TUTTOSCIENZE 22 maggio 96


STRIZZACERVELLO Figure a pezzi
ARGOMENTI: GIOCHI
LUOGHI: ITALIA

Tagliare la figura rappresentata qui sotto, in tre pezzi tali che possano essere ricomposti in modo da formare un triangolo rettangolo isoscele.


DIDATTICA Astronomia, una palestra scientifica
Autore: VANIN GABRIELE

ARGOMENTI: DIDATTICA, ASTRONOMIA
ORGANIZZAZIONI: UAI UNIONE ASTROFILI ITALIANI
LUOGHI: ITALIA

L'astronomia è la scienza che più si presta ad essere praticata a livello non professionale: si va dal semplice riconoscimento delle costellazioni a occhio nudo al «turismo stellare» con un binocolo o un piccolo telescopio, all'osservazione approfondita di corpi celesti. Gli studenti, in particolare, ne trarranno anche conoscenze utili a scuola. In Italia coloro che hanno interesse per l'astronomia sono probabilmente più di 50.000, almeno 15.000 sono i lettori fissi di riviste o libri di astronomia, la metà dei quali è iscritta ad associazioni di astrofili (150, sparse in tutto il Paese). Oltre un migliaio, infine, sono gli aderenti all'Unione Astrofili Italiani (Uai). Tra le sue iniziative, la partecipazione alla Settimana della Cultura Scientifica, mostre di fotografia astronomica, seminari sulle meridiane, la partecipazione all'Astron di Milano, i convegni annuali del Coordinamento degli Osservatori astronomici pubblici italiani, un organo creato in seno all'Uai nel 1990. L'Uai coordina anche il lavoro di ricerca degli astronomi dilettanti italiani. La più attiva è la Sezione Pianeti, molto nota anche all'estero. Molto vivace è anche la Sezione Quadranti Solari, che sta cercando di portare a termine il censimento di tutte le meridiane italiane. Nell'ambito del sistema solare due sezioni sono dedicate anche allo studio del e della Luna, una si occupa delle occultazioni lunari, tre sono dedicate ad asteroidi, meteore, comete. Quest'ultima sta riprendendo vigore sull'onda dell'apparizione della Hyakutake e nell'attesa dell'arrivo dell'altra grande cometa, la Hale-Bopp. Ci sono poi altre tre sezioni: una è dedicata al cavallo di battaglia, da sempre, degli astrofili, le stelle variabili, che sono seguite con vari programmi di ricerca, spesso in collaborazione con i professionisti. Una, la più intrigante, si occupa della ricerca delle stelle che esplodono, le supernovae, un campo molto apprezzato dai professionisti, che possono così seguire da subito questi astri nelle fasi iniziali del loro parossismo. L'ultima si occupa dell'osservazione degli oggetti del «profondo cielo», che ha diretta attinenza con la stima di quanto siano bui i nostri cieli e con il problema dell'inquinamento luminoso, del quale si occupa un'apposita commissione. L'Uai gestisce un proprio servizio telematico su Internet (http://www. mclink.it/mclink/astro/uai.htm), pubblica un Almanacco annuale e una rivista bimestrale che riporta le iniziative dell'Unione e i risultati conseguiti dalle sezioni di ricerca e dalle commissioni. L'iscrizione all'Uai è libera. Per informazioni scrivere a Unione Astrofili Italiani, c/o Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Astronomia, vicolo dell'Osservatorio 5, 35122 Padova. Gabriele Vanin Presidente dell'Uai


COME NASCE IL MICROCLIMA Quel colpo di vento dietro l'angolo Le piccole perturbazioni locali causate da differenze di temperatura a terra
Autore: MINETTI GIORGIO

ARGOMENTI: METEOROLOGIA, VENTO
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Schema della circolazione diurna dei venti

Il vento è uno spostamento in senso prevalentemente orizzontale di masse d'aria di una zona di alta pressione, anticiclonica, verso una zona di bassa pressione, ciclonica. L'aria calda tende a salire, lasciando in basso una specie di vuoto che viene colmato dall'aria più fredda circostante. Si viene così a creare un movimento d'aria strisciante sul suolo verso la regione calda. Quanto maggiore è la differenza di temperatura, tanto maggiore sarà la differenza di pressione (gradiente) e quindi tanto più intenso sarà il vento. Su scala planetaria avremo poi una categoria di venti costanti dovuti a cause che agiscono in modo permanente, provocando una circolazione atmosferica generale, come gli «alisei» ed i «controalisei»; e una categoria di venti periodici, variabili e locali causati dalla distribuzione zonale delle temperature quali le brezze, la Bora, il Mistral, lo Scirocco, il Libeccio, il Simun, il Foehn, e anche tifoni e uragani. Ma i venti di cui vogliamo occuparci ora, pur avendo un'identica matrice, si manifestano in scala minore, interessando la climatologia a livello locale. Quante volte sarà capitato a tutti noi di affacciarci dietro l'angolo di un palazzo e venire investiti da una folata di vento? Quale origine possono avere queste correnti d'aria più o meno intense che, anche durante una giornata calda e soleggiata, si sviluppano lungo i viali alberati e nelle vie cittadine di un centro urbano? Quale spiegazione formulare per questi fenomeni che, anche in presenza di una situazione meteorologia tranquilla, e senza venti periodici, si sviluppano nelle nostre città e in periferia? Siamo in presenza di correnti d'aria o venti locali che vanno sotto il nome di brezze di campagna o di città. Il loro meccanismo è identico a quello delle brezze che troviamo al mare, in montagna, sul lago o sui ghiacciai. Spirano in un sottile strato d'aria, situato immediatamente sopra la superficie terrestre e influenzato dall'ambiente locale (specchi d'acqua, montagne, vegetazione, foreste, campi coltivati, aree urbane). Esaminando gli agglomerati urbani, vediamo che queste opere dell'uomo presentano una struttura fisica notevolmente diversa dall'area rurale circostante, dovuta all'elevata capacità termica in essi contenuta. Infatti, specie d'inverno, le numerose sorgenti termiche creano spiccate isole di calore. La differenza tra le caratteristiche climatiche urbane e quelle rurali scaturisce in particolar modo da questi fattori: modifica spazio-temporale dei venti per la densità e l'altezza degli edifici; riduzione dell'evaporazione del suolo sostituito dall'asfalto e da materiali impermeabili; Elevata capacità termica dovuta alle attività umane e riduzione della radiazione solare per fumi e gas. Basti pensare che ciascun essere umano fornisce il proprio piccolo contributo, tanto che 10 persone in una stanza scaldano come una stufetta da 1000 watt. Se poi teniamo in considerazione il contributo energetico delle attività industriali, abbiamo una valutazione fatta a New York d'inverno con gradi-città di calore per combustione; il valore è più del doppio di quello prodotto dal sole, mentre si riduce di un sesto durante l'estate. Succede allora che gli edifici raffreddandosi di notte lentamente con moti convettivi cederanno alle zone rurali il loro calore immagazzinato durante il giorno (1). L'aria più fredda e pesante della campagna si precipiterà ad occupare il vuoto lasciato. Di giorno la campagna, si scalderà più rapidamente della città. Questo scambio di masse d'aria con differenti valori termici genera appunto quei venti o flussi d'aria più o meno intensi che riscontriamo ai margini dei centri urbani e che vengono chiamati brezza di campagna. Un analogo fenomeno di venti o correnti d'aria avviene nell'agglomerato cittadino, sempre in seguito alle variazioni termiche tra struttura e struttura. Prendiamo quale esempio una strada urbana che va da est verso ovest con grattacieli affacciantisi su entrambi i marciapiedi. Tra il lato in ombra a sud e quello soleggiato a nord si crea un contrasto termico netto, molto simile a quello che può verificarsi con analoghe situazioni in vallate alpine (2). La corrente d'aria che si sviluppa può assumere la denominazione di brezza di città. Se poi ci troviamo in presenza di palazzi alti che si affacciano su palazzi bassi, le masse d'aria precipitano verso il basso creando anche un moto vorticoso al centro della strada. Quando venti a scala planetaria o brezze locali incontrano un ostacolo sia sul piano verticale siea su quello orizzontale, cercheranno di scavalcarlo. Daranno così vita a un moto fluttuante come intensità che prende il nome di turbolenza e che si manifesta con le classiche folate di vento all'angolo dei palazzi (3). Infine, ancora l'incalanamento forzato delle brezze urbane e dei venti locali tra palazzi ravvicinati o vie molto strette provoca per effetto «Venturi» un notevole rinforzo di queste corrrenti che trovano conferma nella sensazione tattile di sferzate di vento che saranno fredde o calde in funzione della situazione termica del momento anche con tempo stabile e soleggiato. Giorgio Minetti


