TUTTOSCIENZE 9 novembre 94


PIEMONTE E LIGURIA DOPO IL DISASTRO Il diluvio in laboratorio Su ogni metro 250 litri di pioggia
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: METEOROLOGIA, ALLUVIONI
NOMI: DENZA FRANCESCO
LUOGHI: ITALIA, TORINO (TO)
TABELLE: G. Torino: i giorni più piovosi dal 1802 al 1994
NOTE: PIOGGE RECORD IN PIEMONTE. ALLUVIONI E DISASTRI TEMA: PIOGGE RECORD IN PIEMONTE. ALLUVIONI E DISASTRI

A Torino, a due passi dal Borgo Medievale, un cippo ricorda con linee incise nella pietra il livello qui raggiunto dalle acque del Po nelle piene storiche. La maggiore risale al 1839. Seguono, alla pari, quelle del 31 marzo 1892 e del 19 dicembre del 1960. A mezza via si colloca la piena del 4 maggio 1949. Eventi eccezionali. Ma oggi sembra che piene simili stiano diventando ricorrenze stagionali. Piene disastrose si sono avute nel '92 e nel '93. Quest'anno tra il 4 e il 6 novembre su ogni metro quadrato della città (ma il dato può valere per gran parte del Piemonte) sono caduti 252 litri d'acqua. Al pluviometro di Oropa si è arrivati addirittura a 614 litri per metro. In tre giorni è caduto un terzo dell'acqua che di solito scende in un anno. Ma i dati pluviometrici sono soltanto un aspetto del problema. A parità di pioggia, su uno stesso territorio le conseguenze possono essere profondamente diverse a seconda di come questo territorio è amministrato dall'uomo. Inoltre, danni a cose e persone possono essere minimi o gravissimi (come purtroppo sono stati) anche in funzione della tempestività con cui viene segnalata l'emergenza alla popolazione. E per quest'ultima alluvione in Piemonte e Liguria allarme e soccorsi sono scattati - si fa per dire - domenica, quando il grosso della pioggia era già passato. La permeabilità del suolo, il tipo e la densità della vegetazione sono fattori decisivi. Se, per esempio, il tasso di permeabilità del terreno ad erba è di 2,5 centimetri di acqua all'ora e in un'ora cadono 5 centimetri di pioggia, l'acqua in eccesso finirà in fiumi e torrenti, dove potrà aggiungersi anche una parte di quella infiltratasi più a monte. Poca vegetazione d'alto fusto e mancanza di sottobosco aumentano la velocità di scorrimento delle acque superficiali e le erosioni. Le stesse canalizzazioni possono peggiorare la situazione anziché migliorarla. Nelle ultime alluvioni si è osservato che l'acqua arriva a valle in un tempo che è la metà di quello che impiegava quando c'erano boschi ben tenuti e mancavano certe canalizzazioni che pure sono state costruite con l'intento di controllare le acque (in Europa il 15 per cento delle acque è ormai regolato da sistemi artificiali). La forza dell'onda di piena aumenta con il quadrato della velocità: come dire che la pressione esercitata dalla corrente di un fiume a 10 chilometri all'ora è quattro volte quella che esercita a 5 chilometri all'ora; a 20 chilometri all'ora sarà 16 volte maggiore e così via. E per un uomo è già difficile tenersi in piedi in un fiume profondo un metro e con una corrente di 3 chilometri orari. Importante è anche la quantità di fango e detriti che l'acqua trasporta: questo fattore può aumentare di molto la forza d'urto. Di qui l'importanza di tenere sgombri gli alvei fluviali, che invece il più delle volte sono abbandonati a se stessi. Lo sanno bene i cinesi. La corrente del Fiume Giallo in certi punti contiene il 46 per cento del suo peso sotto forma di limo, mentre la norma è intorno al 3 per cento. Ma senza andare così lontano, a Firenze nel 1966 oltre all'acqua uscirono dall'Arno mezzo milione di tonnellate di fango. In media nel mondo ci sono diecimila morti all'anno per alluvioni, poco meno di quelli che causano nel loro insieme tutte le altre maggiori calamità naturali: terremoti, eruzioni vulcaniche, tifoni. Che cosa possono fare la tecnologia e la scienza per rendere meno grave questo bilancio? Una buona politica del territorio, una efficiente rete di rilevamento idrometeorologico e un pronto sistema di allerta sono la base di partenza indispensabile. Su questi dati oggi le simulazioni al computer e i modelli di laboratorio sono in grado di prevedere con buona approssimazione ciò che accadrà in natura. Le variabili in gioco sono molte: tipo di terreno, pendenza, conformazione dei bacini fluviali, dimensioni degli alvei, quantità di pioggia che cade in un dato tempo, collocazione e caratteristiche delle strade, dei ponti, dei centri abitati. I giapponesi sono i più avanti nella simulazione a scopo preventivo. Nei loro laboratori si fabbricano con resina polivinilica rive di fiume artificiali per sperimentare l'erosione degli argini sotto un flusso d'acqua predeterminato. Speciali «stanze della pioggia» permettono di simulare acquazzoni di varia intensità facendo cadere da un soffitto posto all'altezza di 15 metri piogge di gocce dal diametro variabile da 0,25 a 0,025 millimetri con intensità da 1,25 a 20 centimetri all'ora. Il deflusso delle acque viene studiato in canali artificiali di cui è possibile variare forma e percorso in modo da determinare gli alvei più sicuri in caso di piena. Quanto alle reti di rilevamento meteorologico, l'Italia fu tra i primi Paesi ad attrezzarsi grazie all'iniziativa del padre barnabita Francesco Denza. Nato a Napoli nel 1834 e morto a Roma esattamente un secolo fa (il 14 e 15 dicembre verrà ricordato con un convegno al Collegio Carlo Alberto di Moncalieri, dove aveva sede l'Osservatorio da lui fondato), Francesco Denza nel 1866 diede inizio al «Bullettino Meteorologico», sul quale giunse a pubblicare i dati raccolti da 250 istituti sparsi in tutta la penisola, e dal 1876 collaborò con il governo italiano nell'organizzazione dell'Ufficio centrale di meteorologia, a Firenze. La serie dei dati raccolti a Moncalieri, che abbraccia 130 anni, è tra le più ampie e omogenee di cui gli studiosi moderni possano disporre. Piero Bianucci


