TUTTOSCIENZE 1 febbraio 95


GLI STUDI CONTINUERANNO Ufo sulla Norvegia, ma non è il signor E. T. Si pensa a fenomeni terrestri forse causati dai monopoli
Autore: BATALLI COSMOVICI CRISTIANO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, RICERCA SCIENTIFICA
ORGANIZZAZIONI: CRULP
LUOGHI: ESTERO, NOVERGIA
TABELLE: G. Avvistamenti di Ufo in Italia dal 1945 al 1990 (dati per regione) G. Quanti Ufo mese per mese (dati per regione)
NOTE: «Progetto Hessdalen»

HESSDALEN è il nome di una vallata che si estende per 12 chilometri nel centro della Norvegia, a Sud- Est di Trondheim ed è popolata da appena 150 abitanti. Nel dicembre del 1981 sono iniziati avvistamenti collettivi di oggetti luminosi non identificati, di vario colore, che potevano rimanere immobili per più di un'ora o girare intorno lentamente o muoversi a velocità stimate fino a 30 mila chilometri all'ora. Le luci si piazzavano ovunque: sopra i tetti delle case, vicino al suolo, ma per lo più in prossimità delle vette delle montagne circostanti. La loro forma era di tre tipi: quella di una pallottola con la punta rivolta verso il basso, quella di un pallone o quella di un albero di Natale anch'esso con la punta verso il basso. I colori erano molto chiari, tendenti al giallo; talvolta una piccola luce rossa appariva ad una delle estremità dell'oggetto. Si sono potuti osservare anche 4 colori distinti: rosso, verde, blu e giallo. Una netta luce blu si nota su alcune delle fotografie. Le apparizioni avvenivano più volte al giorno, perlopiù di sera o di notte, sempre e unicamente nella zona di Hessdalen. Nella primavera del 1983 le apparizioni sono notevolmente diminuite per sparire nell'estate e riapparire poi in autunno e inverno con una punta massima di avvistamenti nell'autunno 1984. Verificata la veridicità delle apparizioni tramite una consistente documentazione fotografica, un gruppo di scienziati norvegesi ha organizzato, su incarico del governo, una campagna di osservazioni scientifiche non automatiche che si è estesa dal 21 gennaio al 26 febbraio 1984 e che in Norvegia è conosciuta sotto il nome di «Progetto Hessdalen». Per la prima volta si sono usate apparecchiature scientifiche per monitorare nel tempo un fenomeno normalmente classificato come «Ufo», e i risultati ottenuti meritano una attenta valutazione per il rigore scientifico con cui sono stati ottenuti. Una ventina di ricercatori sono stati divisi in tre gruppi: il primo presidiava il quartier generale in una roulotte dotata di una parte della strumentazione, gli altri due erano distribuiti in due stazioni campestri situate nelle zone della vallata ove si erano rilevati il maggior numero di avvistamenti. Sono stati usati otto strumenti ritenuti all'epoca i più adatti per le osservazioni scientifiche di un fenomeno sconosciuto: una telecamera con spettrografo a reticolo per l'analisi ottica e chimica, una telecamera a raggi infrarossi per misure di emissione termica, un analizzatore di spettri radio, un sismografo per rivelare eventuali spostamenti nel suolo, un magnetometro per la misura di eventuali campi magnetici o fluttuazioni del campo magnetico terrestre, un radar per misurare le dimensioni, la distanza e la velocità degli oggetti, un contatore Geiger per eventuali misure di radiazioni ad alta energia ed infine un laser ad elio-neon. Durante il periodo di osservazione vi sono stati in totale 188 avvistamenti ottici e 36 radar. A detta degli esperti il segnale radar riflesso dagli oggetti può essere dovuto o a oggetti solidi o a globuli di gas fortemente ionizzato. Tranne che per il contatore Geiger, il sismografo e la telecamera infrarossa, tutti gli altri strumenti hanno registrato «qualcosa», ma l'effetto più sorprendente si è avuto puntando il debole fascio laser contro gli oggetti luminosi le cui caratteristiche sia ottiche sia radar sono dei flash regolari. Quando si puntava il fascio laser contro di essi, il flash regolare si trasformava immediatamente in un doppio flash del tipo flash/flash. Ciò si è osservato in 8 casi su 9. Spegnendo poi il laser gli oggetti hanno ripreso ad emettere un solo flash. La conclusione di queste osservazioni è che gli oggetti luminosi esistono realmente, che il loro comportamento esula dalle nostre conoscenze fisiche, ma che è possibile eseguire misure scientifiche atte a chiarire il fenomeno. Poiché esso non è scomparso negli ultimi 10 anni, i norvegesi hanno dato vita ad una organizzazione denominata CRULP (Committee for Research of Unidentified Light Phenomena) con l'intento di far ripartire il progetto dotandolo di nuove più sofisticate apparecchiature del tipo Lidar (Laser Imaging Radar). Ciò che gli scienziati ritengono probabile è che non si tratti di oggetti extraterrestri, ma di fenomeni terrestri a noi tuttora sconosciuti la cui comprensione potrebbe portare addirittura alla scoperta di nuove leggi della fisica. Una nuova teoria basata sul Vorton, il monopolo magnetico, potrebbe forse fornire una risposta. Nel frattempo siamo stati invitati, nell'ambito del progetto italiano di bioastronomia, a partecipare alle osservazioni, magari anche con strumentazione italiana, ma penso che sia molto difficile convincere coloro che ripartiscono i finanziamenti per la ricerca al Cnr ad avventurarsi in una simile sfida agli Ufo. Cristiano B. Cosmovici Cnr, Istituto di fisica dello spazio


CHIRURGIA Prostata, bastano 24 ore Vaporizzata con una nuova sonda
Autore: TIZZANI ALESSANDRO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, TECNOLOGIA
NOMI: STEWART STEEN
LUOGHI: ITALIA
NOTE: Tuvap (Vaporizzazione Trans-Uretrale Prostatica)

NEGLI ultimi anni abbiamo assistito a un continuo proliferare di tecniche chirurgiche, più o meno innovative, per la cura dell'ipertrofia prostatica benigna. Le nuove tecniche prima si sono affiancate alle terapie chirurgiche ed endoscopiche tradizionali, ma in realtà tendevano a sostituirsi ad esse proponendosi come meno invasive, pur promettendo pari efficacia. Il loro interesse, infatti, derivava dal fatto che avrebbero dovuto garantire, oltre alla scomparsa dei sintomi minzionali annessi alla patologia ostruttiva prostatica, l'assenza di complicanze intra e post-operatorie, un breve ricovero ospedaliero, un disagio minimo per il paziente. Dalle protesi prostatiche all'impiego di ultrasuoni o del laser, il tentativo era quello di trovare la cura ideale dell'adenomatosi prostatica, spesso gravata da disturbi talvolta pesantemente invalidanti. Purtroppo all'iniziale entusiasmo sulle nuove metodiche subentrava spesso la delusione per risultati non corrispondenti all'aspettativa, o a difficoltà tecniche, o a complicanze a distanza, oppure, spesso, a una non completa risoluzione del problema ostruttivo. Ultimamente è stata sperimentata una nuova tecnica ideata da Steen Stewart, urologo presso l'università Loma Linda di Los Angeles. Questa tecnica consiste nella vaporizzazione dell'adenoma prostatico mediante una speciale sonda da applicare a un normale resettore prostatico. La nuova sonda è dotata, al posto della comune ansa del resettore, di un cilindro ruotante lungo 4 millimetri, opportunamente scanalato, in cui si fa passare una corrente ad alto voltaggio: la speciale configurazione genera un'elevata energia termica che vaporizza, a ogni passaggio del cilindro, tre millimetri di tessuto prostatico e, contemporaneamente, coagula i vasi sanguigni sottostanti, permettendo di completare l'intervento in ambiente esangue. I vantaggi di questa tecnica sono rappresentati dall'assenza di trasfusioni intra e post-operatorie e dalla possibilità di rimuovere il catetere vescicale ventiquattr'ore dopo l'intervento, con la conseguente dimissione del paziente: ciò significa quindi un ricovero ospedaliero molto breve, al limite del day-hospital, non gravato dai possibili inconvenienti secondari alle trasfusioni, e un risparmio di sangue. Questa nuova tecnica, proprio grazie alle sue caratteristiche di efficacia e praticità, può rivelarsi l'arma vincente nella risoluzione di un problema tanto diffuso come l'ipertrofia prostatica e determinare un allargamento dell'indicazione di intervenire sull'adenoma prostatico, con l'asportazione in una fase precoce dei sintomi. La metodica è stata sperimentata in Italia presso la Divisione Universitaria di Patologia Urologica dell'Ospedale Molinette di Torino con risultati estremamente interessanti, in accordo con i colleghi americani (TUVAP, è l'acronimo inglese con cui è nota la tecnica: significa «Vaporizzazione Trans- Uretrale Prostatica»). Alessandro Tizzani Università di Torino