Dal Mistral al Khamsin Le tante arie del Mediterraneo
Autore: G_M

ARGOMENTI: METEOROLOGIA, VENTO
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D.C. I venti della zona mediterranea

I venti, oltre ad essere un fattore meteorologico che determina il tempo in una data zona, sono una caratteristica locale che ha assunto denominazioni legate alla storia, a leggende o a particolari dei luoghi dove spirano. Troppo spazio richiederebbe la descrizione dei venti su scala planetaria: ci occuperemo soltanto, e sommariamente di quelli tipici dell'area mediterranea, che sono, per lo più, venti periodici, variabili, locali o regionali causati dall'azione combinata o isolata di alcune configurazioni della pressione atmosferica. Le brezze di terra e di mare, analoghe ai Monsoni indiani ma in scala molto ridotta, spirano su tutte le coste mediterranee. Di notte la terra si raffredda prima del mare e l'aria più pesante (verso le 22 fino alle 7) scivola verso la costa (brezza di terra). Viceversa avviene di giorno. La terra si scalda prima del mare, l'aria sale e quella più fresca provieniente dall'acqua (verso el 10) va ad occupare lo spazio vuoto sulla terra (brezza di mare). Analogo meccanismo avviene in montagna con le brezze di monte e di valle oltre a quella di ghiacciaio (aria che transita su una superficie molto fredda) o sul lago con le brezze di terra e di lago. Il Foehn, vento secco, spesso impetuoso ed a raffiche irregolari, scende dalle montagne ed interessa la Pianura Padana ed i due versanti appenninici. L'origine è dovuta al sollevamento di una massa d'aria costretta a superare una catena montuosa. L'aria salendo si raffredda per espasione (un grado ogni cento metri) fino alla vetta con nuvole e precipitazioni, dopo di che si riscalda per compressione con scioglimento delle nubi, delle nevi (valanghe) e schiarite. Mistral (o Maestrale) vento che proviene da N-W o N, violento, freddo e secco scende d'inverno lungo la Valle del Rodano fino al Golfo del Leone alla Corsica e alla Sardegna. Tramontana, vento freddo ed impetuoso che da N-NE investe tutta la penisola italiana e può essere il prolungamento del Mistral, della Bora o del Foehn. Bora, noto vento discendente da E-NE, forte e gelido che si muove prevalentemente sull'Adriatico attraverso al Venezia Giulia. Grecale, forte vento da NE, tipico del versante ionico e le coste orientali della Sicilia frequente d'inverno anche con estrema violenza. Meltem, vento fresco da NE-N che spira sul Bosforo e Mar Egeo durante la stagione estiva. Etesiens, vento fresco che d'estate spira da Nord sull'Egeo. Khamsin, venti caldo secco caratteristico dell'Egitto che spira da aprile e agiungo e si identifica con lo Scirocco. Khamsin, in arabo significa cinquanta tanti sono i giorni in cui il vento soffia sul deserto. Scirocco, vento che si origina nei deserti africani e condiziona il tempo sul Mediterraneo meridionale. Caldo e secco in origine, si umidifica sul Mediterraneo e giunge sull'Italia caldo, umido e piovoso, trasportando a volte anche sabbia. Ghibli, vento molto caldo, secco ed impetuoso che interessa la Tripolitania trasportando grandi quantità di polvere e di sabbia, che alle volte si identifica con il Simun, vento violento che ha origine nell'interno dei territorio predestrico. Chili, vento che soffia verso Nord sulle coste africane da Gibilterra alla Tunisia. Chergui, vento secco e caldo che da Est spira sul Marocco e Algeria in primavera e in estate. Libeccio, vento meridionale, tipico del Mar Tirreno che da Sud-Ovest soffia raffiche, znche con rovesci di pioggia, meno depressivo per l'organismo che l'afoso vento di Scirocco, Levantes, vento caldo da Est verso Gibilterra, il cui antagonista proveniente da Ovest, cioè dall'Oceano Atlantico è il Vendaval, freddo e umido. Marin, vento da SE che d'inverno investe la costa mediterranea tra Francia e Spagna. G.M.


XENOTRAPIANTI Salvati da un cuore di maiale? Progetti per risolvere la carenza di donatori
Autore: BURI MARCO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

TRE cuori uguali in fila per una famosa foto pubblicitaria ci vogliono dire che il muscolo cardiaco non riflette il colore della pelle che lo custodisce. Il cuore è da sempre considerato l'organo vitale per eccellenza. Porta in sè un doppio significato di forza e potenza fisica insieme all'immagine di coraggio o di paura. Cuor di leone, cuor di coniglio: perché non cuor di maiale? Sotto il messaggio promozional- filosofico, si nasconde il dubbio: «A quale specie appartengono i tre cuori fotografati?». Proprio tre cuori di suino sono quelli esibiti nella pubblicità, e oggi la cosa non deve essere vista come un'offesa, al punto che, dicono i biologi, in futuro verranno proprio dai maiali i cuori per salvare con il trapianto i cardiopatici. Così da un messaggio contro la xenofobia, con lo stesso soggetto possiamo parlare di xenotrapianti (trasferimento di organi da una specie all'altra). Il cuore ha quattro cavità: due atrii con pareti sottili separati da un setto interatriale e due ventricoli con pareti più spesse con setto interventricolare. Gli atrii e i ventricoli sono tenuti insieme da un anello fibroso, con a destra la valvola tricuspide e a sinistra la valvola mitralica o bicuspide. Sulla parte destra del ventricolo parte l'arteria polmonare, con valvola semilunare, dal ventricolo sinistro, invece, si dirama l'aorta con lo stesso tipo di valvola. Tutte queste strutture sono foderate da una sottilissima lamina, il pericardio all'esterno e l'endocardio all'interno. La chiusura delle due valvole atrio-ventricolari dà origine al primo tono cardiaco mentre la chiusura delle semilunari il secondo tono cardiaco. La gittata cardiaca di un uomo a riposo è di 5,5 litri al minuto - frequenza cardiaca di 50-75 battiti al minuto - e gittata sistolica di circa 80 millilitri. Sotto attività fisica intensa si può arrivare rispettivamente a 25 l/m, 180 battiti/m e 140 millilitri. Il cuore di suino per conformazione, dimensioni e dati fisiologici assomiglia molto a quello umano; ma il motivo principale della candidatura al trapianto transpecifico è l'alto numero di cuori disponibili, ricavabili dalla normale macellazione. Quindi senza problemi di ordine morale (come per la scimmia), si potrà tentare di ricorrere al cuore di maiale per risolvere la profonda carenza nei trapianti. In Europa sono più di 40.000 le persone in attesa di trapianto (3000 in Italia) con varie patologie cardiache da acute a croniche, con morti premature o sofferenza prolungata nel tempo non rimediabili con la terapia medica o altre tecniche chirurgiche. I ricercatori dovranno però lavorare molto per evitare il rischio di rigetto. Un modo per farlo sarà di mascherare i dati genetici dell'organo del donatore, attraverso l'ingegneria genetica, per non farlo riconoscere come estraneo dal sistema immunitario del ricevente. Esistono già problemi di rigetto nei trapianti di organi all'interno della stessa specie, si può quindi immaginare come per gli xenotrapianti ci siano difficoltà maggiori. Ma sul suino gli addetti ai lavori sono pronti a scommettere un futuro successo, per una buona similitudine biologica con l'uomo e per i risultati raggiunti nel blocco alla reazione antigene - anticorpo responsabile del rigetto nella forma acuta. Questo trattamento immunodepressivo potrebbe diminuire, però, la resistenza dei tessuti e delle cellule all'aggressione di forme patogene (forme simili al virus Hiv, Ebola e alla degenerazione della malattia di Creutz-feldt-Jakob) o di eventuali altri virus e batteri appartenenti al mondo animale e di cui non si conoscono gli effetti sulla vita dell'uomo. I problemi tecnico- biologici perciò sono tanti ma la strada è aperta. Come pure l'approccio dal punto di vista morale e religioso (con qualche riserva per i musulmani). Ma loro, gli animali «transgenici», come la pensano? Marco Buri


AIDS Il mistero del virus «in sonno»
Autore: DI AICHELBURG ULRICO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, GENETICA
ORGANIZZAZIONI: SAN FRANCISCO CLINIC CITY COHORT STUDY
LUOGHI: ITALIA

