TUTTOSCIENZE 30 novembre 94


RIVOLUZIONE NEL PIATTO A tavola c'è una sorpresa E per i diffidenti un test scopre i cibi transgenici
Autore: PREDAZZI FRANCESCA

ARGOMENTI: GENETICA, ALIMENTAZIONE, BIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA
ORGANIZZAZIONI: HYDROTOX
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D.T. Quali cibi dall'ingegneria genetica
NOTE: Ingegneria genetica dei prodotti alimentari. Biotecnologie. Pomodori Flvr-Savr

IL pranzo genetico sarà presto servito. Ignorati dalla maggioranza dei consumatori e non ancora imbrigliati dalle normative vigenti, i prodotti dell'ingegneria genetica diventano una parte sempre più consistente dei generi alimentari che finiscono sulle nostre tavole. Negli Stati Uniti le prime verdure geneticamente manipolate, come i pomodori Flvr-Savr che si mantengono fragranti per due settimane dopo la maturazione, sono già in vendita con notevole successo e ora anche l'Europa si prepara a un mercato di patate, pomodori o zucchine nate in provetta. Ortaggi migliorati geneticamente rispetto alla specie di origine. In Germania, dove la popolazione è estremamente diffidente (l'80 per cento dei tedeschi dichiara di non volere comprare prodotti alimentari geneticamente manipolati) si sta già correndo ai ripari. Una piccola ditta di Friburgo, la Hydrotox, ha presentato in questi giorni alla fiera delle biotecnologie di Dusseldorf il primo «detective genetico»: un programma di controllo per individuare le manipolazioni genetiche nei cibi. In un futuro non troppo lontano il «Gene Scan» potrebbe essere commissionato dalle catene di supermercati che vogliono analizzare la nuova partita di zucchine e scoprire se la loro particolare dolcezza sia un prodotto di laboratorio. Le applicazioni dell'ingegneria genetica ai cibi che consumiamo in realtà sono molteplici e in gran parte già avvengono senza che il consumatore se ne renda conto. E se gli oppositori, come i Verdi tedeschi, parlano di «Frankenfood» attribuendogli un carattere mostruoso, per i sostenitori si tratta di una «rivoluzione alimentare pari all'introduzione dei cibi surgelati negli Anni Trenta». Il primissimo prodotto genetico ammesso nell'industria alimentare è stato un lievito per il pane (Ceremyl) venduto in Gran Bretagna nel 1990, che serve a raddoppiare il tempo durante il quale i panini si conservano freschi e croccanti. Nel frattempo gli enzimi prodotti in laboratorio sono diventati molti di più. Si chiamano Novoren per accelerare i tempi di cagliatura del latte, Liquozyme per la produzione di alcool, Maltogenase per trasformare gli amidi in sciroppo, Maturex per accelerare la fermentazione del luppolo nella produzione della birra o Pectinex per ottenere più succo dalla frutta. La prima ditta produttrice di biotecnologia al mondo è la Novo Nordisk in Danimarca, che dà lavoro a dodicimila persone e vende enzimi in sessanta Paesi. I fatturati dell'industria biotecnica già adesso sono imponenti: diecimila miliardi l'anno, che potrebbero diventare 160 mila entro il Duemila, anche se per il momento i profitti derivano in massima parte dalle applicazioni all'industria farmaceutica, come la produzione sintetica di insulina. Gli enzimi prodotti in laboratorio si trovano però in molti settori: il 75 per cento dei detersivi sul mercato contengono enzimi per smacchiare, ammorbidire o mantenere vivi i colori, vengono utilizzati nell'industria tessile, in quella della carta, o per la produzione di pesticidi. La differenza tra gli «enzimi tecnici» e i pomodori Flavr-Savr è però essenziale. Nei primi si sono fatte modifiche sui genomi propri, cioè non presentano materiale genetico estraneo. I secondi sono piante o animali transgenici, come piantine di cacao resistenti alle malattie, patate che sopportano meglio lo stress o incroci tra una carpa e una trota. In entrambi i casi un controllo sulle operazioni effettuate non è banale. La difficoltà consiste nello scoprire in quale punto del Dna è avvenuta la manipolazione: una pianta possiede una quantità enorme di materiale genetico e non è sempre ovvio dove cominciare a cercare. In altre parole, «per un controllo ottimale bisognerebbe potersi fidare delle informazioni delle persone che vengono controllate», come spiega Georg Schreiber, dell'Istituto tedesco per la tutela sanitaria del consumatore e per la medicina veterinaria (Bgvv), con sede a Berlino. All'interno dell'Istituto si è già formato un gruppo di lavoro «patate» per individuare le piantine geneticamente manipolate e un settore «yogurt» che si occupa dei nuovi microrganismi che potrebbero venire utilizzati per yogurt, birra o vino, anche se, essendo un istituto pubblico, i ricercatori devono procedere con i piedi di piombo ed effettuare otto test per ogni controllo. I detective tedeschi della Hydrotox intendono sfruttare a loro vantaggio soprattutto il fattore tempo. Sperano di essere al corrente dei nuovi prodotti prima che vengano immessi sul mercato europeo. Un'ulteriore difficoltà è rappresentata dai prodotti già elaborati. Se per esempio non è difficile riconoscere i geni del pomodoro che non marcisce, è quasi impossibile fare altrettanto se lo stesso pomodoro è stato trasformato in conserva o in salsa per pizza: il calore o la sterilizzazione distruggono quasi integralmente il Dna. Un compito difficile per i detective del gene, tanto più che ci si muove su un terreno nuovo. Anche le critiche riguardano piuttosto il timore di ripercussioni ignote, che non casi già accertati di malattie o allergie dovute a prodotti geneticamente manipolati. «Non si possono prevedere tutte le possibili modifiche del metabolismo causate da una manipolazione genetica», dice Beatrix Tappeser dell'Istituto Ecologico di Friburgo, «lo si vedrà solo a posteriori». Francesca Predazzi


BREVETTO UE Il pomodoro che non marcisce
Autore: F_P

ARGOMENTI: GENETICA, ALIMENTAZIONE, BIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA
ORGANIZZAZIONI: ISTITUTO BREVETTI EUROPEO, NOVEL FOOD
LUOGHI: ESTERO, GERMANIA, MONACO
NOTE: Ingegneria genetica dei prodotti alimentari. Biotecnologie. Pomodori Flvr-Savr

I pomodori americani geneticamente manipolati, che non marciscono neanche due settimane dopo la maturazione, potrebbero presto arrivare anche in Europa. Proprio questa settimana l'Istituto brevetti europeo di Monaco di Baviera ha dichiarato all'agenzia di stampa tedesca Dpa di avere concesso il brevetto europeo per il pomodoro «Flavr-Savr», ovvero il pomodoro «salva-sapore» che può essere raccolto già maturo dalla pianta, visto che gli scienziati sono riusciti a eliminare il «gene del marciume» che provoca nei normali pomodori il processo di rammollimento e peggioramento del gusto. Negli Stati Uniti il pomodoro genetico, creato dalla ditta californiana Calgene e commercializzato dal gigante alimentare delle minestre in scatola Campbell, è in vendita da maggio. Si tratta del primo ortaggio frutto dell'ingegneria genetica direttamente in commercio e sebbene il suo arrivo fosse stato accompagnato da proteste degli ecologisti si sta vendendo molto bene. Costa il doppio di un pomodoro normale, ma il suo sapore sembra avere conquistato il pubblico americano. In Europa il brevetto di Monaco è un primo passo verso la sua introduzione sul mercato, anche se la commercializzazione dei «Flavr-Savr» deve venire approvata individualmente e poi congiuntamente da tutti gli Stati dell'Unione Europea. La complicata procedura si renderà necessaria fino a che non sarà pronto il regolamento Novel-Food, che i dodici volevano approvare già un anno fa, per definire la situazione normativa sul «nuovo cibo» prodotto dall'ingegneria genetica. Il punto di maggiore discussione è se imporre l'obbligo di dichiazione per ogni prodotto dell'ingegneria genetica, in modo di dare al consumatore la possibilità di scegliere se comprarlo o no. Una regola del genere è quella che vorrebbero i tedeschi, dove l'opinione pubblica è fortemente contraria. Esclusi dall'obbligo di informazione al consumatore sarebbero comunque gli enzimi utilizzati nell'industria alimentare, che sono stati prodotti in laboratorio con metodi di ingegneria genetica senza però modificarne le caratteristiche. (f. p.)


