TUTTOSCIENZE 3 luglio 96


NEL PADIGLIONE DEL 1889 Il rinoceronte di Luigi XV Scienza e show al Jardin des Plantes di Parigi
Autore: GIULIANO WALTER

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, STORIA DELLA SCIENZA, MUSEO
NOMI: CHEMETOV PAUL, HUIDOBRO BORJA, ALLIO RENE'
ORGANIZZAZIONI: MUSEO NAZIONALE DI STORIA NATURALE
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, FRANCIA, PARIGI
TABELLE: C. La piantina della Grande Galleria

Una visita in tre atti, accompagnata dalla simulazione di una giornata nella savana. Alla Grande Galerie parigina del Jardin des Plantes spettacolo e scienza vanno a braccetto. E trasformano la visita al Museo nazionale di Storia naturale in una avventura della conoscenza. I tre atti si sviluppano nella navata centrale dedicata alla diversità del mondo vivente e nelle due balconate laterali dove si affrontano rispettivamente le tematiche dell'evoluzione e dell'uomo come fattore evolutivo. Completa il tutto una sezione dedicata alle specie estinte o minacciate. A fianco dell'esposizione, un auditorium, un centro di azione culturale e pedagogica dotato di laboratori e un grande spazio per le esposizioni temporanee. Gli architetti Paul Chementov e Borja Huidobro, in collaborazione con lo scenografo Renè Allio, non solo hanno rispettato la struttura della Grande Galerie a cui hanno lavorato dal 1987, ma vi hanno associato una buona dose di creatività. I materiali dell'antica Galerie de Zoologie, il «Louvre della storia naturale», aperta nel 1889, hanno trovato così una collocazione radicalmente diversa rispetto alla concezione museale ottocentesca in cui erano rimasti sino al 1965, anno di chiusura del museo, pur mantenendone lo spirito. Per 20 anni le collezioni hanno atteso il trasferimento che avvenne nel 1985 quando, collocate nel sotterraneo del palazzo, lasciarono sgombra la Grande Galerie per il progetto di trasformazione. 5 anni di lavoro, durante i quali furono presentate alcune anticipazioni di quello che era destinato a divenire l'allestimento definitivo, e il 21 giugno del 1994 la Grande Galerie è finalmente pronta ad accogliere nuovi visitatori. Da allora è riproposta nell'immenso padiglione nel cuore arabo della capitale francese la storia affascinante di oltre 350 anni di studi e di ricerche nel campo delle scienze naturali cui i francesi hanno dato un consistente contributo con personaggi come Buffon, Lamarck, Cuvier, Bernard... Le domande cui la visita suggerisce alcune risposte sono quelle fondamentali su cui da sempre l'uomo si interroga: come si è formata e sviluppata la vita? Quali sono le relazioni che legano l'uomo alla vita e alla natura? Qual è il ruolo che la scienza può svolgere rispetto all'avvenire del mondo vivente? Il percorso è affascinante. Si tratta di una vera e propria «messa in scena» di un museo. A partire dal piano inferiore che consente di immergersi nel mondo marino, con la presentazione di numerosi preparati e reperti tra cui gli scheletri di alcune balene. Sono 5 gli habitat rappresentati: le profondità abissali, le sorgenti idrotermali oceaniche, le barriere coralline, il litorale, l'oceano aperto. E si può addirittura provare l'emozione di intrufolarsi tra i granelli di sabbia di una spiaggia per scoprire i popolamentii di animali microscopici che ne fanno un ambinte vivo. Ma l'effetto spettacolare si ha al piano terra, con lo spazio dominato dalla grande carovana della vita. Il corteo degli animali della savana occupa l'intera navata centrale: elefanti, giraffe, rinoceronti, leoni, gazzelle... Tutto intorno la rappresentazione attraverso l'esposizione di 3000 specie (di cui 2700 artropodi), degli altri grandi ambienti del pianeta: le regioni polari, le foreste tropicali, il deserto sahariano. Per ognuno suoni e luci specifici: luce bianca, fredda, per le regioni polari; verde per la foresta; gialla, calda per savana e deserto. Una sezione aggiuntiva illustra inoltre flora, fauna e riserve naturali di Francia. Du tutto l'invenzione scenografica di una giornata nella savana, scandita da un variare di luce che parte dall'alba e arriva alla notte stellata e che sfrutta mirabilmente i 10.000 metri quadrati della vetrata zenitale che fa da copertura alla Grande Galerie. Le varie fasi del ciclo giornaliero sono accompagnate da voci, suoni e rumori diversi cha danno la sensazione di essere davvero nell'ambiente naturale simulato. Per realizzare questa colonna sonora, George Boeuf,direttore del gruppo di musica sperimentale di Marsiglia, in collaborazione con Christian Calon e Patrick Portella, è partito dal campionamento di oltre 500 suoni naturali. Ne è nata una loro armonica composizione che si sviluppa con il variare delle luci, ogni ora e 40 minuti, diffusa da 400 altoparlanti. Ancora al piano d'ingresso una curiosità: il rinoceronte di Luigi XV, il primo rinoceronte naturalizzato esistente al mondo. Partito da Chandernagor nell'ottobre del 1769 l'esemplare arrivò a Lorient nel giugno del 1770 e fu ospitato al castello di Versailles dove morì nel 1793. Gli altri dua atti della messa in scena del museo si sviluppano sui due piani che circondano la navata centrale. Ad essi si accede con 4 ascensori a vista. Anche la salita è un momento dell?


STRIZZACERVELLO Numeri eccellenti
ARGOMENTI: GIOCHI
LUOGHI: ITALIA

1 - Qual è il numero il cui cubo è uguale alla somma dei cubi di tre numeri consecutivi? 2 - Qual è il numero che è uguale alla somma dei quadrati di due numeri e che, elevato alla quarta potenza, è ancora uguale alla somma dei quadrati dei due numeri? 3 - Qual è il numero che, aumentato di 1, è uguale al doppio del quadrato di un numero e il cui quadrato, aumentato di 1, è ancora il doppio di un numero al quadrato? 4 - Qual è il numero che è uguale alla somma dei quadrati di due numeri consecutivi, e il cui quadrato è, a sua volta, uguale alla somma dei quadrati di due numeri consecutivi?


