TUTTOSCIENZE 6 marzo 96


IN ITALIA Campionato di giochi matematici
NOMI: PENNAZZATO ALESSANDRO
ORGANIZZAZIONI: CENTRO ELEUSI, UNIVERSITA' BOCCONI
LUOGHI: ITALIA

IL campione mondiale di Giochi Matematici è un italiano, Alessandro Pennazzato, impiegato di banca a Treviso. Ha vinto il titolo nel '95 a Parigi, battendo centinaia di concorrenti. Ora il titolo è nuovamente in palio. Una prima serie di eliminatorie si terrà anche in Italia, in diverse città, il 23 marzo. A differenza delle Olimpiadi della Matematica, i Giochi sono aperti non solo a studenti, ma a tutti gli appassionati di matematica, dai 10 anni in su. Il Centro Eleusi dell'Università Bocconi di Milano organizza la selezione italiana. La finale si terrà alla «Bocconi» l'11 maggio e aprirà l'accesso alla finalissima di Parigi in settembre. Per gli interessati: Centro Eleusi, Un. Bocconi, via Gobbi 5, Milano; tel. 02- 58.365.113. E' disponibile un volume che raccoglie i giochi proposti nelle ultime edizioni.


ALLARME OMS Torna il fantasma Tbc I virus emergenti del Terzo Mondo
Autore: ROTA ORNELLA

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, TERZO MONDO
NOMI: HEYMANN DAVID
ORGANIZZAZIONI: OMS ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITA'
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T.TAB. DATI OMS 1994 SULLA DIFFUSIONE DELLA TUBERCOLOSI ============================================================ Popolazione mondiale: 5,7 miliardi --- Numero di persone infettate dalla tubercolosi: 1,9 miliardi --- Numero di persone infettatae dall'HIV (Aids): 14 milioni --- Numero di persone infettate dalla tubercolosi e dall'HIV (Aids): 5,6 milioni ============================================================
NOTE: Giornata mondiale della tubercolosi

TRE milioni di persone, nel 1995, sono morte per tubercolosi, malattia infettiva che ha fatto più vittime di ogni altra, ma che fino a ieri veniva generalmente ritenuta vinta. Molte altre sono morte per malattie dai sintomi sconosciuti, mai finora comparsi. Sul finire del secondo millennio, vecchi spettri e nuovi incubi gravano sulla salute degli abitanti del pianeta Terra. Il 24 marzo sarà la Giornata mondiale della tubercolosi, promossa dall'Organizzazione mondiale della Sanità. Un sistema immunitario saldo reagisce senza problemi al contagio della tbc, anzi il bacillo a volte non s'instaura proprio. In un sieropositivo - l'Aids è stata la più tremenda fra le malattie nuove finora emerse - le probabilità di ammalarsi sono 30 volte superiori. Eppure non ci sono dubbi che di per sè la tbc sia curabile. Basti pensare alla Cina dove l'Unione internazionale contro la tubercolosi e le malattie respiratorie conferma che oggi le guarigioni superano il 90 per cento, mentre fino a non molto tempo fa non arrivavano al 50, o alla Tanzania dove le percentuali sono passate dal 43 all'80. Malattia curabile dunque, e soprattutto prevenibile: a condizione però di nutrirsi a sufficienza e di vivere in luoghi salubri, rispettosi di un minimo di igiene. Considerazioni analoghe per le malattie emergenti. L'urbanizzazione selvaggia dissangua le campagne del Terzo Mondo; cresce il numero di città assediate da bidonvilles fatiscenti, i cui tuguri brulicano di umanità disperata e degradata. La pressione demografica spinge sempre più gruppi e famiglie a trasferirsi in posti lontani, isolati, dove le inesistenti precauzioni igieniche favoriscono l'azione di agenti batterici mai studiati finora. Non a caso, nella parte settentrionale dell'America del Sud e delle Antille, le odierne, periodiche, epidemie della «febbre di Oropouche» seguono di qualche anno i casi sporadici che di questa misteriosa malattia si verificarono subito dopo l'afflusso di comunità provenienti dall'Amazzonia. Anche la generale evoluzione dei modi di vita finisce con l'essere un fattore di obiettiva facilitazione all'emergere ed espandersi di malattie nuove. Fino a pochi decenni or sono, i viaggi internazionali erano appannaggio di pochi privilegiati, mentre ai nostri tempi è normale che europei e americani passino le vacanze in Africa e/o Asia, e che numerosi abitanti di Paesi tropicali le trascorrano da noi. Una persona contagiata in un posto (aereo non escluso) può ammalarsi in un altro, magari di un morbo colà sconosciuto; e i bacilli che si adattano a climi diversi si riproducono e perpetuanno più facilmente. In aumento anche le epidemie di origine alimentare: negli odierni allevamenti di migliaia di bovini, basta un animale infetto per contaminare migliaia di hamburger. Nel '94, soprattutto per fronteggiare l'epidemia di Ebola, l'Oms creò un'apposita Divisione delle malattie emergenti, virali e batteriologiche, con il già allora dichiarato compito di arginare la crescente incidenza di malattie nuove. Diretta da David Heymann, quest'unità di crisi si avvale di un sistema di pre-allerta e di una rete di laboratori disseminati in vari Paesi; 24 ore dopo l'annuncio di un'epidemia, specialisti e attrezzature adeguate sono in grado di giungere nella località colpita. E' quanto l'Ufficio americano della salute (nome dell'Oms in questo Continente) ha di recente fatto, ad esempio, nella regione rurale di Achuapa, un centinaio di chilometri a Nord- Ovest di Managua, per combattere il dilagare di un'affezione che consisteva in febbre, mal di testa e dolori muscolari, e che, in alcuni casi, conduceva alla morte per emorragia polmonare. Di competenza della struttura anche un altro fra i problemi più gravi dei nostri anni: la resistenza agli antibiotici, da parte anche di malattie note. Per quanto riguarda la tbc, ad esempio, una recente ricerca condotta a New York ha rilevato che un terzo di essi era resistente a uno specifico farmaco e un quinto ai principali medicamenti. Ornella Rota


ENURESI NOTTURNA INFANTILE Desmopressina e poi a nanna
Autore: PELLATI RENZO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, BAMBINI
NOMI: GIORGI PIER LUIGI
ORGANIZZAZIONI: CIEN CLUB ITALIANO ENURESI NOTTURNA
LUOGHI: ITALIA

UNA recente indagine epidemiologica fatta in Italia dal Cien (Club Italiano Enuresi Notturna, presidente Pier Luigi Giorgi, Clinica pediatrica dell'Università di Ancona) ha misurato il peso reale del fenomeno enuresi: il 15-20 per cento dei bambini in età scolare bagna il letto più volte nel corso della settimana (in pratica, un milione di bambini). In passato le interpretazioni dell'enuresi sono state numerose: disturbi psicologici, difficoltà di risveglio, disfunzioni della vescica. Studi più recenti hanno dimostrato il ruolo fondamentale della vasopressina (Adh-Anti Diuretic Hormon), una sostanza fisiologica antidiuretica secreta dall'ipofisi posteriore. Il confronto tra i livelli di vasopressina nel sangue del bambino sano e di quello enuretico ha messo in evidenza una differenza significativa. Nel primo, l'Adh subisce un marcato incremento notturno che determina una netta riduzione della produzione di urina e, di conseguenza, il controllo della minzione. Al contrario, nella maggior parte dei bambini enuretici, non si rileva il picco notturno di vasopressina e i livelli rimangono costanti nell'arco delle 24 ore. La quantità di urina prodotta durante la notte, quindi, aumenta, superando la capacità funzionale della vescica e provocando l'episodio enuretico. Si è così aperta la strada a una nuova terapia che usa la desmopressina (un analogo sintetico della vasopressina), per tenere sotto controllo la produzione notturna di urina nei piccoli enuretici. La desmopressina non è un ormone: induce il riassorbimento dell'acqua a livello del tubulo renale e la riduzione del volume urinario. Contemporaneamente consente la naturale maturazione dei meccanismi preposti al controllo degli sfinteri. L'enuresi notturna va trattata per 3-4 mesi (con sospensioni alternate a riprese) solo dopo i 5 anni di età, considerando che esistono tempi e modalità di acquisizione del controllo vescicale diurno e della produzione di Adh strettamente individuali. Renzo Pellati


