TUTTOSCIENZE 13 novembre 96


TUTTOSCIENZE SCUOLA Cosa sono i jet stream
Autore: FILTRI TULLIO

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, TRASPORTI
LUOGHI: ITALIA

Nel corso della seconda Guerra Mondiale una consistente forza aerea americana carica di bombe era partita dall'Alaska per il Giappone. Era la risposta al'attacco giapponese di Pearl Harbor. Tutto procedeva regolarmente, quando avvenne un fatto strano. Un fortissimo vento contrario ostacolava il volo tanto da fare scemare paurosamente la velocità. Fu data tutta forza ai motori col risultato di un inutile consumo di carburante; di questo passo non sarebbe bastata l'autonomia per tornare a casa. Fu giocoforza fare dietrofront e stendere un rapporto sull'accaduto. Gli aerei erano incappati in quello che poi fu chiamato "Jet stream", o corrente a getto. Finita la guerra fisici e meteorologi studiarono il fenomeno. Alla latitudine fra il 30 ed il 60 parallelo scorre in alta quota, dai 9000 ai 13.000 metri, una corrente d' aria, avente la forma di un cilindro appiattito. Esso ha una larghezza dai 500 ai mille chilometri, una altezza da uno a tre chilometri; scorre da Ovest ad Est, da novembre a marzo; in altri periodi ha un diverso comportamento. La velocità del vento all'interno del getto è sui 4-500 chilometri l'ora, che diminuisce sino ai 200 chilometri nella parte esterna. A quota superiore, verso i 40.000 metri vi è un' altra corrente a getto che però si dirige da Est ad Ovest. In Italia, dal 1975 al 1988, il Cnr decise di sfruttare questa corrente per inviare negli Stati Uniti grandi palloni, con a bordo strumenti scientifici. Essi venivano innalzati dalla Base di Milo del Cnr in Sicilia. Sorvolavano a circa 36.000 metri la Spagna e l'Atlantico; qui venivano "presi in consegna" dalla potente rete radar americana posta a difesa degli Stati Uniti. Poi seguiti nel sorvolo americano, sino a che un comando radio ne ordinava la discesa per il recupero. Appositi congegni provvedevano a regolare la quota di volo di giorno, quando il calore del sole dilatava il gas, e di notte, quando il freddo contraeva il gas, e il pallone tendeva a scendere. I palloni con una cubatura di ben 600.000 metri cubi, portavano un carico di 500 chilogrammi per ricerche e sperimentazioni scientifiche in alta atmosfera, che prima venivano effettuate a mezzo di costosissimi razzi. Ma i razzi potevano fare rilevamenti per la durata di secondi, o di minuti; i palloni per la durata di ore, e di giornate; erano precisi, costavano meno ed erano ricuperabili facilmente. Tutto andava bene; i voli avevano regolarità sorprendente; erano una sorta di posta aerea. Ma come in tutte le imprese, accadde l'imprevisto. Un pallone inviato dalla base di Milo sfuggì alla rete di avvistamento e raggiunse gli Stati Uniti senza chiedere il permesso a nessuno. Il fatto allarmò le autorità, memori che durante la Seconda Guerra Mondiale i giapponesi avevano lanciato palloni carichi di esplosivo e recato ingenti danni in California. La decisione fu drastica: divieto assoluto di inviare palloni verso gli Usa. Ed il Cnr dovette limitarsi alla Spagna. Tullio Filtri -------------------------------------------------------------------- Gli altri palloni in gara Altri quattro aerostati si preparano a fare il giro del mondo, da novembre di quest' anno al marzo del 1997, attrezzati con un condensato di alta tecnologia, muniti dei più avanzati sistemi di comunicazione e di sopravvivenza per l'equipaggio. Sono l'inglese Virgin Global Challenger, l'olandese Unicef Flyer, l'americano Earthwinds: un pallone gonfiato con elio e un contropallone con aria compressa, l'uno sopra l'altro, per una altezza di 80 metri. Infine l'Odyssey, Usa, il più grande, alto ben 149 metri, che volerà a 38.000 metri, in senso contrario agli altri.


TUTTOSCIENZE SCUOLA. SCIENZA E AVVENTURA Giro del mondo in pallone Uno dei due piloti è Bertrand Piccard, nipote di Auguste
Autore: SCAGLIOLA RENATO

ARGOMENTI: TRASPORTI, TECNOLOGIA
NOMI: PICCARD BERNARD, VERSTRAETEN WIM, NOBLE ALAN
ORGANIZZAZIONI: BREITLING ORBITER
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D.

UN pallone di 15 mila metri cubi, alto 45 metri, con appesa una capsula a tenuta stagna del peso di 4 tonnellate, con due piloti, tenterà il giro del mondo senza scalo spinto soltanto dai jet streams, le fortissime correnti d' alta quota che soffiano regolarmente da ovest a est, a velocità variabile fra i due e quattrocento chilometri orari. L'aerostato, battezzato Breitling Orbiter (la marca di cronografi svizzeri che sponsorizza l'impresa), è stato progettato da Alan Noble, e realizzato dai cantieri Cameron Balloons, di Bristol, in Inghilterra, la più importante azienda mondiale costruttrice di mongolfiere. La partenza avverrà dalla Svizzera, in data da destinarsi, tra novembre e aprile, appena le condizioni dei venti lo consentiranno. Tempo stimato per il tour: 15 giorni. I due piloti sono Bertrand Piccard, 38 anni, di professione psichiatra, nipote di Auguste e figlio di Jacques, a loro volta inventori e piloti di palloni e batisfere, sottomarini. E il belga Wim Verstraten, pilota professionista e dirigente della società Balloon Promotions, che ha volato per 15 anni in ogni parte del mondo. Gli sponsor elvetici sono abbottonati come sempre quando si parla di soldi, ma pare che l'impresa costerà non meno dell'equivamente di dieci miliardi di lire. Il pallone è del tipo " roziere" (dal nome del suo inventore), a doppio involucro: aria calda e elio. Quest' ultimo si espande durante il giorno, col calore del sole, di notte un piccolo bruciatore a propano, scalda l'aria per mantenere la quota. La mongolfiera com' è noto non si può dirigere, può solo alzarsi e abbassarsi. In caso di disastro, il pallone - assicurano le simulazioni al computer - diventa un immenso paracadute. Per ulteriori emergenze i piloti hanno in dotazione paracadute individuali. Un transponder radar transoceanico, farà identificare l'Orbiter agli organi di controllo aereo di tutto il mondo. L'intera struttura è un prototipo - spiega Noble - che verrà collaudata direttamente alla partenza e in volo. "Quindi ci vorrà anche un po' di fortuna". La capsula, stagna e pressurizzata, inaffondabile - 2,25 metri di sezione, 5,25 di lunghezza - è costruita in kevlar e fibra di carbonio, ed è dotata di sofisticati strumenti di rilevamento e comunicazione satellitare, (compresi computer e fax), è sarà in costante contatto radio con la base operativa di Ginevra. L'energia è assicurata da batterie ad alta densità alimentate da cellule solari. A bordo 300 litri d' acqua, cibi liofilizzati, forno a microonde, wc chimico e un impianto stereo. Cartucce di biossido di litio e carbone attivo assorbiranno il biossido di carbonio espirato dai due navigatori. Riscaldamento con un piccolo impianto a cherosene. Renato Scagliola


