TUTTOSCIENZE 17 gennaio 96


SPAZIOTEMPO Uomini, tra la terra e il cielo Sempre più difficile capire l'«idea» dell'Universo
Autore: DIDIMO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, FISICA
PERSONE: DIDIMO «DE BENEDETTI RINALDO»
NOMI: DIDIMO «DE BENEDETTI RINALDO»
LUOGHI: ITALIA
NOTE: L'ULTIMO ARTICOLO DI DIDIMO, MAESTRO DELLA DIVULGAZIONE

SPAZIO e tempo noi siamo naturalmente portati a pensarli come infiniti. Chi tenta di figurarsi per lo spazio un limite, subito si sorprende a cercare, di là da questo, altro spazio. Per il tempo, se si immagina ch'esso sia incominciato e che poi, a un certo punto, abbia a finire, subito sorgono le domande: e prima? E dopo? Questa difficoltà di pensare lo spazio e il tempo come finiti, mentre non ci è dato nemmeno di figurarceli nella mente come infiniti, è forse una connaturata limitazione delle nostre facoltà. Come che sia, parrebbe che lo spazio (o l'idea di esso) si sia, di questi tempi, ingrandito, dacché ci viene, ad ogni poco, annunziato dagli astronomi che ogni più lontana regione di esso (sempre più di lontano) è popolata di galassie senza numero, ciascuna formata parimenti da innumerabili stelle, nonché, con ogni probabilità, di pianeti e satelliti. Da quelle distanze giungono messaggi di luce e di radioonde, che sembrano dare notizia, per interpretabili segni, che quegli oggetti continuano ad allontanarsi. L'enormità delle distanze, la molteplicità e innumerabilità dei corpi celesti, potrebbero avere effetti ammonitori su di noi, facendoci meglio consapevoli della nostra piccolezza. Ma, nella realtà, noi non possiamo fermare il pensiero su oggetti di tanta misura; siamo legati, ciascuno di noi, alla persona bisognosa di piccole cose: di cibo e di panni e di sonno; e poi di società e sicurezza; non possiamo esimerci dal guardare al Paese dove viviamo; siamo costretti a lottare e stringere alleanze con i nostri, come noi infimi, consimili. L'idea stessa che del mondo ci danno gli scienziati di oggi l'afferriamo verbalmente, non però con gli occhi della mente. Non possiamo figurarci un'unità di lunghezza, familiare per gli astronomi, qual è l'anno-luce; e tanto meno i milioni e i miliardi di anni-luce, da cui sembrano pervenire quei messaggi. Ciò non è senza conseguenze per una parte di noi, per coloro che professano una religione di un dio unico. Anche questo (realtà o concetto che sia) si è allontanato da noi. Per un creatore di tanta creazione l'uomo ha difficoltà a colloquiare, a tentare di propiziarselo con le preghiere. Qui chiediamo venia ai lettori per avere introdotto in queste pagine un termine, nel quale ciascuno mette quel che vuole (e non di rado ci mette anche i propri comodi); ma la religione esiste nella società così come nel sentimento di molti, e non può andare disgiunta dal concetto che abbiamo del mondo. Sentiremmo forse più vicine divinità indigenti, aventi governo di cose meno grandi, di dimensioni più umane, come era per i greci, i romani e i barbari dell'antichità. Se poi dallo spazio vogliamo passare al tempo, si presentano questa volta antinomie tra cultura e scienza. Anche il tempo (passato: di quello futuro nulla si sa) si è popolato di eventi, ma di diversa antichità e natura. Un archeologo che trovi in Asia una tavoletta degli Ittiti può vantarsi di aver messo mano su un oggetto di grande antichità, risalente suppergiù a quattro millenni or sono. Ma, nella scala geologica, quattro millenni sono un tempo insignificante. Esso ha potuto modificare di ben poco la fisionomia della Terra. La divisione dei continenti da una compatta Pangea si fa risalire a duecento milioni di anni addietro; la comparsa della vita sulla Terra a due o tre miliardi di anni (e l'antichità della specie umana a duemila secoli circa); il big bang, per chi ci crede, a qualcosa come quattordici miliardi di anni. Questa diversa valutazione del tempo è uno degli aspetti di quella dicotomia che fu illustrata, nel 1959, dal saggio di Snow «Le due Culture» (in italiano presso Feltrinelli, 1964); da una parte la cultura letterario-umanistica, dall'altra quella scientifico-tecnica. L'analisi dello studioso inglese (nata dalla circostanza, com'egli ebbe a dire, di essere di professione scienziato, di vocazione scrittore) ebbe allora vasta risonanza, e - a nostro parere - nessuna conseguenza. Anzi, la divisione si è accentuata, perché nei trent'anni intercorsi le scienze sono avanzate di molto, soprattutto nelle applicazioni (inquietanti) della biologia come dell'ingegneria. Niente di nuovo sull'altro versante. Didimo -------------------------------------------------------------------- L'ULTIMO ARTICOLO DI DIDIMO, MAESTRO DELLA DIVULGAZIONE Questo è l'ultimo articolo di Didimo, che ci ha lasciati la scorsa settimana all'età di 92 anni. Didimo, pseudonimo di Rinaldo De Benedetti, era il decano e il maestro indiscusso dei giornalisti scientifici italiani. Incominciò a scrivere di scienza per il «Corriere della Sera» (dove per primo diede notizia della bomba atomica esplosa su Hiroshima) e proseguì sulle pagine de «La Stampa». Di «Tuttoscienze» fu tra i primissimi collaboratori: con la sua grande propensione per la didattica, scelse di scrivere prima una serie di schede per illustrare i concetti alla base della scienza, e poi articoli sulla storia del progresso scientifico, per i quali attingeva ai suoi molti e lucidissimi ricordi personali, che coprivano un arco di tre quarti di secolo. A Didimo, che è stato anche un letterato finissimo, è toccata la fortuna di una vita lunga e attiva. Lo testimonia anche questo suo ultimo articolo, che pubblichiamo con profondo rimpianto.


DISTIMIA Oggi sono di cattivo umore Una forma depressiva che può durare degli anni
Autore: RAVIZZA LUIGI

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

LA distimia è un disturbo dell'umore meno grave di altre forme depressive, ma senza una adeguata terapia, tende ad avere un decorso che dura fino a 2-5 anni. I sintomi più significativi sono depressione del tono dell'umore, perdita dell'autostima, perdita di energia, lamentosità, ansia e anedonia, cioè incapacità a provare piacere; il distimico spesso dice: «La depressione è la compagnia della mia vita». La distimia colpisce prevalentemente i giovani, in particolare di sesso femminile, ma è presente anche in età adulta. La sua prevalenza nell'età adulta è del 3 per cento nel corso della vita. La lunga durata della malattia, caratterizzata da umore depresso e perdita di energia con una certa frequenza, spinge il paziente ad assumere alcol e all'abuso di sostanze in un tentativo di autotrattamento. Consistenti sono le conseguenze negative sul piano lavorativo e sui rapporti interpersonali, oltreché sul piano dei costi economici. Per questi motivi il medico e gli specialisti devono porre la massima attenzione per una diagnosi precoce ed un altrettanto precoce e corretto intervento. La causa della malattia è presumibilmente genetica riferibile a una insufficienza del sistema che utilizza la dopamina endogena per mandare i suoi messaggi attraverso il cervello. Sperimentalmente è stato dimostrato che il sistema dopaminergico è rappresentato da tre vie principali che modulano funzioni differenti, quali il tono muscolare e il movimento, le secrezioni endocrine e alcune funzioni mentali, come la memoria, la vita affettiva e la vigilanza. E' quest'ultima via che è coinvolta nella patogenesi della distimia e forse di altri tipi di depressione. Infatti la somministrazione di sostanze antagoniste della dopamina in volontari sani induce sintomi di tipo depressivo come irrequietezza, compromissione della volontà, perdita di energia fisica e psichica, ansia. Sintomi analoghi a quelli della distimia. L'ipotesi dopaminergica della depressione, in particolare della distimia, è supportata dalle ricerche biochimiche sperimentali della scuola di farmacologia dell'Università di Cagliari. Il sistema dopaminergico, al pari di altri sistemi neurotrasmettitoriali del cervello, è in grado di regolare la sua funzione in modo autonomo; quando questo autocontrollo viene meno, è possibile modularne la funzione con farmaci specifici. Uno di questi appartiene al gruppo delle benzamidi sostituite e possiede un'alta affinità per i recettori dopaminergici. Basse dosi della sostanza sono in grado di attivare direttamente il tono dopaminergico e di svolgere una funzione antidepressiva. Luigi Ravizza Università di Torino


