TUTTOSCIENZE 31 gennaio 96


SCAFFALE Mainardi Roberto: «Geografia generale», La Nuova Italia Scientifica
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: GEOGRAFIA E GEOFISICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

La geografia è una disciplina che ne contiene molte altre, dalla geologia all'economia e alla politica. In alternativa a una visione frammentaria e specialistica, Roberto Mainardi, professore all'Università di Milano, nè dà qui una visione fortemente integrata.


SCAFFALE Tonfoni Graziella: «Abitare il testo», Pagus Edizioni
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: INFORMATICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Leggere, analizzare e produrre testi con il calcolatore, potenziando le capacità creative: è l'obiettivo che si propone questo «iperlibro» di Graziella Tonfoni, docente di linguistica computazionale ed elaborazione dei testi letterari all'Università di Bologna.


IL RECORD DEL COCCODRILLO Una «impossibile» apnea Grazie a una speciale emoglobina
Autore: ANGELA ALBERTO

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ETOLOGIA
NOMI: KIYOSHI NAGAI, HENNAKA KOMIYAMA
ORGANIZZAZIONI: MEDICAL RESEARCH COUNCIL DI CAMBRIDGE
LUOGHI: ITALIA

COME fanno i coccodrilli a uccidere una gazzella trascinandola sott'acqua senza morire annegati? C'è in effetti un paradosso nella tecnica di caccia dei coccodrilli del Nilo (Crocodylus niloticus): le loro apnee infatti dovrebbero essere assai più brevi di quelle delle loro «vittime». Quindi, almeno teoricamente, dovrebbero mollare la presa e tornare in superfice per respirare, permettendo così alla preda di sfuggire. E invece accade proprio il contrario. I coccodrilli (ma anche il gaviale del Gange, gli alligatori, presenti in Cina e nel Sud degli Stati Uniti, e i caimani, più piccoli, diffusi in America Centrale e Meridionale) non uccidono a suon di morsi le prede che si avventurano all'abbeverata, ma balzano all'improvviso, addentano la vittima e la trascinano sott'acqua, tenendola ferma fino a quando muore annegata. Solo allora cominciano a dilaniarla e mangiarla. Il segreto per poter trattenere così a lungo il respiro è stato recentemente svelato da un gruppo di ricercatori del Medical Research Council di Cambridge, in Gran Bretagna. Si è scoperto che, in un certo senso, i coccodrilli del Nilo hanno un'emoglobina «speciale», che libera più ossigeno rispetto a quella degli altri mammiferi. E' noto, tra l'altro, che i cetacei sono in grado di trattenere il respiro per tempi lunghissimi, addirittura per due ore, come per esempio l'Iperodonte del Nord, una specie di balena lunga fino a nove metri. E così le foche in genere, che stanno tranquillamente in apnea per 50 minuti. Il loro segreto è di immagazzinare nei muscoli l'ossigeno inalato col respiro, imprigionandolo in una proteina chiamata mioglobina. I muscoli insomma, si trasformano in autentiche «bombole» subacquee. Anche i coccodrilli fanno altrettanto, ma il loro apparato muscolare possiede cento volte meno mioglobina dei mammiferi. Come si possono allora spiegare delle apnee di oltre un'ora? L'emoglobina è una proteina fondamentale per la sopravvivenza; grazie ad essa il sangue riesce a trasportare l'ossigeno dai polmoni a tutto il corpo. Quando si resta a lungo in apnea, nel sangue cresce la concentrazione di ioni bicarbonato (HCO3-), un sottoprodotto della respirazione. A questo punto l'emoglobina di un uomo ha praticamente liberato tutto l'ossigeno che trasportava, tranne una piccolissima parte che rimane bloccata nella sua struttura. L'emoglobina del coccodrillo invece, riesce a liberarlo completamente, fornendo un piccolo ma preziosissimo contributo in più di ossigeno. Ci riesce grazie a delle piccole differenze strutturali che le consentono di fissare con facilità gli ioni bicarbonato che incontra: quando ne è carica, allora, svuota tutto l'ossigeno che trasporta. Quindi più cresce la concentrazione di ioni (HCO3-) nel sangue, più l'emoglobina libera l'ossigeno residuo. E' l'«effetto bicarbonato» come l'hanno battezzato i ricercatori. Se a questo piccolo «trucco» dei coccodrilli (scoperto anche tra gli alligatori del Mississippi e tra i caimani), si aggiunge il metabolismo tipicamente lento di questi rettili, si intuiscono le straordinarie doti d'apnea di questi «killers» dei tropici. Gli studiosi non si sono fermati qui. Grazie all'ingegneria genetica, l'equipe, guidata da Kiyoshi Nagai e da Hennaka Komiyama, è già riuscita a realizzare in laboratorio dell'emoglobina umana con le stesse caratteristiche di quella del coccodrillo. L'hanno battezzata HB-Scuba. In pratica i ricercatori hanno sostituito appena dodici aminoacidi umani (su 287) con altrettanti estratti dall'emoglobina di coccodrillo. Niente «mostri» di laboratorio, però; lo scopo infatti è quello di realizzare un tipo di sangue artificiale capace di trasportare in modo efficace l'ossigeno. Le soluzioni di cui disponiamo oggi in effetti hanno un'emoglobina poco efficiente, o comunque non quanto si vorrebbe. In un panorama mondiale, dominato dalla scarsità di donatori, e ormai dai rischi (e dalle paure) delle trasfusioni, potremmo forse ricevere un aiuto insperato da coccodrilli, caimani e alligatori... Alberto Angela


DIBATTITO La guerra delle cave nei fiumi
Autore: AGAPITO LUDOVICI ANDREA

ARGOMENTI: ECOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: ANEPLA ASSOCIAZIONE NAZIONALE ESTRATTORI PRODUTTORI LAPIDEI E AFFINI, WWF, AUTORITA' DI BACINO DEL FIUME PO
LUOGHI: ITALIA

