TUTTOSCIENZE 9 agosto 95


MENU' DI STAGIONE Un po' di mare nel piatto Il pesce è un alimento ancora da scoprire
Autore: VALPREDA MARIO

ARGOMENTI: ALIMENTAZIONE, MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T. TAB. VALORI NUTRITIVI DEL PESCE ============================================================== CONTENUTO IN GRASSO -------------------------------------------------------------- Categoria Quantità Specie di grasso di appartenenza -------------------------------------------------------------- MAGRISSIMI Inferiore all'1% merluzzo, orata, razza, tinca, gamberi d'acqua dolce, polipi, rane --------------- MAGRI Dall'1% al 3% sogliola, spigola, trota, palombo, rombo, luccio, carpa, calamari, seppie, mitili, ostriche, vongole --------------- SEMIGRASSI Dal 3% al 10% dentice, triglia, tonno, pesce spada, salmone, sarde -------------------------------------------------------------- GRASSI Oltre il 10% anguille, aringa, sgombro -------------------------------------------------------------- DIGERIBILITA' -------------------------------------------------------------- PRIMO GRUPPO Molto digeribili: razze, merluzzi, sogliole, spigole, trote, dentici, orate, saraghi, cernie --------------- SECONDO GRUPPO Abbastanza digeribili: triglie, tonni, cefali, palombi, pesce spada, mitili, sarde, alici --------------- TERZO GRUPPO Meno digeribili: anguille, aringhe, sgombri, calamari, polipi, seppie ==============================================================

IN estate mangiamo più pesce. L'impennata stagionale dei consumi ittici dipende non solo dai turisti che affollano le zone costiere ma anche da chi, per necessità o per scelta, rimane in città. Merito delle caratteristiche - sia nutritive sia di appetibilità - di un alimento che meriterebbe, almeno da parte dei consumatori italiani, una attenzione più continua. E anche maggiori conoscenze, perché le specie che finiscono in tavola sono assai diverse per tipo e proprietà alimentari. Il pesce non differisce molto dalla carne quanto a contenuti proteici (anche se i pesci di acqua dolce ci danno una quantità di proteine leggermente inferiore rispetto a quelli di mare). Ma il pregio principale dei prodotti ittici, secondo i dietologi, sta nelle loro elevata digeribilità, nella presenza di vitamine (A, D, PP) e soprattutto nella composizione dei grassi, caratterizzata da una prevalenza di acidi grassi insaturi e polinsaturi, preziosi per la positiva influenza sul nostro metabolismo lipidico e quindi nella prevenzione delle malattie cardiovascolari. Pesce per tutti quindi, con una raccomandazione di moderazione per chi soffre di uricemia, in quanto i prodotti ittici contengono purine (354 milligrammi per etto nelle sardine). Il principale fattore di qualità del pesce è rappresentato dallo stato di freschezza, una valutazione complessa che richiede molta cautela. Per verificare scientificamente la freschezza del pesce sono disponibili metodi fisici basati sul potenziale di ossido-riduzione, sulla fluorescenza alla luce ultravioletta (assente o molto debole nel pesce fresco e ben osservabile nel prodotto invecchiato), sul passaggio del Ph da neutro o leggermente acido ad alcalino. Ultimamente si impiegano anche speciali strumenti elettronici in grado di rilevare le variazioni di determinate proprietà dielettriche della pelle o del muscolo del pesce. Queste misurazioni, più obiettive della semplice, soggettiva osservazione delle caratteristiche organolettiche, sono tuttavia influenzate da alcuni fattori (taglia del pesce, spessore delle masse muscolari, presenza di cristalli di ghiaccio), per cui il valore medio dei dati singoli non sempre esprime il reale stato di freschezza della partita. Più laboriosi sono i metodi chimici, fondati essenzialmente sulla ricerca di composti (indolo, idrogeno solforato, basi azotate, istamina) che compaiono in seguito all'azione dei microorganismi attivi nei processi di decomposizione. Mangiare pesce fresco non è solo un'esigenza gastronomica ma anche sanitaria. Ad esempio, durante la conservazione i celebrati e utilissimi acidi grassi insaturi del pesce vanno facilmente incontro a processi di degradazione. Queste alterazioni compaiono anche nel pesce surgelato dopo circa due mesi di mantenimento a 20 gradi centigradi sotto zero. Bisogna poi guardarsi dalle frodi, una volta non rare, oggi molto più difficili sia per il perfezionamento della catena del freddo sia perché i mercati del pesce autorizzati sono tutti sotto controllo veterinario ufficiale. Fra i trucchi più comuni per ringiovanire i prodotti ittici c'è il lavaggio con acqua e aceto o sale per eliminare i cattivi odori, o la mescolanza di pesci alterati con pesci freschi. Sotto il profilo annonario vanno invece ricordati i tentativi di smerciare prodotti diversi da quelli indicati, come ad esempio la sostituzione delle sogliole con specie meno pregiate (le sogliole hanno gli occhi a destra, le altre specie a sinistra), dei calamari con i totani (il calamaro è di color bianco-bluastro e ha le braccia tentacolari clavate; il totano è di colore violaceo e ha tentacoli più corti), delle porzioni di pesce spada e tonno con gattucci, razze e torpedini (i primi hanno scheletro cartilagineo, i secondi scheletro osseo). L'analisi dei consumi ci mostra che gli italiani mangiano ancora poco pesce rispetto ad altri Paesi (14 chilogrammi pro capite rispetto ai 36 dei norvegesi e dei giapponesi, ai 29 degli spagnoli e ai 27 dei francesi). In più da noi si privilegiano i prodotti di importazione rispetto a quelli che abbondano nei nostri mari. Una esterofilia che paghiamo a caro prezzo: 1600 miliardi all'anno, più di quattro miliardi al giorno. Mario Valpreda


FISIOLOGIA Il windsurf, navigare a orecchio
Autore: DI AICHELBURG ULRICO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, SPORT
LUOGHI: ITALIA

