TUTTOSCIENZE 27 settembre 95


ESPRESSIONI FACCIALI Sorriso, messaggio ambiguo Spontaneo o meccanico? Leggilo nei muscoli
Autore: MAFFEI LAMBERTO

ARGOMENTI: BIOLOGIA
NOMI: DAMISIO ANTONIO (DAMASIO ANTONIO)
LUOGHI: ITALIA

LA lettura di un interessante e recente libro del neurologo americano Antonio Damisio dal titolo «Descartes' Error. Emotion, reason and the human brain» mi ha dato l'occasione di riguardare con attenzione i diversi meccanismi cerebrali e muscolari che guidano il sorriso. La loro conoscenza, oltre che utile di per sè, può fornire anche interessanti indicazioni sul ruolo del sorriso, questa espressione tipicamente umana, nelle interazioni sociali; e può dare un contributo a una migliore comprensione del proprio interlocutore nei rapporti diretti o dei personaggi che ci appaiono attraverso immagini come quelle della stampa o della televisione. Il sorriso è messaggio di simpatia, partecipazione, buon umore e induce indubbiamente un'atmosfera accattivante e seducente in quelle persone alle quali, tramite la parola, stiamo trasmettendo messaggi più pragmatici. Già il neurologo francese Duchenne de Boulogne nel 1862 aveva chiaramente distinto un sorriso naturale che nasce da un'emozione gioiosa, da un sorriso prodotto artificialmente. Egli aveva notato che questi due tipi di sorriso coinvolgono muscoli mimici della faccia in parte diversi. I muscoli facciali in questione sono il muscolo zigomatico o grande zigomatico e il muscolo orbicolare dell'occhio. Il primo muscolo, quando si contrae, sposta l'angolo della bocca in alto e in fuori nella classica espressione del sorriso e increspa le guance, mentre il secondo, che circonda le palpebre a guisa di anello, regola la rima palpebrale. La rima palpebrale si apre in maniera caratteristica durante il riso e il sorriso per rialzamento della palpebra inferiore. Duchenne scriveva che, mentre lo zigomatico obbedisce alla volontà, il secondo muscolo «obbedisce solo alle dolci emozioni dell'anima». «La falsa gioia, la risata menzognera, non può provocare la contrazione di questo muscolo...». «L'orbicularis oculi non obbedisce alla volontà, ma è messo in gioco solo dal vero sentimento». «La mancanza di risposta di questo muscolo nel sorriso smaschera un falso amico». Darwin, nel suo libro su «L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali» (1872), riprese questi studi di Duchenne e li riportò ampiamente, documentandoli anche con fotografie che lo stesso Duchenne gli aveva fornito. Le ricerche successive hanno confermato le osservazioni del neurologo francese. Quelle più recenti, basate sullo studio dell'attività elettrica del cervello e su osservazioni di neuropatologia, hanno portato a concludere che i due tipi di sorriso sono guidati da parti diverse del cervello. Lesioni di queste diverse zone cerebrali danno origine a paralisi sintomatologicamente diverse dei muscoli della faccia. Il sorriso spontaneo, genuino, è controllato da quella parte del cervello, detto paleocervello, che regola le emozioni, in particolare dalla regione anteriore del giro cingolato, dalla corteccia limbica e dai gangli della base, mentre il secondo tipo di sorriso, quello generato con un atto volontario, è sotto l'influenza della neocorteccia, più precisamente della corteccia motoria, ed è il cosiddetto sorriso educato o falso. Questa è la ragione per cui il sorriso davanti alla macchina fotografica (il cosiddetto sorriso «say cheese», come dicono i fotografi anglosassoni) risulta spesso molto innaturale. Poiché le fibre nervose dei neuroni corticali che guidano questo «sorriso falso» passano attraverso un grosso fascio di fibre, il fascio piramidale, che guida attraverso i nervi periferici i movimenti volontari, questo sorriso fu chiamato dal neurologo Geschwind, dell'università di Harvard, sorriso piramidale, per sottolinearne l'origine corticale e volontaria. I due sorrisi sono percettivamente diversi. Se uno vuole sorridere con naturalezza, la miglior maniera è avere un comico a disposizione che gli racconti barzellette. In mancanza di tale aiuto, o deve imparare in qualche modo a controllare la sua mimica o deve fingere il sentimento che porta a quella mimica. Il problema per gli attori è più rilevante di quello che si possa a prima vista pensare. Esistono di fatto due scuole. La prima, che fu capeggiata da Laurence Olivier, mira a insegnare il controllo tecnico dei muscoli della mimica che porta poi a far apparire l'emozione credibile, mentre la seconda mira a insegnare a generare l'emozione e quindi la sua mimica. Un problema del tutto simile a quello degli attori hanno naturalmente i personaggi politici, che sorridono sempre per guadagnare la nostra approvazione ed eventualmente il nostro voto. Alcuni sono più abili, altri meno, ma tutti tecnicamente impegnati a dirci «cheese» mentre ci imboniscono con possibili soluzioni per i nostri problemi. Tra gli attori politici, sia di destra, sia di sinistra, alcuni hanno performances veramente modeste, altri si difendono con onore. Lo spargitore di sorrisi più noto e di successo è forse il nostro politico a cavallo. La sua guida corticale del muscolo zigomatico è frequente e sapiente. I suoi sorrisi da un punto di vista neurologico appaiono chiaramente piramidali. Forse è meglio sorridere falsamente che non sorridere. Il dovere dello studioso è semplicemente quello di aiutare nella decifrazione dei contenuti dei messaggi. Lamberto Maffei Scuola Normale Superiore, Pisa


BIOLOGIA DEL COMPORTAMENTO E nel cervello c'è anche il punto-bontà Una rilettura moderna del famoso caso clinico di Phineas Gage
Autore: QUATTRONE ALESSANDRO