IL COSMO E' PIU' GIOVANE? Aiuto, mi si è ristretto l'universo! Il Big Bang è messo in discussione da nuove misure
Autore: REGGE TULLIO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, FISICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: Effetto Doppler

L'UNIVERSO visibile contiene circa 10 miliardi di galassie distribuite in modo abbastanza uniforme eccezione fatta per alcune notevoli irregolarità locali, inoltre le galassie non sono immobili. Per l'effetto Doppler la frequenza della luce emessa da una sorgente luminosa in moto è alterata rispetto a quella emessa da una sorgente ferma. L'effetto sussiste anche per le onde sonore, il fischio di una locomotiva che si allontana è infatti di tonalità più bassa di quello di una locomotiva in arrivo. In modo simile la luce emessa da una galassia che si allontana ha una frequenza minore e quindi una lunghezza d'onda maggiore di quella emessa da una galassia che si avvicina. Poiché la luce rossa ha frequenza minore della luce gialla il fenomeno viene chiamato dai fisici red-shift (spostamento verso il rosso). Quasi tutte le galassie mostrano un red-shift e quindi una velocità di recessione v che pare crescere proporzionalmente con la loro distanza d secondo la legge di Hubble v=Hd, H è chiamata costante di Hubble. In pratica questo significa che le galassie si allontanano una dall'altra e che quindi l'universo è in espansione. Su questo punto non mancano le voci di dissenso, tra cui quella autorevole di Arp, ma al momento mi limiterò a discutere il modello corrente del Big Bang. Secondo questo modello la distanza tra le galassie aumenta continuamente ma non cambiano le proporzioni relative. In modo simile se gonfiamo un palloncino di gomma aumentano le dimensioni delle figure che su esso sono disegnate senza che cambi la loro forma. Se le galassie si allontanano dovevano essere più vicine nel passato e dividendo la distanza di una galassia per la sua velocità di allontanamento otteniamo il tempo 1/H che questa ha impiegato a percorrere data distanza, tempo che non dipende dalla scelta della galassia ma solamente dalla costante H di Hubble. Ne segue che al tempo 1/H nel passato tutte le galassie parevano riunite insieme in una configurazione di densità infinita da cui pare sia nato il nostro universo, in breve 1/H sarebbe l'età dell'universo. Un calcolo più accurato che tiene conto del rallentamento dell'espansione riduce questa stima a 2/3H. Nel suo lavoro pionieristico degli Anni 20 Hubble stimò in circa 500 km al secondo per Mpc il valore di H (1 Mpc = 1 megaparsec = 3,26 milioni di anni luce è una unità di distanza di uso corrente in astrofisica). Circa 70 anni dopo questa misura è stata più volte riveduta e drasticamente ridotta scatenando una serie di annose polemiche tra chi la voleva assestata sui 50 km/(s.Mpc) e chi la voleva di valore doppio. Accettare un valore doppio significa dimezzare l'età dell'universo fino al punto in cui questo pare contenere oggetti (quali stelle ed ammassi globulari) che, paradossalmente, sono più vecchi dello stesso universo. Per valutare la costante H occorre misurare la velocità di recessione e quindi il red-shift di una galassia, impresa relativamente facile, occorre anche misurare la distanza della galassia, impresa formidabile e disseminata di trappole in cui cadde a suo tempo lo stesso Hubble. Per valutare la distanza occorre identificare in essa delle particolari stelle a variabilità periodica, le Cefeidi, il cui periodo di pulsazione è legato in modo univoco alla loro luminosità assoluta e che possono quindi essere usate come candele campione. Esistono anche altre classi di stelle pulsanti ma con una diversa relazione periodo-luminosità, queste stelle, se confuse con le Cefeidi, possono introdurre errori grossolani nella valutazione delle distanze galattiche. Il gruppo di Pierce e poi quello di Freedman al telescopio spaziale HST (la H sta per Hubble) hanno recentemente identificato con certezza delle Cefeidi nella galassia M100 in Virgo stabilendone la distanza in circa 17 Mpc per cui H pare ora assestarsi su 80 km/(s.Mpc) a mezza via tra i due valori precedenti. La misura è di una precisione senza precedenti ed apre una crisi nella cosmologia, permane infatti il contrasto tra età dell'universo e quella di oggetti stellari in esso contenuti. Il contrasto può sanarsi modificando e complicando le equazioni del campo di Einstein mediante l'introduzione del termine di repulsione cosmologica. Non possiamo neppure escludere che esistano errori sistematici e che la ventina di Cefeidi scoperte in M100 abbiano una composizione chimica ed una relazione periodo-luminosità diversa da quella delle Cefeidi contenute nella nostra Galassia. Il telescopio spaziale sta rivelandosi uno strumento possente che sarà presto affiancato da altri supertelescopi terrestri di grande apertura per cui la misura ora effettuata di H sarà sottoposta a ripetuti ed estenuanti controlli. Quasi certamente questi nuovi strumenti risolveranno controversie ormai vetuste ponendo nella giusta luce le critiche di Arp. Tullio Regge Politecnico di Torino


TECNOLOGIA BELLICA Guerra sì, ma dolce Ecco le armi che non fanno male
Autore: RAVIZZA VITTORIO

ARGOMENTI: ARMI, TECNOLOGIA
NOMI: EVANCOE PAUL, BENTLEY MARK
ORGANIZZAZIONI: RID-RIVISTA ITALIANA DIFESA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: Armi non violente. Ndt Tecnologie Inabilitanti Non Letali