LA gestione dei fiumi continua ad essere un problema molto dibattuto per gli interessi sociali ed economici che coinvolge. Lo scontro sul futuro dei grandi corsi d'acqua è duro, tanto che, dopo l'alluvione del novembre 1994, si è scatenata una vasta polemica che ha portato qualcuno addirittura ad addossare la responsabilità dei danni agli ambientalisti, rei di non permettere ai cavatori di estrarre materiali inerti dagli alvei. E' su questa «base culturale» che associazioni come l'Anepla (Associazione nazionale estrattori produttori lapidei e affini) portano avanti il concetto che «un'attività estrattiva correttamente progettata e gestita può essere il solo strumento in grado di garantire condizioni di sicurezza nei corsi d'acqua prevenendo in modo efficace esondazioni e alluvioni» (La Stampa, 10 gennaio), proponendo miracolosi progetti di risanamento del Po o dell'Adda. La realtà è che l'attività estrattiva negli alvei è una delle principali cause dello stravolgimento dell'assetto idrogeologico ed ecologico degli ecosistemi fluviali. L'Anepla sembra ignorare che il Po si è abbassato di 4/5 metri (4,50 metri al porto di Cremona) in questi ultimi decenni e che «l'erosione di fondo risulta la tendenza prevalente in atto lungo le aste del reticolo padano», come dimostrato dall'Autorità di Bacino del fiume Po e che le aree di esondazione di lunghi tratti del grande fiume si sono ridotte di oltre il 60% tra il 1976 e il 1988. L'abbassamento generale del letto fluviale ha prodotto trasformazioni morfologico- ambientali rilevanti: una maggiore canalizzazione, la diminuzione dell'indice di ramificazione, la disattivazione di lanche e rami secondari con la conseguente distruzione di delicati biotopi ripariali come zone umide e boschi igrofili, tra gli ultimi ambienti planiziali ancora ricchi di diversità biologica. E' questa situazione di profonda modificazione ambientale che ha gettato le basi per i disastri, senza dubbio sopra misura, causati dallo straordinario evento meteorologico del novembre 1994. Il Wwf ritiene che l'Autorità di Bacino del fiume Po abbia agito nel migliore dei modi sospendendo il rilascio di nuove concessioni in alveo tanto che in alcuni tratti fluviali, anche se ancora solo in situazioni localizzate, si è registrata una tendenza al ripascimento, cosa che non avveniva da molti anni. Per avviare una corretta gestione delle risorse idriche e dei bacini fluviali è senza dubbio necessario che si riconsideri l'ecosistema fiume e che il piano per le fasce di pertinenza fluviale, in preparazione da parte dell'Autorità di Bacino del fiume Po, proceda e venga applicato al più presto; in questo modo si potrebbero recuperare quelle zone del fiume necessarie per consentirne l'esondazione nei periodi di piena e il ripristino delle caratteristiche naturali. E' inoltre evidente la necessità di promuovere una gestione periodica dei fiumi (la pulizia sotto i ponti, la manutenzione degli argini, l'asportazione di materiale di accumulo in punti pericolosi e l'eventuale ripascimento di altri...) per eliminare fonti di pericolo, garantire un monitoraggio continuo e ridurre le spese straordinarie che seguono le calamità (oltre 4000 miliardi per il dopo alluvione del 1994!). Si tratta dunque di impostare una politica pianificatoria per i nostri bacini in relazione alla complessità del territorio e degli ecosistemi fluviali e che risponda all'interesse della collettività e non a quello di singole e fin troppo interessate corporazioni. Andrea Agapito Ludovici Wwf Italia


SACCHEGGIATI I REEF Il pesce palla alla griglia In padella la fauna delle barriere coralline
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ECOLOGIA, ALIMENTAZIONE
NOMI: JOHANNES MICHAEL, RIEPEN MICHAEL
LUOGHI: ITALIA

UN caleidoscopio di colori, un turbinio di vita animale, uno scenario fantastico di magica bellezza. Questa è la visione che si offre allo sguardo del subacqueo che s'immerga nei mari corallini dei Tropici. Dovunque fanno da sfondo le foreste pietrificate dei coralli, vecchie di secoli, irte di punte, di cuspidi, di guglie. Sono aiuole, cespugli, arboscelli, ventagli, formazioni mammellonarie che si succedono a perdita d'occhio in un alternarsi armonioso di mille gradazioni cromatiche. Si passa dal bianco al rosato, dal giallo al turchino, dal violaceo all'arancione, in una gamma incredibile di sfumature. Ma sono soprattutto i pesci che attraggono l'attenzione. Pesci dalle sagome più strane, punteggiati, macchiati, striati, ornati da disegni audaci che sembrano opera di pittori surrealisti, dai colori quasi sempre chiassosi, sgargianti, vistosissimi. Alcuni sfilano veloci come saette, altri incedono lentamente nell'acqua. Questo meraviglioso scenario sottomarino, che per ricchezza e biodiversità si può paragonare soltanto alle foreste tropicali terrestri pullulanti anch'esse di vita, sta per scomparire, almeno nel Sud-Est asiatico. Per ammirare gli splendidi colori o le bizzarre livree dei pesci dei mari corallini non c'è più bisogno di immergersi nelle acque della Grande Barriera australiana. Basta andare in uno dei tanti ristoranti chic di Hong Kong o dell'isola di Taiwan, la vecchia Formosa. Lì, quei gioielli viventi li vedrete guizzare in un acquario in bella vista. E, se li ordinate al cameriere, ve li porteranno in tavola squisitamente cucinati. Una vera «gourmandise». Una moda tanto diffusa ormai (non solo a Hong Kong e a Taiwan ma anche nelle grandi città della Cina) che il consumo di pesci corallini ha raggiunto livelli finora impensabili. Per far fronte alla crescente richiesta, i pescatori, sollecitati da un numero crescente di imprese commerciali, hanno abbandonato amo e lenza per passare a forme di pesca più rapide e fruttuose. Avevano incominciato col ricorrere alla dinamite, ma si sono accorti che il metodo esplosivo aveva l'inconveniente di attirare troppo l'attenzione su un metodo di pesca illegale. E invece hanno trovato un'altra brillante soluzione, silenziosa ed efficacissima. Ricorrono all'avvelenamento col cianuro. Il pescatore subacqueo, armato di una bottiglia di cianuro di sodio in soluzione, sceglie la sua preda e anche se questa è annidata nelle anfrattuosità della roccia, riesce a spruzzarle addosso il veleno. Se il pesce è di piccole dimensioni muore. Ma se è di una certa mole, sopravvive. Il pesce grosso rimane soltanto stordito (e quel che più conta la dose di veleno non è tale da compromettere la salute di chi lo mangerà), ed è agevole trasportarlo in un contenitore che si trova alla superficie. Può figurare quindi egregiamente nel menu di un ristorante. Il guaio è che il veleno si diffonde nell'acqua e uccide irrimediabilmente non solo i pesci più piccoli, ma anche tutti gli invertebrati che popolano la scogliera, compresi gli stessi coralli. In molti casi, la roccia corallina si riduce a un deserto privo di vita. Perfino formazioni coralline vecchie di quattro o cinque secoli vengono distrutte in un attimo e, ammesso che si riformino, ci vorranno almeno quattro o cinquecento anni prima che possano ritornare come prima. Un disastro ecologico di proporzioni incommensurabili. Si calcola che vengano strappate ai mari corallini del Sud- Est asiatico da ventimila a venticinquemila tonnellate di pesce vivo ogni anno. Ma questa cifra non tiene conto dell'ingente mortalità che si verifica tra i pesci prima che raggiungano la destinazione definitiva. Il saccheggio è incominciato nel 1960 in corrispondenza della barriera corallina di Hong Kong. Si è spostato nelle ricche acque dell'Indonesia attorno al 1969, e nel 1975 si è esteso alle isole Filippine. Ormai anche la zona corallina delle Filippine è stata ampiamente sfruttata da questo tipo di pesca e si prevede che nei prossimi cinque anni subirà la stessa sorte anche quella dell'Indonesia. Di conseguenza il teatro dello sfruttamento si va spostando. Lo sguardo degli imprenditori si volge ora verso nuovi territori, come Papua Nuova Guinea, le isole Salomone e le isole del Pacifico Tuvalu, Kiribati e Tonga. Più a Ovest, nelle Maldive, è già in funzione una fiorente industria basata sullo stesso tipo di pesca illegale. E i governi cosa fanno? Se lo sono chiesti l'australiano Robert Johannes e il neozelandese Michael Riepen, due ricercatori incaricati dalle associazioni ambientaliste di redigere un rapporto sulla scottante situazione. I risultati cui sono giunti gli studiosi dopo aver visitato nove Paesi del Sud-Est asiatico e aver intervistato centinaia di persone, sono decisamente sconfortanti. Nelle Filippine, per quanto il presidente Fidel Ramos abbia ordinato alla polizia marittima di combattere la pesca abusiva, gli operatori hanno via libera. Basta una bustarella nelle mani dei funzionari addetti alla sorveglianza. C'è poco da fare. Tutto il mondo è Paese. Quanto alla zona del Pacifico, qui le leggi sulla pesca variano da un Paese all'altro, e per giunta cambiano continuamente. Ma quel che è peggio, nel cuore del mercato, cioè a Hong Kong, non si fa assolutamente nulla per impedire la distruzione della scogliera corallina, un patrimonio naturale di valore inestimabile. Il fatto è che il commercio illegale dei pesci del reef ha assunto proporzioni gigantesche. E' diventato un business colossale da cui trae profitto troppa gente. Incominciando dai pescatori che vivono in quei Paesi al disotto della soglia della povertà. A loro non sembra vero di poter fare un lavoro redditizio. Fino ai grossi imprenditori che credono di aver trovato la gallina dalle uova d'oro. E come al solito, l'uomo, pur di avere un guadagno immediato, non si accorge che la gallina dalle uova d'oro la sta uccidendo con le sue stesse mani. Isabella Lattes Coifmann


