TUTTOSCIENZE 22 febbraio 95


BATTAGLIA DI CIFRE La sfida auto-aereo Per quanto il jet vince in sicurezza?
Autore: BOFFETTA GIAN CARLO

ARGOMENTI: TRASPORTI, INCHIESTA, SICUREZZA, TECNOLOGIA, SONDAGGIO, AUTO, AEREI
ORGANIZZAZIONI: ICAO, US DEPT OF HEALTH, FATAL ACCIDENT REP. SYSTEM, TRAFFIC SAFETY ADMINISTRATION, GENERAL MOTORS
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: G. Confronto numero morti per miliardo di miglia auto-aereo

ARRIVATI all'aeroporto, in attesa dell'imbarco, eravamo finora certi di aver superato la parte più a rischio del viaggio: appunto il tragitto da casa all'aereo. Uno studio durato anni, fatto da Evans, Frick e Schwing, tre americani esperti di sicurezza dei trasporti, attingendo migliaia di dati dalle organizzazioni statali, dalle Compagnie aeree - dall'Icao all'Us Dept of Health, dal Fatal Accident Rep. System al Traffic Safety Administration - e dalla General Motors giunge a una conclusione molto diversa. Purtroppo lo studio riguarda solo gli Stati Uniti, dove i trasporti in aereo e in auto, che assorbono il 98 per cento di tutti i viaggiatori, sono i più sicuri del mondo. Finora si è accettato come indice di rischio il dato dei viaggiatori deceduti ogni miliardo di miglia percorse, che sono 0,6 per gli aerei e 24 per le auto ma i tre ricercatori dimostrano che questa «media» conduce a conclusioni errate per vari motivi. I passeggeri che stanno volando insieme in un aereo sono tutti uguali di fronte al rischio di morte mentre sono molto diversi tra loro (maschi o femmine, giovani o no, alcolizzati o sobri, abituati ad allacciare le cinture) i guidatori delle auto. Evans, Frick e Schwing hanno disaggregato una enorme massa di dati per categorie. Intanto hanno notato che i dati degli incidenti stradali comprendevano tutti i morti: i guidatori, i terzi trasportati, i pedoni investiti e i motociclisti, categoria molto più a rischio. Per riportare la statistica alla singola persona che sceglie il viaggio in auto (guidandola) o in aereo, hanno depurato il dato di 24,1 morti per miliardo di miglia percorse di quelli su elencati e dei guidatori di autocarri e autobus, giungendo alla cifra di 12,56 guidatori di auto deceduti ogni miliardo di miglia. Esaminando i dati suddivisi nelle 5 categorie si scopre che un maschio quarantenne che non beve alcolici, allaccia sempre le cinture e guida un'auto pesante 350 kg più della media ha 1000 (mille!) volte meno probabilità di morte rispetto a un giovane di 20 anni che beve alcolici, non allaccia la cintura e guida un'auto di 350 chilogrammi più leggera della media. Naturalmente i dati dello studio sono molto più dettagliati, il moltiplicatore 1000 vale solo tra i due estremi; ad esempio se alla guida dell'auto leggera c'è una giovane ventenne il rischio scende a un terzo. L'effetto alcol è molto importante (aumenta di 9 volte la probabilità di un incidente mortale) mentre è meno influente l'avere la cintura non allacciata (3 volte). Molto importante è il peso dell'auto: eravamo molto più sicuri quando tutti avevano la «600»; e molto influisce l'età, con un massimo pericolo per i maschi tra i 18 e 20 anni. Combinando tutti questi dati, si può riassumere il risultato in un diagramma che confronta la probabilità di morte tra un viaggio in auto e lo stesso in aereo per un guidatore di 40 anni che non beve, guida con la cintura allacciata un'auto più pesante di 350 chilogrammi della media. Fino a 600 miglia (circa 900 chilometri) risulta più sicura l'auto, poi, per viaggi più lunghi, l'aereo. Ma ciò vale solo per il guidatore «migliore», per il peggiore (20 anni, bevitore, auto leggera, senza cintura) occorrerebbe un diagramma 300 volte più alto per tracciare la sua linea orizzontale. I tre ricercatori concludono: 1) per un guidatore intorno a 40 anni, maschio o femmina, che guidi con la cintura la sua auto più pesante della media senza aver bevuto alcol, il rischio di morte in un viaggio fino a 480 km è la metà di quello che incontrerebbe scegliendo l'aereo; 2) per un guidatore di 20 anni, con auto più leggera, senza cintura e che beve moderatamente, il rischio è 1000 volte maggiore e quindi sempre molto superiore a quello che incontrerebbe viaggiando in aereo. Un anno dopo la pubblicazione, il rapporto è stato contestato da Bennett, professore al Mit di Boston, il quale sostiene che è sempre più sicuro l'aereo perché non si è considerato che vi sono aerei più sicuri (i jet rispetto a quelli ad elica) e che verso la fine di un viaggio lungo, stanchezza e disattenzione aumentano il rischio per il guidatore. Bennett ritiene che, come i tre ricercatori hanno disaggregato i dati per differenti categorie di guidatori, lo stesso debba esser fatto per gli aerei e le Compagnie e, utilizzando una gran massa di dati giunge alla conclusione che l'auto, pur guidata dal «miglior» guidatore, è più sicura solo per viaggi fino a 130 miglia, ma per queste distanze è praticamente impossibile usare un jet di linea. E per ogni ora risparmiata viaggiando in jet anziché in auto statisticamente si guadagnano 67 secondi di vita. Ora Evans, Frick e Schwing hanno ribattuto scendendo ancor più nel dettaglio dei dati per dimostrare che l'auto è più sicura fino a 600 miglia. Ad esempio hanno calcolato l'incidenza dei due viaggi in auto che il viaggio aereo comporta e questi sono sovente da aggiungere alla lunghezza del volo. Per andare a Roma da Torino occorre aggiungere il doppio del tragitto Torino-Caselle (uno in auto e uno in aereo) perché Caselle è in direzione opposta alla Torino-Roma. Sembra così che vi sia ancora ampio spazio per ottenere dati statisticamente più sicuri e alla fine sembra che la conclusione più vicina alla verità sia quella di Feinstein, professore di epidemiologia: «La statistica è come un bikini indossato da una bella ragazza: ciò che mostra è già interessante ma ciò che ancora nasconde lo è molto di più». Gian Carlo Boffetta


