TUTTOSCIENZE 2 agosto 95


GLI ACQUARI&LA SCIENZA Delfini in vetrina Oggi molti si chiedono: è giusto?
AUTORE: BEARZI GIOVANNI
ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ETOLOGIA
NOMI: LILLY JOHN, NORRIS KEN, JAMIESON DALE, REGAN TOM, LORENZ KONRAD
ORGANIZZAZIONI: MARINE MAMMAL PROTECTION ACT
LUOGHI: ITALIA
NOTE: CETACEI IN CATTIVITA' TEMA: CETACEI IN CATTIVITA'

IL concetto di «delfini ambasciatori» ha sostenuto e in un certo senso legittimato i delfinari non come luoghi di puro svago, ma come centri educativi dove gli animali in vasca assumevano il ruolo di «rappresentanti» dei propri simili allo stato selvatico. In effetti è anche grazie alla cattività che la gente ha avuto modo di appassionarsi alla sorte di delfini e balene, prima ritenuti strani «pesci» sconosciuti e ora noti a tutti come sorridenti giocherelloni amici dei bambini. Forse, senza il contributo di Flipper e la conseguente simpatia tributata dal grande pubblico a questi animali, leggi come quelle del Marine Mammal Protection Act non sarebbero state emanate già nel 1972. Un notevole input in termini di conservazione è stato inoltre dato dagli studi scientifici che la disponibilità di delfini in vasca ha reso possibili. Infatti, mentre gli addestratori di delfini erano intenti a plasmare personaggi disneyani che portavano occhiali da sole, si facevano lavare i denti con uno spazzolone e tenevano palloni colorati in equilibrio sul «naso», i primi cetologi, fra uno show e l'altro, calavano i loro idrofoni per registrare i suoni emessi dagli animali, ne annotavano il comportamento e inventavano esperimenti per svelarne le capacità sensoriali e le modalità di comunicazione. Molte tra le prime importanti scoperte sui delfini sono state fatte presso l'oblò di un delfinario ed è scorretto affermare che tutti i dati ottenibili in cattività sono inutili. Se questo può essere vero per molti aspetti del comportamento e della socialità, non si può negare che molte importanti scoperte sulle capacità sensoriali dei delfini abbiano avuto origine proprio dall'osservazione diretta di animali in cattività e da esperimenti che - all'epoca - difficilmente potevano essere realizzati in mare. Bisogna comunque tener presente che la ragione principale che ha spinto i proprietari di delfinari a intraprendere la loro attività non è stata tanto la conservazione, quanto i profitti che ne potevano ricavare. Il prezzo pagato dai delfini è stato un altissimo numero di decessi nelle fasi di cattura, trasporto e permanenza in vasca, morti spesso causate dall'alto livello di stress cui erano sottoposti o da altre conseguenze della cattività. Forse non era necessaria una simile strage per capire che non sono pesci, pur considerando che - fino ai primi Anni Settanta - poco o nulla si sapeva su quali fossero le loro reali esigenze e su come prendersene cura. I delfinari hanno comunque costituito una fase storica che difficilmente si sarebbe potuta gestire in altro modo - se si considerano i limiti intellettuali ed etici della nostra specie. A eccezione di casi di clamorosa follia, come gli esperimenti di John C. Lilly con elettrodi e Lsd, i delfini in cattività hanno avuto un trattamento simile a quello riservato a molti altri ospiti: il rispetto per gli animali è un concetto relativamente moderno, che ancora venti- trenta anni fa era ben poco sentito. Oggi però i tempi sono cambiati e molto di quello che - complice l'ignoranza - era forse inevitabile in passato, appare solo come gratuita crudeltà alla luce delle conoscenze attuali. Uno dei massimi esperti mondiali di cetacei come Ken Norris, autorevole assertore dell'importanza educativa dei delfini «ambasciatori», non era inconsapevole delle loro sofferenze e già nel 1974 forniva questo impressionante quadro: «Il confinamento comprime l'attività dei delfini, per grande che sia la vasca. La differenza è tra quaranta-sessanta miglia al giorno (64-96 km) di spostamento e il movimento in una vasca di sessanta metri di diametro. La differenza è tra la possibilità di immergersi fuori dalla vista della superficie - forse a più di trecento metri per alcuni delfini - e magari sette metri e mezzo in cattività. La differenza è tra un mondo illimitato dove aggressione e paura possono riordinare la struttura sociale all'interno e fra i branchi, e un mondo dove queste forze sono confinate da muri di cemento. In cattività, i delfini timidi non possono allontanarsi da quelli aggressivi. «In effetti, il confinamento comprime le attività naturali così strettamente che queste possono essere distorte fino a diventare virtualmente irriconoscibili. I delfini in cattività sviluppano modelli di vita innaturali, come l'antilope allo zoo che, abituata a coprire molte miglia al giorno, arriva a passeggiare nella sua gabbia in stereotipati percorsi a "otto" fino a scavare un unico solco nel suolo». Se da un lato il fatto di poter disporre di delfini in vasca consente di effettuare indagini in condizioni controllate, difficilmente riproducibili in mare, non c'è nessuna relazione fra le necessità strettamente scientifiche e quelle di puro spettacolo. A volte è utile, per determinati esperimenti, che i delfini siano istruiti a rispondere a un segnale o trovare un oggetto. Questo però non ha niente a che vedere con il fatto di costringere gli animali a esibirsi molte volte al giorno in spettacoli ripetitivi, esponendoli ai bombardamenti acustici che si verificano durante gli show e ad addestramenti perlopiù basati su tecniche di privazione alimentare. E' comunque discutibile che in nome della scienza si sia autorizzati a fare qualunque cosa: i filosofi Dale Jamieson e Tom Regan - ad esempio - sottolineano che, nonostante i risultati delle osservazioni effettuate in cattività possano portare benefici anche alle popolazioni selvatiche, «la moralità di questi benefici dipende dai metodi utilizzati per conseguirli - e nessun beneficio è moralmente accettabile se ottenuto al prezzo della violazione dei diritti dei singoli individui». Per effettuare un esperimento in vasca non è indispensabile privare un delfino del suo ambiente naturale e dei suoi abituali compagni per tutta la vita. E comunque le oppurtunità offerte da alcune comunità di delfini costieri ben conosciute sono enormi e assolutamente impensabili fino a pochi anni fa, anche grazie a recenti sviluppi tecnologici e metodologici. Esistono zone dove i delfini possono essere catturati, esaminati per brevi periodi e successivamente rilasciati. Vi sono poi, in tutto il mondo, dozzine di delfini «socievoli» che si avvicinano alla costa e interagiscono regolarmente con l'uomo: alcuni di questi animali potrebbero essere utilizzati per realizzare molte delle indagini attualmente condotte in cattività. Una simile opportunità inoltre verrebbe offerta dagli esemplari riabilitati che - per vari motivi - non possano essere rilasciati in mare, come gli individui spiaggiati vivi e non reinseribili con ragionevoli speranze di successo nel loro ambiente. «La migliore scuola nella quale un giovane può apprendere che l'universo è dotato di senso è la pratica diretta con la natura», sosteneva a ragione Konrad Lorenz. Ma vedere cetacei in un delfinario non ha nulla a che fare con l'esperienza della natura, che è un sistema complesso dove ogni organismo interagisce con una quantità di altri organismi indissolubilmente legati al loro ambiente, al sempre mutevole clima, a un intricato gioco di cause ed effetti. Niente di tutto questo viene trasmesso quando si vedono delfini obbedire all'ordine del trainer o nuotare annoiati in una gabbia piena d'acqua. Quanto al fatto che i delfini in cattività - e alcuni individui in acque costiere - sembrino «desiderare» il contatto con la nostra specie, non significa, come antropomorficamente tendiamo a pensare, qualcosa di più di una semplice curiosità. L'illusione che siano amichevoli e stiano tutto sommato bene in nostra compagnia è rafforzata dal fatto che, per loro sfortuna, «sorridono» sempre (anche da morti). Non hanno muscolatura mimica, e chi va a vederli in piscina si lascia facilmente ingannare dal loro involontario sorriso, che sembra esprimere ingenuità e contentezza perpetua. Saltano, e la gente crede che giochino, che siano felici. Nuotano in una vasca che assomiglia poco al mare, ma siamo stati abituati fin da bambini a vedere animali nei circhi, negli zoo, negli studi televisivi, e non viene sempre naturale chiedersi se sia giusto o sbagliato metterceli. In effetti alcune specie dal comportamento stereotipato, abituate a piccoli territori, possono non risentire della cattività se questa è accuratamente ritagliata sulla loro misura e provvede loro il necessario per un'esistenza dignitosa. Un esempio potrebbe essere costituito da alcuni pesci territoriali, tenuti in un grande acquario ben concepito. In un certo senso questi animali «non sanno» di essere in cattività. Per i delfini, è difficile credere che la differenza passi inosservata. Chi ha avuto la possibilità di osservare a lungo i delfini nel loro ambiente naturale trova di solito sgradevole vederli relegati nei pochi metri cubi d'acqua clorata di una piscina. Di fatto, una parte sempre più grande del mondo scientifico - che in passato aveva posizioni piuttosto tolleranti in materia - guarda oggi con sdegno all'industria che utilizza cetacei in cattività. Giovanni Bearzi Istituto Thetys