UN SECOLO FA I PRIMI ESPERIMENTI Lifting per la radio Da Marconi ai satelliti digitali
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA, COMUNICAZIONI, ELETTRONICA, RADIO
PERSONE: CARASSA FRANCESCO
NOMI: MARCONI GUGLIELMO, CARASSA FRANCESCO
ORGANIZZAZIONI: NEW YORK TIMES, BBC
LUOGHI: ITALIA
NOTE: NASCITA DELLA RADIO TEMA: NASCITA DELLA RADIO

CENT'ANNI fa un ragazzo pallido, magrissimo, cultura da autodidatta, trafficava con fili di rame, limatura di ferro e rocchetti di Ruhm khorff in una soffitta della sua casa di campagna, Villa Griffone, vicino a Bologna. Si chiamava Guglielmo Marconi. Aveva passato l'estate del 1894 a Oropa leggendo articoli di elettrotecnica, impiegherà l'inverno 1895 in esperimenti con una specie di parafulmine che a ogni folgore faceva suonare un campanello. Ma puntava a costruire un apparecchio per trasmettere messaggi Morse «via etere», come si diceva allora: il «telegrafo senza fili». Nell'estate del 1895 per la prima volta il ragazzo allampanato riusciva a inviare un segnale a un chilometro di distanza, al di là di una collina. E incominciava a sognare un collegamento tra le due sponde dell'Atlantico. Il sogno si sarebbe realizzato presto, nel 1901. All'inizio del secolo Marconi era già convinto che la sua tecnologia, perfezionata con un sistema di sintonizzazione, fosse matura per tentare un collegamento intercontinentale. Sarebbe stato, questo, il colpo definitivo alla teoria dei suoi oppositori, convinti che le onde hertziane non avrebbero mai potuto superare la curvatura della Terra. L'impresa - finanziata con 50 mila sterline - fu avviata con la costruzione di un grandioso impianto radiotelegrafico a Poldhu, in Cornovaglia. Il progetto era di Fleming, stretto collaboratore dell'inventore italiano. La potenza prevista 25 kilowatt. Marconi arrivò a Terranova il 6 dicembre. Tre giorni dopo, con un telegramma via cavo, ordinò alla stazione di Poldhu di incominciare a trasmettere, a partire dall'11 dicembre, i tre punti della lettera S dalle 11,40 alle 14,40, ora locale. Lasciamo la parola a lui stesso: «Era passato appena il mezzogiorno del 12 dicembre 1901, quando mi portai all'orecchio una metà della cuffia e mi misi ad ascoltare. Sul tavolo dinanzi a me il ricevitore era assai rudimentale - poche spire di filo, qualche condensatore, un conduttore, niente valvole, niente amplificatore, niente galena. Stavo per mettere finalmente alla prova l'esattezza di tutte le mie convinzioni... All'improvviso, verso le 12,30, risuonò il secco clic del martelletto contro il conduttore, segno che qualcosa stava per succedere. Ascoltavo attentissimo. Evidenti mi suonarono all'orecchio i 3 clic corrispondenti ai 3 punti del Morse». Tremila chilometri non avevano fermato gli impulsi radio. Fu il «New York Times», il 15 dicembre, a dare la notizia al mondo: «Guglielmo Marconi ha annunciato stasera la più meravigliosa conquista scientifica dei tempi moderni». A un secolo dai primi esperimenti, le radiotrasmissioni hanno infinite sfaccettature. La radio commerciale è solo la punta di un iceberg. C'è l'ombra di Marconi dietro i ponti radio telefonici, i satelliti per telecomunicazioni, i telefoni cellulari, i sistemi di localizzazione via satellite, i radiotelescopi, i dati trasmessi da sonde spaziali che hanno ormai varcato i confini del sistema solare. E in futuro? Limitiamoci alla punta dell'iceberg. La radio intesa come elettrodomestico sta per fare un grande salto di qualità. Già oggi via satellite si diffondono programmi radio in stereofonia ad alta fedeltà e la Bbc nel settembre 1995 incomincerà a trasmettere i suoi 5 canali radiofonici anche in modo digitale. Ciò consentirà la stessa nitidezza di suono dei compact disc (il servizio è noto con la sigla Dab, Digital Audio Broadcasting). «La trasmissione numerica di messaggi audio e video è incominciata con la rete telefonica ma sta diventando una tendenza generale», spiega Francesco Carassa (Politecnico di Milano, presidente onorario Cselt). «Questa tecnica dà molti vantaggi: qualità del segnale, resistenza a disturbi e interferenze, possibilità di elaborazione. L'elaborazione permette di comprimere le informazioni in modo da stipare più canali nella stessa banda di frequenza». Dopo il periodo di fulgore tra gli Anni 30 e gli Anni 60, con l'arrivo della televisione la radio commerciale ha subito una eclisse solo in parte compensata dalla nascita di migliaia di piccole radio locali in modulazione di frequenza. Dal '60 a oggi la radio è stata considerata un po' come un televisore con il video rotto. Ma ora si profila una seconda giovinezza. «La radio digitale - dice Carassa - permetterà di registrare musiche e voci con fedeltà da cd. Non solo: potremo ricevere anche software per computer e informazioni provenienti direttamente da banche dati. La radio potrà avere un display a cristalli liquidi che dà informazioni scritte aggiuntive, per esempio il titolo del brano musicale che sta andando in onda o notizie dell'ultima ora. Il bello del segnale digitale è la sua universalità: voce, immagini, dati, testi, tutto viaggia nello stesso linguaggio numerico, con lo stesso codice. Lo specifico della radio commerciale del futuro consisterà quindi nella qualità digitale. Di qui si arriverà alla comunicazione multimediale, che è il futuro più avanzato della radio: non solo voci e suoni, ma anche testi, dati, immagini». Il futuro è dei satelliti geostazionari o dei satelliti in orbita bassa? «I satelliti in orbita geostazionaria sono più adatti per la Tv e per i collegamenti intercontinentali. I satelliti in orbita bassa si prestano di più alla radiocomunicazione personale: in pratica, ai telefoni cellulari. Essendo bassi, richiedono potenze di trasmissione mille volte inferiori e irradiano su zone limitate, consentendo di riusare le stesse frequenze in luoghi poco lontani senza avere interferenze. Solo così il telefono portatile può essere davvero tale: piccolo e leggero. Certo sono sistemi complessi, ci vuole un sistema di commutazione da un satellite all'altro e occorre un gran numero di satelliti: il sistema Iridium ne richiede una settantina, altri addirittura parecchie centinaia. I satelliti possono anche fornire il servizio telefonico fisso a Paesi che non hanno ancora una rete via cavo». Il contributo di Marconi alle radiocomunicazioni? «Marconi è stato accusato di aver soltanto messo insieme cose che avevano inventato altri. E' vero, ma l'importante era appunto metterle insieme. Gli altri non avevano mai superato i cento metri di distanza, lui ha attraversato l'Atlantico con segnali telegrafici. Alla radio in voce, hanno in effetti contribuito molti ricercatori. Ma di Marconi si deve dire che ha anche avuto la straordinaria intuizione di esplorare tre diverse bande di frequenza: prima le onde lunghe, poi le onde corte. Queste ultime le ha studiate navigando sulla Elettra, dimostrando che il futuro era nelle alte frequenze. Non basta: infine ha esplorato pure le microonde, scoprendo il fenomeno della diffusione troposferica». Piero Bianucci


