TUTTOSCIENZE 20 settembre 95


CAPOLAVORI D'INGEGNERIA Ai limiti del possibile Il ponte sospeso di Normandia
AUTORE: RAVIZZA VITTORIO
ARGOMENTI: TECNOLOGIA, TRASPORTI
LUOGHI: ESTERO, FRANCIA
TABELLE: T. TAB. I PONTI SOSPESI PIU' LUNGHI DEL MONDO ========================================================= PONTE DI TANCARVILLE (Francia, 1959) 608 metri --------------- GOLDEN GATE (Stati Uniti, 1937) 1280 metri --------------- HUMBER (Regno Unito, 1981) 1410 metri --------------- PONTE DI SAINT-NAZAIRE (Francia, 1975) 608 metri --------------- PONTE DI NORMANDIA (Francia, 1995) 856 metri --------------------------------------------------------- D. Il ponte di Normandia =========================================================
NOTE: GRANDI OPERE DELL'INGEGNERIA CIVILE TEMA: GRANDI OPERE DELL'INGEGNERIA CIVILE

QUANDO, mesi fa, alla foce della Senna venne inaugurato un nuovo «ponte sospeso», il già leggendario «Ponte di Normandia», si disse che, con gli 856 metri della campata centrale, era il più lungo del mondo. A chi si ricordava del Golden Gate di San Francisco o del ponte sul Bosforo a Istanbul, i conti non tornavano. Infatti il record di lunghezza tra i ponti sospesi spetta allo Humber, costruito in Gran Bretagna nel 1981, 1410 metri; seguono appunto il Golden Gate, Usa, 1937, di 1280, il ponte sul Bosforo, Turchia, del 1988, di 1090 metri, e il ponte di Brooklin, 488 metri, risalente al 1883. In realtà il ponte di Normandia non è un ponte sospeso classico ma un ponte a tiranti. I ponti sospesi e i ponti a tiranti sono cugini, ma molto diversi. Sono accomunati dal fatto che il piano stradale è sostenuto da funi. Ma i ponti sospesi sono costituiti da due grossi cavi portanti, pesanti e difficili da maneggiare e soprattutto da sostituire (e che costringono a lunghe chiusure); invece i ponti a tiranti sono sorretti da una moltitudine di cavi di dimensioni minori, più facili da montare e da smontare durante la vita dell'opera, e meno costosi da sostituire. Inoltre i cavi dei ponti sospesi alle estremità sono collegati a due enormi blocchi di ancoraggio, come corde per il bucato fissate a due muri, e sono sostenuti dai piloni; i cavi dei ponti a tiranti sono invece ancorati direttamente al piano del ponte sia davanti sia dietro ai piloni e sono quindi autoportanti. La diffusione dei ponti a tiranti è stata ritardata dalle difficoltà di calcolo connesse con questa formula costruttiva. Oggi però tali difficoltà sono state superate dall'informatica e questi ponti stanno prendendo il sopravvento su quelli sospesi. I giapponesi, per esempio, si preparano a battere il record francese con il ponte di Tatara, presso Hiroshima, che avrà la campata centrale lunga 890 metri. Il ponte di Normandia ha acceso la fantasia dei francesi già durante la sua costruzione. Come racconta nel bellissimo libro «Le Pont de Normandie» (le cherche midi editeur) l'ingegnere che ha diretto il progetto, Bertrand Deroubaix, l'epopea del cantiere (aperto nell'88) è stata seguita come un avvenimento straordinario: sul delta nasceva una sorta di «angelo custode» del fiume e chiunque poteva andarlo a guardare da vicino. Una piccola parte del budget era stata infatti riservata all'informazione del pubblico, che godeva di visite guidate e di una piccola mostra del progetto. Ottenere il consenso era un punto centrale, perché gli ecologisti erano sul piede di guerra. L'estuario di un fiume è infatti un ambiente naturale particolarmente ricco e delicato: le grandi superfici salmastre - che si sono plasmate nell'arco di secoli attraverso i depositi alluvionali - sono l'habitat di una grandissima varietà di organismi fondamentali nella catena della vita. Centinaia di migliaia di uccelli frequentano questi luoghi al riparo dal gelo, vi si riproducono o semplicemente fanno tappa durante il loro volo migratorio, trovando cibo grazie ai piccoli crostacei trasportati con l'alta marea. E ancora: l'estuario è la nicchia di riproduzione di tutti i pesci della baia della Senna e ospita una grandissima varietà di fiori e piante, alcune molto rare. Logico dunque che gli ecologisti si preoccupassero di salvare questo patrimonio. E che gli ingegneri si premurassero di dimostrare che lo facevano. PAGINA A CURA DI VITTORIO RAVIZZA


CINA Una diga di 2000 metri sullo Yangtse
AUTORE: RAVIZZA VITTORIO
ARGOMENTI: TECNOLOGIA
NOMI: SUN YAT SEN
LUOGHI: ESTERO, CINA
NOTE: GRANDI OPERE DELL'INGEGNERIA CIVILE TEMA: GRANDI OPERE DELL'INGEGNERIA CIVILE

