necessità di una formazione corretta, in linea con le più moderne conoscenze sull'argomento. Parlare semplicemente di depressione è sicuramente riduttivo e non contribuisce certamente a dare una giusta informazione. Fondamentalmente, sia pure su un piano schematico, si dovrebbero considerare due tipi di depressione. C'è prima di tutto la «depressione maggiore melanconica», che è la vera malattia depressiva, indotta da disfunzione dei sistemi dei neurotrasmettitori (serotoninergico, noradrenergico e dopaminergico) che regolano gli stati emotivi, i sentimenti e l'affettività in generale, indipendentemente da situazioni o modificazioni esterne. E' un disturbo grave, che comporta depressione del tono dell'umore, caduta dell'autostima, incapacità di progettazione e di proiezione nel futuro, sentimento di inutilità e di indegnità, rallentamento psicomotorio, sentimenti di disperazione e idee di morte. Come è facile immaginare, è un complesso di sintomi che produce profonda angoscia e sofferenza. Questo tipo di depressione viene considerato primario e viene definito «depressione maggiore endogena», cioè correlato a un substrato biologico e genetico. La terapia di questa forma è esclusivamente di tipo farmacologico. Esistono poi forme di depressione che potremmo definire minori, che risultano conseguenti a situazioni conflittuali o ad eventi negativi esterni. Con le vecchie classificazioni venivano etichettate come depressioni nevrotiche e reattive, con un quadro sintomatologico meno grave. Queste depressioni sono curabili non solo con una terapia farmacologica ma anche con un intervento psicologico (psicoterapia breve cognitiva). Entrambe le forme di depressione, primaria e secondaria, sono oggi trattabili con ottimi risultati tramite un intervento farmacologico, integrato con un sostegno psicologico nelle depressioni secondarie. Luigi Ravizza Università di Torino


LO PSICOLOGO Il dolore è parte (utile) della vita
Autore: CAROTENUTO ALDO

ARGOMENTI: PSICOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

SIAMO abituati a pensare alla depressione come a una malattia, una sorta di piaga purulenta che deve essere disinfettata, pena il rischio che contamini il mondo. Credo sia questa l'ottica di quanti, impazienti di eliminare ogni traccia di dolore, si danno alle facili somministrazioni di farmaci - come il miracoloso Prozac -, elisir di eterna felicità. Eppure c'è di che annoiarsi ad essere sempre felici e soddisfatti, ma soprattutto c'è di che preoccuparsi, giacché se perdiamo il contatto con l'anima dolente rischiamo di dimenticarci della sua stessa esistenza. Non che il dolore sia un vezzo, o la depressione una moda, ma il ritiro intimistico dal mondo e dalle cose è un'esperienza necessaria per poter valutare la dimensione delle nostre forze. La società e le persone che ci circondano vorrebbero fare di noi dei prototipi di efficienza e di affidabilità: ma non è certo in questo che possiamo avere l'esatta cognizione del nostro coraggio di vivere. Ho conosciuto esploratori impavidi, pronti a lanciarsi a mani nude contro belve feroci, ma totalmente incapaci di affrontare un ragno. E' come dire che ci vestiamo di una maschera brillante per non dover vedere, o per non dover fronteggiare, le dilanianti ferite che vi si celano inosservate e inascoltate. Dovremmo forse ammettere che ci vuole maggior coraggio a confrontarsi proprio con la possibilità di essere deboli che non a scalare montagne. Il depresso in un certo senso è capace di questa forza: il suo ritiro dal mondo non è semplicemente una fuga o un rifiuto apprensivo e timoroso, ma, anche e soprattutto, uno spogliarsi dei panni consueti nel tentativo di confrontarsi con quell'inane nudità che è l'essenza stessa della nostra condizione umana. Lungi da me l'intento di tracciare un'apologia della depressione. Ne sottolineo tuttavia la necessità in quanto possibilità conoscitiva e riflessione che precede l'azione. Sappiamo, dallo studio di alcune «biografie d'autore», che l'atto creativo nasce proprio in risposta al prolungato silenzio che accompagna la depressione. Un silenzio che solo in apparenza è tale: in realtà ciò che tace sono i clamori del vivere quotidiano, al di sotto dei quali pulsa una domanda impellente. «Che senso ha vivere?». Questo è ciò che il depresso si chiede, questo è ciò che muove la sua futura ricerca creativa, perché nel creare ci rendiamo «traduttori di senso». E' pur vero che ci sono casi in cui lo stato depressivo può portarsi pericolosamente ai margini della vita, ma credo che proprio questo rischio incombente stimoli con urgenza la molla del riscatto. Se un alpinista decide di affrontare la scalata del K2, si confronta indubbiamente con dei rischi - sicuramente con l'abisso che si accompagna ad ogni vetta. Eppure se mai avremo il piacere di leggere le pagine di un suo diario, troveremo in esse esperienze di vita tanto più forti quanto più impellente sarà stato il confronto con l'enigma della morte. L'anima del depresso è un'anima che sta tentando la sua scalata; metterla a tacere significa negarle la possibilità di una risposta vitale, risolutiva e autentica. Chiediamoci allora quale sia il modo migliore per canalizzare la possibilità della disfatta verso l'anelito al riscatto e alla vita, piuttosto che eliminare in toto la domanda sul «senso». In altre parole credo che ciò di cui il «depresso» necessita non è una pillola preconfezionata per la felicità, ma i mezzi e l'appoggio necessari per rendersi egli stesso artefice della propria felicità. Aldo Carotenuto Università di Roma


TRA PSICOLOGIA E PSICHIATRIA Depressione, mal di vivere Con le feste si aggrava. Come rimediare?
Autore: VERNA MARINA