A TORINO Il museo dell'etere italiano
AUTORE: P_RAV
ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA, COMUNICAZIONI, ELETTRONICA, RADIO, MOSTRE
NOMI: MARCONI GUGLIELMO
ORGANIZZAZIONI: MUSEO DELLA RADIO E DELLA TELEVISIONE
LUOGHI: ITALIA, TORINO (TO)
NOTE: NASCITA DELLA RADIO TEMA: NASCITA DELLA RADIO

POCHI sanno che a Torino, nel Centro di produzione della Rai, c'è un Museo della Radio e della Televisione. Peccato, perché in questo museo (purtroppo normalmente chiuso al pubblico) c'è tutta la storia della radio, dai primi telegrafi fino alle apparecchiature dei giorni nostri, suddivisa per temi: telegrafia, telefonia, fonografia, registrazione magnetica, radiofonia, televisione. Colpisce la rapidità con cui è progredita la tecnologia; dal banco telegrafico di Hughes della metà del secolo scorso molto simile ad una pianola, dal complesso trasmittente-ricevente usato da Marconi a Pontecchio nel 1895, dai cilindri di Edison antenati dei dischi moderni, passando per le apparecchiature con cui già nel 1931 il «Laboratorio Ricerche» di Torino faceva sperimentazioni di televisione, fino agli apparecchi che hanno reso radio e tv dei fenomeni di massa è un'evoluzione senza soste. Nella prima decade del secolo la radiotelefonia stupisce e colpisce il grande pubblico, per esempio in occasione dell'affondamento del «Titanic»: grazie agli appelli di aiuto emessi con il radiotelefono furono salvate 703 vite umane. Gli Anni 20 rappresentano ancora l'epoca dei pionieri, l'era in cui le poche emissioni possono essere facilmente captate da chi possieda gli strumenti adatti: gli speculatori di Borsa avevano le migliori strumentazioni! Ma poi la radiodiffusione diviene subito oggetto di interesse pubblico e in Italia il 6 ottobre 1924, su concesione del governo, l'Uri (Unione italiana radiofonica) inizia le trasmissioni. Nel '27 la società cambia nome in Eiar (Ente italiano audizioni radiofoniche) e l'anno successivo accoglie come azionista di maggioranza la Sip (Società idroelettrica piemontese) che ha sede a Torino. E' qui che la radio diventa adulta, aprendo l'epoca di una nuova forma di divertimento da godersi placidamente sprofondati nella poltrona di casa. Uno spettacolo fatto di puri suoni e dall'immaginazione dei singoli ascoltatori. La radio, da pregiato soprammobile in case di lusso, diventa un bene di massa. Sul mercato compaiono modelli dalle forme più ardite, come quello della Arel detto «Lumeradio», del '38, che fa anche da abat- jour, o quello «a telefono» della Phonola, del '39, esposto al Museo d'arte moderna di New York. Nel '44 la Rai sostituisce l'Eiar; a Torino, finita la guerra riprendono le ricerche sulla televisione e in pochi anni l'invenzione spuntata sul tronco della radio viene a sconvolgere le abitudini di milioni di famiglie in tutto il mondo. La storia di questa magnifica centenaria che è la radio continua.(p. rav.)


Sublime elettricista I trionfi tecnologici e finanziari
AUTORE: RAVIZZA VITTORIO
ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA, COMUNICAZIONI, ELETTRONICA, RADIO, TECNOLOGIA
PERSONE: MARCONI GUGLIELMO
NOMI: MARCONI GUGLIELMO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: NASCITA DELLA RADIO TEMA: NASCITA DELLA RADIO

FA parte della leggenda: una fucilata sparata da dietro una collina annunciò la nascita della radio: era la fine di settembre del 1895. Una rivoluzione paragonabile forse solo a quella segnata dal primo volo dei fratelli Wright, nel dicembre dei 1903; non è un caso che la radio e il volo siano indissolubilmente legati nelle imprese spaziali e nell'esplorazione dell'universo, la frontiera più avanzata dell'avventura intellettuale umana. Dopo la storica fucilata le vicende della radio e della vita di Marconi sono un susseguirsi incalzante di avvenimenti capitali: il trasferimento del giovane inventore bolognese in Inghilterra nel 1896, propiziato dalle origini irlandesi della madre, il brevetto numero 12.039 del 2 luglio 1897 concessogli dall'Ufficio di Londra per il «perfezionamento della trasmissione di impulsi elettrici e segnali e relativi apparecchi», il primo impiego pratico della telegrafia senza fili per conto dei Lloyd's di Londra per segnalare l'arrivo delle navi nelle acque britanniche dopo la traversata dell'Atlantico, la prima trasmissione tra le due sponde della Manica nel 1899, la prima radiocronaca delle regate veliche di Kingstown con l'invio in tempo reale al Daily Express di Dublino, a 16 chilometri di distanza, delle notizie dal campo di regata. L'impresa fu ripetuta negli Stati Uniti per l'Herald di New York con la trasmissione dei risultati delle regate della Coppa America del 1899, tra la barca americana Columbia II e la Shamrock di sir Thomas Lip ton. Marconi, appassionato di vela sin da ragazzo, divenne grande amico del miliardario inglese signore del té; la figlia primogenita di Marconi, Degna Marconi Paresce, nel suo libro di memorie ripubblicato da poco («Marconi, mio padre», edito da Frassinelli) ricorda le ore trascorse da bambina sulle ginocchia di «zio Tom». Ma la strada non fu sempre in discesa. Se non è leggenda, Lord Kelvin, il più famoso e influente scienziato inglese del tempo, commentando gli esperimenti di radiotelegrafia di Marconi avrebbe detto: «Gran bella cosa, ma se dovessi mandare un messaggio preferirei un ragazzo su un pony»; e nel 1901, dopo aver provato gli impianti di Marconi la Marina inglese decise di restar fedele ai piccioni viaggiatori. Anche con i potenti della Terra, con i quali in seguito Marconi ebbe una frequentazione assidua e compiaciuta, all'inizio non ebbe fortuna: nel '99 Marconi era stato chiamato a installare una stazione di trasmissione sul panfilo a bordo del quale il Principe di Galles trascorreva la convalescenza dopo essersi ferito in una caduta. Lo scopo era di consentirgli di comunicare con la madre, l'anziana Regina Vittoria, che villeggiava sulla costa; ma sorse qualche contrattempo, Marconi minacciò di andarsene e la regina irritata decretò: «Si chiami un altro elettricista». A proposto di Kelvin va però ricordato che il celebre scienziato sul radiotelegrafo si ricredette quasi subito e lo proclamò solennemente; anzi volle spedire egli stesso messaggi radiotelegrafici e li volle pagare: fu il primo denaro incassato per un marconigramma. Ciò che colpisce del Marconi di quegli anni è il contrasto tra la sua figura di biondo giovanotto poco più che ventenne dall'aria delicata e la solida capacità di far funzionare un complesso di uomini e di impianti che si andava via via accrescendo. Da un lato c'è lo scienziato che si pone dei problemi, teorici o pratici, e li risolve con un'intensa riflessione solitaria; dall'altro c'è il suo attivismo da navigato uomo d'affari in perenne viaggio tra Inghilterra, Italia, Stati Uniti, la sua innata abilità di comunicatore che ne fanno un insuperato uomo di pubbliche relazioni. E mentre riflette sulle questioni scientifiche che gli si parano davanti via via che affronta nuovi obiettivi, fonda società, si procura capitali, li investe, li reincassa per investirli in nuovi progetti. Intanto muove un esercito di collaboratori (scelti a uno a uno, per le loro capacità tecniche e per il loro carattere, alcuni dei quali resteranno con lui per tutta la vita). Uomini fatti, con alle spalle solide professionalità e collaudate esperienze, lavorano sotto la guida di un ragazzo che non ha neppure finito le scuole regolari, riconoscendogli la naturale, innata qualità di leader. A proposito della sua abilità di manager la rivista londinese Va nity Fair scrisse di questo insolito scienziato «che non lavora isolato in una soffitta e non è costretto a vivere di solo pane», che «non ha mai sofferto la fame per più di cinque ore di fila». Il 12 dicembre del 1901, alle 12,30, il primo messaggio radio varca l'Atlantico, lanciato dalla stazione di Poldhu in Gran Bretagna a quella di Signal Hill sulla costa americana. E' il momento più alto della creatività di Marconi, che sarà consacrata dal Nobel 8 anni dopo. Lo scienziato da questo momento ci appare come un mago che ha iniziato un sortilegio e ora coinvolge studiosi e sperimentatori in ogni angolo del mondo, richiedendo la soluzione di un gran numero di problemi scientifici e tecnici, conquistando spazi sempre più grandi, coinvolgendo un numero immenso di persone. Nessuno scienziato ebbe mai tanta popolarità e tanto favore dai potenti. Si rendeva conto di aver aperto una breccia in un universo di cui quasi tutto restava da scoprire e fino al giorno della morte, il 20 luglio 1937 a Roma, continuò accanitamente a sperimentare, lavorando sulla «sintonia selettiva», sulle onde corte e sulle microonde, sul principio del radar, sulla trasmissione di immagini a distanza. Un giorno del 1933, durante uno dei tanti trionfali viaggi negli Stati Uniti, fu invitato a visitare gli studi radiofonici del Music Hall di Radio City a New York, i più avanzati del mondo; secondo un cronista, Marconi osservò quella imponente materializzazione delle sue intuizioni e tutto ciò che disse fu: «Ma guarda!». Vittorio Ravizza