SARA' la più grande diga del mondo, lunga circa due chilometri, alta un centinaio di metri. Sbarrerà il corso dello Yangtse, il grande fiume cinese che nasce dalle montagne di Tibet e sfocia nel Mar Giallo a Shangai. Sorgerà nei pressi della città di Chongqing; qui lo Yangtse, prima di entrare nella grande pianura alluvionale che si estende fino al mare, forma tra le montagne una serie di cateratte per una lunghezza di 180 chilometri. Una volta sbarrato a valle dell'ultima cateratta, formerà un lago lungo circa 600 chilometri. Il via libera alla gigantesca opera, il cui primo progetto risale al 1911 ad opera di Sun Yat- Sen, è stato dato recentemente dal primo ministro cinese Li Peng. I vantaggi che il governo si attende sono di diversa natura. In primo luogo la diga, chiamata «delle tre gole» (quelle di Qutang, Wu e Xiling, attraverso le quali passa il fiume prima di sboccare nella pianura), fornirà elettricità per almeno 18 mila megawatt, otto volte tanto quella della diga egiziana di Assuan e il 50 per cento più di quella di Itaipu, al confine tra Paraguay e Brasile. Inoltre renderà navigabile un lungo tratto dello Yangtse a monte della diga stessa. Infine regolerà il corso del grande fiume, le cui periodiche inondazioni hanno causato solo in questo secolo circa 300 mila morti. Un progetto di queste dimensioni non può non creare preoccupazioni per l'ambiente. Per fare posto al lago, dovranno essere spostate un milione di persone; la diga è vulnerabile a terremoti e ad attacchi militari. Persino sul «modo di impiego» le idee non sono chiare: se la si mantiene al livello massimo per produrre la maggior quantità possibile di elettricità, non potrà agire come freno alle inondazioni della pianura sottostante (nella quale vive una popolazione di 400 milioni di persone), mentre se la si tiene semivuota in previsione delle grandi piogge, oltre a produrre meno energia, lascia scoperte le cateratte e quindi il fiume non è più navigabile. Tra i vantaggi, oltre a quello di contribuire al programma di industrializzazione cinese, vi sarà quello di diminuire il consumo di carbone che negli ultini 15 anni ha fatto raddoppiare la produzione di gas «ad effetto serra», facendo della Cina uno dei Paesi più inquinati del mondo.


NORVEGIA Due tunnel di 2600 metri sotto i fiordi
AUTORE: RAVIZZA VITTORIO
ARGOMENTI: TECNOLOGIA, TRASPORTI, VIABILITA'
LUOGHI: ESTERO, NORVEGIA
NOTE: GRANDI OPERE DELL'INGEGNERIA CIVILE TEMA: GRANDI OPERE DELL'INGEGNERIA CIVILE

UN tunnel sottomarino lungo due chilometri e 600 metri: così Oslo, la capitale norvegese, ha risolto il problema del traffico che attraversa la città da un capo all'altro lungo il bordo del fiordo su cui è affacciata. Assorbirà i 65 mila veicoli al giorno che percorrono la strada E18 e che finora andavano a intasare le strade cittadine, ma è previsto che il traffico possa salire fino a 100 mila veicoli al giorno. La prima idea risale al dopoguerra ma solo negli ultimi anni è diventata realizzabile a costi accettabili grazie all'enorme progresso delle tecniche di escavazione. Tecniche che, proprio in Norvegia, sono all'avanguardia; basta ricordare in proposito la gigantesca grotta scavata nei pressi della città di Lillehammer per ospitare lo stadio del ghiaccio delle Olimpiadi invernali del '94, lunga 91 metri, larga 62 (senza alcun supporto), 140 mila metri quadrati di roccia estratta, posti a sedere per 5400 spettatori. Il tunnel (o meglio i due tunnel paralleli, ognuno dei quali a tre corsie) è stato realizzato a tempo di record: i lavori sono cominciati il 6 marzo dell'87 e sono stati appena terminati nonostante le notevoli difficoltà tecniche. Infatti, poiché il fondo marino risultava di scarsa consistenza, una grossa parte del tunnel è costituita da una serie di «tubi» in cemento incastrati gli uni negli altri e sorretti da pali di un metro e mezzo di diametro che penetrano nel suolo fino a raggiungere la roccia. Nel punto più basso la strada è a 45 metri sotto il livello del mare. La «tangenziale sottomarina» di Oslo è costata un miliardo e 230 milioni di dollari (circa 2100 miliardi di lire), finanziati tramite pedaggi. E' sicuramente il più imponente lavoro di questo genere per il volume di traffico che lo attraversa e per la complessità degli impianti che sono necessari per il suo funzionamento, ma il record di più lungo tunnel stradale sottomarino del mondo spetta a quello Aalesund-Vigra, nella Norvegia occidentale, che collega due piccole isole al continente; si tratta in realtà di due tunnel successivi, rispettivamente di 3 chilometri e 500 metri e di 4 chilometri e 200 metri collegati da un breve tratto a cielo aperto che toccano una profondità massima di 140 metri sotto il livello del mare. Sono stati costruiti in 21 mesi tra il gennaio 1986 e l'ottobre del 1987. Consentono il transito a 2000 veicoli il giorno. Le costruzioni sotterranee e sottomarine si stanno sempre più diffondendo grazie alle nuove macchine di escavazione che consentono una rapidità di esecuzione impensabile fino a pochi anni fa. Il tunnel sotto la Manica rappresenta la realizzazione più mastodontica in questo campo. Alla loro fortuna contribuisce anche la necessità di trovare nuovi spazi in aree particolarmente affollate. Pochi giorni fa due Comuni della Valtrompia nel Bresciano, Lumezzane e Gardone Valtrompia, hanno approvato i progetti di massima per la costruzione di parcheggi scavati nella montagna che dovrebbero essere realizzati dal Norvegian Construction Group, rappresentato in Italia dall'architetto Fernando De Simone della Eko di Padova. Progetti analoghi sono allo studio per la Liguria, regione drammaticamente stretta tra mare e monti. A proposito di tunnel sottomarini, c'è anche il progetto presentato recentemente a Siviglia per un collegamento tra Europa e Africa in corrispondenza dello Stretto di Gibilterra. L'Afrotunnel sarà costituito da due gallerie ferroviarie e da una terza di servizio; saranno costituite da «tubi» di materiali plastici di nuova formula tre volte più resistenti dell'acciaio con un diametro di 7 metri e mezzo, lunghi 38 chilometri e ancorati a una base di cemento posata sul fondo a circa 300 metri sotto il livello del mare. I progettisti prevedono di costruire una prima galleria entro sette anni.