ARGOMENTI: PSICOLOGIA, MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

C HI è stato depresso riconosce a colpo d'occhio i fratelli di sventura. Sono come avviluppati in una nebbia pesante, che li separa dalla vita che continua a scorrere intorno: remota, incomprensibile, irraggiungibile. C'è stato un tempo, e loro lo ricordano bene, in cui tutto quel movimento aveva un senso. Ma qualcosa si è rotto e sembra impossibile aggiustarlo. Forse c'è stata una perdita reale, forse si è semplicemente smarrita la gioia di vivere. Comunque sia andata, è il tempo della morte prima della morte. L'oscurità è totale. Dove si sta andando, ammesso che si vada da qualche parte? Duemilacinquecento anni di storia ci dicono che c'è qualcosa di speciale, nella depressione. Un alito divino che sembra punire il malcapitato e invece, quando si ritrae, gli lascia in dono nuove forze. Un soffio di creatività che genera capolavori. Un viaggio nell'inferno che rigenera. Non è un dolore sterile, se lo si accetta e si ascolta quello che ha da dirci. Forse per questo in molti depressi c'è una sorta di compiacimento che li tiene legati alla malattia: guarire è perdere una parte di sè che non si conosceva e alla quale si finisce per voler bene. E' un'ambiguità fortissima. A parole, si darebbe qualsiasi cosa per un'ora di sollievo. Nei fatti, ci si nega a qualsiasi cura. Per l'orgoglio di farcela da soli, per sfiducia nei rimedi. Dopotutto, il depresso è in elettissima compagnia. Lo diceva già Aristotele: «Perché tutti gli uomini eccezionali, nell'attività filosofica o politica, artistica o letteraria, hanno un temperamento malinconico, alcuni a tal punto da essere perfino affetti da stati patologici?». Ecco perché molti rifiutano di ridurre a normale malattia un tale «stato di grazia». Non li convincono le ultime ricerche sulla chimica del cervello nè la prospettiva di trovare la causa in un gene: la base biologica, quando è accettata, è vista come l'ovvio substrato organico di un male dell'anima. E se questo è tipico del genio, perché privarsene? Freud non la vedeva proprio così. Per lui la depressione era rabbia e aggressività rivolte contro se stessi dopo la perdita di un oggetto d'amore, ostilità cristallizzata per mancanza del vero bersaglio. E dunque, per superarla e archiviarla, occorreva rielaborare l'accaduto. La psicoanalisi, si sa, è più un'arte che una scienza: per uno che può dire d'essere stato salvato, ce ne sono dieci che la rinnegano. Anche gli organicisti hanno un albero genealogico al quale appoggiarsi per rivendicare la base biologica della depressione. Diceva già quattro secoli prima di Cristo il greco Ippocrate, nelle cui mani ancora oggi i medici prestano il loro giuramento di fedeltà alla professione: «Io non credo che la depressione sia più divina o sacra di altre malattie, ma al contrario ha caratteristiche specifiche e una causa definita. Ciononostante, poiché è completamente diversa da qualsiasi altra, è stata considerata frutto di intervento divino da parte di coloro che la vedono con ignoranza e stupore». Un'intuizione che ha dovuto aspettare la seconda metà di questo secolo per trovare una dimostrazione irrefutabile nei neurotrasmettitori, i messaggeri chimici delle emozioni. Finisce così l'epoca delle cure empiriche, dei rimedi scoperti casualmente, come l'elettrochoc, riproduzione artificiale di quella «scossa» che travolgeva l'epilettico malinconico ma lo faceva riemergere dalla crisi pieno di vitalità. Ma, nonostante la disponibilità di cure efficaci, la depressione sembra invincibile. Una donna su quattro, dicono le statistiche. Un uomo su otto. Il sei per cento dei bambini. Forse è l'inevitabile male di vivere, che ha solo cambiato nome. Marina Verna


LA SOLUZIONE IN UNA PILLOLA
LUOGHI: ITALIA

ANSIOLITICI, antidepressivi e litio: tre categorie di psicofarmaci con precise indicazioni d'uso. Gli ansiolitici (oggi a base di diazepine), più che una terapia sono dei calmanti dell'ansia e dell'insonnia ad azione immediata. Molto abusati, danno dipendenza e sono soltanto un palliativo, per quanto molto efficace sul momento. Gli antidepressivi sono invece una vera e propria terapia, il cui effetto benefico si manifesta nel giro di 2-6 settimane, purché presi in modo continuativo e su indicazione del medico. Poiché esistono ben quattro tipi di composti - triciclici, anti-MAO, SSRI e SSNRI - non sempre la prima scelta si rivela azzeccata. Non per imperizia del medico, ma per la reazione personale alle sostanze chimiche. Provando e riprovando, si arriverà alla sostanza giusta. E per quanto a lungo la si assuma, non darà mai dipendenza. C'è poi il litio, un metallo che si trova in natura nelle rocce, nel mare e nelle acque minerali. E' uno stabilizzatore naturale dell'umore, che smussa le punte eccessive dell'euforia e della depressione. Indicato soprattutto per prevenire le ricadute degli episodi maniaco- depressivi, è considerato ottimo anche per la cura degli episodi di mania e del disturbo bipolare. Non agisce subito e per questo viene prescritto in associazione con un antidepressivo classico. Va preso per lunghi periodi: non perché sia lunga la cura, ma perché è lunga la malattia. E comunque non dà assuefazione.


IL RIMEDIO DELLA PAROLA
LUOGHI: ITALIA

LA terapia della parola estrae dal profondo della psiche i nodi dolorosi all'origine della depressione, induce a guardarli in faccia, li elabora, li integra e in qualche modo li archivia. Una psicoanalisi riuscita apre una finestra diversa sul mondo: non cambia certo la realtà delle cose, ma cambia il modo di guardarle. In che modo? Se a scatenare la depressione è stata una perdita - affetti, lavoro, opportunità - aiuta ad accettare l'ineluttabile, a trarne un senso, a guardare avanti. Rafforza l'autostima, offre un sostegno, permette di dire e ridire sempre la stessa storia senza timore di infastidire l'interlocutore o di essere giudicati. Il difficile è scegliere la psicoterapia giusta: ne sono stati contati almeno duecento tipi. Una prima distinzione riguarda la lunghezza, e dunque l'impegno - personale ed economico. Le terapie brevi (qualche mese) sono un sostegno temporaneo che non pretende di rovesciare l'anima del paziente: concentrano il lavoro su due o tre problemi specifici e insegnano a modificare il modo di pensare e di agire. La psicanalisi classica è invece un lavoro ambizioso e doloroso, che richiede anni: attraverso libere associazioni suggerite dai sogni, ripercorre tutta la vita, scava nei ricordi, crea paralleli con l'attualità. Le scuole classiche sono tre: freudiana, junghiana, adleriana. Tutte molto rigorose nell'ammettere nuovi associati. Per scegliere lo psicanalista giusto, affidarsi all'istinto. Le prime sedute sono rivelatrici.


