TUTTOSCIENZE 12 giugno 96


NATURA & SCIENZA Davvero la vita un tempo era più semplice? Tutto ciò che sembra banale nasconde un brulicare di complessità
Autore: ZULLINI ALDO

ARGOMENTI: ECOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: «The collapse of caos»

LA vita, un tempo, era molto più semplice». Affermazioni come questa, a furia di sentirle, finiscono per apparire scontate. Ma è proprio vero che le cose, una volta, erano più semplici? Vediamo. Illuminare una stanza, comunicare con chi è lontano o fare un viaggio, erano azioni normali anche mille anni fa, ma richiedevano azioni piuttosto complicate e faticose. Oggi, invece, sono di facile attuazione: basta premere un interruttore, usare un telefono o salire su un'automobile. E' anche vero, però, che una semplicità d'uso presuppone l'esistenza di una complessità. Una lampadina è più complessa di una torcia e la messa a punto di una rete telefonica richiede molto più lavoro e tecnologia che l'invio di un messaggero a cavallo. In questo senso, allora, oggi le cose sono davvero più complicate di una volta. E i fenomeni della natura sono qualcosa di semplice o complesso? E' il problema che si pongono un biologo e un matematico, Cohen e Stewart, in un libro di recente pubblicazione («The collapse of chaos»). Essi osservano che, a prima vista, tutto ci sembra facile e «normale»: le nuvole, i fiori, il traffico stradale o il latte che c'è in frigorifero. A un esame più attento, però, ci si accorge che una comprensione anche parziale di queste realtà presuppone una serie di conoscenze scientifiche molto sofisticate. Nel nostro caso: climatologia, biologia, ingegneria meccanica, chimica organica e termodinamica, rispettivamente. La semplicità delle cose che incontriamo nella vita d'ogni giorno è soltanto la tranquilla superficie di un brulicante mare di complessità. E tutto quel (poco) che sappiamo lo dobbiamo all'attività del cervello che, per quanto se ne sa, è l'oggetto più complesso che ci sia. E' per questo che non riusciamo a conoscere noi stessi: se il nostro cervello fosse tanto semplice da poter essere capito, non potremmo essere abbastanza intelligenti per capirlo] Chiunque esamini attentamente gli ingranaggi di una vecchia locomotiva o di un orologio a pendolo, può riuscire a comprendere il funzionamento di questi dispositivi. L'apertura di un televisore o di un computer, invece risulta un po' deludente: non vi si vede niente che riesca a chiarire il funzionamento dell'apparecchio. Lo stesso accade con gli oggetti più complessi della natura: si può sezionare un fiore, una lumaca o un cervello, senza «vedere» che cosa mai faccia crescere e funzionare il tutto. Il fatto è che le strutture più complicate sono anche le più miniaturizzate: funzionano grazie a fenomeni che si svolgono addirittura a livello molecolare e atomico. Da dove viene la straordinaria complessità della natura? Il pensiero tradizionale ha cercato di spiegarla postulando, con singolare contraddizione, qualcosa di ancor più complesso, cioè un mondo soprannaturale. Il presupposto implicito di questa filosofia potrebbe essere chiamato «principio della conservazione della complessità», secondo il quale ciò che è semplice procede da cause semplici e ciò che è complesso procede da cause complesse. La complessità di un sistema, secondo questo modo di vedere può, al massimo, diminuire: «Dal più può derivare il meno, mai il meno dal più». In base a questo criterio ci si aspetta, per esempio, che l'inflazione monetaria (fenomeno semplice) debba avere una spiegazione semplice (ma così non è) e che il semplice principio della selezione naturale non basti a spiegare la struttura e il funzionamento delle cellule nè la varietà delle piante e degli animali. Non basterebbe a spiegare, in particolare, l'esistenza di quel fenomeno straordinariamente complesso e misterioso che è l'autocoscienza. La scienza, naturalmente, è ben lontana dalla risoluzione di tutti questi problemi, ma ci sono già alcune idee chiare sulla strada da percorrere. Si è capito, in particolare che il mondo è pieno di fenomeni complessi generati dalla ripetizione (ricorsività) di regole semplici. A cominciare dalla matematica. Valga come esempio la seguente regola (semplicissima) capace di produrre un insieme virtualmente infinito di numeri sempre diversi. Si scriva un numero di quattro cifre. Lo si elevi al quadrato. Si cancellino le cifre iniziali e finali del risultato, in modo da mantenere solo le quattro centrali. Si elevi al quadrato il numero di quattro cifre ottenuto e si prosegua, come prima, senza fine. Questa procedura, benché semplice, genera un insieme enorme e complicatissimo definito «caos deterministico». Procedure quasi altrettanto semplici producono figure frattali, come l'insieme di Mandelbrot, che forse è l'oggetto matematico più complesso che si conosca. Anche in biologia vengono continuamente scoperte strutture e funzioni complesse, ma basate su proprietà relativamente semplici. Per esempio, la complessa e imprevedibile ramificazione di un albero non risulta stabilita in tutti i suoi dettagli dal programma genetico della pianta. Non esiste, infatti, un programma capace di stabilire la posizione esatta e la forma precisa di ogni foglia. Il programma genetico si limita invece a stabilire, grazie a un numero limitato di istruzioni, le regole generali che governano la ramificazione. In seguito a questo, ogni albero si sviluppa come può e infatti nessuno presenta una conformazione perfettamente identica a quella di un altro albero della stessa specie. Lo stesso discorso può essere fatto per la complicata struttura dei bronchi, per l'intricata conformazione dell'apparato circolatorio e, praticamente, per quasi ogni aspetto macro e microscopico del nostro organismo. Ancora una volta: semplicità o complessità? Concludiamo dicendo che a un osservatore ingenuo, o a un bambino, la natura appare come un qualcosa di semplice e, appunto, «naturale». Ma già alle prime indagini essa ci appare molto complicata tanto da risultare, spesso, praticamente incomprensibile. Tuttavia questa enorme e sconcertante complessità non è sospesa nel vuoto, ma è basta su modelli e regole relativamente semplici. Compito della scienza è chiarire i rapporti e i processi che presiedono allo strabiliante sviluppo della complessità. Aldo Zullini Università di Milano