UNA guerra senza morti, tutta tecnologica, combattuta contro le cose piuttosto che contro gli uomini, con armi dirette a neutralizzare singoli combattenti o intere unità operative ma non alla loro eliminazione fisica. Un quadro utopistico? No, secondo Paul Evancoe e Mark Bentley, il primo un'autorità nella tecnologia delle armi non letali, l'altro nel campo della sicurezza dei computer. In due articoli su «Rid-Rivista Italiana Difesa», i supertecnici americani sollevano il velo sulle Tecnologie Inabilitanti Non Letali (o Ndt), un ventaglio di innovazioni tecnologiche forse capaci di rivoluzionare i conflitti futuri e, fin da ora, adatte contro atti di terrorismo, sequestri, colpi di mano ai quali sempre più spesso il nostro mondo inquieto deve fare i conti. Sono già pronte armi laser a bassa energia, piccoli laser che emettono luce oscillante tra rosso, giallo, verde, blu e ultravioletto in grado di accecare temporaneamente le persone e di mettere fuori uso i sistemi ottici di osservazione del nemico. La fonte emittente, alimentata da batterie, è così piccola da poter essere agganciata a un fucile. Un effetto simile hanno anche le granate abbaglianti, in cui la luce laser è generata da un'esplosione che surriscalda il plasma circostante provocando un lampo di luce; granate di questo tipo sono state usate più volte da reparti anti-terrorismo occidentali mentre i sovietici le avrebbero impiegate in Afghanistan come indicherebbero i frequenti casi di cecità riscontrati nei villaggi. Le armi a microonde ad alta potenza sfruttano un'emissione di microonde in grado di penetrare nei componenti elettronici delle armi, di aerei, missili, motori, sistemi di volo e di navigazione provocandone la fusione; in sostanza un forno a microonde che agisce non verso l'interno, sull'arrosto o la bistecca, ma verso l'esterno. Intorno a queste armi in Usa sarebbe in corso una ricerca finanziata dal governo. Un ruolo particolare potrebbero rivestire i virus dei computer, o «bombe logiche», come le definiscono i due tecnici. Gli eserciti sono sempre più informatizzati, i computer contano almeno quanto le bombe. I virus informatici, affidati a squadre di sabotatori, possono colpire il sistema di comando e controllo delle forze armate, far saltare il controllo aereo, paralizzare le centrali di tiro o far impazzire i sistemi guida missili, oltre a colpire al cuore l'intera nazione mettendo in crisi, per esempio, il sistema bancario o quello delle telecomunicazioni. Infrasuoni. Si tratta di suoni a frequenza molto bassa, circa 16 Hz, mal tollerati dall'orecchio umano, capaci di provocare disorientamento e nausea. E' facilmente intuibile l'utilità di un'arma così semplice e praticamente innocua per esempio nelle azioni antiterrorismo, quando è assolutamente necessario non ledere gli ostaggi. Il problema pratico è costituito dal peso e dalle dimensioni degli altoparlanti e degli amplificatori, che devono ancora essere miniaturizzati per diventare effettivamente utilizzabili. Una potente azione di disturbo può essere provocata con un mezzo ben noto, le luci stroboscopiche usate nelle discoteche; in questo caso si tratta di luci di forte intensità lampeggianti a una frequenza prossima alla frequenza d'onda del cervello umano; ciò provoca vertigini e malesseri debilitanti. Luci stroboscopiche e infrasuoni possono essere accoppiati e trovare impiego in particolare in azioni di antiterrorismo. Cogliere il nemico nel sonno, sogno di tutti i generali. Oggi questo comincia a diventare possibile unendo sostanze sonnifere o calmanti al solfossido di dimetile, un prodotto che la pelle assorbe con grandissima facilità. Una sostanza del genere può essere diffusa come spray o polvere da aerei ed elicotteri sulle persone ma anche su colonne di veicoli e navi nelle quali penetra attraverso le prese d'aria. Agenti chimici per indebolire i metalli. «Questi agenti - dice Evancoe - esistono già, e i loro effetti vanno ben oltre le capacità di immaginazione dei soggettisti di Hollywood». Si tratta di sostanze capaci di provocare il mutamento della struttura molecolare di metalli e leghe indebolendole e favorendone la rottura. Affidate a incursori, spalmate su veicoli, aerei, impianti hanno l'effetto di altrettante cariche esplosive. Identico uso hanno i supercaustici, sostanze fortemente corrosive che possono essere sparse facilmente da aerei o da proiettili di artiglieria e che «mangiano» le scarpe dei soldati, pneumatici, coperture di edifici, piste di aeroporti. Ci sono anche mezzi di attacco che promettono risvolti comici, come la tecnologia anti-aderenza, già disponibile: superlubrificanti da spargere con mezzi aerei o con proiettili di artiglieria su strade, piste, binari, passaggi obbligati; le ammucchiate sono facilmente immaginabili. Anche l'uso di super-adesivi promette effetti da comica finale: si tratta di polimeri che si induriscono istantaneamente e che non solo possono essere usati per intasare prese d'aria e motori ma anche per incollare una persona a qualsiasi cosa con cui venga in contatto, anche un'altra persona. Vittorio Ravizza


SCAFFALE Angela Piero: «I misteri del sonno», Mondadori
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, PSICOLOGIA, LIBRI
NOMI: D'ORTONES JACQUES
LUOGHI: ITALIA

NEL 1789 il botanico Jacques d'Ortones provò a tenere al buio una mimosa e scoprì che le sue foglie si aprivano e si chiudevano ogni 12 ore come se la pianta fosse stata nel suo ambiente naturale. La mimosa rivelava un «bioritmo». Fatto peraltro comune a quasi tutte le forme viventi. L'uomo non fa eccezione. I nostri bioritmi riguardano molte funzioni, alcune poco visibili perché strettamente ormonali, altre evidenti. Nell'arco della giornata variano, per esempio, la temperatura corporea e il battito cardiaco. Ma il ciclo sonno-veglia è il bioritmo fondamentale. Peccato che in molti sia mal regolato. L'insonnia colpisce in forma grave almeno 4 milioni di italiani, e 15 in forma lieve. Piero Angela guida i suoi lettori nell'esplorazione di quella parte buia della nostra vita che è il sonno. Dormiamo per circa un terzo della nostra esistenza. Nel sonno l'inconscio svolge funzioni essenziali per il benessere psichico e ci parla con il linguaggio cifrato dei sogni. Basta che l'orologio biologico marci male, alterando il nostro riposo, perché ne risentano l'efficienza fisica e mentale. Un problema grosso: negli Stati Uniti il costo dell'insonnia è stimato in 16 miliardi di dollari, il prezzo di tre navette spaziali. I rimedi? Se si può, meglio evitare l'uso sistematico di farmaci; esistono metodi naturali per conciliare il sonno altrettanto efficaci quando il disturbo non è troppo grave. In ogni caso lo studio scientifico del sonno è ancora agli inizi, soprattutto in Italia. E Angela, con questo suo libro, dimostra un'altra volta di saper stare sulla frontiera.


SCAFFALE Webster Robert: «Gemme», Zanichelli
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: CHIMICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Quella che Zanichelli ci offre è la bibbia delle gemme: una enciclopedia in cui è accuratamente descritto ogni tipo di pietra preziosa, 1500 esemplari grezzi riprodotti a colori, quasi cento pagine dedicate al diamante, una cinquantina al rubino e allo zaffiro, informazioni sui giacimenti. Il testo di Webster è giunto in inglese alla quarta edizione. Un libro soprattutto da consultare, ma anche da leggere nelle sue molte parti storiche e aneddotiche.


SCAFFALE Morris Desmond: «L'animale uomo», Mondadori
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ETOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Torna l'etologia umana di Desmond Morris in una specie di summa di alcuni dei suoi libri più fortunati. Il linguaggio, i comportamenti amorosi, l'abbigliamento, l'arte sono alcuni dei temi portanti. Il tono è lieve, le molte foto contribuiscono a rendere il testo ancora più popolare. I lettori di Morris ci troveranno poco di nuovo, ma chi non lo conosce si divertirà.


SCAFFALE Marshall Thomas Elizabeth: «La tribù della tigre», Longanesi
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ETOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

La Thomas è una etologa dilettante famosa per i suoi libri divulgativi. Questo, dedicato ai felini, è un singolare intreccio di osservazioni personali (specie sul gatto e sul puma) e di dati acquisiti dalla ricerca ufficiale. Non sempre le due componenti sono fuse con equilibrio e la scrittura in prima persona può lasciare perplessi ma la lettura è senz'altro gradevole.


SCAFFALE Conan Doyle Arthur e Pinna Lorenzo: «L'abisso di Atlantide», Editoriale Scienza
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: DIDATTICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Un libro, due romanzi e una buona dose di scienza. E' la formula di un editore triestino che ha pensato di accoppiare romanzi di fantascienza di grandi autori «classici» e racconti d'oggi che però approfondiscono gli aspetti scientifici nascosti sotto la trama. Dopo «Caccia al meteorite» di Jules Verne è la volta di un romanzo di Arthur Conan Doyle. Della sezione moderna è autore Lorenzo Pinna. Lo spunto? Un biologo marino, tal Giuseppe Granseola, ha l'occasione di calarsi nelle profondità oceaniche con un sommergibile da ricerca. E scopre la biologia e la geologia degli abissi. Il risultato è molto divertente e istruttivo. Una lettura per i ragazzi, ma non solo.