BIOMEDICINA Scoperto gene dell'obesità?
Autore: GIACOBINI EZIO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, GENETICA
NOMI: FRIEDMAN JEFFREY
ORGANIZZAZIONI: ROCKEFELLER UNIVERSITY
LUOGHI: ITALIA

DOPO la scoperta del gene dell'obesità ci giunge ora quella dell'ormone e del ricettore cerebrale che danno la sensazione di essere sazi. Poco più di un anno fa un gruppo di genetisti molecolari della Rockefeller University di New York diretto da Jeffrey Friedman comunicava in Nature la scoperta di un gene che, quando soggetto a mutazione, era in grado di riprodurre una grave forma di obesità nei topolini. Più importante era la successiva scoperta da parte del medesimo gruppo di ricercatori, di un gene molto simile a quello del topo anche nell'uomo. Il gene fu immediatamente sospettato di essere la causa dello stesso disturbo nell'uomo e nell'animale. La scoperta del gene dell'obesità (denominato per questo «gene-ob» da obesità), provocò rapidamente una serie di importanti novità quali la scoperta di una nuova proteina espressa in modo specifico solo nel tessuto adiposo. La possibile relazione tra gene-ob, superproduzione di tale proteina ed obesità era ovvia. La proteina espressa dal gene umano è per l'84% simile dal punto di vista chimico a quella espressa dal topolino. Il gene che la produce è localizzato nel topolino nel cromosoma 6. La proteina codificata dal gene-ob fu denominata leptina. Essa viene considerata come una specie di ormone ad azione diretta sul sistema nervoso centrale, un vero controllore della regolazione dell'accumulo di tessuto adiposo. Ad un anno dalla scoperta del gene-ob, Tartaglia e colleghi riportano in Cell l'identificazione del ricettore cerebrale della leptina. Si aggiunge così un nuovo frammento al puzzle che porterà forse a comprendere la causa dell'obesità nell'uomo. Un esagerato aumento di peso costituisce il più importante e frequente disturbo nel campo della nutrizione. Ci riferiamo al dato che indica che oltre un terzo della popolazione degli Stati Uniti ed oltre il 20% degli europei hanno un peso corporeo superiore al 20% della norma. E' noto che l'obesità si associa a disturbi quali il diabete, l'ipertensione arteriosa, le coronaropatie e vari problemi muscolari e dello scheletro. Nel topolino si descrivono diversi tipi di obesità legati al gene-ob. Uno di questi porta l'animale a sviluppare un peso enorme rispetto a quello normale. Una situazione analoga è probabilmente presente anche nell'uomo. La leptina prodotta sotto il controllo del gene-ob dalle cellule del tessuto adiposo si diffonde da questo attraverso il sangue fino a giungere a una zona del cervello chiamata ipotalamo. Tale centro contiene appunto i ricettori della leptina mediante i quali l'ipotalamo controlla indirettamente l'accumulo del grasso nei vari tessuti. Tale effetto si attua sia regolando l'appetito che modulando il livello di energia da spendere. Una variante del gene-ob chiamata db (diabete) influenza direttamente il ricettore del segnale prodotto dalla leptina nel cervello. Negli esseri umani come negli animali in genere una mancata risposta dei ricettori ipotalamici al segnale «sono sazio» provocato dalla leptina è altrettanto importante che un difetto nella sua produzione. In entrambi i casi l'informazione che ne risulta è quella di «continuare a mangiare». La ricerca di «fattori di sazietà» che ci informano quando è opportuno smettere di nutrirci risale ad oltre 40 anni fa. Le informazioni che giungono al cervello sono così precise ed efficienti da mantenere la quantità di grasso corporeo negli animali entro limiti di variazione dell'1% per un periodo di diversi anni. Nell'uomo lo stesso meccanismo non è purtroppo altrettanto efficiente come dimostrato dalla nota difficoltà di mantenere un peso costante. Si è scoperto che la produzione della leptina da parte delle cellule del tessuto adiposo è controllata non solo dallo stato di nutrizione ma anche dall'insulina e dagli ormoni glucocorticoidi. Oltre che nell'ipotalamo i ricettori della leptina sono stati individuati anche in zone diverse del cervello quali i plessi coroidei, piccole formazioni che sporgono all'interno delle cavità cerebrali e perfino nei polmoni e nei reni. I ricettori ipotalamici sono però quelli che sotto diretta stimolazione della leptina influiscono sul controllo dell'energia spesa dall'organismo regolando a loro volta la produzione di sostanze che sopprimono l'appetito o lo fanno aumentare fino al punto in cui sia raggiunta la sazietà. Tutti i risultati sperimentali sembrano confermare il ruolo centrale della leptina quale vero ormone della sazietà. Malgrado il rapido succedersi di scoperte così fondamentali nel campo della nutrizione rimane ancora molto terreno da coprire. Si ignora ancora la risposta a molte domande importanti. Come viene controllata la produzione e la secrezione della leptina delle cellule adipose? Come si traduce il segnale della leptina nei comandi «continua a nutrirti» o «basta sei sazio»? L'ignorare o il trascurare tali segnali potrebbe portare prima o poi a sopprimere il segnale di allarme dato dalla leptina al cervello. Un difetto del genere potrebbe essere alla base del problema obesità. La futura terapia del sovrappeso sarà forse costituita dall'uso di farmaci che aumentino la produzione della leptina o che ne amplifichino il segnale nel cervello rendendoci più coscienti del pericolo. Ezio Giacobini


AVIFAUNA L'Ortolano e la Schiribilla Indagini sugli uccelli che nidificano in Italia
Autore: BORDIGNON LUCIO

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ECOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: CAI
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, VALSESIA (VC)
TABELLE: C. Dalle montagne ai canneti. Mappa della Valsesia (densità di uccelli presenti nei vari biotipi)
NOTE: «Gli uccelli della Valsesia»