BOTANICA Quei fiori venuti dal freddo
Autore: VIETTI MARIO

ARGOMENTI: BOTANICA, METEOROLOGIA
LUOGHI: ITALIA

I cambiamenti climatici susseguitisi nelle ere geologiche hanno determinato l'evoluzione vegetale: gli alberi che oggi vivono nelle zone temperate, dove le temperature invernali scendono sotto lo zero, hanno dovuto adattarsi a queste variazioni. Queste piante sono perfettamente programmate, grazie all'esperienza dei loro antenati, a sopportare le variazioni di temperatura stagionali. Quindi una pianta trapiantata in una zona climatica diversa verrà a trovarsi in condizioni precarie. Un albero di una zona fredda, portato in un clima subtropicale, probabilmente non schiuderà le sue gemme perché ha bisogno di un periodo freddo. Come fanno le piante a sopportare un gelo fino a parecchi gradi sotto lo zero? La risposta è che sono diversi gli accorgimenti messi in atto per superare questa difficoltà. Ad esempio alcune piante per ridurre le perdite d'acqua lasciano cadere le foglie, che con le loro lamine sottili e delicate non sarebbero in grado di superare i rigori dell'inverno. Le gemme si rivestono di una serie di foglioline trasformate di aspetto scaglioso talvolta ricoperte da secrezioni resinose o in altri casi da fitta peluria; queste protezioni sono indispensabili per resistere agli sbalzi termici. Nei mesi più freddi si ha un rallentamento dell'attività vegetativa e aumenta la pressione osmotica; in questo modo quasi tutti gli alberi delle regioni temperate sopportano il completo congelamento durante il riposo invernale. Le gelate primaverili, invece, colgono le piante in un momento in cui sono sprovviste di questi sistemi di difesa. Gravi danni si possono avere dalla siccità invernale: quando il terreno è gelato le radici non possono assorbire acqua, mentre, anche solo dai rami senza foglie, le piante perdono acqua per evaporazione a causa dell'aria secca e del vento. Il gelo però non è da considerare un nemico delle piante; tutta la loro evoluzione si è svolta in condizioni di clima costantemente e ripetitivamente mutevole. Quindi il variare delle stagioni, con relative variazioni di temperatura e illuminazione, è la condizione normale per il loro sviluppo. Nei climi temperati le gemme esigono un periodo freddo perché sia possibile il loro risveglio. Le basse temperature sono necessarie per sbloccare lo stato di quiescenza indotto dal raccorciamento dell'illuminazione giornaliera nella precedente stagione vegetativa. Il periodo di freddo unito ai giorni brevi consente alle piante di realizzare un processo chiamato di «vernalizzazione» che permetterà poi la fioritura. Questi processi hanno sede nelle cellule meristematiche delle gemme e da qui lo stimolo viene trasmesso a tutte le altre parti della pianta. E' evidente l'importanza di conoscere bene le caratteristiche delle piante per poterle trattare in modo proprio e per difenderle il più possibile dai continui attacchi che vengono loro apportati. Questi organismi aiutano l'uomo a vivere sulla Terra e con la loro produzione di ossigeno sono indispensabili per il proseguimento della vita; sono anche preziosi per lo smaltimento rallentato delle acque piovane. Nei boschi una quantità notevole di acqua piovana si ferma sulle foglie e nel primo strato del terreno; scenderà a valle lentamente evitando accumuli improvvisi che provocano le ondate di piena tristemente attuali. Vista l'importanza delle piante, è bene cercare di assecondarle tenendo conto delle loro caratteristiche e delle loro esigenze: luogo di provenienza, clima, terreno, esposizione, accrescimento, resistenza al freddo. Mario Vietti


IMPARARE DIVERTENDOSI Sull'ottovolante con il professore di fisica Carnevale, gravità e forza centripeta sperimentate al lunapark
Autore: ROCCUZZO BRUNO

ARGOMENTI: FISICA, GIOCHI, TECNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

IL carnevale offre a molti l'occasione di tornare al luna- park. Tra le attrazioni non mancano mai quelle giostre nelle quali si prova l'ebbrezza della sfida alle leggi della natura. Sono divertimenti studiati in base ad alcune semplici regole di fisica che possono anche rilevarsi un originale strumento didattico. Un tipico esempio è costituito dal rotore, che viene a volte chiamato Enterprise. E' un grande cilindro cavo che ruota attorno al proprio asse. Le persone entrano e si dispongono in piedi ferme contro la parete. Il rotore comincia a girare aumentando la velocità. A un certo punto, il pavimento sotto la stanza si apre, senza però che nessuno caschi giù. Questo perché, per ogni passeggero, il peso è bilanciato dalla forza di attrito tra il proprio corpo e il rotore, la quale è a sua volta proporzionale alla forza centripeta (il termine di proporzionalità è noto come coefficiente di attrito statico, e lo indicheremo con la lettera a). La minima velocità di rotazione necessaria a impedire la caduta della persona dipende da a ed è tanto maggiore quanto maggiore è il raggio della stanza. Ad esempio, per un rotore del diametro di 4 metri e prendendo per a un valore tipico pari al 0,3, si trova che la velocità deve essere superiore ai 30 chilometri all'ora, che corrisponde a poco più di un giro ogni due secondi. Gli ottovolanti costituiscono invece un buon laboratorio per lo studio del principio di conservazione dell'energia. All'inizio si porta il carrello fino al punto più elevato, ad esempio con l'ausilio di un motore elettrico. In questo modo l'energia elettrica viene trasformata in energia potenziale. Il carrello quindi comincia a scendere, e acquista via via velocità, ossia energia cinetica, consumando la sua energia potenziale. Nel punto più basso la sua energia potenziale si annulla, per aumentare nuovamente quando il carrello risale di nuovo. Poiché una parte dell'energia si perde per attrito, il profilo delle montagne russe deve essere sempre tale che ogni cima sia un po' più bassa della precedente, a meno che non si faccia a un certo punto un «rifornimento» di energia trainando su il carrello nuovamente con l'aiuto di un motore esterno. Alcuni ottovolanti di dimensioni maggiori fanno uno o più giri completi attorno a se stessi («giro della morte»). A metà giro, quando i passeggeri sono a testa in giù, il carrello, per poter rimanere attaccato ai binari, deve avere un'eccelerazione centripeta maggiore dell'accelerazione di gravità g. Per i più curiosi diremo che, se si trascura l'attrito, questa condizione è soddisfatta se la velocità nel punto più in basso è maggiore della radice quadrata di 5gR, dove R è il raggio della circonferenza percorsa. Ad esempio se R = 8 metri il carrello deve affrontare il giro della morte a oltre 70 chilometri all'ora. Che cosa succederebbe se la velocità fosse di poco inferiore? Il carrello salirebbe fino a una certa quota e si staccherebbe dai binari prima di arrivare in cima descrivendo un arco di parabola e ricadrebbe rovinosamente sui binari più in basso. Una giostra che ha avuto fortuna negli ultimi anni è il Va scello, una nave che viene sollevata e quindi fatta dondolare sotto l'azione del proprio peso, mentre chi vi sta dentro ha l'impressione di essere lanciato nel vuoto. E' noto dalla fisica che per un individuo che cade liberamente non esiste alcun campo gravitazionale. Se questi lascia cadere dei corpi, essi rimangono fermi rispetto a lui, dunque egli non dispone di elementi oggettivi che gli consentono di stabilire che si trova in caduta libera in un campo gravitazionale. Questi semplici ragionamenti furono definiti da Einstein il pensiero più felice della sua vita ed ebbero un ruolo importante nello sviluppo della teoria della relatività generale. Tornando a noi, occorre precisare che chi sta sul Vascello non prova realmente il volo in caduta libera, poiché la traiettoria non è verticale ma curva. Se qualcuno volesse provare questa sensazione e non avesse il brevetto di paracadutista, potrebbe ad esempio fare un giro sullo SkyScreamer del parco di divertimenti di Astroworld, in Texas. E' un ascensore che scende in caduta libera dall'altezza di 30 metri. Non credo che dopo il volo avrete ampliato le vostre conoscenze di relatività generale, ma quasi certamente rinuncerete a fare un altro giro. Bruno Roccuzzo


SCAFFALE Biancotti Augusto: «Le metamorfosi della terra», Giunti
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: GEOGRAFIA E GEOFISICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

LA geografia fisica è una scienza affascinante perché il nostro è un pianeta vivo, continuamente plasmato dall'acqua, dall'aria, dal calore che nasconde nelle sue viscere. Eppure a scuola ben poco si fa per trasmettere agli studenti l'interesse verso questi temi. Rimedia ora un bel libro di Augusto Biancotti, professore di geografia fisica all'Università di Torino. Climatologia, desertificazione, vulcanologia, sismologia. Sono pagine fitte di curiosità e di informazioni poco note al grande pubblico, e il fatto che poi queste informazioni siano ordinate in capitoli sistematici e scientificamente rigorosi non toglie nulla, anzi, alla piacevolezza della lettura. Qualche notizia tratta a caso spigolando tra le pagine? Sedimenti: ogni minuto sotto il Ponte Vecchio a Firenze è come se passasse un camion carico di terra. Piene del Po: la prima di cui si abbia una testimonianza risale al 108 avanti Cristo. Calore endogeno: la massima emissione si ha sul fondo del Pacifico (100 milliwatt per metro quadrato), la minima tra Canada e Groenlandia (30 milliwatt).