DAVANTI a tutti i litorali solcano il mare a migliaia i windsurf. Gli aspetti positivi sono molti: è uno sport ecologico, individuale, dà un senso di libertà, distoglie dalla consuetudine del gruppo. Ma, come in qualunque altro sport, c'è anche qualche aspetto negativo. Il windsurf, specialmente all'inizio, è molto faticoso. Bastano una mezz'ora o un'ora di esercizio (gli esperti consigliano di non superare l'ora e mezzo per «uscita» in mare), e ci si sente la schiena rotta per un giorno o due. In genere è soltanto una condizione di affaticamento acuto di tutta la muscolatura lombare, spesso anche lombo-dorsale o lombo-sacrale, dovuta in parte a una tecnica non ancora perfezionata che fa lavorare il dorso, là dove potrebbero agire meglio gli arti inferiori. Il riposo, un bagno caldo, eventualmente un'aspirina, sono sufficienti, ma i medici del windsurf hanno osservato due fenomeni apparentemente in contrasto. Questo carico particolare di lavoro risveglia lombalgie talvolta con irradiazione sciatica, latenti da anni, e allora il disturbo non è più domabile tanto facilmente. Per contro, questo tipo così eccezionale di lavoro fisico, al quale mai la muscolatura del dorso è chiamata nella vita corrente, può fare scomparire lombalgie che tormentavano da anni. Nel primo caso si possono temere lesioni del complesso della colonna che le limitate prestazioni abituali tenevano nascoste, nel secondo è invece probabile che, come una chiropratica interna, il movimento vinca una condizione di contrattura di qualche gruppo muscolare. In realtà di per sè la prestazione muscolare del windsurf è più di tipo statico che dinamico: è un gioco di postura ed equilibrio che, non appena raggiunto, occorre mantenere con le correzioni indispensabili al momento, ma in genere piuttosto limitate. Sono soprattutto le mani, e quindi i muscoli dell'avambraccio, che operano in maniera contratta, tanto che nella classifica dei disturbi da windsurf, dopo le lombalgie vengono i dolori alle mani e agli avambracci. Anche in questo caso il wind surf può agire da rivelatore, sia di alterazioni articolari sia di disturbi circolari. Lo stato di contrazione protratta, che già di per sè ostacola la circolazione nell'interno del muscolo, e il freddo possono mettere in evidenza irregolarità della circolazione sia arteriosa sia venosa. Dal che deriva che occorre essere fisicamente in regola, e tutti i medici del windsurf insistono su questo aspetto del problema. Quando il mare è abbastanza calmo e il vento spira tranquillo, il lavoro fisico è limitato sui 100-110 battiti cardiaci al minuto. Il lavoro fisico diviene più gravoso quando si deve lottare per rimanere in equilibrio, e gravosissimo quando si debba tirare su la vela e risollevare la plancia. Anche i 180-200 battiti al minuto possono non essere sufficienti, e allora la lotta è dura. «Sentire la plancia» e con essa valutare le condizioni di equilibrio è uno dei punti meno studiati sia in pratica sia in teoria. Sebbene nessuno abbia mai lamentato il malessere proprio del mal di mare, è certo che l'organo dell'equilibrio è impegnato al massimo. Situato nel complesso dell'orecchio interno, il labirinto avverte e stimola il sistema nervoso centrale, compreso il cervelletto, e a un tempo stimola, in basso, il midollo spinale affinché vi sia un intervento pronto e coordinato della muscolatura, intervento che riflessi spinali più rapidi e localizzati continuamente preparano e aggiustano. Non c'è sport in cui la funzione dell'equilibrio sia più intensamente sollecitata, neppure lo slalom dello sci, che in effetti tocca pur sempre terra, non il pattinaggio artistico, non i tuffi e la danza, la cui fase aerea senza riferimenti tattili è di pochi secondi. Insomma, con il windsurf si «naviga ad orecchio». E dall'equilibrio dipende anche l'infortunistica: l'urto contro la plancia, con l'irregolarità del fondo, contro l'albero, e movimenti sbagliati, sono le cause più comuni. In generale incidenti non gravi ma frequenti: secondo le statistiche, uno su 5- 6 praticanti ha qualche esperienza più o meno dolorosa da raccontare. Ulrico di Aichelburg


ASTRONOMIA Tra le galassie-mostro Anelli con miliardi di stelle
Autore: CURIR ANNA