ALCUNE migliaia di sieropositivi da virus Hiv sono sotto speciale controllo in varie parti del mondo perché hanno una singolare caratteristica: dopo anni dall'infezione da parte del virus sono in normali condizioni di salute, senza alcuna terapia. Essi vengono designati come «non progredienti a lungo termine» e «asintomatici a lungo termine», in contrapposizione a coloro, la maggioranza, che entro un certo tempo manifestano i sintomi dell'Aids. Dunque un particolare equilibrio può instaurarsi fra il virus e le difese immunitarie. Conoscere i fattori di questa situazione permetterebbe di capire meglio la fisiologia dell'infezione da Hiv, e di progredire nella terapia e nella vaccinazione. Nelle prime settimane dell'infezione si ha una risposta immunitaria sia a base di anticorpi sia cellulare, quest'ultima principalmente dovuta ai linfociti T (Ctl). La replicazione del virus tuttavia continua, poi si intensifica e ad un certo punto appaiono sintomi gravi e un deperimento delle condizioni generali fino alla scomparsa delle reazioni immunitarie. Questo è il quadro tipico. Le prime osservazioni su come progredisca la sintomatologia furono fatte dal San Francisco Clinic City Cohort Study esaminando sieri prelevati fino dal 1978. Si vide che l'8 per cento dei soggetti non manifestavano segni clinici o biologici di progressione verso l'Aids. I centri di studio si sono moltiplicati, oggi sono stati stabiliti i criteri per definire il soggetto «asintomatico a lungo termine»: sieropositività all'Hiv da almeno 8 anni, tasso di linfociti T CD4 superiore a 50 per millimetro cubo, assenza di sintomi clinici, nessuna terapia anti-virale. La proporzione di questi soggetti è compresa in media fra il 5 e il 7 per cento, ma si è avuto perfino il 15 per cento nel Multicenter Aids Cohort Study, su 1214 casi seguiti per oltre sette anni. Un certo numero di parametri virali e immunologici sono già stati studiati, ma finora non è stato possibile mettere in evidenza rapporti tra fattori socio-comportamentali (modalità dell'infezione, età, associazione con altre malattie) e la progressione o no verso l'Aids, nè identificare marcatori biologici caratterizzanti gli asintomatici a lungo termine, salvo il tasso pressoché normale di linfociti T CD4 oltre dieci anni dopo l'infezione. Si possono fare alcune ipotesi. Prima, il virus e la popolazione virale che ne deriva hanno una patogenicità ridotta; seconda, sono i linfociti e gli anticorpi a mantenersi capaci di controllare l'intensità della replicazione virale, la quale persiste ma in grado inferiore al consueto; terza, l'assenza di contemporanee infezioni o di fattori dannosi comportamentali, nutritivi o di altro tipo potrebbe ridurre la replicazione del virus o aumentare la risposta immunitaria. Si studia anche il sistema di geni HLA che codifica la risposta immunitaria, e potrebbe quindi influire sullo sviluppo dell'infezione assumendo un ruolo protettore. Sempre a proposito di immunità ecco, da parte dei linfociti T CD8, la produzione d'un fattore capace di inibire la replicazione del virus nelle provette, come dimostrò Levy fin dal 1986. Questo fattore è costituito da numerose linfochine, secondo articoli pubblicati su Science e su Nature nello scorso anno. L'attività inibitrice dei linfociti T CD8 è risultata di grado elevato negli asintomatici a lungo termine e in soggetti sieronegativi ad alto rischio. Sono stati trovati anche negli asintomatici tassi di anticorpi significativamente elevati, il che deporrebbe in favore dell'importanza della risposta umorale (vedi New En gland Journal of Medicine, sempre dell'anno scorso). Per concludere, l'osservazione di infetti da anni, non manifestanti evoluzione clinica o biologica verso l'Aids, suscita grandi speranze. Ne sono nati numerosi studi per determinare in maniera approfondita i fattori immunologici, virali o genetici portanti i sieropositivi e il virus Hiv a un patto di non aggressione. Probabilmente non si tratta d'un solo, ma d'un complesso di elementi. La speranza è che se ne possa avvantaggiare la terapia. Ulrico di Aichelburg


RICERCHE IN MADAGASCAR Un dito tuttofare Bizzarrie del lemure ayè-ayè
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ETOLOGIA, ZOOLOGIA
LUOGHI: ITALIA, ERST, AFRICA, MADAGASCAR

SE chiedete a un indigeno malgascio notizie dell'ayè- ayè, vi racconterà subito la leggenda che circola nel Madagascar sul conto di questo stranissimo lemure. «Quando un uomo si addormenta nel bosco, l'ayè-ayè gli si avvicina e fabbrica per lui un cuscino d'erba. Se al risveglio l'uomo trova il cuscino sotto il capo, è segno che diventerà ricco sfondato. Ma se il cuscino se lo trova sotto i piedi, mal per lui. Cadrà vittima delle arti malefiche di uno stregone». L'ayè-ayè ha dato molto filo da torcere agli studiosi. Quando lo si è scoperto, non si sapeva proprio dove sistemarlo nella scala zoologica. Chi diceva che fosse uno scoiattolo, chi un topo saltatore, chi un falangeride. E ci volle parecchio tempo prima che tutti si mettessero d'accordo e convenissero che si trattava di un lemuride, sia pure un po' diverso dagli altri. Ma perché lo si chiama con quel nomignolo sbarazzino? Per colpa di un equivoco. Il bizzarro nome gli era stato affibbiato da chi lo scoperse per primo, per un'errata interpretazione del suo richiamo. Che non suona affatto «ayè-ayè», ma si può paragonare invece allo stridio che fanno due fogli metallici quando si sfregano l'uno contro l'altro. Comunque, vari sono i suoni emessi dalla Daubentonia madascariensies (questo è il suo nome scientifico). Quando va in cerca di cibo, emette una sorta di grugnito, ma se un nemico la minaccia, lancia una serie di sbuffi mentre si prepara alla difesa. Sarà forse per la leggenda associata alla sua immagine, ma sta di fatto che un tempo i malgasci avevano per gli ayè-ayè un timore reverenziale. Si guardavano bene dall'ucciderli. Da un po' di tempo a questa parte, però, le cose sono cambiate. Questi lemuri sono diventati sempre più rari, non solo per colpa della caccia, ma anche per la progressiva deforestazione del Madagascar. L'ayè-ayè, tipico abitante delle aree boschive dell'isola, si vede togliere il terreno sotto i piedi. Il suo habitat si restringe ogni giorno di più e parallelamente diminuisce la consistenza numerica della specie, ridotta ormai al lumicino. Eppure solo in pochi lo conoscono a fondo, questo originalissimo lemure che rischia di estinguersi sotto i nostri occhi. Lo si può considerare, per le sue dimensioni, il più grande primate notturno del mondo. E' lungo una novantina di centimetri, di cui quasi cinquanta appartengono alla coda. Si costruisce nel folto delle macchie di bambù o nella cupola verde della foresta un nido di foglie e vi si rifugia nelle ore in cui brilla il sole. Esce dal suo nascondiglio non appena scende l'oscurità. E salta di ramo in ramo, tenendo le mani libere per poter raccogliere il cibo e mangiare. Assomiglia a uno scoiattolo nero dalla forma un po' tozza. Ma le sue zampe sono simili a quelle di una scimmietta e la testa dal muso cortissimo ricorda quella della volpe. I suoi occhi tondi e chiari dall'espressione indefinibile non sono grandi e impressionanti come quelli degli altri lemuri. Hanno tuttavia una particolarità. Sono protetti non solo dalle due palpebre, superiore e inferiore, ma anche da una terza palpebra che si apre e si chiude in senso trasversale, come una porta a coulisse. Quasi sproporzionate rispetto alla testa sono le orecchie nude e membranose che sporgono ai lati del capo. E altrettanto sproporzionati sono i denti incisivi, grandissimi, a crescenza continua come quelli dei topi e degli altri roditori. Sono talmente robusti che riescono a rosicchiare persino il legno delle gabbie, quando gli animali vengono tenuti in prigionia. Sono questi denti che in natura consentono alla Daubentonia di rodere il durissimo involucro delle noci di cocco, per mettere allo scoperto l'appetitosa polpa del frutto. O di rosicchiare gli strati superficiali della canna da zucchero per estrarne il midollo zuccherino. Ma la cosa più originale dell'ayè-ayè sono le mani dalle dita lunghe, affusolate e robuste. Si distingue in particolare il dito medio, sottilissimo, quasi scheletrico, che può definirsi un dito tuttofare. L'animale se ne serve per pettinarsi, per grattarsi, per pulirsi il viso, le orecchie, il naso, e perfino per bere. Come fa? Tuffa rapidamente il terzo dito nell'acqua e se lo porta alle labbra, succhiando le gocce che ne colano. Ripete questo gesto da 40 a 50 volte il minuto. Evidentemente questo strano modo di bere gli consente di utilizzare la poca acqua piovana che si raccoglie nelle piccole cavità degli alberi, dove il muso non riuscirebbe a penetrare. Ma è soprattutto nella ricerca e nella cattura del cibo che il dito medio svolge un compito di vitale importanza. Il lemure si nutre di frutta, ma il suo piatto preferito sono le larve degli insetti xilofagi, cioè divoratori del legno, che si nascondono dentro la corteccia degli alberi. Sottile com'è, quel dito acchiappatutto riesce a penetrare agevolmente nelle fessure dei tronco e ne cava fuori le larve che vi si annidano. Vien fatto di chiedersi come faccia il bizzarro primate a sapere che in quel tronco, in quel punto preciso, si nasconde una preda. E' un interrogativo che si sono posti gli studiosi. In virtù di quale misteriosa facoltà l'ayè-ayè riesce a localizzare con tanta precisione una preda invisibile? Era naturale perciò che il comportamento dell'ayè- ayè incuriosisse gli studiosi. Si è occupato in particolare della questione Carl Erikson che ha condotto una serie di esperimenti su questo lemure nel Centro dei Primati della Duke University (Carolina del Nord). Messi di fronte a un pezzo di legno bucherellato da varie cavità, in alcune delle quali lo sperimentatore aveva inserito alcuni coleotteri, quattro ayè-ayè agivano in questo modo. Tamburellavano la superficie del legno col dito medio. Quindi, piegando il capo all'ingiù, avvicinavano al pezzo di tronco le grandi orecchie. In questo modo percepivano la presenza dei coleotteri, anche se la cavità in cui si annidavano si trovava a due centimetri di profondità. Il bello è che scavavano sempre in corrispondenza delle nicchie piene e non di quelle vuote. Andavano a colpo sicuro. E' proprio la stessa tecnica che usiamo noi quando vogliamo piantare un chiodo nella parete e la percuotiamo con le nocche per stabilire dal suono se il muro in quel punto è pieno o cavo. L'ayè-ayè è l'unico mammifero al mondo che si avvale di questa tecnica. Isabella Lattes Coifmann