MAL DI VIAGGIO Il cerotto che combatte la nausea
Autore: DI AICHELBURG ULRICO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, TRASPORTI, VIAGGI
LUOGHI: ITALIA

IL mal di mare era già conosciuto dagli antichi, che lo avevano descritto con la stessa precisione di oggi. Con il progredire dei mezzi di comunicazione sono poi comparsi il mal di treno, d'automobile, di aeroplano, di navicella spaziale, con sintomi analoghi, e si parla quindi in generale di male da movimento o chinetosi, dal greco Kinetos, mobile. L'argomento è stato molto studiato negli ultimi tempi. La chinetosi può essere causata da diversi tipi di movimento. I sintomi sono malessere generale, pallore, sudore freddo e, più caratteristici, nausea o vomito (il termine «nausea» deriva dal greco naus, nave). Inoltre con la nausea si hanno rarefazione dei battiti cardiaci e ipotensione; con il vomito, tachicardia e ipertensione. La suscettibilità individuale agli stimoli del movimento è variabile ma non c'è persona che, sottoposta a lungo a una stimolazione importante, non abbia una chinetosi. Un pescatore può soffrire di mal di mare durante una crociera su un piroscafo, un astronauta che non ha mai avuto chinetosi può soffrirne nel suo primo viaggio. Sono più colpite le donne degli uomini, più i bambini sotto i 12 anni (ad eccezione dei lattanti che in genere viaggiano distesi), più gli adulti degli anziani. Il ruolo dell'orecchio interno è evidente, come dimostrano esperimenti su soggetti il cui labirinto auricolare aveva perduto la sua funzione, nei quali non era possibile indurre la chinetosi. Però anche altri sistemi sono in rapporto con la chinetosi come dimostra, sempre sperimentalmente, la proiezione di immagini in movimento. In sostanza stimolazioni ambientali captate dal labirinto, dall'apparato visivo e da altri recettori, e pervenute al sistema nervoso centrale, possono da un lato favorire l'adattamento al movimento, o viceversa suscitare un conflitto sensoriale per l'impossibilità di integrare i dati forniti simultaneamente dai diversi recettori. In tal caso si manifesta la chinetosi, che è dunque uno stress oltrepassante la capacità di adattamento. La quale capacità è in parte innata e in parte acquisita in funzione di precedenti esperienze. L'attività, la responsabilità sono eccellenti antidoti, come sanno i guidatori di automobile che cominciano a essere disturbati soltanto quando viaggiano come passeggeri. Si danno molti consigli per evitare la chinetosi, per esempio sulla nave stare sul ponte e fissare la lontana linea dell'orizzonte che non segue i movimenti della nave, in automobile stare sul sedile anteriore, inoltre non digiunare, limitare i movimenti del capo, sdraiarsi. Questi suggerimenti sono utili ma sovente è necessario ricorrere ai farmaci. Il più anticamente noto è l'atropina, però con effetti secondari e controindicazioni che ne limitano l'uso. Oggi si prescrive la scopolamina, sola o associata con la d-amfetamina, somministrabile anche in forma di cerotto da applicare sulla pelle dietro l'orecchio alcune ore prima del viaggio, con una durata di 72 ore. Un'altra grande classe di farmaci è costituita dagli antistaminici H 1. Lo si scoprì in modo casuale, in una paziente molto sensibile alla chinetosi, la quale stava usando gli antistaminici per una malattia intercorrente. Ve ne sono vari tipi. Infine i tranquillanti in certi casi possono essere utili. Nonostante le ricerche fatte in occasione dei conflitti mondiali e poi delle conquiste dello spazio, siamo soltanto all'inizio, come dimostra il fatto che gli attuali rimedi non sono nuovi ma usati da tempo. Comunque questi possono essere molto utili nella maggioranza dei casi, essenzialmente come preventivi, mentre sono poco efficaci quando la chinetosi si manifesta. Ulrico di Aichelburg