ARGOMENTI: ASTRONOMIA
LUOGHI: ITALIA

LA classificazione di Hubble divide le galassie in due grandi famiglie: quelle a spirale e quelle ellittiche. Esiste però una terza categoria, molto meno numerosa, che è quella delle galassie irregolari: sono chiamate così perché la loro forma risulta fortemente «disturbata», probabilmente da qualche interazione appena trascorsa oppure in atto con un altro corpo (in genere un'altra galassia). Tra queste galassie peculiari, esiste una categoria molto particolare: quella delle galassie «ad anello». Tali sistemi stellari hanno infatti l'aspetto di anelli luminosi che circondano aree di cielo apparentemente vuote. La frequenza delle galassie ad anello è tra lo 0,02 e lo 0,2 per cento delle galassie spirali. La loro massa è mediamente di 100 miliardi di masse solari, e l'età della struttura ad anello è stimata intorno ai 100 milioni di anni. La maggioranza di questi oggetti rivela nelle sue vicinanze la presenza di un altro oggetto (detto spesso «compagno»): una galassia quasi sempre di massa inferiore che viene ritenuta responsabile dell'avvenuta interazione gravitazionale. L'interazione nel caso di questo tipo di galassie è in realtà una collisione seguita da un attraversamento (o «intrusione») del disco da parte del «compagno», che per questa ipotesi spesso viene anche chiamato «intruso». L'intrusione genera un «vuoto» nelle regioni centrali della galassia a disco, che si dispone così su di una struttura anulare. L'idea che una collisione tra galassie possa formare oggetti ad anello fu formulata per la prima volta dai coniugi Burbridge (1959), mentre l'analisi teorica del meccanismo di collisione fu sviluppata da Lynds e Toomre nel 1976. Il meccanismo con cui l'anello si forma è molto simile a quello con cui si generano le onde anelliformi nell'acqua per la caduta di un oggetto pesante. Si tratta infatti del formarsi e del propagarsi di un'onda di densità sulla superficie del disco. Questo è l'aspetto dinamico-gravitazionale del fenomeno, già di per sè abbastanza curioso. Ma cosa possiamo dire delle caratteristiche «stellari» e «fotometriche» (cioè riguardanti la luminosità nelle varie lunghezze d'onda) di questi oggetti? In generale l'evoluzione dinamica delle galassie è profondamente influenzata da ricorrenti fasi di formazione stellare molto accentuata, che vengono indotte da interazione gravitazionale con altre galassie vicine o dalla dinamica interna della galassia stessa. Le osservazioni del satellite infrarosso Iras (Infrared Astronomical Satellite lanciato nel 1983) hanno realizzato l'obiettivo di individuare una nuova classe di «galassie infrarosse», con la scoperta di molte centinaia di galassie emittenti più del 95 per cento della loro luminosità totale nella regione infrarossa dello spettro elettromagnetico. Le osservazioni infrarosse forniscono informazioni importantissime sui processi di formazione stellare. La polvere nelle zone di formazione stellare galattiche converte con molta efficienza la radiazione visibile in radiazione infrarossa e quindi la luminosità in questa banda è spesso la migliore misura di luminosità per le stelle giovani. La distribuzione spaziale della luminosità infrarossa in queste galassie riflette la storia dinamica del gas che forma le stelle. Uno degli scopi degli studi nell'infrarosso delle galassie è quello di mettere in relazione la distribuzione della luminosità infrarossa osservata con le proprietà galattiche fondamentali che generano la formazione stellare. La risoluzione spaziale di Iras era insufficiente per stimare l'importanza relativa delle varie regioni di emissione. Con gli strumenti a bordo del satellite infrarosso Iso (che dovrebbe essere lanciato alla fine di quest'anno) questo limite sarà superato e si potranno avere immagini più estese e precise di galassie infrarosse. Un vasto campione di galassie ad anello, individuato da Appleton e Struck Narcell (1987) risulta avere luminosità nel lontano infrarosso notevolmente più elevate che nelle galassie normali. Il satellite Iso dedicherà un po' del suo tempo di osservazione anche a questi oggetti e i dati osservati ottenuti saranno importanti per capire come l'interazione gravitazionale, la dinamica del gas e i processi di formazione stellare siano interconnessi nell'evoluzione delle galassie. Anna Curir


Cielo di agosto Dalla supercometa alle meteore di San Lorenzo mentre i pianeti Giove e Saturno danno spettacolo
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA
LUOGHI: ITALIA

IN attesa di verificare se la cometa avvistata al di là dell'orbita di Giove è davvero così grande come sembrerebbe dalle prime osservazioni (cento volte più della Halley), si può approfittare delle vacanze per dare uno sguardo al cielo: le località di montagna sono le più adatte per avere le condizioni di buio necessarie, ma spesso anche sulle coste si riesce a trovare qualche angolo dove riscoprire quella volta celeste che le luci di città fanno svanire in un chiarore lattiginoso. C'è, prima di tutto, l'appuntamento con le «lacrime di San Lorenzo»: più scientificamente, lo sciame delle meteore Perseidi, così chiamate perché sembrano irradiarsi dalla costellazione di Perseo. La Terra incrocerà questi detriti di una cometa disgregata (la Swift-Tuttle) dal 9 al 14 agosto ma il grosso dello sciame passerà il 13 poco prima dell'alba. La Luna è piena tre giorni prima, quindi le condizioni di osservazione sono poco favorevoli. Ma 8-10 meteore all'ora si dovrebbero vedere, e sarebbero già abbastanza se davvero ognuna potesse realizzare un nostro desiderio... Per tutta la prima metà della notte Giove è il corpo celeste più luminoso, ed è sempre interessante seguire il balletto dei satelliti galileiani intorno al pianeta. Quanto a Saturno, nella costellazione dei Pesci, l'11 agosto alle 5 del mattino presenterà un fenomeno curioso: a quell'ora la Terra attraverserà per la seconda volta nell'anno il piano degli anelli. Questi, di conseguenza, per alcuni giorni diventano del tutto invisibili. Sono, infatti, sottilissimi: al massimo qualche centinaio di metri. Ancora a proposito di Saturno, il 22 agosto, poco prima di mezzanotte, due suoi satelliti, Rhea e Titano, saranno in stretta congiunzione. La Luna, infine, occulterà due stelle abbastanza luminose: Rho del Sagittario l'8 agosto intorno alle 19,35 e la 68 del Toro, di quarta magnitudine, il 19 agosto alle 3,40 (tempo universale). Piero Bianucci


DOCUMENTO SUL CLIMA E i Tropici? Vanno al Nord
Autore: TIBALDI ALESSANDRO

ARGOMENTI: METEOROLOGIA, ECOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T.TAB. L'ATMOSFERA, UN COCKTAIL DI GAS MOLTO DELICATO ============================================================= TIPO DI GAS AUMENTO NELL'EPOCA CAUSE INDUSTRIALE DELL'AUMENTO ------------------------------------------------------------- anidride carbonica 30% consumo di combustibili fossili e cambiamento nell'uso del territorio ------------------------------------------------------------- ozono quantificazione cause naturali e incerta antropiche ------------------------------------------------------------- metano 100% per lo più cause antropiche ------------------------------------------------------------- clorofluorocarburi la loro solo cause antropiche concentrazione preindustriale era nulla ------------------------------------------------------------- ossido nitrico 10% per lo più cause antropiche ------------------------------------------------------------- inoltre: vapore cause naturali e acqueo, ossido aumento antropiche di carbonio e diversificato idrocarburi diversi dal metano =============================================================