RICICLAGGIO Lattine usate, altro che rifiuti] Un enorme risparmio energetico recuperando l'alluminio
Autore: PAVAN DAVIDE

ARGOMENTI: ECOLOGIA, RIFIUTI, RICICLAGGIO
ORGANIZZAZIONI: COALA CONSORZIO OBBLIGATORIO NAZIONALE PER IL RICICLAGGIO DEI CONTENITORI IN ALLUMINIO PER LIQUIDI
LUOGHI: ITALIA

RIFIUTI: flagello o ricchezza del 2000? Spesso dipende dal rifiuto. Prendiamo il caso delle lattine usate, al 99% in alluminio: è il metallo più abbondante nella crosta terrestre e, dopo ossigeno e silicio, è il terzo elemento chimico più diffuso. Tuttavia in natura non si trova allo stato metallico, ma solo come ossido o silicato, ed è per questo che ha un alto valore di mercato (tra le 1700 e le 2000 lire al chilo). L'alluminio viene ricavato dalla bauxite mediante un processo di elettrolisi e un gran dispendio di materie prime ed energia elettrica (circa 16 kV e 4 kg di bauxite per ottenere un kg di alluminio). La produzione di un kg di alluminio secondario (ottenuto cioè fondendo le lattine) richiede invece solamente 0,8 kW, con un eccezionale risparmio energetico (circa il 95 per cento) ed un prodotto qualitativamente identico, in quanto tale metallo può essere riciclato un numero infinito di volte. Il risparmio è dovuto al fatto che l'assorbimento di energia è concentrato non tanto nella fusione del metallo, quanto nel processo elettrolitico di estrazione. Altri due vantaggi del riciclaggio sono il minor consumo di materia prima e la mancata produzione di fanghi tossici, inevitabile nel ciclo di lavorazione dell'alluminio primario. Sono molti, quindi, i motivi per considerare la lattina usata non un rifiuto, ma un prezioso rottame. A livello europeo le prime iniziative di raccolta e riciclaggio iniziarono nei primi Anni 80, mentre in Italia l'atto ufficiale di nascita del Consorzio obbligatorio nazionale per il riciclaggio dei contenitori di alluminio per liquidi (Coala) è datato 23 marzo 1990. Il Consorzio raggruppa le principali imprese di produttori e importatori, e due importanti associazioni di recuperatori, Assorecuperi e Assofermet. Negli ultimi sei anni si sono fatti grossi passi in avanti. Oggi il riciclaggio italiano di alluminio si attesta sul 25% delle lattine usate, una percentuale abbastanza buona se confrontata con il 20% dell'Inghilterra, ma modesta nei confronti ad esempio di Germania (50%) e Stati Uniti (60%). La recente direttiva Cee sui rifiuti da imballaggio (comprese quindi le lattine) fissa un obiettivo preciso: entro il 30 giugno 2001 gli Stati membri devono assicurarne il recupero di una quota minima del 50% e il riciclaggio di una quota compresa tra il 25% e il 45%, con un minimo del 15% per ciascun materiale. L'obiettivo del 15% non dovrebbe essere un problema per l'alluminio, la speranza è che si vada ben oltre: l'obiettivo dichiarato dal Coala è quello del 50%. Il recupero delle lattine passa in Italia per il 45% attraverso la raccolta differenziata delle aziende municipalizzate (concentrate soprattutto nel Settentrione) e per il 55% tramite una ventina di cooperative giovanili. Queste ultime, che traggono dalla commercializzazione dell'alluminio il loro sostentamento, riforniscono le fonderie con stock di lattine ben selezionate e preparate, mentre il materiale delle raccolte differenziate, per l'incuria di molti cittadini, (e la scarsezza di contenitori), è decisamente più inquinato (fino al 30% in peso) dalla presenza di materiali estranei (come ferro, stagno e altri rifiuti). Queste impurità pregiudicano i processi di fusione per cui devono essere eliminate prima dell'invio in fonderia. La raffinazione comprende processi di lavaggio, per eliminare i residui organici, di vagliatura e di separazione dei materiali diversi (ad esempio le lattine in banda stagnata) mediante sistemi a magneti fissi o rotanti. La presenza di diverse qualità di alluminio nelle varie parti della lattina (corpo, tappo e linguetta) non è invece di ostacolo al riciclaggio, così come non creano problemi le vernici, eliminate direttamente nel bagno di colata. L'alluminio secondario torna solo per il 10% in lattina, mentre il restante 90% finisce nei settori dell'edilizia, della meccanica o dei casalinghi. La domanda è comunque piuttosto alta, tanto che per soddisfarla occorre importare oltre il 30% dell'alluminio usato che arriva in fonderia. Ciò dipende non solo dalla ridotta raccolta differenziata, ma anche dai gusti dei consumatori: in Italia si raccoglie poco alluminio perché se ne consuma poco. Ogni anno il cittadino italiano stappa in media 26 lattine, contro le 119 di un inglese e le 370 di un americano. Compito del consorzio Coala sarà anche di pubblicizzare i vantaggi della lattina come contenitore: peso ridotto, insensibilità alla luce, grande funzionalità. Davide Pavan


NETWORK COMPUTER Le cyber meraviglie (non tropicali) di Java Un nuovo, semplificato linguaggio di programmazione della Sun Microsystem
Autore: MEZZACAPPA LUIGI

ARGOMENTI: ELETTRONICA, COMUNICAZIONI, INFORMATICA
ORGANIZZAZIONI: INTERNET, JAVA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: TUTTOSCIENZE/MULTIMEDIA

QUALCHE settimana fa abbiamo parlato di «network computer», il terminale Internet multimediale che presto vedremo nei laboratori, negli uffici e con ogni probabilità, in un futuro abbastanza prossimo, anche nelle nostre case. Se il network computer avrà successo, però, dovrà dividerne i meriti con Java, un'altra pietra miliare della rivoluzione tecnologica in chiave Internet in atto in questi nostri movimentati anni. L'occasione per parlare di Java è buona, anche e soprattutto perché sono appena terminati i lavori della prima conferenza «JavaOne», tenutasi a San Francisco alla fine di maggio. Il concetto di network computer è già discretamente interessante se permetterà all'utente di interagire con i documenti memorizzati sui milioni di pagine Internet, ma con Java il network computer può diventare un dispositivo altamente sofisticato, tanto quanto il «fratello maggiore» personal, se sarà azionato dagli «applets», una sorta di «programmini». Ma che cos'è Java? Bene, oltre a essere una meravigliosa isola dell'arcipelago indonesiano e il nome di un'ottima miscela di caffè, da qualche mese è anche un nuovo linguaggio di programmazione e una serie di strumenti destinati ad accrescere le potenzialità della Rete, progettato alla luce delle esperienze cibernetiche. Chissà perché i ricercatori della Sun Microsystem, che ne hanno intuito e realizzato l'idea, hanno deciso di dare questo nome a un linguaggio di programmazione? Forse facevano riferimento all'eterno desiderio di evadere da questo frastornante mondo, oppure pensavano alle opportunità che oggi la tecnologia ci offre per lavorare anche da un'isola, o forse stavano semplicemente gustando un buon caffè... Fatto sta che Internet, grazie a Java, riceverà una nuova forza rivoluzionaria la cui portata è paragonabile all'avvento dei «browser», gli strumenti di navigazione che hanno permesso anche agli utenti meno esperti di muoversi nell'universo Internet in «punta di mouse», senza necessariamente conoscere gli astrusi comandi e i linguaggi nativi dei computer più sofisticati. Java è un linguaggio di programmazione che permette la creazione di applicazioni indipendenti dalla piattaforma hardware e software. Immaginate con quale velocità potranno diffondersi le nuove intuizioni e le nuove applicazioni senza dovere ogni volta misurarsi con le difficoltà e le limitazioni legate alle compatibilità tra i diversi sistemi operativi (Windows e Win95, Apple, Unix e le sue versioni) e tra le diverse Cpu (Intel, Mips, PowerPc, Alpha). Java è un linguaggio interpretato, eseguito «al volo» da una macchina virtuale che Sun MicroSystem ha preparato per tutte le piattaforme oggi presenti sul mercato. Java ha anche un suo proprio «browser» (HotJava) che ne sfrutta al massimo le potenzialità, ma anche Netscape e Internet Explorer sono in grado di eseguire programmi Java. Java (su cui l'editore Apogeo ha appena pubblicato un libro di Tittel e Gaither) offre la possibilità di aggiungere contenuti dinamici e interattivi alle attuali pagine Internet, rendendo possibili sequenze in movimento tipo cartoni animati. Non importa se il formato con il quale la sequenza è realizata non è «standard» e non è quindi noto ai computer, ai loro sistemi operativi e ai «browser»: Java può inviare la sequenza e, insieme ad essa, anche il programma per rappresentarla. Inoltre, Java è destinato a cambiare e forse a stravolgere anche molti aspetti consolidati dell'informatica, quell'informatica che funziona con la vendita di pacchetti software progettati e realizzati per assolvere a precise funzioni. Java ha le caratteristiche per divenire uno strumento universale per la progettazione di sistemi e soluzioni. E per diventare un'architettura normalizzatrice, un forte elemento di standardizzazione. Ancora una volta, basterà aspettare solo un poco, e ne vedremo delle belle. Luigi Mezzacappa