IN BREVE Le avventure della matematica
ARGOMENTI: MATEMATICA, LIBRI
NOMI: FONTANA MICHELA, LEVI SANDRO, PAOLETTI RODOLFO
ORGANIZZAZIONI: EDIZIONI LE MANI, UGIS
LUOGHI: ITALIA
NOTE: «Percorsi calcolati»

Il saggio «Percorsi calcolati» di Michela Fontana (Edizioni Le Mani) è stato presentato il 20 maggio all'Università di Milano con l'intervento di Luigi Dadda, sotto il patrocinio dell'Ugis, Unione giornalisti scientifici italiani. Sono intervenuti Sandro Levi, Rodolfo Paoletti e Paola de Paoli, presidente dell'Ugis.


IN BREVE Telethon per i disabili
ARGOMENTI: GENETICA, RICERCA SCIENTIFICA, SOLIDARIETA'
ORGANIZZAZIONI: TELETHON
LUOGHI: ITALIA

Oltre a occuparsi di ricerca sulle malattie genetiche, Telethon si impegnerà nella progettazione di ausili per disabili e ha già presentato ad «Abilexpo '96» Tecnothon, laboratorio che inventa, progetta e realizza prototipi funzionanti di nuovi apparecchi per alleviare il peso degli handicap fisici. Attualmente si sta lavorando a un sistema di guida per i disabili installato su un'auto pilotabile con un joystick.


IN BREVE Dolore e follia in scena a Veroli
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, PSICOLOGIA
NOMI: BONAVIRI GIUSEPPINA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, VEROLI (FR)

Un convegno internazionale sul dolore si è svolto a Veroli dal 16 al 18 maggio con la partecipazione di psichiatri, filosofi, antropologi e teologi e con il supporto di spettacoli e incontri interdisciplinari tra scienziati e letterati. Tra i temi affrontati nel corso delle giornate di studio particolare rilievo ha avuto quello della follia: sotto la guida di Giuseppina Bonaviri venti pazienti hanno messo in scena «La festa dei folli», riprendendo una tradizione medievale che vedeva il sovvertimento dei ruoli gerarchici. L'iniziativa si inserisce in un progetto di laboratori d'arte con una funzione riabilitativa. Per informazioni, tel. 0775-246.066.


IN BREVE Multimedialità a Firenze
ARGOMENTI: ELETTRONICA, COMUNICAZIONI, SALONE
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, FIRENZE (FI)

Mediartech, mostra mercato di multimedialità e telematica nonché festival internazionale di opere multimediali, si svolgerà dal 29 maggio al 3 giugno alla Fortezza da Basso a Firenze. Per informazioni, tel. 055- 497.2272.


IN BREVE Ora «Galileo» è nella Rete
ARGOMENTI: ELETTRONICA, COMUNICAZIONI
ORGANIZZAZIONI: GALILEO, INTERNET
LUOGHI: ITALIA

«Galileo», il primo giornale italiano sulla scienza e sui problemi globali è su Internet. L'annuncio è stato dato al Salone del Libro di Torino. In redazione lavorano giornalisti scientifici e giovani ricercatori in collegamento con istituti di ricerca. L'editore è una associazione che ha tra i suoi sponsor l'Enea, la Sissa e il Centro di fisica teorica di Trieste. Per informazioni: 06-88.40.539.


IN BREVE Una colla per il chirurgo
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, TECNOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: LOCTITE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: «Indermil»

Un rivoluzionario adesivo per tessuti umani sta per diventare uno strumento di lavoro del chirurgo, che potrà così chiudere rapidamente le cicatrici evitando i rischi di infezione. La colla, chiamata Indermil, è il risultato di otto anni di ricerche finanziate con due milioni di dollari dalla divisione biomedica della multinazionale Loctite.


ISTRUZIONI ANNI 50 Se scoppia una bomba atomica In un cd made in Usa filmati, foto, testi, discorsi
Autore: GRANDE CARLO

ARGOMENTI: ARMI, ELETTRONICA, DOCUMENTI
NOMI: LOADER JAYNE (AUTRICE)
ORGANIZZAZIONI: OFFICE OF CIVIL DEFENCE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: «Public Shelter» (Rifugio pubblico)