ARGOMENTI: BIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: GAGE PHINEAS, HARLOW JOHN, DAMASIO ANTONIO (DAMISIO ANTONIO), DAMASIO HANNA (DAMISIO HANNA)
LUOGHI: ITALIA

UN fantasma si aggira per gli istituti di neurologia, i laboratori di scienze cognitive, i luoghi dove ci si interroga sulle basi biologiche del comportamento umano. E' il fantasma di Phineas Gage, morto a San Francisco più di 130 anni fa, da allora più volte evocato, e turbato oggi nel suo sonno eterno da una coppia di ipertecnologici ghostbusters, due neuropsicologi dell'Università dello Iowa. Il fantasma di Phineas Gage è in realtà meno incorporeo dei suoi colleghi castellani: consiste infatti in un cranio conservato in un museo alla Harvard University, che fantasma divenne ben prima della morte del suo possessore: per la precisione, il 13 settembre 1848, giorno in cui quest'ultimo subì il bizzarro incidente che l'avrebbe reso celebre. Il venticinquenne Phineas Gage era allora un caposquadra addetto alla posa di binari per la Rutland and Burlington Rail road. Preparava le mine usate per il livellamento del terreno praticando dei fori nella roccia, riempiendoli parzialmente di polvere da sparo, sistemando la miccia e finendo di colmare il buco con della sabbia; questa veniva pressata con un calcatoio, un cilindro di ferro lungo più di un metro e del diametro di 3 centimetri. Quel giorno, il 13 settembre, Phineas Gage si distrasse e commise l'errore di spingere il calcatoio nel foro prima di averlo riempito di sabbia: la polvere da sparo esplose trasformando il cilindro di ferro in un razzo che si ficcò nel suo viso trapassando il cranio e il cervello, per andare a cadere a parecchi metri di distanza. Gage non morì: ebbe solo un leggero stordimento, ma subito si riprese, chiese aiuto e camminò da solo. Lo stupore dei medici fu ancora maggiore quando si resero conto di quali fossero stati gli effetti di una lesione così grave. Nessuna compromissione del movimento o della parola, nessun danno apparente all'intelligenza, alla capacità di apprendimento, alla memoria. Il buco nel cervello aveva cambiato solo una cosa in Phineas Gage: la personalità. Quanto egli prima era stato affidabile, rispettoso, ben integrato nella società, positivo e diligente, così adesso era diventato irriverente e capriccioso, privo di ogni senso di responsabilità, senza più alcun riguardo per le convenzioni sociali. Il medico di famiglia parlò di una distruzione «dell'equilibrio, per così dire, fra le sue facoltà intellettuali e le sue propensioni animalesche»; i suoi datori di lavoro, che lo avevano indicato come il più capace ed efficiente dei loro tecnici, dovettero licenziarlo. Phineas Gage, già fantasma in terra, morì dopo dodici anni di una nuova, disordinata vita. Fu John Harlow a evocarlo per la prima volta, sulla base dell'ipotesi che i mutamenti comportamentali di Gage fossero correlati a un'area precisa di danno nella regione frontale dell'encefalo, al pari delle aree che Broca e Wernicke stavano allora iniziando a definire, grazie alle autopsie di altri pazienti, per funzioni come il moto, le percezioni sensorie, il linguaggio scritto e parlato. Ma la «funzione» di Gage era un'altra cosa, più complessa e difficile a definirsi del saper muoversi o parlare: era l'assennatezza, l'attitudine alla convivenza sociale; era qualcosa di contiguo al dominio dell'etica, della religione. Nessuno poi aveva praticato l'autopsia, e sebbene Harlow fosse riuscito a ottenere l'esumazione della salma per studiare il cranio, gli strumenti dell'epoca non consentirono di localizzare precisamente la lesione; la sua ipotesi rimase quindi tale, e venne presto dimenticata. E' stato il ricorso a sofisticate tecnologie di processamento dell'immagine che ha consentito oggi ad Hanna e Antonio Damasio di terminare il lavoro che Harlow dovette lasciare incompiuto, e di confermare i presupposti. Basandosi sui resoconti scritti dell'incidente e sui fori di entrata e di uscita del cilindro di ferro nel cranio, i due scienziati hanno individuato sette traiettorie possibili, ridotte poi a cinque sulla base del fatto che Gage sopravvisse. Ciò ha definito una regione circoscritta nel cervello, la cui struttura è stata ricostruita al computer secondo la tecnica del cosiddetto spazio di Tailarach. Ne è emerso che la regione non coinvolge le aree motrici e del linguaggio, ma è la stessa interessata in casi più recenti di danno ai lobi frontali, casi nei quali si hanno sempre turbe emotive e difficoltà nella socializzazione, mentre rimangono inalterate le facoltà logiche e cognitive in senso stretto. Il fantasma di Phineas Gage, con la storia che ci racconta, è di per sè affascinante. Ma lo è ancora di più se si pensa come si stia iniziando a localizzare e far precipitare in un preciso conglobamento di neuroni, un aspetto tanto complesso e sfumato del comportamento umano che il linguaggio ha difficoltà a definirlo. E' un po' anche il fascino del pericolo: il pericolo di evocarne altri, di fantasmi, e ben più pericolosi, quelli che aleggiarono sull'antropologia di fine 800 producendo gli incubi scientifici della scienza criminologica di Lombroso e della frenologia di Gall: ricondurre non già il comportamento a zone del cervello, ma pretendere di classificarne le devianze sulla base della grossolana anatomia di queste zone. Oggi, grazie alla sventura di Gage, sappiamo solo che c'è un posto nella nostra testa anche per l'essere un bravo ragazzo, per l'avere un animo buono; e che questo posto, in fondo, è appena un po' più avanti e un po' più in alto della ghiandola pineale, dove l'immaginazione filosofica di Cartesio aveva collocato l'anima. Alessandro Quattrone