FINO a vent'anni fa non esistevano studi completi sull'avifauna del nostro Paese e non si sapeva bene quali fossero le specie di uccelli che si riproducono in Italia nè quali fossero le loro popolazioni. Poi, negli Anni 80, molti si interessarono della salute della Terra e degli animali selvatici. Fra questi vi erano e vi sono tuttora molti appassionati ornitologi che decisero di organizzarsi e fare ricerca sul campo. Ne scaturirono studi soprattutto sulla distribuzione dell'avifauna, prima base per ulteriori approfondimenti. Il prodotto più classico di questi sforzi, a cui partecipavano per lo più dilettanti (alcuni dei quali di ottima preparazione), era la realizzazione di atlanti degli uccelli nidificanti. Questi atlanti avevano in comune la suddivisione del territorio indagato, che poteva essere una regione, una provincia, una vallata alpina o un comune, in quadratini di differente estensione che poteva andare da una superficie minima 0,25 chilometri quadrati a un massimo di 100. Il quadratino era quindi l'unità base del rilevamento, quella utilizzata per indicare la presenza o l'assenza della specie in un dato comprensorio. Più era grande la scala (cioè più il quadratino era di piccola superficie) più erano approfondite le informazioni sulla distribuzione delle varie specie. All'inizio degli Anni Ottanta si studiarono soprattutto le comunità nidificanti che avevano uno stretto legame col territorio, poi verso la fine del decennio si iniziarono a produrre atlanti sulle comunità svernanti. Oltre a nozioni di tipo spaziale queste indagini conservarono una prima raccolta di informazioni ambientali, numeriche, biologiche e conservazionistiche sulle specie studiate. Ma a questi studi sul campo, frutto di grandi fatiche e di grandi competenze, mancava un'applicazione pratica sul territorio che condensasse ogni dato raccolto a fini di pianificazione. Del resto gli uccelli sono ottimi indicatori biologici e segnalano con la loro presenza o assenza le buone o le pessime condizioni dell'habitat. Così la presenza di una famiglia di Tarabuso (Botaurus stel laris) è indicatrice dell'ampiezza e complessità ecologica di un canneto inondato, dove sicuramente troveremo altre specie rarefatte in Italia come la Salciaiola (Locustella luscinioides) o la Schiribilla (Porzana parva). La presenza nei campi dell'Averla capirossa (Lanius senator) è indice di buona diversificazione vegetazionale, con alternanza di incolti erbacei, siepi e boschetti, dove possono convivere specie come la Bigia grossa (Sylvia hortensis) o l'Ortolano (Emberiza hortulana), vere rarità. Ancora, la presenza del Merlo acquaiolo (Cinclus cinclus) nelle acque di un torrente ne indica la bassa concentrazione inquinante. La presenza di rapaci che sono all'apice della catena alimentare come l'Aquila reale (Aquila crysaetos), l'Astore (Accipiter gentilis) o il Gufo reale (Bubo bubo), indica una sufficiente popolazione di prede e quindi un buona salute dell'ecosistema che le mantiene. Ma come ricavare informazioni concrete, applicabili da professionisti, politici o imprenditori, che intendono pianificare il territorio? Un primo metodo, finora anche il solo ad essere usato, era quello di evidenziare i quadratini più ricchi di specie, presupponendo che all'interno di questi, data la loro ricchezza, si trovassero situazioni ambientali di pregio. Ma ciò spesso non corrispondeva a verità o meglio non sempre veniva centrato l'obbiettivo di segnalare specie rarefatte o ambienti preziosi da tutelare. Si pensò così di mettere a punto un nuovo metodo che prevedeva di individuare i quadratini con habitat interessanti in base alla presenza delle singolo specie e non in base al loro numero globale. A ogni specie veniva attribuito un punteggio che aumentava con la rarità della specie stessa, calcolata in base alla presenza percentuale sul territorio indagato o su territori vicini (dati ricavati da altri studi avifaunistici). Con questa metodologia più era scarsa la presenza in natura della specie più questa acquistava punteggio. Sommando i vari punteggi di ogni singola specie contattata all'interno dello stesso quadratino, si costruiva un quadro generale con evidenziati i quadratini più «pregevoli». Un'applicazione di questo nuovo elaborato è stata proposta nel libro de «Gli uccelli della Valsesia», edito nel 1993 dal Cai di Varallo. I quadratini a più alto punteggio in Valsesia sono risultati quelli di fondovalle, nel tratto a valle di Varallo. E' qui quindi che i legislatori devono operare salvaguardando gli habitat ripariali superstiti, oggetto negli ultimi 40 anni di continue aggressioni. Qui si sono costruite grosse industrie, nuovi habitat e strade che hanno compromesso il delicato equilibrio dei volatili che vivevano negli stagni, ora bonificati, nelle praterie sassose, nei vasti frutteti a prato, nei boschi rivieraschi di ontani e salici, che caratterizzavano tutta l'asta fluviale del Sesia tra Alagna e Romagnano Sesia. Lo studio sull'avifauna ha sottolineato quanto gli ambienti golenali siano ricchi e importanti non solo a fini naturalistici ma a fini geologici e pianificatori: in Piemonte e Lombardia il monito a non costruire sugli alvei è stato fornito dall'alluvione del novembre 1994] Gli studi sull'avifauna possono, con sforzo finanziario irrisorio, fornirci utili indizi sulla tutela di piccoli o vasti comprensori. Utilizziamo gli uccelli come fonte d'informazione finché abbiamo il tempo per correre ai ripari. Lucio Bordignon


CREATO IN GERMANIA Nuovo elemento chimico Mai visto un atomo così pesante
Autore: BRUSASCO CATERINA

ARGOMENTI: FISICA, CHIMICA, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: ARMBRUSTER PETER
ORGANIZZAZIONI: GSI
LUOGHI: ITALIA

C'E' una nuova data destinata a rimanere nella storia della fisica e della chimica: il 9 febbraio 1996. In quel giorno, al centro di ricerca di fisica nucleare del GSI di Darmstadt, un gruppo di scienziati guidato per più di vent'anni da Peter Armbruster ha scoperto il suo sesto elemento chimico: l'atomo con numero atomico 112, il più pesante mai osservato finora. Il centro di ricerca del GSI, già noto per la collaborazione alla recente «costruzione» al Cern di Ginevra del primo atomo di anti-idrogeno, si trova 25 chilometri a Sud di Francoforte e ospita, in collaborazione con oltre 25 Paesi, una trentina di esperimenti sia per la ricerca di base in fisica nucleare e atomica sia per la ricerca applicata, per esempio, alla terapia dei tumori, allo studio dei materiali o alla fisica dei plasmi. La scoperta dell'elemento 112 è il risultato di una collabarazione internazionale fra il GSI in Germania, il centro di Dubna in Russia e le Università di Bratislava, Slovakia e Jyvaskyla, Finlandia. L'isotopo identificato è l'atomo più pesante mai prodotto dall'uomo e possiede una massa atomica pari a 277, cioè risulta circa 277 volte più pesante dell'atomo d'idrogeno (il più leggero). Chimicamente l'elemento 112 può essere considerato il fratello maggiore degli elementi zinco, cadmio e mercurio, anche se contrariamente ai suoi parenti più leggeri, che sono stabili, decade dopo appena una frazione di millesimo di secondo emettendo particelle alfa (nuclei di elio). La misura dell'energia delle particelle alfa, emesse nella catena di decadimento, ha permesso la verifica di una importante previsione teorica: la maggiore stabilità, rispetto ai loro vicini, dei nuclei che possiedono il numero «magico» di neutroni pari a 162. Il numero di protoni e di neutroni, i «mattoni» dei nuclei, è lo stesso negli elementi più leggeri, come l'ossigeno o l'azoto, ma al crescere della massa atomica si riscontra un eccesso nel numero di neutroni, che si accompagna a una crescente instabilità dei nuclei, fino al manifestarsi, in quelli più pesanti, del fenomeno della radioattività. Osservando però i nuclei con lo stesso eccesso di neutroni, si nota che l'energia con cui ogni nucleone è legato agli altri non ha un andamento lineare, ma presenta dei picchi di stabilità in corrispondenza di alcuni numeri di protoni e di neutroni ben definiti e detti, per questo motivo, «magici». Già trent'anni fa lo sviluppo del modello teorico che descrive questo fenomeno strutturale dei nuclei permise di prevedere l'esistenza di nuclei super-pesanti, tra cui i sei (dal 107 al 112) scoperti al GSI. In particolare, la catena di decadimento dell'elemento 112 ha permesso la verifica della grande stabilità della struttura con 162 neutroni, in quanto il suo tempo di decadimento è risultato 200 mila volte più grande di quello del suo progenitore radioattivo, confermando quindi la validità del modello teorico della struttura nucleare. Il nuovo elemento è stato prodotto fondendo un atomo di zinco con un atomo di piombo; a questo scopo gli atomi di zinco, accelerati fino a raggiungere alte energie dall'acceleratore del GSI, sono stati diretti su un bersaglio fisso di piombo. La reazione di fusione è molto rara e si verifica solo se l'atomo di zinco possiede una velocità ben definita. Nell'arco di diverse settimane molti miliardi di miliardi di atomi di zinco sono stati «sparati» sul bersaglio di piombo per produrre e rivelare un singolo atomo dell'elemento 112. Quest'atomo è stato prima separato dagli altri prodotti mediante un filtro di velocità, e quindi catturato da un sistema di rivelazione al silicio, che ne ha permesso l'identificazione tramite la sua caratteristica catena di decadimento. Caterina Brusasco Tera e GSI, Darmstadt