ASTRONOMIA Autopsia della cometa suicida L'analisi dei dati dopo la caduta su Giove
Autore: BATALLI COSMOVICI CRISTIANO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, FISICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: Cometa Schoemaker-Levy

MAI nella storia dell'astronomia un fenomeno cosmico è stato così seguito da professionisti e dilettanti come l'evento catastrofico verificatosi fra il 16 e il 22 luglio di quest'anno quando i 21 frammenti del nucleo della cometa Shoemaker-Levy sono piombati nell'atmosfera di Giove a 60 chilometri al secondo. La probabilità che nei prossimi mille anni si possa assistere a qualcosa di simile è praticamente nulla, anche se Giove funge da «parafulmine» per il sistema solare attirando con il suo enorme campo gravitazionale tutti i corpi minori che superino una ben definita distanza di sicurezza. La probabilità che comete cadano oggi come nel passato nell'atmosfera di Giove non è trascurabile, ma che ben 21 frammenti di una cometa compiano un bombardamento a tappeto alla stessa latitudine è un evento più unico che raro. Gli astronomi americani, analizzando foto d'archivio del sistema gioviano, hanno scoperto su Ganimede una sequenza di crateri che effettivamente fanno pensare a qualcosa di simile avvenuto in un passato molto remoto. La spettacolarità e la mole di dati scientifici acquisita ha superato ogni ottimistica aspettativa e ci vorranno anni perché tutti questi dati possano essere analizzati ed interpretati: ciò è emerso dal congresso internazionale della Società astronomica americana tenutosi a Washington nella prima settimana di novembre ove sono stati presentati oltre 200 lavori riguardanti l'impatto SL/9-Giove. La settimana prima si erano riuniti a Roma i gruppi italiani di Frascati, Bologna, Firenze, Catania, Tradate, Padova e Teramo che, sotto il patrocinio del Cnr, avevano ottenuto importantissimi risultati su scala nazionale. Bisogna far rilevare che la comunità scientifica internazionale disponeva, oltre che di tutti i telescopi terrestri, dell'eccezionale collaborazione del telescopio spaziale (Hst) in orbita intorno alla Terra, dei satelliti ultravioletti Iue e Euve, del satellite a raggi X, Rosat, della sonda spaziale Galileo che si trovava a 240 milioni di chilometri da Giove e dal «Voyager, 2», che distava addirittura 6135 milioni di chilometri. Le osservazioni più significative, sia fotografiche sia spettroscopiche, si sono ottenute tramite il telescopio spaziale grazie anche all'inserimento, avvenuto in orbita, dell'ottica correttiva all'errore di curvatura del suo specchio principale. Ma solo componendo il mosaico totale delle osservazioni si è potuto giungere alle conclusioni preliminari che riguardano problemi completamente nuovi, date le innumerevoli incognite connesse con gli impatti cometari: grandezza dei frammenti, loro morfologia e costituzione, profondità di penetrazione nell'atmosfera, energia liberata per via meccanica e termica, effetti chimici, origine delle nuove molecole individuate. Riguardo a queste ultime, ha destato grande sorpresa l'abbondanza dei composti dello zolfo provenienti dai frammenti cometari rispetto ai classici radicali contenenti il carbonio e all'acqua; è stata così confermata la presenza dell'acido solfidrico, da me scoperto nel 1983 nella cometa Iras. Importantissima sarebbe la conferma dei deboli segnali di formaldeide rivelati in assorbimento dal radiotelescopio di Medicina. Anche se vi sono ancora quattro modelli per quello che riguarda le dimensioni dei frammenti, sembra che si possa convergere verso la soluzione di un nucleo originario di circa 4 chilometri di diametro dal quale si sono disgregati 21 frammenti con diametro dai 500 metri ai 2 chilometri, come nel caso del frammento denominato G. In tal caso l'energia totalmente liberata nell'atmosfera dovrebbe essere dell'ordine di 100 milioni di megatoni di TNT (Hiroshima: 15 chilotoni), quanto basta per distruggere ogni forma di vita sul nostro pianeta. Estremamente difficile appare anche l'interpretazione delle esplosioni osservate da Terra e dallo spazio nel visibile e nell'infrarosso in quanto non vi è coincidenza temporale. Si pensa che l'esplosione principale sia preceduta da un flash diffuso da particelle di polvere cometaria a altezze superiori ai 3000 chilometri al di sopra dell'atmosfera di Giove e che alla prima, dopo qualche minuto, faccia seguito un flash termico nell'infrarosso a temperature di varie migliaia di gradi. In ogni caso la mole dei dati raccolti è gigantesca e dovremmo aspettare ancora anni per avere la soluzione finale a tutti i quesiti posti dall'unico fenomeno catastrofico finora osservato nella storia dell'astronomia. Cristiano B. Cosmovici Cnr, Istituto di fisica dello spazio


TECNOLOGIA AVANZATA Un radar rabdomante che trova l'acqua nel sottosuolo Verrà usato nell'esplorazione di Marte per accertare se ci sia ghiaccio in profondità
Autore: SORLINI ACHILLE

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
ORGANIZZAZIONI: CNES CENTRE NATIONALE D'ETUDES SPATIALES
LUOGHI: ITALIA

NEGLI ultimi anni lo sviluppo delle tecnologie di rilievo mediante onde elettromagnetiche radar, prospezione radar terrestre e prospezione radar orbitale, ha permesso di ottenere rapidi e ottimi risultati, sia sui problemi di piccola dimensione quali, ad esempio, la prospezione archeologica e la mappatura di inquinamenti localizzati, sia per analisi territoriali di più ampio respiro come l'inquinamento oceanico o lo sviluppo agricolo di Paesi emergenti. Grazie al raggiungimento degli obbiettivi di ricerca sull'impiego delle onde radar nello studio del nostro pianeta, le missioni rivolte all'analisi della superficie di Marte, previste per gli anni 1996-1998, hanno in programma l'impiego di un georadar di superficie (ground probing radar) per analizzare in profondità il sottosuolo ed in particolare la calotta glaciale, in cui è racchiusa l'acqua del pianeta. Come si sa, il popolare «pianeta rosso» è ricoperto da uno strato superficiale di colate basaltiche dello spessore di 300 metri, ma, al di sotto di queste, si trova una calotta glaciale perenne che si approfondisce per oltre 2000 metri, sino a che l'enorme pressione di quella profondità impedisce all'acqua di congelare. L'acqua in fase liquida si estende sino alla crosta rocciosa del pianeta, la quale arriva a circa 10 chilometri dalla superficie. Tutti i materiali che costituiscono la stratigrafia tipica di Marte posseggono caratteristiche elettromagnetiche tali da assicurare una buona propagazione delle onde radar in profondità, in modo da poterle utilizzare proficuamente come strumento d'indagine. La particolare strumentazione da inviare sul pianeta è stata progettata e realizzata dal Cnes (Centre Nationale d'Etudes Spatiales) di Parigi, in collaborazione con università francesi, russe e lettoni. La sperimentazione è stata condotta inizialmente sulle dune sabbiose costiere del Mare del Nord, su ghiacciai alpini e sul permafrost siberiano, più recentemente, nella Terra Adelie in Antartide, in condizioni molto simili a quelle della missione sia per la temperatura che per l'ambiente geologico. Il radar approfitterà dell'impiego di un aerostato dedicato all'analisi dell'atmosfera marziana, il quale, durante il giorno, sarà innalzato in quota dall'irraggiamento solare, ma, durante la notte, si muoverà a bassa quota, spinto dai venti con velocità e direzione costanti. I caviguida dell'aerostato sono risultati adatti ad offrire un passaggio alla strumentazione radar, anche se in uno spazio molto limitato. I cavi stessi costituiranno le antenne striscianti sul suolo del pianeta e, proprio in un cavo, potrà trovare spazio il radar. Numerose sono state le difficoltà nella realizzazione di una unità di trasmissione-acquisizione radar rispondente ai requisiti di dimensione, peso ed affidabilità, tali da poter essere trasportata e gestita da un veicolo spaziale automatico ed inserita in un cavo metallico. Tutta l'elettronica, in grado di lavorare tra -70C e -110C durante le dieci notti di durata del progetto, è stata costretta in un cilindro di 3 centimetri di diametro e 20 centimetri di lunghezza, dal peso di meno di 1,5 chilogrammo, comprese le batterie di alimentazione e le schermature elettromagnetiche, contro i dieci chilogrammi di peso delle usuali unità georadar. La lentezza della trasmissione dei dati raccolti dalla strumentazione alla stazione ricevente sulla Terra, si potranno inviare al massimo due milioni di caratteri (2 Mbytes) per notte di lavoro, condizionerà pesantemente la risoluzione del sistema che dovrà accontentarsi di «vedere» oggetti maggiori di 10 metri, pur con una profondità d'indagine minima di 1000 metri. Le stime più ottimistiche accreditano al radar la possibilità di raggiungere i 2500 metri dalla superficie. I test condotti in Antartide nel corso del 1993 dai ricercatori europei con il prototipo «Prism», trainato a mano sul ghiaccio polare, hanno prodotto un'eccezionale sezione profonda della calotta antartica dove è stato possibile riconoscere con chiarezza il profilo roccioso sottostante a 850 metri di ghiaccio. Achille Sorlini