ASTRONAUTICA Condominio in orbita Lo Shuttle bussa alla «Mir»
Autore: GUIDONI UMBERTO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, PROGRAMMA, TECNOLOGIA
NOMI: THAGARD NORMAN, DUNBAR BONNIE, COLLINS EILEEN, TITOV VLADIMIR, GIBSON ROBERT
ORGANIZZAZIONI: STAZIONE SPAZIALE «MIR», NASA, AGENZIA SPAZIALE RUSSA, ALFA, ROCKWELL INTERNATIONAL CORP
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. La stazione spaziale «Mir»

A 20 anni dallo storico aggancio Apollo-Soyuz in orbita, americani e russi tornano a lavorare insieme in missioni spaziali congiunte, e questa volta tutto fa pensare che sarà molto di più di una stretta di mano nello spazio. Dopo la firma del contratto fra la Nasa e l'Agenzia spaziale russa per la realizzazione della Stazione Spaziale Internazionale «Alfa», è ormai certo che l'ente spaziale russo dovrà provvedere ad alcune delle componenti essenziali del nucleo centrale della Stazione. Un impegno tecnologico di tutto rispetto, che costituisce una fetta consistente dell'investimento complessivo, stimato in oltre 30 miliardi di dollari. Mettere insieme una cooperazione internazionale di queste dimensione è di per sè un'impresa complessa, dove gli aspetti tecnici si intrecciano con le differenze economiche e culturali: basti pensare alle difficoltà logistiche che il personale della Nasa ha trovato al momento dell'insediamento in Russia oppure alla barriera linguistica, che è sempre presente, nonostante il massiccio programma di insegnamento della lingua russa per decine di astronauti e di tecnici americani. Tuttavia, la voglia di proseguire sembra più forte delle difficoltà e il programma di cooperazione marcia a pieno ritmo. A riprova di ciò, anche se i primi elementi di «Alfa» verranno assemblati in orbita solo a partire dalla metà del 1997, nei prossimi due anni ben sette voli dello Shuttle attraccheranno alla Mir, la stazione spaziale russa. La Mir, che orbita nello spazio da circa dieci anni, costituisce il prototipo da cui verrà derivato il nucleo principale di «Alfa» e le missioni previste, cui parteciperanno equipaggi misti con astronauti americani e cosmonauti russi, rappresentano un banco di prova molto attendibile delle condizioni di lavoro che si avranno a bordo della futura Stazione Spaziale Internazionale. Complessivamente 5 astronauti americani saranno impegnati a bordo della Mir per lunghe permanenze in orbita: una novità assoluta per astronauti della Nasa, abituati alle missioni dello Shuttle che durano non più di 15 giorni. I primi due americani, Norman Thagard e la sua collega Bonnie Dunbar, stanno per concludere il loro training alla «Città delle Stelle», vicino a Mosca, dove ha sede il centro di addestramento dei cosmonauti russi. Nel marzo del '95, Thagard raggiungerà la Mir su una capsula Soyuz e tornerà sulla Terra a bordo dello Shuttle che, circa tre mesi dopo, si congiungerà con la stazione spaziale russa. La Dunbar, che si sta addestrando come riserva per questo primo volo di rendez- vous con la Mir, sarà a bordo dello Shuttle che andrà a prelevare Thagard e sullo stesso volo ci saranno anche i due cosmonauti russi Budarin e Solovyev, che daranno il cambio ai loro colleghi a bordo della Mir. La navetta «Atlantis», che ha effettuato il volo con il satellite al guinzaglio italiano nel 1992, ha da poco terminato un lungo processo di ammodernamento di preparazione per questa missione. Tra l'altro, «Atlantis» è stata predisposta per l'installazione del meccanismo di aggancio, che permetterà il congiungimento in orbita fra la navetta e la Mir. Questo dispositivo è stato realizzato dalla Rockwell International Corp, la stessa compagnia che ha costruito la flotta dei traghetti spaziali operata dalla Nasa. Lo sviluppo e la qualifica del «docking mechanism», che deve raccordare la tecnologia russa e quella americana, si è rivelato più arduo del previsto, con problemi che hanno fatto fallire alcuni dei test effettuati poco prima di iniziare la produzione delle componenti di volo. Inoltre, i tecnici Nasa hanno verificato che il meccanismo di aggancio e rilascio della Mir non ha tutte le ridondanze ritenute necessarie per garantire la sicurezza dell'equipaggio. Questo costituisce un elemento di criticità abbastanza serio, che viola i criteri di «safety» utilizzati dalla Nasa per le operazioni dello Shuttle. Probabilmente il problema non potrà essere risolto in tempo per la missione di maggio; per questo l'equipaggio della navetta «Atlantis» sarà addestrato anche all'eventualità di una «passeggiata spaziale» . Se, al momento dell'attacco o del rilascio della navetta dalla stazione spaziale, si dovesse presentare qualche problema, ci saranno due astronauti pronti ad effettuare un'attività extraveicolare per andare a sbloccare, con l'ausilio di appositi attrezzi, il meccanismo di aggancio. Un test pratico avverrà durante l'imminente missione dello Shuttle, la STS-63. La navetta «Discovery» raggiungerà l'orbita della stazione Mir ed effettuerà le manovre di avvicinamento ma non si aggancerà con la stazione russa: sarà una prova generale paragonabile a quella dell'Apollo X, che raggiunse la Luna ma non effettuò l'allunaggio. A bordo del «Discovery» ci saranno, tra gli altri, Eileen Collins, prima donna a pilotare lo Shuttle, e Vladimir Titov, secondo cosmonauta russo a mettere piede a bordo della navetta americana. La visita inaugurale alla stazione spaziale Mir è una missione ambiziosa che pone alla Nasa una nuova sfida, paragonabile a quella affrontata ai tempi della missione Apollo- Soyuz. Finora lo Shuttle, contrariamente al nome, è stato usato esclusivamente come piattaforma per effettuare ricerche scientifiche e per la messa in orbita e il recupero di satelliti. «Sarà un rendez-vous storico», ha commentato il comandante della missione di aggancio alla Mir, Robert Gibson, «per la prima volta uno Shuttle attraccherà a una struttura orbitante e questo rappresenterà un salto di qualità nel modo di operare della navetta spaziale». Umberto Guidoni Candidato astronauta dell'Agenzia spaziale italiana