DIBATTITO Per l'anima lo scientismo non funziona
Autore: CAROTENUTO ALDO

ARGOMENTI: PSICOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

CICLICAMENTE - e si potrebbe persino dire con una certa regolarità - in Italia si discute della relazione tra la scienza e la psicoanalisi, o meglio, perché di questo in realtà si tratta, dello statuto scientifico della psicoanalisi, della sua molto contesa legittimazione. L'opposizione collettiva da parte dei cosiddetti benpensanti nasceva già con Freud. Le critiche si appuntavano sulla trasgressività di una teoria che andava a colpire la falsa moralità vittoriana e dichiarava di volersi occupare delle zone d'ombra, del non detto della cultura d'Occidente. L'ignoto, cioè l'inconscio, è perturbante, come già scriveva Sigmund Freud. Questo era vero allora ed è vero oggi. Il fatto che di volta in volta si torni a dibattere sull'appartenenza della psicoanalisi all'uno o all'altro sapere, che siano le scienze della natura o le scienze dello spirito, mi sembra indicativo di alcune leggi psicologiche piuttosto elementari. Innanzitutto l'incapacità a mantenersi in una condizione sospesa, per così dire, in cui non è possibile pronunciarsi con certezze definitive, e l'uomo è di fronte al mondo degli altri, della natura e di fronte a se stesso senza poter tutto controllare, ma al contrario aperto ed esposto all'imprevisto. E' da qui che nasce il metodo scientifico con i suoi disegni sperimentali che adeguano appunto l'ideale di una situazione completamente soggetta al controllo dello sperimentatore. Vengono enucleate, isolate e descritte tutte le variabili del campo, formulata l'ipotesi, previsto l'effetto e le condizioni, che, quando si producono, invalidano l'ipotesi. Così procedeva Galileo: i suoi risultati potevano essere verificati da altri fisici, erano quantificabili e riproducibili. E così nasceva il mito scientista, di una verità unica e raggiungibile, una verità che si sarebbe rivelata uno straordinario strumento di dominio sul mondo da parte dell'uomo. Qualsiasi altro aspetto dell'esperienza che non possa essere studiato secondo il metodo sperimentale viene dunque respinto come improprio. Ma l'equivoco sta nel fatto di aver dimenticato che la scienza è un prodotto dell'uomo, e dunque un processo di conoscenza che ha dei criteri relativi di validità. La loro condivisione da parte della comunità dei ricercatori è ciò su cui si fonda l'intersoggettività della scienza. Ma ci sono ambiti della ricerca che non sono facilmente codificabili nè comprimibili entro i parametri della sperimentazione. La psiche umana è sicuramente il più complesso di questi ambiti. Le sue variabili non possono essere depurate da effetti incrociati e circolari con altre variabili di contesto. La psicoanalisi si occupa della emotività, dei problemi che hanno a che fare con le relazioni fra persone, si occupa dell'amore e dell'odio, della simpatia, del rifiuto, dell'accoglimento, dell'anima insomma, e del suo rapporto con il mondo. Vi è una circolarità tra il Sè e l'altro, tra i fattori cognitivi e quelli emotivi, tra il paziente e l'analista che non può essere rescissa, tagliata in alcun punto se non a prezzo di una falsificazione che sostituisce la realtà con un artefatto. Lo sperimentatore in questo caso è l'analista: ma i due partecipanti alla relazione terapeutica formano una unità in costante e reciproca interazione. Perché chiedere al metodo sperimentale una improbabile legittimazione? Perché costringere il sapere sulla psiche in un abito troppo stretto, che verosimilmente è stato tagliato per chi cerca un corrimano prima di avventurarsi nei luoghi poco frequentati dalla ragione? Aldo Carotenuto Università di Roma


COME AGISCE
NOMI: VANE JOHN, BERGSTROM SUNE, SAMUELSON BENGT
LUOGHI: ITALIA

Il meccanismo attraverso cui l'aspirina agisce contro il dolore è stato individuato relativamente da poco tempo e per questa scoperta il farmacologo inglese John R. Vane ottenne il premio Nobel nel 1982 insieme con altri due studiosi svedesi, Sune Bergstrom e Bengt Samuelson. Vane accertò che l'acido acetilsalicilico impedisce la formazione delle prostaglandine, sostanze che favoriscono la trasmissione della sensazione del dolore. Quando una cellula viene lesa o distrutta da un accidente qualunque immediatamente libera acido arachidonico. Questo è l'elemento base delle prostaglandine, che si formano grazie all'intervento di un enzima, la ciclo-ossigenasi; l'acido acetilsalicilico blocca questo enzima, impedendo la formazione delle prostaglandine e la trasmissione del dolore.


ANTICOAGULANTE
LUOGHI: ITALIA

Una cellula lesa libera il trombossano, che favorisce la coagulazione del sangue. Esso ha come base l'acido arachidonico e si forma grazie all'intervento della ciclo-ossidasi. L'acido acetilsalicilico anche in questo caso blocca la ciclo-ossidasi, impedisce la formazione di trombossano e quindi la coagulazione. Questo è un effetto negativo in generale, ma diventa positivo in alcuni casi, cioè quando occorre impedire l'occlusione di un vaso sanguigno. Di qui studi e test per accertare come questa caratteristica possa essere sfruttata in campi molto lontani da quelli originali; per esempio nelle tromboflebiti, nelle trombosi, nell'infarto del miocardio e nell'ictus e contro l'occlusione delle piccole arterie e dei capillari della retina e dei reni conseguenza del diabete.


RISCHIO ULCERA
LUOGHI: ITALIA

Accanto agli effetti positivi dell'aspirina ce n'è uno negativo: la capacità di causare micro- emorragie a stomaco e intestino, talvolta ulcere. La ricerca di antinfiammatori privi di questi effetti finora è stata senza esito. Nel 1991, però, si è scoperto che la ciclo-ossigenasi ha due forme, Cox-1 e Cox-2, la prima presente in quantità costante nei tessuti, la seconda indotta da un'infiammazione. Secondo Peter Isakson, della Searle («Recherche», aprile '96) Cox-1 protegge stomaco e intestino e la sua inibizione è dannosa. «Al contrario gli inibitori specifici della Cox-2 non hanno alcun effetto sulla produzione gastrica di prostaglandine e non causano lesioni». Per questo si sperimentano (Searle, Taisho, Ciba- Geigy, Merck-Frosst) sostanze che non agiscono sulla Cox-1 ma solo contro la Cox-2.


Verso la super-aspirina Eliminerà gli effetti negativi
Autore: FRONTE MARGHERITA

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, CHIMICA, RICERCA SCIENTIFICA
ORGANIZZAZIONI: BOEHRIGER INGELHEIM, MERCK FROSST
LUOGHI: ITALIA

C'E' una corsa tra case farmaceutiche: l'obiettivo è riuscire a brevettare la formula chimica della super-aspirina, come è già stata battezzata. Si tratta di un farmaco in grado di dare gli stessi benefici della comune aspirina ma senza gli effetti collaterali che colpiscono principalmente la mucosa dello stomaco, causando l'ulcera. Il potenziale giro di affari è da capogiro. Un aggiornamento sulla situazione è comparso sulla rivista americana «Science» del 20 settembre. Per i laboratori di ricerca il nodo da sciogliere sta nella struttura di due proteine enzimatiche: le cicloossigenasi 1 e 2, entrambe responsabili della produzione delle prostaglandine. A dispetto della loro struttura, praticamente identica, i due enzimi svolgono in realtà funzioni molto diverse; infatti, mentre il primo è necessario per conservare la corretta funzionalità delle mucose interne, il secondo è responsabile delle infiammazioni più disparate, delle sensazioni dolorose e di tutti quei sintomi che comunemente si curano, appunto, con l'aspirina. Il problema è che, a causa della loro estrema somiglianza, l'aspirina non è in grado di distinguere un enzima dall'altro, e quindi agisce inattivandoli entrambi. Nonostante questo, da qualche tempo si intravede una soluzione del problema. Le strutture delle due cicloossigenasi, determinate di recente, presentano infatti alcune piccole differenze; ed è su queste che si stanno concentrando le ricerche. Si deve trovare un composto chimico in grado di cogliere la diversità fra i due enzimi, e di inattivare soltanto quello «cattivo», responsabile delle infiammazioni dolorose. Le industrie farmaceutiche sono al lavoro, e i ricercatori della Boehriger Ingelheim hanno già annunciato di aver individuato un composto con una affinità due volte maggiore per la cicloossigenasi due che per la uno; questo significa che, prima di agire su una molecola della proteina «buona», la sostanza in questione deve averne già inattivate due del tipo che causa l'infiammazione ed il dolore. Rispondono i laboratori della Merck-Frosst sostenendo di aver ottenuto un risultato ancora migliore: un composto da loro formulato avrebbe un'affinità ben 200 volte maggiore per l'enzima «cattivo» che per quello «buono». Naturalmente la sua formula è segretissima, ma alla Merck dicono di aver già provato la sua efficacia e la sua tossicità su volontari. La sperimentazione prevede ora che si passi a determinare il dosaggio che agisce con maggiore efficacia. Prima che la superaspirina sia lanciata sul mercato occorrerà ancora qualche anno. Nell'attesa non ci resta che continuare a mangiare mollica di pane contro i bruciori di stomaco. Margherita Fronte


PROSPETTIVE AL 2015 Per un posto a tavola I piani della Fao contro la fame
Autore: STEINMAN FRANCESCA

ARGOMENTI: ALIMENTAZIONE, AGRICOLTURA, CONFERENZA, MONDIALE
NOMI: ALEXANDRATOS NIKOS
ORGANIZZAZIONI: FAO
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, ROMA