CIECHI Dall'Enea un aiuto «tattile»
Autore: BONZO MARIALUISA

ARGOMENTI: ELETTRONICA, RICERCA SCIENTIFICA, HANDICAP
NOMI: BOTTICELLI ANTONIO, MEZZI LUCIANO
ORGANIZZAZIONI: ENEA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: «Visio»

DA un anno il Dipartimento innovazioni dell'Enea (Ente per le nuove tecnologie l'energia e l'ambiente) di Frascati, lavora a un sistema di percezione ambientale per non-vedenti. Una minuscola telecamera associata a una scheda elettronica chiamata «Visio» trasforma impulsi ottici in tattili, che possono essere percepiti e interpretati con le dita dai ciechi. Per chi è privo della vista il tatto è un elemento importante, anche se non l'unico, per la cognizione e la ricostruzione intellettuale dello spazio. Non si può però toccare tutto. Alcuni oggetti sono pericolosi, altri sono in movimento o lontani, oppure sono troppo grandi e sfuggono alla portata delle mani. Nella sua ricerca, l'Enea collabora con la Oberon, un'azienda specializzata in robotica industriale. Infatti i ricercatori di Frascati sono approdati a «Visio» in modo del tutto casuale durante una sperimentazione sui sistemi robotici industriali ad alta tecnologia. Un robot si muove e opera nel suo spazio di lavoro perché lo «vede» attraverso delle telecamere e lo riconosce con una scheda elettronica. «Visio» è una scheda elettronica ad alta definizione che decodifica e riconosce gli impulsi ricevuti da una telecamera di 4 per 4 per 2 centimetri. L'immagine viene poi ricostruita su un tappetino a minuscoli aghi vibranti. La figura dell'oggetto «visto» dalla telecamera viene riprodotta così in modo sintetico, ma sufficiente per essere apprezzato con le dita allenate di un cieco. Il tappetino usato è semplicemente l'optacon, un apparecchio che esiste da più di 25 anni e che serve ai non-vedenti per leggere un normale testo. Le lettere dell'alfabeto vengono captate da un piccolo sensore e riprodotte in rilievo su 140 aghi vibranti. I ricercatori dell'Enea, guidati da Antonio Botticelli, non si sono limitati a una sperimentazione astratta. Lavora nel gruppo il fisico teorico Luca Mezzi, diventato cieco all'età di 31 anni. A lui il compito anche di sperimentare il prototipo. La microtelecamera inserita su una montatura per occhiali «vede» l'oggetto. Il tappetino ne riproduce la forma stilizzata. Il prof. Mezzi la interpreta formulando delle supposizioni ragionevoli. Nel normale fenomeno della visione è sempre il cervello a svolgere il processo importante di riconoscimento delle immagini. In questo caso si tratta di fornire al cervello impulsi tattili in sostituzione di quelli ottici e, come prima, di distinguerli ed interpretarli. Con il sistema di «Visio» per ora si possono solo apprezzare i contorni degli oggetti. Il tappetino offre una superficie di consultazione ancora limitata anche se ci si può già rendere conto del movimento dell'oggetto e della sua distanza. Fin da ora l'uso di «Visio» permette, a un cieco allenato, di afferrare o evitare, spostarsi nella direzione o allontanarsi da ciò che la microtelecamera ha individuato. La ricerca dell'Enea non è conclusa. Le prestazioni dello strumento miglioreranno con la realizzazione di un tappetino vibrante molto più sensibile dotato di 1600 aghi accoppiato ad una scheda elettronica più evoluta. Si potrà così elevare la fedeltà dell'immagine percepibile. L'apparecchiatura dovrebbe venire commercializzata all'inizio del '97 ad un costo approssimativo di 6 milioni. L'Enea, non avendo fini speculativi, non ha richiesto brevetto per «Visio». Si spera così di ottenere la collaborazione delle aziende del settore per affinare il sistema e per adattarlo sempre meglio alle esigenze dei non-vedenti. Marialuisa Bonzo