PROTOTIPO IN PVC Autobotte galleggiante Acqua dei fiordi per i Paesi assetati
Autore: MASCI RAFFAELLO

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, TRASPORTI, ACQUA, AMBIENTE
ORGANIZZAZIONI: NORSK HYDRO
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Le quattro fasi dell'operazione

SUL fiordo a Sud di Oslo galleggia una grande sacca di plastica - prototipo di un modello rivoluzionario di contenitore per il trasporto via mare dell'acqua potabile - che vuole rispondere a una duplice esigenza: l'approvvigionamento idrico delle aree siccitose del mondo e l'utilizzo intelligente ed ecocompatibile del pvc, il polivinil clorulo, una delle plastiche più diffuse in commercio. L'iniziativa è di una delle aziende del gruppo Norsk Hydro, colosso mondiale della plastica già da tempo leader nell'utilizzo dei propri prodotti in chiave ambientalista, tanto da aver stabilito un rapporto di collaborazione assiduo con l'organizzazione ecologista internazionale «Bellona» (con la quale in precedenza aveva invece avuto aspri scontri, anche fisici). I fatti dicono che il pvc - rispetto, per esempio, al vetro - è già di per sè assai conveniente per il trasporto di acqua o bevande in genere. Infatti - dice un calcolo di parte ma assai attendibile, realizzato dalla Evc, l'associazione europea dei produttori di pvc - se prendiamo un camion e lo carichiamo di bottiglie di acqua minerale, nel caso si tratti di vuoti in vetro l'acqua trasportata sarà il 63 per cento del volume totale e il vetro il restante 37; nel caso del pvc, avremo per contro il 96 per cento di acqua e il 4 di vuoto. A parità di peso di acqua, con il pvc si risparmia per il trasporto il 40 per cento del carburante. Si potrà sempre dire però che il vetro è riciclabile e la plastica molto meno, ma anche in questo caso l'Evc ha una risposta: il pvc è totalmente riciclabile e viene di fatto riciclato. Leader in questo processo è sempre la Norsk Hydro che, negli impianti della Retroplast, trae dal riciclaggio una quantità di prodotti: dai materiali isolanti fino alle fibre tessili per confezionare maglioni. In questo progetto di recupero della plastica entra anche la «water bag», la sacca per acqua. E' noto che molti Paesi del mondo hanno una forte carenza di acqua potabile, e non si tratta solo di aree in via di sviluppo. Anche l'Occidente è coinvolto nel problema: ad esempio, piccoli Stati come il Belgio e l'Olanda o grandi città a clima continentale come Madrid. Per contro la Norvegia (ma la questione può interessare anche altri Paesi) abbondanda di acqua di grande qualità, che scende dalle pendici dai numerosi fiordi. La «water bag» consente di trasportare via mare quest'acqua fino alla destinazione finale, dove potrà essere immessa negli acquedotti oppure distribuita attraverso contenitori riutilizzabili. Il prototipo costruito a Oslo si presenta come una grande bolla affusolata (i cattivi l'hanno subito ribattezzata «big condom») lunga 107 metri, larga 24 e alta 6, realizzata in pvc grigio chiaro assai resistente e ignifugo. La sacca può contenere fino a 10 mila tonnellate di acqua, ma per l'anno prossimo sarà pronto il formato da 30 mila tonnellate e per il '98 il modello maxi da 90 mila, praticamente un piccolo lago viaggiante. In corrispondenza della valvola di chiusura, la «water bag» viene dotata di un catamarano con sistema di aggancio che consente l'attacco a un piccolo battello di traino. Si realizza così una sorta di autobotte viaggiante, assai economica e manovrabile. Una volta condotta l'acqua a destinazione, la sacca può essere raccolta e issata sul battello, oppure trascinata vuota. La fabbrica costruttrice fornisce anche un impianto per la pulizia interna della sacca e la sua eventuale disinfezione. Il vantaggio ecologico della sacca sta nel fatto che si tratta di un recipiente riutilizzabile (a differenza delle bottiglie «vuoto a perdere» o al massimo «a riciclare») e che può essere realizzato in plastica riciclata. Il vantaggio civile, invece, nel fatto che consente - evangelicamente - di «dar da bere agli assetati», a basso costo e ovunque. Raffaello Masci


INTERNET Pagine WWW consigli per Windows 95
AUTORE: MERCIAI SILVIO
ARGOMENTI: ELETTRONICA, COMUNICAZIONI, INFORMATICA
LUOGHI: ITALIA