DA pochi giorni è noto il documento ufficiale sugli imminenti cambiamenti climatici certi, preparato per presentare ai politici e all'opinione pubblica mondiale lo scenario del clima dei prossimi 55 anni su cui concordano tutti gli scienziati. La novità principale sta nel fatto che il documento è stato preparato in un apposito congresso, aperto a tutti, mirato alla suddivisione dei risultati in tre grandi gruppi: cambiamenti climatici certi - cioè sui quali nessuno scienziato si è dichiarato dubbioso -, cambiamenti probabili e cambiamenti incerti. Il seguente scenario è considerato praticamente sicuro se la concentrazione dei gas che producono l'«effetto serra» continuerà a crescere. Innanzitutto la temperatura media nei pressi del suolo salirà di un valore compreso tra mezzo grado e 2 gradi entro la metà del secolo prossimo. Questo aumento si somma a quello di mezzo grado già verificatosi negli ultimi decenni. Non sono variazioni piccole se si considera che la temperatura media è salita di soli 6 gradi dall'ultima glaciazione, da quando cioè la maggior parte d'Europa era coperta dai ghiacci e al posto del Sahara c'erano foreste e fiumi. Le precipitazioni medie globali aumenteranno, in quanto il riscaldamento della superficie terrestre provoca un aumento nell'evaporazione e quindi nell'umidità dell'aria. Aumenteranno però soprattutto le precipitazioni di tipo piovoso, mentre nevicherà sempre di meno. Questo contribuirà, assieme all'aumento di temperatura, a sciogliere lo strato di ghiaccio che ricopre il mare nell'emisfero settentrionale, e poi quello meridionale. Si ridurrà anche l'estensione delle terre artiche coperte dai ghiacci. Anche alle nostre latitudini i pochi ghiacciai rimasti tenderanno a scomparire, come ci siamo abituati a constatare negli ultimi decenni sulle Alpi. Lo scioglimento dei ghiacciai e l'aumento delle precipitazioni porteranno a un lento aumento del livello del mare. Il livello delle acque è salito nelle ultime centinaia di anni di 10-20 centimetri al secolo. Nei prossimi decenni il mare dovrebbe salire di 40 centimetri, con le conseguenze immaginabili per le zone costiere e per città come Venezia. E' molto probabile, ma non sicuro, che nei prossimi decenni le estati saranno via via più secche alle medie latitudini dell'emisfero settentrionale, come l'Italia. I modelli matematici infatti dimostrano che in queste regioni l'aumento dell'evaporazione sarà maggiore dell'aumento delle precipitazioni. Queste ultime aumenteranno invece alle latitudini più elevate, come in Gran Bretagna, Scandinavia o Canada. Variazioni più locali si avranno nelle regioni sull'Atlantico settentrionale, dove la temperatura aumenterà più lentamente a causa degli scambi tra acque marine profonde e superficiali. I cambiamenti a scala ancora più locale potranno essere diversi da quelli globali. L'incertezza deriva proprio da tutti quei parametri locali, come le montagne o la copertura vegetale, che possono interferire con gli andamenti stimati a più ampia scala. La flora è in grado di reagire abbastanza velocemente alle variazioni del clima; mezzo secolo è sufficiente per instaurare un cambio di vegetazione. Queste variazioni a loro volta avranno un'azione di amplificazione o attenuazione dei cambiamenti climatici, in un processo interattivo locale difficilmente quantificabile. Si vede quanto sia complesso il sistema del clima e quante conseguenze intimamente correlate si possano verificare. Se alcune correlazioni sono intuibili, come l'aumento della temperatura e lo scioglimento dei ghiacciai, altre sono più complesse e aprono nuovi scenari inquietanti. E' il caso di una scoperta recentissima secondo cui l'aumento di anidride carbonica - uno dei gas a effetto serra - stimato per i prossimi decenni, produrrà una diminuzione della densità dell'aria intorno ai 300 chilometri di altezza. Come conseguenza si avrà un assottigliamento di un paio di decine di chilometri di quel particolare strato dell'aria, conosciuto come Strato F2 della ionosfera, che è il più importante per le trasmissioni radio. Dovremo rivedere il sistema di telecomunicazioni mondiale? Alessandro Tibaldi Università di Milano


ESPLORAZIONI SOTTOMARINE Uomini e robot sul fondo degli oceani Nuovi materiali per sommergibili dalle prestazioni eccezionali
Autore: PAPULI GINO

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA, MARE
LUOGHI: ITALIA

L'UOMO possiede ormai ampie conoscenze di ogni recesso della Terra, ma sa ancora molto poco degli strati profondi dei mari. Questo ritardo non è dovuto a carenze tecnologiche (è molto più complicato andare sulla Luna) ma a precise scelte negli indirizzi della ricerca. D'altra parte, gli sporadici tentativi di scendere a profondità abissali - come quelli degli americani Beebe e Barton che, nel 1934 e nel 1949, raggiunsero rispettivamente 906 e 1375 metri dentro una sfera di acciaio fuso sospesa con un cavo alla nave-appoggio - avevano lo scopo di saggiare le capacità del mezzo e di battere un primato più che di condurre un programma scientifico. Bisogna aspettare gli Anni 50 per registrare risultati di maggior valore. Questi si devono alle imprese dei batiscafi idrostatici franco-belgi «Fnrs» e, in particolare, del «Trieste» ideato da Piccard. Sono, questi, mezzi autonomi formati da una cabina sferica in acciaio - per un equipaggio di due persone - fissata ad un serbatoio a forma di salsiccia contenente un liquido più leggero dell'acqua (benzina). Casse di compensazione, zavorra ed eliche mosse da motori elettrici consentono i movimenti. Dopo una serie di immersioni nel Tirreno, il «Trieste» - costruito interamente in Italia e, in seguito, ceduto alla Marina degli Stati Uniti che vi apportò alcune modifiche - nel gennaio del 1960 conquistò la massima profondità marina: i 10.972 metri della «fossa delle Marianne», nell'Oceano Pacifico. Esaurita, così, la «sfida degli abissi», l'interesse industriale ebbe il sopravvento su quello della ricerca, avendo ben presente che oltre il 95% dei fondali non supera i 6000 metri e favorendo, quindi, l'allestimento di scafi meno costosi e più idonei a scopi di lavoro. Di conseguenza, ai mezzi con uomini a bordo (Msv, «Manned Submersible Vehicles») vengono - oggi - riservate le missioni altamente discrezionali, mentre i compiti di routine - specialmente quelli legati alle esigenze petrolifere - sono affidati ai Rov («Remotely Operated Vehicles»). Attualmente si stanno sperimentando gli Auv («Autonomous Underwater Vehicles») i quali, operando senza necessità di «guinzagli», posseggono capacità operative molto maggiori dei Rov. Lo stato dell'arte degli Auv è rappresentato dal prototipo «Odyssey» sviluppato negli Stati Uniti dal «Mit Sea Grant Lab.»: esso è pilotato da un computer evoluto e comunica con l'ambiente esterno mediante un sistema acustico digitalizzato; opera fino a 6000 metri di profondità e può percorrere 1000 chilometri alla velocità di 3 nodi. In questi ultimi anni vi è stata anche una ripresa di interesse per le esplorazioni delle massime profondità, giustificata sia da scopi scientifici (morfologia delle «zolle» continentali) che utilitaristici (giacimenti di minerali). I veicoli destinati allo scopo seguono due «scuole» ben diverse tra loro. Quella americana si riallaccia al concetto del mezzo autonomo a pilotaggio umano (come era il «Trieste») attraverso un «velivolo sottomarino» - il «Deep Flight» - capace di scendere per effetto di una spinta propulsiva e di superfici alari deportanti. L'elemento più critico è, ancora una volta, la capsula per il pilota la quale deve resistere a pressioni di 1200 atmosfere e, al tempo stesso, avere basso peso per riemergere spontaneamente in caso di emergenza. Dopo il tentativo di impiegare compositi di resine epossidiche e filamenti di grafite, si è preferito far ricorso a un materiale ceramico a base di allumina: una delle sostanze più dure che si conoscano, ma non esente da caratteristiche negative, a cominciare dalla fragilità. La «scuola» giapponese ha invece progettato e costruito un veicolo - il «Kaiko» - che, pur appartenendo alla categoria dei Rov, ne costituisce una evoluzione. E' formato da un battello sommergibile filocomandato da una nave-appoggio: in prossimità del fondo, «partorisce» un robot semovente munito di fari, telecamere e braccia meccaniche. Un «cordone ombelicale» di 250 metri serve al passaggio dell'energia elettrica e dei segnali elettronici. Anche se l'assenza di uomini a bordo elimina alcune difficoltà, i problemi dovuti alla pressione sono sempre molto ardui. L'immersione effettuata nel febbraio dello scorso anno dovette essere interrotta perché, nelle acque profonde, il «cordone» subì una implosione. La tecnologia delle esplorazioni abissali dipende strettamente da quella dei materiali. A tutt'oggi, i materiali più affidabili in termini di resistenza alle pressioni estreme sono ancora gli acciai ad elevato contenuto di lega. Ma non vi è dubbio che questa supremazia, già largamente insidiata, verrà meno nel giro di qualche lustro per merito di prodotti nuovi appositamentente progettati e realizzati dall'industria chimica. Gino Papuli


