TUTTOSCIENZE 18 settembre 96


CICOGNE Stanno sorvolando E alcune abitano in Italia
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ETOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: C. Le rotte di migrazione della cicogna bianca (Ciconia ciconia)

UN paio di settimane fa una ventina di maestose cicogne bianche ha sorvolato il cielo di Torino. I grandi uccelli sono scesi alla periferia della città e si sono rifocillati. Poi lo stormo ha ripreso quota, volando verso lo Stretto di Gibilterra. Una visione emozionante, alla quale da tempo non eravamo più abituati. E' il segnale che le cicogne stanno tornando dopo una lunga assenza. L'avevano disertata completamente, la nostra penisola. La ragione? Semplice. Le cicogne hanno una specie di sesto senso. Si accorgono immediatamente se tira aria di pericolo e, con molta saggezza, evitano le zone a rischio. La cicogna bianca (Ciconia ciconia), lo splendido uccello dal piumaggio candido che fa contrasto con le grandi penne nere delle ali, è un volatore straordinario che compie viaggi di migliaia di chilometri. Si adagia nell'aria col becco puntato in avanti, il collo teso, le zampe allungate all'indietro e le superbe ali spalancate (l'apertura alare può superare i due metri). Vola leggera come una piuma, sfruttando le correnti termiche ascendenti che le fanno prendere quota e con acrobatica abilità sa trasferirsi da una corrente all'altra. Cerca sempre di sorvolare la terraferma, evitando il mare aperto, dove correnti termiche non ve ne sono. Il lungo viaggio è sempre un'avventura. Non di rado succede che le tempeste spingano l'uccello fuori rotta. Ma se la cicogna ha già coperto quel percorso altre volte, il suo senso di orientamento l'aiuta a rimettersi in carreggiata. L'impresa è più problematica per i giovanissimi al primo viaggio. Commetterebbero errori imperdonabili se non ci fosse qualcuno a guidarli. Nello stormo ci sono però sempre uccelli vecchi ed esperti che fanno da guida ai novellini. Così le popolazioni di cicogne dell'Europa occidentale, provenienti dall'Olanda, dalla Germania, dalla Francia e da altri Paesi, attraversano lo Stretto di Gibilterra, unendosi alle cicogne spagnole e portoghesi, per poi puntare tutte assieme sull'Africa occidentale. Scelgono per svernare alcune il Senegal, altre il Camerun, la Nigeria o il Ciad. Le cicogne orientali invece, che provengono dalla Russia e dai Paesi vicini, si incanalano insieme a quelle turche attraverso il Bosforo, sorvolano la penisola del Sinai e il Golfo di Suez, poi proseguono di norma fino al Sud Africa. Un viaggio di diecimila chilometri. Passato l'inverno, le cicogne tornano nei Paesi d'origine a nidificare. I giovani della covata precedente sono ormai cresciuti. Raggiunta la maturità sessuale, sono ansiosi di metter su famiglia. Ormai la strada la conoscono. Non c'è più bisogno di formare grandi stormi migratori. Le cicogne tornano alla spicciolata, ciascuna facendo tesoro delle esperienze acquisite. I primi ad arrivare sono i maschi. Fanno un bel giro di perlustrazione e decidono il da farsi: se conviene riattare il nido dell'anno precedente o costruirne uno nuovo. Dopo una o due settimane arrivano le femmine. Ciascun maschio saluta gioiosamente la compagna con forti schiocchi di becco. Poi la coppia fa un elegante «passo a due». Dopo di che lui le sale in groppa carezzandola col becco e si dispone in quella acrobatica posizione tipica degli uccelli, per cui i due orifizi, maschile e femminile, combaciano perfettamente. Una volta consumato il matrimonio, non c'è tempo da perdere. Bisogna mettersi subito all'opera per preparare il nido. Un nido gigantesco che può raggiungere i due metri di diametro e pesare fino a una tonnellata. Materiale edilizio? Rami secchi, paglia, erba, pietre, fango, oltre a quello che offre la piazza: cocci, cenci, carta di giornale, pezzi di stoviglie, sterco di cavallo. Nei nidi delle cicogne si trova di tutto. Nessuno dubitava in passato che la cicogna fosse l'emblema della fedeltà coniugale. «Guarda - si diceva - che sposi esemplari. Si ritrovano assieme ogni anno». Ma da quando si inanellano gli uccelli per il riconoscimento individuale, il mito della fedeltà è tramontato. Si è scoperto che il signor cicogna è di gusti volubili. Un anno può impalmare una moglie dall'anello rosso, l'anno dopo una dall'anello blu e l'anno seguente magari una senza anello. Al maschio poco importa che la moglie sia sempre la stessa. Quel che conta è che sia una femmina matura. Nemici naturali le cicogne ne hanno sempre avuti. Le condizioni climatiche sfavorevoli mietono vittime a migliaia, specie durante le migrazioni. Ma a questi fattori naturali si è aggiunta l'azione di disturbo, diretta o indiretta, prodotta dall'uomo. I protezionisti, preoccupati per il calo numerico della specie e per la scomparsa dei nidi da molti Paesi d'Europa, stanno tentando in tutti i modi di provocare un'inversione di tendenza. E bisogna dire che ci stanno riuscendo. Dapprima in Svizzera, poi in Francia, Belgio, Germania, Olanda, Danimarca, Svezia, infine anche in Italia. Grazie al Progetto Cicogne della Lipu, il primo centro cicogne è sorto a Racconigi nel l985 (tel. 0172- 834.57) sull'esempio di quello svizzero di Altreu creato da Max Bloesch, il «papà delle cicogne». Altri due sono seguiti: il Centro S. Elena a Silea (Treviso) e l'oasi di Torrile (Parma). Il metodo per popolare le oasi è quello di precludere agli uccelli la possibilità di volare tagliando loro le remiganti primarie di un'ala (penne che alla muta successiva ricrescono completamente) fino a che non raggiungono l'età della riproduzione. Così le cicogne diventano stanziali, perdono l'istinto di migrare (anche perché trovano il cibo a portata di becco), ma rappresentano una fortissima attrazione sessuale per gli esemplari selvatici che transitano nel cielo, inducendoli a nidificare nei luoghi che avevano abbandonato. Qualcuno sostiene che non è giusto costringere le cicogne a ritmi di vita artificiali. Ma è certo meglio proteggere in questo modo una specie minacciata, anziché assistere passivamente alla sua scomparsa. Isabella Lattes Coifmann


