TUTTOSCIENZE 22 novembre 95


IN BREVE Il 1995 durerà un secondo in più
ARGOMENTI: METROLOGIA
ORGANIZZAZIONI: INTERNATIONAL EARTH ROTATION SERVICE, ISTITUTO GALILEO FERRARIS
LUOGHI: ITALIA

Tra la fine del 1995 e l'inizio del 1996, a mezzanotte del 31 dicembre si inserirà un secondo aggiuntivo per mettere d'accordo il tempo misurato in base alla rotazione della Terra (che rallenta) con il tempo, molto più stabile, misurato dagli orologi atomici. Lo ha deciso l'International Earth Rotation Service di Parigi. Per l'Italia provvederà a rimettere al passo gli orologi l'Istitutto Elettrotecnico «Galileo Ferraris» di Torino.


IN BREVE Prematuri: l'ossigeno è arrivato al cervello?
ARGOMENTI: TECNOLOGIA, MEDICINA E FISIOLOGIA
NOMI: DUC GABRIEL
LUOGHI: ITALIA

Uno speciale apparecchio da applicare alla testa dei bambini nati prematuramente per scoprire se il loro cervello è ossigenato a sufficienza: l'ha presentato Gabriel Duc, direttore della cattedra di Neonatologia dell'Università di Zurigo. Si Chiama «saturimetro» e misura la quantità dell'ossigeno legato all'emoglobina.


IN BREVE Crf: percezione dei colori
ARGOMENTI: OTTICA E FOTOGRAFIA
ORGANIZZAZIONI: CENTRO RICERCHE FIAT, SOCIETA' ITALIANA OTTICA E FOTOGRAFIA
LUOGHI: ITALIA

La percezione e il riconoscimento dei colori sono argomento di un corso che si terrà dal 4 al 7 dicembre presso il Centro Ricerche Fiat (Crf) di Orbassano. L'iniziativa, organizzata in collaborazione con la Società Italiana di ottica e fotografia, si rivolge agli specialisti della ricerca e dell'industria. Oltre che la fisica e la medicina, infatti, gli studi su come occhio e cervello vedono i colori possono interessare aziende che operano in numerosi campi: elettronica (televisiori, computer), industria tessile, editoria, produzione di vernici. Informazioni: 011-902.3015.


IN BREVE L'alimentazione a «Futuro remoto»
ARGOMENTI: ALIMENTAZIONE
ORGANIZZAZIONI: FONDAZIONE IDIS
LUOGHI: ITALIA

Dal 7 dicembre al 12 gennaio la Fondazione Idis, Istituto per la diffusione e la valorizzazione della cultura scientifica, e l'Ente Mostra d'Oltremare organizzano la nona edizione di «Futuro remoto, un viaggio tra scienza e fantascienza», dedicata quest'anno all'alimentazione.


IN BREVE Uffici del futuro se ne parla a Torino
ARGOMENTI: ELETTRONICA, INFORMATICA
LUOGHI: ITALIA

La telematica trasformerà profondamente l'ufficio del futuro con nuovi servizi in voce e in video, come ha già fatto con il fax, la posta elettronica e il collegamento alle reti internazionali. Su questo tema si terrà una giornata di studio il 14 dicembre all'Unione industriale di Torino con la partecipazione di Cselt, Telecom, Ibm, HP e Politecnico di Torino. Per informazioni, tel. 011-537.412.


IN BREVE Cselt premiato per fibre ottiche
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, TECNOLOGIA, PREMIO
ORGANIZZAZIONI: CSELT
LUOGHI: ITALIA

La Commissione europea per le telecomunicazioni ha premiato lo Cselt, il centro di ricerca della Stet con sede a Torino, insieme con Italtel, per i contributi al progetto Mwtn per moltiplicare la capacità di trasmissione dei sistemi in fibra ottica.


ENIGMA SOLE Sonda spaziale targata Europa proverà a risolverlo
Autore: ANTONUCCI ESTER

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, FISICA, TECNOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: NOCI GIANCARLO, GABRIEL ALAN
ORGANIZZAZIONI: ESA, NASA ALENIA, OFFICINE GALILEO, BALL CORPORATION
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Sezione del Sole
NOTE: Uvcs (Ultraviolet Coronagraph Spectrometer)