E adesso, una legge La parola ai cetologi
AUTORE: MAR_V
ARGOMENTI: ZOOLOGIA, LEGGI
ORGANIZZAZIONI: FONDAZIONE BELLERIVE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: CETACEI IN CATTIVITA' TEMA: CETACEI IN CATTIVITA'

IL primo tentativo di tenere dei cetacei in cattività risale al 1860, quando alcuni delfini prima, e una balena bianca poi, furono mostrati al Westminster Aquarium di Londra. Toccò poi al Tursiops truncatus a Bordeaux, ma solo nel 1938 vennero costruiti dei veri e propri delfinari: a Miami, a Los Angeles e via via un po' dappertutto negli Stati Uniti e in Europa. In Italia attualmente i delfinari sono sei (Gardaland, Rimini, Riccione, Cattolica, Fasano e Genova) e vengono alimentati o con delfini di prima generazione (cioè nati da individui catturati) o con tursiopi provenienti dalle acque di Cuba e del Messico, perché sono quelli che meglio sopportano la cattività. Quanto alle condizioni di vita - spazio, rumore, addestramento, spettacoli, alimentazione - le leggi sono molto vaghe. Non esiste nessun tipo di regolamentazione ufficiale, nè italiana nè europea, che riguardi specificamente i delfini in cattività. L'unica legge alla quale ci si può riferire è quella di due anni fa contro il maltrattamento degli animali in genere, nella quale si stabilisce che non devono eseguire esercizi che vadano contro la loro natura. Che qualcosa di più chiaro debba essere detto, è opinione non solo dei cetologi, ma anche dei gestori di delfinari. Due loro rappresentanti hanno recentemente presentato una proposta di regolamento per il mantenimento del Tursiops truncatus, che migliora la qualità di vita ma contempla anche programmi di nuoto con i delfini, durante i quali il pubblico può entrare nelle vasche e nuotare con loro. Ma secondo le ricerche condotte dagli esperti della Fondazione Bellerive, questi programmi sono pericolosi sia per gli uomini (negli Usa ci sono diversi incidenti documentati) sia per gli animali, che già vivono in una situazione di stress. Per dirimere la controversia e trovare un punto di incontro che salvi i delfinari ma anche il benessere dei delfini, si è ricorsi alla soluzione tradizionale: un gruppo di studio interdisciplinare... [mar. v.]


CONFERENZA MONDIALE DI RELATIVITA' Una teoria indistruttibile E' sempre uscita indenne da tutte le verifiche
AUTORE: REGGE TULLIO
ARGOMENTI: FISICA, CONFERENZA, MONDIALE
LUOGHI: ITALIA, FIRENZE (FI)
NOTE: CONFERENZA MONDIALE DI RELATIVITA' TEMA: CONFERENZA MONDIALE DI RELATIVITA'