STATE pronti] Se scoppia una bomba atomica la cosa migliore è buttarsi a terra, possibilmente contro un muro, prendendosi il capo tra le mani. Gli alunni si tufferanno sotto i banchi, le casalinghe sotto il tavolo della cucina. Se c'è tempo, correte in un rifugio antiatomico (familiare o collettivo), dove si avrà avuto l'accortezza di stipare pacchi di viveri preparati apposta per analoghi «disastri di base». I menù stilati dall'Office of Civil Defence del Texas sono studiati per resistere almeno a tre giorni di black-out. Non dimenticano maccheroni e succo d'arancia. Ecco alcuni dei consigli, rivolti agli americani degli Anni 50, raccolti in «Public Shelter» (alla lettera: Rifugio Pubblico), il primo Cd-Rom sul nucleare appena presentato in Italia. Il dischetto si impone con la stupefacente e silenziosa forza dei documenti di archivio: l'autrice (Jayne Loader, regista del celebre «Atomic cafè») con l'aiuto di spot, cartoni animati, schede e scene di film ricostruisce la propaganda «filonucleare» e le psicosi collettive di quegli anni. In un filmato governativo, ad esempio, compare un signore imbrillantinato che giura: «Lo sviluppo del nostro potenziale nucleare è assolutamente necessario per fronteggiare l'ostilità comunista». In 14 mesi di lavoro Jayne Loader ha raccolto con una ventina di collaboratori una mole imponente di documentazione: 40 minuti di filmati, 400 fotografie, 18 canzoni originali, 12 ore di registrazioni e 1400 testi, tra cui documenti governativi recentemente svincolati dal segreto militare e racconti di science fiction. In pratica, tutte le vicende riguardanti l'energia atomica, dal test di Trinity a oggi. Il capitolo «Atomic testing» presenta un'esauriente panoramica sui test nucleari, «Los Alamos» traccia la storia del progetto Manhattan; in «Medical testing» abbiamo informazioni sugli effetti delle radiazioni sperimentate sugli esseri umani, mentre «Peace» raccoglie informazioni e dati sulle attività pacifiste in America e nel mondo. Il Cd, che costa 60 dollari e si può ordinare - finché non sarà commercializzato in Italia - telefonando negli Stati Uniti al 201. 783.5767 (fax 201.783.5899), non è ancora stato tradotto. E' un limite, ma anche un vantaggio: permette di ascoltare ad esempio in versione originale il discorso inaugurale di John Kennedy il 20 gennaio 1961, giorno in cui venne proclamato presidente degli Stati Uniti d'America, che si chiuse con la richiesta alla «nuova generazione di americani» di non chiedersi «cosa può fare la nazione per te, ma quello che puoi fare tu per la tua nazione». La voce di Kennedy si può riascoltare anche nel suo ultimatum all'Urss del 23 ottobre 1962, in seguito alla crisi cubana: mai come allora gli Stati Uniti furono vicini alla guerra nucleare. C'è anche quella di Truman (un filmato testimonia la dichiarazione dell'agosto '45, subito dopo il lancio delle bombe su Hiroshima e Nagasaki) nonché immagini e documenti su tutti i presidenti dell'era atomica, da Roosevelt a Clinton. Il capitolo dedicato all'«Impero del Male» e ai comunisti raccoglie documenti e testimonianze sui coniugi Julius e Ethel Rosenberg, giustiziati a Sing Sing il 19 luglio 1953, e un filmato di un politico americano che chiede di lanciare la Bomba in Corea e Manciuria, «per distruggere e contaminare i comunisti». Quanto al presente, il CD registra con soddisfazione la grandissima prudenza del Senato americano, che con legge del 22 febbraio '95 ha stabilito di non costruire nuove centrali finché non sarà possibile dislocare con sicurezza le scorie radioattive. «Public Shelter» è anche un sito su Internet: (http://www.publicshelter. com). Il recapito e-mail è: ejl Nei giorni scorsi è stato pubblicata anche altra documentazione «antiatomica»: è «La bomba inutile», del manifestolibri. Comprende un libro con nove saggi (il primo di Joseph Rotblat, ultimo premio Nobel per la pace) e una videocassetta con la azioni di Greenpeace e un concerto di Gianna Nannini, per «liquidare l'eredità avvelenata della Guerra Fredda». Carlo Grande


INTERNET La Rete impara a parlare
Autore: MERCIAI SILVIO

ARGOMENTI: ELETTRONICA, COMUNICAZIONI
ORGANIZZAZIONI: INTERNET
LUOGHI: ITALIA

SIA pure lentamente, anche in Italia l'uso della Rete va diffondendosi. I nostri tassi di crescita - sia in termini di server sia di utenti sia di strutture per la comunicazione (cavi, reti dedicate) - sono tra i più bassi in Europa occidentale, ma c'è un costante progresso: al quale si accompagna, o dovrebbe accompagnarsi, una riflessione sulle potenzialità d'uso che la Rete offre, con particolare riferimento ai campi della ricerca scientifica, della trasmissione culturale, del commercio, dell'interscambio personale. Dappertutto, nel mondo occidentale, Internet è ormai una struttura a disposizione, circa la quale non ha più senso farsi domande astratte, ma solo porsi questioni concrete di utilizzo e di gestione. Del telefono, per fare un'analogia, si discutono sensatamente solo argomenti gestionali (costi ed efficienza del servizio) o politiche di utilizzo (limitazioni alle linee del 144) o concezioni generali (il monopolio della Telecom): ma per il resto lo consideriamo uno strumento ovvio della nostra vita quotidiana, privata e professionale, qualcosa che fa parte integrante dell'organizzazione della nostra esistenza. Qualcosa a cui, piaccia o non piaccia, occorre adeguarsi. Internet è la stessa cosa, ormai. Per la generazione adulta occorre ora uscire dalla curiosa avventura intellettuale della novità e superare la fobia del computer e la sensazione che collegarsi alla Rete e navigarci siano impresa per tecnici e gu ru informatici. Per la generazione dei nostri figli, occorre lavorare in modo da predisporre non solo uno strumento tecnicamente abbastanza funzionante, ma anche una qualche riflessione, passata alla cultura e trasmessa dal sistema educativo, sul suo uso, i suoi limiti, le sue possibilità. Dunque, non discutere se, ma come e perché. Siamo di nuovo davanti a un salto qualitativo della Rete: l'arrivo della voce. Mi capita sempre più spesso di visitare un sito e di essere accolto da una musica o da un breve discorso di benvenuto. E sono alle porte computer e programmi in grado di riconoscere e rispondere a comandi vocali. Un salto qualitativo perché l'uso del computer ci ha sempre consegnato al ticchettio della tastiera o al silenzio: in termini sensoriali, una percezione quasi solo visiva. Si pensi, per esempio, all'uso tradizionale della posta elettronica o di una pagina del Web: qualcosa da guardare o da leggere e quindi, in un certo senso, innaturale, considerando che la nostra realtà ha sempre una dimensione polisensoriale (se parlo con te, ti vedo, ti sento, ti posso toccare). L'arrivo della voce, e del sonoro in generale, se può contribuire ad aumentare la possibile dimensione mistificatoria della comunicazione elettronica, ne incrementa peraltro l'amichevolezza e l'usabilità e avvicina la Rete a mezzi di comunicazione più familiari (radio, tv, telefono). Posso parlarti, sentire il suono della tua voce, sentirmi più umano nel mettermi in contatto con te... E, di nuovo, dovrò domandarmi in che cosa questo contatto è più o meno reale di quello a cui sono abituato, fin dalla mia infanzia, nell'incontrarti fisicamente. Senza contare il non secondario risultato di avvicinare, in questo modo, anche categorie svantaggiate, come quella dei ciechi e degli ipovedenti. Oltre alla gradevolezza di un benvenuto parlato, si apre la possibilità di usare la Rete come connessione telefonica, anche intercontinentale, a basso costo. Sono già disponibili e sempre più si perfezionano programmi che consentono, sia pure con qualche sacrificio nella nitidezza della percezione, la comunicazione vocale nei due sensi: vedremo come reagiranno le varie Telecom. Silvio A. Merciai


TERNI: UNA PRESSA IN PIAZZA Monumento alla tecnologia
Autore: PAPULI GINO

ARGOMENTI: TECNOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: MUSEO DELL'INDUSTRIA E DEL LAVORO, FONDAZIOEN MICHELETTI
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TERNI (TR)

PIU' di dieci anni fa, su queste stesse pagine, segnalammo che - in Italia - scomparivano annualmente circa 6500 metri cubi di fabbricati e 15.000 tonnellate di macchine e manufatti degni di essere conservati come testimonianza della industrializzazione del nostro Paese. Oggi, anche se le distruzioni indiscriminate continuano, la sensibilità verso la preservazione della memoria del lavoro collettivo è molto cresciuta; tanto che il ministero dei Beni Culturali ha istituito, nel 1994, una «Commissione nazionale per l'archeologia industriale», legittimando a tutti gli effetti i «Beni culturali industriali» come patrimonio da tutelare. Per opera della Commissione, il ministero ha organizzato, alla fine di marzo, nella sua sede monumentale di S. Michele, a Roma, il primo convegno ufficiale di archeologia industriale, e una mostra. Un altro passo avanti è stato compiuto, lo scorso anno, con l'ingresso dell'archeologia industriale tra le discipline universitarie: il che ha avuto, come prima e necessaria conseguenza, la trattazione scientifica e organica di questa materia. A tutto ciò hanno indubbiamente contribuito alcuni eventi di grande rilievo come, ad esempio, l'aver reso possibile l'accesso a importanti archivi d'impresa e l'aver riutilizzato - per scopi diversi da quelli originali - molti edifici industriali dismessi. Benché, spesso, il recupero di certe realtà del passato sia stato e continui a essere carente (ad esempio, sono criticabili quelle operazioni di riuso nella quali, come è avvenuto per il «Lingotto» di Torino, si guardi solo al «contenitore» ignorando del tutto il processo produttivo e il macchinario) è ormai dimostrato che dalla preservazione della memoria storico-tecnica possono derivare non soltanto gratificazioni culturali ma anche vantaggi economici e di immagine. Di qui, il coinvolgimento di comunità ed enti locali resisi conto di possedere un patrimonio da valorizzare e da far fruttare. Tra i più recenti casi, ci sembra opportuno ricordare la decisione di creare un «Museo dell'industria e del lavoro» - ad opera della Fondazione Micheletti - nell'area degli ex stabilimenti Tempini e Togni di Brescia; e la prossima collocazione, in una piazza del centro di Terni - a cura dell'amministrzione comunale - di una enorme pressa idraulica dismessa e donata alla cittadinanza dalle locali acciaierie. Queste e altre iniziative stanno a significare che, sia pure con ritardo rispetto ad altri Paesi, vi è anche da noi - finalmente - una inversione di tendenza nella miope concezione letteraria del «ferro vecchio da buttare». Gino Papuli