IL CASO ITALIA Ricerca: vinca il peggiore
Autore: STRATA PIERGIORGIO

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, UNIVERSITA', INSEGNANTI
NOMI: PODESTA' STEFANO, MADDOX JOHN
ORGANIZZAZIONI: CUN
LUOGHI: ITALIA, ROMA

SU La Stampa del 15 gennaio l'ex ministro Podestà sosteneva che nel suo disegno di legge sullo stato giuridico e il reclutamento dei professori universitari approvato il 14 dicembre non vi è alcun tentativo di proporre concorsi ope legis. Infatti, il passaggio dei professori associati e ricercatori più «anziani» sarebbe subordinato al giudizio di merito di una commissione di professori ordinari. L'eventuale insuccesso di tale operazione sarebbe quindi legato solo all'eventuale incapacità della categoria degli ordinari. L'ex ministro dovrebbe ricordare che un tale esperimento fu attuato negli Anni 80 con i concorsi di idoneità per professori associati. Il risultato fu che il 99% degli aspiranti ottenne la promozione, trasformando quegli pseudo-concorsi in un ridicolo rito di assoluzione plenaria, cosa senza precedenti al mondo. Perché ripetere l'errore? L'ex ministro dovrebbe anche sapere che nella prima tornata di quei concorsi alcune commissioni cercarono di essere più restrittive di altre nei loro giudizi. Ad esempio, nei concorsi di Fisiologia umana, la commissione giudicò idonei circa il 20% degli aventi diritto. L'allora ministro Falcucci, su suggerimento del Cun, si rifiutò di firmare gli atti della commissione. In seguito alla denuncia con richiesta di danni da parte degli idonei che vedevano ritardata la loro carriera, il ministro Falcucci approvò la parte degli atti concorsuali che riguardava soltanto costoro, ma non firmò mai l'inidoneità degli altri. Le proteste soprattutto da parte sindacale furono così pressanti che di fatto le Commissioni successive giudicarono idonei praticamente tutti. Un sindacalista del Cun mi disse che gli ordinari di quella commissione non avevano interpretato correttamente la legge. Secondo la sua interpretazione, tutti coloro che avevano svolto il loro dovere di docenti dovevano essere promossi. Che significa fare il proprio dovere? Sviluppare una capacità di svolgere ricerche di buon livello in maniera autonoma oltre che fare un certo numero di lezioni ed esami? Oppure non avere commesso reati penali? Che garanzia sussiste che tali condizioni non si ripetano nei nuovi ipotizzati concorsi di idoneità? Altri esponenti politici grideranno che non possono essere considerati inidonei candidati che da anni già operano nelle rispettive Facoltà, dimenticando che in molti casi ciò accade proprio in grazia dell'assoluzione plenaria precedentemente da loro stessi imposta. E se non saranno i politici a imporre le idoneità saranno i Tar che, per natura, non possono entrare in questioni di merito. Seconda considerazione. Perché mettere gli ordinari nella condizione di giudicare senza concorrenti degli stretti collaboratori con cui spesso dovranno continuare a convivere? Terza considerazione. Per quale motivo limitare la competizione a chi è già dentro e non ammettere anche coloro che appartengono ad altri enti di ricerca in Italia o all'estero? E' questo il disegno di legge partorito da un governo che si dichiarava liberista? O è un prodotto dei sindacati, i quali di fronte alle numerose lettere uscite sui giornali in questo periodo non hanno preso la parola? Nel numero 42 della rivista Sfera (1994) John Maddox, direttore da oltre 20 anni della prestigiosa rivista Nature, afferma che «con il solo 5% della popolazione mondiale, gli Stati Uniti vantano il 75% dei risultati scientifici più importanti, e la stima pecca probabilmente per difetto. E' anche chiaro che il ritmo delle scoperte è aumentato di 3-4 volte solo perché un Paese come gli Stati Uniti accetta di sottoporre le proprie menti più intelligenti a un tipo di economia di mercato, dove la competizione verte sul prestigio conferito dalla scienza». Nessuno difende l'attuale sistema dei concorsi, neppure gli ordinari. Siamo d'accordo che bisogna cambiare strada. Ma vorremmo che la strada nuova fosse migliore della vecchia e non peggiore. Se si vuole seriamente migliorare il livello scientifico dell'Università italiana non è dall'atto finale del processo di selezione, e cioè dai concorsi, che bisogna cominciare, ma dai meccanismi di base dell'organizzazione della ricerca. 1) E' necessario distribuire i fondi in maniera meritocratica cambiando i sistemi di gestione e di assegnazione dei fondi. Coloro che svolgono un dato programma di ricerca devono poter scegliere i propri collaboratori. Solo premiando i gruppi che producono risultati di eccellenza si otterrà una selezione valida. 2) E' essenziale aumentare i finanziamenti per la ricerca. Attualmente le destiniamo l'1,3% del Pil, cioè meno della metà di quanto spendono gli altri Paesi industrializzati. Nel mondo universitario la somma destinata alla ricerca in gran parte va in stipendi. E l'attuale distribuzione a pioggia risente fortemente di questa limitazione. Auguriamo al nuovo governo di poter affrontare seriamente il problema dell'Università e della ricerca rendendo il nostro sistema più simile a quello degli altri Paesi industrializzati: ciò sarebbe di grande aiuto anche alla nostra economia. Piergiorgio Strata Università di Torino


SCRICCIOLI D'AUSTRALIA Te lo dico con un petalo blu Ma la parata è rivolta alle femmine altrui
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ETOLOGIA, ZOOLOGIA
NOMI: MULDER RAOUL A.
LUOGHI: ITALIA