LA teoria della relatività è apparsa per la prima volta sulla scena nel 1905 con un famoso lavoro di Einstein, all'epoca oscuro funzionario dell'ufficio brevetti di Berna, che aveva un titolo poco invitante: «L'elettrodinamica dei corpi in moto». In questa prima versione della teoria, detta «Relatività ristretta», si consideravano solamente moti uniformi in assenza di campi gravitazionali. Questa limitazione fu poi superata nel 1917 ad opera dello stesso Einstein con la creazione della Relatività generale, una teoria che può trattare in linea di principio campi gravitazionali arbitrariamente intensi in cui si muovono corpi relativistici, ossia corpi la cui velocità è una frazione apprezzabile di quella della luce. La relatività generale fu considerata da Einstein come il primo passo verso una teoria unificata in cui campi gravitazionali e elettromagnetici dovevano far parte di un tutto unico, ma nessuno dei tentativi compiuti con grande tenacia da Einstein dal 1930 fino alla sua scomparsa nel 1955 giunse a maturazione. L'idea fondamentale di Einstein è che la materia incurva lo spazio e che la forza gravitazionale è la manifestazione più evidente di questa curvatura. Per tornare ad una immagine molto popolare, se poniamo una biglia pesante su di un telo elastico e ben teso questo si deforma e si incurva. Ponendo accanto un'altra biglia ognuna delle due tende a cadere nella infossatura creata dall'altra e la deformazione del telo appare a tutti gli effetti come una forza tra le biglie che è l'esatto analogo della forza gravitazionale. Sono passati poco meno di ottant'anni dalla creazione della teoria che è stata sottoposta a controlli osservativi sempre più stringenti da cui è uscita indenne, in termini popperiani non è stata ancora falsificata. In tempi più recenti sono state proposte numerose generalizzazioni della teoria originale, quasi tutte basate sul concetto di stringa. In sostanza si ritiene che la relatività generale sia a sua volta una forma estremamente semplificata di una classe di teorie molto più complessa, in cui la struttura del gravitone (quanto gravitazionale) assomiglia a quella di una stringa o corda di dimensioni molto più piccole di quelle atomiche ed in rapidissimo movimento. La complessità formale e l'astrazione di questa classe di teorie pongono difficoltà formidabili anche agli esperti. Se anch'esse dovessero avere successo occorrerà, nella migliore delle ipotesi, attendere molti anni prima di giungere a un controllo sperimentale. Di grande interesse sono le implicazioni cosmologiche della teoria culminate nel modello del Big Bang. In sostanza si ritiene che l'universo attuale sia riempito uniformemente di materia che lo incurva e gli impartisce una forma globale che può essere descritta come una ipersfera, ossia una sfera con una dimensione in più rispetto a quella ordinaria oppure come un altro ente, lo spazio iperbolico, che è curvo ma di estensione infinita. Inoltre l'universo si espande continuamente mantenendo intatte le proporzioni reciproche. La forma esatta dell'universo e il suo ritmo di espansione dipendono dalla densità media di materia in esso contenuta e dal valore di H, la cosiddetta costante di Hubbie, che misura la velocità di espansione. Purtroppo esistono ancora notevoli margini di incertezza, dell'ordine del 50%, sia nella valutazione della densità di materia sia su H, ma si spera di poter ottenere dati molto più precisi per l'anno 2000 con lo Hst (Hubbie Space Telescope) ma anche con la nuova generazione di telescopi giganti in costruzione. Avvolta nella nebbia rimane l'evoluzione dell'universo nei primi istanti dopo il Big Bang. Godono grande favore le teorie che postulano una era inflattiva in cui l'universo si è espanso in progressione geometrica rimescolandosi nel contempo in modo da produrre l'attuale omogeneità nella distribuzione delle galassie. Il difetto fondamentale di queste teorie è la mancanza quasi assoluta di dati osservativi diretti; esse descrivono infatti un'epoca primevale in cui la materia esisteva in una configurazione molto diversa da quella attuale e la cui vera struttura è ancora ipotetica. Altri problemi di rilevante interesse riguardano la genesi delle galassie e la loro condensazione a partire dal plasma caldissimo che riempiva uniformemente l'universo in un'epoca che si può porre approssimativamente a circa un milione di anni dopo il Big Bang. Legata a questi temi è la presenza di materia oscura nelle galassie, di cui condiziona l'evoluzione e su cui conosciamo ben poco. Di grande interesse è lo studio di oggetti relativistici su scala stellare o anche galattica. Tra di questi il più noto è il buco nero di cui esistono numerosi candidati, moltissimi segnalati dallo Hst su scala galattica. L'ideale, attivamente perseguito, sarebbe la scoperta di un buco nero di cui si possano osservare in dettaglio la dinamica e l'evoluzione in modo da fare confronti stretti con la teoria. Di grande interesse è stata la scoperta, da parte di Hulse e Taylor, di sistemi binari composti da oggetti collassati, ossia da stelle nane o meglio ancora da stelle a neutroni che condensano la massa solare in una sferetta del diametro di una decina di chilometri. Oggetti del genere sono un laboratorio ideale per confrontare le predizioni della relatività generale con dati di altissima precisione. Finora la teoria è miracolosamente sopravvissuta a tutti i test osservativi, anche a quelli svolti nel nostro Sistema Solare e ha conservato intatto il fascino e l'ombra di mistero che l'avvolse al suo esordio. Le applicazioni della relatività generale coprono una scala di dimensioni che va dalle estreme dimensioni subatomiche, la cosiddetta scala di Planck, fino a quelle dell'intero universo e investe e lega tra di loro campi di ricerca apparentemente disparati. La teoria è anche entrata a far parte della tecnologia e impone correzioni essenziali nella decodifica dei segnali emessi dai satelliti usati per il sistema globale di posizionamento sulla Terra. Indietro non si torna. Tullio Regge Università di Torino


Appuntamento a Firenze
ARGOMENTI: FISICA, CONFERENZA, MONDIALE
LUOGHI: ITALIA, FIRENZE (FI)
NOTE: CONFERENZA MONDIALE DI RELATIVITA' TEMA: CONFERENZA MONDIALE DI RELATIVITA'

FIRENZE è stata scelta dalla Società italiana di relatività generale e fisica della gravitazione (Sigrav) per ospitare la quattordicesima Conferenza mondiale di Relatività. L'evento, al quale interverranno settecento studiosi provenienti da tutto il mondo (tra i quali Ehlers, Hawking, Nèeman, Penrose e Witten), si svolgerà dal 6 al 12 agosto. Collaborano all'organizzazione - curata da Mauro Francaviglia - le Università di Firenze e di Torino, l'Istituto nazionale di fisica nucleare, il Gruppo nazionale per la fisica matematica del Cnr e l'Istituto italiano di studi filosofici di Napoli. I lavori congressuali si terranno nella splendida cornice di Palazzo dei Congressi, interamente riservato per la manifestazione, mentre le attività sociali ad esso collaterali avranno luogo in ambienti storici di Firenze (Salone dei 500 a Palazzo Vecchio e Refettorio del Chiostro Grande di Santa Maria Novella). Per l'occasione le Poste italiane hanno preparato un francobollo commemorativo da 750 lire nel quale sono rappresentati Galileo e Einstein con accanto la cupola di Santa Maria del Fiore.


Quattro forze fondamentali
AUTORE: FRE' PIETRO
ARGOMENTI: FISICA, CONFERENZA, MONDIALE
LUOGHI: ITALIA, FIRENZE (FI)
NOTE: CONFERENZA MONDIALE DI RELATIVITA' TEMA: CONFERENZA MONDIALE DI RELATIVITA'