SCAFFALE Rivieccio Giorgio: «Enciclopedia cronologica delle scoperte e delle invenzioni», Rusconi
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Si incomincia con l'anno 1500, quando Aldo Manuzio, tipografo veneto, crea i caratteri corsivi e stampa i primi libri economici. Di 11 anni dopo è il primo orologio da tasca, opera dell'olandese Piet Henlein. L'ultima data è il 1 settembre 1994, quando per la prima volta un computer ha battuto un grande campione di scacchi. E' l'«Enciclopedia cronologica delle scoperte e delle invenzioni», una agile, puntuale e comodissima sintesi del progresso scientifico e tecnologico che non dovrebbe mancare in nessuna casa e che ogni studente dovrebbe avere con sè. Giorgio Rivieccio aveva curato quest'opera, originariamente in due volumi, per la rivista mensile «Scienza e vita». Nel ripresentarla, l'ha aggiornata e vi ha aggiunto tabelle e tavole didattiche. Due indici minuziosi rendono facile la consultazione.


SCAFFALE Nuland Sherwin B.: «Come moriamo», Mondadori
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Non è un libro dal tema attraente. Si parla della morte. Eppure è la morte a dare un significato alla vita. L'autore, un medico che gode della stima di Oliver Sacks, si è assunto il compito ingrato di passare in rassegna le molte sfaccettature della morte: dall'infarto all'Alzheimer, dal cancro all'Aids, dal suicidio all'eutanasia.


SCAFFALE Ricci Giancarlo: «Le città di Freud», Jaca Book
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: PSICOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Quaranta città abitate o visitate da Freud, raccontate attraverso gli scritti e le lettere di Freud. Vienna, Parigi, Berlino, Roma, Atene, Londra, le metropoli americane. Un «diario di viaggio» involontario, che illumina il percorso biografico e intellettuale del fondatore della psicoanalisi.


SCAFFALE Bonnier Gaston: «La grande flora a colori», Jaca Book
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: BOTANICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Se volete fare un regalo magnifico (ed economicamente impegnativo) a un appassionato di botanica, donategli questi tre volumi di Gaston Bonnier. Nato nel 1843, professore alla Sorbona, studioso in particolare dell'adattamento delle piante all'ambiente, Bonnier incomincia a studiare le piante a 16 anni e concepisce il progetto di un grande atlante del mondo vegetale centro-europeo. L'impresa ci riempie ancora oggi di ammirazione.


SCAFFALE Feynman Richard: «Six easy pieces», Addison-Wesley Publishing Company
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: FISICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Richard Feynman, premio Nobel per la fisica, fu geniale in tutto, anche come maestro. Le sue mitiche lezioni al California Institute of Technology (1961- '62) sono ora disponibili in volume e in sei cassette. Ascoltarle è un'emozione per il cuore e una gioia per l'intelligenza. Piero Bianucci


PIPISTRELLI A partorire ti aiuto io Un'ostetrica nelle grandi sale-parto
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ETOLOGIA, ZOOLOGIA, ANIMALI
NOMI: KUNZ THOMAS
LUOGHI: ITALIA

SAPEVAMO che tra gli elefanti e alcuni delfini esistono le ostetriche, femmine che danno una mano alle gestanti nel momento cruciale del parto. Ma nessuno immaginava che una simile assistenza alle partorienti ci fosse anche nella comunità dei pipistrelli. L'ha scoperto lo zoologo americano Thomas Kunz dell'Università di Boston, osservando una colonia di pipistrelli frugivori della specie Pteropus rodricensis tenuti in cattività in Florida. Per inciso, osserviamo che si tratta di una specie in allarmante declino numerico, che esiste allo stato libero soltanto nella piccola isola di Rodrigues, cinquecento chilometri a Est dell'isola Mauritius. Per tre ore lo zoologo e la sua equipe assistono a una scena a dir poco edificante. Una femmina gravida si aggrappa con gli artigli dei piedi e dei pollici a uno degli angoli superiori della gabbia, tenendo il corpo non penzoloni, ma quasi orizzontale. Una compagna le si mette accanto e l'assiste. Se la partoriente cambia posizione, appendendosi a testa in giù, l'assistente le mostra sollecitamente come deve disporsi per partorire e la futura madre ubbidisce ai suoi suggerimenti. Tiene gli arti posteriori notevolmente divaricati e il patagio, la membrana che le fa da ala, piegato verso la parte anteriore del corpo a formare una sorta di tasca sotto il ventre. La femmina flette con crescente frequenza il capo verso l'addome, come in preda alle doglie. A questo punto l'ostetrica lecca e accarezza la regione genitale della compagna in travaglio e non appena il piccolo incomincia a emergere dal corpo materno, lo accarezza e l'aiuta ad arrampicarsi fino al capezzolo. Kunz ritiene che si tratti di una primipara inesperta che ha bisogno di essere aiutata. In natura è molto difficile assistere al parto dei pipistrelli, perché le femmine di questi straordinari mammiferi volanti tendono a nascondersi nelle caverne più inaccessibili nella fase delicata della vita in cui madri e neonati sono particolarmente vulnerabili. Ma è assai probabile che anche in natura, nelle affollate sale parto dove si radunano centinaia o migliaia di femmine gravide, le ostetriche siano tutt'altro che infrequenti. Quando sono prossime al parto, le femmine dei pipistrelli si radunano in enormi colonie entro caverne o grotte che offrano particolari condizioni di privacy e di sicurezza. Alcune specie compiono viaggi di centinaia di chilometri per raggiungere ben precise «sale parto», come la Bracken Cave, a Nord di San Antonio, nel Texas. Qui ogni primavera giungono milioni di pipistrelli. All'imbrunire la caverna si svuota lentamente. Ci vogliono circa quattro ore prima che sia uscito l'ultimo mammifero alato. Vista da lontano, quella massa di pipistrelli in esodo sembra un fumo nero che esce dalla bocca della grotta. I chirotteri partono a caccia di insetti. L'enorme colonia insediata nella Bracken Cave - venti milioni di individui - consuma ogni notte 150 tonnellate di insetti. Un insetticida davvero straordinario, oltremodo benefico per l'agricoltura della regione. I parti, nella colonia texana, avvengono nel mese di giugno. Ciascuna femmina mette al mondo un solo piccolo. Subito dopo il parto, la madre allatta il neonato, poi lo deposita nella nursery, dove il pipistrellino si trova in mezzo a una folla di coetanei. Nel chiuso della grotta, le migliaia di piccoli corpi caldi e la decomposizione dei loro escrementi - che formano il guano - fanno innalzare la temperatura fino a un centinaio di gradi. Quella caverna diventa per i neonati una magnifica incubatrice naturale. La madre va ad allattare il suo piccolo due volte al giorno, di solito nel pomeriggio, prima di allontanarsi per la battuta di caccia, e la mattina quando ritorna dal viaggio di approvvigionamento. La poppata dura circa cinque minuti. I piccoli vengono svezzati dopo cinque settimane. A quell'età sono già caduti i denti di latte e la dentatura definitiva consente loro di passare alla dieta insettivora. Però il patagio, la membrana alare che si stende tra le allungatissime dita degli arti anteriori (pollice escluso) e quelli posteriori, è solo parzialmente sviluppato. Il pipistrellino al suo primo volo ha una superficie alare che equivale al venti per cento di quella dell'adulto. Di conseguenza ha un volo goffo e insicuro. Acquisterà maggior sicurezza man mano che gli si svilupperà il patagio. E dovrà essere in grado di catturare un numero di insetti tale da fornire carburante a un ritmo cardiaco di 1100 battiti al minuto. Gli studiosi si sono chiesti come faccia la madre di ritorno alla grotta a riconoscere il proprio figlioletto, in quella marea di corpicini rosei e glabri che all'occhio umano sembrano tutti uguali. E hanno scoperto che il riconoscimento del piccolo avviene attraverso due canali: quello acustico e quello olfattivo. I pipistrelli, com'è ben noto, hanno un ricco linguaggio ultrasonoro. Ma per quanto i loro richiami abbiano generalmente una frequenza superiore a quelle che il nostro orecchio riesce a percepire, piccoli e adulti emettono spesso suoni che sono parzialmente udibili. Analizzando questi suoni, si è potuto accertare che quando una femmina arriva nella nursery, emette una serie di richiami mentre si fa largo nella massa dei pulcini alla ricerca del suo. Fatti pochi passi, si ferma, lancia di nuovo il richiamo, poi prosegue. Ma, durante la faticosa avanzata nella folla delle creaturine, succede un fatto singolare: si fa avanti qualche ladro di latte che cerca di avvicinarsi ai suoi capezzoli. La femmina protegge le mammelle con il patagio e quando qualche piccolo estraneo cerca proditoriamente di avvicinarsi, di solito lo respinge vigorosamente, graffiandolo con gli artigli. Ma non sempre ci riesce. E accade magari che mentre lei, dopo aver finalmente annusato e trovato il figlioletto, solleva il patagio e lo fa attaccare a un capezzolo, un piccolo intruso ne approfitti per attaccarsi all'altro. Isabella Lattes Coifmann