SCOPERTA L'età del vino più vecchio: settemila anni
Autore: FURESI MARIO

ARGOMENTI: ALIMENTAZIONE, PALEONTOLOGIA
NOMI: MCGOVERN PATRICK, VOIGT MARY, BADIER VIRGINIA, KATZ SOLOMON
LUOGHI: ESTERO, ASIA, IRAN, AFRICA, EGITTO

IL paleochimico americano Patrick E. McGovern ha forse scoperto il vino più antico del mondo, vecchio di settemila anni. Il reperto, attaccato al fondo di una giara, ci testimonia che sin da quei lontani tempi l'Homo sapiens sapiens era tanto evoluto da utilizzare il sofisticato processo biochimico della fermentazione. L'uva però era già coltivata alcuni millenni prima nelle dolci colline dell'Iran occidentale e ce lo testimoniano i semi dei suoi acini trovati da quelle parti nonché sulle estreme pendici meridionali del Caucaso, vicino al Mar Caspio. Comunque furono solo i Sumeri della allora Mesopotamia a conoscere e a praticare per ancora alcuni millenni l'arte di produrre il vino nonché quella di conservarlo. Alla lunga durata del loro buon vino concorrevano provetti ceramisti, capaci di foggiare le giare più adatte; dal lungo, esile collo e dall'artistico tappo a chiusura ermetica. Sul fondo di una di queste giare ridotte in frantumi fu peraltro scoperta una grossa, densa macchia di color rosso che, resistendo ai millenni, ha potuto svelare agli esperti paleochimici la propria composizione a base di acido tartarico. Poiché dovettero passare ancora alcuni millenni prima che l'uomo riuscisse a produrre questo acido, i resti scoperti non potevano essere che di vino, dato che l'unica e ricca fonte naturale di acido tartarico è l'uva. Lo stesso McGovern ne ha trovato conferma scoprendo, mischiate all'acido, tracce della resina secreta dalla Pistacia Atlantica; resina che per alcuni millenni veniva aggiunta al vino per evitare che con il tempo diventasse aceto. A scoprire la giara con gli allora ignoti residui era stata una paleobiologa americana, Mary M. Voigt, durante una campagna archeologica condotta nei pressi del villaggio di Hajii Firuz Tepe nell'Iran Occidentale in un angolo, destinato a dispensa, di un edificio certamente costruito dai primi agricoltori stabilitisi nella zona. La scoperta è stata possibile grazie al progresso delle analisi chimiche, e in particolare alla utilizzazione della cromatografia e della spettrofotometria a raggi infrarossi. Circa il vino «fossile» esistono anche plurimillenarie documentazioni scritte; le prime, risalenti a cinquemila anni fa, sono rappresentate dai geroglifici delle etichette figuranti nella giara trovata a Tebe, nel palazzo del faraone Amenhotep III, dalla archeologa Virginia A. Badier dell'Università di Toronto. I reperti vinicoli egizi sono risultati della stessa composizione di quelli scoperti nell'Iran Occidentale a Godin Tepe, ritenuto dagli archeologi un avamposto commerciale fortificato, costruito dai Sumeri lungo la Via della seta. Un cenno alla birra: il suo consumo, secondo le ricerche dell'antropologo Solomon H. Katz dell'Università della Pennsylvania, iniziò circa diecimila anni fa con l'avvento dell'agricoltura. L'orzo fu infatti il primo cereale coltivato, e la birra, ottenuta con la sua fermentazione, si diffuse quasi subito, anche grazie alla disponibilità di orzo per tutto l'anno, a differenza dell'uva, disponibile solo in una breve stagione. Mario Furesi


1995: DAL QUARK TOP AL TUFFO SU GIOVE Un anno di scienza da leggere, vedere e interrogare Oggi in edicola un Cd-Rom che raccoglie «Tuttoscienze» e il Tg «Leonardo» della Rai
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: ELETTRONICA, COMUNICAZIONI
NOMI: ANTONETTO ROBERTO
ORGANIZZAZIONI: TUTTOSCIENZE, RAI, TG3, LEONARDO
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)