ALIMENTAZIONE Bambini, troppe merendine Squilibrato il menù giornaliero degli scolari
Autore: PELLATI RENZO

ARGOMENTI: ALIMENTAZIONE, BAMBINI, SONDAGGIO, STATISTICHE
NOMI: GIOVANNINI MARCELLO
ORGANIZZAZIONI: INTERNATIONAL JOURNAL OF RESEARCH, NUTRITION RESEARCH, CNR, ISTITUTO DANONE PER LA RICERCA SCIENTIFICA
LUOGHI: ITALIA

DUE riviste internazionali (International Journal of Research e Nutrition Research) hanno pubblicato i risultati di un'indagine su 35.072 bambini italiani in età scolastica (7-10 anni). Lo studio è supportato dal Cnr e dall'Istituto Danone per la Ricerca Scientifica (presieduto da Marcello Giovannini dell'Università di Milano), per verificare la giornata alimentare dei più piccoli e per intervenire migliorando le condizioni nutrizionali. Hanno collaborato le cliniche universitarie del Piemonte, Friuli, Lazio e Sicilia, perché rappresentative della distribuzione socio-economica nazionale. Sono stati usati questionari sulla frequenza di consumo degli alimenti e un diario per riportarne le quantità. I prodotti alimentari sono stati pesati dai genitori (precedentemente istruiti), considerando anche gli scarti. I dati indicano che le notevoli differenze che esistevano in passato fra Nord e Sud tendono a ridursi. L'apporto calorico medio coincide con i Larn (Livelli di assunzione raccomandati di nutrienti). Tuttavia si ritiene che la dieta media dei bambini italiani in età scolare eccede nell'apporto di proteine e di grassi di origine animale (il fenomeno è più evidente nelle femmine). Il Lazio ha il più alto consumo di carni fresche e lavorate. L'apporto di carboidrati e fibre rimane inferiore al previsto, con eccedenza di glicidi solubili. Segno evidente che la tradizionale preferenza dell'italiano medio nei riguardi dei cibi ricchi di carboidrati complessi (pane e pasta) sta cambiando: si consumano più di frequente i dolci e i prodotti da forno (compresi i biscotti). Questi ultimi sostituiscono il pane nella colazione del mattino e a merenda. Il consumo di pesce non è soddisfacente (scarso apporto di acidi grassi polinsaturi) soprattutto al Nord (Friuli e Piemonte). E' degno di nota anche un apporto di calcio relativamente basso fra le ragazze (con medie leggermente superiori a 800 milligrammi al giorno soltanto in Piemonte), mentre l'apporto di vitamina C e di ferro è generalmente sufficiente (ad eccezione del Friuli). La dieta così caratterizzata è di tipo intermedio tra quella delle nazioni industrializzate dell'Europa del Nord e degli Stati Uniti e quella dei Paesi sviluppati dell'Area Mediterranea. Gli apporti di nutrienti corrispondono a un modello dietetico dai molti punti positivi, ma rivelano anche potenziali rischi nutrizionali (eccesso di proteine e grassi) con possibili conseguenze per la salute. Renzo Pellati


BOTANICA Bonsai: è amore o violenza? Il primo albero nano esposto a Parigi nel 1889
Autore: ODDONE CARLO, MARCHESINI AUGUSTO

ARGOMENTI: BOTANICA
LUOGHI: ITALIA

L'arte dei bonsai, cioè la coltivazione artistica di alberi in vaso, va sempre più diffondendosi in Italia e in tutto l'occidente perché è un hobby suggestivo in un mondo tumultuoso privo di spazi per la riflessione. I primi bonsai del Giappone furono esposti in Europa in occasione dell'Esposizione Universale di Parigi del 1889. Alcuni erano alberi alti non più di 40-60 centimetri, ma perfettamente proporzionati e armonizzati. Un cronista scrisse a questo proposito: «Guardando meglio questi alberi la sopresa si muta in stupore nel leggere il cartellino applicato a ciascun vaso. L'albero minuscolo ha un'età di 70-90 anni, alcuni sono centenari e molti altri hanno un secolo e mezzo di vita. Ossevandoli da vicino quasi si capisce la loro età. Essi risultano curvi e contorti, hanno un aspetto di grandezza passata, si può dire che lottano contro la tempesta e che la lotta lascia su di essi l'impronta, faticosa e trionfante dello sforzo vittorioso». I cultori di bonsai giapponesi si servono di metodi molto semplici che si possono spiegare con grande facilità. L'Esposizione Internazionale di Parigi insegnò agli europei che per fare un buon bonsai bisogna essere attenti, pazienti osservatori e dotati di capacità artistiche per modellare gli alberi. Oggi il bonsai è ricercato per le qualità naturali (salute del vegetale, sviluppo regolare, dimensioni del fusto, della chioma) e per la forma artistica piuttosto che per la semplice anzianità. Accanto agli entusiasmi dei coltivatori di bonsai ci sono naturalmente le critiche: si sente dire che i bonsaisti sono crudeli perché fanno soffrire le piante. Ma a differenza delle cellule animali, che passano il periodo embrioniale perdendo la capacità di differenziarsi tanto da ricostruire un'intera parte del loro corpo, alcune piante l'hanno conservata. Se a un albero si tagliano dei rami quello ne forma di nuovi, foglie e tutto; altrettanto vale per la radice. Ed è proprio grazie a tale meravigliosa capacità che è possibile la tecnica del bonsai. I detrattori del bonsai quale forma artistica sostengono che la pianta potrebbe crescere fino a 15 metri e noi invece la costringiamo a rimanere piccola. Si può a questo proposito parlare di azioni altrettanto violente nei confronti dei vegetali: tosare un prato o una siepe o lo sfruttamento agricolo della natura. Poiché si ammette il diritto di intervenire sugli alberi per avere del cibo, ugualmente si dovrebbe accettare il bonsai, dove il godimento è estetico e invece del corpo si nutre l'intelletto. Una utilizzazione a fini economici è inoltre possibile, preparando con la coltivazione in pieno campo o in contenitori di grandi dimensioni, dei vegetali destinati ad essere in seguito perfezionati dagli amatori. Svolta con un minimo di competenza, questa attività può nel giro di 3-5 anni mettere a disposizione del mercato dei pre- bonsai di qualità, molto richiesti dai centri di vendita specializzati. Questa possibilità si affianca a quella di realizzare miniature di olivo in vaso, che riscuotono un notevole apprezzamento da parte dei turisti stranieri (specie del Nord), felici di portarsi a casa un souvenir vivente delle vacanze passate nel sole dell'Italia. Carlo Oddone Augusto Marchesini


PESCE MARTELLO Piste magnetiche sottomarine?
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ETOLOGIA
NOMI: KLIMLEY PETER, KALMJIN ADRIANUS
ORGANIZZAZIONI: UNIVERSITA' DI CALIFORNIA, SCRIPPS INSTITUTION OF OCEANOGRAPHY
LUOGHI: ITALIA