SORPRENDENTE EFFETTO MAREA Grazie, Luna, ti dobbiamo la vita Aiutò le reazioni chimiche nel brodo primordiale
Autore: CANUTO VITTORIO

ARGOMENTI: CHIMICA, ASTRONOMIA
NOMI: MILLER STANLEY, FOX SIDNEY
LUOGHI: ITALIA

IL laghetto caldo di cui parlava Darwin, il brodo primordiale, dove si immagina che siano avvenute le prime reazioni chimiche alla base della vita, è stato più volte riprodotto in laboratorio dal 1953, quando Stanley Miller dimostrò che usando gas per lo più velenosi e/o maleodoranti come acido solforico, cloridrico, metano e maltrattandoli con una serie di torture tipo scariche elettriche, ne uscivano prodotti quanto mai benigni: aminoacidi. Non già aminoacidi generici, ma proprio quei pochi che i biologi ci dicono essere alla base dell'edificio della vita. Molti altri scienziati hanno ripetuto questo tipo di esperimento con «torture» sempre più sofisticate; il risultato non cambia. Più recentemente si è anche scoperto che se per qualsiasi ragione queste reazioni non dovessero verificarsi, si può sempre pensare a una pioggia di meteoriti, poiché questi gitani del sistema solare sono generosamente dotati di aminoacidi, come dimostrò quello caduto a Murchison, in Australia, nel 1969. Per non contare l'abbondanza di molecole organiche interstellari che i radioastronomi vengono scoprendo ormai da anni. Quindi, non c'è carenza di «mattoni biologici». Data l'assoluta mancanza di spettacolarità o unicità in tale fase, si è spesso concluso che il fenomeno vita può (deve) essere quindi molto comune in questo universo e... in altri siti, come dice Dulcamara nell'Elisir d'Amore. Tutto risolto, dunque? «Not so fast, Watson, not so fast», ammoniva Sherlock Holmes. Avere i mattoni è cosa giusta e lodevole, ma lo è altrettanto l'avere la calce per tenerli uniti. E qui cominciano i dolori. Dati due aminoacidi, bisogna trovare il modo di attaccarli per fare il prodotto seguente, le proteine. In laboratorio questo avviene facendo perdere una molecola d'acqua a due aminoacidi, che formano così un peptide bond. Si scaldano gentilmente gli aminoacidi, come fa per esempio Sidney Fox dell'Università di Miami. Fu facile fare questo passo circa tre miliardi di anni fa? Ci sono due scenari: se l'atmosfera della Terra fosse stata ricca di ossigeno molecolare (due atomi di ossigeno), sarebbe esistito anche uno strato di ozono (tre atomi di ossigeno) che avrebbe protetto tali fragili aminoacidi dalla micidiale radiazione ultravioletta. Quindi ben venga l'ossigeno? No, perché l'ossigeno ossida, basti pensare a quanto rapidamente il burro diventa rancido, o a quello che succede all'argenteria lasciata all'aria, o se siete più poetici, al colore del Gran Canyon, un'ossidata gigantesca. Quindi, la minor quantità di ossigeno possibile. Questo lo sapevamo già dal 1953 quando Miller dimostrò che in presenza di ossigeno le famose reazioni non avvenivano. Fra i due mali, ossigeno o radiazione ultravioletta, è meglio scegliere la seconda poiché c'è una scappatoia; nascondersi sott'acqua. Lì si pensa che si siano astutamente rifugiati i primi aminoacidi e sia iniziata la vita (non a caso le lacrime sono salate e il contenuto salino del nostro sangue è su per giù uguale a quello dell'acqua di mare). Risolto un dilemma, ne appare un altro: come fanno due aminoacidi a perdere una molecola d'acqua stando in acqua? Bisogna escogitare un altro trucco: vivere in acqua sì, ma venirne fuori ogni tanto per asciugarsi, perdere una molecola d'acqua, formare una proteina e poi rifugiarsi di nuovo sott'acqua, il tutto in barba alla radiazione ultravioletta. Qui ci vuole un aiuto esterno che faccia trovare sotto i piedi una spiaggia asciutta per un po' di tempo. Le basse maree, grazie tante. Chi le causa? La Luna, che quindi acquista un ruolo fondamentale in tutto questo minuetto di incontri, legami e fughe al chiar di Luna degne dei miglior romanzi di appendice. La Terra poverina da parte sua cercò di aiutare: infatti, il giorno di allora non era di 24 ore ma di 8-9 ore, quindi maree molto più frequenti, il che va benissimo perché serve ad aumentare l'efficienza del processo. Può essere interessante notare che la lunghezza del giorno continua ad aumentare anche oggi: 2 millisecondi al secolo. Poiché il sistema Terra-Luna è un sistema isolato, la perdita di rotazione (di momento angolare per essere precisi) della Terra deve essere compensata dalla Luna il cui periodo di rivoluzione aumenta e, per le leggi di Keplero, la sua distanza da noi cresce di circa 2 centimetri all'anno. Non più Luna, se ne sta andando, ma non senza aver fatto il suo dovere. Ne soffriranno gli amanti, i poeti, ed altre creature dai sentimenti gentili. Ritorniamo alla Luna. Chi è costei, da dove viene? Francamente sappiamo più sulla vita privata dei quark e dei neutrini che sull'origine della Luna. Due fatti incontrovertibili: non è fatta di antimateria come dimostrò l'atterraggio dell'Apollo 11 sul Mare Tranquillitatis nello storico luglio del 1969 e non è stata generata da un rigurgito della Terra poiché le pietre lunari sono coeve alla Terra (una volta si pensava che fosse stata partorita dall'Oceano Pacifico). Ma quale altro pianeta ha un satellite naturale così grande, così vicino (nel passato era ancora più vicino), tale da influenzare l'evoluzione della vita in un modo così fondamentale? La Luna non è un satellite comune e quindi prima di concludere che la vita è un fenomeno trivialmente ripetibile e ripetuto in tutto l'universo, bisogna poter rispondere a un'altra domanda. Da dove viene la Luna? E' vero che nell'Universo ci sono circa 1023 stelle (più o meno il numero di Avogadro, tanto per non essere campanilisti!), è anche vero che pur scartando quelle stelle che ruotano troppo in fretta, quelle che sono troppo calde, quelle che sono troppo fredde, e così via, rimane pur sempre un numero astronomico di possibili sistemi planetari, ma la domanda cruciale continua ad essere: quanti di questi hanno una Luna? Il genetliaco più attendibile ci dice che nacque da un incontro di un oggetto tipo Marte vagante con la Terra, una collisione che, dato il grande volume e la scarsità dei suoi abitanti, non si può classificare come «frequente». Qual è la probabilità di tale fenomeno? Nessuno può rispondere in modo attendibile. Ci manca quindi un dato importante, forse cruciale. Ma ne conosciamo l'effetto: diminuisce la probabilità e quindi la frequenza del fenomeno vita nell'universo. Vittorio M. Canuto Nasa, Goddard Institute for Space Studies New York, N. Y.