CAVARSELA DA SOLI
LUOGHI: ITALIA

CHE cosa può fare da solo un depresso? Molto, anche se non tutto. Innanzitutto, fermarsi: non è il momento di prendere decisioni drastiche. Quindi non cambiare lavoro, sposarsi o divorziare, cambiare città o semplicemente traslocare. In secondo luogo, prepararsi a tempi lunghi e imponderabili. Purtroppo la depressione non è come la rottura del femore o il morbillo, il cui decorso è circoscritto in un arco di tempo preciso. Non pretendere troppo da se stessi, evitare responsabilità e impegni che creano ansia, stare soli quando non si sopportano gli altri, cercare la compagnia quando non si regge la solitudine. Prendere la decisione di curarsi: farcela da soli dà una grande soddisfazione, ma non tutti sanno per istinto che cosa è bene fare o non fare. Ascoltare chi non è coinvolto e perciò vede le cose con maggiore lucidità. Chi vive con un depresso si armi di pazienza e di amore. Non pretenda immediata riconoscenza per tutto quello che fa: arriverà dopo, a guarigione avvenuta. Non si offenda se viene maltrattato, non desista se viene respinto. I suggerimenti - Vai dal medico] Non dimenticare le medicine] Esci] - vanno dati con tatto. Magari aiutando, senza darlo a intendere, a fare le cose che devono essere fatte. Mai forzare la mano. Rispettare i tempi e i bisogni anche se sembrano assurdi: il depresso, giustamente, non sopporta di essere trattato come un rimbambito. E solo se si sente davvero capito accetta l'aiuto che gli viene offerto.


ALTRA SONDA IN VIAGGIO «Apripista» su Marte Un robot a ruote nel deserto rosso
Autore: LO CAMPO ANTONIO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, TECNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: Mars Pathfinder

PATHFINDER significa «apripista»: è il nome più che appropriato della nuova sonda interplanetaria che la Nasa mercoledì scorso ha lanciato verso Marte. E non soltanto per le caratteristiche della missione, ma anche perché, fallita la «Mars 96» russa e previsto solo per settembre l'ingresso in orbita marziana della «Mars Global Surveyor», toccherà alla «Mars Pathfinder» ridare entusiasmo a chi vorrebbe sapere qualcosa di più sul pianeta rosso. «Mars Pathfinder» è stata lanciata da un razzo vettore Delta II-7925, lo stesso che il 6 novembre spedì verso Marte «Mars Surveyor», navicella che oltre ai vari compiti di osservazione, mappatura e rilevazioni dall'orbita polare, dovrebbe fare da supporto-dati con la «Pathfinder». Usiamo il condizionale poiché al momento attuale, dopo la perdita di «Mars 96» (quarto fallimento consecutivo dopo quelli delle due sonde «Phobos» russe nel 1988 e dell'americana «Mars Observer» nel 1993), lanciare sonde verso Marte sembra quasi un'impresa disperata. Anche «Mars Surveyor», che invece viaggia verso il pianeta rosso, ha avuto grossi problemi con una delle antenne principali per l'invio di dati a terra. Evidentemente Marte non porta molta fortuna alle missioni spaziali. Su 27 sonde lanciate negli ultimi trent'anni da Stati Uniti e Russia, ben 18 sono fallite. «Pathfinder» è anche l'«apripista» delle future e sempre più complesse missioni automatiche dirette a Marte, previste dal progetto confermato di recente da Clinton, che prevede il lancio di una serie di veicoli spaziali a basso costo perlomeno fino al 2005. Il prossimo 4 luglio è prevista la discesa verso la superficie marziana, nella zona detta «Area Vallis», prossima all'equatore (19, 5 gradi Nord, 32,8 gradi Ovest), scelta anche perché esposta ad alto irraggiamento solare. La sonda si dividerà in due parti: quella principale, del peso di 430 chili, resterà in orbita, mentre la sezione di discesa, pesante 370 chili, si calerà all'interno degli strati atmosferici dentro un contenitore a forma di conchiglia dotato di uno scudo termico fatto di grafite e resine fenoliche. Il sistema di atterraggio è simile a quello che fu impiegato per le «Viking»; la differenza è che Mars Pathfinder non seguirà una classica fase orbitale, ma punterà direttamente alla fase di discesa. Liberata dal contenitore, la sonda di atterraggio verrà frenata da un paracadute di 5 metri di diametro, e nel frattempo avrà già inviato informazioni sull'atmosfera, tramite sensori via cavo, alla stazione orbitante. Il «touch-down» con la superficie color ruggine avverrà con una sorta di canotto gonfiabile del genere airbag: poi si apriranno, così come i petali di un fiore, i tre pannelli solari ricoperti di celle fotovoltaiche. Attaccato al di sotto di uno dei pannelli c'è l'elemento più innovativo di questa esplorazione marziana, un piccolo rover semovente a sei ruote sviluppato dal Jet Propulsion Laboratory della Nasa e dal Mit di Boston. Anch'esso ricoperto di celle solari realizzate con arseniuro di gallio, ricorda un po' il «Lunakhod» che i russi inviarono sulla Luna nel 1970, pur essendo molto più piccolo: alto 30 centimetri, lungo 70 e pesante 11,5 chilogrammi, ha le ruote motrici che gli permettono di fare qualche arrampicata fra i crepacci per analizzare gli elementi di composizione delle rocce e del terreno, puntando direttamente all'obiettivo che può interessare tramite un sistema autonomo formato da un cervello elettronico molto avanzato. Potrà spostarsi fino a 500 metri dalla stazione di atterraggio, funzionerà al sorgere del sole (durante la notte marziana si fermerà), tramite i dati che gli verranno inviati da terra. Un sofisticato sistema laser lo aiuterà a capire quale percorso seguire, aggirando automaticamente gli ostacoli. Il micro-rover è in realtà un modello «in miniatura», costato 25 milioni di dollari, di quelli più grandi che la Nasa vuole inviare su Marte per il 1999 o il 2001. Antonio Lo Campo


UN GIOCO, UNA CULTURA Pitagora K.O. Scacchi e matematica
Autore: ODIFREDDI PIERGIORGIO