NUOTANO l'uno vicino all'altro, rigidamente paralleli, sempre equidistanti, tutti nella stessa direzione, pronti a virare fulmineamente quando gli altri virano. Così procedono i banchi dei pesci, generalmente piccoli, che contano spesso milioni di individui e attraversano come nuvole argentee o colorate le acque azzurrine dei mari. E' la strategia vincente per sopravvivere in un mondo come quello acquatico, popolato da predoni d'ogni genere. Indubbiamente il gruppo ha un effetto deterrente nei confronti del predatore. Un banco di pesci piccoli simula un pesce grosso che generalmente scoraggia il predatore. E anche se non lo scoraggia, riduce le perdite al minimo. Perché tutto quel turbinio di pesci che si muovono all'unisono lo confonde e non riesce a mangiarne se non una minima parte, mentre ne mangerebbe molti di più se nuotassero isolati. Ma se la strategia del banco trova una sua giustificazione quando riguarda i pesci piccoli, non può dirsi altrettanto quando si riferisce invece a pesci di grossa mole. Come ad esempio i pesci martello, gli squali inconfondibili per il caratteristico muso allargato a forma di martello. Privi di nemici naturali, che bisogno hanno di nuotare in branchi di centinaia di individui? E' l'interrogativo che si è posto A. Peter Klimley dell'Università di California a S. Diego quindici anni fa. E da allora lo studioso non ha fatto altro che osservare il comportamento dei grossi squali, nuotando anche spesso e volentieri in mezzo a loro. In questo lungo lasso di tempo è riuscito a svelare almeno in parte le ragioni che inducono i pesci martello a nuotare in gruppo. Il primo assembramento numeroso di pesci martello Klimley lo nota in corrispondenza dell'Espiritu Santo, una scoscesa montagna subacquea che sorge dal fondo marino nel golfo di California. E la prima idea che gli si affaccia alla mente è che si tratti di un luogo d'incontri amorosi. Tanto più che nel frattempo ha imparato a distinguere dalla diversa taglia i maschi dalle femmine. Queste ultime possono raggiungere in qualche caso anche i quattro metri, mentre i maschi sono assai più piccoli. Lo studioso si accorge immediatamente che c'è una grossa disparità numerica tra i due sessi. Il rapporto tra femmine e maschi è di sei a uno. Ma c'è anche una notevole varietà di dimensione tra le femmine. Le più grosse, che sono evidentemente le dominanti, occupano la posizione centrale e cercano di spingere le più piccole, cioè le subordinate, verso la periferia. Lo fanno con una particolare esibizione a cavaturaccioli che evidentemente nel linguaggio dei pesci martello significa «fatti più in là». Se la destinataria non afferra il messaggio o comunque nicchia, ecco che la femmina dominante l'attacca in malo modo addentandola con le mascelle e procurandole vistose ferite. Il motivo di questo comportamento appare subito chiaro. Le femmine che si accaparrano le posizioni centrali sono le più desiderabili agli occhi maschili. Infatti appena un maschietto sessualmente maturo irrompe nel branco, mira subito al centro e con una vigorosa spinta dorsale fa capire di essere pronto alle nozze. Se lei lo accetta, la coppia lascia il branco e nuotando raggiunge la base della montagna, dove il matrimonio viene consumato. Ma l'Espiritu Santo ha anche un'altra funzione. Serve come punto di riferimento nella navigazione. Peter Klimley lo scopre, seguendo gli spostamenti degli esemplari che è riuscito a munire di piccoli transistor. Ogni sera all'imbrunire, i pesci martello si fanno una bella nuotata di 10-15 miglia per recarsi dalla montagna base alle acque profonde ricche di seppie e calamari. All'alba puntualmente sono di ritorno. Durante il viaggio di approvvigionamento notturno, a volte nuotano seguendo una perfetta linea retta come macchine che corrono su un'autostrada. Dopo aver scartato l'ipotesi che i pesci seguano le correnti, che spesso cambiano velocità e direzione, Klimley ha il sospetto che vi sia di mezzo il magnetismo terrestre. L'indagine geomagnetica fatta con un magnetometro lo conferma, rivelando che l'Espiritu Santo si trova al margine di una piattaforma fortemente magnetica che scivola in un'area di bassa intensità magnetica. Invisibili valli e creste magnetiche sottomarine si irradiano all'intorno da questa formazione geologica come i raggi di una ruota. Evidentemente è proprio seguendo queste strade che i pesci martello raggiungono ogni notte le acque ricche di cefalopodi e ritornano all'alba alla loro base. Per quanto non si conosca ancora a sufficienza il rapporto tra movimenti degli animali acquatici e magnetizzazione del fondo marino, si è già ipotizzato che l'arenamento delle balene sulle spiagge del Nord America abbia a che fare con la magnetizzazione terrestre. E' noto d'altra parte che molte specie di squali e di razze rispondono a campi magnetici debolissimi e perciò si ritiene che questi pesci siano i recettori elettronici più sensibili di tutto il regno animale. Sembra che proprio grazie a questa spiccatissima sensibilità riescano anche a percepire l'attività elettrica delle prede e a catturarle. Adrianus Kalmjin, della Scripps Institution of Oceanography, suppone che quando uno squalo nuota attraverso linee di forza magnetica induca una corrente elettrica. Questo crea un voltaggio differente tra le cellule recettrici situate sui due lati del muso. Come la lingua biforcuta fa da guida al serpente per trovare la preda o il partner (una sorta di stereo-olfatto), o come noi usiamo i due occhi per la visione stereoscopica, così il pesce martello potrebbe usare il confronto tra le informazioni sensorie che gli giungono separatamente dai due lati del capo per seguire le invisibili piste magnetiche sottomarine. Klimley pensa che proprio per la larghezza straordinaria della sua testa vi sia la massima separazione tra i recettori magnetici dei due lati e da ciò derivi la meravigliosa capacità sensoria di questo squalo. Si sono già scoperte minuscole particelle di magnetite nei tessuti di quei prodigiosi migratori che sono i salmoni. Non è improbabile che si faccia una scoperta analoga anche negli squali. E allora quelle che ora sono soltanto ipotesi potrebbero diventare certezze. Isabella Lattes Coifmann


STRIZZACERVELLO Sei 1 per tanti numeri
LUOGHI: ITALIA

Quali numeri si possono scrivere con sei 1, usando soltanto le quattro operazioni fondamentali dell'aritmetica? 1x1più1x1più1x1=3 1più1più1più1più1-1=4 Si provi a scrivere 10 e 100 con i sei 1 e a cercare poi altri numeri scritti sempre nello stesso modo. La soluzione domani, accanto alle previsioni del tempo.


PREVISIONI ASTROLOGICHE Il gatto di Clinton non è stato rapito Verifica del Cicap: tutti gli oroscopi del 1995 erano sbagliati
Autore: PRESTINENZA LUIGI

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, TELEVISIONE, CULTURA
ORGANIZZAZIONI: RAI, FININVEST, CICAP
LUOGHI: ITALIA
NOTE: Astrologia

BASTA, per carità, con gli astrologi e le loro torrenziali previsioni sull'anno appena cominciato. Tra Capodanno e la Befana - in un periodo tradizionalmente magro di notizie adatte a riempire giornali e telegiornali - è stata una vera alluvione che si è rovesciata addosso a tutti gli italiani da tutti i pulpiti possibili, Tv ovviamente in primo piano, a cominciare dal servizio pubblico. Il quale, va ricordato, chiede un canone sostanzioso per poi inondarci con queste sciocchezze, che hanno il vantaggio di apparire «neutre», alla portata di qualunque uditorio. Ma su questa «neutralità» c'è da dissentire: prima di tutto perché c'è gente che i vari pronostici e oroscopi li prende sul serio, e poi perché siamo davanti a un esempio di diseducazione, di mistificazione corteggiata, adulta, celebrata con tutta la possibile grancassa pubblicitaria. La scusa per giustificare questa alluvione di profezie che si ripete regolarmente ad ogni nuovo anno è di solito il pubblico a chiedere queste cose o quanto meno a gradirle. Al punto in cui siamo c'è da sospettare che sia invece il massiccio e tutt'altro che lodevole impegno dei «media», che si copiano a vicenda come pappagalli, a diffondere la voga delle previsioni comunque ricavate, dalle stelle incolpevoli alle sfere di cristallo, fino alle carte da gioco. Ammesso che una parte del pubblico chieda o gradisca queste cose, il drogaggio dei mass media (soprattutto la televisione, che è il medium più capillare) contribuisce sicuramente ad allargare la voga degli oroscopi, arrivando a creare dal nulla dei personaggi popolari e carismatici, e distribuendo patenti gratuite a gente che poi ne fa un uso spregiudicato, per non dire scorretto e illegale, con profitti economici non irrilevanti, alla faccia dei fessi. Con i pronostici fioriscono infatti i maghi, di tutti i generi e i livelli: ed è già pericolosa in sè la tendenza a cercare rifugio nell'irrazionale, a credere nel «destino» invece di affrontare la realtà. Per non dire della proliferazione in atto delle sette e delle messe nere, con gli episodi drammatici che ne sono nati. Ma restiamo alla televisione: è sicuramente più pericolosa della stampa, perché l'aggressione è più subdola; ma non soltanto per questo. Molti telespettatori sono convinti che tutto ciò che vedono in tv sia la verità di Vangelo, abbia una sorta di timbro, di imprimatur ufficiale. Quando al mattino Rai 3 (che passa per la più acculturata) fa seguire all'ora del sorgere del Sole e della Luna (dove? l'orario varia con la posizione geografica) il «segno più favorito», ciò diventa automaticamente per una buona fetta di pubblico un'informazione ufficiale o comunque fondata, un po' come il bollettino meteorologico (per fortuna in questi ultimi giorni la rubrica del segno favorito è scomparsa). Non parlo, poi, di Canale 5, che al telegiornale del mattino appiccica immediatamente l'oroscopo del giorno, debitamente e lautamente sponsorizzato. Nè dell'azienda telefonica, che pare ricavi dal servizio oroscopi 20 miliardi l'anno. Ho già suggerito di versarli in beneficenza, come penso vada fatto per denaro male acquistato: non mi risulta ce ne sia l'intenzione. La prova provata che gli oroscopi sono una truffa mascherata c'è già: il comitato nazionale per il controllo del paranormale, sorto per iniziativa di Piero Angela e composto da figure eminenti in varie discipline scientifiche e sociali, è andato a rileggersi le previsioni riguardanti l'anno passato. Ne avessero azzeccata una, indovini e veggenti vari. Non hanno anticipato nulla di ciò che si è realmente verificato. Avevano previsto persino il rapimento del gatto di Clinton. Si fidano - tutti - della poca memoria della gente. Luigi Prestinenza