SI festeggiano oggi le nozze tra «Tuttoscienze» e il Tg scientifico della Rai «Leonardo». Il frutto dell'unione è in edicola: un Cd-Rom che scrive, parla, suona, risponde alle richieste dell'utente e contiene mezz'ora di filmati: il neonato di un giornale e di un Tg non poteva che essere multimediale. In questo Cd-Rom il lettore troverà l'annata 1995 di «Tuttoscienze» e una antologia di servizi scientifici messi in onda da «Leonardo» nello stesso periodo di tempo ma appositamente rimontati e corredati da brevi testi introduttivi. Le due sezioni del Cd-Rom, quella scritta e quella audiovisiva, dialogano tra di loro: per esempio si può passare direttamente dall'articolo sulla scoperta del quark Top al filmato che racconta l'impresa dei ricercatori, fa vedere il Fermilab di Chicago dove essa è avvenuta e presenta una intervista con Giorgio Bellettini, il fisico italiano che ha contribuito al raggiungimento di questo importante risultato della fisica delle particelle elementari. Oppure si può passare dal filmato sulla sonda kamikaze che si è tuffata nell'atmosfera di Giove nel dicembre scorso all'articolo che ha descritto quell'impresa. Quanto alla raccolta di «Tuttoscienze», ora che può essere consultata tramite computer, si offre a una quantità di ricerche che rendono la consultazione estremamente pratica: si può partire dall'argomento che interessa, oppure da una o più parole-chiave che il computer andrà a individuare nei testi (e che appariranno evidenziate in rosso), o ancora dal nome dell'autore o di un personaggio citato nei titoli e nei circa mille articoli (tra lunghi e brevi). L'accesso può limitarsi al testo o estendersi ai disegni e alle fotografie. Basta un click per avere su carta, tramite una stampante, tutto ciò che si desidera. Il fascicolo che accompagna il Cd-Rom contiene un bilancio dei principali risultati scientifici del 1995 e un intervento di Roberto Antonetto, fondatore e direttore del Tg «Leonardo», una creatura della Rai nata nel 1992 e tuttora unica nel panorama europeo dell'informazione televisiva. La galleria dei filmati è molto varia: Silvia Rosa- Brusin accompagna lo spettatore sulla stazione spaziale Mir e alla base di Baikonour, documenta l'attracco dello Shuttle alla stazione russa e il tuffo della sonda della navicella «Galileo»; Roberto Antonetto ci presenta l'avveniristica tecnologia espositiva del Conservatoir di Parigi e il sistema di colossali dighe informatizzate che proteggono l'Olanda; Milena Boccadoro anticipa il futuro con una nuova generazione di videodischi ad alta densità di informazione e con un curioso servizio sul centro geografico dell'Unione Europea (che si trova a 230 chilometri di profondità sotto una cittadina del Belgio); Girolamo Mangano segue le variazioni climatiche in Antartide e i progressi dell'ingegneria genetica; Daniele Cerrato ci aggiorna sul virus Ebola e sulla storia dei raggi X. Con questo, i volumi che di sei mesi in sei mesi raccolgono «Tuttoscienze» non vanno in pensione. C'è un modo di leggere, di consultare e di studiare che passa inevitabilmente attraverso la carta stampata. Ma certo il nostro Cd-Rom fa capire che ormai anche lo schermo del computer è uno strumento indispensabile per chi non vuole rinunciare alle grandi possibilità didattiche aperte dai mezzi multimediali. Le famiglie italiane che hanno in casa un personal con le caratteristiche adatte a utilizzare il Cd-Rom «Tuttoscienze '95 e Leonardo» sono varie centinaia di migliaia: è un pubblico del quale bisogna tenere conto. Siamo sicuri che a questa festa di nozze tra giornale e televisione parteciperanno in tanti. Piero Bianucci


UN CURIOSO DOCUMENTO SUI VIAGGI DI IERI E DI OGGI «PER STRADA FERRATA» In carrozza] Leggiamo un orario del 1899
Autore: MARCHIS VITTORIO

ARGOMENTI: TRASPORTI, FERROVIARI, STORIA
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, FRANCIA

IL treno, su distanze come quella tra Parigi e Nizza, può essere ancora oggi, alla fine del ventesimo secolo, una buona alternativa all'aereo, anche dal punto di vista economico. Il TGV numero 845 parte dalla Gare de Lyon di Parigi alle ore 11,02 e arriva a Nizza alle 17,34. Il costo del biglietto in seconda classe è di 160.000 lire mentre quello in prima classe sale a 230.000. A ciò bisogna aggiungere il supplemento TGV, che può variare dalle 5 alle 40 mila lire. Il confronto economico con altri servizi, come per esempio un pernottamento in albergo o una corsa in taxi è immediato. Per poter valutare i passi compiuti dall'innovazione tecnologica, soprattutto nei confronti dell'utente, e trascurando perciò ogni considerazione ingegneristica, affronto la lettura di un orario ferroviario in cui mi sono imbattuto sulla bancarella di un brocante, quest'estate, nel Var: il Livret- Chaix, Guide Officiel des Voya geurs special pour les Chemin de Fer de Paris à Lyon et à la Mediterranee, pubblicato a Parigi il 1o ottobre 1899. Le informazioni e i dati che se ne ricavano mi sembrano istruttivi. Il «treno numero 1» parte alle ore 9,25 del mattino dalla Gare de Lyon. Il biglietto, acquistato presso la biglietteria della Gare de Lyon, costa 125 franchi e 80 centesimi, perché si viaggia in prima classe: sul «Rapide» non esiste la seconda. Il viaggio si snoda sulla distanza di 1123 chilometri. Il supplemento per un letto avrebbe un costo variabile da 50 a 60 franchi, ma lo si può evitare se si preferisce fare una sosta intermedia a Marseille. Dopo una fermata tecnica di cinque minuti a Laroche per agganciare la carrozza ristorante il treno riparte per Dijon: sono le 11,59. Il convoglio passa per St. Florentin, Nuits sous Ravieres, Les Laumes e si arresta solo a Dijon, per dieci minuti. Si riparte alle 14,24. Una brevissima fermata (di tre minuti soltanto) viene effettuata a Macon (sono le sedici) e quindi il convoglio si dirige senza altre soste a Lyon. L'arrivo del treno è previsto, dopo aver aggirato la città vecchia ad Est e aver attraversato la Saone, alla Gare de Perrache per le ore 17,02. Dopo un quarto d'ora si riparte. Alle 6,45 si arriva a Valence, alle 8,25 ad Avignone, quindi alle 8,54 a Tarascon. Si passa senza neppure fermarsi ad Arles ed alle 10,25 di sera finalmente si è a Marsiglia. Non mancano le occasioni per trovare un ottimo albergo e per gustare la «bonne cuisine» locale. Il Grand Hotel du Lou vre et de la Paix ha una «reputation universelle»: è dotato di ascensore e di illuminazione elettrica. E' il solo albergo di prima categoria con la facciata principale esposta a mezzogiorno, con vista sul porto, sulla celebre Cannebiere e sugli Allees. Ha 250 camere. Famosi sono il suo giardino d'inverno e i suoi grandi appartamenti dotati di saloni e bagni. Il costo di una camera parte da 4 franchi. Ma non è naturalmente l'unica soluzione. Al Grand Hotel de Provence si può pernottare per 2 franchi e mezzo: la cena a menù fisso, vino compreso, ha un costo di 3 franchi. Ma si riesce anche a pernottare comodamente ad un prezzo di un solo franco a notte: l'Hotel-Restau rant de la Croix-de-Malte, al 15 di rue Magenta, offre anche la pensione completa a partire da 6 franchi al giorno (ma solo 60 al mese). Alcune considerazioni sui costi balzano subito agli occhi e ogni commento potrebbe apparire superfluo. L'indomani il treno riparte alle ore 9,45 del mattino. Le fermate sono a Tolone alle ore 10,53, a La Pauline, a Carnoules, a St. Raphael dove si arriva all'una e otto minuti. Nonostante ci troviamo sul «rapido numero 7», di sola prima classe, d'ora in poi le fermate saranno molto numerose: La Bocca, Cannes, Golfe-Juan-Vallaris, Juan-le-Pins, Antibes e finalmente alle 14,27 a Nizza. E ancora a brevi intervalli: Nice-Riquier, Villefranche-sur-Mer, Beaulieu, Eze, la Turbie, Monaco, Monte-Carlo, Cabbe-Roquebrune. A Mentone, dove finalmente si giunge tre minuti dopo le quattro del pomeriggio, si cambia l'ora. Alcune decine di minuti e si arriverà a Ventimiglia, sempre che le coincidenze lo consentano. Di qui ci vorranno, tutto compreso e sempre nel migliore dei casi, quattro ore e mezzo per raggiungere Genova e altre diciassette per essere a Roma. Vittorio Marchis Politecnico di Torino