EFFETTO SERRA Ci attende un clima impazzito?
AUTORE: MERCALLI LUCA
ARGOMENTI: METEOROLOGIA, ECOLOGIA, ALLUVIONI
LUOGHI: ITALIA, TORINO (TO)
NOTE: PIOGGE RECORD IN PIEMONTE. ALLUVIONI E DISASTRI TEMA: PIOGGE RECORD IN PIEMONTE. ALLUVIONI E DISASTRI

IN pianura 250 millimetri di pioggia, oltre 600 sulle Prealpi biellesi. Consideriamo una media prudente di 300 millimetri caduti dal 4 al 6 novembre sui 25.000 km quadrati del Piemonte. Valgono, in tonnellate, un valore di 7,5 elevato alla nona potenza: un quarto dell'acqua contenuta nel Lago Maggiore. Nel passaggio di stato da gas a liquido, il vapore acqueo libera 600 calorie per grammo; l'energia coinvolta nel processo di condensazione equivale a circa 5200 gigawattora. Per produrre la stessa quantità di elettricità bisognerebbe bruciare 23,5 milioni di tonnellate di petrolio, o, se preferite, potrete far esplodere qualche migliaio di testate nucleari da 1 megatone. Di fronte a questi numeri appare evidente la piccolezza dell'uomo. Piccolo sì, eppure in grado di influire pesantemente sulle caratteristiche fisico-chimiche dell'atmosfera. E' un dato di fatto che dall'era dell'industrializzazione, la concentrazione di anidride carbonica è aumentata da 280 ad oltre 350 parti per milione; a ciò si aggiungono il metano sviluppato dall'agricoltura intensiva e qualche altro composto; ne deriva una miscela nota come «gas-serra», potenzialmente responsabile di un futuro aumento della temperatura terrestre. Si dice potenzialmente poiché i risultati della comunità scientifica sono ancora molto incerti: è molto difficile prevedere il comportamento del complesso sistema di interazione atmosfera-oceani. Si pensi che per simulare le risposte al raddoppio della concentrazione di anidride carbonica (previsto per l'anno 2050) sono necessari 280 giorni di calcolo con i più potenti supercomputer oggi disponibili (avete letto bene, giorni, non ore). I risultati che ne derivano, sebbene variabili tra modello e modello, concordano almeno sul segno: è positivo. Questo non vuol necessariamente dire che l'unica reazione dell'atmosfera alla mutata composizione chimica sia l'aumento termico. Introducendo uno squilibrio in un sistema termodinamico che mette in campo energie enormi, si creano risposte imprevedibili, e una delle scuole di climatologia oggi più seguite prevede proprio l'aumentare della frequenza di eventi estremi: ora troppo caldo, ora troppo freddo, ora le alluvioni, ora le siccità (le ribellioni dell'atmosfera non saranno omogenee nè nel tempo nè nello spazio). La prudenza è d'obbligo in queste valutazioni, ma sono sempre di più i centri di ricerca convinti che il cambiamento sia in atto: valgano per tutti il National Center for Atmospheric Research di Boulder, in Colorado e il Max Planck Institut di Amburgo. Altri gruppi di studio, come l'EuroClimHist, coordinato da Pfister dell'università di Berna, si stanno occupando di ricostruire le variazioni del clima del passato mettendole in relazione alle risposte delle strutture socio-economiche, un modo per capire come l'uomo ha affrontato nei secoli il cambiamento. Per risolvere le tante incertezze ancora legate alla comprensione del sistema atmosfera sono necessarie nuove ricerche, ma in attesa di conferme il mondo politico - che prima di assumere decisioni impopolari vuole invece elementi certi - deve abituarsi ad affrontare problemi quali un più oculato impiego dell'energia, soprattutto quella derivante da combustibili fossili. Come illustra la nuovissima seconda edizione di Global Environmental Issues, curata dal canadese David Kemp, la società moderna, pur nell'insicurezza della previsione del futuro, dovrebbe stipulare una sorta di contratto assicurativo: il «premio» è rappresentato da qualche rinuncia allo sfruttamento delle risorse naturali, ma la posta in gioco è l'umanità. D'altra parte non va dimenticata una suggestiva interpretazione dell'evoluzione del clima terrestre: l'«ipotesi Gaia», lanciata qualche anno fa dal britannico Lovelock, considera la Terra come un sistema vivente nel suo complesso, in grado di reagire e adeguarsi a nuovi scenari, come del resto è sempre avvenuto nei suoi miliardi di anni d'età. In questo contesto, la presenza dell'uomo non avrebbe alcun significato. Non sono forse scomparsi i dinosauri? Erano ben più grossi, ma la Terra è sempre lì, al suo posto, più calda o più fredda. Luca Mercalli Direttore della rivista «Nimbus»


Novembre 1994 Record su 192 anni
AUTORE: PELLEGRINO LUIGI
ARGOMENTI: METEOROLOGIA, ALLUVIONI, RECORD
NOMI: VASSALLI EANDI ANTONIO MARIA
ORGANIZZAZIONI: ACCADEMIA DELLE SCIENZE
LUOGHI: ITALIA, TORINO (TO)
TABELLE: G. Precipitazioni di novembre dal 1802 a Torino
NOTE: PIOGGE RECORD IN PIEMONTE. ALLUVIONI E DISASTRI TEMA: PIOGGE RECORD IN PIEMONTE. ALLUVIONI E DISASTRI