IL coronagrafo ultravioletto, l'Ultraviolet Coronagraph Spectrometer (Uvcs), progettato per osservare la corona del Sole, è in questo momento a bordo del satellite Soho (Solar Heliospheric Observatory, Esa/Nasa), che a sua volta è incapsulato in un razzo Atlas-Centaur, pronto per il lancio che avverrà domani alle 2 del mattino da Cape Canaveral. L'Uvcs è il primo strumento costruito per la spettroscopia ultravioletta dell'atmosfera solare più esterna: la corona estesa. Ed è anche il primo esperimento spaziale realizzato dai fisici solari in Italia. Nasce da una collaborazione tra le Università di Firenze, Padova, Torino e lo Smithsonian Astrophysical Observatory, con una partecipazione dell'Istituto di Tecnologia di Zurigo; lo hanno realizzato l'Alenia, le Officine Galileo e la Ball Corporation, con finanziamenti dell'Agenzia Spaziale Italiana e della Nasa. L'Italia è responsabile dello spettrometro dell'Uvcs, che è il più innovativo dei 12 esperimenti di Soho e anche il più grande: con i suoi 100 chilogrammi rappresenta un sesto del carico scientifico del satellite. L'Uvcs utilizza tecniche diagnostiche non ancora sperimentate, ma la cui validità è stata pienamente verificata dai voli sullo Shuttle del suo prototipo. La più importante delle righe ultraviolette che l'Uvcs osserverà è la Lyman-alfa dell'idrogeno, in un campo di osservazione che si estenderà fino a una distanza di 10 raggi solari. Questa regione della corona, finora poco esplorata, è importante perché lì nasce e viene accelerato il vento solare in cui anche la Terra e gli altri pianeti sono immersi. Il lancio dell'Uvcs è un'occasione per ripercorrere la storia delle osservazioni della riga Lyman-alfa e arrivare alla nascita della spettroscopia ultravioletta della corona solare più esterna. Forse non è così noto che la riga ultravioletta Lyman- alfa dell'idrogeno - la radiazione monocromatica più diffusa nell'universo emessa dal più abbondante degli elementi - non è osservabile da Terra. Infatti si estingue completamente nell'atmosfera e non penetra oltre i 60 chilometri di quota. La Lyman- alfa si forma quando un atomo di idrogeno, portato al suo primo stato eccitato da una collisione con un elettrone o dall'assorbimento di un fotone di sufficiente energia, si diseccita, tornando allo stato fondamentale con l'emissione di un fotone ultravioletto a 1216 angstrom. La prima osservazione della riga Lyman-alfa proveniente dal cosmo risale al 1949 e fu ottenuta dal Naval Research Laboratory con un lancio di uno dei razzi tedeschi V-2 oltre i 60 chilometri di altitudine. Si scoprì così che la Lyman-alfa è la più intensa riga dello spettro solare. Il suo segnale è talmente intenso da ionizzare lo strato più basso della ionosfera. La Terra stessa, se osservata dallo spazio, è a sua volta una sorgente di Lyman-alfa, in quanto diffonde efficacemente la radiazione ultravioletta proveniente dal Sole. Lo splendente globo ultravioletto che avvolge la Terra, la «geocorona», raggiunge gli 80 mila chilometri di altitudine. La Lyman-alfa è emessa dal Sole in una zona molto sottile vicina alla superficie visibile, dove ad alcune migliaia di gradi l'idrogeno può esistere anche in forma atomica e quindi emettere radiazione. Questa zona è la «cromosfera» ed è ben osservabile da Terra nelle righe emesse dall'idrogeno, o da altri atomi meno abbondanti, nel visibile. Al centro del Sole, dove avvengono le fusioni nucleari, la temperatura è molto elevata, 15 milioni di gradi; decresce poi gradualmente verso l'esterno fino a un minimo di circa 4700 gradi alla base della cromosfera. Anche in cromosfera, dovremmo aspettarci un ulteriore abbassamento della temperatura all'aumentare della distanza dal centro solare. Invece bruscamente, in una sottile zona di qualche centesimo del raggio solare, la temperatura si impenna e raggiunge il milione di gradi. L'innalzamento della temperatura non permette all'idrogeno di sopravvivere in forma atomica e spegne l'emissione Lyman-alfa. E' qui che avviene la transizione tra la cromosfera e la caldissima corona. Le temperature coronali sono alte al punto da determinare l'espansione dell'atmosfera solare. E' così che ha origine il vento solare che si propaga a velocità di centinaia di chilometri al secondo, permeando tutta l'eliosfera. Quindi i pianeti, tra cui la Terra, sono immersi nella tenue atmosfera solare. Il riscaldamento coronale e l'origine e l'accelerazione del vento solare sono tra i problemi più affascinanti del Sole e dell'eliosfera, essendo lo stato elettromagnetico del sistema solare completamente dominato dalla presenza del «vento». Infatti il campo magnetico solare, «congelato» nel vento, viene anch'esso trasportato come la materia solare ai limiti dell'eliosfera e vicino ai pianeti si accoppia con i loro campi magnetici provocando profonde alterazioni della loro configurazione, che variano nel tempo. La corona che si crea entro due centesimi di raggio solare dalla superficie visibile del Sole si estende, nelle regioni dove si origina il vento solare, a tutta l'eliosfera; e mentre il vento solare è ben conosciuto grazie ai satelliti che ne misurano le caratteristiche nell'eliosfera, poco sappiamo e in gran parte per conoscenza indiretta sulla corona estesa e la zona in cui il vento nasce e viene accelerato. La corona è infatti stata osservata finora solo fino ad alcuni raggi solari oltre il bordo del Sole in luce bianca, cioè luce fotosferica diffusa dagli elettroni, che misura solo la sua densità. Il fatto sorprendente è che proprio la radiazione Lyman-alfa, che è tipicamente cromosferica, può essere usata per sondare meglio di ogni altra radiazione lo stato fisico della corona estesa, che conosciamo così poco. Infatti durante l'eclisse del 7 marzo 1970, nel momento in cui l'intensa radiazione cromosferica veniva occultata dalla Luna, si scoprì che la Lyman-alfa è la riga dominante anche in corona. L'inglese Alan H. Gabriel giungeva alla conclusione che la radiazione cromosferica poteva essere assorbita e riemessa dai rarissimi atomi residui di idrogeno sopravvissuti in corona (meno di 10 per centimetro cubo nelle zone più basse della corona) e dare un segnale molto debole rispetto a quello cromosferico, ma intenso per la tenue corona. Simultaneamente Giancarlo Noci suggeriva di usare la Lyman-alfa per sondare la corona fino ad alcuni raggi solari della superficie, in alternativa alla luce bianca. Infatti la Lyman-alfa coronale porta con sè tutte le informazioni spettroscopiche necessarie per studiare i processi fisici che avvengono nella corona estesa. Permette tra l'altro una misura della densità, della temperatura e soprattutto dello stato dinamico della corona. In particolare Noci suggeriva di sfruttare il fatto che la velocità relativa tra cromosfera e corona in espansione si riflette sulle proprietà di assorbimento e riemissione della Lyman-alfa, per misurare direttamente la velocità del vento solare proprio nella regione in cui viene accelerato e raggiunge valori supersonici. Questa tecnica è chiamata «attenuazione Doppler» e permette di misurare velocità là dove la direzione della velocità, perpendicolare alla congiungente con l'osservatore, impedisce di usare il noto effetto Doppler. Dalla fortunata eclisse del 1970 nasceva quindi l'idea della spettroscopia della corona estesa, con tecniche diagnostiche del tutto nuove e non ancora applicate in nessun altro campo dell'astrofisica. Il frutto di queste idee è venuto a maturazione solo ora con la realizzazione di un nuovo tipo di strumento: il coronagrafo ultravioletto Uvcs. Basato sul semplice concetto di usare uno spettrometro per rilevare la tenue emissione coronale, per il suo funzionamento è però necessario da una parte occultare la radiazione cromosferica, dall'altra sviluppare un disegno ottico e un rilevatore ultravioletto adatti a segnali di bassissima intensità: requisiti che sono stati soddisfatti risolvendo difficili problemi tecnici. Domani l'Uvcs inizierà la sua missione. Buona fortuna! Ester Antonucci Presidente della Commissione Solare del Committee on Space Research


PARTE SOHO Verso la stella più importante per l'umanità
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, RICERCA SCIENTIFICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: Soho (Solar and Heliospheric Observatory)

IL Sole è certamente per noi il corpo celeste più importante, sia per banali motivi pratici - mantiene la vita sulla Terra - sia per più disinteressati motivi teorici, in quanto è il prototipo dei miliardi di stelle che formano la nostra e le altre galassie. Chi conosce bene il Sole, conosce in buona parte come funziona l'universo. Il guaio è che per adesso il Sole lo conosciamo male. C'è un'idea precisa di come produce la sua energia, ma le osservazioni sperimentali sui neutrini solari non la confermano del tutto; ci sono ipotesi su come si propaga l'energia nel suo globo e fuori, nella «corona», ma occorre verificarle; sappiamo di essere immersi in un «vento» solare di protoni ed elettroni, ma vorremmo capire meglio come soffia e come influenza la Terra; e l'elenco delle mezze conoscenze potrebbe continuare a lungo. Ha fatto bene, quindi, l'Agenzia spaziale europea (Esa) a mettere il Sole in cima alle sue priorità di ricerca dedicandogli la prima delle quattro grandi missioni (le «pietre angolari») del programma «Horizon 2000»: la navicella «Soho» (da SOlar and Heliospheric Observatory) partirà domani da Cape Canaveral. Incrociando le dita (gli astronomi non sono superstiziosi ma neanche imprudenti...) vari primati verranno stabiliti dalla navicella europea. Sarà la prima sonda a entrare in orbita intorno ad uno dei punti di equilibrio gravitazionale tra il Sole e la Terra individuati due secoli fa dal matematico torinese Lagrange. Sarà il primo osservatorio che studia simultaneamente il Sole con dodici strumenti diversi che indagano sul suo funzionamento interno ed esterno. Sarà anche il primo osservatorio in grado di fornire dati ininterrottamente per alcuni anni, senza le discontinuità causate dall'alternarsi del giorno e della notte e dai capricci della meteorologia. Liberata dai vincoli della gravità con un razzo Atlas, la navicella Soho entrerà prima in un'orbita bassa di parcheggio, a 180 chilometri dal suolo. Di qui, con un'ulteriore accelerazione di 3,2 chilometri al secondo, si immetterà nella traiettoria di trasferimento verso il punto di Lagrange n. 1, dopo due correzioni di rotta che avverranno un giorno e mezzo e 20 giorni dopo l'uscita dall'orbita di parcheggio. In quattro mesi di viaggio, infine, arriverà a 1,5 milioni di chilometri dalla Terra in direzione del Sole (quattro volte la distanza Terra-Luna, un centesimo della distanza Terra-Sole) e qui si inserirà in un'orbita a 600 mila chilometri intorno al punto lagrangiano, pronta per iniziare il suo lavoro. Soho studierà la struttura interna del Sole attraverso le «pulsazioni» dei suoi strati superficiali, che hanno periodi compresi tra qualche minuto e qualche ora: la tecnica è simile a quella che i geologi usano per capire com'è fatta la Terra in profondità attraverso la propagazione delle onde sismiche. Di qui si potrà anche risalire alla temperatura centrale del Sole, dalla quale dipendono le reazioni nucleari, e quindi anche il flusso di neutrini. Altri strumenti osserveranno il Sole e la corona nel visibile e nell'ultravioletto (vedi l'articolo qui accanto) e analizzeranno le particelle del vento solare. Nel Medio Evo «soho» era anche un grido di caccia anglo- francese. Per gli scienziati di 15 Paesi che hanno strumenti a bordo si annunciano buone prede fino alla fine del secolo. Piero Bianucci