UNA RIVISTA DI SCIENZA & HUMOUR L'aerodinamica delle patatine Otto premi Nobel per mille pesci d'aprile
Autore: VALERIO GIOVANNI

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, EDITORIA
NOMI: FEYNMAN RICHARD
ORGANIZZAZIONI: THE ANNALS OF IMPROBABLE RESEARCH
LUOGHI: ITALIA

SENSAZIONALE: un gruppo di ricercatori svizzeri ha scoperto una farfalla il cui battito d'ali potrebbe provocare violenti nubifragi su Parigi. Uno studio sul recupero degli stuzzicadenti inghiottiti. La descrizione del nuovo simbolo logico-matematico «quasi uguale a», che farà la felicità dei politici durante i commenti elettorali. E infine un colpo giornalistico: un documento del governo degli Stati Uniti, sinora top secret, intitolato «Eliminazione di carcasse animali con esplosivi». Sono alcuni articoli dell'ultimo numero di «The Annals of Improbable Research», la rivista americana della scienza per ridere (l'abbonamento annuale costa quaranta dollari, da inviare alla casella postale numero 380853, Cambridge, Massachusetts, 02238 Usa). Già le iniziali rendono bene l'idea del contenuto «Air» : aria (fritta). Nata poco più di un anno fa come derivazione di «The Journal of Irreproducible Results», «Air» pubblica ricerche improbabili, impossibili o semplicemente bizzarre. Tutte dallo stile ampolloso, accompagnate da grafici e tabelle, rigorose prove sperimentali e accurate bibliografie, come nelle vere riviste scientifiche. Dietro ci sono 40 seri ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (tra cui otto premi Nobel), dotati di sense of hu mour e di notevole autoironia, eredi di quel mattacchione di Richard Feynman, il fisico noto non solo per i suoi studi sulle particelle elementari, ma anche per le sue burle micidiali. Sulle pagine di «Air» aleggia anche lo spirito di Isaac Asimov, autore di un fantastico racconto sulla tiotimolina risublimata. la sostanza che si scioglie prima ancora di aggiungere l'acqua. Tra ricerca e fantascienza, ogni numero di «Air» è una collezione di pesci d'aprile scientifici, tutti rigorosamente confezionati. «L'aerodinamica delle patatine» è corredato da una serie di test sperimentali. «Gli effetti collaterali dello stress durante la stesura della tesi di laurea» è stato invece provato sui due cuccioli di pastore tedesco dell'impovvisata ricercatrice. Non mancano progetti completi, e anche fattibili, come in «Somministrazione di cortisone durante incidenti automobilistici». Gli autori hanno costruito un apparecchio che può essere installato nelle auto. Sincronizzato con l'airbag, inietta automaticamente il cortisone nel gluteo del guidatore, appena dopo l'urto. Non mancano fotografie e disegni dell'apparecchio in azione. Passando con disinvoltura da «La storia naturale degli autoarticolati» a «Peni del regno animale», «Air» ospita anche articoli teorici come «Una soluzione al classico problema del mezzo vuoto- mezzo pieno» (un dilemma che tormenta gli scienziati da quando esistono i bicchieri) o «La matematica dei numeri telefonici». «Relazioni evolutive tra i formaggi» svela tutti i segreti della stirpe dei mozzarelloidi, documentando le parentele tra caciotte e scamorze, gorgonzola e pecorini. «Gli effetti palliativi del bacio sulla prognosi di ferite» spiega, dati alla mano, perché è meglio dare un bacio sulla ferita per far guarire le sbucciature dei ragazzini. «Air» è celebre anche per le grandi inchieste. Da segnalare quelle, seguitissime, sugli spazzoloni e sui più popolari disturbi psicologici che hanno afflitto l'umanità dai giorni di Sigmund Freud. Ci sono poi gli equivalenti del gastronomo Edoardo Raspelli, che provano le caffetterie di grandi istituti di ricerca. I voti del menù vanno da «i» (unità immaginaria: il cibo è buono solo nell'immaginazione) a pi greco. Ogni riga della rivista nasconde pillole di humour: rubriche di giardinaggio teorico o di storie bizzarre capitate a insegnanti, analisi spettrografiche per comparare mele e arance, annunci di collezionisti di rossetti di scienziate, dalla Curie alla Montalcini. Chiude una ricca sezione di limerick, brevi poesie umoristiche, ovviamente di argomento scientifico. Il sorriso è in agguato, soprattutto se si lavora nei laboratori di ricerca. Infatti, la rivista ha riscosso un notevole successo tra gli scienziati, tanto che ne esiste anche una versione su Internet (al sito http//www.improb.com). Una sezione di «The Annals of Improbable Research» segnala invece le (vere) ricerche più assurde, pubblicate dalle oltre 70 mila riviste scientifiche di tutto il mondo. Si va da «Gli effetti dell'invecchiamento sulle proprietà meccaniche del formaggio Cheddar», a «Tombini» (con fotografie), per finire con «L'importanza della lunghezza del secondo dito nei piedi dei ballerini». Allo scopo di dare un giusto riconoscimento a questi studi inutili, è stato creato un premio per il peggio della ricerca scientifica, intitolato a Ig Nobel, fratello del più celebre Alfred. Il riconoscimento viene attribuito alle ricerche che «non possono o non dovrebbero essere riprodotte». L'Ig Nobel '95 per la psicologia è stato assegnato a un gruppo di ricercatori giapponesi che ha insegnato ai piccioni a distinguere tra i dipinti di Picasso e quelli di Monet. Il massimo (si fa per dire) riconoscimento per la chimica è andato a Bijan Pakzad di Beverly Hills, inventore del profumo Dna. Infine, un gruppo di ricercatori dell'Institute of Food Research di Norwich ha vinto il premio per la fisica grazie a un'analisi rigorosa dell'inzuppamento dei corn flakes. Con l'inevitabile scandalo della stampa inglese, indignata per lo spreco di denaro pubblico. Giovanni Valerio


TORINO TRA LE CITTA' CAVIA Traffico teleguidato Il progetto europeo anti-ingorgo
Autore: MORELLI MASSIMO