NEGHEV Il deserto racconta la geologia
Autore: KRACHMALNICOFF PATRIZIA

ARGOMENTI: GEOGRAFIA E GEOFISICA
LUOGHI: ESTERO, ASIA, ISRAELE, NEGHEV
TABELLE: C. Il deserto del Neghev

TUTTI, compresi coloro che non li amano, devono ammettere che gli israeliani hanno fatto miracoli. Arrivando con l'aereo è normale dire, scrutando dall'oblò, «stiamo per arrivare» quando il deserto comincia a diventare verde e rocce e terre riarse si coprono improvvisamente di alberi e coltivazioni. Ma nemmeno gli agricoltori israeliani sono riusciti a sconfiggere il grande Neghev. Questo assolato e roccioso deserto che prende tanta parte del suolo nazionale è ancora mantenuto intatto dalla sua stessa situazione ambientale e climatica. Solcato solamente da tre strade di grande comunicazione, il Neghev è una zona ben diversa dalle dune del Sahara. E' situato nel Sud di Israele e ne occupa quasi un terzo della superficie. La forma ricorda un triangolo con la base nel cuore verde di Israele e il vertice che si incunea nel Mar Rosso affacciandosi con la città di Eilath. L'orientamento è in direzione Nord-Sud, mentre la depressione di Makhtesh Ramon, di cui vogliamo trattare qui, è disposta secondo un asse Nord-Est- Sud-Ovest. In questo luogo intatto la natura ci ha fatto un grande regalo. Gli agenti atmosferici, e in particolare l'acqua e il vento, hanno scavato il suolo fino a una profondità di oltre trecento metri creando quello che si può solamente paragonare al Grand Canyon del Colorado. Il nome Makhtesh viene dalla parola ebraica «mortaio» e la similitudine è esatta. Infatti parliamo di una cavità protetta da ogni lato da rocce non friabili che un singolo corso d'acqua ha eroso insieme alle altre forze naturali, lasciando perfettamente leggibile la stratificazione di milioni di anni. La depressione ha una forma allungata di circa trenta chilometri e una larghezza che varia dai 5-6 a decrescere. Sui lati rocciosi - la parete del mortaio - è quindi facile identificare quanti milioni di anni hanno sovrapposto: una «finestra geologica» su una vallata fiancheggiata da alte mura di roccia, solcata da un unico corso d'acqua che scorre, solamente durante le rare piogge, in un letto di rocce più morbide. Dall'alto in basso, la stratificazione è la seguente: primo strato dolomite, calcare e terra; secondo, roccia sabbiosa; terzo, basalto che dà il fondo duro al «mortaio»; quarto, conglomerati rocciosi; quinto, rocce dolomitiche sabbiose e sabbia; sesto, croste di limonite e caolino; quindi il fondo costituito da dolomite, argilla rossa, calcare bituminoso, gesso, sabbia, scisto argilloso. Queste formazioni si possono anche identificare dai colori: gesso, bianco; calcare, grigio; dolomite, bianco e grigio; gesso, trasparente e bianco; sabbia, grigia e marrone; argilla, verde e grigia; basalto, nero; granelli friabili o duri, bianchi, gialli e rosa. Stupefacente è anche l'età che si può dedurre dall'osservazione di questi strati. Il più basso è il triassico, da 230 a 195 milioni di anni. Superiore è il Giurassico, da 195 a 140. Il più elevato è il Cretaceo da 140 a 65. Dopodiché l'evoluzione fino ai giorni nostri. A queste informazioni non si può non aggiungere una nota sulla bellezza del luogo. Questo grande solco nel deserto dà una sensazione di spazio infinito. La quasi inesistente vegetazione, le rocce scabre e di molteplici forme, il sole perenne che sfuma in notti arcanamente stellate, il vento a folate, danno sensazioni che è difficile provare altrove. Quindi, all'interesse più strettamente scientifico si può aggiungere un'attrattiva che può offrire solo una natura inospitale ma maestosa, solitaria ma accessibile, affascinante ma non ruffiana. Patrizia Krachmalnicoff


Razzi di supporto tricolori Dall'Italia la spinta verso il cielo
AUTORE: RIOLFO GIANCARLO
ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, TECNOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: BPD DIFESA E SPAZIO, FIATAVIO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: IL NUOVO RAZZO EUROPEO «ARIANE 5» TEMA: IL NUOVO RAZZO EUROPEO «ARIANE 5»

TUTTO è pronto al centro spaziale di Kourou, nella Guyana francese, per il primo volo del vettore «Ariane 5». L'ultimo nato della famiglia di razzi europei è un colosso alto come un palazzo di sedici piani. Rispetto al precedente «Ariane 4», ha prestazioni quasi doppie e batte di parecchie lunghezze gli attuali lanciatori americani e russi. Può portare, infatti, venti tonnellate di carico utile in orbita bassa, oppure mettere in orbita di trasferimento geostazionaria due o più satelliti per volta, con una massa complessiva di sei tonnellate. Alla partenza, con l'accensione dello stadio principale a idrogeno e ossigeno liquidi e dei due razzi ausiliari a combustibile solido, la spinta dei motori supera le 1200 tonnellate: come 50 propulsori del Boeing 747 alla potenza di decollo. La tempesta di fiamme che accompagnerà il distacco dalla piattaforma di Ariane 5 sarà anche un successo della tecnologia italiana. Alti 31 metri e pesanti 30 tonnellate, i due stadi a propellente solido sono realizzati, infatti, dalla Bpd Difesa e Spazio (azienda controllata dalla FiatAvio), insieme con la francese Sep. Bruciando 236 tonnellate ciascuno di un impasto a base di polvere d'alluminio e perclorato d'ammonio, al ritmo di quasi due tonnellate al secondo, forniranno il 90 per cento della spinta nei primi due minuti di volo. Esaurito il propellente a un'altezza di 60 chilometri, i booster si separeranno per cadere nell'Oceano Atlantico e «Ariane 5» proseguirà la sua ascesa con l'accelerazione impressa dallo stadio principale. Questo è dotato di un solo motore, il «Vulcain» (130 tonnellate di spinta alla potenza massima), alimentato da più di 25 tonnellate di idrogeno e 130 di ossigeno liquidi. A immettere nella camera di combustione 216 chilogrammi al secondo di ossigeno a - 183o C, è un altro prodotto «made in Italy»: la turbopompa progettata e costruita da FiatAvio. Un gioiello d'ingegneria, realizzato con leghe speciali, che funziona a 13 mila giri al minuto senza parti lubrificate. Se per i motori a propellente solido la sfida è legata alle dimensioni (sono 25 volte più grandi dei booster di «Ariane 4» e, non potendoli trasportare attraverso l'oceano, Bpd ha dovuto creare uno stabilimento per assemblarli in Guyana), per la turbopompa le difficoltà sono legate alle caratteristiche dell'ossigeno liquido, altamente reattivo. Per esempio, il montaggio deve avvenire in camere sterili, da parte di tecnici vestiti come chirurghi: basterebbe una traccia di sporcizia per innescare processi chimici capaci di danneggiare il dispositivo e compromettere la missione. Il «Vulcain» cesserà di funzionare dieci minuti dopo il lancio, a un'altezza di 140 chilometri. Il compito d'imprimere l'accelerazione finale per inserire i satelliti nell'orbita prevista spetta a un piccolo motore a combustibile liquido, collocato direttamente sotto il carico. Grazie a una tecnologia avanzata nel campo della propulsione, «Ariane 5» utilizza in tutto quattro motori, contro i dieci di «Ariane 4». Una semplificazione vantaggiosa per l'affidabilità (dovrebbe essere superiore al 99 per cento) e per i costi; il prezzo per la messa in orbita di un satellite, calcolato un tanto al chilogrammo, sarà inferiore del 45 per cento rispetto ad «Ariane 4». Il nuovo vettore è destinato quindi a rafforzare l'attuale leadership europea per i lanci commerciali. In questo sarà anche favorito dalla capacità di carico, dal momento che i satelliti per telecomunicazioni diventano più massicci. Oltre che per il trasporto merci, «Ariane 5» è stato concepito anche per portare l'uomo nello spazio a bordo della navetta «Hermes». Abbandonato questo progetto per ragioni di bilancio, l'Agenzia spaziale europea non ha rinunciato a un veicolo per mandare in orbita i propri astronauti, ripiegando però su una capsula tradizionale. Per studiare la delicata fase del rientro nell'atmosfera, verrà impiegata la navicella «Ard»: un dimostratore senza equipaggio, con la stessa forma a tronco di cono della capsula americana «Apollo». Lanciata da Kourou, compirà quasi un'orbita completa per ammarare nell'Oceano Pacifico appesa a tre grandi paracadute. Il colaudo è previsto il prossimo autunno, con il secondo volo dell'«Ariane 5». Giancarlo Riolfo