PRO & CONTRO Sì agli psicofarmaci, purché i dosaggi siano corretti La sperimentazione è favorevole anche all'uso congiunto di ansiolitici e antidepressivi
Autore: RAVIZZA LUIGI

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, PSICHIATRICA
ORGANIZZAZIONI: LA STAMPA, TUTTOSCIENZE, COMITATO PER I DIRITTI DELL'UOMO
LUOGHI: ITALIA

NELLE ultime settimane ho avuto l'impressione che su La Stampa ci sia stata una campagna di disinformazione con lettere al giornale e articoli sugli psicofarmaci e sulla psichiatria. Si è cominciato con il titolo «Donna imbottita di psicofarmaci uccide figlio di 5 anni». Sono poi uscite varie lettere il cui bersaglio erano gli psicofarmaci e la psichiatria; almeno due di queste «lettere al giornale» provenivano da appartenenti al Comitato per i diritti dell'uomo. Infine su Tutto scienze è comparso un articolo dal titolo: «Psicofarmaci - Surprise cocktail - Antidepressivi con sedativi: disco rosso». Ora, come già in passato, sento il dovere, come psichiatra, di intervenire allo scopo di chiarire alcuni punti che mi paiono essenziali dal punto di vista di una corretta informazione e che dovrebbero contribuire ad allentare le preoccupazioni che possono aver assalito chi è in cura con psicofarmaci. Prima degli Anni 50 la psichiatria non disponeva di alcuno strumento terapeutico, al di fuori dell'elettrochoc. Negli Anni 50, in parte casualmente e in parte grazie alle prime importanti ricerche nel campo della psicofarmacologia, sono state sintetizzate varie molecole efficaci nei confronti di quasi tutta la patologia psichica: gli antidepressivi, gli ansiolitici e gli antipsicotici. Ci volle qualche anno per perfezionare l'impiego dei primi psicofarmaci, ma negli Anni 60 si poterono ottenere i primi grandi risultati nella terapia della depressione, dell'ansia e della schizofrenia. Parallelamente si moltiplicarono le ricerche sul funzionamento del cervello, in rapporto ai disturbi psichici, alle possibilità terapeutiche e al meccanismo d'azione degli psicofarmaci. Questo progresso nella conoscenza del cervello e nella terapia delle malattie mentali ha permesso l'inizio delle nuove strategie dell'assistenza psichiatrica, come la chiusura dei manicomi, avvenuta, anche se non c'è n'era bisogno, sotto la spinta di una sottocultura psichiatrica rivolta soltanto a considerare il disagio sociale come unica causa dei disturbi psichici. L'ideologia ha prodotto una rivoluzione nella cultura psichiatrica, ma l'avvio di nuove strategie terapeutiche e assistenziali è stato possibile solo grazie agli psicofarmaci. Qualcuno potrebbe obiettare che gli psicofarmaci non hanno risolto i problemi della patologia psichiatrica. Ma i farmaci per l'ipertensione, per il diabete, per le cardiopatie hanno forse risolto i problemi di tali patologie? Certamente no; ma essi hanno permesso la sopravvivenza di tanti malati. Perché allora si fa polemica solo per gli psicofarmaci? Mi domando se l'obiettivo del Comitato per i diritti dell'uomo è quello di abbandonare nuovamente i malati psichici al loro destino, rinchiudendoli ancora nei manicomi, togliendo così l'incomodo. I nuovi contestatori non conoscono minimamente la grande realtà e potenzialità terapeutica della psichiatria moderna, non sanno (o non vogliono sapere?) a quanti pazienti in tutto il mondo è stata restituita la gioia di vivere, l'interesse per il lavoro, il piacere di rapporti sociali e interpersonali e quanti pazienti hanno potuto superare i fantasmi minacciosi della follia. Oggi la psichiatria può essere realisticamente paragonata alle altre specialità della medicina proprio in virtù delle sue potenzialità terapeutiche grazie agli psicofarmaci. Si deve tuttavia riconoscere purtroppo che non tutti gli psichiatri o i medici che operano nell'ambito della psichiatria sono in grado di impiegare correttamente gli psicofarmaci, per cui talvolta non si ottengono i risultati possibili, ma si producono solo effetti collaterali. E' necessario fornire a ogni psichiatra un'informazione sempre aggiornata sia sulle questioni clinico-nosografiche sia sulle più moderne terapie. Oggi abbiamo psicofarmaci nuovi non solo per la depressione, ma anche per la schizofrenia, il panico, i disturbi ossessivo-compulsivi, e le fobie. E' indispensabile conoscere alla perfezione il loro meccanismo d'azione, l'indicazione e i dosaggi corretti. Se ben usati, questi farmaci non solo sollevano i pazienti dalla loro sofferenza specifica, ma concorrono significativamente a migliorare la qualità della vita. Specialmente nel campo della schizofrenia disponiamo di nuovi farmaci che sono più efficaci di quelli tradizionali e non inducono effetti collaterali di tipo extrapiramidale. Questi grandissimi progressi sono il risultato di quelle affascinanti ricerche biochimiche e di biologia molecolare che ci hanno permesso di apprendere molte funzioni del cervello e molte conoscenze sulla causa dei disturbi psichici. Per non parlare di altre straordinarie conquiste nella diagnostica per immagini, ottenute con la risonanza magnetica, la Spect e la Pet, nuove tecnologie avanzate che ci permettono di studiare il metabolismo e l'assetto recettoriale cerebrale in condizioni normali e patologiche. Si tratta di una realtà che ci porterà a ulteriori e suggestive conquiste nel prossimo futuro e sarà in grado di fornirci nuovi farmaci, più selettivi e più efficaci. Per quanto riguarda l'associazione di antidepressivi e ansiolitici, quando essa è necessaria non ci deve essere alcun allarme. La letteratura internazionale è assolutamente rassicurante su questo punto. Il cervello è un organo molto complesso, la cui omeostasi biologica è in continua modificazione, tale da poter «metabolizzare» i farmaci il cui scopo è quello di migliorarne la funzione in particolari sistemi neurotrasmettitoriali. L'invito, dopo tali considerazioni, è quello di un bagno di umiltà da parte di tutti: si intervenga e si discuta di determinati problemi soltanto quando se ne ha una conoscenza profonda. La psichiatria moderna si basa su criteri scientifici accettati dalla comunità internazionale e quindi sta alla pari delle altre specialità mediche, con i propri limiti, ma con grandi possibilità di liberare i pazienti dalla loro sofferenza. Luigi Ravizza Università di Torino