QUELLA gravitazionale è la più familiare fra le quattro forze fondamentali della natura. Ognuno ne fa quotidiana esperienza in ogni atto della propria vita. E' stata anche la prima forza a essere matematicamente inquadrata, già dal XVIII secolo, in una solida teoria scientifica tramite la legge di Newton: la storia della fisica moderna incomincia proprio con questa legge. Inoltre la Relatività Generale di Einstein, che fornisce un linguaggio adeguato alla descrizione del cosmo e dei fenomeni astrofisici e le cui previsioni sono sperimentalmente verificate con notevole precisione, è la moderna teoria dell'interazione gravitazionale. Tuttavia, quando si tiene conto dell'altra fondamentale conquista del pensiero fisico nel XX secolo, cioè della meccanica dei quanti, si scopre che quella gravitazionale è la più elusiva tra tutte le forze della natura. Nonostante quasi cinquant'anni di studi e ricerche e nonostante numerosi progressi concettuali, la gravità quantistica è un capitolo completamente aperto. Quali sono le intrinseche difficoltà inerenti a questo problema? Essenzialmente due, la prima sperimentale, la seconda concettuale. Data l'estrema debolezza della forza gravitazionale, che è circa dieci alla meno quaranta volte più tenue di quella elettromagnetica, i suoi effetti microscopici sono assolutamente trascurabili. Pertanto non vi è possibilità di osservare fenomeni quanto-gravitazionali se non in situazioni estreme dove la densità di massa ed energia è enorme come nei primi istanti di vita dell'universo. Informazioni fenomenologiche sulla gravità quantistica sono perciò umanamente inaccessibili. Dal punto di vista concettuale i problemi non sono meno ardui. Si tratta di conciliare in una nuova, più profonda, visione del mondo due idee guida estranee l'una all'altra: la geometrizzazione dell'universo fisico e l'integrale di cammino. Spieghiamoci. La fondamentale lezione della Relatività è che le leggi del moto dei corpi macroscopici devono spiegarsi in termini di concetti geometrici. Lo spazio-tempo, l'insieme cioè di tutti gli eventi, è uno spazio geometrico fornito di una legge per calcolare le distanze che, in matematica, si chiama metrica. Data una metrica, le traiettorie dei corpi massivi sono calcolabili. Viceversa, la presenza di massa ed energia (che è la stessa cosa) deforma la metrica a partire da quella più semplice dello spazio piatto. Se si sanno risolvere le opportune equazioni di autoconsistenza tutto è classicamente fatto. Classicamente, ma non quantisticamente! La lezione della meccanica quantistica è diversa. Il concetto stesso di traiettoria fisica viene meno. Una particella elementare non percorre una traiettoria definita, ma ha una probabilità di propagarsi da A a B che si calcola sommando in maniera opportuna su tutti i cammini che congiungono il punto iniziale con quello finale. Di qui il concetto di integrale di cammino. Ma vi è di peggio. Siccome per la meccanica quantistica i campi di forza e opportune particelle elementari sono manifestazioni complementari di una stessa entità e siccome la metrica è ciò che noi percepiamo come campo gravitazionale, ne segue che l'integrale di cammino va fatto pure sulle metriche, cioè sulle possibili leggi con cui definire le distanze e quindi le traiettorie. Come si vede, è un bel ginepraio! Lo spazio-tempo fisico non è più l'arena in cui avvengono i fenomeni fisici ma è una media statistica su tutti i possibili spazi geometrici pesata in modo opportuno. Come effettuare questa media pesata è il problema della gravità quantistica ed è tale da fornire materia di studio e riflessione per molti anni a centinaia di fisici. Nuovi progressi, però, avvengono costantemente e di tanto in tanto modelli semplificati del problema principale trovano una esatta soluzione. Pietro Frè Università di Torino


VULCANI Sale il livello del mare, scende la lava Ecco come il clima influisce sulle eruzioni
Autore: TIBALDI ALESSANDRO

ARGOMENTI: GEOGRAFIA E GEOFISICA, VULCANO, MARE, METEOROLOGIA
LUOGHI: ITALIA

SI è appena conclusa una ricerca multidisciplinare che ha coinvolto per due anni decine di scienziati italiani e inglesi nello studio dell'Etna e di numerose isole vulcaniche in attività o con eruzioni storiche, tra le quali Stromboli, Ischia e le isole Canarie. I risultati indicano che i vulcani si gonfiano lentamente durante la loro vita, oltre naturalmente a crescere in altezza per le eruzioni. La concomitanza dei due fattori può indurre un sovrappeso per l'edificio vulcanico, con conseguente crollo di porzioni del cono. Gli studiosi hanno osservato che in passato i crolli in alcuni vulcani sono arrivati a interessare addirittura ben la metà del volume dell'edificio e che queste catastrofi avvengono soprattutto quando vi sono variazioni del livello medio del mare. Come tutti i fenomeni naturali, la ricorrenza in passato di questi processi è un indicatore che potrebbero verificarsi anche in futuro. La ricerca è stata condotta nell'ambito del Progetto Mondiale per l'Ambiente - Unità per i Rischi Naturali e la Climatologia, sotto l'egida dell'Unione Europea. In Italia hanno cooperato geologi e vulcanologi soprattutto dell'Università di Milano e dell'Istituto Internazionale di Vulcanologia di Catania, affiancati da climatologi e vulcanologi di varie università inglesi. Per la prima volta infatti sono state ricercate le possibili correlazioni tra la storia eruttiva di numerosi vulcani e le variazioni climatiche delle ultime decine di migliaia di anni. Dall'ultima era glaciale, risalente a circa trentamila anni fa, la temperatura media globale è andata gradualmente aumentando, con alcuni periodi di inversione di tendenza, l'ultimo dei quali risale alla metà del secolo scorso. In questi ultimi trentamila anni, l'aumento della temperatura è stato accompagnato da un innalzamento del livello del mare di circa centoventi metri nel bacino mediterraneo. Gli scienziati hanno così scoperto una correlazione tra i periodi di maggiore e più veloce risalita del livello marino e quelli di particolare instabilità dei fianchi degli edifici vulcanici. Questa relazione si può spiegare con l'attività erosiva del mare che, salendo, scalza porzioni sempre più alte delle pendici del vulcano. In alcuni casi l'instabilità è arrivata a un punto tale da sfociare nel crollo di enormi porzioni del vulcano che, una volta cadute nel mare, hanno innescato onde alte decine di metri con gravi danni per le vicine zone costiere. Si è inoltre scoperto che questi collassi possono ripetersi più volte nel tempo. Tra un collasso e l'altro, il vulcano cresce in altezza per la normale attività dalla cima e si allarga gonfiandosi per ripetute intrusioni di magma all'interno del cono. In altre parole, grandi quantità di magma non riescono a raggiungere la cima dei vulcani e rimangono quindi intrappolate dentro gli edifici. In tal caso è necessario che si crei uno spazio fisico per permettere al magma di infilarsi e solidificare entro il cono e ciò avviene con lo spostamento a più riprese verso l'esterno dei fianchi del vulcano; in alternativa, come nel caso di Ischia, il magma può riuscire a sollevare lentamente la porzione centrale del complesso vulcanico. In entrambi i casi questi movimenti possono essere accompagnati da terremoti anche pericolosi per i centri abitati vicini, oppure innescare delle frane. Questi studi possono avere ricadute particolarmente utili se si pensa che tutti i vulcani attivi italiani sono insulari o collocati vicino alla costa. Inoltre, dei duecento vulcani che hanno dato eruzioni nel mondo negli ultimi quindici anni, più della metà è sul mare. Negli Anni 90, numerosi studiosi hanno cercato in tutto il mondo le evidenze di possibili collassi vulcanici, scoprendo che in media si è avuto un crollo catastrofico ogni 25 anni, l'ultimo dei quali ha interessato il vulcano americano St. Helens nel 1980. I crolli dei vulcani sono quindi eventi calamitosi tutto sommato rari, ma ciò che è importante monitorare sono le lentissime deformazioni dei loro fianchi. Nel caso dell'Etna, la combinazione delle ripetute intrusioni di magma al suo interno e la massa stessa del vulcano provocano deformazioni attive lungo zone ben conosciute dagli scienziati. Queste deformazioni sono lente dal punto di vista della scala temporale dell'uomo, in quanto sono dell'ordine di un centimetro all'anno. Se però manca una concreta pianificazione territoriale che tenga presente il dato geologico, si rischia di andare a costruire proprio in corrispondenza di una di queste strutture deformative attive. Alessandro Tibaldi Università di Milano