L'UFO DI ROSWELL Un'autopsia virtuale? Troppe nebbie intorno al filmato trasmesso in Tv
Autore: REGGE TULLIO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, FILM, AUTOPSIA
NOMI: SANTILLI RAY, FOSCHINI LORENZA, LEONE MARCO
LUOGHI: ITALIA

AVEVO giurato di non occuparmi mai più di dischi volanti ma mi sono piegato di fronte al clamore suscitato dal filmato trasmesso il 26 agosto da Raidue nel programma «Misteri» diretto da Lorenza Foschini. In televisione è apparso solamente un frammento del filmato in cui viene eseguita l'autopsia di un presunto extraterrestre dotato di sei dita e privo di organi sessuali ritrovato su di un Ufo precipitato a Roswell (New Mexico) nel 1947. Nella versione ufficiale americana si parla invece della caduta di un aerostato della serie Mogul, con a bordo apparecchiature segrete per spiare le attività atomiche russe. Proprietario del filmato è Ray Santilli, inglese, 40 anni, che asserisce di averlo avuto da un operatore che desidera mantenere l'anonimato. Secondo fonti del Sepra, l'organismo francese che si occupa di Ufo, il filmato o è genuino, con tutte le implicazioni del caso, oppure è un falso di alta classe. Santilli avrebbe affermato che la durata totale del filmato sarebbe di circa 90 minuti, di cui 30 di buona qualità, 30 di scarsa qualità e il resto inutilizzabile. Esiste in commercio una videocassetta della durata di 30 minuti, che costa 90.000 lire ed è distribuita dalla Master Vision, di proprietà del Santilli, in cui si asserisce che tutto il materiale è riprodotto integralmente. Al momento non si sa se la cassetta contenga solo la parte di buona qualità. Santilli ha inoltre asserito che esistono spezzoni non ancora resi pubblici, che mostrano il recupero di un disco volante e addirittura l'allora presidente Truman. Secondo studiosi americani, il viaggio di Truman non sarebbe mai avvenuto. Nel filmato apparirebbe anche una seconda autopsia, ma lo spezzone relativo sarebbe stato venduto da Santilli a un privato e non potrà essere reso pubblico. A più riprese Santilli avrebbe affermato che la pellicola sarebbe stata esaminata dalla Kodak. Una successiva inchiesta ha invece appurato che uffici periferici della Kodak hanno semplicemente dichiarato che il marchio apposto sulla pellicola è quello usato per le date di produzione 1927 o 1947 o anche 1967. Affermazioni secondo cui il filmato sarebbe stato esaminato dalla Nasa, dal British Museum e dalla Royal Society sono state smentite. Nonostante varie promesse, ci consta che l'originale non è stato ancora analizzato da istituzioni indipendenti. Altre incertezze riguardano il luogo esatto in cui sarebbe precipitato l'Ufo, i codici di sicurezza apparsi sul filmato sui quali sono state date spiegazioni contrastanti, il supposto sequestro del film in Italia da parte dei carabinieri presso la Rai denunciato da Santilli ma categoricamente smentito dalla stessa Rai. L'incontro internazionale «Roswell-Nuove Prospettive» svoltosi a San Marino il 2 settembre doveva chiarire questi e altri punti controversi. Protagonista assoluto della manifestazione doveva essere lo stesso Santilli, appositamente invitato per rispondere alle domande degli ufologi e confortarli. Santilli non si è visto ma, peggio ancora, l'incontro è stato svilito dalla condotta degli organizzatori. Matteo Leone, inviato della Stampa e regolarmente accreditato all'incontro dall'Ufficio Stampa dell'Ufficio di Stato per il Turismo della Repubblica di San Marino, è stato bloccato all'ingresso e buttato fuori. La polizia ha allontanato l'operatore della Rai che filmava scene poco edificanti di perquisizioni all'entrata. Il tutto in barba ad altisonanti dichiarazioni degli stessi organizzatori, rilasciate in occasione di precedenti incontri, secondo cui le informazioni scientifiche dovevano essere a disposizione di tutti gli interessati. Marco Leone ha perso poco, Santilli doveva essere il pezzo forte, il resto erano solo chiacchiere nel mare di nebbia e di incertezza che circonda l'avvenimento. Unica certezza: l'indubbio aspetto commerciale dello scoop. Tutti gli analisti seri concordano nel richiedere la massima trasparenza. Se non si saprà chi è l'operatore che avrebbe ripreso le scene e se non verranno portate a termine analisi attendibili sugli originali completi, sarebbe follia fidarsi di cassette commerciali vendute per 90.000 lire e di un mare di chiacchiere. L'esistenza di alieni può essere solamente verificata da un episodio incontrovertibile ma non esclusa da un argomento a priori, l'onere della prova grava quindi su chi è a favore dell'esistenza. Purtroppo, appena ci si addentra nel campo delle scienze alternative, si tratti di ufologia o di paranormale, ci si trova davanti a fenomeni dichiarati genuini ma sempre irripetibili, a testimonianze dubbiose, a un'accolita di persone anche oneste e in buona fede ma anche di cialtroni e fanatici. Senza ulteriori informazioni, l'episodio è destinato a entrare nella mitologia Ufo ma non nel mondo scientifico. Il filmato non mi convince, l'alieno assomiglia troppo a un uomo e alle ingenue raffigurazioni della fantascienza tradizionale. Le sei dita e le altre anomalie potrebbero essere frutto di un trucco eseguito da una equipe di alto livello e dotata di mezzi adeguati e in ogni caso si tratta di malformazioni che esistono anche tra gli umani. Pochi mesi or sono ho letto sul giornale che è ormai possibile fare dei film di alta qualità con una Marilyn Monroe virtuale indistinguibile da quella autentica. Perché non cominciare con un film sugli alieni? La prossima volta si rivolgano pure a me, ho delle idee migliori. Tullio Regge Politecnico di Torino


EURODISNEY E il cannone vi spara dritti nello spazio
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
ORGANIZZAZIONI: EURODISNEY
LUOGHI: ITALIA