COME sedurre la femmina? Con un petalo di fiore nel becco. Un petalo di colore sgargiante che contrasti vistosamente con le tinte del piumaggio. E' la strategia amorosa degli scriccioli d'Australia e della Nuova Guinea appartenenti al genere Malurus. Ognuna delle tredici specie di questo genere predilige il petalo di un determinato fiore. C'è chi lo preferisce rosso, chi azzurro, chi giallo. Splendidi nella loro livrea nuziale blu vellutata in cui spiccano le piume azzurre iridescenti del capo, delle guance e dell'ampio collare a semicerchio, i maschi ostentano la loro bellezza davanti alle femmine dal piumaggio scialbo. E' il modo più efficace per far capire quali sono le loro intenzioni. Il bello è che la parata amorosa con il fiore nel becco raramente è rivolta alla propria partner, quella con cui il maschio forma coppia fissa vita natural durante. Di solito è riservata alle avventure extraconiugali, avventure tutt'altro che rare. Tutto questo emerge da una ricerca a lungo termine condotta da Raoul A. Mulder, professore associato di Zoologia all'Università inglese di Cambridge. E', questa, una ricerca durata sei anni, che Mulder ha svolto nella patria dei Malurus, in un giardino botanico di Canberra. Il posto ideale per studiare le bizzarre abitudini sessuali di questi piccoli graziosissimi uccelli, che non migrano e rimangono tutto l'anno nei loro territori. Un anellino di riconoscimento alla zampa consente allo studioso di distinguere i maschi l'uno dall'altro. Gli individui dei due sessi hanno un diverso destino. Mentre le femmine si allontanano dal nucleo familiare prima di compiere l'anno, i maschi rimangono spesso e volentieri nel territorio nativo per dare una mano ai genitori nell'allevamento dei nuovi nati. Fanno da «aiutanti». Nutrono i piccoli e li proteggono dall'attacco dei predatori. E predatori ce ne sono a bizzeffe, dai ratti ai gatti selvatici, dalle volpi ai serpenti. Nonostante la sorveglianza dei fratelli maggiori, però, più della metà dei nidi vengono depredati prima che i nidiacei siano in grado di prendere il volo. La stagione riproduttiva è lunga, può durare sei mesi e oltre, per tutta la primavera e l'estate australe. Al suo termine, la scena cambia. I maschi subiscono una muta che fa cadere le sfolgoranti penne colorate e le sostituisce con un piumaggio dai colori smorti, assai simile a quello delle femmine. E insieme con la livrea nuziale cadono anche le velleità amatorie degli scriccioli. Le femmine fabbricano il nido da sole, senza il minimo aiuto da parte del maschio. A furia di accumulare erba secca, costruiscono una struttura a forma di cupola che tappezzano poi internamente con soffici piume di pappagallo. Vi depongono tre o quattro uova, poi le covano per due settimane. Ci vogliono altre due settimane prima che i piccoli siano in grado di volare. Ma a questo punto si direbbe che la madre ritenga di aver fatto abbastanza. Lascia la cura dei piccoli a marito e figli «aiutanti» e se ne va a costruire un altro nido e poi un altro ancora. Ci sono femmine che costruiscono fino a sette nidi e vi depongono complessivamente più di venti uova. Ed è proprio mentre ferve l'attività costruttrice della femmina che il suo partner incomincia a fare lo scavezzacollo. Dopo essersi assicurato che i figli «aiutanti» sono di guardia al nido - guai se uno di loro si allontana, lo insegue e ingaggia con lui un furioso combattimento sino a che non lo riporta al suo posto - si fa un giro di perlustrazione nei dintorni alla ricerca delle femmine in periodo fertile. Ogni dama riceve così uno stuolo di pretendenti. Nel giro di venti minuti Mulder ne ha contati sette che facevano visita alla stessa femmina. Non è detto però che i pretendenti, anche se fanno un allettante show di corteggiamento e si presentano con il classico fiorellino nel becco, riescano sempre nel loro intento. Spesso il marito legittimo li scaccia in malo modo. Il poveretto ha il suo daffare. Perché, mentre scaccia un pretendente, un altro se ne presenta e lui non sa più dove voltarsi per tener testa alla concorrenza. Ma succede spesso che la femmina non accetti le avances del corteggiatore che non le garba. Perché, anche nel caso dei Malurus, se la femmina non collabora, la fecondazione non può aver luogo. Comunque però la femmina ha modo di fare una selezione dei candidati all'accoppiamento e qualcuno - anzi più che qualcuno - lo accetta, sia pure alla chetichella. La prova? La danno le impronte del Dna, la tecnica moderna per l'accertamento della paternità. Usando questa tecnica di laboratorio, Mulder fa una scoperta sensazionale. Scopre che addirittura nel novantacinque per cento delle covate è presente almeno un nidiaceo che non è figlio del marito legittimo. Complessivamente, il settantasei per cento dei duecento neonati esaminati non sono figli del maschio residente, ma frutto di amori clandestini. L'infedeltà dunque per gli scriccioli d'Australia non è una eccezione, è quasi la regola. Ci si domanda di conseguenza che cosa mai spinga così spesso le femmine all'adulterio. L'ipotesi di Mulder è che il partner più desiderabile per la femmina sia quello che ha buoni geni da trasmettere alla prole, anche migliori di quelli del partner a vita. Ma il numero dei maschi eccellenti riproduttori è limitato, tanto è vero che su sessantotto maschi adulti presenti nella zona studiata, soltanto una esigua minoranza - e cioè nove - risultano padri dei molti figli adulterini. Come facciano le femmine a identificare i portatori di buoni geni, è un mistero. Ma sta di fatto che vanno a colpo sicuro. Con incredibile fiuto scartano i pretendenti scadenti e si concedono soltanto a quelli di alta qualità genetica. Isabella Lattes Coifmann


SONO PERICOLOSI? I telefonini sotto accusa
Autore: VOLPE PAOLO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, ELETTRONICA, COMUNICAZIONI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: Effetti biologici dei campi elettromagnetici

MENTRE sui rischi delle radiazioni elettromagnetiche ionizzanti (raggi X e gamma) si sa quasi tutto e la legislazione è rigorosa, riguardo ai campi elettromagnetici non ionizzanti (onde radio ma anche onde elettromagnetiche derivanti da motori elettrici e da linee ad alta tensione) la normativa è ancora molto vaga perché poco di certo si sa in materia. Eppure l'esposizione a queste radiazioni è diffusissima: elettrodomestici come lucidatrici, aspirapolveri, frullatori ma soprattutto rasoi e asciugacapelli, il cui uso implica una stretta vicinanza al cervello, sono di uso quotidiano. L'effetto biologico dei campi elettromagnetici a 50 Hz più quantificabile è quello immediato (cefalee e nausee) che si esercita sulle cellule eccitabili (quelle nervose, ad esempio) per il quale un decreto della presidenza del Consiglio dei ministri dell'aprile 1992 (in accordo con l'International Radiation Protection agency) ha stabilito in 1 Gauss il valore massimo del campo magnetico (il campo magnetico terrestre è 0,5 Gauss). Ma c'è un presunto effetto a lungo termine, ipotizzabile in base a ricerche epidemiologiche per ora ancora scarse, che correla questi campi elettromagnetici con tumori cerebrali e leucemie infantili. Prime indicazioni tenderebbero a limitare il campo elettromagnetico rispetto a questi effetti a soli 0,005 Gauss. Ma questi campi elettromagnetici, «lentamente variabili», generano nel corpo campi elettrici di poche decine di volt/metro, mentre i campi elettrici esistenti fra le membrane cellulari sono milioni di volte più intensi. Si capisce allora come una attenzione maggiore venga rivolta ai campi elettromagnetici «rapidamente variabili», cioè le onde elettromagnetiche di frequenza tra i 10 kHz e i 100 GHz, generate da radiotrasmettitori (la frequenza dei telefoni cellulari è intorno al GHz). Come le microonde elettromagnetiche riscaldano il cibo nel forno, così le microonde di un radiotrasmettitore conferiscono energia al tessuto biologico: la differenza sta nella frequenza, che è meno adatta al riscaldamento, e ancor più nella diversa potenza. Si ha comunque un effetto termico sul quale si discute se dare un limite Sar (Specific absorption rate) di 1,6 W/Kg come propone il Comitato 28 Ieee dell'american National Standard Institute o di 2 W/Kg, suggerito dal sottocomitato 111B del Cenelec. Ma questa discussione non tiene conto degli effetti non termici - per esempio di polarizzazione - che, sebbene legati alla potenza assorbita, possono avere limiti molto diversi. E' molto probabile che i possibili effetti biologici dei campi elettromagnetici siano dovuti alla componente magnetica, in quanto il tessuto animale è un buon conduttore, cosicché il campo elettromagnetico interno diventa trascurabile rispetto a quello esterno. I campi magnetici interni invece sono circa uguali a quello esterno e creano correnti indotte che danno campi elettrici paragonabili con quelli esistenti tra le membrane cellulari. Uno degli effetti ipotizzabili è che i campi elettrici indotti influenzino lo scambio dei neurotrasmettitori. Ma una delle ipotesi su cui è più necessario indagare per le possibili conseguenze (insorgenza di tumori) è l'effetto di questi campi sulla velocità di ricombinazione dei radicali liberi che si formano naturalmente all'interno delle cellule. Se la loro velocità di ricombinazione è rallentata, diviene concreta la possibilità che interagiscano con il Dna variandone la struttura e inducendo la cellula a evolvere in senso cancerogeno. Quello che è certo, da esperienze su animali, è che i campi magnetici riducono la produzione di melatonina, un ormone alla cui carenza è associata l'insorgenza di cancro al seno, alla prostata e alla pelle. Tutto ciò, va sottolineato per tranquillità degli utenti dei telefoni cellulari, è da collocarsi nella sfera non del danno certo bensì del rischio e, a dire il vero, del rischio molto basso. Anzi, salvo pochi risultati di ricerche epidemiologiche non molto vaste, poco è rigorosamente documentato. In attesa che studi più approfonditi forniscano notizie più certe, converrà usare il telefonino quando è veramente necessario e non per esibizione. Paolo Volpe Università di Torino