UNA SPECIE INGEGNOSA Il ragno con le ruote Record: un metro e mezzo al secondo
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ETOLOGIA, ZOOLOGIA, AMBIENTE
NOMI: GOULD JAY
LUOGHI: ITALIA

STEPHEN Jay Gould, il paleontologo di Harvard, si poneva qualche tempo fa l'interrogativo: perché le creature viventi non hanno evoluto piedi a forma di ruota? Sembra uno dei soliti paradossi alla Gould, ma non è una domanda peregrina. In realtà, per l'uomo la ruota è stata una scoperta rivoluzionaria che ha enormemente accelerato il cammino del progresso. Ed è legittimo chiedersi come mai la natura non ci abbia preceduto in questa invenzione, così come ha fatto invece in moltissime altre. Basti pensare all'elettricità, di cui fanno uso da tempo immemorabile molti pesci; alla luce inventata dalle lucciole e da una folla di animali marini; all'aria condizionata che le termiti usano nei loro nidi almeno da duecento milioni di anni; alla guerra chimica messa in atto da numerosissime specie animali. Senza parlare del volo degli insetti, degli uccelli o dei pipistrelli, che i nostri aerei riescono a imitare assai mediocremente, o del sonar dei pipistrelli, antesignano del nostro radar. Come mai, si domanda dunque Gould, non esiste nel mondo animale la locomozione a mezzo di ruote? Ebbene, un caso di locomozione di questo genere esiste. E anche se la scienza l'ha scoperto soltanto di recente, l'animale in questione è al mondo da molti milioni di anni. Si tratta di un ragno. Bisogna dire che l'universo dei ragni (36 mila specie conosciute e almeno altrettante, se non di più, ancora da scoprire) è una continua «boite à surprise». Ne ha dato un'idea la grande mostra aracnologica che si è tenuta nell'American Museum of Natural History di New York dal l7 marzo al 4 giugno di quest'anno. In quasi 400 milioni di anni di evoluzione, i ragni hanno conquistato tutti i continenti, fatta eccezione soltanto per l'Antartico. Hanno conquistato persino l'ambiente acquatico, pur essendo animali terrestri. Il ragno acquatico per eccellenza, l'Argyroneta aquatica, vive nelle acque stagnanti con l'addome rivestito da uno straterello d'aria che, trattenuto dalla fitta peluria del corpo, gli dà l'aspetto di una mobile gocciolina d'argento e gli consente di respirare. Un altro ragno, il Dolomedes fimbriatus, vive in terraferma, ma l'acqua è il suo terreno di caccia. Per andare a pescare si porta dietro anche lui una riserva d'aria come un sommozzatore. La tuta gassosa lo rende impermeabile e gli fornisce la riserva d'aria necessaria. Qualcuno confonde i ragni con gli insetti e nei Paesi anglosassoni un unico termine, «bug», contraddistingue ragni e insetti. In realtà i ragni, privi come sono di ali, antenne e occhi composti, ma provvisti di un ulteriore paio di zampe (ne hanno otto anziché sei), costituiscono una categoria completamente diversa. Il vero asso nella manica del ragno è la seta, anche se le larve di alcuni insetti sono capaci di fabbricarla. Ed è proprio nelle tele che si manifesta la loro incredibile creatività. Le ragnatele possono essere grandi come lenzuola, globose, a imbuto o di innumerevoli altre forme. Il ragno cammina molto velocemente con le sue otto zampe, ma sa anche volare. Se uno dei tanti ragni che non fabbricano ragnatele (circa la metà delle specie conosciute) vuole sfuggire a un predatore, attacca una goccia del suo fluido magico a un sostegno e si abbandona nel vuoto sospeso a un tenue ma solidissimo filo che si allunga man mano. Quando il pericolo è passato, risale come un ginnasta sulla fune e ritorna al punto di partenza. Vuole cambiare residenza? Tesse un filo di seta e lo libera nell'aria aspettando che si impigli in qualche sostegno, poi vi corre sopra e raggiunge il punto di arrivo. Vuole costruire una trappola per mosche e affini? Il suo laboratorio chimico in attività permanente gli fornisce la solita materia prima, il filo di seta con cui lui, architetto insuperabile, fabbrica il prodotto finito, la ragnatela. Ogni ragno personalizza il proprio capolavoro, firmandolo come fa un creatore di moda. Non esistono due tele perfettamente uguali. Ma la tela di ciascun individuo è più simile a quella dei genitori che non a quella di altri membri della stessa specie. Tutto questo è stato scoperto da aracnologi famosi come Peer Witt e Wesley Bergess della North Carolina State University o dai francesi Claude Nuridsany e Marie Prennou. Ma le scoperte non finiscono qui. La maggior parte delle specie attua un perfetto riciclaggio della materia prima. Si rimangia la propria tela ogni giorno e ne rifabbrica una nuova. Il bello è che sa calcolare esattamente le dimensioni da dare alla nuova ragnatela in base alla quantità di seta che ha mangiato. E se lo sperimentatore gli ruba un pezzetto di seta man mano che la tesse, il ragno corre subito ai ripari: modifica l'impalcatura in modo tale che la seta rimasta gli basti per completare una ragnatela più piccola. Di fronte a tanta ingegnosità, non deve stupirci che il ragno abbia saputo inventare anche la ruota. L'inventore si chiama Carparachne aureoflava, è un bellissimo ragno giallo oro di quattro centimetri, che vive in uno degli habitat più scomodi e inospitali della terra: il deserto del Namib in Sudafrica. Con l'ultimo articolo delle sue otto zampe ripiegato all'indentro in modo da formare un cerchio perfetto, il Carparachne rotola velocemente lungo i declivi delle dune. Lo zoologo John Henschel che l'ha studiato è riuscito a misurare la circonferenza della ruota, il numero delle rotazioni che il ragno compie e la sua velocità. Se la china è più o meno ripida, il ragno può accelerare la sua corsa dai 45 centimetri a un metro e mezzo al secondo. Aumenta in proporzione anche il numero delle rotazioni, che è in media di l37 all'ora, ma raggiunge le 44 al secondo se la pendenza supera i quindici gradi. Non tutti gli individui mantengono la stessa velocità. Quelli grossi sono più lenti e le femmine gravide che trascinano con sè il peso delle uova hanno un'andatura più traballante e insicura. Per sfuggire al sole del deserto, il ragno passa le ore del giorno nascosto in una tana sotterranea e solo la notte si mette a rotolare giù per le dune con la sua efficientissima ruota in cerca di insetti. Isabella Lattes Coifmann