EUROMIR-Eurodisney. Il gemellaggio a prima vista è anomalo: che c'entra la missione spaziale «Euromir 95», che vedrà un astronauta tedesco per 135 giorni a bordo della stazione spaziale sovietica in orbita a 350 chilometri di quota intorno alla Terra, con la versione parigina dei grandi parchi di divertimento creati negli Stati Uniti dall'ideatore di Topolino? C'entra, perché in occasione di «Euromir 95» duecento studenti dei 14 Paesi europei che aderiscono all'Esa (Agenzia spaziale europea) potranno collegarsi in diretta con gli astronauti in orbita, e questa sarà l'occasione per una grande operazione didattica organizzata da «Eurodisney»: il collegamento televisivo avverrà infatti dal teatro Videopolis, nella sezione Discoveryland del parco a 30 chilometri da Parigi. Qui, fino al 5 novembre, i visitatori potranno anche vedere per la prima volta la versione russa (ma, data l'epoca, bisognerebbe dire sovietica) del Lem americano: il modulo di atterraggio lunare, quasi pronto per il viaggio ma mai utilizzato perché, come si sa, gli americani vinsero la corsa alla Luna e Mosca abbandonò la gara, accontentandosi di inviare alcune sonde automatiche che riportarono a terra mezzo chilo di rocce lunari, contro i 382 chili raccolti, in sei viaggi, dalle missioni «Apollo» della Nasa. Ma al teatro Videopolis non c'è soltanto questo «pezzo unico» prestato dai russi. Tutta la storia dell'astronautica rivive attraverso altri cimeli, documenti originali, filmati, modelli di razzi, sonde spaziali e satelliti. I ragazzi possono vedere, per esempio, come si sono evolute le tute degli astronauti, da quelle massicce e scomodissime del tempo dei pionieri, fino alle tute attuali, non meno complesse ma molto più comode. La vita quotidiana degli astronauti è raccontata anche nei particolari più privati: alimentazione, allenamenti, doccia, toeletta (con tutti i problemi che le ultime due cose comportano in assenza di gravità). Tra le riproduzioni, una capsula «Mercury» della Nasa, un Lem, un modulo di comando delle missioni «Apollo», il razzo europeo «Ariane 4» e quello della prossima generazione «Ariane 5», la stazione russa Mir, un vettore «Proton», le navicelle «Vega» e «Phobos». Didattica e spettacolo a Eurodisney marciano insieme. A parte il balletto «Rock Shock», in scena a Videopolis fino al 5 novembre per tutta la durata di questo «Space Festival», un'orchestra interpreta musiche tratte da film di fantascienza e due Cd interattivi permettono ai visitatori di informarsi su tutto ciò che riguarda la ricerca spaziale. Uscendo da Videopolis, due attrazioni perfettamente in tema. Una, già in funzione da tempo, è «Star tours», un viaggio nell'universo realizzato con la sofisticata tecnologia dei simulatori di volo usati per addestrare i piloti di aerei militari. L'altra, inaugurata a giugno dall'astronauta Buzz Aldrin - il secondo uomo a metter piede sulla Luna - è «Space Mountain». Qui, come i protagonisti del romanzo di Jules Verne «Dalla Terra alla Luna», siete sistemati dentro un cannone inclinato a 33 gradi rispetto all'orizzonte e letteralmente sparati nello spazio... Il proiettile raggiunge in due secondi la velocità di 70 chilometri all'ora (un'accelerazione inimmaginabile anche per un'auto di Formula 1), e chi riesce a tenere gli occhi aperti vede sfrecciare intorno a sè asteroidi, comete, pianeti e stelle. A voler smitizzare, si potrebbe dire che siamo di fronte a una versione ipertecnologica del familiare ottovolante da lunapark. Ma in realtà anche qui si può trovare un aspetto didattico molto concreto: il proiettile che vi spara nello spazio raggiunge infatti prima l'accelerazione di 1,2 g, e poi, in un «loop» vertiginoso, l'accelerazione di 1,8 g (1 g = accelerazione di gravità). Per capirci, gli astronauti sullo Shuttle sono sottoposti a una accelerazione massima di 2,2 g. Siamo quindi molto vicini a una vera e propria esperienza di volo spaziale. Scendendo dopo aver provato 1, 8 g, mentre si cerca di riacquistare l'equilibrio, è inevitabile pensare a che cosa significava, per i primi astronauti, sopportare, sia pure soltanto per pochi secondi, accelerazioni tra i 4 e gli 8 g. Eppure l'uomo è una creatura curiosa: il cannone di «Space Mountain» - vietato ai ragazzi sotto i 10 anni, a chi è alto meno di un metro e 40, a chi non gode ottima salute e alle donne incinte - in certe giornate spara fino a 34 mila volenterosi. Piero Bianucci


IL MIRACOLO DI SAN GENNARO Se non è sangue, è tissotropia Ma la Chiesa non verifica l'ipotesi
Autore: CAGNOTTI MARCO