FIORI D'INVERNO Fa freddo, eppur fiorisce Specie precoci con tanti profumi
Autore: ACCATI ELENA

ARGOMENTI: BOTANICA
LUOGHI: ITALIA

CHI ama la natura può fare osservazioni interessanti proprio nella quiete dell'inverno, quando il mondo vegetale sembra completamente addormentato. Mai come in questi mesi, infatti, gli alberi a foglie caduche offrono allo sguardo attento le loro architetture superbe, in cui si scorgono il colore, la consistenza, gli elaborati disegni delle cortecce, la disposizione delle branche e dei rami secondari, e si percepiscono i vari stadi di rigonfiamento delle gemme. D'altra parte, in gennaio-febbraio si scoprono le fragranze dolci o aspre di molte specie: basti pensare al giacinto, di cui si coltivano gli ibridi del Hya cinthus orientalis, originario dell'Europa orientale, e alla Daphne, genere che comprende specie assai diverse tra loro, tutte caratterizzate da fiori carnosi profumati, formati da quattro petali che sono in realtà lobi del tubo calicino. Probabilmente nessun arbusto come la Daphne ha ispirato tanti miti e leggende: si racconta infatti che una ninfa per sfuggire alla corte insistente di Apollo sia stata trasformata nella Daphne odora, la più profumata nell'ambito del genere, e anche che un monaco cinese si sia addormentato accanto a una roccia e nel sogno si sia sentito avvolto da un profumo insistente, tanto che al risveglio, trovatosi accanto a un arbusto, la Daphne odora, l'abbia denominato Shui Hsiang, profumo di sonno, come viene ancora chiamato in Oriente. Amatissima dai cinesi, questa specie è coltivata nei loro giardini fin dall'anno 1000, mentre in Europa è stata utilizzata soltanto a partire dal 1600. Profumati sono pure alcuni crochi, in particolare il Crocus laevigatus, che sbuca dal terreno per solo 2-8 centimetri. Quelli più profumati si trovano in Grecia. Presente anche nei nostri boschi, conosciuta come viola mammola, è la Viola odorata; poco appariscente, coperta dalle foglie, si fa riconoscere grazie al suo profumo. Fu prediletta da Napoleone, che in una lettera nel 1807 a Maria Walewska scriveva: «Mia dolce Maria accetta questo mazzolino di violette e che possa diventare un misterioso legame tra noi...». Nel suo giardino all'isola di Sant'Elena, per ricordare il profumo delle primavere parigine, Napoleone volle grandi parterres di violette. Anche i poeti della classicità greca, quando intendevano sottolineare la suggestione di un luogo, non mancavano nello loro descrizioni di ricordare la presenza delle viole, coltivate con cura in ogni giardino di Atene. I romani, poi, attribuivano alla viola particolari poteri curativi contro il mal di testa. Anche gli arbusti che fioriscono prima di emettere le foglie, come il Calicanto, l'Hama melis, il Corylopsis, lo Jasmi num nudiflorum e la Sarcococca, oltre a possedere fiori molto particolari, nastriformi o riuniti a formare graziosi ciuffi quasi sempre gialli - questo è, insieme al bianco, il colore che per primo compare durante l'inverno - sono caratterizzati da un intenso profumo. Meno nota è sicuramente la Sarcococca (dal greco, «con il frutto carnoso»), una specie che fa parte della famiglia del bosso; è anch'essa sempreverde, ha un aspetto trascurabile per molti mesi dell'anno, fiori piccoli senza petali ma un profumo straordinario, che la rende superba da dicembre a marzo. In questi arbusti, la cui fioritura avviene prima dell'emissione delle foglie, le gemme si ingrossano in quanto gli ormoni che presiedono alla dormienza, essenzialmente l'acido abscissico, lasciano il posto alle gibberelline, per cui basta un po' di tepore per far comparire i fiori. E senza le foglie, gli insetti impollinatori possono compiere più agevolmente il loro lavoro. Elena Accati Università di Torino


LA POMPA DELLA BENZINA Mi faccia il pieno! Come si controlla il flusso di carburante
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Come funziona una pompa di benzina

IL beccuccio della pompa controlla il flusso del carburante nel serbatoio dei veicoli. Grazie a due dispositivi di sicurezza, sospende l'erogazione quando il serbatoio è pieno o quando la pompa è mal posizionata. Il carburante sgorga da un tubo flessibile, attaccato al beccuccio da uno snodo girevole. Finché non si preme il grilletto, il carburante è bloccato da una valvola a fungo tenuta ferma da due molle, una più debole dell'altra. La sede di questa valvola ha una forma particolare, che incanala il flusso di carburante secondo l'«effetto Bernouilli», simile all'aspirazione sopra le ali di un aeroplano, che lo fa galleggiare in aria.


SCIENZIATI E UMANISTI La guerra delle culture
Autore: DIDIMO

ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA
NOMI: SNOW CHARLES
LUOGHI: ITALIA

UN 35 anni fa, lo scrittore e scienziato inglese sir Charles Snow pubblicò un saggio, The two Cultures, in cui indicava e deplorava la divergenza fra il mondo mentale dei letterati e quello degli scienziati, auspicandone un ravvicinamento. Lo scritto (che fu tradotto in italiano presso Feltrinelli con una prefazione di Ludovico Geymonat) ebbe una sua risonanza: intanto la divaricazione tra i due rami continuò e si accrebbe. Inevitabile: le scienze sono cresciute, in questo secolo, come non mai prima. In generale, lo scibile si dilata, mentre la durata della vita umana resta suppergiù quella che era. Anche la capacità della mente ha i suoi limiti. In antico, questa dicotomia non c'era. Mancava persino un vocabolo per indicare la «scienza». L'uomo pensante era il «filosofo» . Noi, a distanza di tempo, possiamo cogliere incontri palesi o nascosti tra i due campi; come la circostanza che alcune proposizioni e dimostrazioni matematiche ebbero e conservino la bellezza di opere d'arte (poniamo, la prova che Euclide espone dell'infinità dei numeri primi: negli Elementi, libro IX, prop. 20); o che un poeta romano, Lucrezio, poté entusiasmarsi nel De Rerum Natura, per le conquiste della filosofia naturalistica di Epicuro. Più tardi, per restare all'Italia, furono scrittori e scienziati insieme Leonardo (che, facendo torto a se stesso, si dichiarava illetterato), Galileo e i suoi più diretti allievi; poi i naturalisti Redi e Spallanzani; mentre tentativi di poesia didascalica si ebbero dal Parini, attento ai disagi sociali; dallo Zanella, cui dobbiamo una ispirata Conchi glia Fossile; dal Mascheroni, poeta e matematico, autore di un Invito a Lesbia, più famoso che godibile. La Francia può vantare il matematico e fisico e scrittore Pascal; mentre in Gran Bretagna, acutissimo e grande divulgatore fu Darwin. Invece nessuno dei fisici moderni, Einstein incluso, seppe spiegare bene la relatività. Comunque debbano andare, per l'avvenire, le cose, le due culture, per alcuni aspetti, sono inseparabili: non fosse altro che lo scienziato, per dire della sua ricerca o scoperta, adopera un linguaggio (la sua parlata o di altri), che è il prodotto (mutabile nel tempo e destinato a scomparire) di una cultura di natura spontanea, poetica (le lingue artificiali, come quella del nostro Peano, il Latino sine flexione non ebbero fortuna). A volte la cultura umanistica attinge alla scienza per strani prestiti. Così Benedetto Spinoza, per scrivere la sua Etica, si ispirò al Mos Geometricus degli Elementi di Euclide. Ai tempi nostri, un congiungimento rilevante tra i due campi si deve al computer, uno strumento che, piccolo o grande, insinuandosi un po' dappertutto (negli uffici, nelle banche, nei ministeri, e altresì nelle stanze degli scrittori) porge aiuto nella composizione, nella impaginazione; ma soprattutto è stato adoperato nell'analisi lessicale di opere famose. C'è chi conosce a memoria tutta La Divina Commedia. Così un calcolatore, con qualcosa di più e di meno. La macchina è inferiore all'uomo perché non capisce il testo, non si indigna, non si commuove. Ritiene dei segni (che sono per noi, non per esso, parole). Ma essa ci supera perché sa rispondere a chi le domandi, per esempio, quante volte e in quali canti e in quali versi, ricorra la parola «cielo» o qualsiasi altro vocabolo (La Divina Commedia, testo, concordanze, lessici, rimario, Ibm Italia 1965). La macchina ci informa altresì, supposto che ne abbiamo la curiosità, che il termine «mio» ricorre 310 volte, e che la parola più usata è la congiunzione «e». Su questa e altre virtù può venire il dubbio che esse siano di poca utilità. Ma letterati e filologi possono avere ottime ragioni per pensare diversamente. L'andamento divaricante tra i due campi, con qualche ponte qua e là gettato tra di essi, è anche mantenuto da una diffusa incomprensione tra i rispettivi cultori o studiosi: gloriandosi lo scienziato per l'universalità del suo intento. Va egli alla ricerca di leggi della natura, valevoli in ogni luogo e in ogni tempo, mentre, sì, quel tale letterato è uno studioso importante, che sa tutto sul Manzoni. Ma il Manzoni stesso, chi era? Uno scrittore d'ingegno, ma limitato, un individuo, prodotto di una certa cultura e di un certo tempo, non portatore di nulla di universale. Il quale giudizio è poi ricambiato da molti degni studiosi verso i matematici o i cercatori di farfalle o verso altri personaggi noiosi, i quali soli hanno la pazienza e l'intrinseca pochezza per affrontare le minuzie della geometria. E poi, è vero che la scienza rimane uguale a se stessa? No: Copernico smentisce Tolomeo; Einstein corregge Newton. Quale universalità è questa? Didimo