SCAFFALE Hack Margherita: «Una vita tra le stelle», Di Renzo; Romano Giuliano: «Orientamenti ad sidera», Essegi; Ferreri Walter: «Il libro dei telescopi», Il Castello
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ASTRONOMIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Tre libri che trattano di astronomia da punti di vista particolari. Il primo è di Margherita Hack e inaugura una nuova collana i cui volumi sono tratti da lunghe conversazioni: «Una vita tra le stelle», dopo un capitolo autobiografico, affronta i principali temi dell'astrofisica attuale: Big Bang, buchi neri, antimateria. L'astronomia dei primordi è invece il campo in cui si muove Giuliano Romano in un suo saggio sui calendari e sulle correlazioni astronomiche di antichi monumenti. Infine è da segnalare la terza edizione del fortunato «Libro dei telescopi» di Walter Ferreri, ora ampliato con un aggiornatissimo capitolo che tratta i nuovi giganteschi strumenti ottici in via di realizzazione. Piero Bianucci


SCAFFALE Oliverio Ferraris Anna: «Tv per un figlio», Laterza
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: PSICOLOGIA, LIBRI, BAMBINI
LUOGHI: ITALIA

Alla domanda «qual è l'ultima volta che hai giocato all'aperto?» il 53 per cento dei ragazzi italiani risponde «l'estate scorsa». Questo dato compare in un saggio della psicologa dell'età evolutiva Anna Oliverio Ferraris, preziosa guida per orientare i genitori nel labirinto televisivo, difendendo i più piccoli dall'esibizione della violenza, dall'ipnotismo dei programmi stupidi e dal tam-tam pubblicitario.


SCAFFALE Raso Domenico Raso e Casile Sandro: «Sentieri e misteri d'Aspromonte», Laruffa
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ECOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

L'Aspromonte, spesso associato alla cronaca nera, merita di essere riscattato sotto il profilo naturalistico, e se ciò avverrà sarà più facile risolvere anche i suoi problemi sociali. Un passo importante nella valorizzazione della natura dell'Aspromonte si compie con questa guida per escursionisti: decine di itinerari descritti minuziosamente, documentati con cartine e belle fotografie. Il volume è a cura dell'Azienda forestale della Regione Calabria.


SCAFFALE Macchi Alessandro: «Tunnel», Ed. Rispostes
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: TECNOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Riservata ai libri scientifici, questa rubrica fa per una volta un'eccezione segnalando un testo letterario. Ma a ben vedere l'eccezione è motivata: «Tunnel», di Alessandro Macchi, ha un filo conduttore che viene dall'ingegneria, dallo sforzo dell'uomo per plasmare il mondo attraverso la conoscenza e il lavoro. Che si scavi una galleria o si debba abbattere una ciminiera resa pericolante dal terremoto, in questi racconti così ben fusi insieme da diventare un romanzo a episodi, la tecnologia applicata a opere ingegneristiche d'impegno insolito diventa una sorta di meta-protagonista. Si ripete, in sostanza, quell'operazione di innervare la narrativa con una cultura scientifica che riuscì così bene al chimico Primo Levi e che ritroviamo nell'etologo Danilo Mainardi e nell'ingegnere Paolo Barbaro. Già noto per il romanzo «La guerra delle pietre» (Einaudi, 1975), Macchi progetta e realizza strade, ponti, gallerie, opere idrauliche. Attualmente dirige i lavori del passante ferroviario di Torino.


SCAFFALE Irenaus Eibl-Eibesfeldt: «I fondamenti dell'etologia», Adelphi
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ETOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

CONSACRATA negli Anni 70 dal premio Nobel a Lorenz, Tinbergen e Frisch, l'etologia ha conosciuto negli ultimi due decenni una crescita rigogliosa che la sta ora portando al di là dei limiti iniziali per integrarla nella cornice più generale della scienza dell'ambiente. Questo monumentale saggio di Irenaus Eibl- Eibesfeldt, radicalmente aggiornato rispetto alla sua prima versione di vent'anni fa, è insieme il miglior documento della crescita degli studi etologici e la più completa sintesi che oggi se ne possa dare in un unico manuale. Non manca neppure, ovviamente, quella «etologia umana» che Eibl-Eibesfeldt ha contribuito a fondare: ad essa è dedicato l'ultimo ampio capitolo, quasi cento pagine.


ELETTRICITA' Il videosabba grazie a Tesla
Autore: BO GIAN CARLO

ARGOMENTI: FISICA, STORIA DELLA SCIENZA
NOMI: TESLA NIKOLA
LUOGHI: ITALIA

CI sono effetti delle correnti alternate ad alta frequenza che ben si prestano a videosabba tipo quello, domeniche fa, del telemago Giucas Casella. Il trucco si chiama Nikola Tesla, ingegnere del gruppo di Edison e inventore dell'oscillatore, che ha indotto l'abominio dell'elettrofattucchiere. Alla fine dell'800, Tesla tifava per la corrente alternata, Edison per la continua. Fu lite. Hertz aveva dimostrato con esperimenti memorabili che elettricità e magnetismo possono distaccarsi da un corpo e raggiungerne un altro, sotto forma di onde elettromagnetiche. Forse gli sfuggì l'aspetto fantastico perché disse che non servivano a niente: però aveva gettato le basi delle trasmissioni radio e dell'elettromalia di massa. Morì giovane e si perse gli sviluppi. Le correnti ad alta frequenza, esercitando induzione intensa sui conduttori vicini, come le onde hertziane, si distinguono dalle altre correnti per alcuni effetti stregoneschi. Per esempio uno, che mi fa meditare sulla mia sciagurata bolletta della luce, avviene introducendo un circuito chiuso con una lampada, in un solenoide S. Strabiliante] La lampada s'illumina senza che sia stata collegata al circuito induttore. O un altro, modello scherma da guerre stellari. Un tubo di vetro contenente un gas rarefatto s'illumina in vicinanza del solenoide S, senza che sia necessario stabilire un contatto tra il solenoide e gli elettrodi del tubo. (Il maleficio riesce anche con un tubo senza elettrodi). Gli effetti sull'organismo sono ancora più curiosi. Un corpo umano infilzato da una corrente casalinga dell'ordine di 5-20 mA, a 50 cicli al secondo, resta normalmente attaccato al conduttore con cui è in contatto; ma un baldo elettricista inserito come se fosse un filo, in un circuito con corrente ad alta frequenza a oltre 10.000 cicli, può accendere una lampada senza trasformarsi in stufa. Da mago. Per questo, oltre che per la mancanza di polarizzazione elettronica, le correnti ad altissima frequenza sono proficuamente impiegate in terapia. E nella videostregoneria. Gian Carlo Bo


Le onde di Hertz Come funziona il circuito oscillatore di Tesla per produrre correnti alternate ad alta frequenza
Autore: G_C_B

ARGOMENTI: FISICA, STORIA DELLA SCIENZA
NOMI: TESLA NIKOLA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Funzionamento del circuito oscillatore di Tesla

QUANDO le oscillazioni elettriche che generano onde hertziane si producono in un circuito chiuso, esso è sede di correnti alternate di periodo cortissimo, che vanno sotto il nome più generale di correnti ad alta frequenza. Il circuito di Tesla è uno di quelli adatti allo scopo. Con la bobina di induzione I in funzione i due condensatori A e B si caricano alternativamente di elettricità positiva e negativa. Quando la loro differenza di potenziale oltrepassa un certo valore scocca una scintilla di scarica tra le sferette a e b. Le armature interne si caricano e scaricano successivamente e quelle esterne fanno lo stesso in senso contrario. Il solenoide S viene percorso da una serie di oscillazioni elettriche smorzate costituenti correnti ad alta frequenza. Il loro utilizzo può essere diretto, con prese praticate in spire differenti di S. Oppure circondando S con un altro solenoide di tante spire di filo fino (S è di filo grosso) sul quale il primo agisce per induzione: si può raccogliere la corrente ad alta frequenza da questo secondo circuito che si presenta allora come un trasformatore elevatore di tensione, dato che il numero di spire del secondario è maggiore del primario.(g. c. b.)


STRIZZACERVELLO Le tangenti del carcatore di funghi
LUOGHI: ITALIA

Un cercatore di funghi entra in un bosco privato e riempie il suo cestino di splendidi porcini, ma incontra un guardiano ed è costretto a dargli la metà dei funghi raccolti più due. Più avanti incontra un secondo guardiano al quale dà la metà dei funghi rimasti più due. Infine, proprio sul limitare del bosco, incontra un terzo guardiano al quale il cercatore dà ancora la metà dei funghi rimasti più due. A questo punto esce dal bosco sconsolato, avendo nel cestino un unico fungo. Quanti ne aveva raccolti?