ARGOMENTI: TRASPORTI, ELETTRONICA
ORGANIZZAZIONI: UE UNIONE EUROPEA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D., T. TAB. LE PARTI DEL SISTEMA DI CONTROLLO TELEMATICO DEL TRAFFICO ============================================================= 150 CONTROLLORI DI ZONA: centraline per il controllo di incroci semaforici, che saranno pilotati a seconda del traffico presente negli assi confluenti fornendo priorità al mezzo pubblico e fluidificando l'area in previsione dell'arrivo dei mezzi di emergenza. Ognuno di questi incroci sarà dotato di apparati per il rilevamento del traffico privato --------------------- 22 VMS-r (Variable Message Sign per il reindirizzamento): pannelli a messaggio variabile per un indirizzamento dinamico dell'utenza su percorsi alternativi --------------------- 23 VMS-p (Variable Message Sign - parcheggi): pannelli a messaggio variabile per l'indirizzamento ai parcheggi --------------------- 18 PIA (Posti di Informazione Automatica): terminali di informazione automatica per l'utenza --------------------- 300 VIA (Visualizzatore di Informazioni sugli Arrivi): display per l'informazione sulle previsioni di arrivo dei mezzi alle fermate del trasporto pubblico --------------------- 1350 (100%) MEZZI PUBBLICI EQUIPAGGIATI per la comunicazione on-line con il centro, l'auto-localizzazione ecc. (di cui 150 con strumenti «pesa conta» per il conteggio dei passeggeri --------------------- 80 EMETTITRICI AUTOMATICHE di biglietti e di abbonamenti --------------------- 5 «BEACON»: punti di trasmissione dati a macchine equipaggiate con il sistema di indirizzamento individuale --------------------- 8 PARCHEGGI AUTOMATIZZATI con possibilità di tele-prenotazione --------------------- 7 CENTRALINE DI MONITORAGGIO AMBIENTALE =============================================================
NOTE: Progetto Quartet (Quadrilateral Advanced Research on Telematics for Environment and Transport), Progetto 5T (Tecnologie Telematiche per i Trasporti e il Traffico a Torino)

A riprova di quanto diffusa e profonda sia divenuta la sensibilità collettiva per i problemi del traffico, Pino Caruso in uno dei suoi monologhi proponeva un sottile distinguo tra ingorghi «automatici», provocati dalle disfunzioni del sistema semaforico, e ingorghi «fatti a mano» attribuibili invece all'umanissimo operare dei vigili urbani. Quando di una questione cominciano a occuparsi anche i comici è segno che la piaga s'è fatta purulenta. Il sistema stradale europeo soffre di una crisi che si fa di anno in anno più grave e già oggi è all'origine di numerosi problemi in termini di efficienza, sicurezza e impatto ambientale. Il disagio collettivo sembra giunto ai limiti di guardia e per porvi rimedio - a parte gli interventi sui veicoli cui si dedicano le case automobilistiche - si aprono due possibilità. La prima è di tipo urbanistico e prevede la realizzazione di comunità autosufficienti la cui configurazione rende gli abitanti meno inclini all'uso dei mezzi di trasporto; in queste città «pedestrian-friendly» le sedi di lavoro e tutti i servizi essenziali sono comodamente raggiungibili a piedi o in bicicletta, mentre l'uso dell'automobile si limita a occasioni particolari o ai viaggi fuori porta. Questo modello «neotradizionalista», già sperimentato in Inghilterra e negli Stati Uniti, è interessante ma, oltre a richiedere tempi molto lunghi, pare difficilmente applicabile nella vecchia Europa dove è raro che si costruisca «ex novo» e bisogna sempre fare i conti con le strutture preesistenti. La seconda possibile soluzione, forse più realistica, consiste invece nel concentrarsi sul miglioramento del sistema viabile esistente facendo soprattutto ricorso alle possibilità della telematica. La Comunità europea si è mossa da tempo in questa direzione istituendo sin dal 1989 i programmi di ricerca Drive, dedicati a studiare l'applicazione delle nuove tecnologie ai sistemi di trasporto. In principio, con il programma Drive I (1989-91), si affrontò l'argomento dal punto di vista teorico e i risultati dei 90 progetti condotti da altrettanti consorzi internazionali confermarono che alcune applicazioni della telematica, peraltro già tecnologicamente mature o prossime a diventarlo, potevano rivelarsi utilissime alla soluzione dei problemi della viabilità in Europa; in particolare, da un lato furono approfondite le possibilità applicative delle tecnologie di diffusione delle informazioni (radio, telefonia cellulare e short-range communication), dall'altro vennero individuati i modelli matematici per la rappresentazione quantitativa dei flussi di traffico e le tecniche di regolazione del medesimo. Che di scienza si trattasse, e non di fantascienza, fu poi confermato dal successivo programma Drive II (1992-94), con il quale si cominciò a sperimentare sul campo l'efficacia delle proposte teoriche attraverso la realizzazione di numerose pilot demonstration. Tra queste occupa un posto di rilievo anche il progetto Quartet (Quadrilateral Advanced Research on Telematics for Environment and Transport), tuttora in corso, cui hanno aderito le città di Atene, Birmingham, Stoccarda e Torino. Ognuna delle quattro metropoli si è incaricata di approfondire un diverso aspetto della gestione del traffico urbano, e così se Atene si è concentrata sul tema dell'impatto ambientale, Birmingham su quello dei trasporti pubblici e Stoccarda sulle tecniche di route guidance (indirizzamento individuale), il compito più spinoso se l'è forse accollato Torino che con il suo progetto 5T (Tecnologie Telematiche per i Trasporti e il Traffico a Torino) ha scelto di cimentarsi sul problema delle «architetture integrate», cioè dell'armoniosa convivenza tra differenti sistemi di controllo. Il progetto, cui oltre alle aziende torinesi di energetica e dei trasporti (Atm, Aem) partecipano sei società private (Fiat Auto attraverso il Centro Studi sui Sistemi di Trasporto, Gilardini, Italtel Telesis, Mizar Automazione, Olivetti Tecnost e Solari Udine), ha obiettivi ambiziosi: si parla di ridurre del 25 per cento i tempi di percorrenza e del 18 per cento i consumi di carburante e le emissioni inquinanti nell'area urbana torinese. Per conseguire risultati di questa portata è necessario intervenire su tutte le componenti del traffico cittadino e proprio per questo 5T è stato concepito come un sistema integrato costituito da diversi sottosistemi il cui coordinamento viene garantito da un unico supervisore. I sottosistemi sono nove e precisamente il controllo centralizzato dei semafori, l'instradamento collettivo mediante pannelli a messaggio variabile che suggeriscono i percorsi preferenziali o le aree di parcheggio, l'informazione all'utenza per mezzo di televideo, videotel o posti di informazione automatici, la gestione del trasporto pubblico che in relazione alle esigenze di servizio richiede la priorità semaforica e fornisce informazioni ai viaggiatori, il controllo e la navigazione dei veicoli a massima priorità come le ambulanze, la tele-prenotazione e la gestione dei parcheggi, il monitoraggio continuo delle condizioni di inquinamento, l'instradamento individuale che guida il singolo veicolo, dotato di specifico equipaggiamento, nella scelta del percorso migliore e infine l'integrazione monetaria che fornisce un unico strumento di pagamento per tutti i parcheggi, i mezzi pubblici e gli accessi alle aree a traffico limitato. Ognuno di questi sottosistemi fa poi riferimento a un unico supervisore o centro di controllo che raccoglie tutti i dati di monitoraggio della rete, li integra e prescrive le necessarie azioni correttive. Il supervisore è il cuore di 5T e ne è anche la componente più delicata e vulnerabile giacché su di esso ricadono le maggiori responsabilità per il corretto funzionamento del sistema. «Ma non si creda che siano solo le macchine, i computer, a destare preoccupazione - spiega l'ingegner Morello del Centro Studi sui Sistemi di Trasporto -Il vero problema sta sempre in chi gestisce. Tempo fa si pensava che i sistemi di controllo del traffico dovessero essere delle black-box completamente automatiche che si trattava soltanto di avviare e lasciar operare autonomamente, ma oggi sappiamo che quei sistemi sono falliti proprio perché dimenticati da tutti e abbandonati al loro destino. La verità è che le macchine vanno seguite passo passo, e per farlo ci vogliono gestori competenti. Con 5T eviteremo di cadere in quest'errore». Quest'anno parte il nuovo programma europeo Drive III, con il quale l'enfasi si sposta dalle pilot demonstration alla cosiddetta validation, ovvero la misura e valutazione degli impatti dei sistemi telematici. Naturalmente ne fa parte anche 5T, di cui sono state già realizzate circa l'80 per cento delle installazioni e che a febbraio entra nella fase di sperimentazione destinata a protrarsi per circa quindici mesi: nei primi sei saranno effettuate delle verifiche di massima, ma a partire dalla prossima estate il sistema sarà pienamente operativo e i torinesi potranno finalmente constatare cosa significhi vivere in una città all'avanguardia nella gestione telematica del traffico. Con la speranza che, alla fine, abbiano motivo di considerarsi dei privilegiati e non delle cavie. Massimo Morelli