NON c'è dubbio, la pioggia caduta sul Piemonte tra il 4 e il 6 novembre spiccherà in neretto negli archivi del clima. Le lunghe serie di osservazioni meteorologiche si rivelano uno strumento prezioso proprio in queste tristi occasioni: consentono infatti di pesare in un contesto oggettivo eventi la cui interpretazione sarebbe altrimenti affidata a sensazioni ingannevoli. Spesso è facile gridare all'eccezionalità, ma la statistica poi smentisce. Questa volta no, i numeri parlano chiaro. Per dimostrarvelo vi accompagniamo in un rapido viaggio attraverso gli oltre 70 mila giorni che compongono la serie dei dati pluviometrici di Torino, una delle più lunghe e affidabili d'Europa. Le misure iniziarono infatti nel 1802 presso l'Accademia delle Scienze sotto la guida di Antonio Maria Vassalli-Eandi. Ecco i dati del pluviometro: nei tre giorni citati sono caduti 252 millimetri (pari a 252 litri per metro quadrato). Questo valore, che rappresenta circa il 30 per cento delle precipitazioni medie annue, se considerato come sequenza di tre giorni, è il massimo di 192 anni, avendo superato i 240 millimetri caduti il 30 maggio del 1 giugno 1818. Se aggiungiamo le piogge a partire dal 1 novembre otteniamo un totale di 266 millimetri, quasi 4 volte la media mensile del periodo 1802-1993 (69 millimetri). Solo tre casi, ma riferiti all'intero mese, presentano valori superiori, con un massimo di 341 millimetri nel 1862 e gli altri due assai vicini all'attuale: 271 millimetri nel 1951 e 268 nel 1958. Il dato 1994 è dunque eccezionale, e mentre scriviamo sta di nuovo piovendo. L'anomalia si manifesta anche a scala giornaliera: i 170 millimetri del giorno 5 sono secondi solo ai 174,6 millimetri del 30 maggio 1818. Oltre un secolo e mezzo ci separa da quell'evento. A conferma dei dati torinesi c'è un'altra importante serie datata 1866, quella del real Collegio Carlo Alberto di Moncalieri. Qui i 193 millimetri di questo novembre giungono a sfiorare il massimo (207 millimetri nel 1878), e non hanno eguali sia come quantità di 3 sia di un sol giorno: 121 millimetri sabato 5 novembre. Seguono a distanza i 98,5 millimetri di domenica 23 agosto 1959. Luigi Pellegrino Segretario della Società Meteorologica Subalpina


Stazioni meteo Tante, mal coordinate
ARGOMENTI: METEOROLOGIA, ALLUVIONI
NOMI: DENZA FRANCESCO
ORGANIZZAZIONI: SERVIZIO IDROGRAFICO NAZIONALE
LUOGHI: ITALIA, TORINO (TO), OROPA (BI)
TABELLE: T. Precipitazioni a Torino e Oropa
NOTE: PIOGGE RECORD IN PIEMONTE. ALLUVIONI E DISASTRI TEMA: PIOGGE RECORD IN PIEMONTE. ALLUVIONI E DISASTRI

NON si può certo dire che nell'Italia nord-occidentale manchino stazioni meteorologiche. Dopo la rete fondata tra il 1866 e il 1890 da padre Denza, nel 1913 viene istituito il Servizio Idrografico Nazionale, dotato di quasi 300 pluviometri. In seguito alla seconda guerra mondiale la situazione incomincia a cambiare, in quanto la rappresentanza meteorologica italiana in sede internazionale viene assunta dall'Aeronautica militare, che tuttavia in Piemonte gestisce un esiguo numero di stazioni. Il Servizio Idrografico vede invece diminuire le proprie risorse. All'inizio degli Anni Novanta la Regione Piemonte ha aggiunto all'elenco 150 moderne stazioni elettroniche, integrate da 400 punti di rilevamento agrometeorologico predisposti dall'Ente di sviluppo agricolo al servizio dei coltivatori. Sono poche le regioni che possono vantare un numero così grande di strumenti, ma purtroppo fa difetto il coordinamento tra le varie istituzioni che si occupano di rilevamenti e informazioni meteorologiche. Dalla quantità è forse ora di passare alla qualità. Dell'importanza della meteorologia ci si accorge in modo traumatico quando arriva un alluvione come quella che ha ora colpito l'Italia nord- occidentale, ma la sua utilità è quotidiana: a parte l'agricoltura, basti pensare al turismo e ai trasporti.


INAUGURAZIONE AL CNR DI TORINO Campione di forza Pesa 135 tonnellate, è alto 14 metri
Autore: BARBATO GIULIO, BRAY ANTHOS

ARGOMENTI: METROLOGIA, TECNOLOGIA, INAUGURAZIONE, CONGRESSO
ORGANIZZAZIONI: ISTITUTO DI METROLOGIA «COLONNETTI», IMEKO
LUOGHI: ITALIA, TORINO (TO)
TABELLE: D.