LUMACHINE DEL NEGEV La sabbia? La facciamo noi Erodono le rocce per raggiungere i licheni
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA, AMBIENTE
NOMI: JONES CLINE G., SHACHAK MOSHE
LUOGHI: ESTERO, ISRAELE, NEGEV

NON solo la gente comune, ma anche gli scienziati prendono qualche volta lucciole per lanterne. Com'è successo nel Negev, il deserto che si estende nella parte meridionale di Israele. A prima vista il Negev, come tutte le altre zone desertiche della Terra, sembra una landa desolata assolutamente priva di vita. Solo un'osservazione più attenta rivela che le sue rocce sono ricoperte da fitte colonie di licheni. E i licheni altro non sono che associazioni simbiotiche tra alghe e funghi, quindi esseri viventi. Ma la cosa che più colpisce è lo straordinario numero di linee bianche che attraversano i licheni, intersecandosi spesso a formare quasi una rete di filigrana. Si era sempre pensato nel mondo scientifico che quella rete di leggeri solchi superficiali fosse prodotta dai licheni stessi nella competizione tra le varie specie per la ricerca del cibo. Ma due studiosi israeliani, Clive G. Jones e Moshe Shachak, hanno avuto il sospetto che si trattasse invece dell'opera di un animale. Un sospetto fondato. Nel deserto del Negev vivono tre specie di lumachine, Euchondrus albulus, E. desertorum, E. ramanensis. Vederle non è facile. Prima di tutto perché sono molto piccole (misurano non più di un centimetro), poi perché hanno costumi decisamente notturni. Di giorno non si vedono. Se ne stanno nascoste nei crepacci delle rocce. Soltanto dopo il tramonto escono allo scoperto. Per poter meglio seguirne il comportamento, i due studiosi decidono di trasferirle in laboratorio, creando per loro un ambiente del tutto simile a quello naturale per tipo di roccia, luce, temperatura, umidità. Possono osservare così che i molluschi, quando si spostano, fanno ogni tanto una sosta, durante la quale si dondolano curiosamente. Quando riprendono il cammino, hanno lasciato dietro di sè sulla roccia un solco bianco lungo circa dieci millimetri, largo uno e profondo mezzo. Un più attento esame rivela che, per poter raggiungere gli strati di alghe verdi e funghi, le lumache hanno inciso la roccia, mettendo a nudo il biancore del calcare. I molluschi, cioè, erodono la roccia, anche se digeriscono soltanto il cinque per cento di ciò che ingeriscono. La maggior parte viene espulsa sotto forma di roccia polverizzata e licheni non digeriti. Non c'è da meravigliarsi che riescano a intaccare un materiale così duro. Pur non avendo veri e propri denti, posseggono però, come tutti i molluschi gasteropodi, un organo simile alla lingua, la «radula», che porta centinaia di dentini e, sfregando contro una superficie dura, agisce come una lima. Molti dentini si spezzano durante l'operazione, ma poco male! La parte della radula che si è logorata viene prontamente sostituita da quella che cresce a getto continuo dal fondo della bocca. Rimane l'interrogativo di come le lumache si procurino l'acqua in un deserto dove cadono in media cento millimetri di acqua all'anno. Ed ecco la risposta. La fonte idrica delle lumache è la rugiada che si posa sulle rocce al termine della giornata nei mesi più freschi dell'anno, da settembre ad aprile. Nei mesi più caldi, da maggio ad agosto, quando la rugiada non si forma, le lumache evitano il disseccamento chiudendosi ermeticamente nella loro conchiglia e cadendo in quello stato di letargo che prende nome di «estivazione». Come le nostre chiocciole, anche le lumachine del Negev diventano più intraprendenti durante o subito dopo le piogge. Quando il terreno è bagnato, abbandonano l'abituale riservatezza per darsi alle escursioni, agli incontri amorosi, alla deposizione delle uova fecondate nei luoghi umidi. E' questo il periodo in cui se ne trovano di più in circolazione - una ventina per metro quadro. Ma tanta abbondanza di lumache nel deserto del Negev ha un significato ecologico che va molto al di là della singolarissima dieta a base di calcare. La loro presenza è d'importanza fondamentale per la vita dei licheni, ma anche per l'arricchimento del suolo desertico. Questa è la scoperta più interessante di Clive Jones e di Moshe Shachak. Quando le spore dei licheni trasportate dal vento raggiungono nuove rocce, il loro accrescimento dipende dalle lumachine. Sono queste, infatti, che rimuovono lo strato superficiale delle rocce, mettendo a nudo quello immediatamente sottostante ricco dei minerali di cui i licheni hanno bisogno. Inoltre i solchi fatti dai molluschi raccolgono rugiada e polvere ricca di azoto, ambedue essenziali per il sostentamento dei licheni. Prima che fossero scoperte le lumachine, si riteneva che la formazione annuale di nuovo terreno nel deserto del Negev fosse dovuta all'apporto di sabbia dalla penisola arabica e dal Sinai, ad opera del vento. Ora invece si è scoperto che la maggior parte de nuovo terreno del Sinai proviene dalle deiezioni dei piccoli molluschi. Ogni anno infatti le lumachine erodono dal 4 al 7 per cento della superficie totale di roccia, scavandola a un millimetro di profondità. Il che significa che tramutano in terreno circa 400 chilogrammi di roccia per acro di deserto. I piccoli molluschi non solo creano terreno, ma pensano anche a fertilizzarlo. Gli ambienti desertici sono di solito poveri di azoto. Ed ecco la provvida azione delle lumachine che, quando brucano i licheni, cercano quelli che contengono la maggior quantità di azoto. Poiché digeriscono solo una parte del cibo ingerito, la maggior parte la espellono sotto forma di escrementi azotati. La sola specie Euchondrus albulus, la più comune nel Negev, apporta al suolo desertico ben l'undici per cento dell'azoto che vi entra annualmente. Al vederle così piccine e insignificanti, nessuno penserebbe che queste creature possano avere un ruolo così importante nell'ecosistema di un deserto. Isabella Lattes Coifmann


I LICHENI Matrimonio felice tra un fungo e un'alga Oltre duemila specie in Italia: sono un ottimo test di salute ambientale
Autore: GRANDE CARLO

ARGOMENTI: BOTANICA, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: NIMIS PIER LUIGI, POELT JOSEF, SBARBARO CAMILLO
ORGANIZZAZIONI: MUSEO REGIONALE DI SCIENZE NATURALI DI TORINO, SOCIETA' LICHENOLOGICA ITALIANA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Sezione di un lichene foglioso con riproduzione per mezzo di soredi