ARGOMENTI: MATEMATICA, GIOCHI
LUOGHI: ITALIA

FINO al 15 dicembre è in corso a Torino Scacco matto, manifestazione che intende mostrare come gli scacchi siano un'espressione culturale a tutto campo: letteraria, grazie a romanzi come «La novella degli scacchi» di Stefan Zweig, «La difesa» di Vladimir Nabokov, «Il re degli scacchi» di Acheng e «La variante di Luneburg» di Paolo Maurensig (presente alla manifestazione); cinematografica, grazie alle due partite forse più famose della storia, rispettivamente con il computer in «2001: odissea nello spazio» di Kubrick, e con la morte ne «Il settimo sigillo» di Ingmar Bergman; artistica, attraverso l'opera (discussa in una conferenza alla Galleria civica d'arte moderna) di Marcel Duchamp, che fu giocatore professionista e che agli scacchi si ispirò per alcune sue tele, prima fra tutte «Il re e la regina attraversati da nudi veloci». I legami fra gli scacchi e l'informatica (discussi in una conferenza al Bit) sono stati portati alla ribalta nel marzo scorso dalla sfida tra il campione mondiale Garry Kasparov e il programma Deep blue: quest'ultimo, che ha già un punteggio da grande maestro, è riuscito a battere il campione in una partita, e non è ormai lontano il giorno in cui diventerà praticamente imbattibile. Benché assenti dalla manifestazione, i legami fra gli scacchi e la matematica sono invece ben presenti nella storia del gioco. Ne fa menzione già un verso di Dante nel Paradiso (XXVIII, 92-93): le luci del cielo «eran tante, che 'l numero loro più che 'l doppiar degli scacchi s'illumina». Ciò a cui Dante si riferisce è l'esplosione che si ottiene da un numero di raddoppi pari alle caselle della scacchiera, cioè 64: in termini appropriati a questa sede, un foglio di giornale (dello spessore di un decimo di millimetro) ripiegato su se stesso 64 volte arriverebbe a formare una pila alta circa 70 volte la distanza fra la Terra e il Sole (che è 150 milioni di chilometri)] Oltre che l'aritmetica, anche la geometria della scacchiera è strana: ad esempio, in essa fallisce il teorema di Pitagora. Se infatti dividiamo la scacchiera lungo una diagonale, si ottiene un triangolo rettangolo in cui sia i lati che la diagonale hanno una lunghezza di 8 caselle: in altre parole, un triangolo retto equilatero] Lungi dall'essere una pura curiosità, è proprio questa caratteristica a permettere a volte giochi che sarebbero impossibili nella geometria solita. Un tipico problema di natura matematica consiste nel chiedersi qual è il massimo numero di pezzi di uno stesso tipo che si possono disporre sulla scacchiera in modo che non si minaccino a vicenda: la risposta è 16 re, 8 regine, 8 torri, 14 alfieri, e 32 cavalli. Simmetricamente, ci si può chiedere qual è il numero minimo di pezzi di uno stesso tipo che si possono disporre sulla scacchiera in modo che la minaccino completamente: la risposta questa volta è 9 re, 5 regine, 8 torri, 8 alfieri, 12 cavalli. Il lettore può divertirsi da un lato a cercare di convincersi (o, in termini più matematici, a dimostrare) che le risposte sono corrette (cioè che più pezzi nel primo caso, e meno pezzi nel secondo, non sono possibili), e dall'altro a disporre il corretto numero di pezzi sulla scacchiera nel modo richiesto. Un altro tipico problema matematico è la determinazione di un percorso che permetta a un pezzo di partire da una casella data, percorrere tutte le caselle una e una sola volta, e terminare in una casella, non necessariamente coincidente con quella di partenza. La cosa è semplice per il re e la regina, a causa della loro libertà di movimento; per la torre è possibile solo se le caselle di partenza e di arrivo hanno colori diversi; per l'alfiere è impossibile perché esso sta sempre su caselle dello stesso colore; e per il cavallo è possibile ma complicato. Un modo per percorrere l'intera scacchiera a cavallo consiste nel dividere mentalmente il bordo esterno di due caselle dal quadrato interno 4 X 4, piazzare il cavallo sul bordo, e procedere sempre nello stesso senso, cercando di rimanere sempre sul bordo fino a che lo si è coperto interamente, entrando nel quadrato solo se strettamente necessario e uscendone appena possibile. Buona cavalcata] Piergiorgio Odifreddi Università di Torino


INTERNET Il computer non è più per i solitari
Autore: MERCIAI SILVIO

ARGOMENTI: ELETTRONICA, COMUNICAZIONI
ORGANIZZAZIONI: INTERNET
LUOGHI: ITALIA

UN dato sempre più chiaro è che ormai Internet è un elemento essenziale di qualsiasi discorso - commerciale o amatoriale - che riguardi l'informatica. Se fino a un paio di anni fa informatizzare voleva dire acquisire una macchina abbastanza potente e del software abbastanza efficiente (ed erano solo le industrie o i servizi a fare i conti con le connessioni in rete), se insomma il massimo era avere il computer sulla scrivania e lavorarci, oggi la situazione è radicalmente cambiata e il computer, ferme restanti le sue capacità di elaborazione, è diventato uno strumento di comunicazione. Da questo punto di vista, il modem è un elemento della dotazione di base, alla stessa stregua del monitor. Naturalmente non è senza conseguenze rilevanti per la cultura e la politica che si è compiuta questa rivoluzione da un modo di lavorare «da soli» a un modo di operare «in rete», ossia alle prese con i problemi e i vantaggi di un lavoro di gruppo al di là delle barriere di tempo e di spazio... Le industrie che hanno a che vedere con l'hardware, con il so ftware e con le telecomunicazioni sono tutte implicate e coinvolte in prima linea in questo nuovo assetto delle cose. Per quanto riguarda l'hard ware, le due novità più rilevanti sono il Web-TV e il Net-PC: il primo consiste in una sorta di comune stazione televisiva (via cavo, nell'immediato, quindi, non utilizzabile in Italia) il cui telecomando attiva, sul medesimo schermo televisivo, la connessione Internet e la possibilità di «navigare» per la Rete; il secondo è, invece, un computer di costo ridottissimo (meno di un milione]) il cui software di funzionamento risiede interamente in appositi server su Internet. La semplificazione è intuitiva: immediata e facile l'interfaccia di funzionamento nel primo caso, nessun problema di installazione o di aggiornamento del soft ware nel secondo. Il discorso software si pone nella medesima prospettiva. Fa scalpore, in queste settimane, lo scontro frontale tra la Microsoft e la Netscape, che stanno entrambe per lanciare in pista la versione 4 dei loro ben noti programmi per usare Internet (i browser Internet Explorer e Ne tscape Navigator, rispettivamente): in entrambi i casi, sia pure con logiche differenti, si tratta di pacchetti software completi (browser, posta, ne wsgroup, ftp, videotelefono), di facile installazione, capaci di fornire tutte le funzioni di cui l'utente di Internet ha necessità o opportunità di disporre. Ma con una innovazione rilevante: e cioè che in pratica l'utente non si accorgerà più nemmeno di usare Internet, nel senso che l'interfaccia che gli si presenterà all'occhio (o al mouse) sarà la medesima sia che operi sul suo hard disk (per esempio con un Word Processor) sia che stia visitando un qualsiasi sito dall'altra parte del mondo. Quindi niente comandi diversi da imparare o mentalità differenti da mettere in funzione all'atto di ritrovarsi a lavorare in un modo o nell'altro. Se poi qualcuno ha ancora qualche difficoltà o vuol proprio sostenere che Internet è complicata, gli si viene incontro trasformando la filosofia stessa dei siti: che sempre più si articolano in «canali» (sì, quelli del telecomando]) e sempre più si mettono all'opera autonomamente per recapitarvi le cose che vi interessano. Sto parlando sia dei servizi personalizzabili - per esempio, il giornale internazionale che mi arriva ogni mattina via e- mail comprende una rassegna di notizie, compilata a partire da più fonti internazionali, solo sugli argomenti che io ho indicato di mio interesse - sia degli «agenti», che sono dei programmi che, informati delle mie necessità (quali tipi di notizie o di software o di argomenti o altro mi interessano), vanno automaticamente a setacciare la Rete e mi ritrasmettono quello che trovano. I più recenti sono in grado addirittura di testare in qualche modo la mia personalità per capir meglio quello che «davvero» mi serve e «come» mi serve. Una tale proliferazione di servizi implica naturalmente che la Rete deve diventare più efficiente, più rapida, più affidabile. Insomma, occorre costruire nuove autostrade... Già in cantiere: è il cosiddetto Internet 2, in fase avanzata di progettazione. Silvio A. Merciai