CON una «dichiarazione» sulla sicurezza alimentare globale e un piano d'azione già pronti per essere approvati, cento capi di Stato e di governo si incontreranno a Roma dal 13 al 17 novembre presso la Fao. Obiettivo: dimezzare gli 840 milioni di affamati cronici del mondo entro il 2015. La soluzione passa attraverso investimenti per lo sviluppo dell'agricoltura che, coniugando la produzione con la compatibilità ambientale, scongiurino guerre della fame o della sete. Gli aiuti alimentari continuano a calare per la flessione costante delle riserve cerealicole. Uno sguardo alle cifre non lascia dubbi sulle prospettive: da 15,1 milioni di tonnellate del 1992/93, si è passati a 13 nel 1993/94, a 9,3 milioni nel 1994/95, a una stima di 7,2 per il 1995/96 e a una previsione di 7,5 milioni per il 1996/97. Indice del fatto che non vi sarà una inversione di tendenza è che nella nuova Convenzione sugli aiuti alimentari, in vigore dal giugno del 1995, il totale minimo in aiuti cerealicoli è stato drasticamente ridotto da 7,5 a 5,4 milioni di tonnellate. Secondo le ultime statistiche della Fao, le disponibilità di cereali per il 1995/96 scenderanno di un altro milione di tonnellate rispetto al volume già ridotto del 1994/95. Sarà il livello più basso dagli Anni 70. Non c'è che un modo per averla vinta, dice il direttore generale della Fao: abbattere il divario tra la produzione agricola e la crescita demografica dei Paesi in via di sviluppo, perché è proprio in quei Paesi che nel 2030 si troverà la maggior parte dei 3 miliardi di bocche in più da sfamare. Nella sola Africa, entro il 2030, vi saranno 900 milioni di persone in più da nutrire. Le stime sulle disponibilità alimentari di ogni africano del sub-Sahara si aggirano sulle 2000 calorie giornaliere, molto al di sotto delle necessità. Nella produzione agricola l'irrigazione è essenziale e un'agricoltura che deve fare affidamento sulle piogge per irrigare i campi non può tenere il passo con la crescita della domanda alimentare. Uno studio congiunto Banca Mondiale/Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo sostiene che vi è un enorme potenziale idrico ancora tutto da sfruttare nei Paesi in via di sviluppo, dove i terreni irrigui potrebbero aumentare di ben 110 milioni di ettari (59%). Il potenziale maggiore riguarda l'Asia (con 69 milioni di ettari e 44%), seguita dal Sud America (20 milioni di ettari e 217%, soprattutto Brasile) e dall'Africa sub-sahariana (da 3,4 milioni a 16,5 milioni di ettari e 470%, soprattutto Angola). In alcune regioni, tuttavia, la richiesta crescente di acqua da parte degli altri settori economici costituisce un impedimento allo sviluppo dell'irrigazione. Teoricamente, secondo i calcoli dello studio, sfruttare quei potenziali 110 milioni di ettari significherebbe aumentare la produzione cerealicola da 300 a 400 milioni di tonnellate, tanto quanto basterebbe per la dieta di base da uno a due miliardi di persone. Al ritmo degli ultimi trent'anni, questo potenziale non si potrebbe realizzare che entro il 2015-2025. Ma servirebbero investimenti fino a un trilione di dollari. «Negli ultimi trent'anni la produzione agricola mondiale è aumentata del 90%», dice Nikos Alexandratos del Dipartimento delle politiche economiche e sociali alla Fao, «ma nei soli Paesi in via di sviluppo, entro il 2030 essa dovrà aumentare del 100% - e ancora di più nei Paesi più poveri - per nutrire le prossime generazioni, oppure ci ritroveremo con lo stesso numero di affamati di oggi». Un enorme contributo dovrebbe venire da una «nuova rivoluzione verde». Il pacchetto tecnologico offerto dalla prima - varietà di riso e grano ad alto rendimento, sistemi di irrigazione, fertilizzanti e pesticidi uniti a capacità manageriali - la cui adozione in ambienti socio- economici adeguati ha contribuito a far moltiplicare i raccolti, come in Asia e in molti altri Paesi in via di sviluppo, si è in seguito rivelato dannoso non solo per l'ambiente ma anche micidiale per la salute dell'uomo, visto che le specie omogenee di riso e grano facili prede di parassiti e malattie hanno imposto l'uso di agenti chimici, con le ormai note conseguenze. La nuova rivoluzione verde ha un obiettivo preciso: quello di sopperire alla produzione agricola mancante senza intaccare ulteriormente le risorse naturali. Ridurre le perdite durante e dopo i raccolti è un obiettivo realizzabile che, da solo, permetterebbe di recuperare da un decimo ad un terzo dei raccolti. Le speranze che vengono riposte nell'ingegneria genetica, nella capacità della biotecnologia di produrre specie di piante e di animali destinati all'alimentazione geneticamente resistenti alle infestazioni e alle malattie sono incoraggianti. Tuttavia, mentre le biotecnologie affiancano i metodi di ricerca tradizionali, ci si rende conto che in campo agricolo e nell'allevamento, come pure nella pesca, sono ancora molte le specie che non sono state toccate da quelle tecniche di miglioramento che promettono risultati positivi. Un decennio di miglioramento genetico su alcune specie ittiche, ad esempio, come nel caso del salmone atlantico o della tilapia africana, ha fatto aumentare la pesca del 45-75%. Per parlare di successo però, un punto resta fondamentale: che qualsiasi forma di ricerca o di biotecnologia avanzata raggiunta nella nuova rivoluzione verde non diventi solo appannaggio della grande agricoltura, ma raggiunga anche i più piccoli agricoltori. E poiché gli esperti concordano che potrebbero passare da dieci a vent'anni prima che le innovazioni arrivino sui campi dei Paesi in via di sviluppo, nel frattempo occorrerà trovare un nuovo modo di comunicazione tra ricercatori e contadini. Nuovi sistemi di divulgazione avranno in questo un ruolo essenziale. Intanto la Fao è impegnata in un accurato censimento di tutte le specie vegetali e animali messe in disparte dall'avvento della produzione di massa e auspica che la ricerca dedichi maggiore attenzione a tutte le specie tropicali le cui potenzialità alimentari non sono ancora state studiate e che potrebbero rappresentare una riserva importante dell'alimentazione futura. Il prossimo appuntamento, per vedere quali sono stati i progressi del Piano d'azione che i governanti mondiali nei prossimi giorni si impegnano ad attuare è previsto a metà percorso. Nel 2015 sapremo se la volontà politica e gli investimenti avranno dato i frutti attesi. Francesca Steinman


SCAFFALE Pierantoni Ruggero: «La trottola di Prometeo», Laterza
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: BIOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

RUGGERO Pierantoni ci ha abituati a libri bellissimi perché nelle loro pagine cultura scientifica e arte letteraria si miscelano armoniosamente. Quest'ultimo saggio risponde alle attese legittimamente create dai precedenti ma aggiunge al senso della vista, tema tradizionalmente esplorato da Pierantoni, il senso dell'udito. L'orizzonte così si fa più ampio, le percezioni giunte da canali diversi entrano in dialogo tra loro, e si delinea ancora meglio l'itinerario di Pierantoni, che parte da ricerche «dure» di fisiologia della percezione ma punta alla comprensione dell'esercizio più raffinato a cui possano dedicarsi i nostri sensi: quello della fruizione estetica. I sensi, dunque - l'occhio, l'orecchio - ma nella loro applicazione più tipicamente umana. Ricercatore all'Istituto di cibernetica e biofisica del Cnr di Genova, Pierantoni è stato «visiting professor» alle università di Toronto e Filadelfia.


SCAFFALE Bowlby John: «Darwin: una biografia nuova», Zanichelli
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

I biografi che si pongono da un punto di vista essenzialmente psicopatologico sono rari. John Bowlby, medico psichiatra e psicanalista, è una di queste eccezioni: ha scritto una vita di Darwin che l'editore Zanichelli pubblica tempestivamente in Italia, proprio in coincidenza con la clamorosa accettazione delle teorie evoluzioniste da parte del Pontefice. Precocemente orfano, Darwin soffrì per decenni di malanni psicosomatici: gravi disturbi all'apparato digerente e intestinale accompagnati da nausea e vomito; ma anche ansia, palpitazioni, tremito. Disteso sul lettino dell'analista Bowlby, Darwin appare come una personalità fragile, segnata dalla prematura morte della madre e dalla sfiducia del padre. Ne esce una prospettiva completamente nuova, che non deve essere assolutizzata, ma integrata negli altri aspetti già noti del fondatore della biologia moderna.


SCAFFALE Levy David H.: «Il cielo», De Agostini
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ASTRONOMIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Ogni notte sullo schermo nero del cielo si svolge uno spettacolo affascinante: la Luna alterna le sue fasi, i pianeti si spostano tra le stelle secondo la legge di gravitazione universale, le costellazioni raccontano miti millenari. Lo spettacolo è ancora più affascinante se lo si guarda con l'aiuto di un binocolo o di un telescopio, anche piccolo. Questo manuale, scritto per chi vuole prender confidenza con l'astronomia da un appassionato cacciatore di comete, è una guida ideale, anche grazie alle sue carte celesti e alle molte illustrazioni. La bibliografia e le indicazioni di carattere pratico sono state adattate al lettore italiano.


SCAFFALE «Fbi Dossier Ufo», Ed. Armenia
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ASTRONOMIA, RICERCA SCIENTIFICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Esiste una ricchissima mitologia intorno agli Ufo, oggetti volanti non identificati. Ma che cosa c'è di vero? Che cosa dicono realmente i documenti dell'Fbi, spesso invocati dagli ufologi? Paolo Toselli, con il necessario senso critico, risponde esaurientemente a queste domande, al di là delle tante speculazioni e leggende metropolitane che continuano a prosperare intorno agli alieni.


SCAFFALE Haught James A.: «Il vuoto di Torricelli», Edizioni Dedalo
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: FISICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Cento fenomeni fisici elementari spiegati in poche e semplici parole e con l'aiuto di disegni a metà strada tra didattica e fumetto. In più, un dizionarietto dei termini scientifici fondamentali curato da Nicola Russo. Ecco un libro utilissimo agli studenti, dalle scuole elementari alle medie. Ogni fenomeno, relativo a energia, luce, atomi, è introdotto da una domanda formulata come verrebbe in bocca a un ragazzino. Esempio: «quando siamo fermi, a che velocità in realtà ci stiamo muovendo?»; la risposta, naturalmente, tiene conto della rotazione terrestre, del moto della Terra intorno al Sole e del moto solare intorno al centro della Via Lattea.