RICERCA & TECNOLOGIA Ecco il laser ad elettroni
Autore: FERRANTE ANNALINA

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA, CONFERENZA
NOMI: GALLERANO GIAN PIER, MADEY JOHN
ORGANIZZAZIONI: CENTRO RICERCHE ENEA, DIPARTIMENTO INNOVAZIONI, CENTRO FEL
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, ROMA

LA XVIII Conferenza Internazionale sui Laser ad Elettroni Liberi (Fel) e il III Workshop sulle applicazioni del Fel che si è svolta a Roma a cura del Dipartimento Innovazione dell'Enea, hanno aperto nuovi scenari nella tecnologia dei laser. «A differenza dei laser convenzionali - spiega Gian Pier Gallerano, del Centro Ricerche di Frascati dell'Enea - questo nuovo tipo di tecnologia ottica non utilizza come mezzo attivo atomi o molecole di solidi e gas, ma un fascio di elettroni liberi che vengono opportunamente accelerati a velocità prossime a quella della luce. Lanciati all'interno di una struttura magnetica chiamata ondulatore, gli elettroni percorrono una traiettoria oscillatoria e oscillando emettono radiazioni elettromagnetiche». Il fatto di non essere vincolati da una struttura atomica o molecolare «permette a queste particelle - continua Gallerano - di oscillare in modo continuo per periodi e lunghezze d'onda che coprono l'intero spettro elettromagnetico e l'emissione di radiazioni può essere quindi accordata a diverse lunghezze d'onda». La possibilità di variare la lunghezza d'onda della radiazione permette un impiego più agile e più ampio delle sorgenti laser convenzionali. L'ampia accordabilità spettrale, la possibilità di ottenere impulsi di breve durata e l'elevata densità di potenza di picco fanno del Fel uno strumento dalle caratteristiche uniche in varie applicazioni della ricerca di base e applicata: dalla biomedicina alla chimica, dall'industria alla tecnologia, dalla fotochimica alla fisica dello stato solido e alla spettroscopia. Grandi speranze sono legate alle applicazioni mediche. La possibilità, con questa nuova sorgente laser, di irraggiare in modo selettivo tessuti biologici differenti sfruttando i vari tipi di assorbimento delle radiazioni a lunghezze d'onda diverse, permette, per esempio, di distruggere in modo mirato le cellule cancerogene con un minore apporto termico e senza invadere le cellule sane. Inoltre, prima di dare piena potenza al laser, è possibile ricevere dalla cellula bersaglio le informazioni sul tipo di radiazione che può essere assorbita. In campo chirurgico, l'uso del Fel permette di studiare la capacità di asportazione e i danni termici collaterali nei tessuti ad alto contenuto di acqua come la cornea o i tessuti del cervello, di biomateriali compatti come ossa, dentina e smalto o di materiali complessi non omogenei, cioè che non hanno la stessa natura, come la placca aterosclerotica; gli effetti negativi delle radiazioni che incidono sulla cicatrizzazione delle ferite; il comportamento dinamico, in funzione della lunghezza d'onda e del tipo di assorbimento, delle particelle emesse su materiali-bersaglio omogenei e non omogenei. Negli Stati Uniti, il Centro Fel della Vanderbilt University è interamente dedicato ad applicazioni mediche e biologiche e si prevedono per il 1997 test clinici sull'uomo. Altri settori di potenziale interesse riguardano lo studio delle modificazioni della membrana cellulare e quello dei fenomeni chimici, in particolare le reazioni fotochimiche veloci mentre nel prossimo futuro è prevista la realizzazione di sorgenti laser che permetteranno di esplorare e studiare nel dettaglio le strutture molecolari e il loro comportamento grazie anche all'uso di tecniche olografiche. In campo industriale, infine, la capacità del Fel di lavorare a lunghezze d'onda molto corte, come nel caso dell'ultravioletto, e quindi di irraggiare dimensioni molto piccole, permette applicazioni rilevanti nelle attività di microlitografia e microlavorazioni meccaniche, attualmente allo studio presso il Continous Electron Beam Accelerator facility di Newport News, negli Stati Uniti. Se si fa un confronto con le prime dimostrazioni condotte nel 1977 da John Madey presso l'Università di Stanford negli Usa, i risultati scientifici e applicativi di oggi segnano in modo inequivocabile il passaggio dei Fel da strumenti di ricerca pura a strumenti tecnologici. L'Italia, con il Dipartimento Innovazione del Centro di Ricerche di Frascati dell'Enea, è sicuramente tra i Paesi più impegnati in questo settore: il secondo laser ad elettroni liberi realizzato in Europa e quarto nel mondo fu messo a punto a Frascati già nel 1985 e oggi è allo studio la possibilità di ridurre dimensioni e costi del Laser a elettroni liberi con la costruzione di un Fel compatto. Annalina Ferrante