CENSURA PER «PLAYBOY» Con la tecnologia Pics si possono controllare le navigazioni proibite
Autore: VALERIO GIOVANNI

ARGOMENTI: ELETTRONICA, COMUNICAZIONI, INFORMATICA
ORGANIZZAZIONI: PICS, INTERNET
LUOGHI: ITALIA
NOTE: TUTTOSCIENZE/MULTIMEDIA

SULLA tastiera le dita scorrono veloci, per scrivere l'indirizzo di uno dei siti più noti di Internet: www.playboy.com. Qualche secondo di attesa, mentre le meteoriti continuano a cadere sul simbolo di Netscape. Poi, un messaggio inspiegabile: «Access denied». Accesso negato. Non è l'azione di un puritano Grande Fratello della rete, ma il risultato di Pics, il nuovo standard di auto-censura sviluppato da World Wide Web Consortium. La tecnologia Pics (Platform for Internet Content Selection, sulla rete al sito htt:/w3. org/PICS) permette ai genitori di filtrare l'accesso ai siti Web pornografici o violenti e di controllare quindi le navigazioni «proibite» dei figli. Basta selezionare i parametri di sesso, violenza e linguaggio consentiti e il browser (il programma di navigazione, come il popolare Netscape) bloccherà la connessione agli Url che superano i limiti. Da tempo sono stati sviluppati numerosi software di controllo parentale, ma restava ancora da definire una norma comune per la classificazione dei siti. Alla Piattaforma per la Selezione dei Contenuti di Internet hanno aderito tutti i grandi, da Apple e Microsoft ai fornitori di connettività (AmericaOnLine, CompuServe, Prodigy), dalle compagnie di telecomunicazioni (AT&T, France Telecom) al colosso Time-Warner, per finire con Netscape. Vale a dire, un cartello dei «veri» padroni della rete. Il tutto sotto la benedizione del World Wide Web Consortium. Il comitato del Pics ha stabilito il formato delle diverse «etichette» che saranno attribuite a ogni sito e le convenzioni per assicurare la compatibilità al sistema. Ma a chi spetterà il compito di «schedare» il Weber? Non ci saranno commissioni di censura, come nel cinema. I siti potranno avere più «etichette», fornite da diverse organizzazioni. I genitori sceglieranno il software di selezione e il tipo di classificazione, adeguando la censura ai modelli educativi e alla maturità dei figli. Detto fatto? La questione è più complessa. Nella crescita esponenziale di Internet, come sarà possibile schedare migliaia di documenti prodotti ogni giorno dalla rete? Il sistema di classificazione adottato è quello del Rsac (Recreational Software Advisory Council, sito http://www.rsac.org), molto schematico e già collaudato per anni nei videogiochi. Ma come definire il comune senso del pudore? Come distinguere l'arte dalla pornografia, soggetto già dibattuto nella letteratura e nel cinema? Pics si è presentato come «ready for the Internet». Ma Internet, rete libertaria e anarchica per struttura e spirito, è pronta per Pics? Eppure questa, rispondono Aol, Microsoft, Netscape e Co., sembra l'unica soluzione. Meglio le forbici leggere dell'auto-censura che i rozzi interventi del governo, pronto a tirar fuori le manette per i provider, colpevoli di fare semplicemente il loro lavoro: fornire l'accesso a Internet. Come se gli edicolanti (e non gli editori) fossero i responsabili di tutto il materiale in vendita. Giovanni Valerio


INTERNET In rete tra scienze e sciocchezze
Autore: MERCIAI SILVIO

ARGOMENTI: ELETTRONICA, COMUNICAZIONI
ORGANIZZAZIONI: INTERNET
LUOGHI: ITALIA
NOTE: TUTTOSCIENZE/MULTIMEDIA

MULTIMEDIALITA', la nuova parola evocatrice di magia, è approdata ufficialmente anche su TuttoScienze. Devo ammettere di avere un atteggiamento fortemente ambivalente rispetto alla questione della multimedialità ed all'inserimento di Internet nel suo ambito. Scriveva A. R. Meo la settimana scorsa che «per multimedialità intendiamo generalmente la capacità dei calcolatori e di altri oggetti tecnologici delle stesse famiglie dei calcolatori di trattare e trasmettere in modo integrato testi, suoni, immagini, filmati». E mostrava come, in un certo senso, il termine oggi abbia assunto un significato ancora più ampio, tendendo a diventare sinonimo di «digitale». Che Internet - come i cd o molto software o altro - disponga (o stia per disporre) ampiamente di questa possibilità multimediale non v'è dubbio: basta ormai aprire una qualsiasi pagina WWW per essere mediamente colpiti dallo scintillio accattivante del suono, dell'immagine fissa o mobile, del video-clip. E allora? Allora vorrei ancora una volta richiamare l'attenzione su quella che sento come la pericolosa illusione della multimedialità: confondere cioè lo strumento con il contenuto comunicativo che esso è chiamato a veicolare (no] Il mezzo non è il messaggio]). Faccio un esempio: ci sono in commercio oggi dei CdRom che documentano visite a grandi musei del mondo: immagini ad alta definizione, un commento discreto, letto con grande maestria, l'illusione stessa della realtà virtuale. Ne ho alcuni e li apprezzo moltissimo: come pure, mi trovo talvolta a paragonare la qualità tecnica, gli uni contro gli altri, a cercare di scoprire come lo strumento multimediale è stato usato o mal usato al servizio del documento che gli autori volevano offrire. Ma il punto fondamentale sono le opere d'arte che il mezzo mi consente in qualche modo di contemplare, studiare, analizzare: dal godimento estetico allo studio artistico. Se così non fosse, il mezzo mi ingannerebbe, affascinandomi con la sua lusinga tecnologica, ma tenendomi lontano dal contenuto da trasmettere. Al problema di fondo, rappresentato dalla caoticità dei documenti presenti sulla rete e del loro relativo appiattimento (in fondo un documento, poniamo, di alto valore scientifico ed una pagina di sciocchezze hanno lo stesso statuto di presenza e leggibilità) - dall'intreccio inestricabile, insomma, tra anarchica creatività e ricchezza informativa - si aggiunge ora sempre più il problema della modalità tecnologica con cui il messaggio viene veicolato. Ma - ovviamente - la pagina di sciocchezze resta tale anche se corredata di orpelli sofisticati. Ecco perché vorrei sottolineare ancora una volta che il nostro interesse ha a che fare con il segnalare pagine e risorse per il loro valore di contenuto e non risente, se non marginalmente, della meraviglia dello strumento espressivo. Internet non è essenzialmente il luogo della multimedialità, così come non è una vasta biblioteca universale. E' anche tutte queste cose, ma non precipuamente questo. E' invece lo strumento ed il luogo della comunicazione e dell'incontro fra uomini, che, da sempre e comunque - e dunque anche su Internet, senza per questo mostrare troppa patologia, come anche M. Carotenuto riconosceva la settimana scorsa - cercano di incontrarsi, di trovarsi, di conoscersi, di accompagnarsi. Dove e come lo facciano è un non secondario problema del linguaggio e delle sue potenzialità espressive: l'importante è, anche su Internet, che belle e lucide parole non nascondano, sotto il loro fascino, l'orrore della vacuità e della piattezza. Silvio A. Merciai