ARGOMENTI: CHIMICA, BIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA
ORGANIZZAZIONI: CICAP
LUOGHI: ITALIA

DICIANNOVE settembre, giorno del miracolo di San Gennaro. Il sangue si scioglie? Non si scioglie? E si tratta davvero di un miracolo? Gennaro, vescovo di Benevento, fu martirizzato nel 305, ma solo nel 1389 è attestata la prima liquefazione della reliquia del sangue, conservata a Napoli. Da allora, tre volte all'anno, l'arcivescovo della città espone la reliquia alla venerazione dei fedeli, e il sangue spesso si scioglie. Pur non riconoscendo il fenomeno come un vero miracolo, la Chiesa ha sempre proibito che sul contenuto dell'ampollina fossero eseguite analisi chimiche da ricercatori indipendenti, giustificando il divieto con il rischio, peraltro innegabile, che aprendo la fialetta il sangue potesse essere irreversibilmente danneggiato. Nel 1991 comparve su Nature un articolo firmato da tre ricercatori del Cicap (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale), Garlaschelli, Ramaccini e Della Sala, che erano riusciti a riprodurre con i mezzi e le sostanze disponibili nel '300 una sostanza il cui comportamento è in tutto e per tutto simile a quello del sangue di San Gennaro. La proprietà che sta alla base del fenomeno è la tissotropia: le sostanze tissotropiche, sottoposte a piccole sollecitazioni meccaniche, piccoli urti o vibrazioni, passano dallo stato solido allo stato liquido e, lasciate tranquille per un tempo sufficiente, ritornano poi allo stato solido. Se questa ipotesi è corretta, responsabili della liquefazione sarebbero i movimenti che l'officiante compie per verificare l'avvenuto miracolo dello scioglimento del sangue. Nè oggi vi sarebbe alcuna frode consapevole: l'unico imbroglione sarebbe colui che, seicento anni fa, spacciò per reliquia il prodotto di qualche bottega artigiana medioevale. Probabilmente non è un caso che uno dei componenti della sostanza tissotropica che imita il sangue di San Gennaro sia il cloruro ferrico, presente sulle falde del Vesuvio sotto forma di molisite e usato nella preparazione dei colori per gli affreschi. Le recenti analisi spettroscopiche eseguite su incarico della Chiesa, che avrebbero provato la presenza di emoglobina, e quindi di sangue, non sarebbero probanti in maniera definitiva. In effetti non sono mai state pubblicate su riviste scientifiche autorevoli. Si tratta della ripetizione di un esperimento già eseguito ai primi del secolo con uno spettrometro a prisma, e non con un moderno spettrofotometro elettronico. I risultati, inoltre, lascerebbero ampio spazio all'interpretazione soggettiva delle misure. A quattro anni dall'articolo di Nature, nessuna verifica dell'ipotesi tissotropica è stata compiuta. Eppure sarebbe facile, e di sicuro non distruttiva per la reliquia: basterebbe infatti prendere l'ampollina con il sangue in un giorno diverso da quelli previsti per il miracolo, e scuoterla quel tanto che basta a vedere se si scioglie, lasciandola poi tranquilla per constatare se si solidifica nuovamente. Se l'esperienza riuscisse, si avrebbe una semplice spiegazione scientifica di un fenomeno non più così misterioso. In caso contrario, la ricerca potrebbe proseguire su strade diverse. Sarebbe comunque una prova chiarificatrice per tutti. Marco Cagnotti


TEST ATOMICI A MURUROA Il film segreto dei funghi Proibito in Francia, è arrivato in Italia
Autore: GIORCELLI ROSALBA

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, ESPLOSIONI, ARMI, NUCLEARI, FILM
LUOGHI: ITALIA

IL 2 luglio 1966 avveniva il primo esperimento atomico francese sull'atollo polinesiano di Mururoa. Potenza: dieci volte superiore a quella sganciata su Hiroshima. Nel 1968, nel 1971 e nel 1973 gli esperimenti si replicano: i funghi sono alti e ben visibili (i polinesiani, all'epoca del tutto ignari, li trovano «belli»), le bombe arrivano a superare di 170 volte Hiroshima. Dal 1975 le esplosioni diventano sotterranee, invisibili. In tutto, circa 150 test. Gli Anni 80 portano malattie, malformazioni e morti misteriose. Cambiando una vocale nel nome dell'atollo, si ottiene «Moruroa» che in lingua tahitiana significa «gran segreto»: i polinesiani lo chiamano così da sempre, originariamente perché circondato da un mare incredibilmente pescoso. Oggi i misteri sono altri, e i tahitiani non mangiano più il pesce di Mururoa: è proibito pescarlo, e chi ne mangia patisce terribili diarree, può persino morirne. Esistono riprese cinematografiche dei funghi atomici fino al 1975; i filmati originali sono stati recuperati e montati insieme alle interviste agli abitanti di Mururoa, Tahiti, Papeete, in un documentario del 1993: in Francia non è proiettabile, è stato visto solo in Australia e Nuova Zelanda, e ora arriva in Italia. Il film di Michel Daeron si intitola appunto «Moruroa, le grand secret»: proiettato alla Mostra del Cinema di Venezia, verrà diffuso da Greenpeace. Su 32 infermiere contattate all'ospedale locale, soltanto due hanno acconsentito a farsi riprendere e a raccontare le metamorfosi delle patologie osservate in decenni di lavoro. Secondo loro, fino ai primi Anni 60 le malformazioni nei neonati erano rare, e per lo più cardiache; dopo l'arrivo dei francesi e la costruzione del loro laboratorio scientifico, nel 1963, le donne hanno osservato un enorme incremento di malformazioni del cranio, del cervello, dell'intestino; e poi la focomelia. Al di fuori dell'ospedale, si pratica ancora la tradizionale medicina tahitiana, a base di rimedi naturali: ovviamente non può nulla contro lo scurire improvviso della pelle che porta alla morte tanti bambini e molti adulti sotto i quarant'anni, contro inusuali disturbi polmonari e contro quella che ormai viene riconosciuta a vista come «la malattia di Mururoa»: pelle macchiata e purulenta. Più colpiti sono i polinesiani che hanno lavorato nella base nucleare, ma il problema esisterebbe in un raggio di almeno 1500 chilometri. Sono davvero contaminati da tempo i paradisi del pittore Gauguin? Le statistiche sono coperte dal segreto militare, è la Marina francese d'altra parte a fornire il supporto sanitario alle isole. Malgrado le numerose richieste, soprattutto da parte degli ambientalisti, compreso l'oceanografo Cousteau, non sono mai stati resi pubblici nè i dati sanitari nè i dati tecnici sugli esperimenti nucleari a Mururoa. Rosalba Giorcelli


CINCIALLEGRA Un padre così lo vorrebbero tutti
Autore: BOZZI MARIA LUISA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ETOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