ALL'ultimo congresso Imeko (International Measurement Confederation) è emersa la tendenza della metrologia primaria, quella che s'interessa dei campioni delle unità di misura, di allargare le portate dei campioni verso valori molto alti e molto bassi. Per rispondere alle esigenze della ricerca e della produzione c'è la tendenza a costruire campioni di misura estremamente grandi ed estremamente piccoli con qualità metrologiche (precisione, riproducibilità, stabilità...) sempre migliori. E' questo il caso della macchina campione di forza, installata presso l'Istituto di Metrologia «Colonnetti» (Consiglio nazionale delle ricerche di Torino) che verrà inaugurata in un nuovo padiglione il 18 novembre. La macchina genera una forza-peso di 1 MN (meganewton), cioè un milione di newton, a mezzo dell'azione di masse da 100 tonnellate. La forza così generata viene trasmessa tramite una struttura a dispositivi di misura, come ad esempio i dinamometri, per la loro taratura. La macchina è stata progettata con l'obiettivo di ridurre l'incertezza nella misura della forza, tenendo presente che i risultati di confronti internazionali tra macchine campioni fino ad 1 MN, fatti nel periodo dal 1980 al 1988, hanno mostrato differenze relative tipiche di 50 ppm (parti per milione), cioè 50 N rispetto a un milione di newton. Altro obiettivo è di avere un campione stabile nel tempo, che conserva cioè inalterate le sue caratteristiche metrologiche. Il primo obiettivo è stato affrontato agendo, in fase di progettazione, sulla configurazione della struttura che trasmette la forza- peso, al dispositivo da provare; il secondo obiettivo è stato ottenuto ricorrendo all'impiego di acciaio inossidabile per la costruzione delle masse. La macchina consiste principalmente di tre parti: la struttura che porta i pesi campione, la struttura che trasmette la forza generata dai pesi e i pesi campione. La struttura portante è costituita da tre colonne, dell'altezza di 9 metri disposte a 120, con un ingombro in pianta corrispondente ad un diametro di circa 3 metri. La struttura di trasmissione consiste di un telaio di circa 5 metri che porta nella parte centrale una traversa mobile sulla quale viene appoggiato il dispositivo da provare. I pesi sono costituiti da dischi del diametro di 1,8 metri e sono suddivisi in 10 gruppi; nove di essi generano le forze in progressione binaria, a partire da 10 kN fino a 160 kN; il decimo genera la forza di 200 kN. Alla forza-peso, costituita dai dischi, si aggiunge il peso del telaio di trasmissione che è equilibrato da un contrappeso; ciò consente di ottenere una portata della macchina che va da zero sino al suo valore massimo. E' questo un notevole vantaggio agli effetti dell'utilizzazione del campo di misura della macchina. La macchina, alta 13,9 metri, ha un peso totale di 135 tonnellate. Le tolleranze, molto strette (entro 0,1 mm), realizzate nella costruzione e nell'assemblaggio delle diverse parti, e la buona simmetria di deformazione elastica della struttura a 120, consentono di trasmettere il carico in modo assiale e centrato. Il movimento dei pesi, cioè la messa sotto carico e lo scarico del dispositivo in esame, avviene con sistemi pneumatici che sono comandati a mezzo di un calcolatore, in base ad un programma col quale si possono definire il valore e la sequenza dei carichi. Dallo stesso calcolatore sono acquisiti i risultati di uscita forniti dal dispositivo in prova del quale si può ottenere direttamente il certificato di taratura, in accordo con la normativa internazionale esistente. Una caratteristica di questa macchina, nuova rispetto alle altre macchine esistenti, è costituita dall'autotaratura delle masse. Questa procedura ha il vantaggio di poter tarare inizialmente (ma anche periodicamente) le diverse masse mentre sono montate sulla macchina, partendo da due masse di 1 tonnellata, tarate per confronto con masse campioni. In questo modo si possono tenere sotto controllo nel tempo le caratteristiche metrologiche del campione. Le caratteristiche geometriche, messe a punto e misurate durante il montaggio della macchina, e i valori di taratura ottenuti su due masse da 1 tonnellata fanno prevedere di poter migliorare l'incertezza fino a 10 parti per milione mettendo così il campione di forza italiano in posizione di vantaggio rispetto agli altri campioni esistenti che in tutto il mondo ora sono 7, di cui 3 da 1 MN e 4 superiori ad 1 MN. Il più grande è quello esistente negli Stati Uniti con una portata di 4,448 MN. Come tutti i campioni, anche quelli per la misura della forza sono usati per la taratura dei campioni secondari; quelli di elevata portata sono impiegati soprattutto in campo aeronautico (per esempio, per pesare un velivolo o misurare la spinta di un razzo) e nel campo meccanico per la prova dei materiali (ad esempio per controllare le macchine che misurano la resistenza del calcestruzzo). Date le dimensioni della macchina, è stato necessario costruire un adeguato laboratorio dove, oltre alla macchina da 1 MN, è installato tutto il parco macchine campione di forza dell'IMGC. Questa macchina si aggiunge ai campioni nazionali di altre numerose unità di misura, legalmente riconosciuti ed inseriti nell'ambito del Sistema Nazionale di Taratura. Giulio Barbato Anthos Bray


SCAFFALE Klein Etienne: «Conversazioni con la sfinge», Il Saggiatore
AUTORE: P_B
ARGOMENTI: FISICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

GLI oggetti subatomici che si comportano ora come particelle ora come onde. La velocità che influisce sullo scorrere del tempo. Il buio del cielo notturno come fonte di insegnamenti per la cosmologia. L'atto dell'osservatore che determina il fatto osservato. Il probabilismo che sostituisce la certezza dei rapporti di causa-effetto. La violazione della simmetria nello spazio, nel tempo e nelle interazioni deboli. Sono questi i grandi paradossi della fisica moderna, sui quali si arrovella non soltanto la scienza ma anche la filosofia. Klein, che lavora presso il Commissariato per l'energia atomica francese, li espone in modo chiaro e stimolante.


SCAFFALE Oliverio Ferraris Anna: «Insegnare la tv», Casa Ed. Valore Scuola; Losito Gianni: «Il potere dei media», La Nuova Italia Scientifica
AUTORE: P_B
ARGOMENTI: PSICOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Il tempo medio dedicato alla televisione è in costante aumento in tutte le fasce di età, con due punte particolarmente alte: tra quattro e sette anni (più quattordici per cento nel '93 rispetto al '92) e tra i quindici e i diciannove (più tredici per cento). In media ogni italiano nel '93 ha trascorso 5 ore e un quarto davanti al video. Due libri di recente pubblicazione ci possono aiutare a rendere meno passiva questa contemplazione: «Insegnare la Tv», della psicologa Anna Oliverio Ferraris, una vera e propria guida alla lettura del mezzo televisivo, per difendersene, ma anche per trarne quanto di utile può dare; e «Il potere dei media», di Gianni Losito, dell'Università di Roma, dove il discorso si allarga ai meccanismi sociologici della comunicazione di massa.


SCAFFALE Knapp Brian: «Quanto misura?», Editoriale Scienza
AUTORE: P_B
ARGOMENTI: METROLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Non c'è scienza senza misura, la metrologia è alla base della conoscenza del mondo. E' bene, quindi, incominciare a prendere presto confidenza con le unità e gli strumenti di misura: lunghezza, tempo, peso, temperatura, elettricità e così via. Questo è forse, in Italia, il primo libro per bambini che affronti la questione in modo divertente e molto pratico. Dello stesso editore segnaliamo un libro di meteorologia per ragazzi, «Tempo da lupi», e, di Isaac Asimov,«Pulsar, quasar e buchi neri».