Ardita teoria fisica La massa della materia? Forse è solo un fantasma
Autore: DAPOR MAURIZIO

ARGOMENTI: FISICA
ORGANIZZAZIONI: PHYSICAL REVIEW
LUOGHI: ITALIA

IL giornale che state tenendo in mano è senza massa; esso è, fisicamente, in un campo elettromagnetico universale e interagente con questo campo in modo tale da farvi pensare che il giornale abbia la proprietà di possedere una massa. Il suo apparente peso e la sua apparente solidità derivano esclusivamente dall'interazione tra cariche e campi. Questa è, in sostanza, la tesi sostenuta da Haisch, Rueda e Puthoff, apparsa recentemente sulla prestigiosa Physical Review americana. E naturalmente la tesi non vale soltanto per il giornale che state leggendo ma per ogni oggetto materiale esistente nell'universo, da quelli quotidiani alle più remote galassie in fuga nello spazio. Sembra che gli editori del periodico abbiano sentito la necessità di consultare ben cinque esperti internazionali di fisica teorica prima di dedicarsi a pubblicare il manoscritto. In effetti la tesi di Haisch, Rueda e Puthoff, se suffragata da ulteriori prove, potrebbe rappresentare una vera e propria rivoluzione scientifica. Vediamo di farne intuire la portata. La massa non esisterebbe. Si tratterebbe di una mera sensazione psicologica, indegna di essere considerata una delle grandezze fondamentali della fisica. Se il punto di vista di questi ricercatori è corretto, la carica elettrica e l'energia creerebbero l'illusione della massa. In questa nuova prospettiva la popolare equazione di Einstein tra massa ed energia (energia uguale massa moltiplicata per la velocità della luce elevata al quadrato) assumerebbe un valore di gran lunga superiore a quello accordatole generalmente dalla comunità dei fisici. Attualmente essa rappresenta semplicemente un modo di valutare quanta energia è richiesta per generare una data quantità di massa, piuttosto che una vera e propria legge di conversione tra energia e massa. La massa, secondo questa nuova concezione, sarebbe un effetto dovuto all'interazione tra le cariche elettriche e un vasto e pervasivo campo elettromagnetico chiamato ZPF (dall'espressione inglese zero-point field). Considerazioni teoriche portano a ritenere che lo ZPF sia un mare di radiazione elettromagnetica uniforme e isotropa (uguale in tutte le direzioni). Quando una particella carica viene accelerata attraverso lo ZPF, sulla carica si eserciterebbe una forza direttamente proporzionale e opposta all'accelerazione. In altre parole, la particella carica incontrerebbe una resistenza di natura elettromagnetica all'accelerazione. La resistenza di natura elettromagnetica ai cambiamenti di velocità viene interpretata come la massa inerziale. In questa prospettiva scientificamente rivoluzionaria, se si assume l'esistenza dello zero-point field, la seconda legge di Newton può essere derivata dalle leggi dell'elettrodinamica. In definitiva la presenza di cariche elettriche e la loro interazione con lo ZPF sarebbero gli unici veri responsabili delle forze di cui abbiamo esperienza e che attribuiamo all'esistenza della materia. L'interpretazione si applicherebbe anche alle particelle che, come i neutroni, sono elettricamente neutre, poiché, al livello più fondamentale, anche queste particelle si ritengono costituite da cariche elettriche chiamate quark. Secondo Haisch e collaboratori, infine, anche la seconda delle proprietà fondamentali del concetto di massa, vale a dire la gravitazione, può essere interpretata in chiave elettrodinamica. Infatti, se una particella carica elettricamente è soggetta a interazione ZPF, essa sarà forzata a fluttuare in risposta alle spinte casuali delle onde elettromagnetiche dello ZPF. Di conseguenza tutte le cariche dell'universo emetteranno, a loro volta, campi elettromagnetici secondari a causa delle loro interazioni con il campo primario ZPF. Questi campi elettromagnetici secondari danno origine a forze attrattive tra ogni coppia di particelle che valutazioni quantitative consentono di interpretare come interazioni gravitazionali. Concludiamo con due considerazioni. La prima riguarda la possibilità che il lavoro di questi tre scienziati, se confermato da ulteriori ricerche, possa rappresentare la realizzazione di quel sogno di unificazione della gravitazione con le altre forze della natura. La seconda, un poco avveniristica, ci induce a ritenere che, se la massa è di natura elettromagnetica, potremmo immaginare, in un futuro remoto, ripercussioni di carattere tecnologico quali, ad esempio, possibili applicazioni dell'antigravità. Per carità! Non esiste nessuno, in questo momento, che sappia costruire congegni antigravitazionali: tuttavia l'elegante teoria di Haisch e dei suoi collaboratori ci induce - se non altro - a poterne considerare almeno la «scandalosa» possibilità concettuale. Maurizio Dapor Istituto Trentino di Cultura


MALATTIE CARDIOVASCOLARI Un gene protegge le arterie a rischio
Autore: MARCHISIO PIER CARLO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA, BIOLOGIA, GENETICA
ORGANIZZAZIONI: SCIENCE
LUOGHI: ITALIA