AMAZZONIA In canoa sulla cima della foresta La varzea allagata nella stagione delle piogge
ORGANIZZAZIONI: ESTACAO ECOLOGICA MAMIRAUA'
LUOGHI: ESTERO, AMERICA, BRASILE

L'ACQUA arriva alle chiome degli alberi, a giugno, e si esplora la cima della foresta in canoa scivolando fra i rami da cui pendevano le masse scure dei nidi di formiche, di termiti e di vespe fra lo schiamazzo degli uccelli, delle cicale e delle rane, e il rumore secco delle fronde spezzate dal volteggiare delle scimmie. A ottobre, invece, si va a piedi nella foresta, camminando su uno strato di foglie marcescenti e piante abbattute, in mezzo ad alberi giganteschi sostenuti da tronchi intrecciati fra loro come i pilastri di una cattedrale, mentre liane e radici scendono verticali dai piani più alti. La varzea, quella parte della foresta amazzonica (3 per cento della superficie totale) che ogni anno, per sei mesi, è allagata per il periodico straripamento del Rio delle Amazzoni, ha le sue stagioni asciutte. Come un gigante raggomitolato per dormire, il fiume più grande del mondo si ritira, lasciando scoperta parte del suo letto, ridisegnando il profilo del suo corso, con l'emersione di nuove isole, banchi di sabbia, argini scoscesi. Tra giugno e ottobre, nel 1995 è evaporata una quantità di acqua pari a dieci volte quella contenuta nel lago di Garda (15 metri di altezza per 150.000 chilometri quadrati, pari alla metà del territorio italiano). Il motore di questo immane fenomeno è il calore del sole, in concomitanza con il periodo di minima intensità delle piogge (tra luglio e ottobre, mentre la massima è tra dicembre e marzo) che cadono sulle montagne delle Ande e della Guiana, le quali alimentano quel complesso di fiumi, canali e laghi che formano il bacino idrografico del Rio delle Amazzoni. L'alternarsi di inondazioni e di emersioni richiede particolari adattamenti alle piante e agli animali, per cui la varzea è uno degli ambienti con la più alta diversità di specie del mondo, caratterizzato da cambiamenti drammatici fra la stagione delle piogge e quella asciutta. I pesci, che prima si disperdevano nella foresta allagata, ora si radunano ammucchiandosi come in un acquario nei laghi e nei canali dove l'acqua è rimasta, seguiti da migliaia di uccelli che si schierano sulle rive da cui effettuano senza fatica una pesca molto vantaggiosa, mentre i delfini di acqua dolce e i caimani ottengono risultati altrettanto soddisfacenti con la caccia subacquea. Durante la stagione secca i pesci sono vittime di un'ecatombe, non tanto a causa dei predatori, quanto perché gli strati più superficiali dell'acqua, dove la temperatura è spesso sui 34oC-35oC, sono poveri di ossigeno (la cui solubilità è maggiore a basse temperature) nonostante questo gas sia prodotto proprio qui di giorno dal fitoplancton. A ridurre ancor più la parte disponibile per i pesci, negli strati immediatamente sottostanti un gran numero di batteri lo consuma respirando. Ma la situazione si fa drammatica di notte o in seguito a un temporale, quando gli strati superficiali, divenuti più densi perché più freddi, scendono in profondità, sostituiti da acqua scarsamente ossigenata che sale dal fondo. A seguito di questo fenomeno la pressione dell'ossigeno in superficie è talmente bassa che un'enorme quantità di pesci muore: i primi a soccombere sono i più grandi, in genere predatori, che necessitano di molto ossigeno a causa della mole; mentre i pesci più piccoli sopravvivono, perché sono adattati alle basse pressioni di ossigeno. Un adattamento che hanno evoluto per difendersi dai predatori durante la stagione di acqua alta, quando si nascondono fra le radici e i fusti delle piante galleggianti, dove l'acqua è scarsamente ossigenata. Invece i delfini di acqua dolce (Inia geofresis), e i caimani (Me lanosuchus niger), anch'essi ammassati nei canali e laghi residui, hanno un solo nemico, l'uomo, perché sono prede di grande valore economico. L'affluire di tanti animali nelle zone di acqua rende questi ambienti particolarmente esposti, per cui nel continuo saccheggio a cui è sottoposta l'Amazzonia, la varzea costituisce una delle parti più fragili. Ma su undicimila chilometri quadrati, protetti dalla Estacao Ecologica Mamiraua (finanziata al 70 per cento dal Brasile e per il restante 30% da istituzioni americane e inglesi), le cose vanno diversamente. I caimani, che nel resto dell'Amazzonia sono stati decimati fino a essere quasi sull'orlo dell'estinzione, nel lago di Mamiraua, cuore della riserva omonima, si radunano in certi angoli come i passeggeri a una stazione della metropolitana nell'ora di punta, quando le loro teste, simili a pezzi di legno galleggianti, affiorano a centinaia sull'acqua. Sopra di loro, migliaia di cormorani e di aironi bianchi in volo riempiono il cielo, facendo sperare che questo ambiente, così unico quanto antico, non sparisca completamente nei prossimi decenni; e si salvi, ad onta della crescita demografica della popolazione indigena, che necessita sempre più di terra da coltivare; ad onta dei cacciatori di frodo che continuano a decimare gli animali nelle zone più sperdute dove il controllo è impossibile; ad onta dei tagliatori di legna, per mano dei quali cadono gli alberi più belli e maestosi, lasciando sempre più vuoti nella foresta. Maria Luisa Bozzi


QUALI RIMEDI Zanzare, comincia la guerra Le strategie del Centro di Ecologia di Comacchio
Autore: SERRA CARLA

ARGOMENTI: ECOLOGIA, ZOOLOGIA
NOMI: CELLI GIORGIO, VERONESI RODOLFO, BELLINI ROMEO
ORGANIZZAZIONI: CENTRO DI ECOLOGIA APPLICATA DELTA DEL PO
LUOGHI: ITALIA