SCAFFALE Autori vari: «Manuale di sociologia», Utet
AUTORE: P_B
ARGOMENTI: ANTROPOLOGIA E ETNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

Aiutare a comprendere quell'insieme di intrecci, interazioni e retroazioni che è la nostra società; e per quanto possibile fornire strumenti culturali che facilitino un miglioramento della qualità della vita complessiva: sono gli obiettivi di questo manuale di Paolo Ceri, Luciano Gallino, Franco Garelli, Alfredo Milanaccio e Sergio Scamuzzi che si raccomanda non soltanto agli studenti interessati alla sociologia ma - proprio per l'ampiezza della sintesi e i presupposti non esclusivamente didascalici - a tutti i lettori che vogliano riflettere sulla complessità del mondo contemporaneo.


SCAFFALE «Scuola e chimica», Hoepli
AUTORE: P_B
ARGOMENTI: DIDATTICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Di quanti chimici ha bisogno l'Italia? Con quali specializzazioni? E come formarli? Ecco i risultati di una interessante ricerca a cura di Federchimica sulla domanda e sull'offerta di formazione in un settore chiave dell'industria e dell'economia.


SCAFFALE Dupont Pascal: «Parliamo di probabilità», Levrotto & Bella
AUTORE: P_B
ARGOMENTI: MATEMATICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Il calcolo delle probabilità esposto non in modo sistematico ma per singoli problemi: dai giochi con i dadi alla valutazione dei test diagnostici.


SCAFFALE Bell Adrian: «La forma delle piante», Zanichelli
AUTORE: P_B
ARGOMENTI: BOTANICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Le forme vegetali sono una stroardinaria sintesi di funzionalità e di eleganza. Questo libro, illustrato non solo da foto ma anche da bellissimi disegni, descrive mirabilmente le angiosperme, cioè le piante caratterizzate da fiori con ovario sigillato nel carpello. (p. b.)


INIZIATIVA EUROPEA A Ispra laboratorio per bio-test alternativi Entro il 2000 si dimezzerà l'uso di animali da esperimento
Autore: VICO ANDREA

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, BIOETICA, ANIMALI, MALTRATTAMENTI
NOMI: MARAFANTE ERMINIO
ORGANIZZAZIONI: OSPEDALE NECKER, LABORATORIO EVCAM
LUOGHI: ESTERO, FRANCIA, PARIGI

GLI scienziati non ci provano sicuramente nessun gusto nel sacrificare gli animali per i loro esperimenti. Non soltanto per ovvi motivi umanitari, ma anche per motivi puramente economici. All'Ospedale Necker di Parigi, tanto per fornire un dato indicativo, per le sperimentazioni biomediche sono necessari da cinque a seimila ratti al mese e il loro allevamento occupa a tempo pieno ben sei dipendenti. Accogliendo le proteste degli antivivisezionisti, la Comunità europea si è impegnata a emanare, nel giro di pochi anni, una serie di nuovi regolamenti per ridurre (se non azzerare, quando è possibile) l'utilizzo degli animali da laboratorio in biologia e medicina. Ma per legiferare la Direzione generale XI ha bisogno di dati su quelle tecniche alternative che dovranno sostituire i test tradizionali. Per questo nel Centro di ricerca comunitario di Ispra (sul Lago Maggiore, vicino a Varese) è stato allestito e inaugurato a fine ottobre un nuovo laboratorio chiamato Evcam, un acronimo che significa «Centro europeo per la convalida di metodi alternativi». «Il nuovo laboratorio di Ispra», spiega il direttore Michael Balls, «nasce dalla direttiva Cee 86/609 e ha come obbiettivo prioritario lo sviluppo e la convalida di metodi alternativi che siano in grado di fornire lo stesso tipo di informazioni ottenute dagli esperimenti su animali, ma utilizzandone il minor numero possibile o applicando tecniche meno dolorose. Dunque coordineremo a livello comunitario lo studio di nuove tecniche e lo scambio di informazioni su quelle già esistenti (è in progetto una specifica banca dati) e cercheremo di favorire il dialogo tra ricercatori, industrie biomediche e organizzazioni di consumatori e di antivivisezionisti. Il tutto per mantenere un impegno preso dall'Unione europea nel febbraio 1993: ridurre del cinquanta per cento entro il Duemila il numero di animali utilizzati a scopi sperimentali». Molte di queste tecniche per verificare l'efficacia o la tossicità dei nuovi farmaci (ma anche dei cosmetici o di altri prodotti meno nobili) esistono già da anni, solo che finora non ne è mai stata accertata la reale potenzialità e affidabilità. «Il nostro lavoro», dice Erminio Marafante, vicedirettore di Evcam, «consisterà nell'affidare a laboratori di prima grandezza in Europa, Usa e Giappone la stessa sostanza da testare invitando ciascuno a effettuare il test con uno dei "metodi alternativi". I laboratori non sanno di che preparato si tratta, nè a cosa serve; mentre noi sappiamo già quali sono i suoi effetti sull'uomo. In questo modo, raccolti tutti gli esiti (e da una posizione di incontestabile neutralità), potremo stabilire in quale misura e in quali condizioni è possibile evitare di sacrificare un animale». Per fare un esempio, in alcuni esperimenti non serve studiare l'animale nel suo complesso, bensì esclusivamente le cellule del suo fegato. Anziché iniettare la sostanza da verificare nel fegato di cinquanta topi, si può prelevare qualche cellula dal fegato di un solo ratto e farla riprodurre in modo da averne a sufficienza per cinquanta test. Analogamente si può procedere con le cellule umane. Il principale vantaggio è la standardizzazione degli esperimenti a livello mondiale. La coltura si può congelare con facilità per essere trasportata da un laboratorio all'altro senza che il campione subisca alcuna modifica perché le cellule si riproducono in vitro, cioè replicano se stesse, sempre allo stesso modo e nelle quantità necessarie. Più ricercatori possono, dunque, compiere il medesimo esperimento e confrontare i dati con assoluta tranquillità. La nuova sede del laboratorio Evcam ha 8 laboratori attrezzati che si estendono su una superfice di oltre un migliaio di metri quadrati. Attualmente vi lavorano una trentina di ricercatori, un numero che potrà presto aumentare perché nei prossimi due anni è previsto il raddoppio della struttura con altri 6 nuovi laboratori. Andrea Vico