LINNEO li chiamava «la misera plebaglia del regno vegetale». Il poeta Camillo Sbarbaro, grande esperto, li collezionava invece amorevolmente. Licheni, croce e delizia del mondo accademico: croce per i Soprintendenti, che se li ritrovano, coloratissimi - verdi e gialli, bianchi, marrone e arancio - sui monumenti di ogni tipo, tenacissimi nel loro lavoro di «mangiatori» della pietra, più forti del marmo, del granito, persino delle antiche vetrate. I licheni, d'altra parte, sono tra i primi responsabili della degradazione delle rocce: la loro azione secolare è tra quelle che producono il suolo. Ma anche quando i danni non sono immediatamente strutturali (in alcuni casi le loro «ife» riescono a penetrare anche parecchi centimetri nella pietra, sfigurando eroi e divinità, tritoni e ninfe), essi provocano non pochi danni estetici. Questi esseri minuscoli, che nutrono le renne e crescono anche sulla corteccia degli alberi, sanno anche rendersi molto utili. Sono la «delizia» di chi va a caccia di veleni, in quanto vivono d'aria e risultano quindi molto sensibili a inquinanti atmosferici come polveri e anidride solforosa, ossidi di azoto, cloro, piombo, rame, zinco, cadmio. Notte e giorno, per anni, assorbono tali sostanze, reagiscono con esse e si trasformano in bioaccumulatori. I licheni, in questo senso, hanno altre due doti: crescono molto lentamente - nell'Artico ce ne sono alcuni vecchi di 4 mila anni, spesso vengono utilizzati per datare l'avanzata dei ghiacciai - e sono economici, molto più delle centraline di rilevamento che si usano oggi. Studi di biomonitoraggio basati sui licheni sono ormai diffusi in tutte le grandi città del Centro e Nord Europa e persino nei parchi nazionali degli Stati Uniti. In Italia sono state studiate la laguna di Venezia, alcune valli alpine, le città di Udine, Trieste, Roma e l'intera regione veneta, dove è stata elaborata una carta dell'inquinamento: il rapporto tra «reazioni» dei licheni e tumori ha rivelato coincidenze sconcertanti. Un altro esempio arriva da La Spezia, dov'è stata monitorata un'area con altissimi tassi di piombo. L'Usl ha poi compiuto uno studio sul sangue degli abitanti di quel quartiere, scoprendo che avevano concentrazioni di piombo nel sangue molto superiori alla media. Se avremo città più pulite, dunque, dovremo dire anche grazie al «sacrificio» e alla precisione dei licheni. Il Wwf ha lanciato un progetto per le scuole italiane, ora approvato dai ministeri della Pubblica istruzione e dell'Ambiente: tra pochi mesi permetterà, grazie alla collaborazione con la Società lichenologica italiana (che fornisce il supporto scientifico), di fare interessanti test. A Genova alcune scolaresche hanno collocato sugli alberi dei pannelli con un numero standard di licheni (10 specie) e hanno così calcolato l'indice di qualità dell'aria. La vera natura dei licheni fu scoperta solo nella seconda metà dell'800 dal botanico svizzero Schwendener, tra fortissime polemiche del mondo scientifico. Prima, in mancanza di definizioni più precise - il disprezzo di Linneo ne è un esempio - venivano considerati semplicemente delle alghe. Ma il botanico svizzero vide che si trattava di vegetali costituiti da due esseri viventi, un fungo e un'alga, che vivono in simbiosi: le alghe fissano l'energia solare tramite la fotosintesi e il fungo fornisce all'alga acqua e sali minerali. Ciò permette ai licheni di sopravvivere egregiamente anche in condizioni estreme, dove gli altri vegetali sono in grande difficoltà. Essi assumono forme diversissime: fruticose (che si sviluppano in tre dimensioni), fogliose (appiattite sul substrato ma facilmente staccabili), crostose (talmente attaccate al substrato da non poter venire asportate se non insieme ad esso). Il maggior esperto di licheni del nostro Paese è Pier Luigi Nimis, docente all'Università di Trieste e presidente della Società lichenologica italiana. Nimis ha recentemente pubblicato un'opera fondamentale (presa a modello in tutta Europa), che classifica i licheni della Penisola. Il libro, edito dal Museo regionale di Scienze naturali di Torino, è stato da poco presentato in una conferenza cui partecipava anche l'austriaco Josef Poelt, padre fondatore della disciplina (un altro bel volume, scritto da Nimis, Pinna e Salvadori, è stato pubblicato dalla Clueb, con il titolo Licheni e conservazione dei monumenti). Nell'occasione si è fatto il punto sui licheni in Italia: il libro ne cataloga 2200 specie (ce ne sono più che in ogni altro area europea), ma è probabile che il loro numero sia addirittura superiore. In genere, comunque, i licheni preferiscono stare alla larga dalle città: le ricerche rivelano che passando dal centro alla periferia le specie aumentano sempre. La causa è naturalmente l'inquinamento: nel 1972, nella contea inglese del Suffolk, erano rimaste soltanto 67 delle 129 specie segnalate nel 1912. Viceversa, i licheni hanno ricominciato a colonizzare la periferia di Londra quando sono scesi i livelli di anidride solforosa. Nelle nostre grandi città se ne trovano molto pochi: Milano, ad esempio, è un «deserto lichenico». Carlo Grande


CONTRACCEZIONE Elogio dei metodi naturali Hanno dimostrato un'affidabilità del 97 per cento
Autore: A_VI

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, CONGRESSO, DEMOGRAFIA E STATISTICA
NOMI: BILLINGS JOHN, BILLINGS LYN, CAMPAGNOLI CARLO
LUOGHI: ITALIA, TORINO (TO)

LA conferenza sulla sovrappopolazione che si è tenuta lo scorso settembre al Cairo ha riproposto il problema della regolazione della fertilità della coppia. Ma se è opinione diffusa che la contraccezione maschile e femminile sia la risposta più sbrigativa ed efficace al problema, da Torino, durante i lavori di un recente convegno internazionale sulla sessualità, giunge una voce contrastante: i metodi naturali (metodo dell'ovulazione, della temperatura basale e metodo sinto-termico) sono migliori per ben cinque motivi: sono efficaci al 97 per cento, non costano, aiutano la donna a conoscersi e a emanciparsi, migliorano la qualità della vita affettiva della coppia e eliminano alla radice il problema di «veto» etico o religioso. Gli organizzatori del convegno «Sessualità e regolazione della fertilità di coppia» (l'Associazione dei medici cattolici del Piemonte e i sostenitori del Progetto Amos-Amore, metodi naturali e orientamenti sulla sessualità) hanno smentito punto per punto tutte le tesi sulla scarsa affidabilità dei metodi naturali rispetto alla contraccezione artificiale. Circa la loro sicurezza, gli studi dell'Oms stabiliscono una percentuale di fallimento del 3 per cento per gli utenti scrupolosi (la pillola ha un'analoga percentuale di fallimento ma, come medicinale, incide non poco sulla salute della donna; per il profilattico si arriva anche a una possibilità di fallimento 10 volte su cento), mentre sui costi c'è poco da spiegare: per il metodo dell'ovulazione bastano un quaderno e tre matite colorate. Eventualmente un termometro molto preciso, se si vuole ricorrere anche al complementare metodo della temperatura basale. Con il metodo dell'ovulazione (noto anche come metodo Billings dal nome dei due medici australiani, Lyn e John Billings, che lo hanno elaborato quarant'anni fa) la donna può individuare la fase fertile del proprio ciclo mestruale e i giorni in cui è possibile concepire annotando su una tabella le variazioni del muco cervicale. E' un sistema un po' laborioso, ma proprio per questo aspetto presenta vantaggi generalmente trascurati dalla maggioranza dei medici, specie da chi è chiamato a programmare campagne di educazione sessuale nei Paesi del Terzo Mondo. Osservare il proprio corpo significa studiarlo e conoscerlo a fondo, significa offrire alle donne un'occasione di apprendimento e di crescita culturale che altrimenti non avrebbero. Inoltre il coinvolgimento del partner nell'individuare i momenti più adatti al rapporto sessuale, secondo se si vogliono o no figli, implica un dialogo maggiore all'interno della coppia. «E anche l'eventuale perdita di spontaneità dell'atto amoroso» sottolinea Carlo Campagnoli, primario di ginecologia endocrinologica dell'Università di Torino, «viene ampiamente ricompensata dal clima di rispetto, equilibrio psicologico e maturità affettiva e sessuale che si instaura tra l'uomo e la donna» . Non è vero che sia un metodo impraticabile nei Paesi a bassissima scolarizzazione. Piuttosto è vero il contrario: lo stress dei Paesi occidentali, dove è alta la percentuale di donne che lavorano, incide non poco sulla regolarità del ciclo. «Insegniamo il metodo dell'ovulazione nel Terzo mondo fin dal 1968» spiegano i coniugi Billings, intervenuti a Torino «e abbiamo sempre ottenuto ottimi risultati spesso sfiorando l'affidabilità media del 99 per cento, cosa rara in Europa o negli Stati Uniti. In Africa, in America Latina abbiamo trovato cicli mestruali molto più limpidi e naturali: evidentemente la fertilità non è stata danneggiata dalla frenesia della vita di città o dall'uso- abuso di farmaci». (a. vi.)