BIASIMATI per lo scarso impegno che manifestano nei confronti della prole, considerati farfalloni capaci solo di «fare la ruota» per passare da una conquista all'altra, mariti inaffidabili e padri degeneri, la maggior parte dei maschi del regno animale esce malconcia degli studi di etologia. Ma ora ce n'è uno che, con la sua dedizione alla famiglia, li riscatta tutti in blocco, perché non solo si occupa dei figli, ma spende per essi più energie della consorte, tanto che per la fatica diventa facilmente suscettibile alle malattie e spesso ci lascia letteralmente le penne. Il padre in questione è un uccellino, specie Parus major, ovvero la cinciallegra, abitante canterino dei boschi di tutta Europa, nostri compresi. Segni di riconoscimento: guance chiare e due bande gialle sul ventre a delimitarne una nera al centro. Il maschio di cinciallegra che ha rivelato le sue eccezionali doti di padre si trova in Svizzera, vicino a Losanna. Per studiarlo, tre zoologi dell'Università di Berna (Heinz Richner, Philippe Christe e Anne Oppliger) hanno distribuito per il bosco cassette-nido sorvegliate da candid camera. E hanno truccato un po' le carte, alterando il numero dei figli di qualche nidiata, in una popolazione di 108 uccelli. In breve: fra le nidiate schiuse nello stesso giorno, gli scienziati spostarono due pulcini da un nido a un altro, così che un padre si trovava due figli in più, con una media di circa nove bocche da sfamare; l'altro, con due figli in meno, doveva provvedere pressappoco a cinque. I nidi che non subirono alterazioni di sorta nella figliolanza furono il termine di paragone. Quindi gli scienziati passarono a valutare il lavoro cui era sottoposta ogni coppia di genitori per allevare i figli, misurando la frequenza con cui padre e madre portavano cibo al nido. Ed ecco i risultati. I padri con prole esageratamente numerosa erano costretti a mettersi al lavoro di mattino presto, un po' prima di quelli con una figliolanza nella norma o sotto la norma. Fino al tramonto era un andare avanti e indietro al nido, con il becco pieno di succulenti bruchi, che questi uccelletti catturano sulle foglie degli alberi appendendosi in acrobatiche posizioni sui rami. Lavorarono il doppio degli altri padri, i maschi con prole extra, mentre le loro consorti non cambiarono abitudini, dedicando alla famiglia tanto quanto le loro colleghe con meno figli. Le quali per la verità sono - come caratteristica di questa specie - meno solerti dei loro compagni. Il maschio sottoposto a superlavoro ebbe come conseguenza una straordinaria predisposizione ad ammalarsi, prendendosi addirittura la malaria, portata dal plasmodio (Plasmodium spp), parassita comune del sangue degli uccelli e di queste cinciallegre svizzere in particolare. Se per noi uomini è una malattia grave, non è uno scherzo nemmeno per gli uccelli. Il 76% dei maschi con figli in sovrannumero si buscò dunque la malaria, contro il 38% degli altri padri; mentre le femmine furono premiate per la scarsa collaborazione: solo due madri di famiglia numerose risultarono infette da Plasmodio, contro nessuna delle altre. Se quindi il lavoro nobilita, l'eccesso di fatica espone lo stakanovista al rischio di malattie e può accorciare l'aspettativa di vita: scientificamente provato non solo dai padri cinciallegra gravati da troppi figli, ma anche in precedenti studi sulle api operaie, che muoiono di stress dopo 20 giorni di raccolta di nettare e di polline per i campi. Resta da spiegare perché lo sforzo di allevare una nidiata numerosa predisponga alla malattia. Forse, con il suo andirivieni al nido, babbo cinciallegra è più esposto alle punture di zanzare vettrici del parassita. O forse, impegnando così tante energie nella famiglia, ne investe di meno nel sistema immunitario. Ma perché il maschio si ammazza di lavoro per i figli dedicando loro un terzo di energie in più della femmina, diversamente dalla maggior parte degli altri padri del regno animale? Evidentemente la nidiata ha un valore diverso per il maschio che per la femmina di cinciallegra: lui si gioca tutto e subito come se non avesse altre opportunità di riprodursi (a favore di questo argomento, i maschi sono in sovrannumero rispetto alle femmine e per di più non è così semplice per uno di loro trovare un buco in un albero dove fare il nido: perciò, trovata la moglie e la casa, cerca di sfruttare l'occasione favorevole allevando più figli che può, dovesse anche lasciarci le penne). Lei, al contrario, gioca sul tempo, con una strategia che rimane nella linea femminile passando per via genetica di madre in figlia, premiata dalla selezione naturale: non è il caso di investire totalmente in una nidiata, tanto più con il rischio di beccarsi la malaria; se questa volta va male, l'anno prossimo andrà meglio; e se la malaria le porterà via il compagno, poco male, perché con tanta abbondanza di maschi un marito lo troverà sempre. Maria Luisa Bozzi