STRIZZACERVELLO Triangoli magici
ARGOMENTI: GIOCHI
LUOGHI: ITALIA

Triangoli magici Con i numeri 1, 2 e 3 sistemati ai vertici di un triangolo, collocare gli altri numeri 4, 5, 6, 7, 8, e 9 sui lati del triangolo in modo che la somma su ogni lato sia uguale a 17. Ci sono due diverse soluzioni. Sempre con i numeri da 1 a 9 trovare ora la collocazione dei numeri sui lati del triangolo in modo che la somma su ogni lato sia 23. Ai vertici devono essere collocati i numeri 7, 8 e 9. Ci sono due diverse soluzioni. Un po' più difficile da trovare è il triangolo che ai vertici ha 1, 2, e 3 e i numeri 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11 e 12 collocati sui lati, in modo che la somma su ogni lato sia 28. Le soluzioni domani, accanto alle previsioni del tempo.


LA PAROLA AI LETTORI Così la Pasqua oscilla con i cicli della Luna
LUOGHI: ITALIA

Quale formula si usa per calcolare la data della Pasqua? Dopo numerose controversie, il Concilio di Niceo (325 d. C.) stabilì definitivamente la data della Pasqua sulla base di un passo di una lettera di Paolo ai Corinti. Essa cade dunque la prima domenica dopo il primo plenilunio dell'equinozio di primavera, cioè tra il 22 marzo e il 25 aprile. Questo è il motivo per cui la Pasqua è una festa mobile. Lara Patrono Livorno Ferraris (Vc) La formula per il calcolo della data della Pasqua prevede che sia celebrata la prima domenica che segue il quattordicesimo giorno a partire dall'ultimo novilunio prima della primavera. Qualora però tale domenica risultasse antecedente o coincidente con il 21 marzo, si terrebbe in considerazione il novilunio seguente. Ad esempio, nel 1995, si ha luna nuova il primo marzo. Sommando 14 giorni si giunge a mercoledì 15. Si dovrebbe perciò scegliere domenica 19, la quale però precede il 21 marzo. Si considera allora la luna nuova del 31 marzo: in tal caso, 14 giorni portano a venerdì 14 aprile e festeggeremo la Pasqua domenica 16. Stefano Testa, Vinovo (To) La formula per calcolare la Pasqua si basa sul ciclo aureo della Luna, scoperto dall'astronomo greco Mitone nel V secolo, che consente di stabilire la data del plenilunio passato o futuro. IA, Istituto Alberghiero G. Colombatto, Torino La data della Pasqua è legata al ciclo lunare che, come noto, non coincide con l'anno solare, e questo complica notevolmente il suo calcolo. Il metodo pratico messo a punto dal matematico tedesco K. G. Gauss dipende da due parametri fissi, che per gli anni dal 1900 al 2099 valgono m=24 e n=5. Si pren- da l'anno in esame e lo si divida per 19. Sia a il resto della divisione. Si divida lo stesso anno per 4, e sia b il resto, poi per 7 e sia c il resto. Si calcoli poi il valore di mpiù19a, lo si divida per 30 e sia d il resto. Si valuti infine l'espressione 2bpiù4cpiù6dpiùn e la si divida per 7; sia e il resto. Il giorno della Pasqua è dato da 22piùdpiùe in marzo; se il risultato è superiore a 31, bisogna sottrarre appunto 31 e la Pasqua cade in aprile. Per quest'anno, si ha: 1995/19=105 e resto a=0; 1995/4=498 e resto b=3; 1995/7=285 e resto c=0; (24più19x0)/30=0 e resto d=24; (2X3più4x0più6x24più5)/7=22 e resto e=1; 22più24più1=47, 47- 31=16 aprile. Ci sono però due eccezioni: 1) se il calcolo dà 26 aprile, si arretra di una settimana e la data esatta è il 19; 2) se il calcolo dà 25 aprile, con d=28, ancora si sottrae 7 e la data è il 18. Il procedimento può sembrare una formula magica, tutta- via si può verificare come esso funzioni adeguatamente. Mario Sitta, Torino Come mai il cappello del cuo co è alto e gonfio? Per ragioni di igiene: essendo ben fissato, alto e gonfio come un soufflè, favorisce le varie e complicate operazioni da compiere in cucina - al forno e ai fornelli. Se fosse basso e floscio, potrebbe facilmente finire sugli occhi o addirittura cadere fra i cibi da confezionare. Luciano Eco, Teramo Qual è il gioco d'azzardo che offre le maggiori probabilità di vincere? La roulette. Il numero puntato viene pagato 36 volte la posta scommessa. Essendoci 37 numeri (dallo 0 al 36) nella versione europea e 38 (c'è anche il doppio 0) in quella americana, è possibile, in Europa, puntare la stessa cifra su 35 numeri, aven- do così 94,59 per cento di possibilità di vincere. Pierandrea Saraco Dati 16 giocatori, 8 maschi e 8 femmine, che giocano sempre in coppia maschio-femmina in un torneo all'italiana, è possibile che ognuno giochi sempre con tro e in coppia con una femmina diversa? E' possibile: alternando, ad esempio, il maschio A e la femmina A contro il maschio B e la femmina B, e analogamente tutte le altre coppie. Lo dimostra un tabellone con A, B, C, D, E, F, G, H come ascisse e ordinate. Flavio Norbiato Novi Ligure (Alassandria)


CHI SA RISPONDERE?
LUOGHI: ITALIA

Q. Qual è l'origine dell'espressione «mangiare la foglia»? Q. Perché in molte lingue europee la parola «nove» e la parola «nuovo» sono simili? (Nine/new; nuevo/nueve; neu/neun; neuf/neuf). Q. Perché i cani per i loro bisogni sono attratti dai pneumatici delle automobili?




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