ABBIAMO avuto qualche problema tecnico (ultimo in ordine di tempo: il mio computer in crash per un guasto hardware!!!) e questo ha sconvolto, negli ultimi mesi, la periodicità tri-settimanale della colonna: me ne scuso con i lettori... Sto pensando a nuovi progetti per questa colonna. Datemi una mano... se avete delle idee o delle proposte, fatemele conoscere e la prossima volta ne darò conto in questa sede. A me piacerebbe rendere più interattivo il dialogo con voi, per esempio con una mailing list e/o una home page dedicata all'uso di Internet in Italia (del resto gli analisti della rete danno conto di una tendenza alla nazionaliz zazione di vari settori di Internet: per esempio, sono comparse ampie aree in giapponese ed in cinese; l'americano non è più la sola lingua). Colgo in questo senso anche sollecitazioni e critiche (queste ultime mi sembrano francamente un po' ingiuste!) che mi sono pervenute: un lettore, per esempio, mi ha scritto: «Ho riscontrato leggendo i suoi articoli su TuttoScienze e in particolare sull'ultimo un disinteresse alle cose italiane, credo che il pubblico possa essere più interessato a ciò che succede in Italia e perché no a Torino, dove Internet aspetta quella diffusione ed informazione che meriterebbe..., o forse il " vecchio" giornalista (sic!) ha paura di affrontare questa nuova realtà». Mah! Il mio chiodo fisso resta la questione dell'uso e del significato delle nostre presenze sulla rete: non credo affatto che i giochi siano un buon impiego delle risorse di Internet. Francamente, penso che siano un problema - concreto e concettuale - ben più grave che il tanto discusso tema della pornografia in rete. E ora, le novità. C'è una mailing list che mi sembra molto interessante e si chiama New-list: ci si iscrive con una Subscribe new- list indirizzato a Listservir learn.ucd.ie e si riceve in cambio un aggiornamento in tempo reale sulle nuove mailing lists che vengono registrate sulla rete o sulle variazioni di indirizzo cui alcune possono andare incontro. Ed ora vediamo qualche indirizzo. - Windows 95 è indubbiamente l'argomento di maggior discussione in questo momento sulla Rete e nel mondo dell'informatica. I fans del Macintosh l'hanno ribattezzata Macintosh84, per ricordare che molte delle sue «meraviglie» sono da più di un decennio disponibili nel mondo Mac, e certo non hanno torto. Comunque il problema adesso, per noi del mondo PC, è di farla funzionare, e allora, come al solito, Internet è una miniera di informazioni utili, di software, di suggerimenti, etc. Vi ho già segnalato in una precedente colonna una mailing list: oggi mi occupo delle pagine WWW, che sono moltissime e in continua espansione. Per fortuna sono in genere collegate l'una all'altra, per cui si tratta di sceglierne una di partenza e poi, da lì, di esplorare le altre. La mia preferita è la home page di http://www.i scs.nus.sg/~tantatea che, tra l'altro, ha anche altri interessanti links, come quello ai sites delle varie ditte che si occupano di software ed hardware. Date un'occhiata anche (e non solo per Windows 95) alla pagina software di Forrest Stroud, che ha ora anche un mirror in Italia, facilmente raggiungibile, a http://www.tizeta.it/cwsa /cwsa.html. Ci sono poi due belle pagine dedicate al problema del nucleare: http://neutrino. nuc.berkele y.edu:80/neutronics/todd.html http://web.mit. edu/afs/athe na/org/t/techreview/www /articles/aug95/linksat.omic. html. E, infine, molto bella la pagina su Bravo e Brava a http://www. its.it/Fiat-Bravo- Brava/ e chi mi sta già accusando di piaggeria faccia il confronto, per esempio, con la pur bella pagina della Chrysler a http://www.chryslercor p.com/. Silvio A. Merciai


BIOTECNOLOGIE Batteri-spazzini: e se «impazziscono»? Le nuove prospettive per l'eliminazione di sostanze inquinanti
Autore: VALPREDA MARIO

ARGOMENTI: BIOLOGIA, ECOLOGIA, TECNOLOGIA, GENETICA, INQUINAMENTO, AMBIENTE
NOMI: RIFKIN JEREMY
LUOGHI: ITALIA

SARA' l'ingegneria genetica a pagare il salatissimo conto dell'inquinamento prodotto dall'era industriale, a colmare il sempre più abissale solco che separa l'accumulo di scorie dalla possibilità del loro riciclaggio? Le prospettive sembrano allettanti. Con le biotecnologie sono infatti oggi disponibili ceppi di microrganismi specializzati nella demolizione di molti contaminanti: grassi, idrocarburi alogenati e naftalenici, bifenile clorofenolo, cresolo, solfuri, nitrati, ammoniaca, oli industriali, erbicidi, pesticidi ed altre sostanze ancora. Grazie all'attività enzimatica, questi batteri, specifici per ciascun substrato, neutralizzano i contaminanti con un processo che si sviluppa attraverso fasi di assorbimento, scambio ionico, coagulazione e flocculazione. I microrganismi depuranti sono fissati in grandi quantità su di un supporto minerale (carbonato di calcio, silico-alluminati) che, oltre a favorire il loro lavoro di degrado, li protegge sia da batteri e protozoi interferenti o competitivi sia dall'azione distruttiva dei raggi ultravioletti e dei disinfettanti eventualmente presenti nell'ambiente. Le possibilità applicative riguardano una vasta gamma di interventi: trattamento dei rifiuti solidi urbani ed industriali, bonifica dei terreni, lotta contro l'eutrofizzazione delle acque. Particolarmente interessanti le prospettive di trattamento dei liquami zootecnici, uno dei maggiori problemi degli allevamenti intensivi. Con prodotti biofissati, appositamente studiati per il degrado della cellulosa e la trasformazione dell'azoto ammoniacale in azoto assimilabile, si accelera il processo di decomposizione biologica, si riducono gli odori sgradevoli delle porcilaie ed aumenta il valore fertilizzante del liquame. Queste possibilità, ormai più reali che potenziali, di combattere l'inquinamento con le biotecnologie stanno aprendo le porte ad un business gigantesco, valutabile a colpi di centinaia di miliardi anche nel nostro Paese. Ma attenzione, ammoniscono gli scienziati più consapevoli, il viaggio nel futuro biotecnologico è un cammino irto di rischi e pericoli. Introducendo organismi geneticamente manipolati nell'ambiente, c'è sempre una piccola probabilità che possano «impazzire» e sfuggano al controllo. Anni fa una nota società americana sviluppo' e brevettò un microrganismo in grado di divorare le chiazze di petrolio. Tuttavia quel prototipo non uscì mai dai laboratori perché mancava la sicurezza che non si riproducesse a dismisura intaccando tutte le riserve petrolifere del pianeta. Allo stesso modo microrganismi manipolati per consumare materiali tossici potrebbero improvvisamente scoprirsi affamati di risorse più preziose. Analoghi timori e inquietudini sorgono anche per le biotecnologie applicate all'allevamento. Con la tecnica della clonazione già oggi appare teoricamente possibile la creazione di milioni di animali dalle caratteristiche produttive superiori, immettendo nel loro codice ereditario i geni desiderabili e cancellando quelli che incidono negativamente sulle rese zootecniche. Si tratta però di un'operazione che comporta rischi notevolissimi, legati alla perdita della variabilità genetica. Ad esempio, la diffusione di una malattia verso la quale quel determinato genotipo, selezionato per esaltare la produttività, non fosse immune, potrebbe provocare stragi di dimensioni bibliche. In altre parole, i prodotti geneticamente manipolati si muovono, crescono, si riproducono: una volta liberati nell'ambiente è quasi impossibile richiamarli in laboratorio, specie se sono di natura microscopica. Introdurre organismi nuovi in un sistema come il nostro, caratterizzato da equilibri complessi e interdipendenti, consolidatisi nel corso di milioni di anni con processi lentissimi e influenzati da fattori non del tutto noti, è un azzardo che deve far attentamente riflettere. Una variabile impazzita potrebbe tradursi in un disastro ecologico. E' una questione aperta, che chiama in causa la concezione stessa di progresso scientifico e pone una serie di interrogativi che richiedono dibattiti approfonditi e responsabili. L'utile economico ha una forza propulsiva irresistibile ma la comunità scientifica ha il dovere morale, per ogni innovazione tecnologica, di trovare forme e metodi per verificare serietà di intenti, rigore sperimentale e scenari ipotizzabili dopo l'impiego su larga scala. Possibilmente prima che si sia imboccata qualche strada senza ritorno. Perché, come ha scritto Jeremy Rifkin, la «coscienza sociale» dell'America sui temi dell'ingegneria genetica: «Il fatto che una cosa si possa fare non basta a sostenere che essa vada fatta in qualsiasi caso». Mario Valpreda