CAMPIONATO MONDIALE AD AOSTA Il parente povero del dirigibile ad elio Gonfiato ad aria calda, serve nella ricerca e per fare pubblicità
Autore: FILTRI TULLIO

ARGOMENTI: TRASPORTI, AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, SPORT, MANIFESTAZIONI
LUOGHI: ITALIA

UNA singolare manifestazione aerea si è conclusa nelle scorse settimane ad Aosta: il quinto Campionato mondiale riservato ai dirigibili gonfiati con aria calda, come le mongolfiere. Nel cielo della Valle d'Aosta questi piccoli dirigibili si sono inseguiti in combattute gare a bassissima quota, rivaleggiando accanitamente tra loro in competizioni di precisione, di regolarità, di velocità. Ma anche di slalom aereo, di posa e presa di oggetti al suolo senza toccare terra, di atterraggi di precisione entro un cerchio di cinque metri di diametro, e in varie altre interessanti prove tecnico-agonistiche. Come si diceva, il dirigibile ad aria calda è una specie di mongolfiera, ma dalla forma allungata e munita in coda di impennaggi. La navicella contiene nella parte superiore un bruciatore di gas propano per riscaldare l'aria. Davanti al pilota vi è un pannello con la strumentazione di controllo, sul pavimento una bombola di propano, dietro al pilota un piccolo motore che aziona un'elica per la propulsione. Il dirigibile ad aria calda è nato in Inghilterra nel 1973, seguito nel 1981 da quello ad aria pressurizzata. L'Inghilterra mostra molta attenzione al dirigibile; ha presentato a sorpresa nel 1983 il dirigibile «tutto plastica», l'Airship 500. Il dirigibile ad aria calda si è silenziosamente diffuso in varie parti del mondo. Viene usato per la pubblicità aerea e da qualche signore che può permettersi il lusso di mantenerlo. In Cina è stato usato per la posa di cavi elettrici in zone impervie; in Brasile per ricerche scientifiche nella grande foresta amazzonica. Il dirigibile ad aria calda si affianca come parente povero al grande dirigibile gonfiato con elio. Ma si è rivelato di grande utilità pratica. L'involucro è di materiale plastico, nylon ad alta tenacità o Hyperplast, più resistente al calore ed all'usura. La cubatura va dai mille ai duemila metri cubi. Il motore è, di solito, un due tempi da 250 centimetri cubi, come quello di una piccola motocicletta. L'involucro del dirigibile ad aria calda viene estratto dalla sacca nella quale viene ripiegato dopo ogni volo e adagiato a terra; vi si aggancia la cabina; si procede al gonfiaggio con un ventilatore, e quindi al riscaldamento dell'aria, accendendo il bruciatore; poi si avvia il motore. Appena l'aria è sufficientemente calda, il dirigibile sale e comincia il volo. Per ora l'autonomia è ancora scarsa. Ma potrà migliorare. Tullio Filtri


AERONAUTICA Data link per volare più sicuri
Autore: RIOLFO GIANCARLO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, TECNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