MATEMATICA Espugnato il teorema di Fermat Andrew Wiles ha superato anche l'ultimo ostacolo
Autore: SCAPOLLA TERENZIO

ARGOMENTI: MATEMATICA, LIBRI
PERSONE: WILES ANDREW
NOMI: DE FERMAT PIERRE, TAYLOR RICHARD, WILES ANDREW
LUOGHI: ITALIA
NOTE: «Curve ellittiche modulari e l'ultimo teorema di Fermat»

HO scoperto una dimostrazione veramente meravigliosa di ciò, ma il margine non è abbastanza largo per contenerla»: così il matematico Pierre de Fermat (nato nel 1601 e morto nel 1665) annotava su un suo libro a proposito di una (mancata) proprietà dei numeri naturali. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti e migliaia di persone, più spesso matematici professionisti ma anche numerosi cultori improvvisati, hanno cercato la dimostrazione di quella proprietà nota come «Ultimo Teorema di Fermat»: se n è un numero intero maggiore o uguale a tre non esistono terne di numeri interi positivi a, b, c per cui valga l'uguaglianza an più bn = cn. Per il valore di n = 2 la proprietà non è vera, come si verifica immediatamente con i numeri 3, 4 e 5. E' difficile assegnare una data precisa a una scoperta scientifica. Ancora più difficile è l'indicazione della data precisa in cui una dimostrazione matematica è stata ottenuta. Se poi il risultato in esame riguarda l'ultimo teorema di Fermat la cautela si fa davvero grande. Ma questa volta sembra davvero che non vi siano più dubbi: Andrew Wiles (Princeton University) ha dimostrato il teorema di Fermat. Il 25 ottobre è stata autorizzata la pubblicazione di due manoscritti: il primo, dal titolo «Curve ellittiche modulari e l'ultimo teorema di Fermat», è un ampio lavoro di Andrew Wiles che annuncia, tra le altre cose, la dimostrazione del teorema basandosi sul secondo lavoro, una breve nota di Richard Taylor e dello stesso Wiles, per un passo cruciale. Si ricorderà che Wiles aveva annunciato la soluzione del teorema durante un ciclo di lezioni tenuto alla Cambridge University nel mese di giugno 1993. L'annuncio suscitò un immediato clamore, ben al di là del quieto ambiente accademico. In seguito, sottoposta ad attente analisi, la linea dimostrativa aveva rivelato una lacuna rilevante e Wiles, che peraltro non aveva mai affermato di aver terminato il suo lavoro, chiese tempo per completare i suoi risultati. Dopo aver tentato ripetutamente di rimediare mantenendo lo stesso tipo di tecnica adottata inizialmente (per gli specialisti, la costruzione di un sistema di Eulero) Wiles ha cambiato strategia (ricorrendo a particolari proprietà delle algebre di Hecke). Nel primo lavoro sono riprodotti i materiali illustrati a Cambridge con la variante indicata, nel secondo lavoro Taylor e Wiles dimostrano le proprietà necessarie. La tecnica costruita si mostra più semplice e breve di quella intrapresa inizialmente, tant'è che uno dei revisori dei manoscritti ha a sua volta annunciato una ulteriore semplificazione (è prevedibile una valanga di ulteriori elaborazioni). Il completamento della dimostrazione non giunge inatteso: nello scorso mese di agosto Wiles era stato invitato come «main speaker» al congresso internazionale di matematica, tenuto a Zurigo. Il teorema era uno dei rari esempi di affermazioni matematiche divenute popolari, per la semplicità dell'enunciato e per la facilità di comprensione del suo significato. Qualche anno fa a New York, su un muro nei sotterranei della metropolitana, era apparsa la scritta: «Ho trovato una bella dimostrazione del teorema di Fermat ma non ho tempo per scriverla: è arrivato il treno e devo partire». Ora non ci sarà più spazio in questa direzione. Ma, come sempre accade, per una sfida risolta molte altre rimangono aperte. Terenzio Scapolla Cnr, Pavia


PROTELE CRESTATO Tossiche? Deliziose! Termiti indifese, il veleno non fa effetto
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ANIMALI
NOMI: RICHARDSON PHILIP
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D.