1995 ANNO RECORD La Terra? Mai stata così calda Allarmanti le temperature degli ultimi due decenni
Autore: TIBALDI ALESSANDRO

ARGOMENTI: METEOROLOGIA
LUOGHI: ITALIA

MIGLIAIA di dati di temperature misurate in tutte le regioni della Terra ogni giorno, per tutti i giorni degli ultimi 17 anni. Milioni di calcoli e una inquietante scoperta: l'agosto scorso è quello con la temperatura media globale della superficie terrestre più alta mai misurata. Rispetto alle temperature medie degli ultimi dieci mesi di agosto, che già rappresentano una tendenza al riscaldamento, la temperatura media globale dell'ultimo agosto risulta di un quarto di grado più alta. Un valore molto significativo perché, è bene ricordarlo, a una piccola variazione della temperatura media della superficie terrestre corrispondono grandi variazioni di altri fattori ambientali come piogge, nevicate, livello del mare, vegetazione. Questa scoperta è doppiamente importante. Innanzitutto il dato di per se stesso è stato desunto dai satelliti artificiali e rappresenta una preziosa fonte di informazione per tutti coloro che necessitano di indicazioni climatiche, in tempi brevi, accurate e su vasta scala, come per esempio i meteorologi e i climatologi. Fino alla fine degli Anni 70, le temperature dell'aria nei pressi del suolo venivano manualmente misurate in un numero limitato di stazioni meteorologiche sparse in modo non uniforme. Ottenere tutti i dati e i tempi per entrarne in possesso comportava problemi ancora maggiori. Dal 1979 invece una serie di satelliti artificiali americani, i «Noaa», registra la tempertura di tutta la superficie terrestre, anche quindi delle zone più remote e inaccessibili, permettendo di mettere insieme in tempi brevissimi una grande quantità di dati. Il secondo aspetto importante di questa scoperta risiede nel fatto che convalida le previsioni scientifiche su un possibile riscaldamento della superficie terrestre in tempi brevi, dell'ordine delle decine di anni. Queste stime basate su modelli fisico-matematici - di cui ci siamo recentemente occupati su queste pagine - erano state inizialmente accolte come allarmistiche, osteggiate o ignorate da vasti settori politici internazionali e nazionali. Negli ultimi anni per fortuna, la vasta eco che si è sviluppata anche grazie alla divulgazione dei risultati provenienti dai più importanti congressi scientifici internazionali, sta via via sensibilizzando gli ambienti politici sulla necessità di invertire la tendenza nella produzione di inquinanti che stanno alla base di questo veloce innalzamento della temperatura. Soprattutto, i dati reali come quelli dell'agosto 1995 sono un prezioso tassello nell'affinamento dei modelli globali di variazione climatiche a breve e lungo termine e devono rappresentare un monito ai governi di tutte le nazioni. Inoltre, questo dato evidenzia ancora una volta come le condizioni di vita in ogni regione della Terra possano essere influenzate dai comportamenti delle popolazioni di altre regioni, anche lontane. In altre parole, gli sforzi di governi come quello americano o di alcune nazioni europee di abbattere le possibili fonti antropiche di aumento della temperatura valgono molto come esempio ma pochissimo in termini pratici se non vengono accompagnati da uno sforzo comune di tutte le nazioni della Terra. In tal senso, è appena giunta una notizia positiva da Jiang Feng, presidente dell'Associazione Generale dell'Industria Leggera Cinese, che ha dichiarato che entro il 2005 verrà bandito l'uso dei clorofluorocarburi nella fabbricazione dei frigoriferi. Tra i Paesi in via di sviluppo, la Cina attualmente è infatti il maggior produttore di inquinanti che assottigliano lo strano di ozono. Alessandro Tibaldi Università di Milano


UNIVERSITA' La cattedra? Sacra ed eterna
Autore: CAROTENUTO ALDO

ARGOMENTI: DIDATTICA, RICERCA SCIENTIFICA, UNIVERSITA'
LUOGHI: ITALIA

PARTECIPO ancora una volta al tentativo di informare l'opinione pubblica del grave decadimento della ricerca italiana e del mondo accademico, avendo però in mente la straordinaria capacità di rassegnazione dei nostri concittadini. Una rassegnazione costruita su un concetto del potere che, come cercherò di chiarire, ha poco a che fare con i principi di una democrazia laica, per quanto di giovane tradizione come la nostra. Fa ancora scandalo la logica delle tangenti e delle clientele? Dei concorsi universitari deve essere in primo luogo chiaro che l'esito sostanziale del concorso è valido e inoppugnabile alla sola condizione che sussistano i requisiti formali. In questo modo viene garantita una copertura efficace alla frequente noncuranza dei criteri di merito nella scelta del vincitore della cattedra. Questo significa che se un collegio di luminari sceglie anche il meno titolato dei candidati, non vi è modo per i respinti, fossero pure scienziati di chiara fama, di far valere le proprie ragioni. La stessa cattedra, una volta assegnata, non è revocabile, qualsiasi sia il livello attuale dell'impegno scientifico del docente, in modo del resto congruo alla mentalità che vige nell'impiego pubblico. E' comprensibile poi che i docenti saliti in cattedra con criteri poco limpidi abbiano tutto l'interesse a gestire il potere così acquisito, in modo da rafforzare le reti di alleanze che li hanno sostenuti. Si può ricordare che durante il fascismo soltanto undici professori dell'intero corpo accademico si opposero apertamente alla dittatura. Un altro indice significativo di questa logica corporativa è la scarsa apertura del mondo accademico italiano alla comunità scientifica internazionale. Non tanto per presunzione, più semplicemente perché una simile chiusura risulta indispensabile a garantire lo stato delle cose. Giovani brillanti che si trasferiscono in Università straniere, e Facoltà nostrane affollate di professori che nessuna università europea o americana si sognerebbe di invitare. Si richiederebbe a uno studioso di partecipare alla ricerca internazionale attraverso pubblicazioni, conferenze, seminari e così via. Dove sono queste pubblicazioni? Quante di esse vengono tradotte o addirittura adottate nei corsi di studi all'estero? Anche uno studente del primo anno ha idea del grande debito della nostra cultura, soprattutto nelle discipline tecnico-scientifiche, nei confronti della ricerca straniera. Quanti dei libri di testo adottati nei nostri iter formativi sono anglosassoni? Quanti dei nostri allievi sono costretti a trasferirsi per ottenere titoli post-universitari? E quale contributo di ricerca avanzata possiamo noi offrire alla comunità internazionale? Per quale motivo, infine, uno scienziato degno di questo nome dovrebbe sentirsi messo in discussione da una verifica periodica del suo operato? Ebbene, non si riesce a far passare neppure un argomento apparentemente così ovvio. Con una abitudine che ha poco a che fare con l'etica laica, il titolo di professore immette nell'area del numinoso e del sacro, attributi costanti del potere, dalla storia più antica dell'uomo. Non vi è confronto dell'uomo con il sacro, la legge sacra è insindacabile perché fuori dalla relatività dello spazio-tempo, una legge che non ha storia, come ce l'ha invece la legge posta dall'uomo. Così è il potere del barone. Laicizzare questo potere che è pure legittimo e necessario dove inteso come assunzione solenne di responsabilità, significa preservare la funzione della docenza e subordinare ad essa gli uomini, piuttosto che il contrario, come siamo abituati a fare. La mancanza di un senso dello Stato è una realtà che investe tutti i livelli del tessuto sociale, ma quando viene esibita proprio da coloro che dovrebbero farsi garanti della formazione delle coscienze più giovani, non si consolida un circolo vizioso che è sempre più improbabile spezzare? Aldo Carotenuto Università «La Sapienza», Roma