TUTTI i piloti e i controllori di volo del mondo comunicano in inglese. Il guaio è che ciascuno lo parla a modo suo. Negli Stati Uniti, niente è più facile di incappare nell'operatore radar che detta istruzioni mangiandosi le parole. E basta andare nei cieli della Francia per sentire un idioma che ricorda Peter Sellers nei panni dell'ispettore Clouseau, quello del film «La Pantera Rosa». Insomma, tutti credono di parlare la stessa lingua, ma sulle frequenze radio dei centri di controllo del traffico aereo, è una babele di inflessioni e di cadenze. Per snellire le comunicazioni radio e soprattutto per ridurre le possibilità di errori, si usa un frasario standard, al quale piloti e controllori devono attenersi. Con la tecnologia attuale, però si può fare di meglio. Per esempio, collegare il computer di bordo agli elaboratori che sorvegliano il traffico aereo con un data-link: il filo invisibile della trasmissione via radio di messaggi digitali. Un sistema che supera le difficoltà linguistiche ed elimina ogni pericolo di malintesi. La sua sperimentazione è iniziata da qualche mese, con i test condotti dall'Aerospatiale e da Eurocontrol, l'agenzia che si occupa del traffico aereo nei cieli d'Europa. Insieme con i satelliti per seguire la rotta e atterrare anche in assenza di visibilità, il data link è uno dei pilastri del futuro sistema di navigazione aerea proposto dall'Icao, l'organizzazione mondiale dell'aviazione civile. Per i collaudi sono utilizzati gli Airbus 320 appena costruiti, che dallo stabilimento di Tolosa volano ad Amburgo, dove la cabina dei passeggeri riceve i sedili e gli arredamenti interni. Il tragitto prevede circa un'ora di volo all'interno dello spazio aereo controllato dal centro di Maastricht, in Olanda: è in quest'area che si svolgono gli esperimenti. Per comunicare con il controllo del traffico, i piloti selezionano su un display il messaggio - per esempio la richiesta di cambiare il livello di volo - e premono un bottone. L'informazione trasmessa appare accanto al simbolo dell'aereo sullo schermo dell'operatore radar, mentre un cicalino richiama la sua attenzione. Allo stesso modo, le istruzioni arrivano al computer di bordo del velivolo e i piloti possono leggerle sul video. Senza possibilità di malintesi. Il dispositivo a bordo dell'aereo trasmette automaticamente a terra, ogni cinque minuti, un messaggio di posizione corredato da informazioni quali velocità, quota e così via. Piloti e controllori di volo coinvolti nell'esperimento sono stati addestrati a usare il data link e dovranno esprimere il loro parere per migliorare sistema e procedure in vista di una possibile adozione. Tra i vantaggi attesi, oltre alla chiarezza dei messaggi, c'è un minore stress di uomini-radar ed equipaggi: anch'esso dovrebbe contribuire ad accrescere la sicurezza. Giancarlo Riolfo


FISICA Nella bussola c'è un mistero Ricerche sui monopoli magnetici
Autore: FRE' PIETRO

ARGOMENTI: FISICA, STORIA DELLA SCIENZA
NOMI: FUBINI SERGIO, COULOMB CHARLES AUGUSTIN, POLYAKOV ALEXANDER, DIRAC PAUL, WITTEN EDWARD, SEIBERG NATHANIEL, WEINBERG STEVEN
LUOGHI: ITALIA

MENTRE il fanatismo uccideva il premier Rabin, in una località del Sinai scienziati arabi e israeliani, insieme con americani ed europei discutevano in pace di fisica teorica. La preparazione di questo incontro ha richiesto lunga cura ai suoi organizzatori, tra i quali Sergio Fubini dell'Università di Torino. Il tema scientifico principale però si è imposto in modo spontaneo. Da circa un anno, infatti, un campo di indagine ha focalizzato in modo prepotente l'interesse dei teorici: si tratta della dualità elettrico-magnetica, detta in gergo dualità S. Dello stesso tema si è parlato anche alla divisione teorica del Cern, nella settimana successiva all'incontro del Sinai: cento scienziati europei convenuti e 30 conferenze in 5 giorni. Come tutti gli sviluppi importanti, la dualità S è una novità che ha le sue radici in un problema antico. Anche i liceali imparano la legge di Coulomb dell'elettrostatica: due corpi dotati di cariche elettriche si attraggono o si respingono con una forza inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza e proporzionale al prodotto delle due cariche. L'attrazione, o la repulsione, dipende dal segno di tale prodotto. Charles Augustin Coulomb, che visse nel XVIII secolo, verificò sperimentalmente la legge dell'elettrostatica e la estese alla magnetostatica, sostituendo le cariche magnetiche a quelle elettriche. Particelle elementari dotate di cariche elettriche esistono veramente e obbediscono, pur con tutte le complicazioni dovute alla meccanica quantistica e alla relatività, alla legge di Coulomb. Ad esempio sono monopoli elettrici gli elettroni. Ma con buona pace di Coulomb, però, monopoli magnetici non sono ancora stati rilevati. La dissimmetria tra elettrostatica e magnetostatica è codificata nelle equazioni di Max-well. Queste equazioni che governano l'elettromagnetismo classico prendono nome dal fisico scozzese che le scrisse nell'ultimo quarto del diciannovesimo secolo. A differenza del campo elettrico, la cui divergenza è la densità di carica elettrica, quello magnetico ha divergenza nulla. Questo significa ciò che imparano anche i bambini giocando con la calamita e la limatura di ferro: il magnete (per esempio l'ago della bussola) è un dipolo. Le linee di forza del campo entrano in un'estremità del magnete ed escono dall'altra come se le cariche positive fossero concentrate da una parte e quelle negative da quella opposta. Ma se si spezza la calamita le due parti si comportano nuovamente come due dipoli. E' impossibile isolare singole cariche magnetiche. In regioni dello spazio dove non vi siano cariche nè elettriche nè magnetiche le equazioni di Maxwell sono invece perfettamente simmetriche rispetto allo scambio del campo elettrico con quello magnetico. Perciò, a dispetto delle indicazioni provenienti dall'esperienza, l'assenza di cariche magnetiche elementari ha sempre insospettito i fisici teorici: se esse esistessero, la simmetria che hanno le equazioni di Maxwell nel vuoto, sarebbe ristabilita anche in presenza di materia. Nulla eccita la fantasia dei teorici più delle simmetrie: pur di realizzarne una, sono disposti a fare le ipotesi più ardite e postulare l'esistenza di qualunque cosa. Per quanto audace, tale strategia ha sempre dato ottimi frutti: nessun principio di simmetria ha mancato di essere trovato, presto o tardi, nelle leggi della natura. E' anzi attraverso questo processo che sono nate le teorie fisiche più fondamentali come la relatività generale e il modello standard. Quest'ultimo spiega la fisica delle interazioni elettrodeboli ed è una forma particolare (adottata nel 1967 da Weinberg, Salam e Glashow, che per questo ebbero il Nobel) di teoria di Yang e Mills. Questa teoria generalizza le equazioni di Maxwell sulla base di un principio di simmetria ed è stata postulata dai suoi autori già negli Anni 50, vent'anni prima, cioè, che vi fosse alcuna motivazione sperimentale per farlo. Il modello standard è stato verificato con altissima precisione all'acceleratore Lep del Cern nel corso degli ultimi sei anni. Non stupisce dunque che da quasi cinquant'anni i fisici teorici inseguano il sogno di realizzare la dualità elettrico-magnetica e considerino l'esistenza di monopoli magnetici come una necessità logica. Nel 1948 l'inglese Dirac, che negli Anni 30 aveva predetto l'esistenza del positrone e dell'antimateria, studiò le implicazioni dell'ipotetica esistenza di monopoli magnetici. In un mondo governato dalle leggi della meccanica quantistica - egli concluse - l'esistenza anche di un solo monopolo magnetico implica la quantizzazione delle cariche elettriche quali multipli interi dell'inverso di tale carica magnetica. Le cariche elettriche sono effettivamente quantizzate in termini di una carica minima elementare, quale dell'elettrone. Dunque Dirac fornì un forte argomento a favore dell'esistenza dei monopoli magnetici. Nel 1975-76, l'olandese Gerard 't Hooft e il russo Alexander Polyakov, derivarono indipendentemente una classe di soluzioni delle equazioni di Yang-Mills che si comportano come monopoli magnetici. I monopoli di 't Hooft e Polykov sono oggetti simili alle onde solitoniche che possono prodursi nei canali di acque poco profonde: sono pacchetti di energia localizzata in grado di viaggiare per un tempo infinito senza dissiparsi. Per ottenerli, però, il campo di Yang- Mills non è sufficiente, occorre anche il campo di Higgs. Più di trent'anni fa l'inglese Higgs propose un meccanismo di generazione delle masse che costituisce un ingrediente essenziale del modello standard. Ma il campo associato a questo meccanismo è stato finora il più elusivo: la particella di Higgs, infatti, non è ancora stata rivelata. La sua ricerca è una delle motivazioni per la costruzione, al Cern, del nuovo gigantesco acceleratore Lhc. Recentemente sono circolate indiscrezioni che l'Higgs sia stato rilevato già al Lep, ad una massa di 130 gigaelettronvolt. Al momento nulla è certo, necessitano nuovi dati. Se confermata, la notizia, avrebbe enorme rilievo. Il particolare valore di 130 GeV per la massa dell'Higgs è ritenuta un'indicazione indiretta a favore della supersimmetria. E' questa un ambiziosissimo principio di simmetria, introdotto all'inizio degli Anni 70, che ha concettualmente ispirato tutti gli sviluppi teorici dell'ultimo ventennio. Quando le teorie di campo sono supersimmetrizzate, esse acquistano proprietà straordinarie. Ciò è specialmente vero se le supersimmetrie, il cui numero viene indicato con la lettera maiuscola N, sono due. La teoria di Yang-Mills N=2 possiede un mirabile spettro di monopoli magnetici che realizzano il sogno della dualità elettrico magnetica e attraverso di essa permettono di risolvere in modo esatto la teoria quantistica. Tale risultato pubblicato nel 1994 dal guru dei teorici americani Edward Witten in collaborazione con l'israeliano Nathaniel Seiberg ha aperto un vaso di Pandora di insospettata ricchezza. La dualità elettrico magnetica è stata usata come testa d'ariete per derivare nuove soluzioni quantistiche esatte non solo nella teoria di Yang-Mills ma anche nella teoria della superstringa. L'argomento è letteralmente esploso in centinaia di articoli scientifici. L'ingenua pretesa di Coulomb è così vendicata. Pietro Frè Università di Torino