FRONTIERE DELLA FISICA Gravità e quanti, la sfida continua Alla ricerca della teoria «totale» del Big Bang
Autore: CAVAGLIA' MARCO, DE ALFARO VITTORIO

ARGOMENTI: FISICA, PRESENTAZIONE, CONGRESSO
NOMI: EINSTEIN ALBERT, BOHR NIELS, PLANCK MAX, REGGE TULLIO
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, SANTA MARGHERITA LIGURE (GE)

IL ruolo dello spazio e del tempo in fisica è completamente cambiato con la Relatività generale che Einstein formulò nel 1915. Secondo questa teoria, verificata da molte osservazioni, spazio e tempo non costituiscono più una struttura a priori, come nella fisica new toniana e nella Relatività ristretta del 1905, ma prendono parte attiva nella dinamica dei sistemi fisici: lo spazio e il tempo possono avere localmente geometrie diverse nei diversi punti e nei diversi istanti e sono quindi vere e proprie grandezze fisiche alla pari delle altre, come ad esempio, il campo elettromagnetico. La geometria dello spazio-tempo è determinata dalla materia contenuta in esso; a sua volta la struttura geometrica dello spazio-tempo agisce sulla materia in un modo che noi chiamiamo gravità. Il sistema fisico più straordinario che la Relatività generale permette di descrivere è l'intero universo; il cosmo è infatti dominato nel suo complesso dalle forze gravitazionali, quindi la sua dinamica è data dalle equazioni di Einstein che descrivono la struttura dello spazio-tempo con la temperatura, la densità e le altre proprietà medie della materia contenuta. Una fondamentale soluzione di queste equazioni descrive il comportamento in media dell'universo a partire da un istante assai singolare del passato, la «grande esplosione» (big bang). In quel lontano istante (15-20 miliardi di anni fa) tutte le funzioni dell'universo diventano singolari: le distanze tra particelle si annullano, la densità di materia e la temperatura diventano infinite. Nel '700 a un vescovo anglicano un allievo chiese cosa facesse il Signore prima della Creazione; rispose il buon vescovo che il Signore preparava sferze per fustigare chi facesse domande così cretine. Oggi risponderemmo che la barriera della singolarità matematica impedisce di porre qualsiasi domanda sulla fisica precedente la grande esplosione. Non è matematicamente possibile prolungare la soluzione oltre l'istante della singolarità nè porsi alcuna domanda su cosa succedesse prima, neppure quale fosse la struttura dello spazio e del tempo. Fino a quando è attendibile la ricostruzione all'indietro delle vicende dell'universo a partire dalla configurazione attuale? Intanto, è necessario conoscere le forze che agiscono tra le componenti della materia, che sono note abbastanza bene. Con sicurezza conosciamo il comportamento della materia indietro fino a circa 10-11 secondi dopo l'esplosione. A tempi precedenti e temperature della materia maggiore di 1015 gradi la ricostruzione è meno certa, ma con un po' di audacia si può estrapolare la storia fino a 10-36 secondi dopo il big bang. E prima? La curiosità dell'allievo del vescovo si ritrova nei tentativi di ricostruire la storia dell'universo nel periodo primordiale, antecedente a 10-36 secondi. La soluzione matematica ci porta all'indietro fino alla singolarità. Ma davvero possiamo usarla per tempi vicini alla grande esplosione? Abbiamo dunque una fiducia totale nella validità della Relatività generale? In effetti ci sono ragioni profonde per ritenere che a tempi primordiali si dovrebbe usare una formulazione quantistica invece che la teoria (classica) della Relatività generale: la teoria quantistica della gravità. Ma questa teoria attualmente non esiste; l'applicazione delle regole abituali della meccanica quantistica alla Relatività generale si scontra con difficoltà non ancora superate. Eppure la quantizzazione della gravità appare un compito necessario: la natura delle altre interazioni è senza dubbio quantistica e la gravità non può fare eccezione. Molti effetti quantistici potrebbero cambiare radicalmente l'immagine fisica degli istanti primordiali. Ad esempio la definizione di un tempo globale con un preciso inizio potrebbe non essere appropriata; la vera struttura dello spazio-tempo potrebbe essere fatta ad albero, in cui universi come il nostro si aprono e si chiudono, ognuno con il proprio tempo, mentre l'intera struttura è illimitata e non ordinata temporalmente. E' anche possibile che la Relatività generale non sia una teoria fondamentale ma fornisca una descrizione approssimata dell'universo valida solo per tempi non troppo piccoli e temperature inferiori a 1032 gradi. Altri enti potrebbero essere quelli fondamentali da quantizzare, buoni a descrivere la fisica nei tempi primordiali. E magari il nuovo quadro fisico potrebbe prolungare il tempo indefinitamente nel passato. Anche i buchi neri costituiscono una sorprendente distorsione dello spazio-tempo rispetto alla nostra intuizione. Benché siano nati come una soluzione matematica nell'ambito della Relatività generale, varie osservazioni fanno ritenere che esistano in natura, e anzi che nel centro di molte galassie si annidino buchi neri immensi. Anche per loro il dibattito sulla quantizzazione della gravità è appropriato: da circa vent'anni sappiamo che i buchi neri hanno una temperatura e proprietà termodinamiche che richiedono una trattazione quantistica. I tentativi di quantizzazione della gravità sono oggetto di ricerche appassionanti, con un contributo assai considerevole di scienziati italiani. A discutere questi temi sono chiamati da tutto il mondo più di 120 scienziati riuniti in questi giorni a Santa Margherita Ligure a discutere di gravità quantistica. Durante il congresso si festeggeranno i 65 anni di Tullio Regge, che ha dato contributi fondamentali alla Relatività generale e ha ricevuto, per questi e per altri contributi alla fisica, il Premio Einstein nel 1979 e quest'anno la Medaglia Dirac. I suoi amici «relativisti» lo festeggiano a Santa Margherita nel modo che apprezza: parlando della gravità e della sua quantizzazione. Marco Cavaglià Vittorio de Alfaro Università di Torino