PROTEZIONE CIVILE Alluvioni, sorveglianza con rete a maglie strette
Autore: RUSSO SALVATORE

ARGOMENTI: ECOLOGIA, METEOROLOGIA
NOMI: BARBERI FRANCO
LUOGHI: ITALIA

C'E' voluta la tremenda alluvione del Piemonte, poco più di un anno fa, per mettere in evidenza l'inadeguatezza dei mezzi della Protezione Civile. Un anno spesso agitato da durissime polemiche, da ritardi nei provvedimenti e nei contributi per le popolazioni colpite. Ma anche, per fortuna, un anno che, finalmente, ha portato al rinnovo delle attrezzature scientifiche di sorveglianza. La prima buona notizia riguarda il servizio più delicato: quello di previsione e localizzazione delle alluvioni. Oggi, infatti, è possibile individuare con discreta approssimazione l'evento atmosferico grazie a una rete di controllo di 20 per 20 chilometri: una maglia notevolmente stretta, se si pensa che nel novembre del 1994 il riferimento era ancora di 100 per 100 chilometri, con poche possibilità, dunque, di inviare tempestivamente i soccorsi nel posto giusto. Una rete di sorveglianza più precisa è diventata possibile grazie a una convenzione con la Regione Emilia Romagna, già dotata di un sistema di rilevamento simile a quello del centro di previsione meteo per l'Europa, con sede a Reading, vicino a Londra, che può contare sul limite ottimale di 10 per 10 chilometri. Oggi, insomma, di fronte a un evento atmosferico simile a quello di un anno fa, i danni potrebbero essere dimezzati e soprattutto sarebbe possibile avvertire in tempo gli abitanti delle aree interessate. Un sistema di previsione più aggiornato non basta tuttavia a risolvere i problemi strutturali del territorio: il forzato restringimento dei corsi d'acqua - da cui deriva la fragilità idrogeologica di molte zone al Nord e al Sud d'Italia - e la realizzazione di innumerevoli costruzioni sopra le reti fluviali (un terzo della sola città di Genova sarebbe in queste condizioni), rendono infatti alcune zone particolarmente esposte, per cui è sufficiente mezz'ora di pioggia medio-forte per trasformare le zone più deboli in zone alluvionate. A ciò la Protezione Civile non ha dato risposta, non potendo intervenire sulle opere murarie e cementizie che hanno ridotto le vie d'acqua, ma se non altro ha avviato una ricerca sullo stato di fatto del territorio, con la redazione di una mappa generale delle aree inondabili, in modo da individuare le zone più a rischio. La sorveglianza delle acque dipenderà inoltre da ogni Regione, che dovrà dotarsi di un'Autorità di Bacino e di un corrispondente Piano delle reti fluviali da aggiornare in relazione ai mutamenti del territorio. Il bacino del Po, ad esempio, diventerà un prototipo nazionale di pianificazione di emergenza, coinvolgendo un'area che interessa 6 regioni e 24 province. «Questi provvedimenti non serviranno tuttavia a nulla se non si inizierà ad investire solo in termini di prevenzione», spiega Franco Barberi, sottosegretario alla Protezione civile. «L'alluvione del Piemonte - aggiunge - è costata undicimila miliardi, di cui solamente 200 destinati a prevenzione, il resto è servito per riparare i danni». E ancora: «In venti anni di calamità naturali, il nostro Paese ha speso circa 165 mila miliardi solo nelle ricostruzioni, mentre l'intero territorio è rimasto estremamente esposto a tutti i rischi naturali. E' sufficiente pensare al rischio sismico, ad esempio, che interessa il 40 per cento del nostro territorio, e per far capire quanto sia importante prevenire anche questo evento basta ricordare che provvedere ai danni provocati da un terremoto, anche di piccola intensità, costa circa 50 mila miliardi, cinque volte la Finanziaria che stiamo per approvare». Quale soluzione, dunque? «Noi proponiamo un censimento nazionale della vulnerabilità degli edifici», spiega ancora Barberi. «Abbiamo un progetto che prevede il coinvolgimento di disoccupati, cassintegrati e anche giovani laureati - in accordo con un programma di formazione europeo - per assumere a tempo determinato nuove forze che ci diano la possibilità di disegnare in tempi brevi un mappa generale sulla vulnerabilità sismica delle costruzioni». Salvatore Russo


NUOVE NORME D'ora in poi chi vola può pesare 10 chili di più
Autore: BOFFETTA GIAN CARLO

ARGOMENTI: TRASPORTI, DEMOGRAFIA E STATISTICA
ORGANIZZAZIONI: ICAO
LUOGHI: ITALIA

IL Daily Telegraph ha pubblicato qualche mese fa un articolo sull'aumento del peso dei cittadini inglesi dal dopoguerra ad oggi. La cosa non è sfuggita all'Icao, l'Organizzazione per l'Aviazione Civile che, fra gli altri problemi, si occupa della sicurezza dei voli. E l'Icao ha preso provvedimenti. Il peso al decollo è per ogni aereo un dato fondamentale, non solo per il decollo stesso, ma per l'autonomia del volo e, non potendo metter su di una bilancia ogni passeggero al momento dell'imbarco, nel 1948 era stato stabilito di calcolare il peso dei passeggeri moltiplicando il numero dei maschi per 74,744 kg e quello delle passeggere per 64,779 kg (oltre a 11 kg di bagaglio ciascuno). I decimali sono dovuti alla trasformazione degli stones e delle libbre, in uso in Inghilterra dove si era stabilita la regola. Per la prima volta dopo tanti anni è stato rivisto il peso standard dell'Homo aeronauticus, che oggi pesa 84 chili sia nella versione «uomo» sia nella versione «donna», probabilmente in ossequio alla parità dei sessi. Tutto ciò può sembrare una cosa frivola, ma non lo è. Basta pensare a cosa proverebbe il pilota di un bimotore da 300 passeggeri che incontrasse in decollo un serio problema ad un motore o una raffica di «vento di caduta» rendendosi conto in quell'istante di avere a bordo oltre 3000 kg in più di quanto era stato calcolato. Con i nuovi standard ora approvati non vi sono più pericoli. «A meno che - ha commentato un tecnico dell'Icao - un qualche Club dei Grassoni prenoti tutti i posti di un aereo senza avvertire il personale dell'aviolinea». O, per una di quelle combinazioni che secondo le statistiche non accadono (quasi) mai, 300 bulimici scelgano lo stesso volo senza conoscersi tra loro. Gian Carlo Boffetta


PROSCIMMIE Strilli di bambini nel bosco Ma sono le vocine acute dei galagoni
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