VACCINI Le strategie per evitare i virus vivi
Autore: DI AICHELBURG ULRICO

ARGOMENTI: GENETICA, RICERCA SCIENTIFICA
LUOGHI: ITALIA

SI stanno preparando i vaccini del futuro. Quelli finora in uso (alcuni hanno ormai circa un secolo di vita) hanno dato eccellenti risultati, ma si può fare di più. I progressi in batteriologia e virologia, in genetica e immunologia, aprono una nuova era nella quale all'empirismo si sostituisce una strategia razionale. Si conoscono infatti meglio i determinanti antigeni degli agenti patogeni - il loro marchio chimico, si potrebbe dire - e le caratteristiche genetiche responsabili della virulenza e della patogenicità. Consideriamo per esempio i vaccini ricombinati, di cui abbiamo già un esempio contro il virus dell'epatite B. Il gene codificante una proteina antigene è introdotto nella cellula d'un ospite, di solito un micete. Questa cellula «ricombinata» viene coltivata in modo da produrre una grande quantità della proteina che costituirà il vaccino. E' una tecnica molto importante poiché teoricamente ogni antigene proteico può essere ottenuto per ricombinazione genetica. Altra soluzione: un vaccino può essere costituito da un peptide (una piccola proteina, se così vogliamo indicarlo) esistente in un agente patogeno, il quale sia dotato di proprietà antigene, ossia suscitatore d'una risposta immunitaria. Il peptide, identificato con metodi che associano l'immunologia, l'analisi informatica e la chimica, viene prodotto per sintesi. Parecchi di questi vaccini peptidici sono in corso di valutazione: uno, contro la malaria, è già stato somministrato a volontari, altri contenenti peptidi d'una proteina del virus dell'Aids sono in esame. In questi esempi batteri o virus sono dunque scomparsi (i vaccini tradizionali invece li contengono; il vaccino antipolio, ad esempio, contiene il virus della polio), non c'è più il tutto ma una minima parte del tutto. Il tutto nondimeno c'è ancora in altri nuovi vaccini. Si utilizza un virus non patogeno, come vettore di antigeni appartenenti a un virus patogeno della stessa famiglia: per esempio si costruisce un virus ibrido a partire da un rotavirus bovino non patogeno per l'uomo e da un rotavirus umano patogeno, causa di gravi malattie respiratorie. L'ibrido contiene, oltre a numerosi geni del virus bovino, un gene del virus umano codificante un antigene che induce una reazione immunitaria protettiva. Grandi speranze sono fondate su strategie del genere. E' possibile utilizzare virus o batteri come vettori di frammenti di Dna codificanti proteine antigene di interesse vaccinico: sono nuovi tipi di vaccini vivi ricombinanti. Esperimenti di utilizzazione d'un pox-virus degli uccelli ricombinato sono in corso a proposito della vaccinazione antirabbica. Le tecniche finora descritte permettono di prevedere la produzione di vaccini nuovi che sostituiscano vaccini poco efficaci, o con problemi di innocuità o di utilizzazione. Oppure vaccini nuovi nel senso che non esistono ancora: a tale proposito si pensi che per la maggior parte degli agenti patogeni che causano la più importante morbosità nei Paesi del Terzo Mondo (malattie respiratorie acute, malattie diarroiche, malaria) non esistono vaccinazioni. Nuovi vaccini rimpiazzanti i già esistenti sono quelli contro la tubercolosi (che rimane uno dei maggiori problemi della sanità pubblica nel mondo), la pertosse, la meningite cerebro- spinale, la rabbia, la rosolia, l'encefalite giapponese, la febbre dengue, la febbre gialla. Quanto alla produzione di vaccini non ancora disponibili, si lavora per quanto riguarda il virus respiratorio sinciziale, i para-mixovirus, i virus para-influenzali, i rotavirus, tutti causa di malattie gravi nel bambino. E' in corso di realizzazione un vaccino contro l'epatite C. Nei prossimi anni si dovrebbe arrivare al vaccino anti-malarico. Quanto alla vaccinazione antivirus HIV (Aids), circa una ventina di preparati sono giunti alla sperimentazione clinica in volontari sieronegativi, ma le risposte immunitarie appaiono modeste sia come qualità sia come quantità e durata. Nuove formule sono allo studio ma il loro sviluppo è lungo e difficile, e si è disarmati di fronte alla variabilità del virus. Ulrico di Aichelburg


SCLERODERMA DOMESTICO L'amico degli antiquari Dà la caccia ai tarli del legno
Autore: STELLA ENRICO

ARGOMENTI: ZOOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

CHI è riuscito a vederlo, dopo averne subito la dolorosa puntura, lo descrive come una formica dal corpo sottile, lunga appena tre millimetri. Ma spesso l'insettino che ci colpisce mentre stiamo tranquillamente seduti su una vecchia poltrona o su un divano d'epoca sfugge alle più attente ricerche e non sappiamo come liberarcene. L'unica traccia lasciata sulla nostra pelle dal misterioso aggressore è una fugace tumefazione circondata da un alone rosso (ponfo). Talora i ponfi sono quattro o cinque e corrispondono ad altrettanti colpi di stiletto, inferti in rapida sequenza. Fra gli artropodi pungenti che frequentano le abitazioni umane, questo sembra il meno conosciuto, benché sia tanto diffuso; le sue singolari abitudini sono note soltanto agli entomologi. Anche il nome, Scle roderma domesticum, è generalmente ignorato da chi, senza volerlo, gli fornisce ospitalità. E' proprio vero che il fantomatico animaletto rassomiglia a una formica: infatti, come questa, è un imenottero aculeato, ma appartiene a una famiglia diversa (Bethylidae), molto più antica, comparsa sulla Terra prima che si evolvessero gli insetti sociali. Le femmine non possiedono membrane alari, mentre nei maschi gli organi del volo, quando esistono, sono deboli, dato che l'apparato di sostegno è ridotto a poche nervature. Osservarne la vita intima non è impresa da poco perché lo scleroderma delle case cresce a spese dei tarli del legno (soprattutto coleotteri anobidi) e compie la metamorfosi nel segreto dei loro tunnel. Dunque la sua presenza, più o meno numerosa, ci fornisce qualche indicazione sullo stato di salute dei nostri mobili. Per quanto frequenti, le punture inflitte all'uomo sono sempre accidentali: l'imenottero, uscito dal legno tarlato di una poltrona o di un letto, può impigliarsi tra gli indumenti e la nostra pelle e allora, per un'istintiva reazione di difesa, sfodera l'aculeo e colpisce a caso, più volte. L'arma, come il pungiglione delle vespe, altro non è che un ovopositore modificato: perciò ne sono dotate soltanto le femmine. La sua funzione naturale è quella di trafiggere ripetutamente le larve dei tarli per iniettare nei loro muscoli un veleno paralizzante che raggiunge i gangli nervosi. Le vittime rimangono vive, ma giacciono immobilizzate, in balia del loro aguzzino che se ne nutre e le adopera per rifornire di carne la prole: così, durante lo sviluppo, i figli dell'imenottero fruiscono di un alimento sicuramente imputrescibile. I maschi di scleroderma, innocui per l'uomo, concludono la loro breve esistenza dopo aver compiuto l'atto sessuale; le femmine invece possono essere tanto longeve da riuscire ad accoppiarsi con i propri discendenti, perfino con quelli di seconda generazione. Nel mondo degli insetti, destinati quasi sempre a morire presto, questo comportamento è davvero inconsueto. Sono stati segnalati anche casi di riproduzione verginale (partenogenesi). Tra i coleotteri parassitati da S. domesticum, figurano i più comuni tarli reperibili in ambiente chiuso, come Nicobium castaneum, che danneggia di preferenza i legni teneri e scava cunicoli nei vecchi libri e nelle rilegature in cuoio. Può essere colpito anche il capricorno delle case (Hylotrupes bajulus), un cerambicide che mina pali telegrafici e travature di sostegno, provocando il crollo di tetti e soffitti o di interi edifici (nel Nordeuropa ha causato disastri). Alla luce di queste conoscenze è facile comprendere come lo scleroderma sia in realtà un utilissimo, formidabile giustiziere di tarli, capace di centrare il bersaglio meglio di qualsiasi siringa carica di insetticida (ogni femmina paralizza in media cinque larve di Nicobium e depone su ciascuna una dozzina di uova). Per questo dovrebbe essere protetto e utilizzato nella lotta ai parassiti. Ma la sua attitudine a sguainare troppo facilmente l'aculeo, anche sulla nostra pelle, ha dissuaso i più convinti fautori della lotta biologica dal diffonderlo per combattere anobidi e cerambici. Teatro delle sue gesta sono i depositi di legname, le botteghe degli antiquari, le biblioteche, i laboratori di tappezzieri, le case con mobili e infissi tarlati. Così chi soggiorna o lavora in tali ambienti si trova esposto alle dolorose iniezioni praticate dal sottile ovopositore. Il rimedio? E' il più ovvio: basta uccidere i tarli con adeguate sostanze chimiche fumiganti o ad azione residua, per liberarsi anche del loro parassita. Decimato dagli stessi insetticidi e privo ormai della propria riserva di caccia, l'imenottero betilide non ha più mezzi di sostentamento ed è costretto a sloggiare.Enrico Stella Università «La Sapienza», Roma