MOSTRE E DIBATTITI A TORINO Che belle curve! Itinerari dal compasso al computer
AUTORE: PEIRETTI FEDERICO
ARGOMENTI: MATEMATICA, DIDATTICA, RICERCA SCIENTIFICA, MOSTRE, RASSEGNA, CONFERENZA, STORIA DELLA SCIENZA
NOMI: PEANO GIUSEPPE, RUSSELL BERTRAND, VOLTERRA VITO, SEGRE CORRADO, CASTELNUOVO GUIDO, SEVERI FRANCESCO, LOMBROSO CESARE, FERRARIS GABRIELE, BETTAZZI RODOLFO, PASTRONE FRANCO, EMMER MICHELE
ORGANIZZAZIONI: ASSOCIAZIONE SUBALPINA MATHESIS, MUSEO DELL'AUTOMOBILE DI TORINO, UNIONE CULTURALE FRANCO ANTONICELLI
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
NOTE: «Dal compasso al computer»

CENT'ANNI fa Torino era uno dei più importanti centri della ricerca scientifica. Gli studi sulla logica matematica di Giuseppe Peano collegavano la città al grande dibattito europeo sui fondamenti della matematica. Bertrand Russell, in più occasioni, dichiarò che erano stati proprio i lavori del matematico torinese il punto di partenza delle sue ricerche. Negli stessi anni Vito Volterra, che insegnava meccanica superiore a Torino, sviluppava in modo geniale il calcolo funzionale che avrebbe trovato sorprendenti applicazioni in tutti i campi. E Corrado Segre, docente di geometria superiore, contribuiva con i suoi studi alla formazione della nuova scuola italiana di geometria, stimolato dalle discussioni con i suoi allievi, fra i quali si distinguevano Guido Castelnuovo e Francesco Severi. Il clima culturale della città era particolarmente vivace e i matematici torinesi potevano confrontarsi con una realtà ricca e stimolante. Negli stessi anni Cesare Lombroso fondava l'antropologia criminale, Galileo Ferraris scopriva il campo magnetico rotante che lo avrebbe reso famoso in tutto il mondo e, sempre a Torino, sorgevano l'industria automobilistica e l'industria cinematografica. Questo è l'ambiente in cui cent'anni fa nasceva Mathesis, l'associazione che intendeva collegare il mondo universitario a quello dell'insegnamento, per favorire «il miglioramento della scuola e - come si legge nello statuto - il perfezionamento degli insegnanti, sotto il punto di vista scientifico e didattico». Fu un collaboratore di Peano, Rodolfo Bettazzi, professore del Liceo Cavour, a fondare l'associazione alla quale, fin dall'inizio, aderirono molti fra gli illustri docenti torinesi che non disdegnavano di occuparsi, come oggi purtroppo accade, di questioni didattiche. Peano, Segre, Volterra e i loro allievi erano direttamente impegnati nel rinnovamento della didattica e partecipavano attivamente ai lavori delle commissioni ministeriali per la riforma dell'insegnamento, stimolando un dibattito fra gli insegnanti che trovò proprio nella Mathesis il necessario punto di riferimento. La situazione scolastica era, in quel periodo, piuttosto scoraggiante. Il quadro che ne fa Bettazzi potrebbe riferirsi anche alla nostra scuola attuale: «Insegnare una scienza fra l'indifferenza e peggio degli scolari - scriveva - e magari non intesi neanche dai colleghi insegnanti delle altre discipline, e una scienza come la matematica di cui invece tutti noi sentiamo l'alto valore spirituale, che è sorgente di così profonde soddisfazioni e che tanto si è insinuata e completata colle forme di vita moderna che ormai, a sopprimerla, bisognerebbe ritornare, per lo meno, al lume a olio e alle diligenze, insegnarla, dico, in queste condizioni, è mortificazione ben grave. Ma bisogna saper essere sinceri, e riconoscere e confessare che una delle cause, e forse la principale, per cui la matematica ha così poca fortuna nelle scuole, è perché la non si sa insegnare». E se i problemi oggi sono ancora gli stessi, gli obiettivi rimangono immutati. Come conferma l'attuale presidente dell'Associazione Subalpina Mathesis, Franco Pastrone, direttore del Dipartimento di Matematica dell'Università di Torino: «Mathesis non deve occuparsi esclusivamente di problemi didattici - afferma Patrone - ma deve cercare di aggiornare gli insegnanti sulle nuove idee, sui nuovi risultati della ricerca matematica. Il pericolo è che la scuola resti ferma alla matematica dell'Ottocento o, peggio, come diceva Bettazzi, a quella del «lume a olio», e che non sappia rinnovarsi». La ricerca scientifica e le prime attività industriali della città influenzarono sicuramente l'indirizzo didattico di Mathesis: «Mostriamo come gli avvenimenti che si svolgono sotto i nostri occhi - scriveva Bettazzi - e i fenomeni che accadono attorno a noi siano dominati dalle leggi del numero e della estensione, e come la matematica serva a mille interessanti e utili ricerche di indole pratica, e avremo persuaso i giovani che la matematica non è scienza d'altro mondo». Le manifestazioni per il centenario di Mathesis hanno trovato uno spazio ideale nel Museo dell'Automobile di Torino, proprio a sottolineare questo collegamento della matematica con le sue applicazioni, con la tecnica e l'industria. «Dal compasso al computer» è il titolo della rassegna, organizzata in collaborazione con l'Unione Culturale Franco Antonicelli, che si inaugura domani e resterà aperta fino al 18 febbraio. Una rassegna, articolata in tre mostre, che pone le macchine per fare matematica al centro di questo percorso ideale dal compasso alla macchina più recente, il computer. Accanto alla mostra organizzata dall'Università di Torino sui primi anni di Mathesis vengono infatti presentate le «Macchine matematiche» curate dal Nucleo di Ricerca in Storia e Didattica della Matematica di Modena, riguardante i modelli fisici nello studio della matematica e la mostra «Oltre il compasso, la geometria delle curve», organizzata dalla Scuola Normale Superiore di Pisa, dedicata alle curve geometriche e alle loro applicazioni in vari campi della scienza, in vari meccanismi. A fianco della rassegna, dal 22 al 26 gennaio un convegno, con tavole rotonde e conferenze affronterà i diversi problemi dell'insegnamento e della divulgazione della matematica, lasciando spazio all'analisi della professione di matematico nella nostra società. E per l'apertura del convegno, il 22 gennaio, la matematica diventa spettacolo. Michele Emmer, il «regista della matematica» presenterà i suoi film più recenti e Tom Banchoff, il grande esperto della quarta dimensione, in collegamento Internet con il suo centro di ricerca alla Brown University, negli Stati Uniti, presenterà gli affascinanti oggetti dell'iperspazio. Sede: Torino, Museo del l'Automobile, c. Unità d'Italia 40; orario 10-18,30 (lunedì chiuso). Per informazioni: 011-562.17.76; prenotazione visite scolastiche: 677.666. Federico Peiretti