REALIZZAZIONE ITALIANA Un laser per studiare i fluidi sullo Shuttle Permetterà esperimenti biologici, di cristallografia e di fisica
Autore: DALL'AGLIO GIANNI

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA
ORGANIZZAZIONI: ESA, ALENIA SPAZIO, MICHETTI TECNOLOGIA ELETTROTTICHE, UNIVERSITA' DI GENOVA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, GENOVA (GE), TORINO (TO)

I ricercatori che si occupano di fluidodinamica in mezzi trasparenti si trovano di fronte al problema di osservare che cosa succede nel fluido nel quale compiono i loro esperimenti. Il fluido può essere una soluzione in cui sta crescendo un cristallo, un liquido in moto turbolento o che subisce un riscaldamento, una soluzione organica nella quale cellule del sangue umano crescono e si riproducono, due liquidi non miscibili posti a contatto, un «brodo» in cui cristallizzano delle proteine, una fiamma prodotta da un gas che brucia o altre situazioni: in ogni caso, è un problema non disturbare il liquido immergendovi complicati strumenti di misura. Questo problema interessa non solo chi studia la natura nei laboratori delle università o delle industrie ma anche chi fa ricerca scientifica nello spazio a bordo degli Shuttle o dei razzi sonda, cioè, come si dice più correttamente, in condizioni microgravità. E' per questo che l'Esa, l'Agenzia spaziale europea, ha deciso di finanziare un progetto di ricerca sull'uso della tomografia ottica come tecnica di studio non invasiva per l'osservazione di fenomeni fisici e chimici in fluidi trasparenti. L'Esa è un organismo scientifico ma anche politico, e il suo scopo è quello di far lavorare assieme industrie e centri di ricerca delle varie nazioni europee su progetti comuni di interesse internazionale. Questo si chiama Optical Tomography Preparatory Study (Studio Preparatorio alla Tomografia Ottica) e si è sviluppato in seguito alla costruzione del Mhoi (acronimo che sta per Multidirectional Holographic Interferometer, ovvero Interferometro Olografico Multidirezionale); il Mhoi è un'apparecchiatura finora unica al mondo, figlia di un'idea nata al Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Genova e cresciuta fra il 1989 ed il 1995 (con finanziamento Esa) grazie all'impegno dell'Alenia Spazio di Torino e della società Michetti Tecnologie Elettrottiche di Almese. Il Mhoi è un interferometro olografico multidirezionale a fibre ottiche ed è un prototipo di quello che dovrebbe essere un tomografo ottico. In poche parole, quest'apparecchiatura è una specie di Tac per i fluidi, che usa però non i raggi X ma la luce rossa coerente emessa da alcuni laser a elio-neon di pochi milliwatt di potenza. Ai cristallografi che l'hanno progettato serve ad osservare e misurare le variazioni di densità e di temperatura all'interno di una soluzione in cui sta crescendo un cristallo, a vedere quali facce del cristallo crescono più velocemente, calcolarne la velocità di crescita, osservare i fenomeni di diffusione e di convezione del liquido che costituisce la soluzione durante la crescita e indagare più a fondo i fenomeni di interfaccia. Ma è utile anche per seguire la crescita di cristalli di proteine, alcuni fenomeni di metabolismo cellulare, di fluidodinamica e di combustione, con condizioni operative al contorno diverse nei vari casi, ovviamente. Alla base di tutto c'è la matematica dei problemi cosiddetti mal posti (ill-posed problems): si tratta cioè di ricavare tutte le informazioni sul fenomeno tridimensionale che si vuole studiare avendo a disposizione soltanto un numero limitato di dati sperimentali bidimensionali. L'idea dei responsabili scientifici dell'Esa è stata quella di invitare alcuni «esperti» delle diverse discipline citate e i migliori matematici esperti di tomografia delle varie nazioni europee a incontrarsi per scambiarsi conoscenze, dubbi, desideri, richieste, con lo scopo ultimo di progettare e poi costruire uno o due apparecchiature in grado di compiere esperimenti di tomografia ottica applicata ai diversi campi di ricerca, dapprima nei laboratori a terra e poi nello spazio, sugli Shuttle o su qualche futura stazione spaziale internazionale. Le difficoltà non sono poche, soprattutto perché la tomografia ottica ha bisogno di una matematica ancora poco nota e poi perché finora esiste solo un giovane prototipo di tomografo (il Mhoi), infine perché gli interessi nei vari campi sono solo in parte comuni e le esigenze sperimentali non sempre sono conciliabili. Ma è comunque bella l'idea di far lavorare insieme gente che non si conosce ma è unita da comuni interessi di ricerca al di là delle diverse competenze personali; c'è un che di romantico in ciò, anche se dovrebbe essere prassi abituale fra ricercatori. Così, qualche tempo fa, fisici di Torino e di Milano, cristallografi di Genova e di Tolosa, «crescitori» di proteine di Amburgo, esperti di fluidodinamica di Karlsruhe e di Bruxelles, esperti di combustione di Parigi e matematici di Genova, Karlsruhe, Parigi e Utrecht si sono incontrati presso la sede olandese dell'Esa, a Noordwjik. Qui hanno discusso ciò che fanno, cos'hanno in comune e cosa no, che cosa sperano di ottenere da questa collaborazione, quali sono i temi di ricerca di maggior interesse secondo ciascuno di loro, e hanno stabilito di continuare a incontrarsi e a lavorare insieme, se pur a distanza, per i prossimi anni, auspice l'Esa e i suoi finanziamenti. E per fortuna l'Esa ha confermato che questa collaborazione, iniziata un po' in sordina nove anni fa tra Piemonte e Liguria, verrà sviluppata e finanziata, almeno per i prossimi tre anni. Gianni Dall'Aglio Università di Genova