CHIMICA & SALUTE Aglio, anche contro il colera Già Pasteur ne scoprì le proprietà antibatteriche
Autore: CAGNOTTI MARCO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, CHIMICA
LUOGHI: ITALIA

IN ogni cucina che si rispetti non può mancare l'aglio, gioia del palato e disperazione per chi deve recarsi a un incontro galante. A parte la ricchezza in sapore che l'aglio sa dare ai cibi, la saggezza popolare tramanda detti e proverbi che sottolineano le sue proprietà benefiche per la salute. Fin dall'antichità l'aglio (Al lium sativum, un termine che forse deriva dal celtico all, che significa «pungente»), veniva usato contro le infezioni batteriche, le micosi, le infestazioni da vermi e come anticoagulante. Un codice egizio del XV secolo a. C. lo cita per queste ragioni, e altri riferimenti si trovano in Plinio il Vecchio e Dioscoride, medico romano del I secolo d. C. Anche le medicine tradizionali indiana e cinese ne riconoscono l'utilità: l'aglio viene raccomandato nella preparazione di lozioni antisettiche per lavare le ferite, e di tisane per curare colera e dissenteria. Talvolta le credenze popolari non hanno un riscontro nella realtà dei fatti, ma non è raro il caso di abitudini tradizionali che, dopo attenta sperimentazione, hanno ricevuto una giustificazione dalla scienza. E questo è il caso dell'uso terapeutico dell'aglio. Nel 1858 Pasteur ne scoprì le proprietà antibatteriche, mentre ricerche più recenti hanno evidenziato la sua capacità di inibire la crescita di colture di batteri dei generi Staphylococcus, Strepto coccus e Bacillus, e di agire contro i funghi che spesso aggrediscono gli animali. Anche le sue proprietà antitrombolitiche (cioè anticoagulanti) sono state confermate da studi recenti compiuti da un gruppo di medici indiani: una ricerca epidemiologica su popolazioni vegetariane di fede giainista ha messo in evidenza come il sangue dei soggetti che mangiano meno aglio coaguli in tempi nettamente più brevi. La scienza conferma che l'aglio fa bene e che la saggezza popolare è, almeno in questo caso, nel giusto. Rimane da sapere a cosa si debbano le sue qualità terapeutiche. Per le proprietà antibatteriche e antimicotiche il principale indiziato è l'allicina. In particolare nei confronti nel microrganismo che causa il tifo questa sostanza si è rivelata più potente perfino della penicillina. Purtroppo un suo sfruttamento clinico è impossibile a causa della puzza terribile che essa sprigiona: proprio l'allicina è all'origine dei problemi provocati dall'aglio nei rapporti sociali. Infatti solo quando uno spicchio viene tagliato o schiacciato si libera l'enzima allinasi che favorisce la trasformazione dell'allina (inodore) in allicina (puzzolente): ecco perché un bulbo d'aglio normalmente non puzza. L'estratto che prende il nome di ajoene (dallo spagnolo ajo) è invece responsabile delle proprietà anticoagulanti. Il suo potere antitrombolitico è almeno pari a quello dell'acido acetilsalicilico (aspirina). Tuttavia, affinché faccia effetto, è necessario che l'aglio venga ingerito fresco. Infatti le pillole e gli olii a base di aglio che vengono distillati in corrente di vapore non contengono ajoene in quantità apprezzabile. Marco Cagnotti


Com'è il «Visore a testa alta» I dati sul parabrezza Dagli aerei da combattimento a quelli di linea
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Funzionamento del «Visore a testa alta» (HUD)

Lo Head Up Display (HUD), in italiano «Visore a testa alta», è comparso la prima volta sugli aerei da combattimento alla fine degli Anni 70 e si sta ora diffondendo sui velivoli civili. Esso consente al pilota di leggere i dati di volo (velocità, direzione, quota, distanza del bersaglio) non più sugli strumenti posti sul cruscotto ma in una posizione particolare: come se fossero proiettati sul barabrezza. Ciò elimina la necessità di distogliere lo sguardo dalla situazione esterna; cosa molto importante non solo nelle fasi drammatiche del combattimento ma anche in quelle più delicate del volo come il decollo e l'atterraggio; il pilota, inoltre, non è più costretto, come un tempo, ad adattare continuamente la propria visione vicino-lontano poiché i dati dello HUD appaiono a fuoco nella posizione di infinito, come se galleggiassero nel cielo. I dati che compaiono sullo HUD sono elaborati dai computer di bordo, generati da un tubo a raggi catodici (simile allo schermo di un televisore) situato nel muso dell'aereo e quindi proiettati su uno speciale schermo posto all'altezza degli occhi del pilota.


FISICA Vacilla il muro della luce Indizi dei tachioni, senza smentire Einstein
AUTORE: RECAMI ERASMO
ARGOMENTI: FISICA
NOMI: EINSTEIN ALBERT, LUCREZIO
ORGANIZZAZIONI: NEWSWEEK, SUNDAY TIMES
LUOGHI: ITALIA