COME FUNZIONANO LE CELLULE I mattoni della vita Un mini-laboratorio chimico
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Schema tipico di una cellula

NESSUNO le ha contate, nè si potrebbe farlo, ma una stima per difetto dice che, come ordine di grandezza, il nostro organismo è costruito con mille miliardi di minuscoli «mattoni»: le cellule. Naturalmente non tutti questi «mattoni» sono uguali. Le cellule sono specializzate per compiere funzioni molto diverse, dai neuroni del sistema nervoso alle cellule della pelle, a quelle dei diversi organi. La loro struttura però è sostanzialmente sempre la stessa: una membrana protettiva spessa 7- 8 milionesimi di millimetro composta da due strati di molecole proteiche separate da un doppio strato di molecole di grassi; un nucleo contenente il materiale genetico sotto forma di Dna; una masserella di protoplasma nella quale sono immersi numerosi piccoli organi: nucleoli, mitocondri, ribosomi, corpi del Golgi (dal nome dello scienziato che li scoprì). In miniatura, un meraviglioso laboratorio chimico vivente, in grado di nutrirsi e riprodursi.


OGNI ANNO IN ITALIA Trentamila miliardi divorati dalla ruggine
Autore: PAPULI GINO

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, CHIMICA
LUOGHI: ITALIA

DALLE sue origini ai nostri giorni, la lunga storia della siderurgia - pur così ricca di contenuti per l'umanità - è stata marcata dal «peccato originale» dell'insopprimibile amore per l'ossigeno da parte del ferro. Quando il connubio avviene - e avviene molto spesso nonostante le verniciature e altri sistemi di protezione superficiale - il frutto del peccato è la ruggine (ossido idrato di ferro e ossido di ferro). Ciascuno di noi ha qualche conoscenza diretta o indiretta dei danni prodotti dalla ruggine - basti pensare, per esempio, alla corrosione delle lamiere delle auto -, ma pochi si rendono conto della loro entità globale. Utilizzando dati di fonte inglese, si può stimare che, nei Paesi industrializzati, le perdite economiche dovute ai processi di ossidazione dei materiali ferrosi ammontino a circa il 2 per cento del Pil (prodotto interno lordo). Per la sola Italia si tratterebbe, dunque, di una perdita di circa 36.000 miliardi. Per comprendere meglio queste cifre bisogna considerare che il meccanismo di degradazione del ferro non si limita alla sola corrosione ma comprende anche i danni conseguenti il fenomeno di aumento del volume originale degli elementi metallici per effetto della trasformazione in ossido. Questo «rigonfiamento» è stato responsabile di gravi guasti in costruzioni monumentali nelle quali si erano inseriti tiranti e staffe in ferro negli elementi in pietra. L'esempio più noto di tali danni riguarda l'Acropoli di Atene, nei cui templi gli antichi Greci avevano fatto largo uso di staffe non solo per motivi di stabilità statica ma anche per una maggiore resistenza alle scosse telluriche. Purtroppo, mentre in origine le staffe in ferro (più esattamente in acciaio dolce) erano state parzialmente protette da fogli di piombo, questa precauzione non venne attuata nel restauro del Partenone condotto dall'architetto greco Nicholas Belanos nel periodo 1898-1939; per cui in tempi recenti si è dovuto provvedere a una lunga e costosa opera di ricostruzione. Stranamente, lo stesso Belanos si era preoccupato di usare staffe di bronzo nel ripristino del portico delle Cariatidi, in sostituzione di quelle in ferro messe in opera nel corso di un intervento eseguito negli anni 1846-'47. Oggi, salvo casi particolari in cui si fa ricorso al titanio per il suo basso peso, si impiegano comunemente staffe e tiranti in acciai inossidabili: infatti, questi tipi di leghe ferrose nella cui composizione chimica entrano, in varie percentuali, cromo, nichel e molibdeno - resistono ottimamente agli attacchi degli agenti atmosferici. Questa qualità li rende particolarmente utili anche nelle grandi opere in cemento armato, il cui «scheletro» in acciaio comune, per effetto delle infiltrazioni di acqua attraverso le microfessurazioni del calcestruzzo, «si gonfia» e provoca dissesti che mettono in pericolo la stessa stabilità della struttura (vedi «Il cemento di ammala» su Tuttoscienze n. 695 del 6 dicembre '95). In questo settore, l'adozione dei «tondini» inossidabili è stata sinora contrastata da motivi puramente economici; ma, sovente, alla base di questo atteggiamento vi è stata una sottovalutazione - in fase progettuale - dei problemi riguardanti la scelta dei materiali e dei sistemi di protezione, nonché del costo - nel tempo - delle operazioni periodiche di manutenzione e di riparazione. Altre volte il motivo è da ricercarsi in un consapevole occultamento del rischio, allo scopo di tenere bassi i prezzi di esecuzione dell'opera. Non va dimenticato, infine, che se non si è esitato ad adottare le armature in acciaio inossidabile per le opere principali delle centrali nucleari, al «fattore sicurezza» va attribuito il giusto valore anche quando si tratti di costruire manufatti come i ponti e i viadotti delle grandi arterie stradali, sui quali transitano ogni giorno molte migliaia di persone. Gino Papuli


INTERNET Pornografi a spasso sulla Rete?
Autore: MERCIAI SILVIO

ARGOMENTI: ELETTRONICA, COMUNICAZIONI
ORGANIZZAZIONI: INTERNET
LUOGHI: ITALIA

NELL'ULTIMA rubrica vi ho annunciato che, avendo una home page e una lista postale in italiano per gli utenti italiani di Internet, avrei smesso di farcire il mio scritto con gli indirizzi e mi sarei dedicato a fare di questo spazio una sorta di «finestra di riflessione» su Internet (finestra in inglese si dice window, quindi queste mie colonne sono windows96... infatti, di Windows96, il possibile successore di Windows95, si parla molto sulla rete!). E così ho trovato modo di ricordarvi le mie/nostre novità: e, chi si è perso l'ultima colonna, e quindi gli indirizzi di queste meraviglie, mi mandi una e-mail all'indirizzo di Tuttoscienze (lo trovate qui in alto, sulla destra del logo) e provvederò a informarvi. Per quanto mi riguarda, sono soddisfatto di entrambe le iniziative: la pagina è stata ripetutamente aggiornata in queste settimane e arricchita dagli indirizzi proposti da molti lettori; la lista sta decollando, nel senso che i contributi dei partecipanti la stanno orientando verso stili e temi d'interesse comune. L'argomento che vorrei cominciare a trattare con voi è quello della censura (e quindi della pornografia, cui in genere la censura si dice mirata) su Internet. E', paradossalmente, uno dei temi di cui più si parla sui giornali e mi sono reso conto che, per molte persone che non hanno una frequentazione diretta della rete, si è creata - non a caso - una sorta di associazione tra Internet e pornografia. So che è un tema spinoso, che implica molte opzioni anche ideologiche, ma vorrei cercare di proporvi, molto semplicemente, il mio punto di vista: anche perché credo che spesso si echeggino polemiche e discussioni tipiche della cultura americana, senza ben chiarire che i presupposti e i contesti sono alquanto diversi. Sarò lieto di ospitare le vostre opinioni, specie se in dissenso con le mie. Innanzi tutto, che esistano siti e liste postali dedicate, in maniera più o meno dissimulata, alla pornografia non v'è dubbio. Però vorrei subito aggiungere che non sono affatto così numerose e pervasive come si vuol fare credere. E' tipico, in questo senso, lo scivolone di «Time», una rivista di grande prestigio che pubblicò alcuni mesi fa un'inchiesta sostenendo statistiche tese a far pensare a una preponderanza della pornografia nell'ambito delle tematiche di Internet (indagine attribuita a una prestigiosa Università americana) per poi dover ammettere, sulla base di contro- inchieste immediatamente proliferate sulla rete stessa, che i dati erano inesatti e il campione di partenza non rappresentativo. Vorrei inoltre subito aggiungere due cose, e mi riferisco alla specifica realtà italiana, che è, su questi temi, assai diversa da quella di molti altri paesi, come gli Stati Uniti. La prima è che, comunque, la pornografia su Internet (ma non sono un esperto in materia...) non va certo al di là di quello che chiunque di noi, quotidianamente, vede nelle copertine di molti giornali o nella descrizione di molte videocassette (passate davanti a un qualunque edicolante e sarete d'accordo con me) o nei messaggi per così dire pubblicitari che passano sulla maggior parte delle stazioni televisive e neanche ad ora tardissima (un giro per i canali normali anche solo verso le 22 vi convincerà). Con una differenza, rispetto a questi due esempi: che un sito di Internet o una lista postale arriva sul vostro schermo solo se deliberatamente voi l'avete richiesto o iscrivendovi a quella lista o dicendo a Netscape di raggiungere quel sito. A me sembrano differenze rilevanti, perché mostrano che il problema della censura è in realtà la questione della dicotomia tra libertà e protezione dalla e sulla rete. Ne riparleremo... Silvio A. Merciai