VACANZE IN MONTAGNA Le piante del grande freddo In visita ai coloratissimi giardini alpini
Autore: ACCATI ELENA

ARGOMENTI: BOTANICA, MONTAGNA
LUOGHI: ITALIA

NON è soltanto il desiderio di sfuggire al caldo soffocante delle città a spingere, d'estate, molti turisti alla ricerca dei giardini alpini, ma anche una voglia di ritrovare una natura incontaminata, ricca di specie vegetali coloratissime, delicate e al tempo stesso rustiche. I giardini alpini sono laboratori con funzioni di ricerca applicata, luoghi preziosi per la conservazione del patrimonio vegetale e la salvaguardia di piante rare o in via di estinzione. Ma oltre a questo consentono anche una vera e propria opera di educazione naturalistica: soltanto osservando direttamente le piante, opportunamente classificate, nasce l'interesse a conoscerle e quindi a rispettarle. La natura escogita metodi particolari per rendere possibile la vita negli ambienti più avversi. In montagna, oltre al clima difficile, il terreno è solitamente molto povero di sostanze nutritive, non stabilizzato, soggetto all'erosione, molto drenato, per cui l'acqua penetra in profondità. Per questo numerose piante possiedono un apparato radicale molto esteso - anche un metro di lunghezza per specie alte soltanto qualche centimetro - che permette sia un buon ancoraggio al terreno, sia un maggiore assorbimento dell'acqua. Quasi tutte le specie alpine hanno uno sviluppo ridotto (così sfuggono all'azione del vento) e sistemi per limitare il pericolo dell'appassimento. A volte le foglie sono trasformate in aghi (basti pensare all'erica), altre volte possiedono una fitta peluria, come nel caso della ben nota stella alpina, utile per deviare i raggi solari e circondare la pianta di uno strato di aria umida e stabile. In altre situazioni possiedono una cuticola ispessita per ridurre la traspirazione, come nel caso delle genziane. Il fatto di essere nane consente alle piante di sfruttare meglio il calore superficiale del suolo; al riguardo vi sono specie legnose come il Salix herbacea, forse il più piccolo arbusto conosciuto, il cui fusticino striscia sottoterra con il risultato che soltanto i rametti e le foglie emergono dal terreno. Il nanismo può essere spiegato anche con il fatto che l'accrescimento è possibile soltanto durante il brevissimo ciclo vegetativo - in alcuni giardini la coltre nevosa è assente soltanto per trenta, sessanta giorni all'anno. Per effetto dell'elevata intensità luminosa alcuni fitoregolatori (sostanze prodotte dalla pianta simili agli ormoni dell'uomo), come le auxine, vengono inibiti: quindi le piante rimangono nane; le stesse piante, se portate a quote più basse, si sviluppano maggiormente. Per questo motivo realizzare un giardino alpino è assai complesso, anche perché la quota va attentamente valutata nella scelta delle specie. Numerose piante alpine mantengono le foglie e quindi le gemme durante il periodo invernale, il che le mette in vantaggio rispetto a quelle che le dovranno poi formare a primavera. Così la brevità del ciclo vegetativo viene compensata da fioriture precocissime: il croco, la soldanelle, gli anemoni, i ranuncoli, le sassifraghe sbocciano subito dopo il disgelo - a luglio è possibile vederle fiorite ad alta quota. Inoltre le specie nivali continuano a maturare i loro semi fino ad inverno inoltrato. Per la fecondazione ad alta quota, essendo poco numerosi gli insetti pronubi, maggiori sono i dispositivi per attirarli; a questo scopo i colori diventano incredibilmente vistosi, il profumo intenso e la produzione di nettare abbondante. Comunque alcune specie di alta montagna, per non correre rischi, fanno a meno dei pronubi e si affidano all'autoimpollinazione (il polline di un fiore feconda il suo stigma): alcune producono semi senza l'impiego di polline, altre rinunciano a produrre semi moltiplicandosi vegetativamente per esempio per mezzo di stoloni come il Geum. Un aspetto tipico delle piante alpine è la forma a cuscinetto assunta da alcune famiglie in cui, appena al di sopra del suolo, il fusto principale si suddivide in numerose diramazioni secondarie, le foglie si raccolgono a rosetta vicino alla superficie del terreno facendo emergere verso l'alto solo lo stelo fiorale, come accade nella Silene, che produce cuscinetti che si colorano di rosa e, riuscendo a trattenere l'aria non mossa dal vento, diminuiscono la traspirazione. Questa pianta è chiamata volgarmente «pan di marmotta», anche se non è appetita da questi animali. Il nome del genere sembra derivare da Sileno, l'amico di Bacco dal ventre gonfio. Elena Accati Università di Torino PARADISIA Estensione: 10.000 m2 Frazione Valnontey Cogne - Aosta Aperto dal 15 giugno al 15 set tembre Il giardino di Paradisia, che sorge a Valnontey, a quota 1700 metri, è caratterizzato da un terreno alquanto movimentato, adatto a ricreare i diversi habitat della flora alpina. La quota relativamente bassa consente la presenza della