LI chiamano «bambini dei boschi» perché hanno una vocina acuta simile a quella dei bambini. I loro strilli echeggiano nelle foreste e nelle savane dell'Africa a Sud del Sahara, dall'Angola a Occidente alla Somalia a Oriente, al Natal in Sudafrica. Sono i galagoni, graziosissime proscimmie, alcune delle quali così piccole da stare comodamente nel palmo di una mano. Nell'oscurità della notte, i loro grandi occhi tondi brillano come carboni ardenti perché, al pari di quelli dei carnivori, posseggono dietro la retina il «tapetum lucidum», uno strato di cellule che riflette la luce come uno specchio. Simon K. Bearder è un patito dei galagoni. Li studia dal l968 e dopo ventisette anni ne è affascinato ancora oggi. Lo attraggono soprattutto le vocalizzazioni di questi animaletti africani, che, a suo parere, si possono considerare le più loquaci tra le molte creature della notte. Di giorno i bambini dei boschi dormono nascosti nelle cavità dei tronchi o tra le biforcazioni dei rami. Al crepuscolo si svegliano e spiegano i padiglioni delle grandi orecchie membranose, che tenevano ripiegate durante il sonno: con il loro udito finissimo sono in grado di captare qualsiasi rumore, persino il più sottile ronzio di una mosca. Escono all'aperto e si affrettano a bagnare di urina il palmo delle mani e la pianta dei piedi, per lasciare su ogni ramo il marchio odoroso del loro passaggio. Serve da avvertimento per gli estranei: «Non azzardatevi a invadermi il territorio, se no sono botte da orbi!». E infatti se un altro galagone dello stesso sesso sconfina nel suo territorio, il legittimo proprietario ingaggia un duello tutt'altro che cavalleresco. Lo scontro si conclude quasi sempre con la morte del più debole. Agilissimi, i bambini dei boschi sembrano «volare» da un albero all'altro, quando compiono balzi di due o tre metri. Il collo flessibilissimo consente loro di ruotare la testa all'indietro, come fanno le civette. Hanno tutte le doti per essere ottimi cacciatori. E infatti lo sono. Catturano cicale, grilli, falene, lumache. Le specie più grosse mangiano anche piccoli roditori e rubano dai nidi le uova e gli uccelletti neonati. Non disdegnano nemmeno i frutti e altri vegetali. Ma c'è un altro alimento che fa parte della loro dieta e diventa particolarmente importante durante l'inverno, quando scarseggia l'alimento animale. E' il lattice gommoso delle acacie. I galagoni ne sono molto ghiotti. Nei tropici ci sono molte piante produttrici di gomme, cioè di liquidi viscosi che sgorgano spontaneamente dal tronco per sigillare screpolature naturali oppure vengono fatte sgorgare artificialmente, praticando incisioni sul tronco. E' come se la pianta volesse tamponare le ferite che le vengono inferte. Una sorta di autodifesa. Quel che fanno appunto le acacie per otturare i fori di uscita dei coleotteri, le cui larve scavano gallerie nel tronco e nei rami. Il galagone raschia la gomma dalle acacie con uno speciale dente che si trova davanti alla mascella inferiore ed è formato dal prolungamento dei quattro incisivi e dei due canini. Un organo ad hoc, insomma, di vitale importanza per alcuni bambini dei boschi che, nel corso di una notte, sono capaci di visitare anche trecento alberi di acacia produttori di gomma, spostandosi per oltre un chilometro. Durante le loro passeggiate alimentari notturne, i galagoni fanno sentire continuamente le loro particolarissime vocalizzazioni. Bearder le ha registrate e poi accuratamente analizzate. Si è accorto così che alcuni richiami esprimono ansietà e paura. In presenza di un potenziale predatore, il galagone emette suoni simili a gemiti. Nel momento in cui il predatore si avvicina, il gemito si trasforma in grida rauche e fischi. L'acutezza delle grida e il numero dei richiami che si ripetono variano secondo la natura del pericolo. Indicano cioè chiaramente all'ascoltatore se si tratta di un leopardo, di un galagone estraneo o di un uomo e indicano anche quanto sia vicino il nemico. Quando poi l'attacco è in corso, l'assalito lancia un urlo agghiacciante che fa accorrere in suo aiuto i compagni. Complessivamente, Beard e la sua equipe hanno identificato nel linguaggio di una specie, il galagone a coda grossa, un complesso repertorio di diciotto richiami, ciascuno dei quali può trasmettere almeno cinque messaggi diversi. Le vocalizzazioni dei bambini dei boschi variano anche a seconda della situazione fisica dell'animale. Se vuole stabilire un contatto sociale con un compagno lontano, il galagone emette un suono basso. Ma se vuole comunicare con un compagno che si trova nelle vicinanze, lancia un grido acuto. Se invece è in una foresta fitta dove le foglie e i rami bloccano facilmente le note alte di breve lunghezza d'onda, allora ricorre ai toni bassi. Questo spiega la voce profonda del galagone di Allen che vive nel denso sottobosco delle foreste pluviali del Camerun. Ed è proprio studiando i sonogrammi delle voci dei galagoni, vere e proprie «impronte digitali» vocali, che Beard ha sospettato l'esistenza di parecchie specie nuove. Sospetto che è stato confermato dall'esame in laboratorio del Dna estratto dal sangue e dai tessuti dei galagoni. A questo si aggiunga il fatto che si riscontrano spesso differenze anatomiche nelle unghie dei piedi e delle mani, nelle orecchie, nei denti, nella forma della faccia nonché degli organi genitali. Si riteneva sinora che esistessero sei specie di bambini dei boschi. La ricerca di Beard ha accertato che le specie sono almeno sedici. E lo studioso ritiene che ne esistano in natura una quarantina. Il guaio è che ciascuna specie è rappresentata da un numero troppo esiguo di individui. E si sa che le specie di scarsa consistenza numerica sono quelle più vulnerabili, che corrono il maggior pericolo di estinzione a breve termine. Rischiano così di scomparire dalla scena del mondo queste graziosissime proscimmie che, come dimostrano i resti fossili, abitano la terra da almeno venti milioni di anni. Isabella Lattes Coifmann


TELETHON Un rubinetto per la ricerca Settanta miliardi in cinque anni
Autore: MARCHISIO PIER CARLO

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

SIAMO tutti coscienti della sostanziale latitanza del finanziamento pubblico della ricerca scientifica. Il Cnr, a differenza degli enti europei analoghi, soffre di elefantiasi strutturale e finanzia i ricercatori con somme che sono notoriamente inferiori alle necessità. La ricerca finanziata dall'Università praticamente non esiste. L'industria biotecnologica italiana è debole e soffre di problemi senza soluzione a breve termine. Non si può dire però che gli italiani siano insensibili ai problemi della ricerca medica: esistono alcuni esempi che provano come ci sia una generosità individuale che si realizza sotto forma di piccole donazioni fatte da tantissimi cittadini a fondazioni di ricerca private, gestite senza fine di lucro e certamente molto più efficienti del settore pubblico. Tra queste ci sono l'Airc, l'Associazione Italiana per la Ricerca sul cancro, e quel fenomeno straodinario che è Telethon. Telethon nasce nel 1966 per iniziativa dell'attore Jerry Lewis, mirata allo studio della distrofia muscolare. La raccolta dei fondi avviene con una maratona televisiva che, prima in Francia e da alcuni anni anche in Italia, associa uno spettacolo ai problemi serissimi della ricerca sulle malattie nervose e muscolari. Da qualche tempo Tele thon finanzia anche le malattie genetiche. A Torino, qualche settimana fa si sono radunati tutti i ricercatori finanziati da Tele thon per scambiarsi liberamente idee e opinioni e, ovviamente, capire in che direzione vada questo filone di ricerca. Dal 1991, anno d'inizio, Tele thon ha finanziato la ricerca italiana con quasi 70 miliardi distribuiti in numerose iniziative. Non è la cifra ad essere straordinaria ma il criterio di distribuzione finalmente basato solo sul merito scientifico. Come avviene in altri Paesi, i criteri di selezione sono valutati da un comitato e dal giudizio di altri ricercatori, anche stranieri, che, sotto il vincolo della segretezza, valutano le proposte dei lori pari. Il sistema non è ancora perfetto, data la dimensione relativamente modesta della comunità scientifica italiana, ma almeno è stato introdotto il criterio del merito. Ottimisticamente, sono convinto che l'esempio, già adottato da altre fonti private di finanziamento della ricerca, contagerà presto anche la distribuzione di denaro pubblico impedendo che si disperda in mille rivoli improduttivi. Telethon ha dato altri esempi di buona gestione dei fondi di ricerca. La creazione dell'istituto Telethon di Genetica e Medicina (Tigem) ha aggregato una quarantina di ricercatori, tutti dediti allo studio delle malattie genetiche. Questo gruppo, formato da ricercatori italiani ritornati dagli Stati Uniti, già costituisce, dopo un solo anno, un punto di riferimento per lo studio del genoma umano, avendo attivato strumentazioni sofisticate, servizi informatizzati e banche dati che piccoli gruppi non sarebbbero stati in grado di gestire. Presto partirà un'altra struttura analoga, finanziata da Telethon, dedicata alla terapia genica. In Italia non mancano le risorse intellettuali. Basta creare le giuste condizioni e anche noi riconquisteremo un ruolo serio nella comunità scientifica, ruolo che siamo in grado di ricoprire con onore. Pier Carlo Marchisio Dibit San Raffaele, Milano