ARRIVA la primavera. Spuntano i gomiti dai finestrini», diceva con ironia Marcello Marchesi. E, aggiungono i pessimisti, tornano le zanzare. In Italia ce ne sono 60 specie. Ultima arrivata, l'esotica «Tigre», avvistata a macchia sul territorio nazionale. Per combatterle un tempo ci si affidava a vigorose spruzzate di Ddt. Oggi si cerca un approccio più scientifico e rispettoso dell'ecosistema. La guerra alle zanzare ha il quartier generale nel Delta del Po, l'area più infestata d'Italia. Dal 1991 il Centro di Ecologia Applicata Delta del Po con sede a Comacchio in provincia di Ferrara, sotto la guida dell'etologo Giorgio Celli, è in trincea per combattere il nemico delle sere d'estate. I fastidiosi attacchi delle zanzare infatti avevano allontanato non pochi turisti dalle spiagge tra Comacchio e Ravenna. Il nemico è stato studiato a lungo prima dell'attacco. Innanzitutto, le zanzare non si possono eliminare completamente, pena la scomparsa dell'intero ecosistema del Delta. Le larve delle zanzare sono cibo per i pesci e quelle adulte sono il piatto forte di insetti e uccelli, dalle libellule alle rondini. In passato, si procedeva in modo indiscriminato con estese irrorazioni di Ddt, dannose alle persone e all'ambiente. Inoltre i risultati erano deludenti. La nuova strategia invece è mirata. Si colpiscono le larve nelle aree dove vengono deposte. Non si bersaglia l'intero territorio, ma solo pozze dove è stata rilevata la loro presenza. Gli specialisti del centro pattugliano 46 chilometri di costa fino a 4 chilometri nell'entroterra. In questa area vengono individuati i focolai di riproduzione. Si tratta di fossi stagnanti, scoline, zone depresse sotto il livello del mare, e in città tombini e grondaie intasate, bidoni e copertoni abbandonati. Spiegano Rodolfo Veronesi e Romeo Bellini, coordinatori del centro: «E' stata disegnata una mappa dei focolai dove si interviene a scadenze periodiche, dopo le piogge e quando si rileva tramite campionamento una eccessiva densità di larve. L'intervento chimico a base di Bacillus Turingensis Israelensis colpisce solo le larve di zanzara. Dopo due anni si è rilevata una riduzione delle zanzare dell'80%, con grande soddisfazione degli operatori turistici» . Nelle 16 stazioni di monitoraggio le trappole catturano le zanzare femmine, quelle che pungono l'uomo per succhiare il sangue necessario a produrre uova. La trappola attrae l'insetto nella rete con emissione di anidride carbonica. In base al numero di zanzare catturate nella notte si decide se intervenire anche sugli insetti adulti con prodotti piretroidi, a bassa tossicità e con limitata permanenza nell'ambiente. La soglia di tollerabilità che fa scattare l'operazione adulticida varia secondo il tipo di zanzare catturate. Per far scattare l'allarme basta trovare in ogni trappola per notte 31 femmine della specie Aedes, la più aggressiva che punge anche di giorno, mentre della specie Culex bisogna intrappolarne almeno 200 prima di intervenire. In estate il Centro elabora ogni giorno il bollettino zanzare, una sorta di bollettino di guerra con prigionieri e incursioni effettuate. Ovviamente la situazione migliorerebbe se l'intervento venisse esteso ai comuni limitrofi. Anche i singoli cittadini possono contribuire a ridurre il proliferare di zanzare. Bisogna evitare di avere acqua stagnante in giardino o sul terrazzo. Mettendo del filo di rame nei sottovasi si inibisce lo sviluppo delle larve. In ogni caso i contenitori d'acqua vanno svuotati almeno una volta alla settimana e le grondaie mantenute libere da foglie e detriti. Se si ha un bacino d'acqua a poca distanza è utile popolarlo di pesci che si nutrono di larve, come i comuni pesci rossi. Se ci sono tombini che trattengono l'acqua si può mettere un po' di insetticida. Per altre informazioni Centro di Ecologia Applicata Delta del Po a Comacchio, tel. 0533-310193. Carla Serra


LOGICA & PARADOSSI Padri e figli, state attenti al Ponte dei Bugiardi Quando un cretese sostiene che a Creta sono tutti mentitori. ..
Autore: ODIFREDDI PIERGIORGIO