STORIA DELLA MEDICINA ALZHEIMER O PERUSINI? Uno studioso ingiustamente dimenticato
Autore: POMPONI MASSIMO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, STORIA DELLA SCIENZA
PERSONE: ALZHEIMER ALOIS, PERUSINI GAETANO
NOMI: REGAN RONALD, HAYWORTH RITA, WIGNER EUGENE, LEVI HUGO, FISCHER OSKAR, ALZHEIMER ALOIS, PERUSINI GAETANO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: «Giornata mondiale della malattia di Alzheimer»

SI celebrerà sabato 21 settembre la «Giornata mondiale della malattia di Alz heimer», a qualche settimana dalla convention repubblicana di San Diego che ci ha ricordato come Ronald Reagan stia morendo di questa comune e devastante forma di invecchiamento cerebrale. Dopo aver colpito, tra i tanti, Rita Hayworth e il premio Nobel per la fisica (1963) Eugene Wigner, l'Alzheimer sta infatti completando ora la sua offesa al cervello del «grande comunicatore»: il paziente di Alzheimer perde l'uso appropriato del linguaggio; non è più in grado di leggere, di esprimere sentimenti, di apprendere e ricordare. Nonostante gli sforzi dei farmacologi, la malattia di Alzheimer è ancora incurabile. Per il paziente nulla è cambiato da quel lontano 3 novembre 1906, quando Alois Alzheimer comunicò, durante la convenzione psichiatrica di Tubinga, il caso di Auguste D. , una donna di poco più di 51 anni morta a causa di una sconosciuta malattia caratterizzata da precoce (perché presenile) invecchiamento cerebrale. Quella fu la prima descrizione di un caso clinico di morbo di Alzheimer; malattia che, almeno nel nome, sembrerebbe il risultato del meticoloso studio del ricercatore tedesco. Ma l'attenta lettura dei lavori originali che portarono alla scoperta di questa forma di demenza rivela qualche sorpresa. Non fosse altro perché Hugo Levi - che riferì per la rivista Neurologi sches Centralblatt gli atti di Tubinga - si astenne dal commentare lo studio di Alzheimer, del quale, per dovere di cronaca, riportò il solo titolo. Come se il commentatore ritenesse troppo modesto quel contributo. E in effetti la presentazione della nuova malattia fu prematura (un unico caso clinico), come se lo studioso tedesco avesse fretta di aggiudicarsi una priorità. Solo nel 1907 la comunicazione di Alzheimer veniva pubblicata su Allgemeine Zei tschrift fur Psychiatrie und Psychischgerichtliche Medizin. Nel 1910 Kraepelin - direttore dal 1893 del nuovo Istituto di ricerche per la Psichiatria, oggi Max Planck Institut - nell'ottava edizione del suo famoso trattato di psichiatria adottò l'espressione «malattia di Alzheimer», attribuendo così tutto il merito alla sua scuola (Alzheimer era suo aiuto), senza citare il contributo essenziale dato da un giovane ricercatore italiano, Gaetano Perusini (1879-1915), che lavorava all'epoca con Alzheimer. Perusini in un suo importante studio pubblicato nel 1908 (ma pubblicato nel 1910 su Hi stologische und Histopatholo gische Arbeiten), aveva incluso nella nuova forma di demenza descritta da Alzheimer anche casi di età più avanzata (65 e 63 anni) insieme con quelli ritenuti presenili (51 e 45). Al contrario di Kraepelin, riteneva che la demenza presenile (malattia di Alzheimer) e la demenza senile fossero forme di una stessa malattia, ipotesi oggi largamente accettata. Reagan, la Hayworth e Wigner non sono certamente casi presenili, ma paradossalmente non sarebbero malati di Alzheimer se si utilizzasse l'originale classificazione, mentre lo sarebbero ancora secondo quella di Perusini. Alzheimer pubblicò su Zeit schrift fur die gesamte Neuro logie und Psychiatrie il suo secondo caso della nuova patologia nel 1911: nell'introduzione di questo studio (il caso di una donna di 56 anni) Alzheimer conferma la propria opinione che si tratti di una malattia presenile, anche se riconosce generosamente, citandolo più volte, il contributo di Perusini. A cominciare dal risalto dato alla posizione che Perusini aveva assunto su un'importante disputa scientifica con la scuola tedesca psichiatrica di Praga; in questo contesto Perusini viene citato da Alzheimer prima di Kraepelin. A questo punto una domanda sarebbe d'obbligo. Può essere occasionale che uno studioso tedesco (Alzheimer) a cavallo del secolo citi un giovane ospite straniero (Perusini) prima dell'indiscusso maestro (Kraepelin)? O non sarà piuttosto che la citazione del maestro è aggiunta per dovere di scuola? E ancora, è normale che a cavallo del secolo in una querelle scientifica tra due scuole tedesche Alzheimer citi uno sconosciuto medico italiano? O non è più plausibile che la citazione di Perusini venga fatta in quanto lo scienziato era ben noto per i suoi studi tra i neurologi tedeschi? A conferma di questa ipotesi nello stesso lavoro Alzheimer scriveva: «Fischer (Oskar Fischer, scuola di Praga) ha riportato un'esauriente discussione dei casi di Perusini nel suo lavoro...». Fatto è che Alzheimer (e forse anche Kraepelin) decise di affidare all'italiano la continuazione della propria ricerca. Perusini la organizzò in 54 pagine e 79 figure traendo conclusioni che la presentazione del 1907 non aveva reso possibili. Avanzò ipotesi sulla natura e l'origine delle placche senili, particolarmente abbondanti nella corteccia cerebrale dei pazienti di tipo Alzheimer; commentò la concomitante presenza di placche senili e neurofibrille; percepì l'azione di una specie di cemento (oggi noto come beta- amiloide) che favoriva l'aggregazione delle neurofibrille. La scoperta del beta-amiloide risale al 1984 (Wong e Glenner) ed è stata ottenuta mediante la biologia molecolare più sofisticata. Perusini ne parla, Alzheimer invece no. Inoltre Perusini discusse un problema ancora attuale: quello dell'origine vascolare o neuronale della malattia. Perché allora Perusini è oggi così poco conosciuto tra gli addetti ai lavori? Sfortunatamente per lui, gli scienziati d'oltre oceano, che generalmente determinano lo stato dell'arte, non sono stati di aiuto. Infatti, dagli Anni 70 la letteratura anglosassone, che è stata la prima a riscoprire la malattia di Alzheimer, ha sempre tenuto conto di quanto Kraepelin aveva scritto, ma tra i giovani nessuno aveva più il ricordo di Perusini, che oltretutto era morto da un pezzo a soli 36 anni, medaglia d'argento alla memoria, durante la Grande Guerra. Massimo Pomponi Università Cattolica, Roma