NUOVA RETE DI OSSERVAZIONE Ozono, allarme a Nord Anche da noi calo del 5 per cento
Autore: COLACINO MICHELE

ARGOMENTI: ECOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: G. Concentrazione di Anidride carbonica, Metano, Protossido di azoto e Clorofluorocarburi

UNA recente pubblicazione della Organizzazione Meteorologica Mondiale, Agenzia delle Nazioni Unite con sede a Ginevra, fa il punto sulla situazione dell'ozono stratosferico e riporta i dati sulla riduzione di questo gas raccolti sia attraverso satellite, sia attraverso sondaggi da terra. Le misure e i rilevamenti riguardano in primo luogo l'Antartide, dove il fenomeno si è manifestato con maggiore intensità, ma il problema coinvolge l'intero pianeta ed in particolare, con riferimento alle nostre regioni, risulta che sull'Europa e sul Nord-America si è verificata, a partire dagli Anni Sessanta, una riduzione dello strato di ozono che, eliminando le oscillazioni interannuali in breve periodo, si colloca attorno al 5-6 per cento. Una riduzione di questo ordine di grandezza sembra essere insignificante, ma in realtà può avre un impatto ambientale non trascurabile, poiché può dare luogo ad un incremento della radiazione solare ultravioletta al suolo. Essendo questa componente dello spettro della radiazione solare quella di energia più elevata, si potrebbero verificare effetti diversi non solo sugli ecosistemi per il danno che subirebbe la vegetazione, ma anche sull'uomo. Le previsioni indicano un aumento dei casi di eritema, di cataratta e di cancro della pelle anche se per ovvi motivi è difficile fare stime quantitative. Come si sa, responsabili del processo di trasformazione dell'ossigeno atomico e molecolare sono alcuni composti del cloro, i floroclorocarburi, che trovano o hanno trovato largo impiego o come liquidi refrigeranti nei frigoriferi o come propellenti nelle bombolette «spray». A causa della ormai accertata responsabilità di questi composti nella deplezione dell'ozono, a seguito di un accordo internazionale siglato a Montreal nel 1987 e perfezionato con due successivi emendamenti (Londra, 1990 e Copenaghen, 1992) i vari composti di questa famiglia dovrebbero essere messi fuori produzione per la maggior parte entro il 2000, consentendo di tornare al livello di guardia per la concentrazione di cloro in atmosfera entro la metà del prossimo secolo. Tutto ciò è il risultato di un paziente lavoro di monitoraggio che, finalizzato inizialmente al controllo dell'ozono, si è esteso successivamente a tutta la stratosfera. Va segnalata al riguardo una iniziativa che, sorta in modo spontaneo tra i ricercatori impegnati nello studio dell'atmosfera tra 10 e 100 chilometri, si propone come obbiettivo di realizzare una rete mondiale di osservazione e monitoraggio per seguire i processi che in stratosfera hanno luogo e possono portare alla progressiva distruzione dello strato di ozono. Si tratta del «Network for Direction of Stratospheric Changes» che ha iniziato a operare nel 1992 e in breve tempo ha coinvolto un numero molto alto di ricercatori provenienti da Paesi diversi. Le prime stazioni di rilevamento erano collocate in Antartide: successivamente si sono avviate iniziative anche nell'emisfero Nord con l'installazione di stazioni nelle isole Svalbard ed in Groenlandia. Accanto alle stazioni polari, sono state poi attivate stazioni alle medie latitudini in modo da avere una copertura globale del pianeta. Gli strumenti prevalentemente usati per le misure sono Lidar e spettrometri. Il Lidar (Light Detection And ranging) è un apparato di telerilevamento attivo, funzionante sullo stesso principio del radar. Segnali luminosi, emessi da una sorgente laser, vengono sparati verso l'alto nell'atmosfera: dal segnale retrodiffuso, captato con un opportuno sistema ottico di rilevazione, è possibile risalire all'altezza ed alla concentrazione degli aerosol disegnandone, quindi, il profilo verticale. Gli spettrofotomeri danno invece il contenuto colonnare dell'ozono e degli altri gas da monitorare, in quanto misurano, utilizzando come sorgente la luce del Sole, l'assorbimento subito da quest'ultima in corrispondenza alle righe o bande spettrali proprie dei composti in studio, assorbimento che dipende dalla concentrazione del gas lungo tutto il percorso dalla sorgente al rivelatore. A supporto di questa attività vanno ricordati i rilevamenti eseguiti mediante i sondaggi che consistono nell'inviare, tramite palloni in stratosfera, sonde che registrano con continuità la concentrazione di ozono trasmettendo a terra i dati. Questi sondaggi sono generalmente eseguiti a cura dei Servizi Nazionali per la Meteorologia o l'Ambiente e sono effettuati ormai da diverse decine di anni cosicché i dati raccolti costituiscono una vera e propria serie storica di informazioni in merito a questo problema. L'altra tecnica di rilevamento, che si è dimostrata di grande importanza perché consente una visione globale della situazione è il monitoraggio da satellite: in particolare il «Toms» (Total Ozone Monitoring System) si è rivelato strumento utilissimo perché le immagini a colori da esso fornite danno una vista immediata di come si distribuisca l'ozono su un intero emisfero anche se le applicazioni più significative hanno riguardato e riguardano le regioni polari. Alcuni gruppi di studiosi italiani partecipano a queste ricerche sulla stratosfera. In particolare, si può ricordare che un gruppo della Università di Roma ha allestito in collaborazione con colleghi danesi la base di Thule in Groenlandia, mentre ricercatori del Cnr di Firenze collaborano con unità di ricera francesi e neozelandesi per le stazioni di Dumont d'Urville e Lauder. Michele Colacino Cnr, Istituto di fisica dell'atmosfera


MOSTRA A STRESA Dentro il corpo con i raggi X
AUTORE: QUAGLIA GIANFRANCO
ARGOMENTI: FISICA
PERSONE: ROENTGEN WILHELM
NOMI: ROENTGEN BERTA, ROENTGEN WILHELM
LUOGHI: ITALIA