STORIA DELLA SCIENZA Quel cristallo ha un difetto! Una scoperta «disturbata» dal razzismo
Autore: BEDARIDA FEDERICO

ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA, CHIMICA
NOMI: BRAUN ERNEST, TAYLOR G. I., OROWAN EGON, POLANYI MICHAEL, SCHMID ERICH
LUOGHI: ITALIA, D.

LO stupido non sa di essere stupido. Ciò contribuisce potentemente a dare maggior forza, incidenza ed efficacia alla sua azione devastatrice. Lo stupido non è inibito da quel sentimento che gli anglosassoni chiamano self-consciousness. Col sorriso sulle labbra, come se compisse la cosa più naturale del mondo, lo stupido comparirà improvvisamente a scatafasciare i tuoi piani, distruggere la tua pace, complicarti la vita e il lavoro, farti perdere denaro, tempo, buon umore, appetito, produttività e tutto questo senza rimorso e senza ragione». Non l'ho scritto io, l'ha scritto Carlo Maria Cipolla nel suo bel libretto «Allegro ma non troppo». Se poi uno qualsiasi degli stupidi ergendosi a capo dei suoi colleghi ha la pretesa di coordinarne l'attività, indirizzandola contro una minoranza, ecco che nasce la persecuzione politica, religiosa, razziale, non c'è che da scegliere. Il significato di questa premessa risulterà chiaro dal breve racconto di una scoperta che a qualcuno parrà secondaria, mentre non lo è affatto, e che riguarda la scienza dei materiali. La «dislocazione» è un difetto lineare di un solido cristallino. La parola ha anche altri significati scientifici, ma per semplicità fermiamoci a questo. Due disegni illustrano bene quello che voglio dire. Un solido cristallino è un reticolo ordinato di atomi. Nella figura 1, in alto, si vede il reticolo del cristallo perfetto, per intenderci quello che si fa vedere a scuola agli studenti e che in natura non esiste mai. Per onestà è necessario quindi avvisarli! La dislocazione «a spigolo» è uno dei difetti più comuni di questo reticolo (figura 2) e si ha quando un piano reticolato non riesce a completarsi. Come si vede in figura, il terzo piano reticolare (partendo dalla sinistra e dal basso) non si è completato: la linea della dislocazione è il bordo del piano reticolare interrotto e il reticolo lì intorno è lievemente distorto. Il 1934 fu l'anno di questa scoperta; «annus mirabilis» per la teoria delle dislocazioni l'ha definito Ernest Braun dell'Accademia austriaca delle Scienze. In quell'anno tre pubblicazioni quasi contemporanee ma indipendenti l'una dall'altra definivano il difetto lineare «dislocazione», causa prima di tutti i fenomeni relativi alla deformazione plastica dei solidi cristallini, fino a quell'anno inspiegabili. Il primo a comparire sulla scena fu G. I. Taylor, professore a Cambridge e scienziato illustre. L'idea centrale di Taylor fu che lo slittamento che si verifica sul piano di un cristallo sollecitato non si ha contemporaneamente su tutti gli atomi del piano di slittamento ma in una regione limitata che si propaga da un lato all'altro del cristallo finito, per così dire a scatti. La sequenza della figura 3, dove ogni cubetto piccolo rappresenta un atomo, descrive bene il fenomeno, anche se in modo schematico. Il secondo lavoro che introduceva il concetto di dislocazione lo aveva fatto invece Egon Orowan dell'Università di Berlino in termini abbastanza vicini a quelli di Taylor. E qui ecco il primo apparire della stupidità, perché (1933) ancora prima della pubblicazione del suo lavoro Orowan fu costretto a rientrare nella sua patria, l'Ungheria, come conseguenza di una persecuzione che lo costringerà a continui spostamenti per il solo fatto di essere ebreo. Quasi nello stesso tempo Michael Polanyi pubblicava dei risultati scientifici analoghi a quelli di Taylor e Orowan. Polanyi aveva incominciato la sua carriera nel 1920 come fisico dello stato solido (allora non si chiamava ancora così) nell'Istituto di chimica delle fibre a Berlino. Polanyi era una persona molto aperta. Passati alcuni anni scriveva: «A quel tempo avemmo una stagione gloriosa» e Erich Schmid con molta simpatia ancora sessant'anni dopo scriveva: «Polanyi era l'uomo più stimolante che avessi conosciuto». Il lavoro pubblicato da Palanyi fu il più corto dei tre ma il più significativo e il più chiaro di tutti perché prevedeva che il difetto dovesse avere soltanto una squisita natura cristallografica. Ma anche Polanyi dovette lasciare la Germania per le stesse ragioni di Orowan e con altri colleghi trovò rifugio in Inghilterra. Se risaliamo indietro negli anni, il primo ad avere avuto l'intuizione della dislocazione a spigolo fu il matematico italiano Vito Volterra, che l'aveva chiamata «distorsione» . Durante il suo lavoro non era stato disturbato da nessuno. Il 1938, inizio della persecuzione in Italia, era ancora lontano. Federico Bedarida Università di Genova


IN BREVE Tram ringiovaniti a Strasburgo
ARGOMENTI: TRASPORTI, TECNOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: ASEA BROWN BOVERI
LUOGHI: ESTERO, FRANCIA, STRASBURGO

Il tram si rinnova: a Strasburgo sono entrate in funzione nuove vetture a pavimento integralmente ribassato con pedane mobili motorizzate che permettono l'accesso anche alle sedie a rotelle. Un sistema elettronico per la diagnosi dei guasti consente grandi risparmi sulla manutenzione. I carrelli motori a ruote indipendenti limitano l'usura delle rotaie. Realizzati dalla Asea Brown Boveri, i nuovi tram hanno una velocità commerciale di 21 chilometri orari grazie a un sistema informatico che regola i semafori e dà priorità ai tram.


IN BREVE Le miniere del Duemila
ARGOMENTI: TECNOLOGIA, MINERARI, CONGRESSO
LUOGHI: ITALIA, TORINO (TO)

«Miniere e materie prime alle soglie del terzo millennio» è il tema di un convegno che si terrà al Politecnico di Torino domani e venerdì. Per l'occasione si inaugurerà una mostra didattica delle tecniche minerarie che rimarrà aperta fino al 20 gennaio.


IN BREVE Nuova molecola contro il cancro
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

Risultati positivi nella lotta contro il cancro polmonare a cellule grandi sono state ottenute con la nuova molecola docetaxel. Secondo l'Agenzia internazionale di ricerche sul cancro il tumore polmonare colpisce 6 persone su 100.