LA mia tesi, che può sembrare ovvia ma che ancora non è entrata nel sentire di tutti, è che il progresso della conoscenza biologica si traduce quasi subito in grandi passi in avanti della medicina. Quindi, il miglioramento della salute e l'allungamento e la qualità della vita richiedono investimenti nella ricerca scientifica. La ricerca, insomma, non è un lusso ma una necessità primaria della società civile. L'occasione per sostenere questa tesi viene da una ricerca pubblicata su Science del 27 gennaio, nella quale convergono tecnologie biologiche dirette ad aggredire le malattie cardiovascolari, killer numero uno della società industriale. Alla base delle malattie cardiache e delle lesioni dei vasi cerebrali come l'ictus sta un fenomeno che si chiama aterosclerosi. Questa lesione porta a un ispessimento della parete delle arterie, comprese le coronarie che nutrono il cuore, ed è dovuta alle cellule muscolari vascolari che si mettono a proliferare quando non dovrebbero e riducono il flusso di sangue. Si limita così l'afflusso di ossigeno al tessuto servito da quell'arteria finché questa cessa del tutto e il tessuto muore. Sotto molti aspetti l'aumento della proliferazione di queste cellule muscolari ricorda un fenomeno simile che avviene nei tumori e i meccanismi sono in realtà identici. Trovare quindi un sistema per controllare la crescita cellulare nella parete dei vasi è di grande importanza pratica. Basta basarsi sull'enorme sforzo di ricerca, in comune con il cancro, che studia il meccanismo che ordina alle cellule di dare origine ad altre cellule. Oltre ai vantaggi generali che questa conoscenza comporta nel tenere sotto controllo l'aterosclerosi, il poter intervenire in maniera diretta sulla proliferazione delle cellule muscolari vascolari è di utilità pratica nel controllare gli insuccessi purtroppo frequenti delle manovre che oggi si fanno per sturare con tubicini, o più tecnicamente cateteri a palloncino, vasi ostruiti e prevenire danni più gravi senza grossi interventi a cuore aperto. Le cellule muscolari della parete delle arterie hanno proprietà uniche. Come tutte le cellule muscolari, si contraggono per aumentare o diminuire il calibro dei vasi ed entrano quindi nel controllo della pressione del sangue. Normalmente non si dividono ma sono sensibilissime a stimoli proliferativi. Quando un'arteria viene lesa da qualcosa che dà fastidio alla sua parete interna, le cellule muscolari vascolari aumentano di numero e riparano rapidamente il danno rispondendo a stimoli prodotti dalle piastrine, da globuli bianchi del sangue e anche dalle cellule di rivestimento interno dei vasi stessi. Spesso proliferano troppo e questo porta a una diminuzione del calibro del vaso nel quale il flusso di sangue si riduce e si fa turbolento. Nasce una serie di guai che sono tutti riconducibili al fatto che un fenomeno benefico, la riparazione del vaso, è andato un po' al di là del suo scopo. Come avviene la regolazione di questo fenomeno? In condizioni normali le cellule se ne stanno brave perché il prodotto di un gene, chiamato Rb (da retinoblastoma, un tipo di tumore maligno) impedisce l'attivazione della proliferazione cellulare. Non appena si ha una minima lesione del vaso, accorrono le piastrine, si attivano i globuli bianchi e le cellule endoteliali stesse si mettono a produrre fattori di crescita che, stimolando specifici recettori sulla superficie delle cellule muscolari, producono una fosforilazione di Rb il quale, nella forma con un acido fosforico attaccato, scatena la proliferazione. Qualcosa di molto simile avviene nei tumori. Ai ricercatori delle Università dell'Illinois e del Michigan, autori del lavoro di Science, è venuta un'idea fantastica. Agire sul prodotto del gene Rb delle cellule muscolari vascolari e renderlo insensibile ai fattori di crescita che lo fosforillano. Per questo hanno prodotto una variante di Rb non fosforilabile, mediante una tecnica di ingegneria genetica, e la hanno inserita in un trasportatore, una specie di virus, programmato per andare a bersaglio solo sulle cellule muscolari vascolari. La variante di Rb, introdotta nelle cellule della lesione, non può essere fosforilata e quindi blocca la proliferazione sostituendosi al normale Rb. I fattori di crescita si trovano senza il loro agente dentro le cellule e perdono la loro funzione. Non si tratta di fantascienza ma di un nuovo stile terapeutico basato non su una molecola estranea ma sulla capacità di interagire sulla funzione di un singolo componente cellulare. E' un esempio - tra i molti possibili - della direzione verso la quale va la medicina a braccetto con la biologia. Un esempio di come si potrà in futuro affrontare un numero sempre più grande di malattie senza inondare di farmaci il malato ma riparando con una vera e propria terapia solo i sintomi di una malattia. Per ora hanno beneficiato di questa terapia innovativa solo qualche roditore e qualche porcellino ma non è lontano il momento in cui questa verrà sperimentata sull'uomo. A chi dir grazie se non al rafforzarsi del patto tra ricerca e medicina? Pier Carlo Marchisio Dibit San Raffaele, Milano


NUOVO BUSINESS Ibernati, una bara di azoto liquido In Usa lista di attesa per 400 candidati
Autore: FEMINO' FABIO

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, MEDICINA E FISIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: ETTINGER ROBERT, DARWIN MIKE, DREXLER ERIC
ORGANIZZAZIONI: ALCOR LIFE EXTENSION FOUNDATION
LUOGHI: ITALIA

QUALCHE tempo fa ho ricevuto la telefonata di un signore che voleva farsi «ibernare». Aveva letto un articolo al riguardo, pubblicato nel 1987 e, dato che l'autore ero io, voleva maggiori informazioni. Ci si fa ibernare negli Stati Uniti, e costa circa 140 mila dollari. Dopo morti ci si fa sostituire il sangue con prodotti chimici «crioprotettori» e poi si viene calati in un cilindro pieno d'azoto liquido trasparente come acqua, che tramuta il corpo in un blocco di ghiaccio. Chi decide di farsi mettere sotto azoto lo fa, di solito, perché ha un male incurabile e spera che, trascorso qualche tempo, i medici del futuro potranno scongelarlo, riportarlo in vita e curarlo con le nuove terapie scoperte nel frattempo. Volendo, è possibile per 40 mila dollari far ibernare la sola testa, che in futuro potrebbe essere trapiantata su un altro corpo sano. Qualche anno fa ci fu il caso di un certo Thomas Donaldson, che, sofferente di un tumore al cervello, chiese di farsi ibernare ancora vivo. La richiesta non fu accolta. A ideare la procedura dell'ibernazione fu Robert Ettinger, un insegnante di liceo che nel 1964 scrisse il libro «Ibernazione nuova era», tradotto anche in italiano da Rizzoli. Erano gli anni in cui si cominciava a congelare con successo piccole parti del corpo umano, come lo sperma. Con queste premesse vi fu, anche in Europa, una fioritura di ibernatori improvvisati, oggi tutti scomparsi. Per quanto ne so, fino a poco tempo fa l'unica ditta esistente che offrisse questo servizio era la Alcor Life Extension Foundation di Scottsdale, Arizona (forse ce n'è anche un'altra chiamata, non meno pittorescamente, Trans-Time Inc.). Il suo fondatore, Mike Darwin, era un predestinato: a dodici anni metteva le tartarughine nel freezer, poi le ficcava in un bicchiere d'acqua calda e tornavano come nuove. Adesso la Alcor si è scissa, generando una nuova branca chiamata CryoCare. La Alcor ha attualmente in deposito dieci corpi congelati e... 17 teste, mentre altre 400 persone attendono il loro turno. Di queste, alcune decine sono passate alla CryoCare. Chi decide di scendere nella tomba ha solo il dubbio di finire fra angeli o diavoli. Chi sceglie invece di farsi ibernare deve fronteggiare molti altri interrogativi. Dal 1964, la ricerca scientifica seria su questo tema è stata quasi inesistente. Vi sono stati esperimenti di congelamento su cani e gatti, ma a temperature molto più alte di quelle usate nell'ibernazione vera e propria. Alla temperatura dell'azoto liquido, il corpo subisce gravi danni, e il primo interrogativo è proprio se i medici del futuro saranno capaci di porvi rimedio. Per contratto, questi medici saranno obbligati a resuscitare il corpo appena i progressi della medicina lo renderanno possibile e, allo scopo di pagare le spese della rianimazione, in Liechtenstein è stato creato un fondo che permetterà agli ibernati di portare i propri soldi con sè. Ovviamente, se qualcuno si fosse fatto ibernare ai tempi di Augusto, i suoi sesterzi non sarebbero rimasti in banca fino ai giorni nostri, ma per un intervallo di pochi decenni la cosa potrebbe essere fattibile. C'è poi la possibilità che il corpo venga distrutto da guerre, disastri naturali o incuria, ma - secondo gli aspiranti ibernandi - sono rischi calcolati. Secondo interrogativo: come potrebbe essere resuscitato un corpo tramutato in ghiaccio? Attualmente, uno spiraglio è stato aperto dalle ricerche dello scienziato Eric Drexler sulla «nanotecnologia». Secondo Drexler, lui stesso sostenitore dell'ibernazione, fra alcuni decenni sarà possibile costruire microscopici robot in grado di penetrare nell'uomo per compiere interventi chirurgici dall'interno, un po' come nel romanzo di Asimov «Viaggio allucinante». Tali robot potrebbero sgelare il corpo poco per volta, riparando i danni prodotti dal congelamento, fino a riportarlo nelle stesse condizioni di un uomo morto solo da pochi minuti. E rianimare un uomo «clinicamente morto» da poco è già possibile anche coi mezzi disponibili adesso. Terzo interrogativo: che tipo di civiltà futura potrebbero incontrare gli ibernati, col trascorrere dei secoli? Non si può fare la minima ipotesi al riguardo. Se, per esempio, i nostri discendenti fossero cannibali come i Morlock di Herbert George Wells, potrebbero trovare molto comoda una bella scorta di carne congelata... In sostanza, l'ibernazione ricorda quella vecchia battuta in cui Satana chiede a uno se vuole finire all'inferno americano o a quello russo. «Preferisco quello russo» risponde il dannato, «così almeno il riscaldamento non funziona». Secondo i suoi sostenitori, avere anche solo una probabilità su un miliardo di essere resuscitati nel futuro, e ritrovarsi fra gente diversa da noi quanto noi dagli Egizi, sarebbe sempre meglio che non avere alcuno scampo fino al Giudizio Finale. «Essere congelato è la seconda cosa peggiore che possa accadere a una persona» dice l'ibernatore Saul Kent (che ha messo sotto azoto la testa di sua madre). «L'unica cosa peggiore è morire senza essere congelati». Fabio Feminò