ARGOMENTI: MATEMATICA, EPISTEMOLOGIA, FILOSOFIA
LUOGHI: ITALIA

I primi paradossi registrati dalla storia risalgono ai greci del sesto secolo avanti Cristo. E due si contendono la palma del più famoso, oltreché del più venerando. Il primo è quello del mentitore, in genere attribuito ad Epimenide di Creta, che disse «i cretesi sono bugiardi». L'aspetto più paradossale della faccenda è però che questo non è affatto un paradosso. Se anche l'affermazione viene intesa come «tutti i cretesi dicono sempre il falso», tutto ciò che ne segue è infatti che se essa viene detta da Epimenide non può essere vera, e dunque che ci deve essere qualche cretese che a volte dice il vero: il che non significa nè che quel cretese debba proprio essere Epimenide nè, se anche lo fosse, che proprio quella debba essere l'affermazione vera che egli dice. Ignaro di queste ovvietà, Paolo di Tarso si scagliò nella Lette ra a Tito contro il povero Epimenide, sostenendo che egli era «un ribelle, un ciarlone, un seduttore» e che «si sarebbe dovuto tappargli la bocca»: mostrando soltanto, come si vede, che sia l'irrazionalità dei predicatori che l'intolleranza dell'inquisizione hanno radici lontane. Per ottenere un vero paradosso basta però modificare l'affermazione di Epimenide e dire «io sto mentendo»: in questo caso non solo l'affermazione non può essere vera (altrimenti sarebbe una menzogna, e dunque sarebbe falsa), ma non può neppure essere falsa (altrimenti non sarebbe una menzogna, e dunque sarebbe vera). Le varianti del paradosso del mentitore sono innumerevoli. Per citarne una divertente, ecco una storia vera: un giorno un bambino ne disse una troppo grossa, e il padre lo trascinò per un orecchio al Ponte dei Bugiardi, che secondo lui sarebbe caduto quando fosse stato attraversato da un bugiardo; il bambino, spaventato, confessò di aver mentito, ma quando i due riappacificati attraversarono il ponte questo crollò ugualmente, perché anche il padre aveva mentito (non c'è infatti nessun Ponte dei Bugiardi). Il secondo paradosso classico è quello di Achille e la tartaruga, dovuto a Zenone di Elea. Questa volta Achille piè veloce concede un vantaggio alla tartaruga zampa lenta, ma così facendo non riuscirà mai a raggiungerla: quando egli infatti avrà colmato il vantaggio che le ha concesso essa avrà percorso un nuovo tratto, e quando Achille avrà percorso quel nuovo tratto essa ne avrà percorso un altro, e così via all'infinito. Un paradosso analogo era noto anche al sofista cinese Hui Tsi nel secolo IV a.C., in questa forma: se ogni giorno si dimezza un bastone lungo un piede, ne rimarrà sempre qualcosa anche dopo diecimila generazioni. Nel medioevo Tommaso d'Aquino capovolse gli argomenti zenoniani, per mostrare non un paradosso ma l'esistenza di Dio. Ad esempio, se si vuole evitare un regresso all'infinito del tipo di quello di Achille e la tartaruga deve esistere un essere che muove senza essere mosso: Tommaso lo chiamò primo motore, e il suo rombo riecheggia nel primo verso del Paradiso di Dante, che parla appunto de «la gloria di colui che tutto move» (c'era da aspettarselo che non avremmo avuto pace dai motori neppure in cielo). Gregorio da Rimini si chiese se Dio, a differenza di Achille, poteva aggirare il paradosso, e rispose di sì: ad esempio, egli può creare una pietra infinita nel giro di un'ora, perché basta che crei una pietra di un chilo, che le aggiunga un chilo dopo mezz'ora, un altro chilo dopo un quarto d'ora, un altro dopo sette minuti e mezzo, e così via. Più recentemente, James Thompson ha proposto una versione del paradosso in termini più moderni: se accendiamo una lampadina, la spegniamo dopo mezz'ora, la riaccendiamo dopo un quarto d'ora, e così via, allo scadere dell'ora la lampadina sarà accesa o spenta? Come già nel caso di Epimenide, la cosa assomiglia ad un paradosso ma non lo è: per convincersene, basta rifare la domanda supponendo questa volta che la lampadina sia lasciata accesa dopo mezz'ora, dopo un quarto d'ora, e così via. Entrambe le risposte sono possibili: è possibile infatti spegnere una lampadina esattamente dopo un'ora che è stata accesa, o lasciarla invece accesa. Il confine fra il vero paradosso e il semplice rompicapo è dunque labile, e ci sembra che questo sia un altro bel paradosso. Piergiorgio Odifreddi Università di Torino


STRAGI DEL SABATO SERA Un killer chiamato rock Può causare distrazioni fatali
Autore: ROTA ORNELLA

ARGOMENTI: ACUSTICA, FISICA, PSICOLOGIA, MUSICA
NOMI: FROVA ANDREA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T. TAB. LIVELLI DI SUONO IN DECIBEL (dB) RILEVATI DA UN FONOMETRO ======================================================== Dal libro «Tra fisica e musica» di Andrea Frova -------------------------------------------------------- SUONO AL LIMITE DELLA PERCETTIBILITA' 0 dB --------- Zanzara vicino all'orecchio 10 --------- Fruscio di foglie 10 --------- Bisbiglio (a 1 metro) 15 --------- Teatro o chiesa (vuoti) 25-30 --------- Rumore di fondo notturno in città 30 --------- Ufficio o ristorante (quieti) 50-55 --------- Stadio 55 --------- Conversazione (a 1 metro) 60 --------- Ufficio o ristorante (affollati) 60-65 --------- Traffico cittadino diurno 70-80 --------- Martello pneumatico (a 3 metri) 90 --------- Fortissimo fff di grande orchestra in sala 100 --------- Urlo (a 1,5 metri) 100 --------- GRUPPO ROCK IN UN LOCALE CHIUSO 110 --------- Schianto di fulmine 110 --------- Martello su acciaio (a 0,5 metri) 115 --------- SUONO AL LIMITE DEL DOLORE 120 --------- Jet al decollo (a 50 metri) 130 --------- Rottura del timpano 160 --------- Missile al decollo (a 50 metri) 200 --------- Massimo rumore prodotto in laboratorio 210 ========================================================

E se delle stragi del sabato sera fosse responsabile proprio il rock di per sè, come detonatore degli effetti dell'alcol, dei colpi di sonno, della stanchezza, della disattenzione? Suggerita da alcuni psicologi, l'ipotesi sembra trovare consenso anche tra i fisici. Imperniato sul ritmo, con picchi sonori fulminei e ripetitivi, il rock ottunderebbe il cervello, ridurrebbe la capacità uditiva per un lasso di tempo ben superiore alla durata dell'ascolto, e, nel tempo, potrebbe causare lesioni non reversibili all'udito. «A differenza della maggioranza degli attributi della musica, primo fra tutti l'armonia» - premette Andrea Frova, ordinario di fisica generale all'Università La Sapienza di Roma e interessato ai rapporti tra fisica e musica - «la percezione del ritmo è istintiva, coinvolge direttamente la mobilità del nostro corpo e la cadenza del nostro passo. Basti ossservare le reazioni dei neonati, o di chi si mette a ballare pur non avendo alcun rudimento di danza, o anche certe esibizioni di cavalli nei circhi e nelle parate militari. In più, le onde sonore non interessano solamente l'orecchio, ma, soprattutto se di bassa frequenza (come quelle dei grandi tamburi, o della pedaliera dell'organo), ci avvolgono completamente, esercitando la loro pressione sull'intera muscolatura». Ripetuto non intorno a uno schema, bensì in modo identico, il ritmo è, a volte in maniera quasi esclusiva, elemento dominante del rock. «Una caratteristica che, unita alla potenza sonora» - spiega Frova - «ricorda il tam-tam nella foresta, i ritmi con cui le tribu"'si drogavano" prima di scagliarsi contro il nemico. Quando la componente fisica prende il sopravvento su quella cerebrale, l'ottundimento è inevitabile, con le relative conseguenze sulla prontezza di riflessi e sulla capacità di controllare un colpo di sonno». Già autore di «Bravo, Sebastian», pubblicato da Sansoni nel 1980, e di «Perché accade ciò che accade» (curiosità scientifiche del vivere quotidiano, Bur Supersaggi), Frova sta ultimando, per Zanichelli, un libro intitolato «Tra fisica e musica». Il rock vi è definito come «Muzak», termine mutuato da Mozart, il quale lo usava per designare composizioni popolari sciatte e volgari. Il livello di suono prodotto da un gruppo rock in un locale chiuso arriva a 110 decibel (dB), pari a quello dello schianto di un fulmine. Non soltanto: ammonta a 90 dB, per esempio, il rumore di un martello pneumatico a 3 metri, a 100 quello di un urlo emesso a 1 metro e mezzo di distanza. Ma attenzione, ammonisce Frova: un suono che superi un altro di 10 dB ha, in realtà, un'intensità 10 volte maggiore; di 20 dB, 100 volte. E' vero che, di fronte a suoni molto intensi, scatta un riflesso acustico protettivo: alcuni piccoli muscoli si irrigidiscono inibendo il movimento del timpano, in modo che l'oscillazione non possa romperlo. «Questa reazione impiega però una quarantina di millisecondi ad attivarsi, ed è operante solo dopo 150. La percussione di una batteria ne impiega invece 10 o poco più, al massimo 20 o 30; è un colpo sonoro ad attacco rapido quasi quanto un'esplosione o un colpo d'arma da fuoco. Il pericolo sta in questa rapidità, e la ripetitività aggrava la situazione». Che la società attuale ci esponga in permanenza a livelli di suono ben superiori a quelli del passato non c'è dubbio. Nel tempo, l'essere umano svilupperà forse adeguate difese per l'udito così come già succede per l'occhio (le palpebre si chiudono di fronte a una luce troppo forte). Per ora, la sola reazione è che, dopo prolungate esposizioni ad alte sonorità, l'orecchio diviene incapace di udire egualmente bene un altro suono. Una volta cessato lo stimolo, l'effetto si protrae per un certo tempo. «In particolare nelle discoteche», continua Frova, «l'assordamento conduce a una capacità uditiva mille volte inferiore al normale; dopo un'ora che si è fuori, la riduzione è di dieci volte; la normalità si riprende dopo qualche ora». Oltre alla rottura del timpano e agli effetti di adattamento, l'esposizione prolungata a un tale livello di dB può danneggiare le terminazioni ciliate nell'organo di Corti, nonché lo stesso organo; anche questo è un danno irreversibile, visto che si tratta di cellule nervose, prive della capacità di riprodursi. Ornella Rota