OLII VEGETALI Semi di girasole, energia perfetta Sono un'ottima materia prima per usi industriali, oltre che alimentari
Autore: VAGLIO GIAN ANGELO

ARGOMENTI: CHIMICA, BOTANICA
LUOGHI: ITALIA

SEMPRE più spesso si incontrano appezzamenti di terreno che assumono, nei mesi estivi, una tipica colorazione gialla: si tratta di campi di girasole coltivati per la raccolta di semi e la produzione di olio. L'utilizzazione di olii vegetali come materia prima per alcuni settori industriali è attuata per ridurre la dipendenza delle economie occidentali dal petrolio, che ha provocato le difficoltà economiche successive alla crisi del 1973-74. Gli olii vegetali offrono anche altri vantaggi: sono una fonte rinnovabile, sono biodegradabili e danno prodotti finiti con processi di solito più semplici e sicuri dal punto di vista ambientale. In realtà gli olii e i grassi naturali sono stati utilizzati fin dai tempi più antichi per ottenere prodotti utili per la vita di ogni giorno. Furono soppiantati solo verso la fine del XIX secolo, con la scoperta di vasti giacimenti di petrolio in Medio Oriente e in Usa. Da allora l'oleochimica ha perso importanza economica rispetto alla petrolchimica, continuando comunque a fornire materie prime per cosmetici e vernici. In questi ultimi anni l'oleochimica sta riacquistando importanza non solo per attenuare il monopolio del petrolio, ma anche per la concomitanza di alcune circostanze favorevoli. Le migliori tecniche di coltivazione e l'uso razionale di fertilizzanti e biocidi hanno aumentato le rese nella produzione alimentare e, di conseguenza, determinato una riduzione dei terreni utilizzati in questo settore. Vaste superfici diventano così disponibili per usi alternativi, tra cui la coltivazione di soia, girasole, colza e palma, i vegetali che forniscono attualmente il 73% di olii per usi industriali. Si estraggono soprattutto triacilgliceroli, esteri del glicerolo con acidi grassi saturi e insaturi, particolarmente adatti all'uso alimentare e non sempre utili per l'industria. Ciò spiega perché solo il 12% degli olii vegetali prodotti nel 1992 sia stato usato come materia prima industriale. Negli ultimi anni però questa percentuale è stata in costante aumento, in parte per la recente individuazione di numerose altre piante, non importanti nell'alimentazione, con semi ricchi di olii costituiti da esteri di acidi grassi di composizione diversa. Una seconda strategia seguita è quella di intervenire con i metodi dell'ingegneria genetica, per modificare la natura degli acidi grassi di alcuni vegetali. Soprattutto adatta a questo tipo di trattamento sembra essere la colza. Negli Usa da due anni sono iniziate ricerche che hanno realizzato una sua modificazione genetica capace di fornire olio con il 30% di acido laurico, acido grasso con catene di 12 atomi di carbonio, totalmente assente nella colza non trattata. Un ulteriore incremento nei semi di colza del contenuto di acido laurico, usato nell'industria dei tensioattivi, è allo studio con il trasferimento di genii dalla palma da cocco. Interessante è anche l'utilizzazione di miscele di acidi grassi di origine vegetale con catene di atomi di carbonio di adatta lunghezza e insaturazione nell'industria delle vernici e soprattutto degli inchiostri. Infatti questi inchiostri possono essere rimossi per via enzimatica dalla carta da sottoporre a riciclo, mentre gli inchiostri derivati dal petrolio sono eliminati soltanto con l'uso di solventi, che devono essere smaltiti in modo adeguato per non essere dannosi per l'ambiente. Anche nel settore dei lubrificanti, motivazioni di protezione dell'ambiente fanno preferire i derivati degli olii vegetali ai lubrificanti ottenuti dal petrolio. In Germania e in Scandinavia la legislazione è già ora particolarmente severa, tanto che per la loro più facile biodegradabilità solo i lubrificanti derivati da olii vegetali possono essere utilizzati negli ambienti particolarmente sensibili all'azione degli inquinanti, come foreste, laghi e fiumi. E' comunque l'industria dei polimeri e delle materie plastiche il settore in cui l'oleochimica può assumere un ruolo fondamentale. Alcune delle materie prime come l'acido adipico sono, infatti, ottenute dagli acidi grassi presenti negli olii vegetali senza dover ricorrere a complessi processi chimici. Gli sviluppi più interessanti possono arrivare da progetti di ricerca, già in fase avanzata in Gran Bretagna, che hanno l'obiettivo di produrre un intero polimero, cioè un prodotto finito, nel vegetale stesso. Secondo i ricercatori inglesi questo risultato può essere raggiunto nel caso del poliidrossibutirrato, noto come Phb (Poly HydroxyButyrate), con il trasferimento nella colza dei genii coinvolti nella biosintesi del Phb, presenti nel batterio Alcali genes eutrophus. Il polimero Phb, materiale biodegradabile usato per imballaggio e confezionamento soprattutto di alimenti, dovrebbe accumularsi nei semi di colza così modificata in quantità rilevanti e da questi potrebbe essere estratto e direttamente utilizzato. Gian Angelo Vaglio Università di Torino