STORIA DELLA TECNOLOGIA Il cavallo che Leonardo sognava Un progetto ora realizzato in America
Autore: PAPULI GINO

ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA, TECNOLOGIA
NOMI: LEONARDO DA VINCI
LUOGHI: ITALIA

ALLA fine del 1400 Lodovico il Moro aveva iniziato la raccolta di una grossa quantità di bronzo che doveva servire per un grande monumento equestre a Francesco Sforza commissionato a Leonardo da Vinci. Purtroppo, per le complicazioni politiche legate alla discesa di Carlo VIII in Italia, quel bronzo venne usato per fare cannoni; e del monumento non si parlò più. Per Leonardo - che aveva già allestito il «modello» del cavallo, ossia il simulacro in creta e stucco dal quale ricavare la «forma» in terra refrattaria entro cui versare il metallo liquido - si trattò, forse, del più cocente rammarico della sua laboriosissima esistenza. Egli si era adattato di buon grado a progettare nuovi metodi per la fusione delle artiglierie, delle campane e di oggetti ornamentali; ma aveva la dichiarata ambizione di cimentarsi in opere di grande difficoltà tecnica e di notevole rilievo artistico. In un'epoca in cui gli artefici delle statue in bronzo avevano nomi come Donatello, Pollaiolo, Ghiberti - e con un maestro che era Andrea Verrocchio - ci sembra comprensibile che egli volesse essere non un seguace ma un innovatore. Si era preparato, dunque, con la sistematica razionalità dello scienziato, iniziando dallo studio dell'anatomia equina; aveva dedicato molto tempo ad analizzare le proprietà dei metalli e dei combustibili; aveva progettato nuovi forni; aveva consultato esperti come Francesco Martini e Giuliano Sangallo, dai quali - come testimonia il Vasari - «parlando esso Leonardo del getto che far voleva del suo cavallo, n'ebbe buonissimi documenti». Il riferimento al cavallo si deve al fatto che la fusione del destriero era l'impresa più difficile; tanto più in quanto le dimensioni del «getto» (oltre 7 metri di altezza) non avevano precedenti. I punti-chiave della fusione erano le parti periferiche - testa, collo e zampe - essendo difficile fare scorrere il metallo in zone sottili senza interruzioni di flusso per solidificazione prematura. Per questo spesso si preferiva fondere i cavalli in più parti che venivano poi saldate insieme (è il caso dei cavalli di San Marco, a Venezia). Ma gli artisti di vaglia tendevano a fare un «getto» unico, fondendo a parte la sola coda. La riuscita di queste opere era tanto significativa da riverberarsi sul nome stesso dell'esecutore, come avvenne, ad esempio, per «Niccolò del Cavallo» (Niccolò di Giovanni Baroncelli) e per «Alessandro del Cavallo» (Alessandro Leopardi che, morto il Verrocchio, portò a termine la statua del Colleoni). Leonardo elaborò una serie di progetti, in particolare per il posizionamento della «forma». Nel codice di Madrid II si legge: «Adj 20 de decembre 1493 conchiudo gettare il cavallo senza coda ed a giacere»; ma in altri appunti la «forma» era prevista rovesciata, con le zampe in alto. Di fatto, la posizione era di basilare importanza per la riuscita del «getto», così come determinanti erano il numero e la posizione dei forni. Nella soluzione del cavallo coricato, erano previsti tre forni: uno davanti al petto, uno a fianco della groppa, uno dietro le natiche. Con il cavallo rovesciato, un forno andava messo vicino alla testa, uno all'attacco della coda, due lungo i fianchi. Uno dei problemi più difficili era quello di ottenere, nei vari forni, la stessa giusta temperatura (non esistevano termometri, si ricorreva a metodi di misura empirici e approssimati). Bastava la deviazione di un solo forno per compromettere il risultato. Un evento del genere accadde anche al Buonarroti, impegnato nella fusione della statua di Giulio II da erigere a Bologna: «La mia figura è venuta insino alla cintola - egli scrisse al fratello nel 1507 - il resto della materia, cioè mezzo il metallo s'è restato nel forno, che non era fonduto; in modo che a cavarnelo mi bisogna far disfare il forno». Anche se non ci è dato sapere quale sarebbe stato l'esito dell'impresa fusoria di Leonardo, è molto probabile che la meticolosità degli studi e la ponderazione delle soluzioni avrebbero comportato comunque una accelerazione nella cognizione dei processi metallurgici delle grandi fusioni artistiche in bronzo. Resta da considerare l'aspetto umano della vicenda, il cui bilancio è stato certamente negativo e frustrante anche se determinato da circostanze casuali. Del resto Leonardo era ben cosciente della volubilità della sorte: «Quando fortuna vien prendila a man salva, dinanti dico, perché direto è calva». Sarebbe contento di sapere che ora il suo cavallo è stato fuso in America. Gino Papuli


MAPPATO IL DNA Adesso il lievito non ha più segreti
Autore: FURESI MARIO

ARGOMENTI: GENETICA
ORGANIZZAZIONI: EUROFAN (FUNCTION ANALYSIS NETWORK)
LUOGHI: ITALIA

SI è appena conclusa la prima mappatura del patrimonio genetico di una cellula eucariota, cioè provvista di un nucleo regolare: la cellula del lievito. L'ingegneria genetica, nata venti anni fa, in questo ultimo biennio ha riportato alcuni grossi successi svelando la sequenza completa del genoma di quattro organismi viventi: un archeozoo (microbo primordiale), due batteri e, appunto, il lievito. Riguardo al primordiale archeozoo, Methanecoccus jan noschii, c'è da dire che le sue stesse caratteristiche sono state ritrovate nei microbi scoperti ultimamente nella meteorite marziana, facendo tra l'altro ipotizzare la provenienza da Marte della vita sulla Terra. L'evento di maggior rilievo rimane pur sempre la decodificazione genetica dei 16 cromosomi del patrimonio ereditario del Saccoromices cervisiae (dal greco sakckar, zucchero, e mykes, fungo), il noto fermento della birra che, insieme al Sac coromyces ellipsoideus, agente della fermentazione alcolica dell'uva, viene usato anche nella panificazione. Andrè Goffeau, coordinatore dei 96 laboratori europei, americani, canadesi e nipponici che hanno cooperato a questa mappatura afferma al riguardo: «Per la prima volta si dispone dell'inventario proteinico di una cellula eucariota; una cellula la cui composizione molecolare è molto simile a quella di molte altre cellule eucariote vegetali, animali e umane». Le ricerche sono attualmente rivolte a scoprire le funzioni che svolge più di un terzo dei seimila geni sequenziati e a tal fine sono già all'opera 150 laboratori europei nell'ambito dell'Eurofan (Function Analysis Network). La decifrazione genetica del lievito ha particolare importanza in quanto almeno 13 dei 52 geni trovati responsabili di malattie ereditarie hanno i loro omologhi nel lievito. Tra di essi quelli di alcune forme ereditarie di cancro e, come recentemente è stato scoperto, il gene X25 che è implicato nell'atassia di Friedric che fa perdere la facoltà di coordinare i movimenti muscolari. In questi e in vari altri casi si potranno utilizzare i geni omologhi del lievito enucleandoli e osservando quali funzioni vengono alterate con la loro esclusione. Questa stessa tecnica viene seguita nella decodificazione, ora iniziata in Gran Bretagna, del genoma di un batterio, il Mycobacterium tubercolosis, e di un protozoo, il Plasmodium falciparum (agente della malaria). Nel primo caso occorre decifrare la concatenazione di 4,5 milioni di coppie di basi, molto meno quindi del lievito che ne totalizza 14 milioni; molto più numerose sono invece risultate le coppie del secondo, 27 milioni, ma in compenso ha mostrato una struttura del genoma molto simile a quella del Sacco romyces cervisiae, avendo 14 cromosomi contro i 16 del lievito. Ci sono buoni motivi per sperare che, seguendo la tecnica dell'omologia e prendendo come pietra di paragone il genoma del lievito, venga compiuto un lungo passo in avanti nella lotta contro due malattie tra le più micidiali del mondo. Mario Furesi


MA LA SPECIE E' IN AUMENTO Tra metropoli e praterie Uccisi in Usa 100 mila coyote all'anno
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ECOLOGIA
NOMI: MC MAHAM PAMELA
ORGANIZZAZIONI: UNIVERSITA' DELLA CALIFORNIA
LUOGHI: ESTERO, AMERICA, USA, CALIFORNIA, LOS ANGELES