IN BREVE Specializzazione in «energetica»
ARGOMENTI: DIDATTICA, ENERGIA, APERTURA, LEZIONI, POLITECNICO
LUOGHI: ITALIA, TORINO (TO)

Al Politecnico di Torino sono aperte le iscrizioni al corso di perfezionamento in energetica «G. Agnelli». E' per laureati in ingegneria, architettura, matematica, fisica e chimica. Le iscrizioni (presso la segreteria studenti, c. Duca degli Abruzzi 24) si chiudono il 25 febbraio. Disponibili borse di studio.


IN BREVE Commissione di bioetica
ARGOMENTI: BIOETICA, COMMISSIONI, NOMINA
NOMI: D'AGOSTINO FRANCESCO, FIORI ANGELO, LEVI MONTALCINI RITA
ORGANIZZAZIONI: COMITATO NAZIONALE DI BIOETICA
LUOGHI: ITALIA, TORINO (TO)

La sezione torinese della Consulta laica di bioetica ha reso pubblico un documento in cui protesta per le recenti nuove nomine nel Comitato nazionale di bioetica (Francesco D'Agostino e Angelo Fiori), nomine che hanno portato alle dimissioni di Rita Levi Montalcini. «Un comitato bioetico - afferma il documento - non deve essere visto in funzione di maggioranze e minoranze politiche: i suoi membri dovrebbero essere scelti perché hanno dato prova di conoscere i problemi da affrontare».


IN BREVE Torino: un corso di astronomia
ARGOMENTI: ASTRONOMIA, LEZIONI, CALENDARIO
NOMI: FERRARI ATTILIO, DI MARTINO MARIO, CURIR ANNA
LUOGHI: ITALIA, TORINO (TO)

Dal 6 al 10 marzo saranno aperte le iscrizioni a un corso di astronomia rivolto a tutti gli interessati a questa scienza, ma in particolare agli insegnanti che desiderano aggiornarsi. Dal 13 marzo al 13 aprile si terranno le lezioni di base; dal 20 aprile al 25 maggio quelle di un corso monografico su galassie e cosmologia. Tra i relatori, Attilio Ferrari, Mario Di Martino, Anna Curir. Per informazioni, tel. 011-46.19.025.


IN BREVE Roma: Galileo e la modernità
ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA, CONFERENZA, APERTURA, PRESENTAZIONE
NOMI: BERNARDINI CARLO
ORGANIZZAZIONI: ETA CARINAE
LUOGHI: ITALIA, ROMA

«Galileo e la cultura moderna» è il tema di una serie di incontri organizzati dall'associazione Eta Carinae a Roma, Frascati, Grottaferrata e Monte Porzio Catone. Le conferenze iniziano domani all'Itis «Fermi» di Frascati con un intervento di Carlo Bernardini e si concluderanno con un dibattito il 16 marzo. All'iniziativa è abbinato un concorso. Per informazioni, telefono e fax: 06-938.5884.


OSSIMETRO Come va il cuore? Lo rivela l'ossigeno nel sangue
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Come funziona l' «ossimetro»

L'OSSIMETRO è un apparecchio usato in medicina per misurare istantaneamente il livello di ossigeno nel sangue senza bisogno di prelevare un campione di sangue e di analizzarlo in laboratorio. Funziona misurando la luce che passa attraverso un dito e fornisce un controllo continuo della saturazione di ossigeno (definita come il rapporto tra l'ossiemoglobina e l'emoglobina contenuta nel sangue). Conoscere i livelli di ossigeno è importante per valutare lo stato di salute del cuore e dei polmoni.


CON «ARIANE 5» Europa leader nello spazio
Autore: RIOLFO GIANCARLO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, TECNOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: ARIANE 5, BPD DIFESA E SPAZIO, ESA, FIAT AVIO
LUOGHI: ESTERO, GUIANA FRANCESE, KOUROU

MANCA meno di un anno alla partenza di Ariane 5, il nuovo vettore con cui l'Europa intende rafforzare il primato raggiunto nella messa in orbita dei satelliti commerciali per telecomunicazioni. L'agenda spaziale europea (Esa) e il Cnes (il centro studi spaziali francese, responsabile dei lanci) prevedono il primo volo nel tardo autunno. E il programma segue puntualmente la tabella di marcia. Il 15 dicembre, alla base spaziale di Kourou, nella Guyana francese, si è svolta con successo la quinta prova dei grandi booster a propellente solido della Bpd Difesa e Spazio (Gruppo Fiat). Una coppia di questi propulsori, lunghi 30 metri, darà al vettore europeo la spinta supplementare per il decollo. A novembre erano iniziati i collaudi dello stadio principale, che impiega il motore Vulcain a idrogeno e ossigeno liquidi. Anche le infrastrutture della base di lancio in Guyana sono pronte. Alto 51 metri e 37 centimetri, come un palazzo di 16 piani, Ariane 5 è un colosso capace di collocare in orbita di trasferimento geostazionaria due o più satelliti alla volta, per una massa complessiva di 5,9 tonnellate, oppure uno solo pesante 6,8 tonnellate. Per fare un confronto, l'attuale Ariane 4, nella configurazione più potente (44L), può spingere nella stessa orbita carichi di 3,7 e di 4,2 tonnellate rispettivamente. Ariane 5 surclasserà anche i concorrenti americani (Delta, Titan 3, Atlas Centaur), russi (Proton), cinesi (Long March) e giapponesi (H-2). Quanto allo Space Shuttle, è nato per portare grandi carichi in orbita bassa, cioè a qualche centinaio di chilometri dalla Terra: per collocare un satellite per telecomunicazioni al suo «posto di lavoro» nella traiettoria geostazionaria, a 36 mila chilometri, bisogna ricorrere a uno stadio di trasferimento orbitale. Considerazioni economiche a parte (lo Shuttle non è mai riuscito a essere competitivo con i vettori tradizionali), si tratta di un ripiego. Con Ariane 5, quindi, l'Europa può offrire un sistema di lancio più potente e meno costoso degli attuali per satelliti commerciali: un mercato in continua espansione per la crescente domanda di collegamenti telefonici, informatici e televisivi. In origine, accanto a questo compito, il nuovo vettore avrebbe dovuto avere quello di portare nello spazio la navetta Hermes con tre astronauti. Ma l'astronave europea è stata «congelata» per mancanza di fondi e forse non ne sentiremo più parlare. Con questo l'Esa non ha definitivamente rinunciato a un veicolo spaziale abitato. E' in corso lo studio di fattibilità di una capsula (Crew Transfer Vehicle) per portare degli astronauti: se realizzata, potrebbe essere lanciata proprio dall'Ariane 5. Torniamo alla missione-tipo del vettore: la messa in orbita dei satelliti. Uno dei vantaggi di Ariane 5 sarà la grande capacità di carico. Secondo uno studio dell'Esa, nei prossimi anni la tendenza sarà di costruire satelliti per telecomunicazioni più grandi, passando dalla media attuale di 2400 chili a 3500. L'altro vantaggio sarà il costo. Grazie a una maggiore semplicità concettuale, il nuovo vettore, con un carico utile quasi doppio, avrà un costo per lancio inferiore del 10-20 per cento rispetto ad Ariane 4. Quest'ultimo, nella versione più spinta, ha ben 10 differenti motori tra booster, primo, secondo e terzo stadio. Ariane 5, invece, ha uno stadio principale con un solo propulsore - il Vulcain, da 120 tonnellate di spinta - a ossigeno e idrogeno liquidi, più due motori a propellente solido per fornire una spinta supplementare al decollo. Un altro propulsore a idrazina e tetrossido d'azoto darà l'accelerazione finale per immettere il carico utile nell'orbita. L'Italia è presente nel programma con una quota del 15 per cento. Come abbiamo detto, la Bpd Difesa e Spazio ha realizzato i due motori a combustibile solido P230. Accesi al lancio, ognuno svilupperà una spinta di 650 tonnellate, bruciando in due minuti 230 tonnellate di propellente (un impasto di polvere d'alluminio, perclorato d'ammonio e un legante gommoso), per poi separarsi dallo stadio principale a 60 chilometri d'altezza. L'altra azienda italiana su Ariane 5 è la FiatAvio, che ha progettato e costruisce la pompa a turbina che spinge l'ossigeno liquido nella camera di combustione del Vulcain al ritmo di 210 chilogrammi al secondo. Un gioiello tecnologico, la cui realizzazione ha richiesto la soluzione di numerosi problemi, primi fra tutti quelli legati all'impiego di una sostanza altamente reattiva qual è l'ossigeno liquefatto a 183 gradi sottozero. Per dare un'idea, l'assemblaggio dev'essere fatto in una camera sterile: basterebbe il contatto con una piccola traccia di materiale organico, ad esempio un capello, per innescare un'esplosione. La turbopompa dell'ossigeno liquido è, insieme a quella dell'idrogeno (prodotta dalla francese Sep), uno dei componenti chiave del motore Vulcain. Quest'ultimo ha già superato nelle prove a terra i 216 minuti di funzionamento: oltre venti volte la durata prevista della combustione, che è dieci minuti. Ora sono incominciati i test per verificare il funzionamento del sistema che muove l'intero motore per correggere la traiettoria del razzo. Mentre proseguono i collaudi in previsione del primo volo (metterà in orbita i 4 satelliti del programma scientifico Cluster), è stata pianificata la costruzione di 5 vettori l'anno, fino al Duemila. Poi, con l'uscita di scena di Ariane 4, i lanci dovrebbero salire a 8 l'anno. Sempre che la richiesta non subisca variazioni. O che nel frattempo l'Esa non decida di portare essa stessa in orbita i suoi astronauti, con Hermes o, più probabilmente, con la capsula abitata. Giancarlo Riolfo