BATTERI LATTICI Yogurt, e il corpo rafforza le difese
Autore: PELLATI RENZO

ARGOMENTI: ALIMENTAZIONE, MEDICINA E FISIOLOGIA
NOMI: METCHNIKOFF ELIA
LUOGHI: ITALIA

ALLA nascita il nostro apparato digerente è sterile. Dopo il primo vagito e la prima poppata, la situazione cambia. Lo stomaco (grazie alla presenza di acido cloridrico) presenta un contenuto microbico basso (inferiore a 100.000 batteri per grammo). Nell'intestino la carica microbica aumenta progressivamente fino ad arrivare, nel colon, a mille miliardi di batteri per grammo. Attualmente sono conosciute circa 400 specie batteriche, di cui trenta risultano dominanti. Alcune potenzialmente dannose (stafilococchi, clostridi, klebsielle), altre benefiche (lattobacilli, bifidobatteri, streptococchi), altre rientranti nell'una o nell'altra categoria a seconda delle circostanze. La composizione della flora batterica intestinale tende a mantenere un proprio equilibrio interno contro ogni possibile causa che tenda a modificarla: variazione della dieta, cibi alterati, uso di antibiotici, stress e così via. I batteri lattici sono definiti «probiotici» (favorevoli alla vita) perché influenzano positivamente l'equilibrio microbico intestinale. Si definiscono «lattici» non perché siano contenuti nel latte, ma perché la fermentazione da essi produce sempre acido lattico, seppure in diverse quantità (crauti, pane). Il premio Nobel Elia Metchnikoff (1908) attribuiva la longevità delle popolazioni balcaniche al consumo di latte fermentato con batteri lattici. Oggi si è visto che i comuni batteri lattici usati per produrre yogurt (Streptococcus thermophilus, Lactobacillus bulgaricus), una volta ingeriti, hanno scarsa capacità di sopravvivenza nell'intestino (circa un fermento su centomila arriva vivo nell'intestino tenue). Tuttavia permettono un migliore assorbimento del lattosio in quanto la loro distruzione libera la lattasi. Inoltre, pur non facendo parte della normale flora intestinale dell'uomo, costituiscono (grazie al latte) una buona fonte di principi alimentari nobili (proteine, sali di calcio, vitamine liposolubili) a elevato grado di digeribilità. La ricerca scientifica ha quindi cercato di caratterizzare i batteri lattici intestinali, isolandoli nel loro ambiente. Il Centro Ricerca Nestlè di Vers-chez-les Blanc (550 persone di 35 nazionalità diverse) ha selezionato il Lactobacillus acidophilus 1 (ceppo La 1) dotato di proprietà probiotiche interessanti. Il suddetto bacillo infatti resiste agli acidi gastrici e raggiunge l'intestino senza essere distrutto, rafforzando di conseguenza le difese dell'organismo. Il lactobacillo 1 - La 1 - aderisce alle pareti dell'intestino costruendo una vera e propria barriera che fisicamente impedisce l'adesione e l'insediamento di altri microorganismi potenzialmente patogeni. A livello generale inoltre, stimola l'attività fagocitaria dei macrofagi e aumenta la normale produzione di anticorpi da parte dell'organismo. Renzo Pellati


IL SISTEMA DI POSIZIONAMENTO GLOBALE Tutte le coordinate geografiche con uno scarto di pochi metri
ORGANIZZAZIONI: GPS SISTEMA DI POSIZIONAMENTO GLOBALE
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D.

REALIZZATO dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, il Sistema di Posizionamento Globale (Gps), in funzione già da qualche anno, consente di conoscere le proprie coordinate geografiche e l'altezza sul livello del mare in ogni istante e in qualsiasi luogo con l'approssimazione di pochi metri. L'apparecchio ricevente - portatile o installato su una barca o su un velivolo - riceve ed elabora i segnali trasmessi dai satelliti. Per determinare latitudine e longitudine deve captarne tre, mentre per ricavare anche l'altitudine deve riceverne un quarto. Misurando il tempo impiegato dai segnali radio per coprire il percorso e sapendo che le onde elettromagnetiche viaggiano alla velocità della luce (circa 300 mila chilometri al secondo), il ricevitore risale con un semplice calcolo alla distanza che lo separa dai satelliti. Conoscendo anche la loro posizione (informazione che ciascuno di essi trasmette di continuo), possiede tutti gli elementi per determinare le proprie coordinate. L'errore massimo del Gps è di 16 metri per il codice riservato ai militari, di 100 per gli apparati civili.


BIOETICA Gli animali in laboratorio
Autore: VALPREDA MARIO

ARGOMENTI: BIOETICA, RICERCA SCIENTIFICA, MALTRATTAMENTI, ANIMALI
NOMI: POLI GIORGIO, D'AGOSTINO FRANCESCO, BATTAGLIA LUISELLA
LUOGHI: ITALIA

CON lo sviluppo delle biotecnologie anche il ricorso ad animali per la sperimentazione scientifica, da sempre al centro di vivaci polemiche tra ricercatori e animalisti, assume nuove e più complesse implicazioni. Non si tratta soltanto della storica contrapposizione tra una concezione antropocentrica che giustifica il sacrificio dell'animale come strumento indispensabile per migliorare le condizioni di vita dell'uomo e la posizione di chi riconosce l'animale come autentico portatore di diritti. Oggi è in discussione, sia in riferimento all'interesse scientifico sia per più generali considerazioni etico-filosofiche, il modello basato sul primato del ricercatore, e quindi il suo libero arbitrio nel disporre dei soggetti per la sperimentazione. E' un problema che investe i contenuti concreti della ricerca, le sue finalità, la sua utilità e la sua opportunità. In altre parole, non tutto è lecito in nome della scienza, in taluni casi solo un paravento per coprire interessi particolari: ad esempio, carriera del ricercatore o profitti dell'industria. Ma avranno i processi etico- politici la forza di governare quelli scientifico-tecnologici o saranno questi ultimi a stabilire le regole cui sottoporsi? E' uno degli interrogativi emersi da un recente incontro-dibattito all'Università di Milano coordinato da Giorgio Poli, della Facoltà di Veterinaria. Francesco D'Agostino, presidente del Comitato nazionale di bioetica, ha sostenuto che è difficile liberarsi dall'antropocentrismo e che gli animali hanno i diritti che gli uomini hanno il dovere di conferire loro. Affermazioni che hanno fatto discutere anche perché la creazione degli animali transgenici pone con forza l'esigenza della loro «brevettabilità», che deve necessariamente includere il concetto del rispetto dovuto a tutti gli esseri viventi. Occorre quindi, come ha sottolineato Luisella Battaglia dell'Università di Genova, anche nel mondo della ricerca, una cultura del rispetto degli animali che è consapevolezza del legame tra potere e responsabilità, senza dimenticare che gli aspetti bioetici della scienza e della tecnologia riguardano non solo il benessere animale ma pure la tutela dell'ambiente. Sono indispensabili norme giuridiche nuove, perché quelle attualmente vigenti, sia in Europa sia negli Usa, sono da tutti ritenute insufficienti. Ma sarà un cammino faticoso, perché bisognerà mediare tra interessi (etici, scientifici e imprenditoriali) spesso molto diversi. Mario Valpreda