NEGLI ultimi tempi la stampa internazionale (e, al seguito, quella italiana) ha dato notizia di articoli scientifici sulla possibilità di raggiungere velocità maggiori di quella della luce nel vuoto. Non pare giusto che i nostri giornali vadano a rimorchio di Newsweek e Sunday Times dato che in questo campo la scuola teorica italiana probabilmente non è seconda a nessun'altra. Per di più gli articoli citati dalla stampa internazionale sembrano a volte solo esercizietti elementari; altre volte si parla di lavori seri, ma con fini propagandistici (in questo caso da parte della stampa Usa) a detrimento dei contributi sperimentali europei. E' opportuna, quindi, qualche notizia più diretta e meno fantasiosa. Cominciamo col ricordare che la possibile esistenza di oggetti più veloci della luce (super-luminali) ha attratto l'attenzione dei fisici fin da tempi lontani. Uno dei primi a nominare particelle «più veloci dei raggi del Sole» fu Lucrezio, nel 50 a. C. circa, nel suo famoso «De Rerum Natura». Ancora in epoca pre-relativistica, non pochi furono gli studi al riguardo, da quelli di J. J. Thomson a quelli del grande Sommerfeld. Con l'avvento della teoria della Relatività Speciale di Einstein, a partire dal 1905, si diffuse però la convinzione che la velocità della luce (c) fosse necessariamente il limite massimo. Ad esempio, Tolman nel 1917 credette di avere dimostrato in un suo «paradosso» che l'esistenza di particelle con velocità maggiori di c avrebbe permesso l'invio di informazioni nel passato. Il che bloccò per oltre mezzo secolo le ricerche sulle velocità superluminali. Gli oggetti superluminali sono stati chiamati tachioni, T, da G. Feinberg, dalla parola greca che significa veloce, il che a suo tempo ci ha indotto a coniare il termine bradioni, B, per gli ordinari oggetti subluminali. Vengono chiamati infine luxoni gli oggetti che viaggiano esattamente alla velocità della luce, come i fotoni. La relatività speciale, abbondantemente verificata, può essere costruita su due semplici e naturali postulati: 1) le leggi fisiche valgono non solo per un osservatore particolare, ma per tutta la classe degli osservatori inerziali; 2) spazio e tempo sono omogenei e lo spazio è isotropo. Da questi postulati si deduce teoricamente che deve esistere una, e una sola, velocità «invariante»; e l'esperienza diretta ci dice che tale velocità è quella, c, della luce nel vuoto: infatti, la luce possiede la caratteristica di presentare sempre la stessa velocità (circa trecentomila chilometri al secondo), anche se le corriamo incontro, oppure la inseguiamo. E' proprio questa caratteristica, di essere invariante, a rendere la velocità della luce del tutto eccezionale; nessun bradione, e nessun tachione, potrà godere della stessa proprietà. Un'altra conseguenza dei nostri due postulati è che l'energia totale di una comune particella cresce al crescere della sua velocità v, tendendo all'infinito quando v tende a c. Quindi occorrerebbe forza infinita per far raggiungere a un bradione la velocità della luce. Questo fatto ha generato la diffusa opinione che la velocità c non possa essere nè raggiunta nè superata. Però, come esistono i fotoni, che nascono, campano e muoiono sempre alla velocità della luce (senza mai aver avuto bisogno di accelerare per raggiungerla), così possono esistere particelle - i tachioni - che viaggiano sempre a velocità V maggiori di c. Aggiungiamo che, sempre a partire dagli stessi due postulati (più un terzo, ancora più ovvio), la teoria della relatività pare generalizzabile in modo da inglobare gli oggetti superluminali. Anche secondo la relatività estesa la velocità c della luce, oltre che invariante, è una velocità limite: ma ogni valore limite possiede due lati, e vi ci si può avvicinare sia da valori inferiori, sia da valori superiori] In realtà, la formulazione usuale della relatività speciale è molto limitativa. Ad esempio, anche lasciando da parte i tachioni, essa può essere elegantemente e facilmente ampliata in modo da includere l'antimateria, purché si ricorra a una regola di reinterpretazione del tutto naturale, inizialmente proposta da Stueckelberg, da Richard Feynman e da Sudarshan, secondo la quale, in parole povere, i segnali sono trasportati solo dagli oggetti che «paiono avere» energia positiva. Ma lasciamo l'antimateria per tornare ai tachioni. Una forte obiezione alla loro esistenza si basa sull'opinione che coi tachioni si possano inviare segnali nel passato, per il fatto che un tachione T, che a un primo osservatore appaia diciamo emesso da A e assorbito da B, può apparire a un secondo osservatore come un tachione T' in viaggio all'indietro nel tempo con energia negativa. Tuttavia, applicando la «regola di reinterpretazione», T' apparirà al nuovo osservatore semplicemente come un antitachione emesso da B e assorbito da A, e quindi in viaggio in avanti nel tempo e con energia positiva, anche se nella direzione «spaziale» opposta. Con ciò, viaggi nel passato ed energia negativa scompaiono. .. A partire da questa osservazione è possibile risolvere i paradossi causali associati ai moti superluminali: paradossi tanto più istruttivi e divertenti quanto più sofisticati, ma che qui non possiamo affrontare. Ben 4 differenti settori della fisica sperimentale sembrano oggi suggerire l'effettiva esistenza di moti superluminali. In primo luogo, una serie di esperimenti cominciati nel 1971, sembra indicare che il quadrato m2 della massa a riposo m dei neutrini muonici, e più recentemente dei neutrini elettronici, sia negativo; il che vorrebbe dire che questi neutrini sono tachionici, o in buona parte tachionici. In secondo luogo, altre osservazioni sperimentali, questa volta astrofisiche, hanno rivelato, sempre a partire dal 1971, la presenza di oggetti molto veloci (la rivista «Nature» vi dedicò due sue copertine) espulsi dal nocciolo di vari quasar; e tali velocità risultavano superluminali se i quasar sono davvero molto distanti da noi, come normalmente si ritiene. L'anno scorso sono state scoperte apparenti espansioni superluminali in oggetti (chiamati provvisoriamente mini-quasar) della nostra Galassia]: e in questo caso le incertezze sulle distanze sono di poco peso. In terzo luogo, nell'ambito della meccanica quantistica (e precisamente nei fenomeni detti di «tunnelling»), si era predetto che l'attraversamento della barriera potesse avvenire a velocità tachioniche. Effettivamente, dal 1992, vari esperimenti effettuati da Nimtz a Colonia, ma anche da Ranfagni a Firenze, hanno verificato che i fotoni in effetto tunnel viaggiano con velocità di gruppo superluminali. Questi esperimenti hanno avuto vasta risonanza, anche nella stampa non specializzata. Fotoni in fase di tun nellamento non costituiscono altro che onde cosiddette «evanescenti»: e dalla relatività estesa si sapeva che queste ultime dovevano possedere velocità maggiori di c; il tutto appare quindi coerente. Infine, due gruppi di ingegneri americani (tra cui Lu e Ziolkowski) hanno riscoperto che qualunque equazione d'onda (omogenea) ammette soluzioni tanto sub quanto super-luminali; e ciò in una serie di bei lavori, del tutto indipendenti dalle precedenti o parallele scoperte di Bateman, Barut o Rodrigues e Vaz. Questi ingegneri hanno anche spiegato in dettaglio come generare le configurazioni ondose superluminali, ad esempio nel caso delle onde elettromagnetiche; e già le hanno concretamente prodotte in acustica. Hanno cioè prodotto onde che viaggiano indeformate a velocità maggiori di quella del suono nel mezzo considerato. Queste onde superluminali (o super-soniche), avendo tipicamente la forma a X predetta da chi scrive nel 1982, costituiscono al momento la miglior verifica della relatività estesa. E' curioso che la prima applicazione di queste onde a X (la cui esistenza è prevedibile anche nel caso delle onde sismiche, e di quelle gravitazionali) è in corso nel campo medico, e precisamente nel campo dell'ecografia. Solo qualche anno fa l'ipotesi che i tachioni potessero venire usati per ottenere ecografie meglio focalizzate avrebbe suscitato l'ilarità qualsiasi fisico, incluso il sottoscritto. Erasmo Recami Università di Campinas, Brasile


IN BREVE Il cocomelo? Solo un'ipotesi
ARGOMENTI: BOTANICA, GENETICA
LUOGHI: ITALIA

L'articolo «Prova il cocomelo» pubblicato la scorsa settimana prospettava la possibilità di creare un frutto su misura del mercato incrociando cocomero e melone. Benché la cosa sia tecnicamente possibile, a scanso di malintesi precisiamo che si tratta di una pura ipotesi, avanzata con intenti provocatori dall'esperto di analisi sensoriale Giuseppe Lo Russo.


IN BREVE Cielo e Terra mostra a Vicenza
ARGOMENTI: ASTRONOMIA, MOSTRE
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, VENEZIA (VE)

Fino al 28 aprile a Vicenza, Palazzo Montanari, è aperta la mostra «Misure del cielo e della Terra». Tel. 0444-544.341.


IN BREVE Cnr: carte tematiche del Mezzogiorno
ARGOMENTI: GEOGRAFIA E GEOFISICA
ORGANIZZAZIONI: CNR
LUOGHI: ITALIA

Il Cnr ha presentato una parte dei 225 quadri dell'«Atlante delle aree del Mezzogiorno» coperte da cartografia tematica. L'atlante è stato realizzato da Fabrizio Rallo per lo studio multidisciplinare del territorio.


IN BREVE Per «Le Scienze» indici interattivi
ARGOMENTI: COMUNICAZIONI, INFORMATICA, EDITORIA, SCIENZA
ORGANIZZAZIONI: LE SCIENZE
LUOGHI: ITALIA

Gli indici del mensile «Le Scienze» sono ora disponibili su un floppy disk interattivo (Windows) realizzato dalla Datanord (tel. 02-489.54.000).


IN BREVE Fisica di domani a La Thuile
ARGOMENTI: FISICA, CONGRESSO
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, LA THUILE (AO)

Più di 150 fisici di tutto il mondo sono riuniti a La Thuile per la X edizione delle «Rencontres de physique de la Vallee d'Aoste». Il convegno, che si concluderà il 9 marzo, ha tra i suoi temi principali le prospettive che si apriranno con l'acceleratore Lep del Cern di Ginevra quando sarà completata l'attuale fase di potenziamento e, nel 2004, con l'acceleratore Lhc. Sarà anche l'occasione per approfondire gli indizi, per ora molto vaghi, dell'eventuale esistenza di preoni (ipotetiche particelle più elementari dei quark), ottenuti al Fermilab di Chicago; sui preoni c'era stata una fuga di notizie con dichiarazioni di Giorgio Bellettini, presente a La Thuile. Altri temi: applicazioni della luce di sincrotrone in medicina, didattica della scienza e disarmo nucleare. Telecom ha predisposto per gli studenti valdostani un collegamento con gli scienziati a La Thuile.