«BIDONI» MULTIMEDIALI Guai se compri a scatola chiusa Cd-Rom, si aspetta la certificazione di qualità
Autore: REVIGLIO FEDERICO

ARGOMENTI: ELETTRONICA, COMUNICAZIONI, INFORMATICA
ORGANIZZAZIONI: WINDOWS 95, ANEE ASSOCIAZIONE NAZIONALE EDITORIA ELETTRONICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: TUTTOSCIENZE/MULTIMEDIA

I cd-rom si comprano generalmente a scatola chiusa, senza poter vedere che cosa contengano, nè sapere come funzionino. Si va incontro in questo modo a guai di tre tipi: il cd si rifiuterà di operare sulla macchina che abbiamo in casa; il cd funzionerà, ma provocherà sfracelli sul nostro computer; il contenuto del cd sarà deludente, ove per deludente si intende inferiore a quanto promesso. Un cd può rifiutarsi di funzionare perché non gli piace la nostra macchina (il nostro hardware) o il sistema operativo che usiamo (il nostro software). Per esempio, anche se a molti sembrerà curioso, un disco nato per Windows può non funzionare sotto Windows 95, perché Windows e Windows 95, malgrado il nome molto simile, non sono affatto la stessa cosa, e ci sono cd che ne soffrono. In altri casi, il cd potrà pretendere - talora anche senza averne un gran bisogno quanto al suo contenuto - una scheda audio; potrà esigere particolari schede video, e anche singolarità nella configurazione del sistema (ad esempio, potrà avere esigenze particolari in tema di colori gestiti, che non sono molto semplici da modificare per chi non sia abbastanza esperto). In breve, occhio alla «scatola»: deve descrivere con molta precisione sia l'hardware che il software necessari al disco: altrimenti, attenti alle (brutte) sorprese. Il secondo guaio, che può essere perfino maggiore del primo, capita quando il cd si comporta con scarsa educazione nei confronti della nostra macchina. Sono le disavventure dell'«installazione», cioè di quel processo iniziale che molti cd richiedono, e che serve a copiare alcune informazioni dal cd al nostro disco rigido. I motivi per cui molti cd vogliono essere «installati» sono numerosi, e non sempre commendevoli (ci torneremo). Le conseguenze spiacevoli possono essere: occupazione di grandi parti del nostro hard disk (fino a 60 e più mega, nei casi più indecenti), copia di programmi o parti di programmi che possono dare fastidio alla nostra macchina, autoritarie modifiche in oscuri e importantissimi files che si chiamano «config.sys» e «autoexec.bat», e che possono davvero cambiare le carte in tavola al nostro pc. Purtroppo, qui la scatola aiuta poco, perché non avverte con precisione di cosa capiterà durante l'installazione (non lo fanno quasi mai neppure i manuali, quando ci sono); si è davvero in balia dei programmatori, alcuni dei quali sono un po' troppo arroganti, quando non maleducati. Infine, si può essere delusi dal cd comprato a scatola chiusa perché il suo contenuto non corrisponde a quanto proprio la scatola dichiarava: si promettono filmati «full screen», e si ottengono francobollini indecifrabili: si parla di migliaia di immagini, e ce ne sono a malapena un centinaio, magari malandate: si vantano testi completi, e non ci sono; si promettono grandi possibilità operative e il cd è pieno di «buchi», si inchioda facilmente, si rifiuta di compiere operazioni e così via. Qui si può stare attenti fin che si vuole, alle truffe è difficilissimo sfuggire. Per fortuna, una buona notizia c'è. L'Anee, che significa Associazione Nazionale Editoria Elettronica e che raccoglie tutte le più importanti aziende del settore, sta lavorando perché si arrivi a una certificazione di qualità per i produttori di cd-rom, qualcosa di simile alle certificazioni Iso 9000 oggi molto diffuse. Questa certificazione baderà tra l'altro ad evitare i problemi fin qui accennati: se anche facesse solo questo, sarebbe già molto. Federico Reviglio


IN BREVE Dalla Pirelli nuovo sistema ottico
ARGOMENTI: TECNOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: PIRELLI CAVI
LUOGHI: ITALIA

Pirelli Cavi ha annunciato di aver messo a punto un nuovo sistema ottico di telecomunicazioni avanzato, che moltiplica la capacità di trasporto fino a 32 volte, il doppio di quanto consentito finora. L'annuncio è stato dato a Dallas durante Supercomm '96. Il nuovo sistema, «ad alta intensità di lunghezza d'onda», sarà in grado di trasportare un milione di conversazioni telefoniche simultanee su una singola fibra ottica, fino alla distanza di 1200 chilometri.


IN BREVE Alle sorgenti del Rio delle Amazzoni
ARGOMENTI: GEOGRAFIA E GEOFISICA
NOMI: PALCKIEWICZ JACEK
LUOGHI: ESTERO, AMERICA, PERU'

E' partita da Mosca una spedizione internazionale alla ricerca delle sorgenti del Rio delle Amazzoni sulle Ande peruviane. Lo ha annunciato l'esploratore italo-polacco Jacek Palckiewicz, che guiderà la spedizione, composta da idrografi e cartografi russi, peruviani, polacchi e italiani. «La nostra impresa - dice Palckiewicz - seguirà criteri scientifici. Misurazioni ed esami saranno focalizzati alla sorgente più lontana dalla foce, con deflusso di acqua permanente con portata maggiore e a quella che si trova più vicino alla cresta delle Ande che segna lo spartiacque continentale». Oltre alle carte topografiche, i geografi hanno il supporto di fotografie satellitari messe a disposizione dall'agenzia spaziale europea di Frascati. La spedizione è patrocinata dal giornale peruviano «El Comercio» e dalle società geografiche del Perù e della Russia.