INTERNET Attenti a governare la rotta
Autore: MERCIAI SILVIO

ARGOMENTI: ELETTRONICA, COMUNICAZIONI
ORGANIZZAZIONI: INTERNET
LUOGHI: ITALIA

QUALCHE sera fa, a cena, si parlava di Internet: passo ormai per un drogato, al quale ogni tanto si chiedono notizie scrutando con amichevole preoccupazione il tono delle risposte. Matteo mi diceva che il tono di questi articoli è cambiato, e che dall'entusiasmo iniziale sono passato a un atteggiamento più perplesso. E' un commento che ricevo spesso. Ma che sostanzialmente respingo: sono sempre più convinto delle immense possibilità che Internet ci mette a disposizione ma anche sempre più certo che l'utilizzo della Rete richiede consapevolezza dei propri intenti e determinazione di ricerca. Si può andare su Internet per comunicare o per studiare, come pure anche solo per giocare e divertirsi: l'importante è mantenersi mentalmente vivi e creativi di fronte alla fantasmagoria luccicante delle cose che sempre più vengono offerte e messe in primo piano. Niente di male, si intende: sono d'accordo a sopportare la pubblicità e i suoi allettamenti se questo consente a me e agli altri di usare le risorse a costi contenuti: ma insisto sulla necessità che si sia noi a governare la rotta. Rita, invece, mi esprimeva preoccupazione per la solitudine di una comunicazione, quella di Internet, con una tastiera e un computer. Mi domandava se l'altra persona c'è davvero, se la si sente o se non è tutto un'illusione, e un'illusione pericolosa. Trovo significativo che l'argomento ricorra così spesso nelle preoccupazioni di chi alla Rete ancora non si è accostato o è agli inizi dell'esplorazione. La paura di non padroneggiare il computer e di perdere il contatto con la concretezza affettiva della relazione interpersonale sono leve possenti nella nostra mente e hanno forti richiami nella nostra cultura e nel ritardo stesso della maturazione dei nostri sistemi educativi: la pubblicità a Internet non si accompagna abbastanza a un discorso educativo mirato a far comprendere anche a noi adulti le possibilità e i termini di un discorso culturale rivoluzionario. La mia vita è cambiata, da quando lavoro e scrivo e scambio su Internet, nel senso che molte cose mi sono ora possibili che prima non lo erano o non altrettanto facilmente: io, invece, credo proprio di essere rimasto lo stesso. E continua per me a essere determinante incontrare persone vere: la Rete è una possibilità in più, che amplia i miei orizzonti e che mi consente di incontrare delle persone, come spesso dico, al di là del vincolo del tempo e dello spazio. Tutto questo si intona con due notizie che avevo in animo di darvi. La prima è la segnalazione di un prodotto che mi è stato inviato in visione e che ho trovato di grande interesse (e che è disponibile anche in rete): si chiama «Internet-Internos» ed è un ipertesto sviluppato da un gruppo di studenti torinesi del corso di laurea di Scienze dell'Informazione, costituitosi nel gruppo di studio «Spazio libero - Diritto di accesso». Sono trattate cinque aree di studio - la legislazione, la navigazione, la società, la cultura e la tecnologia - con riferimento non solo al fenomeno Internet, ma anche a quello della comunicazione elettronica più in generale. Un testo agevole, che induce alla riflessione: il fatto che sia opera di studenti rappresenta, per me, un grande motivo di soddisfazione e di speranza. La seconda notizia mi riguarda anche personalmente: questa sera, alla Biblioteca civica «Arduino» di Moncalieri, si parla di Internet: «Nella rete: navigatori e prigionieri, messaggeri e pescatori»: con Piero Bianucci, Giorgio Tartara, Rodolfo Marchisio e il sottoscritto. E se fosse un'occasione per incontrarci dal vivo? Silvio A. Merciai


UN CALENDARIO MEGALITICO Enigma Stonehenge Astronomi nell'età della pietra
Autore: COSSARD GUIDO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, ARCHEOLOGIA, ANTROPOLOGIA E ETNOLOGIA
NOMI: STUKELEY WILLIAM, LOCKEYER NORMAN, WOOD JOHN
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, REGNO UNITO, GRAN BRETAGNA, STONEHENGE
TABELLE: D.