IN BREVE Cuore artificiale impiantabile
ARGOMENTI: TECNOLOGIA, MEDICINA E FISIOLOGIA
NOMI: MAMBRITO BRUNO, FERRAZZI PAOLO
ORGANIZZAZIONI: TECNOBIOMEDICA
LUOGHI: ITALIA

Total Artificial Heart è un cuore artificiale italiano impiantabile realizzato dal Cnr. In un vitello, dopo più di 30 giorni, funziona perfettamente. Costruito dalla Società di ricerca Tecnobiomedica su progetto di Bruno Mambrito, è stato impiantato dal cardiochirurgo Paolo Ferrazzi. Il cuore artificiale impiantabile è una protesi attiva in grado di assicurare una portata di 12 litri di sangue. Un contenitore di titanio accoglie due camere ventricolari in poliuretano, valvole in carbonio pirolitico e stellite (della Sorin Biomedica) e un motore elettrico (Umbra Cuscinetti). Le batterie assorbono 13 watt, di cui 3-4 sono convertiti nella circolazione del sangue. Il cuore artificiale fa 200 mila cicli al giorno, 6 milioni in un mese.


IN BREVE Il «Tethered» cadrà entro il 28 marzo
ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
ORGANIZZAZIONI: SHUTTLE, TETHERED
LUOGHI: ITALIA

Il «satellite al guinzaglio» (o «Tethered») sfuggito allo Shuttle il 26 febbraio si disintegrerà nell'atmosfera fra il 16 e il 28 marzo secondo i calcoli di Luciano Anselmo, esperto di meccanica celeste che lavora al Cnuce, il centro di calcolo elettronico del Cnr a Pisa. L'orbita, ora con perigeo a 314 chilometri e apogeo a 389, diventa via via più circolare e più bassa, al ritmo di 2,5 chilometri al giorno. Il centro di massa del sistema cavo-satellite - informa una nota di Luciano Anselmo - percorre un'orbita in 92 minuti. L'atmosfera residua incontrata al perigeo contiene circa 20 milioni di molecole per centimetro cubo (prevalentemente atomi di ossigeno), mentre all'apogeo in un centimetro cubo ci sono soltanto 690 mila molecole: densità inferiori a un milionesimo di milionesimo di quella esistente al livello del mare, ma sufficienti a frenare il satellite costruito dall'Alenia Spazio fino a farlo precipitare. Dopo lo strappo del cavo, però, è stato possibile ristabilire per 4 giorni il contatto con il satellite e compiere altri esperimenti. Entro maggio si attende l'esito dell'inchiesta Nasa-Asi.


I RICORDI DELL'APLYSIA Una lumaca di mare per capire la memoria Dal suo minuscolo cervello le scoperte di Eric Kandel
Autore: MONTAROLO PIER GIORGIO

ARGOMENTI: BIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: SACKS OLIVER, RAMON Y CAJAL SANTIAGO, LUGARO ERNESTO, KANDEL ERIC
LUOGHI: ITALIA

CHE cosa c'è di più effimero della forma di una nuvola mossa dal vento? Nessuno potrebbe rievocarla dopo qualche giorno. Eppure Ireneo Funes, il ragazzo di Fray Ventos di cui parla Jorge Luis Borges in «Finzioni», «sapeva le forme delle nubi australi dell'alba del 30 aprile 1882 e poteva confrontarle nel ricordo con la copertina marmorizzata di un libro che aveva visto una volta, o con le spume che sollevò un remo, nel rio Negro, la vigilia della battaglia di Quebracho». Ireneo è un esempio di «ipermnesico» (un individuo dotato di straordinaria capacità mnemonica). Oliver Sacks parla di Martin A., un paziente affetto da morbo di Parkinson dotato di una sbalorditiva memoria musicale. Più anticamente Plinio, nella sua «Naturalis Historia» racconta che Ciro, re dei Persiani, conosceva il nome di tutti i soldati del suo esercito. All'altro estremo del «fenomeno memoria» troviamo gli «amnesici» (individui privi di memoria). Il più famoso di tutti è H. M., tuttora in vita. Nel 1953, all'età di 27 anni, H. M. subì un intervento di rimozione bilaterale di una parte del lobo temporale comprendente quasi tutto l'ippocampo e l'amigdala in quanto sede di focolai di origine di una grave forma di epilessia resistente ai farmaci. In seguito all'intervento (che migliorò notevolmente il quadro epilettico e non alterò la sua personalità e le sue facoltà intellettuali) H. M. non perse la capacità di richiamare alla memoria il suo vissuto prima dell'intervento chirurgico, ma divenne incapace di formare nuovi ricordi che non durassero più di qualche minuto. Ad esempio, per molti anni dopo l'operazione, quando gli veniva chiesto quanti anni avesse o che anno fosse egli rispondeva sempre «27» e «1953», come se per lui il tempo si fosse fermato a quel fatidico anno. Ireneo Funes e il re Ciro erano individui dotati di una stupefacente memoria «a lungo termine»; H. M. e altri pazienti simili sono pressoché incapaci di formare ricordi duraturi e quando riescono a consolidare un'informazione (e questo avviene in seguito a moltissime ripetizioni e in assoluta assenza di distrazioni) non ricordano nè dove nè quando l'hanno appresa; anche quando rispondono correttamente non sono mai convinti della risposta. Gli studiosi della memoria suddividono questa capacità dell'individuo in molte categorie; una di esse è quella temporale: memoria a breve termine e memoria a lungo termine. Evanescente la prima, il ricordo dura solo poche ore; duratura la seconda, il ricordo permane per giorni, mesi e anche tutta la vita. Qual è la differenza tra memoria a breve termine e memoria a lungo termine? I neurobiologi ritengono che la capacità di memoria sia un aspetto di una proprietà più generale del sistema nervoso: la plasticità. Le cellule nervose che costituiscono il cervello non sono strutture rigide, i loro rapporti non si sono congelati alla fine dello sviluppo, ma si possono modificare strutturalmente e funzionalmente durante tutta l'esistenza e spesso in maniera duratura. Un esempio di questo fenomeno ci è dato dalla possibilità di recupero più o meno completo che si osserva dopo lesioni cerebrali. Durante l'apprendimento alcuni circuiti neuronali si modificano e la possibilità di richiamare un'informazione appresa dura tanto quanto permane questa modificazione. E' chiaro che se queste modificazioni sono labili il ricordo sarà effimero, se invece sono durature la memoria sarà pressoché indelebile. Questo non è un concetto nuovo; nasce agli inizi di questo secolo per opera di scienziati quali lo spagnolo Santiago Ramon y Cajal e il neurologo italiano Ernesto Lugaro. Per comprendere i meccanismi e la natura dei cambiamenti a cui vanno incontro i circuiti neuronali durante l'apprendimento si è ricorso a «modelli di memoria» spesso di gran lunga più semplici rispetto a quella umana. Oggi molti neuroscienziati analizzano gli eventi plastici dell'ippocampo del ratto per capire perché questa formazione cerebrale è così cruciale per la memoria a lungo termine. Quello che attualmente si conosce sulle differenze tra queste due forme di memoria è in gran parte dovuto alle ricerche dello scienziato americano Eric Kandel, che l'8 marzo terrà a Torino (ore 18,30, corso Massimo D'Azeglio 15), una Lettura Sigma- Tau intitolata a Rita Levi Montalcini, la grande neurobiologa italiana che ha iniziato la sua ricerca presso l'Istituto di anatomia di Torino. Per le sue ricerche Kandel, che insegna alla Columbia University di New York, ha studiato una lumaca marina del genere Aplysia. Questo mollusco conduce un'esistenza incolore, si nutre di alghe per la maggior parte del giorno e rimane incollato agli scogli. La sua vita sembra movimentarsi in estate, quando si dà a una intensa attività sessuale di gruppo e depone gomitoli di uova. Tuttavia impara e ricorda quanto le basta per condurre con successo la sua monotona esistenza. Questo animale offre una carta vincente per chi vuole studiare i sottili meccanismi cellulari della memoria: in quanto è dotato di un cervello di soli (]) 20.000 neuroni, molti dei quali sono di ragguardevoli dimensioni e quindi adatti alle più fini manipolazioni sperimentali. Le ricerche di Kandel hanno dimostrato che la memoria coinvolge modificazioni a livello delle sinapsi, i siti di contatto dove la comunicazione nervosa passa da un neurone a quello successivo. Nella memoria a breve termine questa modificazione è di tipo funzionale, non visibile al microscopio: consiste in cambiamento sterico di proteine implicate nel trasferimento dell'informazione. Per sua natura tale cambiamento è effimero. Invece nella memoria permanente si ha un cambiamento di forma dei rami più fini dell'arborizzazione del neurone. Questo rimaneggiamento cellulare può essere visibile al microscopio ed è duraturo. E' una complessa operazione molecolare che richiede l'intervento del Dna che dirige la costruzione di nuove strutture e l'eliminazione di quelle che non servono, proprio come capita durante lo sviluppo del cervello. Incominciamo dunque a comprendere come l'ambiente esterno, fonte delle informazioni, interagisce con l'individuo; come il tempo passato entra a far parte di noi e contribuisce a far sì che ciascuno di noi diventi un individuo unico e irripetibile. Il mondo esterno non fa altro che continuare in maniera sottile e raffinata, e quasi con le stesse modalità molecolari, quell'opera di formazione, di rimaneggiamento del cervello iniziatasi nel periodo fetale della nostra esistenza. Pier Giorgio Montarolo Università di Torino