ANIMALI ESOTICI Un'invasione poco pacifica Conflitti con le razze locali, che spesso soccombono
Autore: LAMBERTINI MARCO

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ETOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

SE il problema della trasmigrazione umana è sotto i riflettori di governi e pubblica opinione, passa invece quasi del tutto inosservato il transito di altri extracomunitari, non umani: quegli animali e quelle piante che, per varie vicissitudini e con alterna fortuna, approdano ai nostri lidi e qualche volta mettono su casa. Viaggi che poco meno di un secolo fa apparivano interminabili, oggi si compiono in poche ore e il pianeta appare più piccolo, mentre al seguito del moderno uomo viaggiatore c'è uno stuolo di altri accompagnatori viventi, più o meno desiderati. Inoltre il commercio mondiale cresce di anno in anno e nelle carlinghe degli aerei e nelle stive delle navi, con i carichi di frutta, pesce e legname, possono trovare un passaggio di migliaia di chilometri esseri più o meno piccoli, altrimenti confinati alla loro lontana porzione di mondo. Ci sono poi gli animali vivi, importati volontariamente per i più diversi scopi: la compagnia, le carni, le pellicce, la caccia, la pesca. Il risultato è una vera e propria rivoluzione della geografia zoologica del pianeta, con trasferimenti forzati attraverso mari e monti, lungo immensi percorsi che queste specie non avrebbero mai compiuto se non in migliaia o milioni di anni. Ma che fine fanno tutti questi animali, trapiantati in ambienti estranei? Per molti, il viaggio si interrompe prima ancora di giungere a destinazione: soccombono allo stress del trasferimento. Quasi tutti, comunque, hanno poche probabilità di sopravvivere nelle mutate condizioni ambientali. Nel carosello degli arrivi clandestini, delle fughe dalle gabbie di allevamento, delle «liberazioni» dei privati ormai stufi del problematico «pet», fra tanti insuccessi e destini infruttuosi di questi sfortunati animali, ogni tanto qualcuno ce la fa a sopravvivere allo stato libero. Purtroppo però non è cosa di cui compiacersi troppo. Più che trentennale è la storia della Nutria o Castorino, un grosso roditore acquatico a metà tra un topo e un castoro, che, promosso come un metodo sicuro per fare fortuna vendendone la pelliccia, ha dato origine a molti allevamenti e relative fughe. Il risultato è che oggi fiumi e laghi del centro Italia fino alla pianura Padana ospitano una popolazione forse più florida di quella che resiste in America latina, patria natia. E le nutrie sono ormai arrivate fino al Tevere e ai laghetti di Villa Pamphili, nel centro di Roma. Poi ci sono gli animalisti estremisti, che nottetempo aprono le gabbie degli allevamenti di animali da pelliccia liberando visoni, volpi argentate ed ermellini. Predatori esotici capaci, qualora sopravvivano e non muoiano di stenti, di produrre gravi squilibri nelle naturali e locali catene ecologiche. Legata a fughe pietistiche o a spicce liberazioni dalle gabbie da appartamento è invece l'origine delle colonie di parrocchetti, pappagallini ondulati, bengalini e pappagalli monaci che vivono nei boschi di varie località italiane, dal Friuli alla Toscana e ancora più a Sud. Importato per assurdi scopi venatori, il Silvilago o Minilepre è diffuso in molte aree, così come sono state lanciate e acclimatate coturnici orientali, fagiani asiatici, il Colino della Virginia, cinghiali della sottospecie nordeuropea. Questa, più grande ed esigente dell'originaria sottospecie mediterranea, spesso e volentieri entra nei coltivi provocando ingenti danni. Nei boschi del promontorio del Circeo vive segretamente una piccola popolazione di Mangusta indiana, nel Friuli ci si può imbattere nel Topo muschiato, mentre il Po e i suoi principali affluenti sono invasi dai voraci pesci Siluro, importati dal centro Europa e simili a enormi pesci gatto, dalle ragguardevoli dimensioni record di quattro metri per oltre duecento chili di peso, oggetto di nuove leggende ed emozioni nei paesi della «bassa». Un po' ovunque i carassi dorati, i popolari pesci rossi del lunapark, colorano le acque di stagni e laghetti, mentre tartarughe asiatiche, americane e anche l'aggressiva «azzannatrice» si scaldano al sole estivo sulle sponde di fiumi e laghi. In diverse aree sono state trovate le grandi rane toro, mentre in Sicilia un discreto Coccodrillo del Nilo è stato acciuffato mentre attraversava la strada, per non parlare della probabile decina di pantere, leopardi e puma che si aggirano, elusivi e riservati, in vari boschi italiani. Molti «pet» esotici diventano in fretta scomodi e impegnativi e i loro padroni finiscono per disfarsene dietro il pilatesco alibi morale del «torna libero, vedrai che ce la fai». Neppure i mari si sottraggono all'ondata extracomunitaria e l'Adriatico somiglia sempre più al mar d'Oriente. Il gambero giapponese Penaeus japonicus e la vongola delle Filippine Tapes philippinarum, importati per essere allevati, stanno invadendo coste e lagune e stanno soppiantando le specie indigene, meno prolifiche e resistenti. Se un simile panorama si dimostra curioso e simpaticamente emozionante, in realtà gli zoologi e i conservazionisti da tempo lanciano l'allarme. Possono verificarsi seri problemi ecologici quando questi animali esotici riescono a insediarsi e il rischio, ampiamente verificato, è che diventino predatori o competitori con le specie preesistenti o si accoppino con esse, creando ibridi e «inquinando geneticamente» le razze autoctone. Marco Lambertini