GRANDE SFIDA In testa sul mercato spaziale
AUTORE: LO CAMPO ANTONIO
ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, TECNOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: ARIANE 5, SEP, SNPE, GRUPPO FIAT, FIATAVIO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: IL NUOVO RAZZO EUROPEO «ARIANE 5» TEMA: IL NUOVO RAZZO EUROPEO «ARIANE 5»

VISTA da lontano, la struttura di «Ariane 5» ricorda quella che lancia lo space shuttle americano: un grosso cilindro affiancato da due razzi laterali. Visto da vicino è un massiccio razzo vettore alto più di 50 metri interamente progettato e costruito da aziende europee. «Ariane 5» è l'ultimo nato di una generazione fortunata. Il primo della serie,«Ariane 1», fu lanciato nel dicembre 1979 dallo spazioporto di Kourou, nella Guyana francese. Sempre più sofisticati e potenti, gli «Ariane» un po' alla volta si sono conquistati la metà del mercato mondiale per il lancio di satelliti commerciali, sbaragliando la concorrenza di americani, giapponesi, russi e cinesi (questi ultimi con prezzi molto competitivi, sia pure con razzi di dubbia affidabilità). «Ariane 5» è il primo lanciatore europeo in grado di portare in orbita grossi satelliti, moduli e piattaforme con e senza equipaggio. La sua struttura attuale non comprende uno shuttle, ma il progetto originario lo prevedeva. La mini-navetta europea «Hermes», tre volte più piccola rispetto allo shuttle della Nasa, è stata per ora cancellata: doveva essere lanciata con «Ariane 5», incastrata sulla sua vetta al posto della classica ogiva, e Maurizio Cheli, astronauta italiano dell'Esa «fresco di spazio», avrebbe dovuto pilotare uno dei primi voli di collaudo della «Hermes». «Ariane 5» ha resistito alla bufera dei problemi finanziari che hanno travolto parte dei progetti comunitari dello spazio, e adesso è lì in posizione di lancio, sulla nuova e fiammante piattaforma Ela-3, costruita appositamente per lui al poligono della Guyana, dove vivono e lavorano da anni decine di tecnici e ricercatori italiani. Il nostro Paese condivide con i francesi della Sep e Snpe la responsabilità di realizzazione dei due grandi booster laterali: la Bpd Difesa e Spazio del Gruppo Fiat ha la responsabilità delle protezioni termiche del propulsore, del caricamento del propellente e dell'accenditore. I booster sono alti 32 metri e hanno un diametro di 3 metri. Bruciano perclorato di ammonio e alluminio in tre segmenti pesanti 268 tonnellate (238 solo il propellente), fornendo una spinta massima di 600 tonnellate per 132 secondi. Dopo che «Ariane 5» si sarà staccato da terra, i due razzi si separeranno dal massiccio stadio centrale a 56 chilometri di quota, ricadendo nell'oceano e, a differenza di quelli dello Shuttle, non verranno riutilizzati. Fin da queste prime fasi del lancio funzionerà a pieno regime il gioiello tecnologico sviluppato dalle aziende europee per «Ariane 5»: il motore «Vulcain» che brucia idrogeno e ossigeno liquidi, posto alla base del corpo centrale del razzo, e capace di sviluppare una spinta di 81 tonnellate al suolo e 110 nel vuoto. Uno degli elementi del «Vulcain» è la turbopompa dell'ossigeno liquido, realizzata (insieme alla turbina) da FiatAvio. La parte italiana comprende altre aziende tra cui Microtecnica, che ha realizzato le elettrovalvole di controllo del sistema di pilotaggio pneumatico del motore, e altre componenti usate sia su «Vulcain» sia sullo stadio centrale. «Ariane 5» è costato ai quattordici Paesi aderenti all'Agenzia spaziale europea circa 9 miliardi (in lire), il 15 per cento dei quali di provenienza italiana. Ogni volo costerà più di 100 miliardi, più o meno come «Ariane 4», ma in prospettiva con minori costi di gestione. I prossimi appuntamenti di «Ariane 5» dopo la grande prima attualmente prevista per il 30 maggio? Eccoli: il programma dei voli prevede un secondo lancio a settembre, tre lanci nel 1997 (febbraio, giugno, settembre) e quattro nel 1998 (gennaio, marzo, settembre, novembre). Antonio Lo Campo


IL 30 MAGGIO «Ariane 5», primo volo L'Europa entra nel 2000
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, TECNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T. TAB., D. IL RAZZO EUROPEO «ARIANE 5» =========================================================== L'OGIVA. Protegge il carico utile dagli agenti esterni al momento del decollo --------------- Diametro 5,4 metri --------- Altezza 12,7 o 17 metri --------- Volume 200 m3 --------- Massa 1750 chilogrammi ----------------------------------------------------------- SPELTRA. Sigla: Struttura Trasportatrice Esterna per lanci multipli Ariane usata in caso di lanci di due satelliti, permette di piazzare in orbita due carichi utili in modo separato --------------- Diametro 5,4 metri --------- Altezza 7 metri --------- Volume 138 m3 --------- Massa 850 chilogrammi ----------------------------------------------------------- ARIANE 5. Ha un cervello elettronico contenente tutti i dati necessari al lancio. Il razzo non è guidato da terra, ma da un complesso sistema informatico (due centrali inerziali e realativi calcolatori) che lo guidano nel punto voluto dello spazio e si occupano della separazione dei vettori laterali, del rilascio del carico utile e di tutte le fasi dell'ascesa verso lo, ogni millesimo di secondo ----------------------------------------------------------- EPS. Posto tra la Speltra e lo stadio centrale criogenico, è un sistema non accendibile durante l'attraversamento atmosferico. Lo si può riaccendere in base al tipo di missione (satelliti e moduli in orbita bassa e geostazionaria oppure sonde da inviare verso i pianeti più lontani) --------------- Motore 1 (AESTUS) --------- Diametro 3,94 metri --------- Altezza 3, 56 metri --------- Massa 1150 chilogrammi --------- Potenza 2 tonnellate --------- Contiene 9,7 tonnellate di propellente --------- Durata funzionamento 1100 secondi per missioni geostazionarie ----------------------------------------------------------- STADIO CRIOGENICO --------------- Motore 1 (VULCAN) --------- Diametro 5,4 metri --------- Altezza 30 metri --------- Massa 170 tonnellate --------- Potenza 100 tonnellate --------- Contiene 25 ton. di idrogeno e 130 ton. di ossigeno liquidi --------- Tempo funzionamento 570 secondi ----------------------------------------------------------- BOOSTERS. Funzionano a propellente solido --------------- Diametro 3 metri --------- Altezza 30 metri --------- Massa 270 tonnellate --------- Peso 640 tonnellate --------- Contengono 237 ton. di propellente solido ciascuno --------- Tempo funzionamento 132 secondi ===========================================================
NOTE: IL NUOVO RAZZO EUROPEO «ARIANE 5» TEMA: IL NUOVO RAZZO EUROPEO «ARIANE 5»