flora sia del piano montano, sia di quello alpino. Sullo sfondo del giardino, il gruppo del Gran Paradiso. Le piante hanno cartellini di tre colori: giallo per le piante che crescono in Italia (Alpi, Appennini, gruppi montuosi); bianco per quelle di gruppi montuosi non italiani; rosso per le piante officinali usate in farmacia, liquirizia, cosmesi; rosso con il simbolo della morte per le piante velenose. Due ambienti da segnalare: l'alneto e la torbiera. E' disponibile un'utile guida al giardino, curata da Laura Poggio (editore Musumeci). SAUSSUREA Estensione: 8000 m2 Pavillon du Mont Frety Courmayeur - Aosta Aperto dal 1° luglio al 15 set tembre Il giardino di Saussurea è a una quota di 2180 metri, dove il bosco si dirada e lascia il posto al pascolo alpino. Il suo nome deriva da un fiore, la Saussarea alpina, pianta così chiamata in onore dello scienziato ginevrino Benedict de Saussure, promotore della prima salita al Monte Bianco, avvenuta nel 1786. Oltre a far conoscere la flora del Monte Bianco, il giardino permette di conoscere numerosi ambienti naturali di alta montagna. Per ogni ambiente c'è un pannello descrittivo. Da osservare la Punguicola al pina, una pianta carnivora che per fare fronte alla scarsa disponibilità di azoto del terreno possiede foglie che secernono una sostanza zuccherina che attira piccoli insetti (moscerini e formiche) invischiandoli e digerendoli. CHANOUSIA Estensione: 10.000 m2 Colle del Piccolo San Bernardo (circa 800 metri oltre il confine di Stato) Aperto da luglio a fine agosto Il giardino di Chanousia, a 2170 metri di altitudine, fu creato nel 1897 dall'abate Chanoux, naturalista appassionato, convinto della necessità di difendere la flora alpina. Sono qui presenti più di mille specie tutte con cartellino; inoltre viene redatto un Index seminum comprendente l'elenco dei semi raccolti nel giardino o in natura (le semine vengono effettuate dal Dipartimento di Biologia vegetale dell'università di Torino). Uno dei maggiori problemi di questa istituzione è la modesta disponibilità di fondi che consente di avere soltanto personale volontario. Qui sono stati creati ambienti vari e interessanti, come le zone moreniche, una calcarea e una silicea, che ospitano, ad esempio, l'Ar temisia genepi, usata per ottenere il tipico liquore alpino. CASTEL SAVOIA Estensione: 1000 m2 11025 Gressoney-Saint-Jean Anno di fondazione 1990 Aperto da maggio a ottobre Il giardino di Castel Savoia, che sorge a 1350 metri di altitudine, è situato nel parco del Castello omonimo, residenza estiva voluta dalla Regina Margherita, amante della montagna ed in particolare della Valle del Lys. Sono presenti specie di ambiente montano ed alpino provenienti da tutto il mondo. Le piante sono accompagnate da cartellini con l'indicazione, oltre che della famiglia, del genere e della specie, anche della distribuzione geografica. Da ammirare l'Aconitum napellus, pianta alta 50-100 centimetri, con foglie alterne, assai incise; i fiori portati in una infiorescenza a spiga hanno 5 sepali, quello superiore ha la forma di un elmo di colore viola intenso. Molto velenosa: il suo nome, derivante dal greco akonitum, significa letteralmente «avvelena topi». VALDERIA Estensione: 30.000 m2 Parco nazionale Argentera Terme di Valdieri Valdieri (Cuneo) Aperto da metà giugno a metà settembre Fondato nel 1990, il giardino di Valderia deriva il suo nome dalla Viola valderia raccolta sul greto del torrente in Valle Gesso per la prima volta dall'Allioni nel '700. Il luogo possiede un'importante connotazione storica: qui infatti, alla fine dell'800, esistevano il giardino inglese di Casa Savoia, una passeggiata naturalistica e un giardino roccioso. E' strutturato per ambienti vegetali ricostruiti fedelmente in base a quelli esistenti nel parco, con specie vegetali rigorosamente autoctone. Incontriamo il prato, la risorgiva, le rupi, i detriti, le praterie, la torbiera, il ruscello, l'arbusteto e il sottobosco. Pannelli esplicativi illustrano le caratteristiche di ognuno. C'è anche un delizioso sentiero naturalistico. ALPINA Estensione: 10.700 m2 Belvedere di Grignese Monte Mottarone - Stresa Aperto da maggio a ottobre Fondato nel 1990 e situato a un'altitudine di 800 metri, il giardino di Alpinia si trova in una località chiamata Belvedere, da cui si gode un'ottima vista sui due rami del Lago Maggiore. Aperto al pubblico da maggio a ottobre, è una delle principali attrattive naturalistiche del Lago Maggiore e un completamento alla visita dell'Isola Bella (il migliore esempio italiano di giardino secentesco) e dell'Isola Madre (in cui sono sapientemente fusi i dettami del giardino romantico inglese). Alpinia è ricca di piante officinali non solo tipiche della zona, ma anche provenienti da paesi d'oltremare come Cina, Giappone e le Americhe. Da vedere la Edgeworthia papyrifera del Giappone, un arbusto con foglie verdi sulla pagina superiore e grigie su quella inferiore.