I resti preistorici di Stonehenge, nei pressi di Salisbury, il capoluogo del Wiltshire in Inghilterra, noto per la sua splendida cattedrale gotica, verranno protetti dall'assalto dei turisti: sarà però possibile visitarli in modo virtuale, aiutati da un computer. Il provvedimento è giustificato perché il misterioso monumento megalitico ha una grande importanza per l'archeoastronomia. Le millenarie pietre di Stonehenge furono oggetto degli studi dell'astronomo Gerald S. Hawkins che, nel 1960, pubblicò su Nature un articolo nel quale avanzava l'ipotesi che Stonehenge fosse un antico osservatorio astronomico. Ma l'idea era tutt'altro che nuova. Già nel 1740, il reverendo William Stukeley aveva pubblicato il libro «Stonehenge: a temple restored to the british druids», nel quale osservava come l'asse principale del monumento fosse orientato in direzione del punto in cui sorgeva il Sole nel giorno del solstizio d'estate. Nel 1747, l'architetto John Wood scrisse «Choir Gaur vulgarly called Stonehenge», ove sosteneva che Stonehenge fosse un tempio druidico dedicato alla Luna. Nel 1771 fu John Smith a pubblicare un testo, dal titolo «Choir Gaur, il grande planetario degli antichi druidi, comunemente detto Stonehenge, nella piana di Salisbury». Nel 1907, l'idea di un significato astronomico del monumento venne ripresa da Sir Norman Lockeyer, che può forse essere considerato il primo autore di ricerche archeoastronomiche rigorose, tra le quali alcune dedicate all'orientamento di templi egiziani. Stonehenge è un monumento la cui costruzione spazia su un notevole numero di secoli. Stonehenge I, realizzata probabilmente intorno al 3100 a. C., era costituita da un grande terrapieno circolare, con un diametro di circa cento metri, all'esterno del quale venne eretta la «Pietra del Tallone», o «Pietra del Calcagno», o «Sperone», alta ben 6,10 metri. Essa aveva l'importante funzione di indicare, dal centro del monumento, il punto in cui sorgeva il Sole nel giorno del solstizio d'estate. Durante la fase di Stonehenge I vennero scavate anche 56 enigmatiche buche, disposte in circolo all'interno del terrapieno, chiamate buche di Aubrey, dal nome dello scopritore. Alcuni ritengono che le buche servissero per prevedere le eclissi, ma non tutti sono d'accordo su questo aspetto. Sempre alla stessa fase risalgono le cavità chiamate «causeway post holes», disposte su file in corrispondenza dell'ingresso del monumento, e le quattro buche indicate con A nella pianta. Tutte queste cavità avevano presumibilmente il compito di sostenere dei pali utilizzati per seguire il moto della Luna nel suo ciclo di 18,6 anni. Analogo compito avevano 4 elementi particolari, chiamati punti di stazione, o semplicemente stazioni, che consistono in due piccoli tumuli e due pietre erette situati sui vertici di un rettangolo immaginario, interno al cerchio dell'avvallamento. Esse consentono di individuare i quattro archi, sull'orizzonte, entro i quali è costretta a sorgere, o a tramontare, la Luna piena ai solstizi. Nella fase costruttiva successiva, Stonehenge II (probabilmente 2150 a. C.), venne realizzato il «Viale», una vera e propria strada, fiancheggiata sui due lati da un terrapieno, che si sviluppava in direzione della Heel Stone, e quindi verso il punto di levata del Sole nel giorno del solstizio d'estate. Inoltre durante tale fase venne iniziata l'erezione di un doppio cerchio di pietre azzurre, interno all'avvallamento. La terza fase (2000 a. C.) è sicuramente la più spettacolare, ma non introduce sostanziali novità da un punto di vista astronomico. In questo periodo venne edificato il celebre «cerchio di sarsen», formato all'origine da trenta pilastri, alti rispetto al suolo poco più di quattro metri, con un diametro di poco meno di 30 metri. Tutte le pietre erette erano all'origine sormontate da architravi, in modo da formare un cerchio di pietra continuo, sollevato di 5 metri dal terreno. I trenta montanti erano tutti della stessa altezza, meno uno, che era alto la metà degli altri. Qualcuno ha voluto notare in questo fatto un legame con il periodo delle fasi lunari, di circa ventinove giorni e mezzo. Sempre durante la fase di Stonehenge III, vennero innalzati all'interno del cerchio di sarsen cinque triliti, chiamati così perché ognuno di questi caratteristici elementi era costituito da due montanti eretti, sormontati da un architrave. I triliti, il più alto dei quali raggiungeva i 7,77 metri di altezza, ribadivano alcuni degli allineamenti astronomici già individuati. Guido Cossard


SPERIMENTAZIONE A BOLOGNA Un uomo e una donna fatti di bit Internet, lezione di anatomia su cadaveri virtuali
Autore: GATTINO GIUSEPPE

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, ELETTRONICA, RICERCA SCIENTIFICA
ORGANIZZAZIONI: INTERNET, CINECA, NATIONAL LIBRARY OF MEDICINE, VISIBLE HUMAN PROJECT
LUOGHI: ESTERO, AMERICA, USA