ESISTONO al mondo 8800 specie di formiche e duemila di termiti. Ma più che il numero delle specie, conta quello degli individui. Un numero incalcolabile, astronomico addirittura. Basti dire che le sole formiche rappresentano qualcosa come il 10-15 per cento dell'intera biomassa terrestre, che comprende tutti gli animali del pianeta. Pur lontane tra loro dal punto di vista filogenetico (le formiche appartengono all'ordine degli imenotteri, le termiti a quello degli isotteri), hanno entrambe una complessa vita sociale abbastanza simile da vari punti di vista e, soprattutto, una strabiliante prolificità. Un esempio? La regina della Bellicositermes bellicosus, una delle più grosse termiti africane, depone qualcosa come sessanta uova al minuto, cioè decine di migliaia di uova al giorno. Con un ritmo riproduttivo così vertiginoso, è facile immaginare che tutta la superficie terrestre sarebbe letteralmente invasa dalle termiti e dalle formiche se non ci fosse un certo numero di specie predatrici che se le mangiano, ristabilendo l'equilibrio. Tra i mammiferi, i più noti mangiatori di formiche e di termiti sono i formichieri, i pangolini e gli oritteropi. Tutt'e tre queste specie hanno avuto una lunga storia evolutiva, circa quaranta milioni di anni, durante la quale hanno avuto modo di sviluppare strutture anatomiche perfettamente adeguate a una dieta così specializzata. E siccome la maggior parte dei termitai e dei formicai si trova nel sottosuolo, pangolini, formichieri e oritteropi posseggono poderosi artigli adatti allo scavo. Grazie a questi strumenti naturali sono in grado di demolire le sovrastrutture, spesso durissime, dei nidi e possono portare così allo scoperto termiti e formiche. Ci pensa poi la lunga lingua, sempre ricoperta da saliva vischiosa, a incunearsi nelle fessure praticate dagli unghioni per asportare con vigorose leccate le ambite prede. Ma la cosa strana è che si è specializzato nella stessa dieta anche un mammifero molto più giovane degli altri, nel senso che conta un'anzianità di specie di un milione e mezzo di anni soltanto. E' il Protele crestato (Proteles cristatus), un carnivoro africano che ricorda per il suo aspetto la iena striata. Anche lui infatti presenta sui fianchi del mantello grigio-giallognolo una serie di strisce trasversali nere. Probabilmente la sua breve storia evolutiva non gli ha dato il tempo di sviluppare strutture fisiche analoghe a quelle dei suoi concorrenti alimentari. Per cui c'è da chiedersi come riesca a procurarsi quel tipo di cibo senza gli strumenti adatti. Molto semplice. Invece di lambiccarsi il cervello per mettere allo scoperto insetti che vivono nel sottosuolo ben barricati entro le solide strutture dei loro nidi, concentra la sua attenzione su una sola specie di termiti, la Trinervitermes trinervoides, che, a differenza delle sue simili, trascorre molto tempo all'aria aperta. Questa termite alloggia anche lei in grandi nidi sotterranei, da cui s'irradiano numerose gallerie. Ma durante i mesi estivi e nelle notti invernali più calde ha l'abitudine di uscire dal nido formando fitte colonne di migliaia d'individui che si recano nei campi. Qui le termiti tagliano in pezzetti i fili d'erba e se li portano nei depositi del nido come riserva viveri. Il trovarsi così spesso allo scoperto potrebbe costituire un pericolo mortale per questi insetti, esposti come sono all'appetito non solo dei proteli, ma di tutti i predatori insettivori. Ma a difenderli dagli attacchi dei malintenzionati ci sono i soldati della specie, provvisti di un'arma imbattibile. Si tratta di speciali ghiandole frontali che fabbricano una secrezione vischiosa. I soldati che fiancheggiano le colonne dei foraggiatori lanciano contro l'aggressore il liquido a base di terpeni che si rapprende rapidamente all'aria. Questa secrezione incolla e immobilizza i predatori di piccola mole, ma riesce assai fastidiosa anche ai mammiferi termitofagi. Quando un nido viene attaccato, i soldati emergono dalla breccia aperta e «sparano» i loro fucili chimici contro l'invasore, anche a parecchi centimetri di distanza. Ragion per cui i formichieri, ad esempio, danno poche leccate a un nido, non ci si fermano più di venti secondi. Poi, non appena interviene l'esercito di soldati con le pericolose munizioni, passano a un altro nido per una nuova brevissima sosta. E così via. Il protele crestato invece sembra insensibile al tossico e si mangia tranquillamente anche trecentomila termiti in una sola notte. Questo comportamento anomalo ha incuriosito lo zoologo Philip R. K. Richardson, che ha studiato da vicino i proteli in una località al margine del deserto del Kalahari. Richardson si rifà a quella che si ritiene sia l'origine della specie, che sarebbe derivata da antenati simili alle viverre-civette. Proprio da questi antenati i proteli avrebbero ereditato l'insensibilità alle sostanze tossiche. La viverra civetta africana infatti si mangia i frutti di Strychnos, che contengono stricnina, senza risentirne alcun danno. Ecco quindi che anche i proteli, loro discendenti, tollerano egregiamente le secrezioni terpeniche delle termiti tossiche. E poiché queste termiti risultano poco appetibili agli altri mammiferi, i proteli crestati si vengono a trovare quasi senza competizione in fatto di cibo. Per poter scovare facilmente le loro prede, questi carnivori hanno sviluppato straordinariamente fiuto e udito. Da vicino, odono benissimo il fruscio delle colonne in movimento, mentre da lontano sentono distintamente l'odore dei terpeni spruzzati dai soldati contro gli insetti che attraversano la pista delle colonne foraggiatrici. Isabella Lattes Coiffman


IN BREVE Sulla geografia dibattito a Rimini
ARGOMENTI: GEOGRAFIA E GEOFISICA, CONGRESSO
LUOGHI: ITALIA, RIMINI (RN)

Dal 17 al 19 novembre si terrà a Rimini il convegno «Geographia per leggere il mondo», primo convegno nazionale dedicato a una disciplina per la quale è in atto un profondo ripensamento teorico. Promosso dall'Istituto De Agostini, l'incontro vedrà gli interventi di Paul Claval, Augusto Biancotti, Franco Farinelli e Gabriele Zanetto. Per altre informazioni, tel. 02- 380.863.20; fax 02-380.863. 20.


IN BREVE Trieste: il contagio della fantascienza
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, CONFERENZA, MANIFESTAZIONI
LUOGHI: ITALIA, TRIESTE (TS)

Dal 19 al 27 novembre si svolgerà a Trieste «Il contagio, incontri di scienza e fantascienza», una manifestazione multimediale giunta alla quarta edizione. In programma rassegne cinematografiche, documentari scientifici, incontri tra esperti di discipline diverse, nell'ambito della Settimana europea della cultura scientifica. Per informazioni, tel. 040-397.305.


IN BREVE Odontoiatria a Montecarlo
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, CONGRESSO
LUOGHI: ESTERO, MONACO, MONTECARLO

Si tiene il 18-19 novembre presso il Centro incontri di Montecarlo il sesto Congresso internazionale odontostomatologico organizzato dal Centro Culturale Odontostomatologico di Torino diretto da Aldo Ruspa. Tra i temi, trattati da un'ottantina di relatori, endodonzia, implantologia e protesi.