EVOLUZIONE Piedi e mani fecero crescere il cervello Siamo diventati uomini grazie al loro esercizio
Autore: MAFFEI LAMBERTO

ARGOMENTI: ANTROPOLOGIA E ETNOLOGIA, BIOLOGIA
NOMI: GOULD STEVEN
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. La presa umana e quella di macaco e tupaia
NOTE: «La postura creò l'uomo»

LA nostra pretesa superiorità sugli altri animali è basata quasi unicamente sullo sviluppo e quindi sulle capacità del nostro cervello. Questa caratteristica ha portato in passato la maggior parte degli antropologi a pensare che la principale spinta alla nostra evoluzione sia stata inizialmente l'aumento del nostro cervello a cui, solo successivamente, sarebbe seguita la postura eretta. In uno dei primi saggi di Steven J. Gould, brillante e acuto come sempre, dal titolo «La postura creò l'uomo», si può leggere la storia delle diverse ricerche antropologiche sull'argomento e delle teorie che ne conseguirono. L'idea che l'aumento del cervello fosse stato la spinta iniziale alla nostra «umanizzazione» era talmente radicata negli antropologi del secolo scorso e dell'inizio di questo secolo che questi rimasero assai delusi dai risultati delle ricerche effettuate negli Anni 20 quando i resti dei nostri antenati africani furono scoperti nei sedimenti di alcune cave. Anche lo scheletro di «Lucy», ritrovato nel 1976 nel deserto etiopico, mostrava caratteristiche inconfondibili che indicavano una postura eretta in questi ominidi di 3,3 milioni di anni fa. L'aspetto di queste «australopitecine» era assai diverso da quello che si aspettavano gli antropologi. Questi, pensando che l'evoluzione dell'uomo si fosse svolta sotto la spinta delle sue capacità «mentali», si aspettavano che l'«anello mancante» dovesse avere caratteristiche intermedie, sia a livello dello sviluppo del corpo che del cervello. Si aspettavano, in altre parole, un essere dal grande cervello e dalla postura curva. Gould fa notare, con un pizzico di ironia, che nei vecchi libri scolastici gli uomini di Neandertal erano rappresentati curvi. Le australopitecine non rispondevano affatto a questi requisiti in quanto mostravano di avere avuto una postura eretta e, contrariamente alle aspettative, un cervello assai piccolo, appena più grande di quello delle scimmie antropomorfe e circa un terzo di quello dell'uomo attuale che ha un peso di circa 1400 grammi. Il risultato che si poteva dedurre da queste ricerche era che la postura eretta aveva preceduto il grande aumento della massa cerebrale. Gould ci racconta con arguzia come i vari saggi dell'epoca vollero, a vario titolo, e con conoscenze assai superficiali dell'argomento mettere bocca su questa questione. Freud ad esempio sostenne come l'assunzione della stazione eretta avesse dato primaria importanza alla vista rispetto all'olfatto e come da questo ne fosse derivato un cambiamento nei costumi sessuali. I maschi sui due piedi non erano più stimolati solamente o principalmente dall'odore ciclico derivante dall'estro della femmina, ma dalla vista dei suoi genitali. Ciò aveva portato alla sessualità continua dell'uomo e in seguito alla costituzione della famiglia e alla civilizzazione. In questa occasione l'attenzione quasi paranoica di Freud per il sesso non ci sembra essere stata molto fruttuosa. Engels nel 1876 scrisse addirittura un saggio sul tema: «Parte avuta dal lavoro nel processo di umanizzazione della scimmia». L'ipotesi oggi accettata che la statura eretta, rendendo libere le mani per l'uso di strumenti (per il lavoro come diceva Engels), precedette lo sviluppo del cervello, trova, a mio parere, un interessante riscontro negli studi più recenti sulla plasticità cerebrale e cioè sulla possibilità che il cervello ha di cambiare sotto l'influenza di stimoli esterni. Numerose linee di ricerca hanno dimostrato che l'esercizio adeguato e ripetuto di abilità motorie o sensoriali (nel caso dei nostri antenati, delle mani) perfeziona la funzione e aumenta il numero di cellule nervose implicate nel controllo sensoriale e motorio. Tra i vari esempi se ne riportano due, uno riguardante le scimmie e uno l'uomo. E' stato dimostrato che se si addestra una scimmia a girare un disco con alcune dita della mano, molti minuti, tutti i giorni per diverse settimane, si ha un chiaro aumento delle aree della corteccia somatosensoriale nella quale queste dita sono rappresentate. Nell'uomo è stato riportato che chitarristi professionisti fin dalla loro giovane età hanno un chiaro aumento della rappresentazione cerebrale delle dita della mano sinistra. Se questi esercizi manuali, come girare il disco o suonare la chitarra, sono efficaci nel cambiare il cervello in tempi molto ristretti come anni, mesi o settimane, è affascinante speculare quale efficace e adeguato stimolo all'aumento della funzione e della massa cerebrale sia stato per i nostri antenati il passare da un uso precipuo degli arti anteriori per la deambulazione alla manipolazione raffinata degli strumenti. Mi rendo conto che seguendo questa strada si arriva alla conclusione logica che la corteccia somatosensoriale e motoria si sviluppo' prima delle altre e che il suo sviluppo fu stimolo a quello delle altre aree corticali più direttamente implicate nelle cosiddette attività «mentali». Non sorprende che il cervello che guida l'attività motoria, così importante per la sopravvivenza, si sia sviluppato prima del cervello devoluto ad attività più «riflessive». Tutto questo farebbe pensare che si sia sviluppato prima un cervello di servizio, atto a migliorare la sensibilità e l'attività motoria degli arti anteriori, e successivamente un cervello capace di riflettere e interpretare queste attività. Lamberto Maffei Scuola Normale Superiore, Pisa