IN BREVE Piero Angela premiato a Buffalo
ARGOMENTI: COMUNICAZIONI, DIDATTICA, PREMIO
NOMI: ANGELA PIERO
LUOGHI: ITALIA

Un importante premio è stato consegnato a Piero Angela, in occasione della Conferenza Mondiale che ha riunito alla State University di New York a Buffalo oltre mille scienziati ed esperti sui problemi dell'informazione scientifica. Angela è stato premiato per il contributo che le sue trasmissioni e i suoi libri (l'ultimo è stato pubblicato proprio in questi giorni negli Stati Uniti) hanno dato per un'informazione corretta e responsabile, in particolare per quel che riguarda la pseudo scienza. Il comitato promotore della conferenza, lo Csipop (Committee for the scientific investigations of claims of the paranormal), composto da alcuni fra i più autorevoli scienziati americani e internazionali, ha sottolineato l'importanza che rivestono oggi i mezzi di comunicazione per una informazione corretta di fronte al dilagare dell'irrazionalità.


PREVISTA DA EINSTEIN Forza gravitomagnetica Misurata la prima volta al mondo
Autore: CANDY PAOLO

ARGOMENTI: FISICA
NOMI: CIUFOLINI IGNAZIO, VESPE FRANCESCO, LUCCHESI DAVID
LUOGHI: ITALIA

TUTTI sappiamo che una calamita esercita una forza sui metalli ferrosi, e che i motori elettrici e i trasformatori sfruttano la forza magnetica. Ogni carica elettrica (elettrone) in movimento genera anche un «campo magnetico», che può a sua volta «indurre» una corrente elettrica. Einstein, nella sua teoria della relatività generale, era riuscito a prevedere che anche le particelle di massa neutre, che generano un campo gravitazionale, quando sono in movimento (come le cariche elettriche), possono produrre un altro tipo di forza oltre quella già nota della gravità: la forza gravitomagnetica. Il gravitomagnetismo sta alla forza magnetica come la gravitazione sta alla elettricità. Molti sono stati i tentativi di scovare sperimentalmente questo fenomeno, alcuni addirittura della fine del secolo scorso, influenzati dalle idee del fisico- filosofo Mach. Nessuno però vi era mai riuscito a causa della enorme difficoltà nell'eseguire le misurazioni di un effetto così tenue prodotto nelle vicinanze della Terra. Ma in prossimità di stelle di neutroni e di buchi neri, questo effetto, di Lense-Thirring (dal nome degli scienziati che si sono per primi occupati dell'argomento), diviene notevole e importante, tanto che non si può non tenerne conto per lo sviluppo di nuove teorie in funzione di una più vasta interpretazione teorica a livello di visione globale dell'intero universo. Ignazio Ciufolini, Francesco Vespe e David Lucchesi, ricercatori italiani a Roma, Matera e Lucca, hanno condotto, in equipe, per la prima volta al mondo con successo, una serie di misurazioni che hanno finalmente mostrato la forza gravitomagnetica terrestre dovuta alla rotazione attorno al proprio asse. Ciufolini (Cnr e Università La Sapienza, Roma) ha ideato un nuovo metodo di misura che sfrutta la telemetria laser, Vespe (Asi-Cgs, Matera) ha curato l'analisi delle perturbazioni gravitazionali terrestri e Lucchesi (Ist. Cavanis, Lucca) quelle non-gravitazionali che si riflettevano sui satelliti artificiali della serie Lageos, costruiti dalla Alenia e lanciati dall'Agenzia Spaziale Italiana e dalla Nasa (l'ultimo nel 1992). Dal Centro di Geodesia Spaziale di Matera si possono controllare e misurare la posizione di questi satelliti continuamente con un errore dell'ordine del centimetro, inviando e ricevendo uno stesso impulso laser. L'effetto Lense- Thirring che è stato misurato dai tre scienziati italiani è estremamente piccolo: uno spostamento-trascinamento del piano dell'orbita lungo l'equatore di circa 2 metri in un anno, ad altezze di 6 mila chilometri] Il solo «schiacciamento» della Terra (la perturbazione più vistosa che può subire un satellite), induce effetti analoghi ma circa 15 milioni di volte più grandi] E' stato come cercare il classico «ago in un pagliaio». Paolo Candy


ARMI CHIMICHE L'iprite fatta in casa Scoop di due giornalisti inglesi
Autore: FOCHI GIANNI

ARGOMENTI: ARMI, CHIMICA
NOMI: MEYER VICTOR
ORGANIZZAZIONI: MAIL ON SUNDAY, CHEMICAL INDUSTRIES ASSOCIATION
LUOGHI: ITALIA

FINO a che punto è giustificata la soddisfazione per i trattati che mettono al bando le armi chimiche? In altre parole, siamo sicuri che l'attenzione degli organi internazionali e di molti governi basti a impedire che Stati irresponsabili o gruppi terroristici compiano stragi ricorrendo alla cosiddetta «atomica dei poveri»? Le notizie che ogni tanto sconvolgono l'opinione pubblica (per esempio, l'Iraq che stermina i curdi, o gli attentati venefici nella metropolitana di Tokyo) inducono a non abbandonarsi a un ottimismo esagerato. Per giunta una recente inchiesta giornalistica ha rivelato che in certi casi ci si potrebbe dotare di agenti chimici aggressivi con relativa facilità e, quel che più è incredibile, senza infrangere nessuna legge. Due collaboratori del settimanale inglese Mail on Sun day hanno rivelato ai lettori d'essere riusciti a procurarsi l'occorrente per la sintesi dell'iprite, la sostanza vescicante detta scientificamente bis(2- cloro-etil)solfuro, che fu impiegata per la prima volta dai tedeschi nella prima guerra mondiale, contro i francesi a Ypres (Belgio) il 22 luglio 1917. Dal nome del luogo derivò appunto il termine a noi familiare di iprite. I due giornalisti, presentandosi a nome di un «Centro di ricerche biologiche», hanno ordinato per telefono un chilo di cloruro di tionile alla consociata britannica della Bayer, a un costo pari a circa settantamila lire. Il prodotto ha dovuto essere importato dalla casa madre tedesca della Bayer, la quale usa richiedere una dichiarazione del cliente sul tipo d'impiego. A quanto pare la dicitura «ricerche sperimentali farmaceutiche» ha soddisfatto gli uffici vendite sia in Gran Bretagna sia in Germania. I finti ricercatori hanno scritto nel loro servizio che il pacco contenente la sostanza ordinata è stato lasciato incustodito all'indirizzo da essi indicato, ma la Bayer nega questo particolare con decisione. In una rivendita di prodotti chimici da laboratorio, i due reporter hanno poi comprato in contanti (per l'equivalente d'una trentina di migliaia di lire italiane) mezzo chilo di tiodiglicol, fornendo false generalità e asserendo di lavorare per un'azienda non meglio identificata. In quel caso il prodotto proveniva dalla Aldrich, ditta fornitrice di molti laboratori di ricerca in Europa. Un funzionario di questa ha poi sostenuto che per la vendita di sostanze controllate, come appunto il tiodiglicol, l'Aldrich applica certe procedure, ma non ha voluto rivelare alla stampa quali esse siano. Il rivenditore al dettaglio, dal canto suo, sostiene d'aver agito in perfetta buona fede e nega che le autorità inglesi richiedano particolari schedature per il commercio del tiodiglicol. Sembra proprio vero, almeno dal punto di vista strettamente legale. Di certo, però, non sono state seguite le prudenti linee guida indicate dalla Chemical Industries Association, che è più o meno l'equivalente della nostra Federchimica. Alla Bayer si scusano dicendo che fanno controlli ovviamente più severi se si tratta di vendere in quantità considerevoli le sostanze sospette: per loro un chilo di cloruro di tionile è da considerarsi un campione più che una fornitura vera e propria. Fatto sta che, una volta procuratisi quelle due sostanze con la modica spesa di circa centomila lire, i collaboratori del Mail on Sunday avrebbero potuto, ricorrendo a un'attrezzatura anche rudimentale (qualche bottiglia, un po' di ghiaccio) e alla guida d'un esperto, applicare un procedimento di sintesi simile a quello seguito centodieci anni fa dal tedesco Victor Meyer, che notò subito la grande pericolosità del nuovo composto da lui preparato. Sicuramente i due giornalisti non avrebbero potuto sintetizzarlo in scala d'interesse militare, per la quale, fra l'altro, è conveniente seguire metodi diversi di sintesi. Per un attentato terroristico, tuttavia, la quantità d'iprite che si sarebbe potuta ottenere sarebbe stata sufficiente. Gianni Fochi Scuola Normale, Pisa