IL 16 gennaio 1896 il «New York Times» pubblicava una foto che avrebbe fatto il giro del mondo: mostrava lo scheletro di una mano esile, con la fede sull'osso dell'anulare. L'immagine indicava chiaramente l'ombra delle ossa circondata dalla penombra della carne. Quella mano era di Berta Roentgen, moglie di Wilhelm Roentgen, premio Nobel per la fisica nel 1901. Qualche mese prima (novembre 1895) Wilhelm Roent gen stava studiando all'Università di Wurzburg, in Baviera, i fenomeni associati al passaggio della corrente elettrica in gas rarefatti. Lavorava in una stanza oscura e aveva avvolto accuratamente il tubo di scarico in un foglio di cartone nero per eliminare la luce, quando un foglio di carta con un lato coperto da una sostanza fluorescente posto casualmente su un tavolo vicino divenne fluorescente. In altri esperimenti si accorse che interponendo oggetti fra la sorgente dei raggi e una lastra fotografica si ottenevano immagini più o meno trasparenti degli oggetti. Roentgen capì di avere scoperto qualcosa di straordinario e volle provare con la mano della moglie. Gli effetti ricavati convinsero lo scienziato: quella tecnologia avrebbe cambiato il corso delle indagini diagnostiche. Poiché la natura dei raggi era allora sconosciuta, Roentgen li chiamò «Raggi X». Nel centenario della scoperta l'Istituto nazionale di fisica nucleare, il Cern e la Fondazione per l'adroterapia oncologica, hanno allestito al collegio Rosmini di Stresa una mostra che sotto il titolo di «Atomi per la salute» ricostruisce la genesi dei «Raggi X», l'evoluzione attraverso gli anni e le loro applicazioni terapeutiche. Alessandro Pascolini, della Fondazione Tera, ha ripercorso tutti i passaggi più significativi, riproponendo in pannelli e gigantografie corredate da didascalie gli «attimi fuggenti» di quella scoperta. Così la mano scheletrica di Berta è uno dei punti dominanti della rassegna, aperta sino al 17 febbraio. La possibilità di fotografare le ossa all'interno del corpo umano fu accolta dai medici di fine secolo con grande attenzione: i raggi X furono subito impiegati per la diagnosi di fratture e l'individuazione di corpi estranei, come aghi e proiettili. Così, qualche anno dopo, con lo scoppio della prima guerra mondiale, la medicina ricorse in modo massiccio alle tecniche radiologiche. Dalla fotografia interna del corpo umano alla cura. I raggi X alimentarono la speranza di una superiore potenzialità terapeutica per la malattie della pelle e molti medici cominciarono a sperimentare. Anche l'idea di usare i raggi per irradiare tumori risale a poco dopo la loro scoperta: il primo cancro della pelle fu trattato a Vienna nel 1897 e una prima cura efficace del cancro al seno - si apprende sempre dalla mostra - fu riportata all'inizio degli Anni 10. E si comprese che per la cura dei tumori occorrevano raggi X di energia superiore a quelli impiegati in diagnostica. Con la successiva scoperta del radio, sorgente di raggi gamma estremamente potente, da parte di Pierre e Marie Curie, fiorì la radioterapia. Fu un altro notevole passo avanti nella cura dei tumori, così come un altro traguardo importante è quello raggiunto da Lawrence con il primo ciclotrone per l'irraggiamento di neutroni. Da quella sera di novembre 1895 all'Università di Wurzburg ai nostri giorni sono stati compiuti progressi enormi, sino ad arrivare all'irraggiamento di neutroni e adroni, ultima ed efficace frontiera della terapia tumorale. La storia dei raggi X è però segnata anche dalle tecniche di prevenzione. Degli effetti biologici devastanti si resero subito conto centinaia di medici e ricercatori. Nella mostra di Stresa sono riprodotte alcune immagini di vesti protettive usate dai radiologi agli inizi del secolo, quando cominciarono a svilupparsi le nuove discipline della dosimetria e della protezione. Gianfranco Quaglia


LE TAPPE DELLA SCOPERTA Nata da un'idea di Dirac L'antimateria per ora promette interessanti verifiche delle teorie fisiche In un futuro molto lontano potrebbe fornire una grandiosa sorgente di energia
Autore: REGGE TULLIO

ARGOMENTI: FISICA
NOMI: OELERT WALTER, MACRI' MARIO, DIRAC PAUL
LUOGHI: ITALIA

L'EQUAZIONE relativistica dell'elettrone di Paul Dirac, scoperta più di sessant'anni or sono, fu concepita per analizzare i sottili cambiamenti che le correzioni relativistiche inducono nella struttura atomica quando le velocità degli elettroni diventano una frazione apprezzabile di quella della luce (300.000 km/s). L'equazione di Dirac fornì indicazioni molto precise sullo spettro della radiazione emessa dall'atomo di idrogeno ma aprì anche nuove strade alla fisica. Una delle sue caratteristiche più strane e inspiegabili fu quella di predire l'esistenza di elettroni aventi energia negativa, assolutamente inaccettabili per la fisica e fonte di paradossi rompicapo. Se la nostra società permettesse di indebitarsi senza limiti andrebbe in rovina in tempo brevissimo. In modo simile se esistessero particelle di energia negativa gli atomi potrebbero emetterle aumentando la propria energia e la materia come la conosciamo cesserebbe di esistere in una frazione di secondo. Dirac risolse brillantemente il problema inventando l'antimateria. Gli elettroni obbediscono al principio di esclusione di Pauli che vieta loro di occupare lo stesso stato. Dirac ragionò che se esistessero davvero elettroni di energia negativa dovevano essere già stati emessi all'inizio dei tempo e dovrebbero riempire tutto lo spazio disponibile fino al punto in cui il principio di Pauli vieta ulteriori emissioni stabilizzando l'universo. Il mare (così viene chiamato) di elettroni di energia negativa non sarebbe osservabile proprio perché ci siamo cresciuti dentro e viene da noi interpretato come spazio vuoto. Se tuttavia un elettrone del mare viene colpito da radiazione può assorbirla assumendo energia positiva ed uscendo in questo modo dal mare di Dirac. Non solo diventerebbe ben visibile l'elettrone ma anche il buco o lacuna da esso lasciato nel mare che, essendo una carenza di energia negativa e di carica elettrica negativa, avrebbe energia positiva e si comporterebbe come una particella di carica positiva. Questa particella fu chiamata antielettrone o positrone. Il mare di Dirac è stato poi sostituito da altre formulazioni più rigorose basate sulla teoria dei campi ma le antiparticelle sono rimaste. All'inizio si pensava che il protone fosse l'antielettrone ma ben presto ci si rese conto che l'incontro tra un elettrone e la sua antiparticella avrebbe condotto al ritorno fulmineo dell'elettrone nel mare ed alla rapida emissione dell'energia in eccedenza, un fenomeno che non si vede negli atomi dove protoni ed elettroni sono a stretto contatto. Il vero positrone fu poi scoperto pochi anni dopo da Carl Anderson. Nel 1955 Emilio Segrè scoprì l'antiprotone e a ruota furono viste altre antiparticelle quale l'antineutrone ed anche, un decennio più tardi e ad opera di Antonino Zichichi, l'antideutone, un antinucleo composto da antiparticelle. In linea di principio è possibile concepire l'anti-immagine di una qualsiasi porzione di materia e questa anti-immagine apparirebbe all'occhio inesperto assolutamente identica alla porzione originale. Se tuttavia un pezzo di antimateria entrasse in contatto con la materia ordinaria avverrebbe l'annichilazione di tutte e due con conversione massiccia e praticamente integrale di massa in energia. La manipolazione di antimateria in quantità macroscopiche sarebbe oltremodo pericolosa. E converrebbe svolgerla nello spazio vuoto ben lontani dalla Terra. Per le stesse ragioni chi riuscisse a produrre antimateria in quantità potrebbe poi usarla come propellente di altissima efficienza per i viaggi spaziali. Le galassie più lontane potrebbero essere fatte di antimateria ma gli astrofisici sono piuttosto scettici al riguardo. Per ottenere un blocco di antimateria che si comporti esattamente come la materia ordinaria occorre anche che sia speculare rispetto a quello originale ed osservarlo a ritroso nel tempo; se non si osservano queste precauzioni, imposte dal cosiddetto teorema Cpt, il comportamento della anti-immagine differisce da quello della immagine in effetti sottili e difficilmente osservabili ma che appunto per queste ragioni sono di alto interesse. Un gruppo di fisici che comprende Walter Oelert e Mario Macrì ha ora sintetizzato al Cern alcuni atomi di anti-idrogeno il cui nucleo è un antiprotone a cui è legato un positrone. In questa scoperta è stato determinante l'apporto del gruppo genovese di Macrì, il quale ha sviluppato da tempo degli straordinari bersagli gassosi, nel caso particolare fatti di xeno, che inducono gli antiprotoni a strappare via un elettrone dal mare di Dirac diventando antiatomi. Di per sè la sintesi di una decina di antiatomi non apre prospettive immediate per i viaggi spaziali. Certo però questi antiatomi saranno studiati a fondo dapprima per controllare le predizioni fatte sul comportamento della antimateria e poi per cogliere al volo delle particolarità inaspettate per ulteriori sviluppi in campi anche disparati, come avviene da sempre quando si apre un nuovo campo di ricerca. La sintesi di sistemi più complessi di un atomo appare al momento problematica. La creazione di antimateria è un processo paurosamente inefficiente e non esistono, per fortuna, delle miniere di antiferro. Di certo queste scoperte fanno emergere sempre di più Dirac come uno dei più grandi protagonisti della scienza del nostro secolo. Tullio Regge Politecnico di Torino