CASO MONTALCINI Difficile corrompere il Comitato Nobel
AUTORE: GIACOBINI EZIO
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, PREMIO, CORRUZIONE
NOMI: LEVI MONTALCINI RITA, GOLGI CAMILLO, BOVET DANIEL
ORGANIZZAZIONI: PREMIO NOBEL, ISTITUTO KAROLINSKA
LUOGHI: ITALIA

I quotidiani svedesi rilanciano la polemica sulla corruzione dei Premi Nobel per la Medicina, in particolare su quello assegnato a Rita Levi Montalcini nell'86. Alcuni professori dell'Istituto Karolinska di Stoccolma sono accusati di aver accettato dall'industria farmaceutica italiana Fidia favori speciali, in particolare viaggi all'estero. A parte l'opportunità di accettare regali o sovvenzioni, occorre distinguere tra l'eventuale «corruzione» di singoli individui e quella di un'intera istituzione come il Comitato Nobel, che dispone di un patrimonio tale (oltre due miliardi di dollari, ottimamente investiti) da metterlo al riparo da ogni tentazione. Avendo trascorso quasi vent'anni come docente al Karolinska, ho goduto di un punto di osservazione indubbiamente privilegiato, pur tenendo conto della riservatezza assoluta con cui si svolgono i lavori di selezione e assegnazione. Sono dunque in grado di guidarvi tra i meccanismi fondamentali dell'assegnazione del Premio. Il comitato di esperti, scelto tra i membri della Facoltà di Medicina, vaglia ogni anno le numerose proposte che giungono da Università, Istituti scientifici e vincitori di Nobel. Tutta la produzione scientifica del candidato viene esaminata in dettaglio da un sottocomitato di esperti, sempre del Karolinska. Una prova del successo del loro lavoro è il fatto che si contano ben pochi «errori» in 92 anni di scelte. Le omissioni sono giustificate dal fatto che il premio è uno solo e i candidati meritevoli ben più di uno ogni anno. L'ultima parola sull'assegnazione spetta all'assemblea costituita dai 50 professori dell'Istituto, ai quali vengono presentati i risultati degli esperti. Sarebbe molto difficile corrompere un numero così grande di specialisti. Per quanto riguarda il lavoro della Levi Montalcini, mi consta con assoluta certezza che essa era già stata considerata tra i candidati nel 1961, quando lavorava alla Washington University di St. Louis. La non assegnazione in quell'anno fu dovuta probabilmente al carattere nuovo e rivoluzionario della scoperta del primo fattore di accrescimento del sistema nervoso, ormai noto in tutto il mondo con la sigla NGF. Il comitato Nobel si è infatti sempre comportato con estrema cautela e pazienza nel valutare il valore «fondamentale e generale» di una scoperta. E poiché nel corso degli Anni 60 e 70 l'NGF ha ricevuto numerose nuove segnalazioni ufficiali, l'assegnazione del Nobel nell'86 è sembrata logica e scontata, oltre che ampiamente meritata. Per giudicare la giustezza e il valore di questa scoperta, basta scorrere le novanta più importanti riviste che trattano della biologia del sistema nervoso: circa un terzo (32 per cento, per l'esattezza) dei lavori pubblicati si riferiscono direttamente o indirettamente ai fattori di crescita. Infine, qualche parola sull'Italia e sul Nobel a scienziati italiani. Durante il periodo passato al Karolinska ho avuto cognizione di alcuni candidati italiani. Paragonando l'Italia ad altre nazioni europee di dimensioni analoghe, o anche molto minori, si vede subito che il nostro contributo non è dei più gloriosi. Negli ultimi 90 anni un solo scienziato italiano ha conquistato il Nobel per la Medicina per il lavoro compiuto in Italia: Camillo Golgi, che nel 1906 divise il premio con lo spagnolo Ramon y Cajal per alcuni studi sul sistema nervoso. Il lavoro dei Nobel di origine italiana successivi a Golgi (Luria, 1969; Dulbecco 1975; Levi- Montalcini 1986) è stato compiuto interamente negli Stati Uniti. Daniel Bovet (Premio Nobel 1967) provocò una vera crisi diplomatica a Stoccolma, essendo allora cittadino italiano, nato in Svizzera e premiato per il suo lavoro in Francia. Alcuni potrebbero affermare con una certa probabilità di vero che se questi «italiani» fossero rimasti in Italia avrebbero avuto una chance molto minore (o nulla). Ezio Giacobini




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