IL CONCETTO DI BIOREGIONE Sai da dove arriva l'acqua di casa tua? Lo sviluppo sostenibile è possibile solo sentendo come proprio il luogo dove si vive
Autore: CASTIGNONE SILVANA

ARGOMENTI: ECOLOGIA, AMBIENTE, ACQUA
NOMI: VAN NEWKIRK ALLEN
LUOGHI: ITALIA

UN nuovo concetto si è andato affermando nel pensiero ecologico, soprattutto americano, a partire dalla metà degli Anni 70: quello di bioregione. E' una nozione strettamente imparentata con quella di comunità biotica: significa che tutti gli esseri viventi - uomini, animali, vegetali - costituiscono un'unità organica, dotata di un valore proprio, superiore a quello delle singole parti: parti che stanno in strettissima relazione di interdipendenza tra di loro. Il termine bioregione è stato coniato nel 1974 dal canadese Allen Van Newkirk, che ne ha dato la seguente definizione: «Un luogo individuato dalle sue forme di vita, dalla sua topografia e dai suoi biotipi, e non dalle decisioni degli uomini: una regione governata dalla natura e non dalla legislazione». Un altro autore bioregionalista così si esprime: «Ogni bioregione è una parte della superficie della terra le cui frontiere sono approssimativamente determinate da fattori naturali più che dalla volontà umana». Una catena di montagne, una vallata, un fiume, unitamente a particolari condizioni climatiche, differenziano ogni porzione di territorio dalle altre, e favoriscono lo sviluppo di piante e animali assenti altrove. Di conseguenza anche le civiltà umane all'origine si sono evolute seguendo le linee e le possibilità naturali. L'idea di fondo del bioregionalismo è che, per realizzare lo «sviluppo sostenibile», sia necessario far riscoprire alla gente l'importanza delle caratteristiche peculiari del territorio su cui ciascuno vive. Occorre «reimparare a vivere nel luogo» (reinhabitation), reimparare a conoscerlo, a sentirlo. Proprio a tale scopo sono stati elaborati dei test, da diffondere soprattutto nelle scuole; ad esempio viene chiesto se si è a conoscenza del posto da dove proviene l'acqua che esce dal rubinetto di casa; oppure quali sono le piante commestibili e tuttora presenti nella propria regione; si devono elencare e descrivere almeno tre alberi tipici della zona e cinque specie di uccelli, sapere quali sono i primi fiori selvatici che fioriscono in primavera nei prati più vicini; e poi vengono poste numerose altre domande, del tipo «Dov'è il Nord?», «Dove vanno a finire le immondizie che produciamo?», e così via. Vi sono inoltre dei test più complessi, che hanno per oggetto la struttura economica del territorio, il trattamento del suolo, le tecniche di coltivazione, le risorse locali, il regime delle acque, i tipi di coltivazione e di allevamento. Naturalmente questo approccio può portare, come sovente accade nel pensiero verde, a sognare il ritorno a un mitico passato di piccole comunità autosufficienti, di tipo agricolo-pastorale, dai bisogni limitati e dalla vita frugale. Oppure può indurre a sostenere che ogni luogo ha le sue «leggi naturali» alle quali ci dobbiamo assoggettare, in modo quasi deterministico: finendo così per perdere di vista l'elemento più importante della civiltà umana, vale a dire la libertà e la creatività dell'uomo. Ma, se si evitano tali posizioni estreme, il bioregionalismo può risultare molto utile ai fini della difesa del territorio e del rafforzamento concreto del diritto all'ambiente. Il diritto all'ambiente è, fra i cosiddetti «nuovi diritti», uno di quelli maggiormente sentiti, a causa del livello di guardia ormai raggiunto dall'inquinamento e dal degrado ambientale. Tale diritto è legato vuoi a quello fondamentale alla salute, sancito dall'art. 32 della Costituzione, vuoi all'esigenza di conservare il più possibile integro, nelle sue bellezze naturali, paesistiche e culturali, l'ambiente che ci circonda. Si è addirittura pensato e proposto di modificare l'art. 9 della Costituzione relativo alla tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico della nazione, integrandolo con il riconoscimento del diritto all'ambiente per tutti i cittadini. Non va inoltre dimenticato che con lo sviluppo della civiltà industriale e con l'avvento degli agglomerati urbani si è di fatto verificato uno «scollamento» tra persone e territorio, soprattutto tra città e campagna. Ebbene, persino nelle grandi città si può, secondo i bioregionalisti, «ricominciare a coltivare il senso del luogo» da un punto di vista naturalistico, facendo ricerche (e qui ritorna l'importanza dell'educazione scolastica) per scoprire che cosa c'era prima della città medesima, quale tipo di terreno, di fauna, di flora, di economia: una specie di archeologia naturalistico-ecologica, capace di rafforzare l'attaccamento e l'interesse verso il proprio ambiente. Andare a ricercare quanta parte degli elementi originari siano ancora presenti nel territorio circostante può consentire anche di ricollegare la città con il suo retroterra e di ristabilire, nei limiti del possibile, il circuito città-campagna. Un altro aspetto positivo del bioregionalismo è la sua tendenza a combattere il fenomeno della monocoltura, tipico della nostra epoca, facendo riscoprire il gusto della varietà e la consapevolezza che la diversità biologica, anche all'interno dello stesso tipo di frutto, dello stesso cereale, è un bene prezioso, una ricchezza di vita che meritano di essere conservati. Silvana Castignone Università di Genova




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