BIOLOGIA I pesi piuma in trionfo Nel regno animale perdono i giganti
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: BIOLOGIA, ZOOLOGIA
NOMI: WILSON EDWARD, PIMM STUART
LUOGHI: ITALIA

CREDETE che sia facile per un pavone maschio trascinarsi dietro lo strascico ingombrante della coda? O per un cervo maschio evitare di rimanere incastrato con l'impalcatura delle corna nei rami degli alberi? O per un animale di grossa taglia rialzarsi da terra dopo una caduta? Sono esempi, questi, che dimostrano come le specializzazioni molto spinte e l'eccessiva mole corporea siano seri svantaggi per l'individuo e per la specie. In casi come questi l'estinzione è più vicina, secondo il parere di Edward Wilson e di altri studiosi. Intendiamoci, ogni specie ha una sua parabola evolutiva. Si affaccia prima timidamente sulla scena del mondo, poi si afferma via via sempre più finché raggiunge il culmine della sua evoluzione. Da questo momento incomincia man mano a declinare, sopraffatta dal predominio di nemici naturali o da mutate condizioni ambientali alle quali non riesce in nessun modo a adeguarsi. E alla fine si estingue. Sennonché nel metro magnanimo della natura la parabola evolutiva delle specie dura tempi lunghissimi. Solo se intervengono fattori negativi come appunto il gigantismo o l'eccessiva specializzazione, i tempi evolutivi si accorciano. Sembra un paradosso. Ma il gigantismo a prima vista presenta dei vantaggi. L'animale grosso perde calore più lentamente di quello piccolo e per compensare la perdita termica ha bisogno di ingerire una quantità di cibo minore rispetto agli animali di mole inferiore. Un esempio. L'elefante consuma cento chili di vegetali al giorno. Sembrano tanti, ma in realtà sono soltanto l'uno e mezzo per cento della sua massa corporea che può raggiungere le sette tonnellate di peso. Per contro, il toporagno pigmeo, che pesa soltanto sei grammi, ha bisogno di mangiare in continuazione, ingerendo una quantità di cibo quotidiana che corrisponde come minimo al cento per cento del suo peso. Altro vantaggio della grossa mole è il fatto che incute soggezione e fa da deterrente nei confronti dei predatori. Una iena non si sognerebbe mai di attaccare un rinoceronte, nè un leone aggredirebbe mai un elefante. Per questi grossi animali, l'unico vero nemico è uno solo: l'uomo cacciatore. Di fronte ai vantaggi, quali sono invece gli svantaggi? Presto detto. Per gli animali troppo pesanti una caduta può essere fatale. Mentre un topolino, se cade da una certa altezza, rimane illeso, l'elefante nelle stesse circostanze si sfracella. I giganti inoltre hanno spesso difficoltà di locomozione o addirittura non sono più in grado di muoversi. Come succede alla Tridacna, il mollusco bivalve più grande che si conosca, le cui valve vengono usate come acquasantiere nelle chiese. La conchiglia, che può pesare fino a duecento chilogrammi, la immobilizza, la costringe a una vita sedentaria. Gli uccelli, per acquistare leggerezza nel volo, hanno evoluto ossa cave, piene d'aria, le cosiddette «ossa pneumatiche». Nonostante ciò, quando raggiungono le dimensioni di un condor, che ha tre metri di apertura d'ali, non ci sono ossa pneumatiche che tengano. Per lui il decollo diventa un'impresa problematica. Per potersi innalzare nell'aria, questo grosso uccello deve prendere la rincorsa come fanno i nostri saltatori con l'asta. Lasciando stare i giganti, ma facendo solo un paragone tra uccelli di diversa dimensione, l'ornitologo Stuart Pimm che ha studiato gli uccelli delle coste britanniche, ha constatato che le specie più grandi, come il corvo e il falco, si sono estinte localmente con maggiore frequenza delle specie più piccole, tipo lo scricciolo o il passero. Un altro primato negativo delle specie grosse è la scarsa prolificità. Hanno generalmente un tasso riproduttivo più basso. Prendiamo l'elefante femmina. Normalmente diventa sessualmente matura verso gli undici anni, ma è in calore soltanto per quattro o cinque giorni ogni quattro anni. Se però le condizioni ambientali sono ostili, invece che a undici anni, diventa matura a diciotto o magari a diciannove anni. Il che significa che mette al mondo un figlio ogni otto o nove anni. Se osserviamo i reperti fossili, ci rendiamo conto che nelle prime tappe della loro storia evolutiva, gli animali erano tendenzialmente piccoli. Sono diventati più grandi nel corso dell'evoluzione e si sono estinti quando le loro dimensioni sono diventate gigantesche. Prendiamo i dinosauri. I primi comparsi sulla Terra nel periodo Triassico, circa duecentoventicinque milioni di anni fa, erano di dimensioni modeste, come l'Euparkeria, simile a un piccolo coccodrillo, che misurava meno di un metro di lunghezza. Poi comparvero man mano le forme più grandi, fino a quelle gigantesche caratteristiche del periodo Giurassico. Ma la comparsa di queste forme monstre, come gli apatosauri lunghi venticinque metri o i brachiosauri che pesavano cento tonnellate e misuravano la bellezza di trenta metri, precede di poco l'estinzione di questi tanto chiacchierati rettili. Anche i primi mammiferi comparsi sulla Terra circa cento milioni di anni fa erano animaletti di piccole dimensioni, come i toporagni. Uscivano allo scoperto soltanto di notte quando i dinosauri erano immersi nel sonno. E una delle ipotesi che si fanno sulla scomparsa dei grandi rettili è proprio quella che i nuovi venuti ne abbiano decretato la fine mangiandosi le loro uova. Comunque, con il passar del tempo, durante il Pleistocene, quando si succedono le grandi glaciazioni, alcuni mammiferi raggiungono dimensioni gigantesche. Basti pensare al mammuth alto più di tre metri, munito di zanne lunghe fino a quattro metri. Ed è probabile che i mammuth si siano estinti proprio a causa delle loro dimensioni eccessive. C'è chi dice che sia stato l'uomo la causa della loro scomparsa, come farebbero pensare i numerosi graffiti rupestri preistorici che raffigurano scene di caccia ai mammuth. Ma le armi primitive di cui disponevano i nostri progenitori e il loro numero limitato non erano tali da portare allo sterminio una specie largamente diffusa come il gigantesco mammuth. Una volta tanto sembra che l'uomo sia innocente] Isabella Lattes Coifmann




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