E' SVIZZERO L'OTTOVOLANTE PIU' ARDITO Brividi in caduta libera Psicologia dei divertimenti estremi
Autore: OLIVIERO FERRARIS ANNA

ARGOMENTI: PSICOLOGIA, GIOCHI
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T. D. Alcuni tipi di ottovolanti

LO chiamano il «Sacro Graal» dei maniaci dell'ottovolante: una caduta perfettamente verticale in cui gli amanti del brivido potranno sperimentare l'assenza di gravità mentre precipitano verso il basso. Il nuovo ottovolante sta per essere realizzato in segreto dalla Bollinger e Mabillard, un'azienda svizzera specializzata nella realizzazione di macchinari del brivido ad alta velocità. Poiché i grandi parchi di divertimento sparsi per il mondo cercano di superarsi l'un l'altro con progetti sempre più eccitanti, molti temono che la realizzazione di un simile «mostro» dell'ingegneria (che realizzerebbe la caduta libera perfetta) possa declassare in un sol colpo tutti gli altri ottovolanti dove legioni di spericolati vanno alla ricerca di emozioni violente. Nei grandi lunapark esistono già degli ascensori in cui la gente può cadere verticalmente a velocità mozzafiato, ma incorporare una caduta a 90o nella struttura irregolare di un vero ottovolante non è ancora stato fatto. Il pezzo forte sarebbe un volo verticale di circa 60 metri all'uscita di una curva gigantesca alla folle velocità di 170 all'ora; un effetto non facile da ottenere in quanto pone problemi di ingegneria estremamente complessi. Attualmente la caduta più rapida, inserita nel circuito di un ottovolante, è quella del De sperado, nei pressi di Las Vegas, che ha un'inclinazione del 67 per cento. Tuttavia, sono in molti a sperare nella prossima realizzazione del «Sacro Graal». Anche se le variabili da considerare sono molte (velocità dei giri, temperatura e frizione delle ruote dentate, resistenza degli snodi delle strutture portanti. ..), il computer consente oggi di fare in un attimo lunghissimi calcoli e di simulare il «comportamento» di un ottovolante che si muova a velocità differenti, nei diversi tratti di percorso, con carichi variati. La richiesta di giostre sempre più eccitanti va di pari passo con una vera e propria mania dell'ottovolante che si è diffusa negli ultimi cinque anni in Europa come negli Stati Uniti, tanto che l'«Associazione internazionale dei lunapark» ha dichiarato il 1996 l'anno dell'ottovolante. Anche le cifre danno l'idea di come il fenomeno sia in forte espansione: negli ultimi anni, nel mondo, sono stati costruiti più di 100 nuovi ottovolanti e altri 70 sono in via di costruzione. Ma che cosa induce a lanciarsi su un percorso tortuoso e scosceso a folle velocità e a volere ripetere molte volte la stessa esperienza? Una possibile risposta è di natura neurochimica. Molti di coloro che amano le giostre che salgono o scendono a grande velocità e che sviluppano quasi una forma di dipendenza nei confronti di questo divertimento, hanno un livello piuttosto basso di monoaminossidasi (MAO) nel cervello. Questi enzimi, che regolano il metabolismo delle amine cerebrali, agiscono sull'umore e sull'attivazione, e si ritiene che coloro che hanno una scarsa attività enzimica cerchino di compensare questa mancanza innalzando il loro livello di attivazione artificialmente, attraverso delle modifiche dell'ambiente interno, cioè del loro cervello. Un'altra possibile ragione è legata alla percezione del pericolo. Lo stato di emergenza comporta un innalzamento di un'altra componente chimica del cervello, le endorfine, che si producono quando proviamo stress o dolore per ridurre gli effetti di queste condizioni. Al termine della corsa, il passeggero ha un maggior livello di queste sostanze chimiche nel cervello e si sente bene: è il senso di sollievo per essere ancora vivo] Anche l'anoressia nervosa, le maratone e il masochismo sono legati a dinamiche simili. E naturalmente c'è l'aspetto del brivido a cui contribuiscono svariati fattori. Oltre alla percezione del rischio e della mancanza di controllo (si è completamente in balia del meccanismo), attirano anche l'imprevedibilità del percorso e il senso di incertezza che ne deriva. Infine, anche i fattori personali sono importanti: la sicurezza di sè riduce ovviamente la paura; la noia porta a cercare l'evasione; coloro che amano il rischio nelle sue varie forme desiderano sempre mettersi alla prova. Qualunque sia il motivo, vi sono oggi molti appassionati di queste forme di divertimento che hanno ormai un bagaglio di conoscenze in materia e delle preferenze sofisticate. C'è, per esempio, chi preferisce gli ottovolanti in legno a quelli in acciaio, tanto che per venire incontro alle richieste di questi «intenditori» a Warrington, in Inghilterra, ne è stato costruito uno, tutto in legno lavorato a mano, quando ormai erano decenni che non si usava più questo materiale per gli ottovolanti. Gli appassionati del legno sostengono che gli ottovolanti metallici hanno un movimento uniforme e regolare - «prevedibile» per i più snob - mentre gli altri sono dotati di una loro «personalità». Una corsa sulla cremagliera in legno non è mai del tutto uguale alle precedenti perché il legno può dilatarsi e restringersi di qualche grado con la temperatura, il peso dei carrelli, la velocità e l'umidità; per non parlare poi del rumore e degli scricchiolii sinistri che annunciano false catastrofi e portano alla liberazione finale, alla catarsi. Anna Oliviero Ferraris Università di Roma