FISICA Atomi dell'altro mondo Costruito al Cern l'anti-idrogeno
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: FISICA, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: OELERT WALTER, MACRI' MARIO
ORGANIZZAZIONI: CERN, INFN, UNIVERSITA' DI GENOVA, GSI DI DARMSTADT, ERLANGEN NEUERNBERG UNIVERSITY
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Come nasce l'anti-idrogeno
NOTE: «Lear» (Low Energy Antiproton Ring)

PER ora sono soltanto nove atomi, ma l'uomo ha incominciato a fabbricare antimateria, sia pure su scala artigianale. Succede a Ginevra, al Cern, il centro europeo per la ricerca nucleare. In prospettiva (lontanissima) potrebbero esserci armi micidiali o motori potentissimi. Più realisticamente, e in tempi ragionevoli, avremo interessanti verifiche delle teorie sul microcosmo e sull'origine dell'universo. Il fisico tedesco Walter Oelert e un gruppo internazionale di cui fanno parte l'italiano Mario Macrì dell'Infn e ricercatori delle Università di Genova, del Gsi di Darmstadt e dell'Erlangen-Neuernberg University, sono riusciti a produrre 9 atomi di anti-idrogeno facendo scontrare antiprotoni con nuclei di xeno per tre settimane. L'antimateria è identica alla materia normale ma le sue particelle hanno la carica elettrica invertita: gli elettroni anziché avere carica negativa ce l'hanno positiva, e si chiamano positroni; i protoni anziché avere carica positiva ce l'hanno negativa, e si chiamano antiprotoni. Un atomo di anti-idrogeno è costituito da un antiprotone come nucleo e un positrone in orbita intorno ad esso. Da qualche decennio i fisici sanno come produrre particelle di antimateria. Il guaio è che appena l'antimateria viene a contatto con la materia ordinaria, il tutto scompare in un lampo di energia. Inoltre non si era mai riusciti a mettere un positrone in orbita attorno a un antiprotone, costruendo così un atomo di antimateria. Il gruppo di Walter Oelert e Mario Macrì ce l'ha fatta usando «Lear» (Low Energy Antiproton Ring), un acceleratore del Cern. Il fascio di antiprotoni attraversa tre milioni di volte al secondo un bersaglio costituito da un getto di xeno estremamente compatto e veloce, subito risucchiato via per non danneggiare l'altissimo vuoto pneumatico nel quale circolano gli antiprotoni (pena la loro immediata annichilazione). Talvolta succede che un antiprotone urtando un nucleo di xeno converta una parte della sua energia in un elettrone e in un positrone. Se si è molto fortunati, il positrone può capitare accanto a un antiprotone con la stessa velocità, e allora ne viene catturato, formando un atomo di anti-idrogeno. Il quale avrà vita breve - appena 40 miliardesimi di secondo - dopo di che si annienterà, esalando dei raggi gamma a prova della sua effimera esistenza. Mario Macrì, 51 anni, sposato, due figli, è tra i maggiori esperti al mondo di bersagli gassosi da utilizzare in acceleratori di particelle. Si riuscirà a mettere insieme una quantità apprezzabile di antimateria e a conservarla? «E' molto difficile - spiega Macrì -. I nostri atomi di anti- idrogeno percorrono 10 metri in 40 nanosecondi, poi dobbiamo annichilirli per poterli vedere. Gli americani li fanno viaggiare per 50 metri, e quindi per 200 miliardesimi di secondo. Ancora poco. Avere antimateria su scala industriale è quindi quasi impossibile. Non parliamo poi di atomi più complessi e pesanti dell'idrogeno. Quanto a isolare e conservare l'antimateria, si può pensare a un imbottigliamento magnetico tramite nubi di positroni e antiprotoni, o agendo sullo spin, cioè sul moto di rotazione dell'antiprotone e del positrone». Fino a che punto l'antimateria è davvero lo specchio della materia ordinaria? Potrebbero esserci lievi differenze? Una mela di antimateria, per esempio, cade come una mela normale o la legge di gravità per lei è diversa? «Queste sono le ricerche che vorremmo fare in futuro - dice Macrì - ma occorre avere atomi di antiidrogeno in quantità sufficiente per farne la spettrometria. Oltre alla gravità, è interessante vedere se nell'antimateria le simmetrie di carica, spazio e tempo sono rispettate come nella materia. Questo ha grandi implicazioni anche in cosmologia. Quindici miliardi di anni fa, subito dopo il Big Bang, l'anti-idrogeno era di casa. Poi, per qualche motivo misterioso, materia e antimateria si sono annientate ed è rimasto un lieve eccesso di materia che ha dato luogo all'universo di cui facciamo parte». Per quanto ne sappiamo, potrebbero esserci intere galassie di antimateria, ma oggi non sappiamo come distinguerle da quelle di materia ordinaria. Le misure di meccanica quantistica sugli atomi di idrogeno hanno raggiunto la precisione di una parte su un milione di trilioni, e quindi se ci fosse anche una piccolissima dissimmetria tra materia e antimateria dovremmo essere in grado di osservarla, ora che Oelert e Macrì sono riusciti a produrre atomi di anti-idrogeno. Si tratta però di imparare a conservarli prima per qualche secondo, poi per minuti, giorni e settimane. Una strada ancora molto lunga e impervia. Piero Bianucci


Un museo unico A Palermo sono stati raccolti recentemente preziosi documenti della storia della radiologia
Autore: BATTAGLIA GIUSEPPE

ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA, FISICA
NOMI: CINGOLINI PIETRO
LUOGHI: ITALIA

IL centenario della scoperta dei raggi X è stato ricordato con un volume di mille pagine, (Immagini e segni dell'uo mo. Storia della radiologia ita liana, edito da Idelson Gnocchi) scritte da oltre 60 autori di varie università italiane e curato da Adelfio Cardinale, direttore dell'Istituto di radiologia dell'Università di Palermo. Inoltre a Palermo si è inaugurato un museo della radiologia ideato da Cardinale e realizzato con la collaborazione di Marcello De Maria e Roberto Lagalla. E' l'unico in Italia e si aggiunge ai pochissimi esistenti nel mondo. Vale la pena di visitarlo, anche per chi non ha alcuna dimestichezza con i raggi X e la radiologia, sia per le rare apparecchiature, sia per i molti volumi esposti, talvolta unici. In giro per le sale si percorre un secolo di storia della scienza medica. Molti gli antichi macchinari radiologici. C'è anche un apparecchio indispensabile sino ai primi anni del nostro secolo per ottenere delle radiografie: il rocchetto di Ruhmkorff, datato 1851. Inoltre sono esposti, ancora funzionanti, alcuni tavoli di comando radiografici risalenti a vari periodi del nostro secolo; i più antichi sono del 1910. Una sala è stata dedicata a Pietro Cingolini, ideatore della chimografia analitica e fondatore dell'Istituto di Radiologia di Palermo. La chimografia è stata sin dal 1930 l'unico metodo radiologico per studiare il cuore. Nel museo è conservata anche la lente utilizzata dal siciliano Sciascia per le sue esperienze di fototerapia. Agli inizi del '900 Finsenn condusse ricerche simili a quelle di Sciascia diffondendole ampiamente senza citare lo studioso siciliano. E per questo suo lavoro ebbe il premio Nobel nel 1903, mentre il pioniere di quelle ricerche rimaneva ignorato. Giuseppe Battaglia




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