LA situazione degli animali selvatici non è certo rosea. Nella maggior parte dei casi li priviamo non solo del loro habitat, espandendo a macchia d'olio campi coltivati e zone urbanizzate, ma anche delle loro prede abituali, decimate dalla caccia e dalla deforestazione. La conseguenza è che spesso questi selvatici, se vogliono sfamarsi, sono costretti, ad avvicinarsi ai luoghi abitati, dove sanno di trovare per lo meno del cibo. E' questo il caso dei coyote (Canis latrans), noti anche come «cane della prateria». Ci si meraviglia che alcuni di essi si spingano fino alla periferia delle grandi città americane, di New York, come di Los Angeles. Ma in realtà le povere bestie fanno di necessità virtù. Braccate dall'uomo con fucili, trappole, veleni, in una guerra senza quartiere, cosa possono fare per sopravvivere? Possono solo contrapporre al nemico di sempre le loro armi naturali: l'intelligenza, la resistenza fisica e l'eccezionale capacità di adattamento. A giudicare dai risultati, bisogna dire che se la cavano bene. Nonostante si uccidano negli Stati Uniti circa centomila coyote all'anno, l'area di distribuzione di questo canide selvatico, anziché restringersi, come è avvenuto per la maggior parte delle specie animali, si è allargata. Perché questa lotta accanita contro il coyote? Lo si accusa di attaccare e uccidere il bestiame domestico, provocando danni ingenti agli allevatori. Ma l'accusa è fondata? Gli zoologi ne dubitano. Studi accurati sulla loro dieta hanno appurato che i coyote mangiano in prevalenza piccoli mammiferi, specialmente roditori, carogne, insetti e rifiuti di ogni genere. Se mettiamo sulla bilancia da un lato i benefici che l'animale arreca all'ecologia del territorio, facendo strage di topi o mangiando carogne e rifiuti, dall'altro i danni che provoca catturando qualche animale domestico, indubbiamente il piatto pende dalla parte dei benefici. Lo si dovrebbe considerare utile e non dannoso. Tanto più che il coyote, quando aggredisce erbivori selvatici, come cervi o alci, svolge in questo modo un'azione efficacissima: quella di regolatore delle popolazioni in eccesso. Nelle regioni in cui i predatori, lupi soprattutto, sono scomparsi, si assiste infatti a gravissime crisi ecologiche. Privati dei loro nemici naturali, gli erbivori si moltiplicano a tal punto che distruggono rapidamente tutte le risorse alimentari disponibili nell'ambiente. E finiscono per morir di fame. I predatori invece - e lo si vede dove i coyote hanno preso il posto dei lupi scomparsi - esercitano una selezione naturale sulle popolazioni degli erbivori, attaccando gli individui più deboli o malati e contribuendo così al rinvigorimento della specie predata. Se ne sono accorte le autorità canadesi che, preoccupate per le stragi di coyote, hanno rigorosamente limitato la caccia a pochi periodi dell'anno. Il coyote, oltre a essere di bocca buona, ha dimostrato di possedere straordinarie capacità di adattamento a tutti gli ambienti e a tutti i climi. Si trova perfettamente a suo agio sia negli infuocati deserti del Sud-Ovest statunitense che sulle gelide montagne dell'Alaska. Vive benissimo nelle campagne, ma si trova altrettanto bene nelle zone fittamente urbanizzate. Alla vicinanza dell'uomo, insomma, si è abituato. L'etologa Pamela Mc Maham dell'Università di California, che ha studiato a lungo i coyote, ritiene che questo canide abbia modificato le sue abitudini da quando si sono intensificati contro di lui gli agguati dell'uomo. In passato anche i coyote cacciavano in gruppo, come fa il lupo. Ora si limitano a farlo nelle località dove si sentono al sicuro. Altrove preferiscono cacciare isolati o in coppia. Sono diventati meno sociali per opportunità. La socialità offre senza dubbio dei vantaggi, ma presenta anche degli svantaggi. Un gruppo di animali viene individuato dai cacciatori più facilmente che non un animale singolo. E anche il vincolo di solidarietà e di assistenza reciproca che lega i componenti del branco può riuscire fatale quando questi accorrono in soccorso di un compagno ferito, esponendosi pericolosamente. Non è improbabile che la scomparsa del lupo da molte regioni sia stata accelerata proprio dalla elevata socialità della specie. L'indole originaria del coyote si rivela nella vastissima gamma di espressioni vocali e mimiche, di cui l'animale si serve nella comunicazione sociale. Mentre l'ululato del lupo raggiunge lentamente la nota più alta e altrettanto lentamente si spegne, quello del coyote si apre con un abbaio, va dritto alla nota più alta e dura in tutto pochissimi secondi. Gli ululati dei maschi si levano principalmente nel periodo degli amori che incomincia a gennaio-febbraio. Ed è allora che hanno inizio i duelli. Quando i maschi si contendono la femmina, non è detto che sia sempre il vincitore a possederla. Molte volte lei, muta testimone delle contese, sceglie proprio lo sconfitto, quasi a compensarlo della debacle subita. Nella maggior parte dei casi i mariti sono premurosi e gentili, procurano cibo alla compagna in gravidanza e continuano a farlo dopo che sono nati i piccoli. Anche quando abbandonano la tana che condividevano con la femmina, i maschi non desistono, almeno per un certo tempo, dalla loro missione di procacciatori di cibo. Quando rimane sola, la madre trova spesso una femmina nubile che le fa da baby sitter e la aiuta ad allevare la prole, formata normalmente da cinque o sei piccoli. Esistono innumerevoli prove dell'intelligenza del coyote. Messo sperimentalmente in condizioni difficili, l'animale riesce sempre a cavarsela, trovando la soluzione giusta per liberarsi. Quando s'imbatte in una trappola, il più delle volte riesce a impadronirsi dell'esca con astuzia, senza farsi intrappolare. Se poi l'esca è avvelenata, come spesso succede, il coyote, quasi guidato da un sesto senso, evita di solito di mangiarla. Ed è incredibile la sua resistenza fisica, perché molti esemplari che riescono a evadere ce la fanno a sopravvivere anche se le tagliole li hanno feriti o mutilati. Isabella Lattes Coifmann


IN BREVE Ora la musica ha una banca dati
ARGOMENTI: MUSICA, ELETTRONICA, INFORMATICA
NOMI: BUCCHI ANITA, LO IACONO CONCETTA, ALEANDRI FRANCESCA
ORGANIZZAZIONI: CIDIM
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, ROMA

La musica ha la sua prima banca dati. La pubblica il Cidim, che nel 1981 avviò la benemerita iniziativa dell'Annuario Musicale Italiano e ora dà un abito informatico ai propri archivi aggiornatissimi. Nelle 36 mila schede sono catalogati tutti i mestieri, le istituzioni, gli artisti che si occupano di musica, dai grandi teatri al giovane compositore, dall'editore al pianista che si avvia alla carriera. Diversi i livelli di approccio: i dati essenziali di immediata consultazione si accompagnano a informazioni più approfondite riservate ai professionisti. Quattro gli indici principali: nomi, categorie, ruoli, località, organizzati in una «catena» che prevede ambiti di riserca sempre più dettagliati. La banca dati, progettata da Anita Bucchi con Concetta Lo Iacono e Francesca Aleandri, è disponibile per Macintosh, Dos e Windows. Per Dos e Windows è necessario un monitor a colori, un hard-disk con 55 Mbyte liberi; per Macintosh 40 Mbyte e sistema con almeno 8 Mbyte di Ram. La confezione comprende un floppy con le istruzioni per l'installazione, e due floppy di dati. Il costo è di 120 mila lire; ordinazioni a Cidim, Redazione Annuario, via Vittoria Colonna 18, Roma; fax 06-687.4989.


IN BREVE Per l'estetica della bocca
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, CONGRESSO
NOMI: RUSPA ALDO
ORGANIZZAZIONI: CENTRO CULTURALE ODONTOSTOMATOLOGICO
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)

«L'estetica in odontoiatria oggi» è uno dei temi dell'VIII Congresso Internazionale di Montecarlo (15 e 16 novembre) organizzato dal Centro Culturale Odontostomatologico di Torino, presieduto da Aldo Ruspa. Le esigenze estetiche sono molto aumentate rispetto a qualche decennio fa. Per fortuna la tecnica viene in aiuto con gli apparecchi ortodontici utili per masticazione ed estetica e quando essi non bastano, si può ricorrere alla «chirurgia ortognatica» con l'aiuto del computer. Altro è il caso (abbastanza frequente) di adulti che decidano di migliorare l'estetica del viso non solo facendosi una plastica al naso, ma intervenendo sui denti per ovviare ai danni di una scarsa (o nulla) manutenzione nel passato. In questi casi è essenziale costruire protesi fisse, studiate in funzione estetica, attraverso prove intermedie. Le tecniche attuali rendono disponibili corone dentarie con sottili supporti (le cappette) in oro puro che vengono rivestite completamente con ceramica.


IN BREVE Hobbytronica mostra a Torino
ARGOMENTI: ELETTRONICA, MOSTRE
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)

«Hobbytronica», il primo salone della multimedialità per la famiglia, si terrà dal 20 al 24 novembre a Torino, al Lingotto. Sarà uno straordinario tuffo nel virtuale: computer, giochi, didattica, multimedia, High Tech.