L'ANATOMIA nell'epoca digitale. Potrebbe essere questo il titolo del nuovo capitolo degli studi medici aperto dal Visible Human Project, giornalisticamente noto come «l'uomo a fette». E' un progetto varato negli Stati Uniti dalla National Library of Medicine (Nlm) nel 1986 e giunto a compimento nell'autunno dell'anno scorso. L'obiettivo - ora raggiunto - era quello di mettere a disposizione dei ricercatori una vera e propria biblioteca di immagini anatomiche digitali. Una risorsa resa disponibile in rete - Internet - grazie alla potenza delle nuove infrastrutture di telecomunicazione e dei computer più sofisticati. La nuova biblioteca, assicurano i responsabili della Nlm, non ha l'ambizione di sostituire quella cartacea, ma di completarla. Un segnale che conferma il valore della multimedialità come strumento al servizio della scienza. In Italia, dell'«uomo a fette» si è scritto qualche mese fa sulle prime pagine dei giornali. Il dato interessante, per i commentatori che si erano occupati della vicenda, era che il cadavere maschile sezionato e riprodotto in forma digitale apparteneva a un condannato a morte che prima di essere giustiziato aveva deciso di donare il proprio corpo alla scienza. L'episodio diede il via ad alcune riflessioni sulla immortalità «virtuale» di un condannato a morte e sul valore simbolico dell'esperimento. Ma il dato scientifico, che qui interessa, è un altro. Grazie al Visible Human Project, la medicina dispone di un nuovo e importante strumento di ricerca. Se le reti di trasmissione dei dati lo permetteranno, le conoscenze potranno diventare patrimonio dell'intera comunità scientifica in tempo reale. Ma prima delle applicazioni, vediamo le diverse fasi in cui si è sviluppato il progetto. Due cadaveri, di un uomo e di una donna, sono stati sezionati in migliaia di «fette» lungo i tre assi (x, y e z), al fine di creare un modello anatomico digitale in tre dimensioni. I dati in bit dell'uomo sono stati ricavati dalle immagini ottenute con la risonanza magnetica della testa e del collo prese a intervalli di 4 millimetri e da sezioni longitudinali del resto del corpo, sempre dallo spessore di 4 millimetri. Queste immagini hanno una risoluzione di 256 pixel, ognuno dei quali contiene 12 bit di tonalità di grigio. Le sezioni assiali di tutto il corpo, dello spessore di un millimetro, sono state ricavate grazie alla tomografia (Tac) e hanno una risoluzione ancora maggiore, 512 pixel. Il corpo dell'uomo è stato così sezionato in 1871 «fette» fotografate con una risoluzione di 2048X1216 pixel e rese consultabili a colori. In termini digitali, l'uomo occupa oggi 15 gigabyte. Il corpo della donna ha subito gli stessi interventi, con l'unica differenza che le sue immagini anatomiche hanno uno spessore di 0,33 millimetri, per oltre 5000 «fette», e occupa circa 40 gigabyte. Il risultato di questo lavoro è finalmente a disposizione di tutte le università e dei centri di ricerca. I dati sono stati trasferiti in un software disponibile su disco o direttamente on line, su Internet (www.nlm.nih.gov/research/visible human.html). Per ottenere una copia dell'uomo o della donna «a fette», basta presentare un progetto alla National Library of Medicine, nel quale si dichiari l'uso che si intende fare dei due modelli anatomici. Se il progetto ottiene l'approvazione dell'istituto americano, l'ente di ricerca riceve una password con la quale è possibile «scaricare», direttamente dalla rete, il software dell'«uomo a fette». In alternativa, i dati vengono distribuiti su disco. La prima sperimentazione italiana su questo modello digitale è cominciata a Bologna, più precisamente a Casalecchio di Reno. Il Cineca (www. cineca.it), centro di calcolo interuniversitario di eccellenza, ha avviato alcuni progetti in collaborazione con studiosi di anatomia per l'introduzione della multimedialità nella didattica medica. I primi risultati e i possibili sviluppi di questo programma di ricerca sono stati presentati qualche settimana fa dal professor Ruggeri, dell'Istituto di anatomia normale dell'Università di Bologna in occasione di un seminario sulle applicazioni in campo medico basate su reti ad alta velocità. I risultati fin qui raggiunti prefigurano un futuro prossimo nel quale gli studenti di anatomia potranno scomporre e ricomporre l'immagine digitale del corpo umano, grazie alla sua ricostruzione virtuale. Sarà anche possibile creare centri multimediali, integrati in rete, che consentiranno la visione contemporanea di interventi chirurgici, videoripresi in tempo reale, e della relativa anatomia normale, ottenuta a partire dalle immagini digitali. Immagini ad altissima definizione, ottenute grazie ai filtri numerici elaborati dai calcolatori del Cineca, che permettono di visualizzare meglio i particolari anatomici, con ovvi vantaggi anche per la diagnostica. La collaborazione, sempre più stretta, tra ricerca medica e grandi centri di calcolo evidente nel caso del Visible Human Project, è stata imposta, in primo luogo, dall'arrivo di strumenti di diagnosi come la Tac o la risonanza magnetica: tecnologie che forniscono rappresentazioni numeriche dei rilevamenti e richiedono l'uso di complessi algoritmi di calcolo per la lettura dei dati diagnostici. Ma, come si è visto, un secondo e non meno importante motivo di questa collaborazione nasce dalla necessità di sfruttare le grandi potenzialità offerte dalle telecomunicazioni. Internet, e più ancora le reti a larga banda per la trasmissione dei dati - le autostrade telematiche - aprono scenari straordinari per la diffusione delle conoscenze. E il Cineca, che è uno dei principali fornitori di connettività del Paese, offre una grande esperienza nella gestione delle risorse di rete. La condizione necessaria perché queste applicazioni diventino pienamente operative è che le informazioni possano correre su «strade» sufficientemente ampie e scorrevoli, e cioè che le infrastrutture di telecomunicazione siano in grado di trasferire, ad alta velocità, dati molto «pesanti» in termini di bit. Ciò è possibile solo con l'attivazione di sistemi di trasmissione a larga banda, come la rete Atm che a Bologna, per sei mesi, verrà offerta gratuitamente agli operatori sanitari, in virtù di un accordo tra Telecom, Comune e Provincia. Dopo una prima fase sperimentale, tuttavia, non è ancora chiaro quale sarà il futuro di un servizio dal costo ancora non definito. Un tema che poco ha a che fare con la ricerca medica, o con il grande calcolo, e molto con scelte di carattere industriale. Proprio per questo motivo i medici che hanno partecipato al seminario del Cineca guardano con ansia alle prossime mosse della Telecom, consapevoli che, per entrare nel futuro, anche la medicina ha bisogno delle autostrade telematiche. Giuseppe Gattino


La diagnosi viaggia sulla Rete Avviati i primi esperimenti di teleconsulto
Autore: G_GA

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, ELETTRONICA, COMUNICAZIONI, TECNOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: INTERNET, CINECA, VISIBLE HUMAN PROJECT, ISTITUTO ORTEPEDICO RIZZOLI, TELECOM ITALIA
LUOGHI: ITALIA