ELEFANTI AFRICANI Seguitemi, là c'è il sale Come circolano le informazioni
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ETOLOGIA, ZOOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. La proboscide dell'elefante; D. Struttura interna del piede dell'elefante

NESSUNA meraviglia che turisti di tutto il mondo si riversino in Africa per vedere da vicino gli elefanti selvatici, così diversi da quelli ammaestrati nei circhi. Solo quando si vede un branco che avanza lento e solenne in fila indiana nella savana si ha un'idea della stretta compagine sociale e del senso di solidarietà che lega tra loro i giganti grigi. E' commovente la tenerezza con cui madri e zie proteggono i piccoli, aiutandoli nei passi più difficili, spingendoli con la proboscide sulle piste in salita, stimolandoli a riprendere il cammino, quando si accucciano al suolo per pigrizia o per stanchezza. Il branco è formato da femmine adulte con i loro piccoli di ambo i sessi. Li guida una matriarca, la femmina più vecchia, ricca di anni e di esperienza. E' lei che conosce i punti d'acqua dove gli elefanti possono bere e sguazzare nel fango. E' lei che sa dove si trovano le piante più saporite da mangiare. I membri del branco parlano tra loro in modi diversi. Non soltanto con il linguaggio gestuale della proboscide o con i barriti, ma anche con un misterioso linguaggio a base di infrasuoni, suoni dalla frequenza così bassa che il nostro orecchio non è in grado di percepirli. Ma sono proprio gli infrasuoni che, giungendo a notevole distanza, permettono la comunicazione tra individui anche molto lontani. E' questa una delle ultime scoperte sul conto degli elefanti. E non è la sola. Sappiamo da tempo che i grossi proboscidati hanno una memoria di ferro. Non dimenticano. E l'hanno dimostrato in più occasioni. E' rimasto celebre l'episodio degli elefanti del Parco Nazionale Addo, in Sud Africa, dove negli Anni 20 gli elefanti, con i loro frequenti sconfinamenti, danneggiavano seriamente le piantagioni vicine. Un elefante che cammina in un campo coltivato è un bulldozer vivente che calpesta e distrugge tutto quel che gli capita sotto i piedi. Per questa ragione gli agricoltori si rivolsero alle autorità, chiedendo che si abbattessero i responsabili. Dell'abbattimento dei 140 elefanti del parco venne incaricato un cacciatore professionista il quale, con sadica ferocia, abbatté gli animali uno per uno, sotto gli occhi dei compagni che assistevano al macabro spettacolo dell'agonia e della morte dei loro congiunti. Dopo circa un anno i superstiti, una trentina, si rifugiarono nel più fitto della foresta e fu impossibile catturarli. Da allora gli elefanti di Addo non hanno subito maltrattamenti di sorta. Ciò nonostante i discendenti di quei trenta scampati all'eccidio sono diventati animali notturni - escono dalla foresta soltanto sul far della notte, quando gli uomini dormono - e reagiscono con incredibile aggressività alla presenza umana. Sono considerati gli elefanti più pericolosi di tutta l'Africa. E' chiaro che è stata loro tramandata la memoria della strage, un'informazione culturale che ha determinato il loro mutato comportamento. Un altro straordinario esempio di trasmissione culturale ce la danno gli elefanti che vivono nel parco nazionale del monte Elgon, tra il Kenya e la Tanzania. Può capitare d'incontrare nel parco una processione di elefanti che avanza in fila indiana in un'ora insolita, all'imbrunire, subito dopo il calar del sole. Non è l'ora adatta per raggiungere i pascoli o i corsi d'acqua. E infatti la meta è un'altra. Non appena la colonna di elefanti giunge alle pendici del monte Elgon, scompare poco alla volta, inghiottita da una caverna. Penetra nelle viscere della terra, inoltrandosi in cavità che in certi casi si estendono per oltre centocinquanta metri. Cosa diavolo ci vanno a fare in quelle caverne? Vanno ad approvvigionarsi di sali minerali, dei quali è povera la loro alimentazione vegetale a base di piante della foresta. Si tratta infatti di elefanti africani della boscaglia (Loxodonta africana cyclotis), una delle due sottospecie in cui si divide la specie Loxodonta africana. L'altra è l'elefante africano della savana (Loxodonta africana oxyotis). Orbene, in tempi lontani, non sappiamo quando ma probabilmente molte migliaia di anni fa, un elefante antenato di quelli attuali deve essere penetrato per caso in una caverna del monte Elgon ed essersi reso conto del prezioso contenuto salino delle ceneri indurite di quel vulcano spento. Già, perché il monte Elgon era un vulcano attivo fino a qualcosa come tre milioni di anni fa. A ricordo delle passate eruzioni, la sua caldera è ricoperta da migliaia di tonnellate di ceneri indurite. Quel pioniere ha trasmesso evidentemente l'informazione ai compagni e da allora gli elefanti del parco fanno le loro periodiche visite notturne alle caverne del monte. Si mettono in fila all'imbrunire e penetrano nelle caverne, alcune delle quali molto profonde. Qui regna l'oscurità più assoluta, ma gli individui più vecchi conoscono a menadito tutti gli anfratti delle grotte e si orientano magnificamente anche nelle tenebre. Sono loro che fanno da capofila e guidano il branco. Sanno esattamente dove si trovano le pareti ricche di incrostazioni saline. I piccoli fanno tesoro delle prime esperienze e imparano dagli adulti, ma si limitano a raschiare le ceneri indurite. Gli adulti invece staccano con le zanne interi blocchi delle pareti o del soffitto e se li sgranocchiano con soddisfazione. Fatto il loro approvvigionamento di sali, i bestioni si avviano all'uscita, sempre guidati dai più anziani. Ogni visita dura tre o quattro ore. Si ripeterà dopo due o tre giorni, quando la provvista di sali si sarà esaurita. Gli elefanti di Elgon ci danno una prova evidente di trasmissione culturale. Ci dimostrano che la cultura, intesa come trasmissione di informazioni da una generazione all'altra, non è una prerogativa dell'uomo. Isabella Lattes Coifmann