FRONTIERE Materiali intelligenti per fare nanomacchine
Autore: SCARUFFI PIERO

ARGOMENTI: ELETTRONICA, RICERCA SCIENTIFICA, OTTICA E FOTOGRAFIA
NOMI: DREXLER ERIC, MERKLE RALPH
ORGANIZZAZIONI: XEROX
LUOGHI: ITALIA

LE ricerche sulla vita artificiale stanno rendendo credibile (anche se non ancora fattibile) l'idea di un organismo vivente (cioè in grado di crescere e riprodursi) costruito in laboratorio dall'uomo. In gran parte queste ricerche usano il software come materia prima. La vita, se mai sboccerà, sarà un'impalpabile sequenza di zeri e di uno. Un altro filone di ricerca tenta invece di sintetizzare la vita a partire da atomi e molecole. Creare «legami» fra i costituenti elementari della materia è talmente difficile che nel futuro immediato non si intravedono applicazioni pratiche. Ma se mai Eric Drexler e i suoi seguaci di Palo Alto e dintorni riuscissero a realizzare i loro sogni, diventerebbe possibile assemblare organismi microscopici in grado di viaggiare dentro il sistema circolatorio per andare ad «aggiustare» gli organi del corpo che non funzionano più bene; oppure in grado di spargersi sulle pareti di una stanza fino a dipingerla del colore desiderato; oppure in grado di attaccare un deposito di spazzatura e trasformarla in materiale riciclabile. Drexler chiama la disciplina che ha contribuito a inventare nanotecnologia in quanto si tratta di incollare insieme molecole e talvolta atomi con il microscopio. Le sue nanomacchine sono modellate sul concetto della vita: crescere e riprodursi finché ha senso farlo. In pratica si tratterebbe di virus benigni, programmati per compiere un'attività utile. Questi virus si moltiplicherebbero rapidamente, unendo gli sforzi per completare l'attività al più presto. Ralph Merkle al Parc della Xerox sta costruendo una nanomacchina che si comporterà come un motore: il pistone è composto di un lattice di atomi di carbonio e il fluido idraulico sarà l'elio. A Santa Cruz il giovanissimo Michael Pitman sta costruendo una «biblioteca» di molecole «intelligenti», ciascuna specializzata di un certo processo. Una sequenza di molecole «intelligenti» tali che il prodotto dell'una sia elaborabile dalla molecola che la segue nella catena costituisce una nanomacchina. L'Ibm, al centro di ricerca di Almaden a San Josè, e il governo giapponese hanno deciso di investire in questa disciplina. Forse il computer del futuro avrà le dimensioni di un virus dell'influenza... Piero Scaruffi


STRIZZACERVELLO Tre amici al caffè
LUOGHI: ITALIA

Tre amici al caffè Tre amici vanno al bar a prendere l'aperitivo e pagano il conto di 30 mila lire: 10 mila lire ciascuno. La cameriera prende i soldi e li porta alla cassa dove il proprietario del bar decide di fare uno sconto di 5 mila lire ai suoi clienti affezionati. La cameriera si tiene 2 mila lire di mancia e restituisce 3 mila lire agli amici: mille lire ciascuno. Poiché ognuno aveva pagato 10 mila lire e riceve mille lire di resto, in pratica pagano 9 mila lire. In totale i tre amici spendono quindi 27 mila lire che aggiunte alle 2 mila della cameriera fanno 29 mila lire. Dove sono sparite le restanti mille lire? La risposta domani, nella pagina delle previsioni del tempo.


LA PAROLA AI LETTORI CHI SA RISPONDERE? Buco dell'ozono: perché proprio sull'Antartide
LUOGHI: ITALIA

Perché il buco dell'ozono è particolarmente accentuato sopra l'Antartide? Il buco nell'ozono, che ha un'origine naturale (e quindi i clorofluorocarburi contenuti negli spray amplificano il fenomeno ma non ne sono la causa) deve la sua particolare posizione sull'Antartide alle reazioni chimiche che solo in quel luogo e a quella determinata temperatura possono verificarsi. La reazione che provoca la scissione dell'ozono e la sua conseguente diminuzione nell'atmosfera va divisa in due periodi. Il primo è quello invernale, in cui la scomposizione dell'ozono in una molecola di ossigeno e un atomo dello stesso elemento porta all'unione di quest'ultimo con alcune sostanze presenti nell'atmosfera. Seguono altre reazioni incapaci di portare i nuovi composti a uno stato d'equilibrio. E i composti vanno a depositarsi nei ghiacci. Quando, nella seconda fase delle reazioni coinvolte nel fenomeno, il Sole estivo scioglie i ghiacci, queste sostanze vengono liberate nuovamente nell'atmosfera e hanno la possibilità di attaccare l'ozono per raggiungere la loro situazione d'equilibrio. Questo tipo di reazione, sommata alla naturale scomposizione dell'ozono, comporta un maggior consumo e una conseguente riduzione di questo componente gassoso nell'atmosfera antartica. Tommaso Cavallin, Treviso Perché il freddo fa screpolare le mani? Il freddo, raffreddando la pelle, interviene sui moti termoconvettivi corporei rallentando l'irrorazione dei tessuti epidermici superficiali. Questo impedisce che le sostanze nutritive vengano metabolizzate dalle cellule alla stessa velocità e allo stesso modo che in condizioni ideali (circa 20o). Questa situazione genera una precoce «morte» delle cellule epidermiche più superficiali. Inoltre la diminuzione della temperatura causa una maggiore solidificazione dello strato adiposo, che isola maggiormente la pelle dal resto del corpo. Daniele Cesano, Torino In alcune regioni corporee, quali ad esempio le mani, si possono verificare alterazioni locali provocate dal freddo troppo intenso (quello umido è più deleterio di quello secco). Le mani risentono particolarmente della sua azione nociva perché sono distretti organici periferici meno irrorati dal sangue. Guanti troppo stretti, anziché proteggere, favoriscono il raffreddamento in quanto compromettono la normale circolazione del sangue. Si verifica così un processo di congelamento, detto di primo grado, in cui la parte congelata si arrossa, si inturgidisce e crea leggere fenditure che danno origine a un dolore di tipo urente, simile a una bruciatura. Liliana Cimiero Savigliano (CN) E' vero che nel frigorifero si raffredda prima l'acqua calda di quella fredda? Non si può dare una sola risposta alla domanda così formulata. Se per «raffreddare» si intende «abbassare la temperatura, ad esempio da 90o a 80o o da 20o a 10o, la risposta è «sì» e il raffreddamento sarà tanto più rapido (quasi inversamente proporzionale) quanto maggiore è la differenza di temperatura fra l'acqua e l'aria del frigo. Se invece si intende «portare a una bassa temperatura», ad esempio da 90o a 10o, la risposta è «no», perché in questo caso la quantità di calore da sottrarre è di 80 calorie al litro, ben maggiore delle 10 calorie del caso precedente. Se poi la quantità d'acqua da raffreddare è grande (alcuni litri) rispetto alla potenza del frigorifero, il tempo di raffreddamento si allunga notevolmente. In ogni caso l'acqua si raffredda più rapidamente se il recipiente è senza coperchio, perché l'acqua è a contatto con l'aria fredda. Dato che il recipiente dell'acqua calda cede più facilmente (circa 10 volte) calore all'acqua che al l'aria, il raffreddamento del- l'acqua calda è molto più rapido (ed economico) se il recipiente viene prima immerso in acqua fredda, meglio se corrente, e poi introdotto nel frigo. In questo modo si riduce anche la quantità di vapore acqueo introdotto e quindi la formazione di brina nel frigo. M. M., Torino


CHI SA RISPONDERE?
LUOGHI: ITALIA

Q - Come si calcolano le calorie per ogni alimento? Q - Perché un'emozione violenta può fare rizzare i capelli o addirittura incanutirli? Q - Si dice che il vino «respira» attraverso il tappo di sughero. Se nebulizzo un insetticida in una cantina chiusa, corro il rischio di contaminare il vino attraverso il tappo? _______ Risposte a «La Stampa-Tuttoscienze», via Marenco 32, 10126 Torino. Oppure al fax numero 011-65.68.688


IN BREVE Il satellite Iso pronto al lavoro
ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
LUOGHI: ITALIA

E' stato lanciato con successo venerdì scorso, il satellite Iso per lo studio nelle radiazioni infrarosse delle stelle in formazione, delle polveri interstellari, delle nane brune e di eventuali sistemi di pianeti intorno ad altre stelle. Progettate dall'Esa (Agenzia spaziale europea) è andato in orbita con un «Ariane 44P» partito dalla base di Kourou. Le osservazioni inizieranno nel febbraio '96 e dureranno 20 mesi.