SI chiama telemedicina la nuova frontiera delle applicazioni in campo sanitario delle tecnologie di trasmissione dei dati. Interessa la ricerca e la didattica, ma anche l'organizzazione del sistema ospedaliero e la diagnosi, con ricadute sull'attività quotidiana del personale medico e degli utenti dei servizi. A Bologna, accanto ai progetti legati all'elaborazione del Visible Human Project, sono allo studio altre forme di utilizzo delle reti in questo settore. L'Istituto Ortopedico Rizzoli ha avviato un piano di riorganizzazione delle infrastrutture telematiche per creare servizi di telelavoro e telemedicina. Un progetto messo a punto con la Telecom, che fornisce il collegamento alla rete ad alta velocità Isdn: consente di trasmettere, contemporaneamente, voce, dati e immagini, grazie alla loro integrazione in un unico accesso alle diverse reti. «Teleconsulto» - questo è il nome del progetto, presentato al Cineca - ha l'obiettivo di ottimizzare le risorse dell'ospedale e dei suoi laboratori di ricerca, creando, se possibile, nuovi servizi per i pazienti o per altre strutture sanitarie che hanno bisogno della consulenza del Rizzoli, un ospedale che accoglie ogni anno migliaia di pazienti provenienti da altre regioni, costretti a fronteggiare ingenti costi per gli spostamenti, di gran lunga superiori al prezzo delle visite. La telematica permetterebbe di ridurre queste spese grazie alla telediagnosi: un sistema di visita a distanza, mediata da un medico e sufficiente per verificare la reale necessità di ricorrere alle cure dell'Istituto. Un analogo risparmio sarà reso possibile dalla trasmissione in tempo reale dei risultati delle tomografie assiali (la Tac), che potranno essere fatte a Pescara o a Napoli, per esempio, ed esaminate al Rizzoli. Queste sono solo due delle tante applicazioni della rete ad alta velocità previste dal progetto «Teleconsulto». Che avrà effetti anche sull'organizzazione del servizio di pronto soccorso e sul funzionamento della struttura ospedaliera nel suo complesso, con benefici esterni, grazie alla creazione di banche dati disponibili on line agli altri istituti. Sempre dall'Istituto Ortopedico, ma dal suo laboratorio di tecnologia dei materiali, parte la proposta di utilizzare le reti ad alta velocità per diffondere i risultati degli studi sul rimodellamento osseo del femore, nel caso di impianto di protesi. Le analisi infatti dimostrano che l'osso che circonda la protesi tende a ridursi con il passare del tempo. Il progetto «Prometeo» (www. cineca.it/prometeo/) fornisce una rappresentazione tridimensionale della valutazione meccanica e clinica del rimodellamento osseo, grazie all'elaborazione informatica del Cineca. Ma per la trasmissione di queste immagini sarebbe necessario disporre della rete Atm, più potente di Isdn e molto più costosa. Una necessità condivisa anche dall'Istituto Oncologico di Ravenna, che coordina un progetto per la creazione di una banca dati di immagini ad alta definizione dei nei, utile alla diagnosi del melanoma (www.cineca. it/visclab/mole/members.htm). La rete Atm è richiesta anche per la ricostruzione tridimensionale di ecocardiografie e per la simulazione dell'atto chirurgico di ricostruzione maxillo facciale (www.cineca.it/visclab/hybios/). Progetti pilota, questi ultimi, che il Cineca ha proposto alla Telecom per sperimentare il servizio di trasmissione dati a larga banda nella zona di Bologna.(g. ga.)


Medicina molecolare
Autore: MARCHISIO PIER CARLO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, ELETTRONICA, INFORMATICA
NOMI: SPALLANZANI LAZZARO
LUOGHI: ITALIA

IL matrimonio tra scienza e medicina si è consumato in questo secolo. La via per arrivare finalmente alla luna di miele è stata lunga. E' cominciata con i primi tentativi di applicazione del metodo sperimentale al problema malattia, opera di Lazzaro Spallanzani nel '700. E' continuata con il prepotente ingresso della chimica e della fisica cominciato nel secolo scorso. Continua oggi con lo straordinario connubio tra medicina e biologia molecolare del quale conosciamo soltanto i primi acerbi frutti. Sta nascendo in questo scorcio di secolo una nuova medicina spogliata del magico alone che ancora circonda la figura del medico. Si apre una nuova strada per affrontare con mezzi concettuali nuovi, non solo con tecniche nuove, lo sviluppo della medicina molecolare. Si badi bene: la medicina molecolare che si intravede nel monitor del prossimo decennio, metafora attuale della palla di cristallo del mago, non deve nascere come effetto di freddo sviluppo tecnologico ma nel totale rispetto del malato. Pensare che un'iniezione di scienza rigorosa nel corpo della nostra medicina debba significare per forza perdita di rispetto per la persona del malato è pura follia. La sintesi del metodo scientifico con la pratica medica deve portare alla creazione di operatori sanitari scientificamente preparati ma allenati a considerare il paziente come un proprio simile che soffre. Bisogna puntare a formare scienziati che esercitino la propria scienza al letto del malato senza perdere nulla della loro umanità. Questa nuova figura di medico è difficile da formare. Ha bisogno dello sforzo combinato dell'università e della sanità pubblica e privata unite in un'impresa i cui frutti cominceranno a vedersi solo tra un paio di decenni. Un punto cruciale va subito considerato: già oggi, in dieci anni, si assiste a una rivoluzione pressoché totale delle conoscenze mediche ma l'arco dell'attività del medico è molto più lungo. Se vogliamo una medicina che funzioni con criteri di modernità e competenza bisogna che i medici siano indotti a ritornare allo studio ogni due o tre anni. Di nuovo, questo è un impegno che devono accollarsi ospedali e scuole di medicina usando l'aiuto sempre più potente e infiltrativo di informatica e telematica. La medicina molecolare, sfida del prossimo decennio, richiede il continuo aggiornamento delle competenze che non può essere affidato al volontariato casuale dei singoli medici ma ha bisogno di immersione continua nel mare di conoscenze scientifiche che diventano via via parte del bagaglio terapeutico. Se vogliamo che il matrimonio tra scienza e medicina non finisca in un burrascoso divorzio bisogna por mano a un rivolgimento culturale che implica un profondo impegno della società civile. Pier Carlo Marchisio Dibit, Milano




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