IN BREVE Multimedialità ad Agrigento
ARGOMENTI: ELETTRONICA, COMUNICAZIONI, INFORMATICA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, AGRIGENTO (AG)

I rapporti tra multimedialità e valori umanistici sono al centro di un convegno che si svolgerà ad Agrigento dal 19 al 23 novembre, nel Seminario vescovile. Tra i temi affrontati, quello di tutelare la diversità di culture e di valori nel mondo della comunicazione multimediale. Alla fine di lavori verrà assegnato il premio internazionale «Empedocle» per le scienze umane in memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.


IN BREVE «Il Cielo»: ottica per astrofili
ARGOMENTI: ASTRONOMIA, EDITORIA
ORGANIZZAZIONI: IL CIELO, BIROMA EDIZIONI
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, ROMA

E' in edicola una nuova rivista mensile di astronomia, «Il Cielo», edita da Biroma. Il numero di ottobre era accompagnato da un floppy disk contenente un programma di ottica scritto per venire incontro agli interessi degli astrofili. Il numero di novembre contiene un inserto che riproduce la storica carta della Luna di Lohrmann, pubblicata a Lipsia nel 1878.


IN BREVE Il design italiano e le Ferrari in Cd-rom
ARGOMENTI: TECNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, ROMA

Trenta minuti di video-interviste, 3000 foto, 5 ore di commenti per raccontare lo scenario storico-culturale, le ricerche, i progetti, di otto tra i maggiori stilisti italiani dell'auto (129 mila lire). Tutti i modelli della casa del Cavallino, i piloti, i progettisti, 2500 foto, 250 modelli, 300 disegni e una ventina di filmati sono invece condensati in un secondo Cd-Rom (99 mila lire). Entrambi sono dell'Editoriale Domus, leggibili con Macintosh e pc Windows 95. In librerie e pc shop.


PREMI GAMBRINUS «MAZZOTTI» '96 Il mal sottile della laguna veneta Documenti di ecologia, alpinismo, esplorazione
Autore: R_TS

ARGOMENTI: ECOLOGIA, LIBRI, PREMIO, PRESENTAZIONE
NOMI: GUICHONNET PAUL, BOCCAZZI CINO, MAINARDI DANILO, BIANUCCI PIERO, COLTRO DINO, MECCOLI SANDRO, PUPPI LIONELLO, SCHMIDT PAOLO, ZANDONELLA ITALO (GIURIA), FERRARI MARCO, CACUCCI PINO, CANIATO GIOVANNI, TURRI EUGENIO, ZANETTI MICHELE, MANNO ANTONIO, PERCO DANIELA
ORGANIZZAZIONI: PREMIO GAMBRINUS «GIUSEPPE MAZZOTTI», TOURING CLUB ITALIA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, SAN POLO DI PIAVE (TV)
TABELLE: T. I vincitori dei premi (dati del testo)

L'APPUNTAMENTO è per sabato 16 novembre a San Polo di Piave, vicino a Treviso: qui verrà consegnato il Premio Gambrinus «Giuseppe Mazzotti» 1996, destinato a libri di ecologia, di esplorazione, alpinismo e montagna. Ma anche dedicati all'artigianato e alla cultura delle Venezie. Da sedici anni si ricorda così la personalità di Mazzotti, che riassume in sè un po' tutti i temi del premio: nato a Treviso nel 1907 e spentosi nella sua città il 28 marzo 1981, Mazzotti fu infatti appassionato alpinista, autore di molti libri dedicati alla montagna, consigliere del Touring Club Italiano, promotore dell'ente che ha salvato le ville venete e curatore di memorabili mostre d'arte. La giuria, presieduta dallo storico francese e docente all'Università di Ginevra Paul Guichonnet, è formata da Cino Boccazzi, Danilo Mainardi, Piero Bianucci, Dino Coltro, Sandro Meccoli, Lionello Puppi, Paolo Schmidt e Italo Zandonella. Quest'anno la commissione è stata chiamata a valutare una settantina di opere inviate da 41 case editrici. I cinque premi, di 5 milioni ciascuno, sono stati assegnati a Marco Ferrari (Sezione Montagna) per il libro «Freney 1961», edito da Vivalda, Pino Cacucci (Sezione Esplorazione) per «La polvere del Messico» edito da Feltrinelli, Giovanni Caniato, Eugenio Turri e Michele Zanetti (Sezione Ecologia) per «La laguna di Venezia» edito da Cierre, Antonio Manno (Sezione artigianato di tradizione) per «I mestieri di Venezia» edito da Biblos. Daniela Perco ha avuto il premio «Finestra sulle Venezie» per il volume «La cultura popolare nel Bellunese» (Ed. Cariverona), mentre il Premio «Mazzotti-Touring Club Italiano per un turismo migliore» è andato a una accurata ricerca svolta dai ragazzi della scuola media statale «Francesco Solimena» di Serino, in provincia di Avellino. Una speciale segnalazione è stata riservata ad «Albania, volto dei Balcani», volume fotografico con un testo di Ismail Kadarè, inserito in una meritoria collana del Museo della Montagna di Torino. In «Freney 1961» Marco Ferrari, redattore capo della rivista «Alp», racconta la tragica storia dei sette alpinisti guidati da Walter Bonatti e Pierre Mazeaud che furono sorpresi dal maltempo sul pilastro estremo del Monte Bianco. Soltanto tre riusciranno a tornare, e quella storia rimane ancora oggi emblematica per l'epopea dell'alpinismo classico. Ferrari è riuscito a ricostruirla con precisione cronistica ma anche con autentico respiro narrativo e alta qualità di scrittura. I valori narrativi sono anche alla base del libro di Cacucci dedicato a un viaggio tra la gente del Messico, ascoltata e scoperta nella sua autenticità. Natura e problemi della laguna di Venezia, dal suo «mal sottile» ecologico agli aspetti sociali, vengono studiati e descritti con grande rigore scientifico nel volume curato da Caniato Turri e Zanetti coordinando il lavoro di numerosi ricercatori. Speculare, ma sul piano antropologico, appare il saggio che Antonio Manno ha dedicato alla storia e all'arte delle corporazioni veneziane dal tredicesimo al diciottesimo secolo: un volume che le edizioni Biblos hanno arricchito con una splendida iconografia. E appunto dei problemi attuali dell'artigianato tratterà sabato, in occasione del Premio Gambrinus-Mazzotti, un convegno che prevede interventi di Giuseppe De Rita e del regista Ermanno Olmi.(r. ts.)


CONTRO IL CONTAGIO Aids, «precauzioni universali» Raccomandazioni semplici, quasi ovvie dell'Oms
Autore: VALPREDA MARIO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: OMS ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITA'
LUOGHI: ITALIA

TRA gli operatori sanitari è sempre più diffusa, e in alcuni casi diventa autentica angoscia, la paura di contrarre l'Aids in servizio, eventualità che alcuni episodi documentano come rara ma non impossibile. In effetti il rischio di contaminarsi direttamente, attraverso contatti con i pazienti, o indirettamente, manipolando materiale organico, esiste per diversi agenti infettivi. In cima alla lista dei patogeni più temuti da infermieri, medici e tecnici di laboratorio figura indubbiamente il già citato virus dell'Aids che si trasmette essenzialmente attraverso sangue, sperma e secrezioni vaginali, anche se, teoricamente, sono potenzialmente contagiati tutti i liquidi che contengono linfociti infetti. Ma il sangue (e tutti i liquidi biologici che ne contengono tracce anche minime) è considerato il principale veicolo di trasmissione anche del virus dell'epatite B, in grado di sopravvivere in condizioni di temperatura ed umidità molto differenti. La sua capacità infettante si può infatti mantenere per ben 15 anni a -20o C., per 6 mesi a temperatura ambientale e per 4 ore a 60 oC. Il rischio di contaminazione, oltre ai virus, esiste anche nei confronti di altri noti e temuti patogeni: le leptospire, il plasmodio della malaria, il treponema della sifilide, le brucelle e Yer sinia enterocolitica. Allora, che fare? L'Organizzazione mondiale della Sanità è da tempo impegnata anche su questa questione che può ripercuotersi sull'organizzazione dei reparti ospedalieri. Sono nate così le «precauzioni universali», misure che dovrebbero sistematicamente adottare tutti gli operatori sanitari esposti al rischio di contrarre infezione. Si tratta di raccomandazioni semplici, quasi ovvie, ma non da tutti applicate. La prima riguarda l'accurato lavaggio delle mani dopo ogni contatto accidentale con sangue od altri liquidi biologici, seguito da immersione in bagni antisettici. Sconsigliato invece l'uso di creme o schiume protettive, barriere di incerta efficacia contro la penetrazione del virus. Dopo il lavaggio è prescrittivo l'uso dei guanti, camici, occhiali e maschere coprifaccia. Grande attenzione occorre nel maneggio degli strumenti (aghi, bisturi, pinze, forbici, vetreria), responsabili di esposizioni accidentali. Aghi e lame monouso non devono essere reincappucciati nè disinseriti o piegati, ma, dopo l'uso, eliminati in contenitori resistenti, rigidi, impermeabili, con chiusura ermetica. Cautele vanno soprattutto adottate nelle manovre considerate ad alto rischio: incannulazione via arteriosa o venosa, broncoscopia, biopsie e punture esplorative, toracentesi, paracentesi, drenaggi, cateterismo vescicale, cistoscopia, intubazione tracheale, laparoscopia, isteroscopia, ammiocentesi, aspirazione endotracheale. Sono procedure a medio rischio: iniezioni intramuscolari, prelievi di sangue, medicazioni di ferite. Poco pericolosi, se non contengono sangue in quantità visibili, sono invece sudore, saliva, lacrime e urine. Per i laboratoristi i rischi principali riguardano la rottura di contenitori o di provette in centrifuga, ingestione accidentale di materiale biologico o esposizione ad aerosol di particelle infettanti: la prevenzione si basa, oltre che sul rispetto delle precauzioni universali, su protocolli di sicurezza obbligatori anche ai sensi delle recenti normative di tutela dei lavoratori. Mario Valpreda