FERTILITA' Contraccettivi naturali Due novità
Autore: BARKANY ANDREINA

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

I metodi contraccettivi naturali sono quelli che prevedono l'astensione dai rapporti sessuali durante i giorni fecondi del ciclo femminile senza interventi di alcun genere che possano modificare il suo naturale svolgimento o che interferiscano nella dinamica del rapporto sessuale completo. Tutti i metodi naturali sfruttano la caratteristica biologica della donna di essere fecondabile solo nei pochi giorni che corrispondono al periodo ovulatorio. In particolare, si considera che la cellula uovo sia fecondabile fino a 24 ore dallo scoppio del follicolo ovarico e che gli spermatozoi, depositati nel tratto genitale femminile, siano in grado di fecondare l'ovocita per circa 72 ore. Per questo è fondamentale determinare con la massima sicurezza il momento dell'ovulazione. I numerosi metodi che nel passato vennero proposti (Ogino Knaus, il metodo del calendario; temperatura basale; Billings, metodo di osservazione della densità del fluido cervicale; metodo globale, comprensivo delle varie tecniche) esigono comunque una forte motivazione da parte della coppia a causa dell'impegno quotidiano richiesto alla donna per la rilevazione degli eventi biologici connessi con l'ovulazione, il periodo di astinenza periodica alquanto prolungato e la necessità di una guida esperta per l'apprendimento del metodo stesso, piuttosto complicato. Inoltre l'indice di affidabilità misurato considerando il rapporto tra il metodo usato e il risultato di gravidanze indesiderate, è estremamente basso: una percentuale che va dal 6 al 27 per cento. Per questo motivo, negli ultimi dieci anni si sono sviluppate una serie di tecnologie volte a una determinazione oggettiva e certa dell'inizio e della fine del periodo fertile che, semplificando al massimo le operazioni di rilevamento ed evitando complicati calcoli, rendono i metodi naturali più sicuri e accettabili. Queste tecnologie (per esempio: PG53, un microscopio che osserva la cristallizzazione del muco cervicale e salivare; Revumeter, un metodo che quantifica la secrezione salivare e vaginale; Ovia computer, che elabora automaticamente i vari dati, compreso il valore dell'LH urinario, ovvero ormone luteo, Clearplan, Discretest) sfruttano variabili biologiche quali la variazione delle resistenze elettriche dei fluidi corporei o le variazioni dell'escrezione urinaria dell'ormone luteinizzante. L'ultima scoperta in questo campo è il CUE fertility monitor, prodotto dalla Zetek Aurora, in Colorado. Esso si basa sulla variazione della resistenza elettrica vaginale e salivare, in relazione con il periodo ovulatorio. Utilizza uno strumento a batteria che riporta su di un display le determinazioni effettuate con una sonda posizionata a livello della vagina e sulla superficie della lingua subito dopo il risveglio. Il collegamento di tale strumento a un minicomputer lo pone in grado di dare direttamente alla donna le indicazioni riguardanti il periodo di fecondità, evitandole complesse operazioni ed elaborazioni. In relazione al ciclo mestruale, la VER (variazione elettrica della resistenza elettrica vaginale) va gradualmente diminuendo fino al giorno del picco dell'LH (ormone luteinizzante), successivamente ha un brusco e rapido incremento che persiste per tutta la fase post-ovulatoria. La SER 5 (resistenza elettrica salivare) ha un andamento molto diverso; infatti nella fase pre ovulatoria si ha un valore massimo 5-6 giorni prima del picco dell'LH, rimane poi bassa per tre giorni, per aumentare di nuovo prima dell'ovulazione. Queste due rilevazioni possono essere usate congiuntamente e in modo complementare: la SER indica l'inizio della fase fertile prevedendo l'ovulazione 5-6 giorni prima, mentre la VER consente un'indicazione a più breve scadenza, con conferma dell'avvenuta ovulazione. Andreina Barkany


MIGRAZIONI Fiuto l'aria e decido a che altezza volare L'inanellamento degli uccelli permette di scoprire incredibili prodezze
Autore: VIAZZO STEFANO

ARGOMENTI: ZOOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: EURING UNIONE EUROPEA PER L'INANELLAMENTO, INFS ISTITUTO NAZIONALE PER LA FAUNA SELVATICA
LUOGHI: ITALIA