NUOVI ATTACCHI Sciare salvando le ginocchia
Autore: ROSA ALESSANDRO

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, SPORT, SCI
ORGANIZZAZIONI: SALOMON
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. La struttura degli attacchi di sicurezza

TORNA la stagione degli sci, e prima di tutto sarà bene controllare l'efficienza della propria attrezzatura: negli Stati Uniti campagne stampa mirate su questo punto hanno contribuito a far diminuire del 30 per cento gli incidenti. Ma a proteggere gli sciatori provvede anche l'evoluzione tecnica degli attacchi di sicurezza, frutto di attenti studi delle aziende del settore. Questa stagione vede l'introduzione di un notevole progresso nei sistemi di sganciamento dello scarpone dallo sci: il terzo asse di protezione, quello che opera in uno sforzo in torsione. A tutt'oggi le norme internazionali prevedono due assi, sui quali, all'estero, si basano anche le assicurazioni in caso di pagamento dei danni da incidenti. Ma vediamo brevemente l'evoluzione dei sistemi di sicurezza nel corso dei suoi 40 anni di storia. Per superare il rigido ancoraggio della scarpa allo sci con cinghie a metà degli Anni 50 arrivò il puntale che agiva su un asse, quello per sganciamenti laterali. Il sistema, a biglia, non aveva l'elasticità poi introdotta, agli inizi degli Anni 60, dal puntale a doppia rotazione. Del '66 è la prima talloniera automatica. Poi, nel 1970, giunge dalla francese Salomon il secondo asse di sicurezza, quello verticale, abbinando puntali «antichoc» (in grado di assorbire colpi, derivanti da ondulazioni del terreno o altro, evitando sganciamenti indiscriminati e quindi cadute pericolose) a una talloniera a doppio circuito. Nel '76 l'attacco multidirezionale (risolse il problema della cadute combinate all'indietro), abbinato alla prima talloniera con calzata e scalzata automatiche. E arriviamo ad oggi, ancora con la Salomon, che propone l'attacco Spheric dotato di un terzo asse di sganciamento, longitudinale. Quindi si libera il piede non solo con pressioni laterali e verticali, ma anche con quelle combinate avanti/indietro con torsione. Spheric agisce tramite una placca sensitiva, posta sotto la parte anteriore dello scarpone, che entra in azione quando il peso dello sciatore esercita una forte pressione. Ruotando attorno all'asse longitudinale, la placca recupera questa sovrapressione e la trasmette meccanicamente alla molla del puntale, alleggerendola e quindi facilitando lo sganciamento. A beneficiarne sono soprattutto le ginocchia degli sciatori. Riguarda le ginocchia il 25% degli infortuni sugli sci. Il 60% sono donne, data la loro maggiore lassità ai legamenti rispetto all'uomo, che comunque possiede una maggiore forza muscolare nelle gambe. Un tempo ci si infortunava alle caviglie, c'erano le classiche fratture a tibia e perone: per via degli scarponi piuttosto bassi e di struttura elastica, in caso di caduta l'energia torsionale si scaricava prevalentemente sulla gamba. Oggi gli scarponi sono più rigidi e dotati di uno scafo alto, per cui tutto l'assorbimento tocca al ginocchio. Ma anche i nuovi stili, grazie al materiale tecnico, prevedono un maggior carico di sforzo torsionale per le ginocchia. I ricercatori hanno analizzato con metodo la casistica degli incidenti, traendo una serie di osservazioni: nell'arco della carriera agonistica 2 atleti su 3 (delle squadre nazionali) subiscono una o più distorsioni, spesso lesionando il legamento crociato anteriore; negli ultimi 20 anni, a fronte di una diminuzione del 50% del totale degli incidenti sugli sci, di minori fratture (meno 60%), le lesioni al ginocchio sono aumentate del 220%. E spesso la lesione avviene in assenza di cadute. E comunque nell'80% dei casi di infortunio alle ginocchia, l'attacco non si è sganciato (81% delle donne, 61 per gli uomini). Alessandro Rosa


SCAFFALE Polidoro, Ramaccini, Garla schelli, Ruffinazzi, Toselli, Mancini: «Non ci casco]», Piccola Biblioteca Millelire Stampa Alternativa
AUTORE: R_SC
ARGOMENTI: PSICOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

SEI libretti di 30/50 pagine ciascuno riuniti in un cofanetto, per imparare a difendersi da imbonitori, medium, maghi. Manuali minimi antitruffa sul paranormale, miracoli, aldilà, altra medicina, leggende metropolitane. Ognuno con una prefazione di specialisti del settore: Margherita Hack, Roberto Vacca, Piero Angela, Silvio Garattini, Piero Bianucci, Antonio Lubrano.


SCAFFALE Bellani Giovanni: «I nidi degli uccelli», Mondadori
AUTORE: R_SC
ARGOMENTI: ZOOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Un grande libro illustrato per conoscere e riconoscere le abitudini, in qualche caso bizzarre, dei volatili, da quelli nostrani a quelli che vivono in savane e foreste tropicali. Con capitoli come: le colonie degli uccelli marini, nidi sull'acqua, sul terreno, nei tronchi d'albero nidi intrecciati e nel fango, in cunicoli sotterranei, sugli alberi, su rupi scogliere e grotte con alla fine le specie adattabili, nidi record e abitudini curiose, classificazioni, specie estinte e in via di estinzione, glossario.


SCAFFALE Maraini Fosco: «Ghaserbrum IV», Vivalda Editori
AUTORE: R_SC
ARGOMENTI: ANTROPOLOGIA E ETNOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Non solo l'affascinante cronaca di una complessa e durissima salita al Ghaserbrum IV (7929 metri), nel Karakorum pakistano, (spedizione del Cai, 1958, la vetta fu vinta dalla coppia Bonatti-Mauri), ma la sapiente descrizione dei costumi del paese dei Baltì, popolazioni montane dell'alta valle dell'Indo, che vivono da secoli all'incrocio tra Pakistan, Tibet, India. Un volume, uscito nel 1962 a firma di uno dei più grandi orientalisti italiani, quel Fosco Maraini, (allievo del leggendario Giuseppe Tucci), etnologo, antropologo, documentarista, fotografo, alpinista. Una lettura straordinaria, anche a trent'anni di distanza, poiché la lunga marcia di avvicinamento (200 chilometri), al campo base sul ghiacciaio del Baltoro, è descritta con la precisione dello scienziato e la chiarezza del buon cronista, spiegando i dialetti e le razze incontrate, la geologia, la storia e la geografia di luoghi selvaggi e, ancora oggi, terribilmente fuori mano.