IN BREVE L'Astris chiede «cielo buio»
ARGOMENTI: ASTRONOMIA, INQUINAMENTO
ORGANIZZAZIONI: ASTRIS, RAI, IRI STET
LUOGHI: ITALIA
NOTE: Inquinamento luminoso

L'Astris, associazione degli astrofili dipendenti della Rai e delle aziente Iri-Stet ha iniziato un'azione contro l'inquinamento luminoso in supporto a quella dell'associazione nazionale degli appassionati del cielo. L'Astris ha dovuto progettare il suo osservatorio a 70 chilometri da Roma per limitare i disturbi delle luci della capitale.


IN BREVE Greenfreeze, il frigo senza gas dannosi
ARGOMENTI: ECOLOGIA, TECNOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: GREENPEACE, ELECTROLUX
LUOGHI: ITALIA

In soli due anni, Greenpeace è riuscita a modificare le scelte produttive delle grandi industrie europee della refrigerazione domestica. E così, a partire dal prossimo gennaio, in Italia sarà in vendita Greenfreeze, il frigorifero senza gas dannosi per l'ozono e l'effetto serra. Lo produce il gruppo Electrolux- Zanussi, utilizzando ciclopentano per la parte isolante e isobutano per il fluido refrigerante. Saranno disponibili sedici modelli, di varie dimensioni e capacità.


IN BREVE L'Unione Sarda circola su Internet
ARGOMENTI: INFORMATICA, EDITORIA, ELETTRONICA, COMUNICAZIONI
ORGANIZZAZIONI: UNIONE SARDA, INTERNET
LUOGHI: ITALIA, CAGLIARI (CA)

L'Unione Sarda è il primo quotidiano al mondo a circolare ogni giorno anche su Internet, la più grande autostrada elettronica internazionale. Chiunque possieda un computer, un modem e l'accesso a Internet, può leggere tutti i giorni il giornale di Cagliari, ovunque si trovi. Inoltre, cliccando con il mouse su alcune parole scritte in blu o in rosso all'interno degli articoli, può ottenere tutte le informazioni contenute nelle banche dati e negli archivi di Internet.


STRIZZACERVELLO La sosta al capolinea
LUOGHI: ITALIA

La sosta al capolinea Un tram va su e giù lungo una linea suddivisa in sei tratti, ciascuno dei quali ha un tempo di percorrenza di cinque minuti. A ognuna delle cinque stazioni intermedie il tram si ferma un minuto. La linea è servita da sei vetture che passano, in un senso e nell'altro, a una distanza di 13 minuti l'una dall'altra. Quanto tempo sosta la vettura al capolinea, prima di invertire il suo senso di marcia? La soluzione domani, accanto alle previsioni del tempo.


LA PAROLA AI LETTORI Ecco dove finisce l'acqua che piove dal cielo
LUOGHI: ITALIA

Che cosa succede di tutta l'acqua che cade sulla Terra? Sono molti gli elementi che partecipano al bilancio idrico della Terra. In forma semplificata, si calcola che il 79,2 per cento delle precipitazioni totali (pioggia, neve, grandine) cada sugli oceani, mentre il restante 20,8 per cento cade sui continenti. Il volume annuo di queste precipitazioni è stimato in 520 mila chilometri cubi, che corrispondono a uno strato teorico di 1020 millimetri uniformemente distribuiti sulla superficie terrestre. A tale precipitazione corrisponde un'analoga evaporazione che mantiene in equilibrio il ciclo idrologico e proviene per il 13,8 per cento dai continenti e per l'86,2 per cento dagli oceani. La differenza fra le precipitazioni e l'evaporazione che si registra sui continenti dà luogo allo scorrimento fluviale. Il volume totale dell'idrosfera terrestre è stimato in quasi 1,5 miliardi di chilometri cubi, di cui il 93,6 per cento negli oceani, il 4,1 per cento in acque sotterranee, l'1,6 per cento nei ghiacciai. Il restante 0,7 per cento si distribuisce in laghi, fiumi, umidità del suolo e vapore acqueo. Tenendo presenti questi dati, ne deriva che il rinnovo dell'intera massa oceanica si attua in circa 2600 anni. Un'ultima notazione: l'evaporazione è superiore alle precipitazioni nell'emisfero australe, ma in quello boreale, più caldo, è maggiore la quantità assoluta evaporata. Se ne deduce quindi che a Nord dell'Equatore la piovosità è notevolmente più elevata che a Sud. Stefano Di Battista Trivero (VC) E' vero che le particelle elemen tari, oggetto di studio nella fisica dei quanti, possono apparire in luoghi in cui, secondo le leggi del l'universo così come le conoscia mo, non dovrebbero trovarsi? Le particelle elementari, come qualunque oggetto fisico, si trovano sempre in posizioni spaziali e temporali previste dalle teorie: se queste si lasciassero «sfuggire» le particelle, vorrebbe dire che non descrivono accuratamente il fenomeno fisico in esame e quindi andrebbero ripensate. E' possibile che esistano più stati in cui una particella puù trovarsi, e quello in cui effettivamente viene trovata a seguito di una misura può non essere predicibile a priori se non in termini di probabilità; ma non si troverà in uno stato non previsto. Forse la domanda è mal posta e il lettore intendeva chiedere se una particella può trovarsi in uno stato non previsto dalle teorie classiche (e dal «senso comune», spesso bandito dalle teorie quantistiche). Le apparenti violazioni che ne conseguono sono consentite dal Principio di Indeterminazione di Heisenberg, in base al quale certe grandezze fisiche sono accoppiate fra loro in modo tale che quanto più precisa è la conoscenza di una, tanto più è indeterminata l'altra. E non si tratta di una imprecisione strumentale, ma di una indeterminazione intrinseca al fenomeno. Si consideri ad esempio l'«effetto tunnel», per il quale una particella passa da uno stato iniziale con una certa energia a uno stato finale con la stessa energia, attraversando uno stato intermedio di energia superiore («barriera potenziale»). Classicamente questa transizione non è possibile se la particella non ha un'energia sufficiente a superare la barriera. Quantisticamente, invece, quanto più è precisa la conoscenza della durata temporale, tanto più è indeterminata la variazione di energia. Perciò la transizione è possibile, a patto che la durata dello stato intermedio sia sufficientemente breve. Questi fenomeni non sono osservabili nel mondo macroscopico, perché la massa degli oggetti è enormemente elevata, ma sono molto comuni nel mondo submicroscopico. E hanno anche applicazioni pratiche: esistono ad esempio transistor e altri microcircuiti basati sull'effetto tunnel degli elettroni. Mario Sitta Torino Perché il Sole che tramonta è rosso? Perché i raggi solari luminosi incidono quasi tangenzialmente alla superficie della Terra, attraversando così una sezione dell'atmosfera più lunga rispetto a quella percorsa durante il giorno, quando i raggi sono praticamente perpendicolari. Al tramonto quindi l'atmosfera riesce ad assorbire gran parte di queste onde luminose, lasciando filtrare solo quelle di lunghezza vicino al rosso. Inoltre la maggiore lunghezza del cammino ottico dei raggi solari nell'atmosfera durante un tramonto provoca un virtuale ingrandimento del Sole. Davide Potitò Roma


CHI SA RISPONDERE?
LUOGHI: ITALIA

QPerché il famoso effetto Doppler, per cui una sorgente sonora, ad esempio un clacson, che prima si avvicini e poi si allontani dall'osservatore, invia un suono dapprima più acuto, poi più grave rispetto a quello emesso, non sembra verificarsi quando si ascolta musica alla radio? QCome mai il ferro è l'unico metallo che arrugginisce? QPerché il viso si altera quando è in preda a sentimenti violenti o in conseguenza di gravi compromissioni psichiche? _______ Risposte a «Tuttoscienze», via Marenco 32, 10126 Torino. Oppure al fax 011-65.68.688




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