SUI calendari dell'Agenzia spaziale europea c'è una data segnata in rosso: il 30 maggio alla base di Kourou, nella Guyana francese, è previsto il volo inaugurale di «Ariane 5», il potente razzo che proietta l'Europa nel futuro. Alto 52 metri, 730 tonnellate al decollo, affidabile al 98,6 per cento, capace di portare in orbita un carico equivalente a 20 automobili di media cilindrata, «Ariane 5» apre una nuova epoca delle attività commerciali e scientifiche nello spazio. Ci sono voluti 9800 miliardi di investimento (1460 versati dal nostro Paese) ma ora l'Europa dispone di una macchina seconda soltanto allo Shuttle per potenza e sicurezza, e certamente molto più competitiva sul mercato del lancio di grandi satelliti, come quelli per telecomunicazioni. L'Italia a bordo è ben rappresentata. I due razzi laterali lunghi 31 metri che alla partenza forniscono il 90 per cento della spinta sono della Bpd Difesa e Spazio. La turbopompa che spinge 240 chilogrammi al secondo di ossigeno liquido nella camera di combustione del razzo principale è firmata FiatAvio. E alprogramma «Ariane 5» hanno dato contributi importanti Laben, Microtecnica, Idrosapiens, Lodigiani, Peyrani. Con questo primo lancio l'Agenzia spaziale europea porta a compimento non solo il suo ambizioso impegno nel campo dei lanciatori, ma anche il programma scientifico «Cluster», che a sua volta si inserisce in un ampio progetto per lo studio del Sole e della sua influenza sull'ambiente intorno alla Terra. La prima tappa è stata la navicella «Ulisse», che ha appena esplorato i poli solari e tornerà a osservarli nei prossimi anni; come seconda tappa, da qualche settimana è in piena attività la navicella «Soho», messa in orbita come un minipianeta intorno a uno dei punti di equilibrio gravitazionale di Lagrange per poter osservare in continuità tutti i fenomeni della nostra stella; ad «Ariane 5» tocca realizzare la terza e ultima tappa mettendo in orbita i quattro satelliti destinati allo studio dei rapporti tra il nostro pianeta e l'attività solare, che si esprime tra l'altro con un «vento» di particelle subatomiche nel quale l'intero sistema planetario si trova immerso. I satelliti «Cluster» (grappolo) sono tutti uguali e verranno collocati ai vertici di un ideale tetraedro in modo da poter analizzare il «vento solare» in tre dimensioni. Escluso il propellente (650 chilogrammi), pesano ognuno 525 chili, 72 dei quali sono strumenti che permettono 11 diversi tipi di osservazioni. La tedesca Dornier ha la responsabilità principale del programma, ma l'italiana Laben (gruppo Alenia, Iri-Finmeccanica) ha svolto un ruolo di estrema importanza realizzando il «cervello» dell'intero sistema di satelliti. Si tratta di computer e software che svolgono vari compiti: raccolta e trasmissione dei dati in differita, interventi sulle reciproche posizioni dei satelliti secondo gli ordini impartiti da terra, diagnostica dei vari strumenti, riconfigurazione dell'intero sistema nel caso di qualche avaria, in modo da garantire, per quanto possibile, il proseguimento del piano di ricerca. I quattro satelliti «Cluster» verranno immessi su orbite polari fortemente ellittiche, con apogeo a 140 mila chilometri dalla Terra, quasi a metà della distanza della Luna. La loro disposizione nello spazio consentirà una analisi del campo magnetico e delle particelle atomiche soffiate dal Sole intorno a sè. Queste particelle (protoni, neutroni, elettroni, nuclei di vari elementi) formano un plasma (stato della materia ionizzata) e interagiscono con il campo magnetico interplanetario: la densità del plasma può cambiare notevolmente anche su brevi distanze, da qualche centinaio a qualche migliaio di chilometri. Solo il «Cluster» di satelliti può quindi chiarirci l'evoluzione del fenomeno nelle tre dimensioni. Queste ricerche non interessano solo agli astrofisici. Ci sono anche aspetti applicativi. Una miglior conoscenza del vento solare permetterà di proteggere meglio apparecchiature elettroniche ed equipaggi umani nello spazio. I satelliti per telecomunicazioni sono le vittime predilette delle tempeste solari, e spesso i danni sono gravi. Dato che il «vento» di particelle solari viaggia alquanto più lentamente delle onde radio, questi satelliti potrebbero mettere in allarme le stazioni terrestri con alcune ore di anticipo. I tecnici avrebbero così la possibilità di disattivare l'elettronica dei satelliti minacciati, prevenendone il danneggiamento. A quando i risultati? I primi arriveranno entro quest'anno. La durata della missione «Cluster» è prevista in due anni. Ma potrà durare di più se si risparmierà sul propellente necessario per modificare la disposizione dei satelliti. Piero Bianucci


DOCUMENTI RITROVATI Leonardo in risaia ingegnere idraulico
Autore: QUAGLIA GIANFRANCO

ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA, RITROVAMENTO, DOCUMENTI, TECNOLOGIA
NOMI: LEONARDO DA VINCI
LUOGHI: ITALIA

LEONARDO da Vinci aveva trent'anni quando si presentò alla corte di Ludovico il Moro con una lettera rimasta famosa nella quale si definiva «esperto nel conducere acqua da un locho a l'altro». Siamo nel 1482. In provincia di Pavia, sotto il dominio degli Sforza, si era già compiuto il «miracolo»: la coltivazione del riso a livelli produttivi estesi. In quegli anni, proprio come ora, la pianura della Lomellina (che con il Vercellese e il Novarese forma il triangolo d'oro della risicoltura europea) era un mare d'acqua dolce, inframmezzato da argini di contenimento. Uno spettacolo che affascinò anche l'«esperto» Leonardo, tanto da annotare con la sua «infallibile sinistra mano» una serie di appunti. La terra di risaia e l'intrico di canali e fossatelli erano diventati per l'architetto-scienziato una «palestra» in grado di aumentare le sue conoscenze in materia di ingegneria idraulica, e migliorare la rete irrigua già esistente. Delle sue annotazioni troviamo traccia sia nel Codice Hammer sia nel Codice Leicester. Il «laboratorio» irriguo in quel pezzo di pianura padana che gli Sforza avevano già realizzato con il tracciato del Naviglio Sforzesco, fornì a Leonardo spunti notevoli all'«ingegnere camerale» per apportare perfezionamenti. Durante il suo frequente vagabondare nella campagna attorno a Vigevano, Leonardo esaminava con attenzione canali e chiuse e scriveva: «Queste porte sono state per me molto istruttive». E ancora, nel Codice Leicester, disegnò e descrisse la scala d'acqua della Sforzesca: «... scala di Vigevine sotto la Sforzesca, di 130 scaglioni, alti un quarto e larghi mezzo braccio, per la quale cade l'acqua e non consuma niente nell'ultima percussione; e per tale scala è disceso tanto terreno, che ha secco una palude, cioè riempiuto; e se n'è fatto praterie, di paludi di gran profondità». Tre rapidi disegni, molto eloquenti e fedeli. Gli studiosi si dividono su un punto: sono il frutto di una osservazione o di un'opera concepita dallo stesso Leonardo ed eseguita per completare la bonifica del territorio? Di certo si sa che lo scienziato fu chiamato da Ludovico il Moro per sovrintendere ai fiumi e ai navigli, con il compito di riparare canali pubblici e privati. Nel 1498 Leonardo da Vinci apportò anche nuovi perfezionamenti alle conche e sistemò con un fossato la Martesana. I «salti» d'acqua erano diventati per Leonardo un motivo di grande interesse perché rappresentavano, a quei tempi, l'unica fonte di energia che avrebbe messo in moto le macchine già concepite dal suo genio. Osservando i mulini scriveva: «Se una ruota mette in moto una macchina, non ne può mettere in moto due senza impiegare maggior tempo; così la medesima ruota può ben far girare un numero infinito di macchine, ma ci metterà più tempo, e quelle macchine tutte insieme non faranno più lavoro che la prima macchina in un'ora». E ancora: «Più la forza si estende di ruota in ruota, di leva in leva, di vite in vite, e più essa è potente e lenta». Tutte osservazioni di carattere scientifico, che oggi possono far sorridere, ma cinque secoli fa rappresentavano punti di partenza per rivoluzioni tecnologiche. Non risparmiava, Leonardo Da Vinci, frecciate a qualche altro ingegnere ducale che evidentemente contrastava i suoi progetti: «E' impossibile che, sia pure in un lunghissimo spazio di tempo, un peso discendente possa far risalire un altro peso eguale fino allo stesso livello dal quale è disceso. Allora taci, tu che vuoi tirare un peso d'acqua più pesante che non il contrappeso che lo solleva». A distanza di cinquecento anni i campi della Lomellina irrigati a risaia offrono uno spettacolo più o meno analogo a quello che lo scienziato vedeva nelle sue incursioni quotidiane. Si può ben dire adesso che la risaia rappresentò un laboratorio naturale per gli esperimenti di Leonardo e un punto di partenza per le grandi opere idrauliche. Gianfranco Quaglia




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