«FARMACI ORFANI» Malattie rare non remunerative Incentivi negli Stati Uniti alle case farmaceutiche
Autore: TRIPODINA ANTONIO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: GAUCHER PHILIPPE, BRADY ROSCOE
ORGANIZZAZIONI: GENZYME CORPORATION, NIH NATIONAL INSTITUTE OF HEALTH
LUOGHI: ITALIA
NOTE: Farmaco Ceredase

LE malattie rare sono molto spesso trascurate dalla ricerca farmaceutica poiché agli ingenti investimenti necessari per la possibile realizzazione di un farmaco efficace non corrisponde una sufficiente remunerazione, dato l'esiguo numero di pazienti che ne potrebbero beneficiare. Questi possibili farmaci sono definiti «orfani» («orfan drugs») perché non trovano, appunto, chi voglia assumersene la paternità producendoli e commercializzandoli. Per risolvere una situazione eticamente non accettabile e discriminante nei confronti di migliaia di persone affette da varie malattie «non remunerative», le autorità statunitensi hanno reso effettivo, qualche anno fa, l'«Orfan Drugs Act», con il quale si prevedono sostanziosi incentivi a favore delle aziende farmaceutiche che decidono di rivolgere la propria attenzione alle ricerche dei farmaci nelle malattie rare: avere il monopolio per sette anni e altre agevolazioni economiche volte ad assicurare comunque un utile. Grazie a queste norme molti pazienti con malattie rare hanno potuto finalmente trovare una terapia efficace e molte giovani e aggressive aziende di biotecnologia hanno potuto avere un rapido sviluppo. Il caso paradigmatico è quello dei pazienti affetti dal morbo di Gaucher, che possono ora sperare in un futuro migliore grazie all'impegno della Genzyme Corporation (Cambridge, Massachusetts) che ha prodotto il farmaco specifico. Il morbo di Gaucher è una rara malattia genetica (una delle 5000 malattie finora catalogate) dovuta al deficit dell'enzima glucocerebrosidasi, che ha il compito specifico di scindere il glucocerebroside, una sostanza grassa che si forma normalmente, come prodotto di scarto, nei macrofagi. I macrofagi sono le cellule «spazzino» del nostro organismo: divorano le cellule invecchiate e le altre scorie che circolano nel sangue e nei tessuti, le scompongono e ne riutilizzano le parti ancora utili. Per questo «riciclaggio dei rifiuti» i macrofagi hanno bisogno di diversi enzimi, fra cui la glucocerebrosidasi. Venendo a mancare questo enzima, nei macrofagi si accumula la sostanza grassa, che li ingolfa e ne impedisce la funzione. Si formano quelle che sono definite «cellule di Gaucher», la cui diffusione è alla base dei sintomi fondamentali della malattia: la milza e il fegato si ingrossano mostruosamente (10-15 volte il normale); il midollo osseo, infarcito da tali cellule, è inibito nella formazione delle cellule del sangue, da cui anemia e piastrinopenia; le ossa, poco irrorate, diventano fragili, deformi e dolenti («crisi ossee»), costringendo i pazienti all'immobilità. A seconda della gravità se ne distinguono tre tipi: il Tipo 1, la forma meno grave e più diffusa, che non dà compromissioni neurologiche e che colpisce prevalentemente gli ebrei Ashkenaziti (1 caso su 400-600 nati, mentre nella popolazione generale 1 caso su 40.000 nati); il tipo 2, che si manifesta molto precocemente e che per le gravi complicanze neurologiche è quasi sempre mortale entro il secondo anno di vita, ha un'incidenza di 1 caso su 100.000 nati; il Tipo 3, simile al 2, ma con un'evoluzione assai lenta, potendo i pazienti vivere fino a 40 anni, con un'incidenza di 1 caso ogni 100.000 nati. Data la rarità e la non specificità dei sintomi è una patologia spesso misconosciuta. La diagnosi di certezza si ha mediante la biopsia della milza e mediante il dosaggio della glucocerebrosidasi sui globuli bianchi. Fu il francese Philippe Gaucher a descrivere il primo caso nel 1882, senza scoprirne la causa; causa che fu individuata soltanto nel 1965 dal ricercatore americano Roscoe E. Brady del National Institute of Health (NIH), il quale per primo avanzò l'ipotesi di una terapia enzimatica sostitutiva. Terapia che fu tentata inizialmente (1973-1974) utilizzando l'enzima naturale estratto dalla placenta umana, con scarsi risultati in quanto l'enzima naturale non era riconosciuto in modo selettivo dai macrofagi e veniva catturato anche da altre cellule non direttamente interessate al processo morboso. Fu necessario quindi modificare la struttura dell'enzima naturale in modo che fosse captato specificamente dai macrofagi. In questo modo, dalla collaborazione NIH-Genzyme è nata l'alglucerasi, commercializzata con nome Ceredase. Questo farmaco ha dimostrato in vari studi controllati iniziati dal 1989 di essere in grado non solo di arrestare ma di fare anche regredire i principali segni della malattia. Il Ceredase è ricavato da tessuti placentari umani attraverso un complesso processo di estrazione, purificazione e modificazione. Poiché il rifornimento di tessuti umani è necessariamente limitato, la Genzyme Corporation ha da pochi mesi inaugurato ad Allston, vicino a Boston (Massachusetts) un avveniristico impianto di produzione dell'enzima attraverso tecniche Dna-ricombinanti, usando colture cellulari su larga scala, in modo da poter soddisfare in un prossimo futuro tutte le esigenze. L'enzima così prodotto si chiama Cerezyme. Grazie al Ceredase e, prossimamente, al Cerezyme la malattia di Gaucher di tipo 1 non è più inarrestabile e può consentire al paziente curato correttamente di svolgere una vita normale. Questa è la storia di un ex «farmaco orfano». Ed è la storia anche del farmaco più costoso del mondo, per una serie di motivi tutti plausibili, per cui la situazione si è capovolta e a rischiare di rimanere «orfani di farmaco» sono molti pazienti. Delle 400- 500 persone riconosciute affette da morbo di Gaucher in Italia, solo 91 hanno potuto iniziare la cura, pur con dosaggi molto inferiori a quelli usati negli Stati Uniti, in quanto per difficoltà burocratiche ed amministrative non tutte le aziende Usl provvedono all'acquisto del farmaco. E' uno dei tanti problemi sociali a cui si dovrà dare risposta. Antonio Tripodina