TUTTOSCIENZE SCUOLA. TRAPPOLE LINGUISTICHE Dal silicone ai pesci d'acqua fresca Attenzione ai «falsi amici», alle ingannevoli assonanze dell'inglese
Autore: CARDANO CARLA

ARGOMENTI: DIDATTICA, LINGUISTICA
LUOGHI: ITALIA

CONSAPEVOLI dell'origine classica di moltissime parole scientifiche in numerose lingue, molti di noi ritengono superflue conoscenze ulteriori per affrontare un testo in lingua inglese, di carattere scientifico. In apparenza sembrerebbe sufficiente l'inglese scolastico, e per termini specifici diamo per scontata la somiglianza con l'italiano. Gli esempi a questo riguardo sono molteplici: nervous system, reptiles, molecule, air, geology... Tuttavia parole con origine diversa, i cosiddetti «falsi amici», sono sempre in agguato e finiscono per mettere a nudo soprattutto le scarse conoscenze scientifiche di molti italiani, per altri versi colti. Così accade che con estrema leggerezza il silicio (silicon in inglese) diventi silicone o i pe sci d'acqua dolce (freshwater fish in inglese), pesci d'acqua fresca (forse tacitamente contrapposti a pesci d'acqua calda?). Certamente la competenza sull'argomento previene certi obbrobri, appannaggio quasi esclusivo dei non addetti ai lavori; ma se dobbiamo già conoscere l'argomento per non fare errori, svanisce, almeno parzialmente, lo scopo della lettura. Cerchiamo allora di costruirci, negli anni della giovinezza in cui la memoria è particolarmente generosa, un piccolo ma utilissimo bagaglio di vocaboli scientifici. Come? Leggendo i brani in inglese che appariranno su queste pagine e focalizzando l'attenzione sia su quelle parole che risultano diverse in tutto e per tutto dalle corrispondenti italiane sia su quelle che solo in apparenza sono simili nelle due lingue. Cominciamo con la proposta seguente, e buon lavoro] Atmosphere, mixture of gases surrounding any cele stial object that has gravita tional field strong enough to prevent the gases from escap ing; especially the gaseous en velope of the earth. The principal constituents of the at mosphere of the earth are ni trogen (78 percent) and oxy gen (21 percent). The atmosphere gases in the remaining 1 percent are argon (0.9 percent), carbon dioxide (0.03 percent), varying amounts of water vapor, and trace amounts of hydrogen, ozone, methane, carbon mo noxide, helium, neon, kryp ton, and xenon. («Atmosphere», Microsoft (R) Encarta, Copyright (C) 1994 Microsoft Corporation, Copyright (C) 1994 Funk & Wagnall's Corporation). Envelope: involucro, busta. Vocabolo molto utilizzato in diversi contesti scientifici. Nuclear envelope è la membrana nucleare nella cellula. Earth: la Terra, il globo, il mondo, ma anche il suolo, il terreno. Da earth deriva earthquake, terremoto. Nitrogen: molto spesso tradotto erroneamente con nitrogeno, parola che non esiste. L'esatto corrispondente italiano è azoto. La parola inglese deriva dal latino «nitroge num» che significa «generatore dei nitrati». La parola italiana invece, di derivazione greca, significa «senza vita». Il simbolo chimico N, deriva invece dall'iniziale della parola latina. Carbon dioxide: biossido di carbonio, spesso ancora chiamato in Italia anidride carbonica. Carbon monoxide: monossido di carbonio, spesso ancora chiamato ossido di carbonio. Carla Cardano


TUTTOSCIENZE SCUOLA. SU INTERNET In viaggio fra dinosauri virtuali A bordo di una «metropolitana paleontologica»
Autore: PEIRETTI FEDERICO

ARGOMENTI: PALEONTOLOGIA, INFORMATICA, COMUNICAZIONI
ORGANIZZAZIONI: INTERNET, MUSEO DI PALEONTOLOGIA DELL'UNIVERSITA' DI CALIFORNIA
LUOGHI: ITALIA

PER un viaggio fra i dinosauri virtuali, prendiamo la «metropolitana paleontologica», curata dal Museo di Paleontologia dell'Università di California, http://ucmpl.berkeley.edu/welcome.html La mappa è una fedele riproduzione di quella della città di Mosca, con nomi diversi naturalmente per ogni fermata. C'è la stazione della Geologia, quella della Biologia, dei Musei e, collegandosi a Expo, c'è anche un ristorante virtuale, con piatti virtuali, cioè ricette parigine, firmate Cordon Bleu. Ma prima di muoverci dobbiamo visitare il Museo in cui ci troviamo e dalla pagina principale arriviamo, con un primo collegamento, al grande scheletro di Tyrannosaurus rex, il più grande carnivoro di tutti i tempi, uno degli ultimi dinosauri vissuti sulla Terra, 65 milioni di anni fa. Il tirannosauro era un lucertolone alto 5 metri e lungo 15, del peso di 6 tonnellate. Se saliamo sulla metropolitana e ci spostiamo alle Hawaii, possiamo vedere la mostra permanente dei dinosauri, curata dal centro tecnologico dell'Honolulu Community College, http://www. hcc.hawaii.edu/dinos/dinos.l.html E' uno dei posti più frequentati in Internet, a dimostrazione dell'interesse che continuano a suscitare i grandi animali del passato. Ci sono scheletri di Stegosaurus, Triceratops, Tirannosaurus e altri dinosauri, ognuno accompagnato da schede audio e video. Ma spostiamoci in Canada al Royal Tyrrell Museum che raccoglie i fossili della regione di Alberta e che si autopresenta come il più importante museo paleontologico, http://www.tyrrell.com/ Il museo propone una delle più accurate presentazioni del mondo della paleontologia. Sono necessarie alcune ore per esaminare tutte le sale virtuali del museo, partendo dai primi spazi dedicati alla storia della Terra, dal «big bang» alle prime forme di vita del Precambriano, proseguendo con le glaciazioni, la sala dei rettili e quella dei dinosauri, fino alla sala dedicata all'evoluzione dei pesci e quella sulle origini dell'uomo. In Italia si può visitare il Museo di Storia Naturale di Firenze, http://www.unifi.it/unifi/msn La sezione di Geologia e Paleontologia presenta, fra l'altro, lo scheletro di un Oreopiteco, ricuperato, nel 1958, nella Maremma toscana, due sirenidi (i leggendari mammiferi acquatici marini), ippopotami, rinoceronti ed elefanti presenti un tempo nella zona. Infine le immagini del film di Spielberg, «Jurassic Park», offerte dalla Nbc, http://www.nbc. com/entertainment/jurassic/jurassichome.html Federico Peiretti


MEDICINA Un secolo di Aspirina La storia del farmaco più diffuso
Autore: RAVIZZA VITTORIO

ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA, MEDICINA E FISIOLOGIA, CHIMICA
NOMI: STONE EDWARD, BUCHNER JOHANN ANDREAS, LOVIG KARL JAKOB, PIRIA RAFFAELE, GERHARDT CHARLES FREDERIC, HOFFMANN FELIX
ORGANIZZAZIONI: FRIEDRICH BAYER & CO
LUOGHI: ITALIA