SCIENZA & ARCHITETTURA Paestum, il colore dei secoli Registrate per i posteri le sfumature dei templi
Autore: PIERANTONI RUGGERO, BRICARELLO GERMANA

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, OTTICA E FOTOGRAFIA, ARCHITETTURA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Il triangolo dei colori (Cie), regione cromatica del Tempio di Poseidone, regione cromatica della «Basilica»

NEL 1778 Giovanni Battista Piranesi pubblica, con il figlio Francesco, le ultime sue meravigliose incisioni dedicate ai tre templi di Paestum. E muore. Quasi tutto il possibile è stato scritto e detto su questa serie di immagini: la visionarietà, l'acribia dei dettagli, l'elastica deformazione rappresentativa che scompagina le strutture lasciandole però, al tempo stesso, monumentali pesanti solide. A noi resta l'emozione di certi minuscoli particolari conservatisi praticamente identici attraverso tutti questi 200 anni. Bene: la stessa pietra è esattamente là dove Piranesi l'aveva veduta, ma il suo colore è mutato? In breve, quale è l'evoluzione cromatica delle strutture architettoniche sui tempi lunghi e lunghissimi della storia? Se la precisione documentaria delle incisioni (forse aiutate dall'uso astuto di una camera oscura) ci permette di confrontare e fisicamente sovrapporre (forse aiutati dall'uso astuto di un computer) la pietra di allora e quella di adesso lo stesso non può essere fatto per il colore. Osservare attentamente le pitture di allora? Da esse potremmo trarre una infinità di informazioni sulle tecniche pittoriche, sui pigmenti, sulla reazione della carta o della tela, sulle convenzioni rappresentative, i tic professionali e gli ammiccamenti al futuro cliente ma certo non troppe informazioni «obiettive» sul colore di allora. Basti pensare a quello che James Thomas Flexner scriveva sul colore di questo periodo: «Il Neoclassicismo non credeva nel colore in quanto non riconducibile alla ragione». Esiste però, adesso, la possibilità di misurare il colore o la tinta di una superficie secondo una metodica condivisa da tutti ed esprimibile per via quantitativa. Purtroppo la tinta di certe superfici architettoniche del passato è affidata, nei casi migliori, alle descrizioni letterarie e alle riproduzioni pittoriche (molto spesso l'acquarello, che è fedele più di quanto si possa credere). Nel caso specifico di Paestum abbiamo un certo numero di dipinti anche piuttosto complessi ma essi non possono certo fornirci dati che si possano, neanche lontanamente, esprimere in modo numerico. Qualcosa, però, adesso si può fare. E' ben noto che il valore cromatico di una superficie colorata illuminata si può esprimere con una coppia di valori numerici, o coordinate dello spazio dei colori. Nel 1931 la Commission Internationale de l'Eclairage (Commissione Internazionale per l'Illuminazione) ha stabilito una sua rappresentazione bidimensionale dello spazio cromatico in cui ad ogni tinta corrisponde un punto geometrico e, quindi, una coppia di coordinate X ed Y. Tutti questi punti sono contenuti entro una superficie che ricorda un triangolo un po' afflosciato e che, per una immediata lettura, viene suddiviso secondo regioni cromatiche come verde, giallo-verde, verde- giallognolo, arancio, giallo- arancio, arancio-giallo e così via. La regione centrale del triangolo corrisponde al «colore» bianco, mentre lungo i bordi del triangolo stanno disseminate le tinte al loro massimo di purezza, cioè i colori che non presentino nessuna percentuale di bianco nella loro risposta alla luce. Come si fa a passare dalla superficie di un muro, per esempio, colorata diciamo in arancione, a una posizione nel triangolo? E' necessaria una misura, ossia uno strumento che trasformi il fascio di luce (colorata) che ritorna dalla superficie arancione in numeri secondo una relazione precisa tra lunghezza d'onda dominante del fascio e valori X e Y dello spazio cromatico. Uno di questi strumenti in versione moderna, leggera, digitale e interfacciabile con un portatile è il fotometro J17 della Tektronix. Se usato con una sonda calibrata per i valori di tinta (diciamo per la lettura della crominanza) allora basta puntarlo verso la superficie in questione e leggere, magari sullo schermo del computer, i valori della X e della Y. Se si trattasse di un bell'arancione profondo leggeremmo, per esempio X = 600, Y = 400. Se la superficie, invece era di un bel verde brillante avremmo letto, X = 100, Y = 800, eccetera. Abbiamo quindi, in una bella mattina d'inverno senza nubi, puntato il nostro fotometro contro le colonne del tempio di Poseidone e quelle della cosiddetta «Basilica» a Paestum (era, per la cronaca, il 31 gennaio '95, ore 11 della mattina, fotometro orizzontale, misura a un metro da terra, orientazione ortogonale al lato del tempio cui la colonna apparteneva). Quindi alcune colonne erano direttamente illuminate dalla luce solare, altre erano in ombra altre in penombra. Questo non interferisce significativamente sul valore della crominanza che, entro certi limiti, è del tutto indipendente dalla intensità della luce che colpisce la superficie. E noi stavamo abbondantemente entro i limiti di indipendenza. I dati, graficati, sono stati riportati sul triangolo dei colori della Cie e hanno individuato per la «Basilica» e per il Tempio due zone ben separabili. Mentre la «Basilica» occupa trasversalmente la regione del «bianco» appena sfiorando la regione del rosa pallido, il Tempio invade perentoriamente la fascia dell'arancio, arancio-giallo, rosso-arancio e, più debolmente, il confine tra il bianco e il giallo-verde. Tutti hanno da sempre sentito la «Basilica» come più lunare, pallida, bianco-cenerina e il Tempio come fulvo, dorato e quasi di color miele. Il banale dato misurativo, che conferma le impressioni percettive, vuole solo indicare che, molto spesso, nel complesso problema del restauro architettonico si è data enorme importanza alle componenti geometriche della costruzione e il dato cromatico non è stato sufficientemente registrato. L'attuale colore delle due strutture dipende da una costellazione di circostanze enormemente complessa. Esistono ancora residui degli stucchi originali, la pietra messa a nudo è divenuta sede di processi di ossidazione erosione e insediamento di licheni e alghe a volte molto colorati, le cavità dovute alle erosioni hanno assunto colori differenti a causa dei diversi microclimi che si sono creati, eccetera. Tutto questo converge, in modo integrale e massiccio, in un semplice, rozzo e banale punto geometrico. Ma la cui posizione sul piano dei colori della Cei sarebbe opportuno rimanesse identica anche dopo interventi di restauro. Nei programmi di restauro del nostro patrimonio architettonico è prevista, o è già in funzione, una banca dati sulla crominanza delle superfici a vista? O no? Dedicato a un gruppo di uomini e donne intelligenti, divertenti e molto gentili: il personale a guardia del campo archeologico e del Museo di Paestum. Ruggero Pierantoni Cnr Genova Germana Bricarello Politecnico di Torino




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