IN BREVE Nasce Jaca Book multimediale
ARGOMENTI: ELETTRONICA, COMUNICAZIONI
ORGANIZZAZIONI: JACA BOOK
LUOGHI: ITALIA

La Editoriale Jaca Book diventa multimediale: in autunno lancerà una collana di Cd-Rom. Tra i primi titoli di carattere scientifico, nella serie «Natura e civiltà», sono annunciati «Dal big-bang all'uomo», «Dai primi uomini alle prime civiltà», «Pianeta verde». Nell'impresa, la Jaca Book, casa editrice nata trent'anni fa a Milano, ha come partner la Ars Media di Fermo (Ascoli Piceno). Per altre informazioni: 02-48.56.151.


IN BREVE Cosmologia convegno a Roma
ARGOMENTI: ASTRONOMIA, CONGRESSO
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, ROMA

L'universo è un frattale? E' una delle domande alle quali cercheranno di rispondere ricercatori italiani e stranieri al convegno «Topological defects in cosmology» che si svolgerà a Roma, Università La Sapienza, l'11-12 ottobre. Per informazioni: 06-4991. 4305 (tel. e fax).


IN BREVE Trieste, corsi per divulgatori
ARGOMENTI: DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TRIESTE (TS)

Sono aperte fino al 30 settembre le iscrizioni all'anno accademico 1996-97 del «master in comunicazione della scienza» istituito presso la Scuola internazionale superiore di studi avanzati (Sissa) di Trieste. Per informazioni: 040-378.7462


IN BREVE Borse di studio Lombardia-Ambiente
ARGOMENTI: ECOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: FONDAZIOEN LOMBARDIA PER L'AMBIENTE, REGIONE LOMBARDIA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, MILANO (MI)

La Fondazione Lombardia per l'ambiente bandisce 15 borse di formazione biennali destinate a giovani laureati dell'Unione Europea, ciascuna del valore di 20 milioni annui. I candidati possono partecipare presentando progetti di ricerca in tema ambientale che, al termine del biennio, producano risultati di interesse applicativo per la Regione Lombardia. Per informazioni: 02-86.451.304.


IN BREVE Giornata a difesa del cielo
ARGOMENTI: ECOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: UNIONE ASTROFILI
LUOGHI: ITALIA

La quarta edizione della Giornata nazionale contro l'inquinamento luminoso (un fenomeno che impedisce l'osservazione del cielo ad astronomi professionisti e dilettanti ma sottrae anche al comune cittadino uno degli spettacoli più suggestivi della natura) si celebrerà il 12 ottobre, in coincidenza con un'eclisse parziale di Sole. L'iniziativa è dell'Unione astrofili bresciani. Per informazioni, tel. 030-872.545. La stessa associazione ha censito i siti italiani che, per l'oscurità del loro cielo notturno, risultano di interesse astronomico.


VIVE IN SUD AFRICA C'è una pianta semicarnivora Un insetto digerisce per lei le sfortunate prede
Autore: FRONTE MARGHERITA

ARGOMENTI: BOTANICA
NOMI: ELLIS ALAN, MIGDLEY JEREMY
LUOGHI: ESTERO, AFRICA, SUDAFRICA, CITTA' DEL CAPO

PER un'ape è meglio volare alla larga dalla Roridula. Alta circa due metri, con foglie munite di appiccicosissimi peli, la Roridula è infatti una temibile pianta carnivora, che cresce in Sudafrica, e che non lascia scampo agli insetti che la visitano. Tanto che gli abitanti del luogo la coltivano per tenere lontane le mosche. Tuttavia, il vero killer dei malcapitati non è la pianta, ma un microscopico insetto che attacca le prede intrappolate nelle foglie e le uccide, risucchiandone il contenuto, e cedendo parte del suo pasto ormai semidigerito alla Roridula. Un perfetto esempio di simbiosi, e un enigma risolto. Infatti, la presenza del microscopico insetto, battezzato Pameridea roridulae, è stata rivelata solo recentemente da un gruppo di ricercatori dell'Università di Città del Capo, guidati dai botanici Alan Ellis e Jeremy Migdley. Prima di allora il pasto della Roridula, identificata per la prima volta da Charles Darwin più di centoventi anni fa, era avvolto nel mistero in quanto - questo era il problema - le sue cellule non contengono, nè secernono, gli enzimi adatti alla digestione degli insetti. La pianta si serve del microscopico simbionte come di uno stomaco supplementare e, a sua volta, l'insetto ha il vantaggio, non irrilevante, di trovare sempre un'abbondante cena in tavola senza dover compiere alcuno sforzo per procacciarsi le prede. Come faccia il piccolo ospite dalle lunghissime zampe a non rimanere a sua volta intrappolato fra gli appiccicosi peli delle foglie, resta invece tuttora da chiarire. Così come da chiarire rimangono anche i meccanismi evolutivi che hanno permesso l'instaurarsi di una simbiosi così particolare, fra un insetto ed una pianta carnivora, che tuttavia potrebbe non rappresentare un caso isolato nel regno dei viventi. Infatti la scoperta del gruppo sudafricano pone la Roridula in una particolare posizione nel mondo vegetale; essa rappresenta una nuova classe di piante carnivore che potrebbe comprendere altre specie, fra cui il tabacco e la petunia, che sono pure dotate di appiccicosi peli sulle foglie, ma che assorbono almeno parte del nutrimento dalle radici. Secondo Jeremy Midgley, nell'evoluzione del regno vegetale questa nuova classe di piante semi-carnivore potrebbe rappresentare l'anello di congiunzione fra le più comuni piante che assorbono sali minerali dal terreno e quelle, più voraci, che si nutrono di insetti. Margherita Fronte




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