OGNI anno circa cinquanta miliardi di uccelli si spostano, percorrendo anche migliaia di chilometri, attraverso il mondo. Questo fenomeno è giustamente fonte di meraviglia e soltanto recentemente si è iniziato a comprenderne i meccanismi. Che il Luì grosso, ad esempio, che pesa appena 6/8 grammi, possa percorrere due volte all'anno la distanza che separa la Siberia dalla Rift Valley in Kenya o altre regioni del centro Africa, è affascinante e sbalorditivo. Lo strumento principale per la comprensione di questo complesso fenomeno è stato ed è tuttora l'inanellamento, che ha da poco compiuto i cent'anni di storia. Le tecniche di rilevazione e studio si sono rivolte inizialmente alla comprensione delle rotte ma ora, grazie anche all'utilizzo di nuovi modelli matematici, si sviluppano ricerche molto più sofisticate: sulle scelte dell'habitat delle diverse specie, le condizioni fisiche dei migratori durante le diverse tappe della migrazione, il loro equilibrio energetico e metabolico, le strategie di muta, la ricerca delle rotte e le strategie di alimentazione. Quest'ultimo aspetto è importante per comprendere le motivazioni che inducono gli uccelli a privilegiare alcune importanti aree di sosta. Tutto ciò è stato possibile poiché l'Euring, l'Unione europea per l'inanellamento fondata nel '63, che ha sede in Olanda da dove coordina il lavoro di tutti i centri nazionali europei, ha raccolto milioni di dati e, grazie a un sistema computerizzato, è in grado di elaborare in brevissimo tempo i dati di inanellamento e ricattura. Il centro italiano, che si trova presso l'Istituto nazionale per la fauna selvatica, via Cà Fornacetta 9, Ozzano Emilia (BO) (è lì che, per legge, chiunque abbatta, catturi o trovi uccelli inanellati deve inviare i dati relativi al ritrovamento: anello, località, data e modalità di recupero) coordina il lavoro di oltre trecento «inanellatori». Volontari, appassionati ma anche esperti conoscitori dell'avifauna, che dedicano gratuitamente il loro tempo libero a queste importanti rilevazioni. I dati raccolti sono inviati all'Infs già computerizzati, poiché a ognuno dei volontari viene dato un pacchetto di software specifico. In questo modo la banca dati italiana ha raccolto oltre un milione e mezzo di dati. Per l'intera Europa si contano, ogni anno, 3,8 milioni di uccelli inanellati, con circa 90 mila ricatture e relative segnalazioni. Tutto questo imponente lavoro di rilevazione ha consentito di comprendere da un lato i reali meccanismi del volo di migrazione e dall'altro l'importanza strategica di alcune aree di transito, in special modo nel Mediterraneo. Il fattore determinante di tutto il meccanismo risiede nel programma genetico degli uccelli stessi. Esiste infatti una propensione endogena alla migrazione, che si regola su numerosi fattori di pari importanza: una sensibilità alla qualità della luce e all'inclinazione dell'illuminazione solare che riconosce il tempo adatto alla partenza; un'iperfagia che produce accumulo di grasso; un'iperattività anche notturna. Si è scoperto che le rotte sono geneticamente prefissate e gli uccelli sono in grado di autoregolarsi durante il viaggio, riconoscendo il verso dei vettori del campo magnetico terrestre. Inoltre sono in grado di riconoscere le costellazioni-guida sin dalla fase dell'imprinting, nelle prime settimane di vita. Tutto ciò consente ad alcune specie di effettuare il volo migratorio verso luoghi sconosciuti al singolo individuo, anche se abituali per la specie. E tuttavia proprio quelle specie, ad esempio i passeriformi, che non possono contare sulle doti di veleggiatori ma solo sulla forza delle proprie ali, sono in grado di compiere tragitti di 5/10 mila chilometri in pochi mesi (oggi in Lombardia, due giorni dopo in Sicilia, due mesi dopo in Ghana) effettuando spesso un percorso di 300/500 chilometri per attraversare il Mediterraneo e il Sahara con volo non-stop di 30/50 ore e selezionando l'altitudine di volo in base alla temperatura e all'umidità dell'aria. L'origine genetica di questa incredibile abilità non ne sminuisce la portata, semmai rende visibile da un lato il lavoro della selezione naturale e dall'altro la grande vulnerabiltà di questi esseri viventi. E' evidente che l'obbligatorietà delle rotte rende ecologicamente importanti non soltanto i luoghi di svernamento e riproduzione, ma anche tutti quei luoghi che gli uccelli attraversano durante il viaggio di trasferimento. Le zone umide intorno al Mediterraneo hanno costituito per millenni lo scalo naturale prima e dopo il volo di attraversamento dello specchio d'acqua. Purtroppo nell'ultimo secolo queste si sono ridotte del 90 per cento, con un danno gravissimo per i flussi migratori. Le poche rimaste sono quindi di importanza strategica per il sostentamento delle specie in viaggio. Uno stesso uccello è stato catturato a un anno di distanza, nello stesso giorno e nello stesso luogo, con uno scarto di appena un'ora. Questa puntualità sottolinea la grande importanza dei luoghi di sosta, addirittura superiore a quella delle aree di diffusione. Una volta raggiunti i luoghi di destinazione, gli uccelli si diffondono su vaste aree e quindi un danno locale minaccerà un numero limitato di individui. Il Mediterraneo costringe invece gli uccelli a percorrere poche rotte ben delimitate e quindi un grave danno in uno di questi «colli d'imbuto» risulterebbe letale per migliaia di individui. Allo scopo di studiare il fenomeno, l'Istituto nazionale per la fauna selvatica sta lavorando al «Progetto piccole isole» che è ormai al suo settimo anno di attività e si svolge su numerose isole, in particolare Montecristo, Giannutri, Ventotene e Capri. La parte meno conosciuta del volo di migrazione è proprio quella di attraversamento del Mediterraneo e gli studi intendono definire i diversi modelli e le diverse strategie di migrazione, investigare l'origine geografica degli uccelli che attraversano il Mediterraneo, analizzare le condizioni fisiche degli uccelli durante il volo e le loro esigenze in fatto di habitat e disponibilità di cibo. Stefano Viazzo




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