MANCA ancora un anno al centenario ma è già cominciato il coro celebrativo dell'Aspirina: segno dell'enorme popolarità, e del significato, anche culturale, di questa medicina del secolo, consumata al ritmo di 40 mila tonnellate l'anno, provvidenziale soccorso disponibile in ogni angolo del globo, benedetta da chi un quarto d'ora fa spasimava per un feroce mal di testa e ora torna a vedere la vita in rosa. La storia della salicina, la base dell'Aspirina, risale molto indietro, intorno al 400 avanti Cristo, quando Ippocrate, il padre della medicina, consigliava di usare un infuso di corteccia di salice per attenuare i dolori delle partorienti. E fino a tutto il Medioevo, in effetti, il decotto amaro e irritante che si otteneva facendo bollire in acqua la corteccia del salice fu usato per calmare i dolori della più varia natura sulla base di un'esperienza tramandata attraverso le generazioni. Poi, verso la metà del '600 arrivò in Europa dall'America del Sud la «corteccia di cinchona» (così chiamata perché era stata usata per curare la contessa di Cinchon, moglie del vicerè del Perù); il chinino per il momento fece dimenticare le virtù della salicina. Virtù di cui ci si ricordò verso la fine del '700, quando il chinino divenne più caro. E' da questo momento che comincia la storia moderna del farmaco. Nel 1758 un ecclesiastico inglese, il reverendo Edward Stone, aveva notato che la corteccia di salice comune aveva lo stesso gusto amaro della corteccia di cinchona e sospettò che contenessero la stessa sostanza, o sostanze simili. L'intraprendente reverendo produsse un estratto di corteccia di salice, lo provò su una cinquantina di volenterosi, si convinse che era in grado di abbassare la febbre e decise di illustrare la sua scoperta alla potente Royal Society, allora la più prestigiosa istituzione scientifica europea; poco dopo l'estratto di Stone subentrò al chinino. Nel 1828 Johann Andreas Buchner, di Monaco di Baviera, facendo bollire corteccia di salice ottenne una massa gialla che chiamò salicina; l'anno dopo un farmacista francese, Leroux, fu in grado di ottenerla in forma cristallina; e nel 1835 il berlinese Karl Jakob Lovig ottenne la salicina anche da un altro albero, l'olmaria. Ma la chimica ormai stava diventando adulta: nel 1838 il napoletano Raffaele Piria ricava dalla salicina l'Acydum Salicylicum. Nel 1853 Charles Frederic Gerhardt, mediante reazione tra acetil-cloruro e salicilato di sodio ottiene l'acido acetilsalicilico. La nuova sostanza eliminava alcuni inconvenienti dell'acido salicilico, o del salicilato di sodio, che provocava irritazione della gola, dell'esofago e dello stomaco e costituiva per i pazienti una tortura non molto più sopportabile del male che doveva curare; ma richiedeva un procedimento di preparazione così lungo e difficile da essere di fatto impraticabile. Inoltre era ottenibile solo in forma impura e instabile. Il problema fu risolto da Felix Hoffmann e ne nacque l'Aspirina. Era, appunto, il 1897. Dice la storia (o si tratta di leggenda?) che Hoffmann, allora trentenne, cominciò a lavorare intorno a quella che sarebbe diventata la più diffusa medicina di tutti i tempi per dare un sollievo al padre, che soffriva di terribili dolori reumatici. Ma Hoffmann non era l'ultimo arrivato e la sua invenzione non fu frutto del caso; si era laureato a pieni voti in farmacia all'Università di Monaco nel 1891 e, due anni dopo, anche in chimica, aveva lavorato per un anno nel Laboratorio Statale di Monaco e nel '94 era quindi passato alla Friedrich Bayer & Co, che allora era un semplice colorificio. L'acido acetilsalicilico ottenuto da Hoffmann mediante l'acetilazione, cioè combinando acido salicilico con acido acetico, era puro e stabile e, soprattutto, non aveva il sapore insopportabile e gli effetti collaterali dei prodotti usati fino ad allora. Il giovane chimico descrisse la nuova sostanza nel diario di laboratorio in data 10 ottobre 1897. Alla Bayer intuirono subito le formidabili potenzialità del nuovo farmaco e ne avviarono la sperimentazione, che dimostrò l'efficacia del nuovo prodotto non solo contro i dolori reumatici ma anche contro il mal di testa e di denti, le nevralgie, la febbre, le infiammazioni in genere, e che portò alla registrazione del marchio Aspirina il 6 marzo 1899 nella lista dei marchi di fabbrica dell'Ufficio Imperiale Brevetti di Berlino con il numero 36433. Mentre l'Aspirina cominciava la sua evoluzione (prima in polvere, venduta in barattoli o bustine, poi in pillole solubili in acqua, infine, nel 1904, nelle classiche compresse) la ricerca ne scopriva via via nuove possibilità di impiego. Una scoperta che non pare finire mai. Vittorio Ravizza


MEDICINA Un secolo di Aspirina La storia del farmaco più diffuso
Autore: RAVIZZA VITTORIO

ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA, MEDICINA E FISIOLOGIA, CHIMICA
NOMI: STONE EDWARD, BUCHNER JOHANN ANDREAS, LOVIG KARL JAKOB, PIRIA RAFFAELE, GERHARDT CHARLES FREDERIC, HOFFMANN FELIX
ORGANIZZAZIONI: FRIEDRICH BAYER & CO
LUOGHI: ITALIA

MANCA ancora un anno al centenario ma è già cominciato il coro celebrativo dell'Aspirina: segno dell'enorme popolarità, e del significato, anche culturale, di questa medicina del secolo, consumata al ritmo di 40 mila tonnellate l'anno, provvidenziale soccorso disponibile in ogni angolo del globo, benedetta da chi un quarto d'ora fa spasimava per un feroce mal di testa e ora torna a vedere la vita in rosa. La storia della salicina, la base dell'Aspirina, risale molto indietro, intorno al 400 avanti Cristo, quando Ippocrate, il padre della medicina, consigliava di usare un infuso di corteccia di salice per attenuare i dolori delle partorienti. E fino a tutto il Medioevo, in effetti, il decotto amaro e irritante che si otteneva facendo bollire in acqua la corteccia del salice fu usato per calmare i dolori della più varia natura sulla base di un'esperienza tramandata attraverso le generazioni. Poi, verso la metà del '600 arrivò in Europa dall'America del Sud la «corteccia di cinchona» (così chiamata perché era stata usata per curare la contessa di Cinchon, moglie del vicerè del Perù); il chinino per il momento fece dimenticare le virtù della salicina. Virtù di cui ci si ricordò verso la fine del '700, quando il chinino divenne più caro. E' da questo momento che comincia la storia moderna del farmaco. Nel 1758 un ecclesiastico inglese, il reverendo Edward Stone, aveva notato che la corteccia di salice comune aveva lo stesso gusto amaro della corteccia di cinchona e sospettò che contenessero la stessa sostanza, o sostanze simili. L'intraprendente reverendo produsse un estratto di corteccia di salice, lo provò su una cinquantina di volenterosi, si convinse che era in grado di abbassare la febbre e decise di illustrare la sua scoperta alla potente Royal Society, allora la più prestigiosa istituzione scientifica europea; poco dopo l'estratto di Stone subentrò al chinino. Nel 1828 Johann Andreas Buchner, di Monaco di Baviera, facendo bollire corteccia di salice ottenne una massa gialla che chiamò salicina; l'anno dopo un farmacista francese, Leroux, fu in grado di ottenerla in forma cristallina; e nel 1835 il berlinese Karl Jakob Lovig ottenne la salicina anche da un altro albero, l'olmaria. Ma la chimica ormai stava diventando adulta: nel 1838 il napoletano Raffaele Piria ricava dalla salicina l'Acydum Salicylicum. Nel 1853 Charles Frederic Gerhardt, mediante reazione tra acetil-cloruro e salicilato di sodio ottiene l'acido acetilsalicilico. La nuova sostanza eliminava alcuni inconvenienti dell'acido salicilico, o del salicilato di sodio, che provocava irritazione della gola, dell'esofago e dello stomaco e costituiva per i pazienti una tortura non molto più sopportabile del male che doveva curare; ma richiedeva un procedimento di preparazione così lungo e difficile da essere di fatto impraticabile. Inoltre era ottenibile solo in forma impura e instabile. Il problema fu risolto da Felix Hoffmann e ne nacque l'Aspirina. Era, appunto, il 1897. Dice la storia (o si tratta di leggenda?) che Hoffmann, allora trentenne, cominciò a lavorare intorno a quella che sarebbe diventata la più diffusa medicina di tutti i tempi per dare un sollievo al padre, che soffriva di terribili dolori reumatici. Ma Hoffmann non era l'ultimo arrivato e la sua invenzione non fu frutto del caso; si era laureato a pieni voti in farmacia all'Università di Monaco nel 1891 e, due anni dopo, anche in chimica, aveva lavorato per un anno nel Laboratorio Statale di Monaco e nel '94 era quindi passato alla Friedrich Bayer & Co, che allora era un semplice colorificio. L'acido acetilsalicilico ottenuto da Hoffmann mediante l'acetilazione, cioè combinando acido salicilico con acido acetico, era puro e stabile e, soprattutto, non aveva il sapore insopportabile e gli effetti collaterali dei prodotti usati fino ad allora. Il giovane chimico descrisse la nuova sostanza nel diario di laboratorio in data 10 ottobre 1897. Alla Bayer intuirono subito le formidabili potenzialità del nuovo farmaco e ne avviarono la sperimentazione, che dimostrò l'efficacia del nuovo prodotto non solo contro i dolori reumatici ma anche contro il mal di testa e di denti, le nevralgie, la febbre, le infiammazioni in genere, e che portò alla registrazione del marchio Aspirina il 6 marzo 1899 nella lista dei marchi di fabbrica dell'Ufficio Imperiale Brevetti di Berlino con il numero 36433. Mentre l'Aspirina cominciava la sua evoluzione (prima in polvere, venduta in barattoli o bustine, poi in pillole solubili in acqua, infine, nel 1904, nelle classiche compresse) la ricerca ne scopriva via via nuove possibilità di impiego. Una scoperta che non pare finire mai. Vittorio Ravizza




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