SCAFFALE Tutti i volumi sono dell'Editrice La Scuola, Brescia
AUTORE: R_SC
ARGOMENTI: DIDATTICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Tre titoli, per ora, dedicati ai ragazzi, della collana «Il mondo degli animali»: Uccelli, Anfibi e Rettili e Mammiferi, firmati da un grande specialista (che scrive e disegna), Jaromir Zpevak, della Repubblica Ceca, Paese nato dopo la divisione in due della Cecoslovacchia. Testi molto chiari con belle illustrazioni a colori, insieme libri scolastici e per soddisfare le prime curiosità sul mondo animale. Altri tre titoli, sempre per ragazzi, si occupano invece del Mondo Invisibile, con altrettanti volumi, (traduzioni dallo spagnolo della Parramon Ediciones, Barcellona), sui temi: «Respirazione, digestione e sistema nervoso», «Sangue Ossa e muscoli» , e «Le meraviglie della vita, la cellula, la riproduzione, i sensi».


SCAFFALE Pellegrini Massimo: «Uccelli: dai galliformi ai corvidi, guida illustrata alle specie d'Italia e d'Europa», Edagricole, Bologna
AUTORE: R_SC
ARGOMENTI: ZOOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Ancora un manuale sugli uccelli, che riguarda in questo caso solo galliformi e corvidi, quindi pernici, otarde, cuculo, picchio, ghiandaia, gracchio corallino e così via. Sono elencate le popolazioni europee con le belle tavole a colori di Lorenzo Dotti, che raffigurano la postura ferma e in volo, il nido, particolari anatomici. E nozioni scientifiche chiare anche al profano.


SCAFFALE Rallo Giampaolo: «Guida alla natura della laguna di Venezia», Muzzio Editore
AUTORE: R_SC
ARGOMENTI: ECOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Di grande interesse e attualità, una nuova guida naturalistica della laguna di Venezia, dell'ambientalista veneziano Giampaolo Rallo, autore di un centinaio di pubblicazioni e collaboratore, tra gli Anni 80 e 90, del piano documento sulla laguna. Con 50 foto a colori e 150 disegni e cartine. (r. sc.)


«PLANET REPORTER» Gioca a fare l'inviato speciale ecologo Un Cd-Rom che diverte e insegna tutto sull'emergenza acqua nel mondo
Autore: GRANDE CARLO

ARGOMENTI: ELETTRONICA, COMUNICAZIONI
NOMI: BIANUCCI PIERO
ORGANIZZAZIONI: WORLD MEDIA, BMG INTERACTIVE, LA STAMPA, TUTTOSCIENZE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: «Planet Reporter»

A New York - ha detto lo scrittore Douglas Coupland - tutti hanno un romanzo nel cassetto, a Los Angeles hanno una sceneggiatura, mentre a San Francisco tutti preparano un programma multimediale». Nel cassetto della «Generation X» starà benissimo il nuovo compact «Inviato speciale», primo gioco-inchiesta italiano sull'ecologia. Anziché superuomini, piloti, soldati o pugili, i ragazzi potranno immaginare di essere reporter ambientalisti: nell'orizzonte di «sparatutto» e «picchiaduro» non è una novità da poco. «Inviato Speciale» (prodotto da World Media e in Italia distribuito da BMG Interactive nei negozi di videogiochi e presto anche in libreria) è stato curato dalla «Stampa» e da «Tuttoscienze»: Piero Bianucci, responsabile di questo supplemento, compare sul video nel ruolo di redattore capo di un quotidiano multimediale, il «Planet reporter», e affida al giocatore un'inchiesta ecologica (da concludere entro un tempo prestabilito) legata a un tema cruciale per il futuro dell'umanità: l'acqua. Chi non vuole subito lanciarsi nel mondo del giornalismo virtuale può compilare una tessera-stampa e visitare la redazione. Una giornalista di «Planet reporter» gli darà tutte le informazioni necessarie. Chi invece vuole cominciare subito compila un «badge» e seguendo le istruzioni del redattore capo (che invia messaggi se si clicca sul telefono di redazione) comincia a raccogliere informazioni attingendo alle decine di documenti contenuti nel cd: 400 fotografie, una bibliografia di cento titoli, 32 video-inchieste (con oltre 20 minuti di filmati) più di cento schede, cartine, fax, dossier (sulle piogge acide, ad esempio), un dizionario, una banca dati su 170 Paesi, articoli della stampa internazionale, da «El Pais» a «Liberation», dal «New York Times» al «Suddeutsche Zeitung», oltre naturalmente alla «Stampa». Le inchieste da realizzare possono essere decine, ma dovranno essere formate da 16 tipi di informazioni adatte. Solo così il lavoro potrà essere approvato e pubblicato: allora comparirà in video, regolarmente impaginato e firmato. Navigare nel CD significa rendersi conto di alcune delle più grandi sfide che l'ambientalismo impone oggi. Cliccando sul televisore di redazione, ad esempio, si osservano le immagini che inviati dai cinque continenti mandano via satellite: dal degrado idrico nel Nord America alle inondazioni nel Bangladesh, da Krasnojarsk, dove è attiva una delle fabbriche più inquinanti del mondo, ai profughi sul fiume Senegal, dove per l'acqua si combatte da anni. Cliccando su un planisfero si può «andare» direttamente sul posto: un aereo decolla e compaiono filmati e dossier sul Niger, grande fiume del Sahel che a Niamey cessa quasi di scorrere, tanto è povero d'acqua. Seguendone il corso si giunge al suo delta (in Nigeria, nel territorio Ogoni), tra i pozzi di petrolio della Shell. Ripreso l'aereo e tornati in redazione si può consultare il dizionario: si troverà la scheda su Ken Saro Wiwa, scrittore nigeriano leader del Movimento per la sopravvivenza del popolo Ogoni, minoranza oppressa dal governo e da un inquinamento spaventoso. Nel 1994 Ken Saro Wiwa vinse il Premio Nobel alternativo, che premia le iniziative pratiche ed esemplari alle sfide più urgenti del pianeta. Venne però incarcerato e nel 1995 impiccato dal regime nigeriano. Come esempio, può bastare. Un «clic» e il gioco continua. Carlo Grande




La Stampa Sommario Registrazioni Tornén Maldobrìe Lia I3LGP Scrivi Inizio