SCAFFALE Sagdeev Roald: «The making of a soviet scientist», John Wiley ed.
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Probabilmente Roald Sagdeev è oggi lo scienziato ex sovietico più noto nel mondo. Ha lavorato nel campo della fusione nucleare e delle ricerche spaziali. Inoltre è stato costantemente alla ricerca del dialogo tra Est e Ovest anticipando gli sviluppi che hanno portato alla fine della contrapposizione tra i due blocchi. Molti ricordano i suoi interventi ai seminari della Scuola Majorana di Erice. Attualmente è professore di fisica all'Università del Maryland. In questo libro, che meriterebbe una traduzione italiana, racconta la sua avventura scientifica e umana da Stalin alle «guerre stellari». Piero Bianucci


SCAFFALE Natoli Umberto: «Fotografia subacquea», Calderini
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: OTTICA E FOTOGRAFIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

La fotografia subacquea non è solo un divertimento ma anche una tecnica di documentazione scientifica. Questo manuale la insegna in modo molto pratico e immediato. Splendido, manco a dirlo, il corredo fotografico.


SCAFFALE Autori vari: «Trauma cranico», Bollati Boringhieri
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Tutte le conseguenze fisiche e psicologiche di un grave trauma cranico analizzate grazie ai contributi di una quindicina di ricercatori italiani e stranieri coordinati da Marina Zettin e Roberto Rago.


SCAFFALE Berg Paul e Singer Maxine: «A tu per tu con i geni», Zanichelli
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: GENETICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Applicata per secoli in modo empirico con la tecnica degli incroci, divenuta scienza con Mendel e i suoi classici studi sui piselli, la genetica è oggi il campo della biologia in più rapida espansione, probabilmente, la disciplina destinata a cambiare più profondamente il nostro futuro. La rivoluzione è iniziata con un articoletto di una pagina su «Nature» nel quale Watson e Crick spiegavano la struttura del Dna e continua con le applicazioni del Dna ricombinante. La materia è ricca di fascino, ma anche difficilmente divulgabile. Paul Berg (Premio Nobel 1980) e Maxine Singer hanno fatto uno sforzo di chiarificazione coronato da ottimi risultati.


SCAFFALE Caselli Maria Cristina e Casadio Paola: «Il primo vocabolario del bambino», Franco Angeli
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: PSICOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

I bambini italiani tra gli 8 e i 17 mesi che comprendono la parola «mamma» sono il 93 per cento. Nella graduatoria della comprensione seguono le parole papà (90,5), ciao, pappa, acqua, bau bau, no. Più basse le percentuali se si considera la pronuncia: al primo posto ancora «mamma» con il 52,4 per cento, poi vengono papà, bau bau, pappa, nonna, brum brum, acqua, nonno, miao, no, nanna e ciao. Questi dati interessanti e curiosi sono contenuti in un manuale dedicato alla valutazione della comunicazione e del linguaggio nei primi anni di vita tramite il questionario MacArthur. Li hanno ricavati tramite l'esame di 700 bambini due ricercatrici dell'Istituto di psicologia del Cnr di Roma, autrici di questo libro. Principale scopo del questionario è stabilire un valore di riferimento per stimare la capacità di comunicazione gestuale e linguistica dei bambini con meno di due anni. Una lettura utile agli psicologi e ai genitori.




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