La rapina del Mediterraneo Ultimi dati sui danni della pesca selvaggia
Autore: RAVIZZA VITTORIO

ARGOMENTI: ECOLOGIA, MARE
NOMI: GIANNI ALESSANDRO
ORGANIZZAZIONI: GREENPEACE ITALIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T. TAB. NUMERO DI BATTELI DA PESCA (1993) Fonte: Ec Dg. XIV ============================================================== GRECIA 21.130 --------- SPAGNA 20.275 --------- ITALIA 16.757 --------- PORTOGALLO 14. 164 --------- REGNO UNITO 10.923 --------- FRANCIA 7271 --------- DANIMARCA 3520 --------- GERMANIA 1700 --------- PAESI BASSI 1583 --------- SVEZIA 1579 --------- IRLANDA 1429 --------- FINLANDIA 550 --------- BELGIO 198 -------------------------------------------------------------- PESCA: I PRINCIPALI PAESI PRODUTTORI (1992, in migliaia di tonnellate) -------------------------------------------------------------- Paesi Pesci Molluschi Crostacei -------------------------------------------------------------- CINA 11.272 2132 1374 --------- GIAPPONE 7278 843 184 --------- PERU' 6754 77 10 --------- CILE 6303 134 30 --------- Ex URSS 6135 196 296 --------- USA 4222 819 529 --------- INDONESIA 2911 60 373 --------- NORVEGIA 2491 7 5 --------- THAILANDIA 2163 284 354 --------- DANIMARCA 1841 139 14,3 --------- ISLANDA 1515 12 49,4 --------- ITALIA 220 103 31 ==============================================================

LA pesca nel Mediterraneo e nell'adiacente Mar Nero è in crisi; c'è stata una forte flessione della produzione nel Mar Nero e nel Mare di Azov, una flessione meno significativa nell'Adriatico, nelle acque della Sardegna e delle Baleari, non bilanciata dalla produzione stabile o addirittura in aumento nelle acque dello Ionio, dell'Egeo, nel Golfo del Leone. Il dato è sottolineato dalla Fao, l'organizzazione delle Nazioni Unite per l'agricoltura e l'alimentazione. Se, tra le specie di maggiore importanza commerciale, le sardine hanno subito un calo quasi impercettibile, per acciughe e sgombri il calo è difinito «notevole». Il dato relativo alle catture del '93, 1.700.000 tonnellate (contro 1.900. 000 del '91), conferma il fenomeno. L'ambiente praticamente chiuso del Mediterraneo è facilmente minacciato da scarichi delle navi, acque reflue, residui di pesticidi e fertilizzanti, rifiuti solidi urbani. Il turismo, e più in generale le modifiche sempre più profonde delle coste, l'introduzione casuale di organismi marini estranei che cambiano l'ecosistema e tecniche di pesca distruttive sono i principali fattori di allarme. L'eutrofizzazione, fenomeno ben noto nell'alto Adriatico, non è un fatto locale ma interessa gran parte del bacino, in particolare le grandi baie in cui i fiumi convogliano gli scarichi urbani, industriali, agricoli, dalla baia di Kastela in Croazia a quella di Salonicco in Grecia o di Izmir in Turchia, o il Golfo del Leone in Francia. L'eutrofizzazione, provocando un eccezionale sviluppo delle alghe, riduce la quantità di ossigeno nell'acqua; questo causa danni alle uova dei pesci e a tutti gli organismi poco mobili o ancorati al fondale. Secondo la Fao questa situazione ha già causato la scomparsa di una quindicina di specie di molluschi e di tre specie di crostacei. L'uso sempre più intenso delle coste e il loro conseguente sconvolgimento toglie spazio alle numerose specie ittiche che si riproducono e passano il periodo giovanile in prossimità del litorale. Quanto alle tecniche di pesca distruttive, alle reti a strascico negli ultimi anni si sono aggiunte le spadare, che sono, purtroppo, un fenomeno quasi del tutto italiano. Le spadare, o reti pelagiche derivanti, sono state messe fuorilegge dall'Onu fin dal '92 e la condanna è stata ribadita ancora nei mesi scorsi. Una legge italiana del 1991 vieta le spadare lunghe più di due chilometri e mezzo ma Greenpeace, che in mancanza di interventi statali ha intrapreso una campagna privata di controllo in tutto il Mediterraneo con una delle sue navi, ha constatato che tutti i 70 pescherecci abbordati avevano reti ben più lunghe. In media 12,5 chilometri, come ha dichiarato ad «Airone» Alessandro Gianni, responsabile della campagna pesca di Greenpeace Italia. I pescatori non vogliono sentir parlare di abolizione delle reti pelagiche derivanti perché queste micidiali trappole, lunghe anche 40 chilometri, consentono la pesca di specie molto pregiate, im primo luogo del pesce spada, diventato il piatto più richiesto della cucina marinara, ben pagato da pescherie e ristoranti e quindi da qualche anno catturato con un accanimento che rischia di provocarne la scomparsa dal Mediterraneo. (Le spadare, inoltre, devono far fronte all'accusa di provocare la morte inutile di migliaia di cetacei, dai delfini ai giganteschi capodogli, che presi nelle loro maglie non riescono più a risalire in superficie per respirare). Date le difficoltà di controllare i pescherecci in alto mare, l'unica strada sta nel convincere i pescatori che la rinuncia alle spadare può essere un affare; per questo all'inizio di quest'anno il ministero delle Risorse agricole ha lanciato un piano: chi consegnerà le proprie reti derivanti avrà un premio che, in rapporto alla consistenza delle reti stesse, potrà arrivare fino a 250 milioni. Il ministero conta di arrivare al bando di tutte le spadare entro tre anni. Vittorio Ravizza




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