ASTRONOMIA Il Sole ora è un sorvegliato speciale Alle isole Canarie il miglior telescopio solare
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, TECNOLOGIA
NOMI: BARBIERI CESARE
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, SPAGNA, ISOLE CANARIE
NOTE: Telescopio «Galileo», Telescopio «Themis» (Telescope Heliographique pour l'Etude du Magnetisme et des Instabilites de l'Atmosphere Solaire)

L'ITALIA scruta l'universo: un telescopio per il Sole e uno per le stelle sono stati inaugurati a Tenerife e a La Palma, due isole dell'arcipelago delle Canarie, alla fine della settimana scorsa dal re di Spagna Juan Carlos e dal nostro ministro della Ricerca Luigi Berlinguer. Il telescopio solare lo dividiamo con i francesi, che lo hanno finanziato con 64 milioni di franchi, integrati da 8 miliardi di lire (24 milioni di franchi) messi a disposizione dal nostro Cnr. Quello per le stelle è il tanto atteso «telescopio nazionale» intitolato a Galileo, un sogno degli Anni 60 che si realizza all'insegna del motto «non è mai troppo tardi». Si è infatti tratto profitto dagli ultimi progressi della tecnologia: così oggi i nostri astronomi dispongono di un telescopio che nella sua categoria è forse il migliore al mondo. Poiché il telescopio nazionale «Galileo» lo abbiamo già ampiamente descritto su «Tuttoscienze» dell'8 maggio, diamo la precedenza al telescopio solare. Si chiama «Themis», sigla che deriva da Telescope Heliographique pour l'Etude du Magnetisme et des Instabilites de l'Atmosphere Solaire. Lo specchio principale ha un diametro di 90 centimetri: ragguardevole per un telescopio solare. Ma più della potenza conta la qualità delle immagini, che nel caso del Sole sono sempre fortemente disturbate dalla turbolenza dell'aria. Con «Themis» il problema è stato affrontato facendo il vuoto nel telescopio e realizzando una speciale cupola progettata dalla ditta «European Industrial Engineering» di Mestre. Un'ottica attiva correggerà ulteriormente le distorsioni causate dall'agitazione dell'aria. Questi accorgimenti, sommati alle eccezionali condizioni climatiche del cielo di Izana, località a oltre duemila metri di quota, garantiranno immagini del Sole di straordinaria nitidezza, che integreranno quelle riprese dal satellite «Soho» messo in orbita pochi mesi fa dall'Agenzia spaziale europea. L'Italia ha avuto la responsabilità della cupola e dello strumento più importante a valle del telescopio: un filtro monocromatico che può selezionare una stretta finestra dello spettro solare dall'ultravioletto al profondo rosso (cioè a lunghezze d'onda comprese tra 1600 e 6800 Angstrom). Questo apparecchio, che in pratica può essere «sintonizzato» su qualsiasi lunghezza d'onda della luce visibile così come una radio può essere sintonizzata su innumerevoli emittenti, è stato messo a punto all'Osservatorio di Arcetri per fornire informazioni sull'atmosfera solare a vari livelli di profondità nella cromosfera e nella sottostante fotosfera. Altri strumenti determineranno intensità e direzione dei campi magnetici, faranno misure di polarizzazione e compiranno analisi spettrali. Un oggetto di studio privilegiato saranno le macchie solari, la cui attività è forse in rapporto con le variazioni climatiche del nostro pianeta. Il Sole è senza dubbio il corpo celeste più importante per l'uomo: è naturale, quindi, che in questi anni molti sforzi siano stati fatti per comprendere meglio i meccanismi termonucleari con cui la nostra stella produce la sua energia e come «soffia» nello spazio intorno a noi il suo «vento» di particelle atomiche. L'ultima notizia però riguarda la regione della Via Lattea nella quale il Sole si muove con la Terra e gli altri pianeti al seguito: un gruppo di astrofisici dell'Università di Chicago ha scoperto che stiamo dirigendoci verso una nube di gas e polveri interstellari un milione di volte più densa rispetto alla zona dove ora viaggiamo insieme con il Sole: ne potrebbero derivare un aumento del bombardamento di raggi cosmici ed effetti sul clima e sull'atmosfera. Per fortuna - bisogna aggiungere - il Sole entrerà nella parte più densa della nube interstellare soltanto tra 50 mila anni: pochissimi sulla scala dei tempi cosmici, ma moltissimi sulla scala dei tempi storici. Veniamo al telescopio «Galileo». Dopo annose traversie, il progetto è decollato nel 1988 sotto la direzione di Cesare Barbieri, dell'Osservatorio di Padova. La scelta dell'isola di La Palma, la più selvaggia delle Canarie, a quota 2400, in località Roque de los Muchachos, risponde all'esigenza di avere un cielo buio (cioè privo di luci parassite artificiali), un gran numero di notti serene e un'atmosfera poco turbolenta. Non a caso Roque de los Muchachos è già da tempo la capitale dell'astronomia europea per il cielo boreale (per quello australe la capitale è La Silla, nelle Ande, dove sorge l'Eso, European Sothern Observatory). Quassù, in mezzo all'oceano Atlantico, sull'orlo della caldera di un vulcano spento, sono già concentrati numerosi telescopi inglesi, spagnoli, francesi, svedesi, norvegesi. Setti, dell'Università di Bologna, presiede il comitato internazionale che coordina il tutto. «Galileo» è molto simile all'Ntt, «New Technology Telescope» realizzato 10 anni fa all'Eso. Lo specchio principale è sottile e deformabile: un computer pilota dei pistoni che con la loro pressione ne regolano la curvatura, compensando le distorsioni dovute alla gravità. Un altro sistema computerizzato corregge in tempo reale le distorsioni dovute alla turbolenza dell'aria (per questo si parla di ottica attiva e adattiva). Lo specchio di 3,6 metri, che sarebbe stato molto competitivo negli Anni 80, oggi è surclassato da telescopi come il Keck americano, da 10 metri e il Subaru giapponese, da 8 metri, mentre all'Eso sono in costruzione 4 telescopi da 8,2 metri che lavorando insieme equivarranno a uno strumento da 16 metri. Nonostante ciò, l'avanzatissima tecnologia e i sensori elettronici Ccd fanno di «Galileo» un telescopio di assoluta avanguardia. Non c'è aspetto dell'astronomia di frontiera che sia escluso dalle sue possibilità di ricerca: nove e supernove, eventuali sistemi planetari di altri Soli, nascita e morte delle stelle, galassie, quasar, struttura dell'universo a grande scala, cosmologia. All'Italia toccherà l'80 per cento del tempo di osservazione, il 20 per cento andrà agli astronomi spagnoli che ci ospitano sotto il loro purissimo cielo. Piero Bianucci