STRIZZACERVELLO Il quadrato di due numeri
LUOGHI: ITALIA

Il quadrato di due numeri Si trovi (con l'aiuto di una semplice calcolatrice) il numero di sei cifre per il quale la somma elevata al quadrato dei due numeri ottenuti spezzandolo a metà (il primo formato dalle prime tre cifre e il secondo dalle ultime tre) è uguale al numero stesso. La soluzione domani, accanto alle previsioni del tempo.


LA PAROLA AI LETTORI Una lingua per «vedere», non per mangiare
LUOGHI: ITALIA

Perché i serpenti fanno guiz zare la lingua dentro e fuori la bocca? La lingua del serpente ha una struttura strana, molto lunga, sottile e biforcuta. Può essere protratta fuori dalla bocca, anche quando questa è chiusa, attraverso una scanalatura che si trova nel mezzo del labbro superiore. Per quanto possa sembrare strano, la lingua del serpente ha poca importanza come organo di gusto. Essa infatti viene dardeggiata di continuo fuori dalla bocca perché, essendo ricca di papille olfattive e tattili, serve all'animale per orientarsi e riconoscere l'ambiente circostante. Federico Veneziano Omegna (No) I serpenti «assaggiano» l'aria usando uno speciale organo che hanno in bocca. Essi adoperano la lingua guizzante per trasportare un «campione d'aria» fino a quest'organo. Il senso dell'odorato di un serpente è coadiuvato da una coppia di organi detti «organi di Jacobson», situati ai lati del palato. Quando la lingua bifida del serpente guizza fuori dalla bocca, capta particelle dell'aria. All'interno della bocca, le punte della lingua sono sospinte dentro gli organi di Jacobson, che «assaggiano» le particelle. Lorenzo Mottura Piossasco (To) Perché una stufa elettrica, quando viene accesa, diventa rossa? Il funzionamento della stufa elettrica, analogo a quello di tutti gli elettrodomestici in grado di produrre calore attraverso il passaggio di corrente elettrica, si basa su di un fenomeno fisico chiamato «effetto Joule». La stufa contiene dei materiali detti «resistori», solitamente metallici, che offrono una resistenza al passaggio della corrente elettrica. Su scala microscopica questa resistenza è dovuta ai continui urti tra elettroni e atomi, in quanto il moto degli elettroni attraverso un resistore è ostacolato dal reticolo cristallino di cui è composto il materiale. Macroscopicamente, l'effetto di tutti questi innumerevoli urti si manifesta con l'aumento di temperatura del resistore stesso, il quale cede all'ambiente esterno il calore prodotto dagli urti. Se poi la temperatura alla quale occorre portare il resistore è abbastanza elevata, il calore diventa visibile e la stufa ci appare rossa. Infatti il calore si trasmette sotto forma di onde elettromagnetiche, la cui frequenza è legata alla temperatura del corpo emittente. Aumentando la temperatura, si passa dal rosso scuro al rosso brillante, al giallo e infine al bianco, quando nella radiazione sono presenti tutte le frequenze del visibile. Miriam Ricci, Torino Il materiale conduttore con cui sono costruite le serpentine visibili nelle stufe è scelto in modo da privilegiare, massimizzandola, la dissipazione di energia sotto forma di calore. Al momento dell'accensione della stufa, prima che si raggiunga lo stato di funzionamento a regime imposto dalle caratteristiche del materiale, parte dell'energia elettrica viene dissipata sotto forma di energia luminosa: questo provoca l'arrossamento del conduttore. Nicola Ferretto Albaredo d'Adige (Vr) Perché lo zucchero si scioglie nell'acqua e l'olio no? Richiamando una regola di ottima validità generale, e cioè che «il simile scioglie il simile», lo zucchero, soluto polare, si scioglie in acqua, solvente polare, mentre l'olio, apolare, si scioglie in esano o in tetracloruro di carbonio, solventi apolari. Carlo Ragazini, Faenza (Ra) Lo zucchero è una molecola ionica, quindi ha zone di carica parziale positiva e negativa. Quando lo zucchero viene a contatto con l'acqua, che è una molecola polare e ha zone positive e negative, le regioni cariche positivamente o negativamente attraggono le molecole di acqua più di quanto non si attraggano fra di loro. L'acqua funge quindi da solvente e le sue molecole si raggruppano intorno ai singoli ioni dello zucchero e lo separano. L'olio invece non è una sostanza polare e quindi tende a essere insolubile, in quanto i legami a idrogeno tra molecole d'acqua escludono le sostanze non polari. Paolo Domenico Dallaglio Reggio Emilia


CHI SA RISPONDERE?
LUOGHI: ITALIA

Q - Sognano anche le persone cieche dalla nascita? Q - Che cosa significano le lettere di O.K.? Q - Dall'Europa e dall'Australia si vedono le stesse fasi lunari? QPerché e quando gli uomini hanno cominciato a tagliarsi la barba? Risposte a «La Stampa-Tuttoscienze», via Marenco 32, 10126 Torino. Oppure al fax 011-65.68.688




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