RISCHI A 9000 METRI Un volo infetto Lo straordinario episodio d'infezione (tbc), in aereo, sulla tratta di 12 ore Honolulu-Baltimora via Chicago
Autore: GIACOBINI EZIO

ARGOMENTI: TRASPORTI, MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Il Lockheed Tristair: controllo automatico della temperatura e del ricambio d'aria

PER renderci conto dei rischi di un lungo viaggio nei tempi passati non è necessario risalire alle disavventure del povero Ulisse; basta leggere dei guai capitati a chi si recava in Italia un secolo o due fa, da Goethe ai fratelli Goncourt. E che dire dei poveri pellegrini del Medioevo esposti a colera e vaiolo? Per chi viaggiava per mare tifo e scorbuto erano quasi certi. Chi viaggia oggi in aereo si trova in un ambiente praticamente sterile, gode di igiene garantita e sicurezza da infezioni. O almeno lo crede. Ma non è esattamente così se leggiamo un articolo scritto da specialisti del National Center for disease control and prevention di Atlanta, Usa, e pubblicato in un recente numero del New England Jour nal of Medici ne. Si parla qui di un caso raro - ma reale - di infezione trasmessa durante un volo prima da Honolulu a Chicago e poi da Chicago a Baltimora (con ritorno dopo un mese) nell'aprile del 1994. Anteriormente a questo episodio un primo allarme era partito dal caso di uno steward ammalato di tubercolosi poi trasmessa ai colleghi di bordo. La trasmissione dell'agente di una malattia infettiva da parte di un passeggero ad altri non era però mai stata dimostrata. Il fatto scoppiò nel giugno del 1994 quando venne notificato al medesimo centro nazionale di controllo e prevenzione di Atlanta che un passeggero proveniente dall'esterno degli Stati Uniti, una donna di 32 anni, era morta in seguito a gravi complicazioni respiratorie dovute a una infezione da una forma di Mycobacterium tubercolosis resistente a ogni tipo di antibiotico. Prima della diagnosi e del decesso la passeggera aveva volato da Honolulu a Baltimora, via Chicago, e un mese dopo al ritorno sul medesimo tragitto e sulla stessa linea. Preoccupati per la presenza di una forma così virulenta e un potenziale rischio di esposizione da parte dei passeggeri e dell'equipaggio durante un percorso di così lunga durata (10-12 ore) venne intrapresa una ricerca quasi poliziesca. Si cercò di rinvenire tutti i 925 passeggeri (dei quattro voli) provenienti da 41 Paesi diversi che avevano viaggiato con l'ammalata. Ne vennero rintracciati 802 (87%). Essi furono tutti sottoposti al test della tubercolina assieme ai membri dell'equipaggio e interrogati allo scopo di identificare quelli potenzialmente a rischio di contrarre l'infezione. Undici tra questi mostravano oltre alla positività del test anche altri fattori di rischio per la malattia. Altri 6 non aventi fattori particolari di rischio precedenti al volo risultavano essersi seduti nella stessa sezione dell'aereo dove aveva preso posto il passeggero infetto. Studiando la particolare posizione (posto occupato durante il volo) di ogni passeggero si riuscì a determinare che chiunque fosse seduto a una distanza di due file o meno dalla passeggera infetta dimostrava una percentuale molto più alta di positività alla tubercolina di chi era seduto più distante. La differenza era del 30% per i più vicini contro il 4% degli altri. L'articolo conclude dicendo che chi vola seduto per molte ore vicino a un passeggero infetto da una forma virulenta e trasmissbile di tubercolosi ha una certa probabilità di infettarsi. Questo non vuol dire necessariamente che si sviluppi la malattia ma semplicemente che la contiguità rappresenta un fattore di rischio. E' importante notare che non vi è conoscenza (fino al febbraio 1996) che alcun passeggero o membro dell'equipaggio di quel volo abbia dimostrato in seguito sintomi di tubercolosi attiva. L'incidente ha procurato una opportunità unica per verificare la possibilità di trasmissione già precedentemente sospettata di un agente infettivo durante un volo commerciale. Lo studio dimostra chiaramente la possibilità del passaggio del batterio della tubercolosi sia ai passeggeri sia al personale durante una esposizione relativamente lunga ad un solo individuo infetto. Dopo tale incidenza il medesimo centro ha ottenuto rapporti di altri 30 casi di passeggeri affetti da varie forme di tubercolosi già note alla partenza. Le statistiche del centro suggeriscono per la tubercolosi un fattore di rischio durante un volo di tale durata di uno su 13.000 passeggeri/anno. Oltre alla tubercolosi altri agenti infettivi provenienti dalle vie respiratorie, quali streptococchi o meningococchi, potrebbero passare da un individuo all'altro mediante contatto diretto da persona a persona. Questi microrganismi possono essere anche trasmessi mediante grosse gocce trasportate con l'aria della cabina. Nel caso specifico di un viaggio aereo la trasmissione attraverso l'aria avviene mediante il sistema di aerazione interna sotto forma di minute goccioline di vapore acqueo (10 millesimi di millimetro di diametro o meno) disperse dal sistema di ventilazione nella cabina per un periodo di diverse ore. Le goccioline possono quindi giungere ai bronchioli polmonari sotto forma di un vero aerosol. Tale meccanismo sarebbe particolarmente adatto al trasporto ed alla disseminazione di batteri del tipo della tubercolosi e di virus di tipo influenzale. Bisogna notare che l'aria che si respira nella cabina della maggior parte dei voli commerciali è purificata e filtrata prima dell'emissione. L'aria compressa che passa attraverso ai motori a reazione deve essere prima raffreddata mediante un sistema ad alta pressione. Per motivi economici gli aerei costruiti prima degli Anni 80 sono stati modificati in modo da permettere la riutilizzazione del 50% dell'aria circolante (invece di immettere aria pura al 100 per cento). L'aria della cabina di un aereo di linea viene così cambiata interamente ogni 3-4 minuti. Come paragone possiamo citare il fatto che l'aria di un ufficio e quella di casa viene ricambiata solo ogni 5-12 minuti. Campioni d'aria prelevati da aerei dopo 5 ore di volo, sono risultati esser notevolmente meno contaminati di quelli raccolti in autobus urbani, centri commerciali ed aeroporti. Nel caso particolare si era raggiunta una percentuale del 50% di aria riciclata, pari a 6-20 volte/ora. Questa situazione assai rassicurante può però mutare drasticamente appena un passeggero seriamente ammalato da una forma infettiva virulenta salga sull'aereo e si sieda vicino a noi. Quali misure si possono prendere oltre a migliorare ulteriormente la ventilazione nell'aereo particolarmente durante voli di lunga durata? Nei nuovissimi apparecchi di linea vengono già usati filtri ad alta efficienza capaci di fermare particelle al di sotto di un millesimo di millimetro di diametro. Ci stiamo quindi avvicinando a una atmosfera «batteriologicamente pura». Ezio Giacobini




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