IN BREVE Verde e città ai Georgofili
ARGOMENTI: ECOLOGIA, AMBIENTE
LUOGHI: ITALIA, TERAMO (TE)

L'Accademia dei Georgofili ha organizzato per venerdì 11 novembre una giornata di studio sul tema «Il verde nella dimensione urbana e territoriale». Altre due giornate si terranno a Teramo il 25-26 novembre (Aree protette e attività agroforestali) e il 7 dicembre a Firenze (Piante e dissesti idrogeologici). Per informazioni, fax 055- 230.2754.


IN BREVE Un eco-treno per i rifiuti
ARGOMENTI: ECOLOGIA, TRASPORTI, RIFIUTI
LUOGHI: ITALIA, BRESCIA (BS)

In provincia di Brescia dal 5 novembre si aggira un eco-treno: è un progetto didattico itinerante per diffondere tra la cittadinanza l'uso della raccolta differenziata dei rifiuti. Tre carrozze attrezzate con video, mostre, musica e giochi spiegano l'importanza di suddividere, per esempio, carta, vetro e metallo usati, in vista della loro riutilizzazione. All'iniziativa, che si conclude il 15 novembre, sono particolarmente invitate le scuole. Per informazioni, 02- 551.94.483.


IN BREVE Scienza e media dibattito al Cern
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, CONGRESSO
ORGANIZZAZIONI: CERN
LUOGHI: ESTERO, SVIZZERA, GINEVRA

Durante la Settimana europea della cultura scientifica, il 26 novembre si terrà a Ginevra un incontro tra giornalisti, scienziati e uomini politici, organizzato dal Cern e da Hypotesis.


IN BREVE Sviluppo cognitivo con Feuerstein
ARGOMENTI: DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA, TORINO (TO)

Un corso sul metodo Feuerstein per lo sviluppo cognitivo si terrà a Torino dal 21 novembre al 3 dicembre. Per informazioni, tel. 011-433. 4941.


AUXOLOGIA Dottore, mio figlio non cresce! Bassa statura: non solo cause endocrine
Autore: DI AICHELBURG ULRICO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, BIOLOGIA, GENETICA, DEMOGRAFIA E STATISTICA
NOMI: BENSO LODOVICO
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: G. I GIGANTI NEL VENETO Altezza media dell'uomo per regione. Anno 1984 -------------------------------------------------- G. ITALIA IN SALITA Altezza media dell'uomo in Italia dal 1894 al 1984 -------------------------------------------------- T. ALTEZZA MEDIA IN ITALIA -------------------------- 1791 1,62 metri ---- 1854 1,63 metri ---- 1930 1,67 metri ---- 1985 1,72 metri ---- 1994 1,73 metri ==================================================
NOTE: Statura. Ormone della crescita GH

QUELLO della statura è diventato un problema psicologico e sociale, e quando sembra che le cose non vadano per il meglio è una preoccupazione per le famiglie e i bambini. C'è un sempre maggiore interesse per l'immagine fisica e ai medici si chiede sempre più spesso di esprimere un parere sul carattere normale o meno dell'accrescimento. Abbiamo ascoltato un aggiornamento del problema delle basse stature dal neonato all'adolescente nelle relazioni di Lodovico Benso e B. Stasiowska del Centro di auxologia, e di Bertino del Servizio di neonatologia dell'Università di Torino, in un incontro della Società italiana di pediatria, sezione Piemonte- Valle d'Aosta. L'accrescimento ha inizio nell'istante stesso della formazione del nuovo essere, e molte cose sono già predeterminate dalla trasmissione del patrimonio genetico. Dopo la nascita, la crescita corporea comporta fino al suo termine due elementi fondamentali: da una parte, l'aumento quantitativo delle cellule, degli organi, dell'insieme del corpo e dei suoi diversi comportamenti; dall'altra, l'aspetto qualitativo, in una parola la maturazione. Crescita e maturazione concorrono allo sviluppo, il tutto realizza un gioco biologico sottile e complessivo, un itinerario determinato dall'insieme dei meccanismi regolatori. Questi sono anzitutto i geni e le conseguenti azioni ormoniche che intervengono in ogni momento. La regolazione endocrina riguarda l'ormone della crescita GH, secreto dall'ipofisi. Vi sono poi gli ormoni della tiroide e gli ormoni sessuali, questi ultimi con un ruolo più di maturazione che di crescita. Genoma e ghiandole endocrine sono i due fattori intrinseci determinanti, i quali agiscono attraverso fattori estrinseci quali l'utilizzazione degli alimenti e l'azione dell'ambiente. L'equilibrio nutritivo e metabolico è indispensabile per la realizzazione del programma genetico. Ma altrettanto indispensabile per la realizzazione armonica del piano di sviluppo è l'ambiente fisico, psichico e affettivo. Oggi è possibile uno studio razionale della crescita del bambino, sì da poter rispondere con precisione alla domanda dei genitori sul carattere normale o non dello sviluppo del figlio, rassicurare famiglie a torto inquiete o viceversa avviare esami più approfonditi per arrivare a una diagnosi di patologia della crescita che può sovente ricevere una terapia efficace e appropriata. La bassa statura può avere varie origini: eredità genetica, anormalità dei cromosomi, malattie delle cartilagini e delle ossa, dei polmoni, cuore, reni, delle ghiandole endocrine, alterazione dell'assorbimento delle sostanze nutritive, nonché cause psicologiche. Vi sono ritardi durante la prima infanzia o nella pubertà ma alla fine la statura può essere normale. Si hanno anche difetti di sviluppo intrauterino, una insufficienza utero-placentare da fattori costituzionali, anomalie genetiche, infezioni (rosolia, cytomegalovirus, varicella, toxoplasmosi), farmaci, droghe, alcol, tabacco. La possibilità di riconoscere alla nascita una anomalia di crescita o uno stato di malnutrizione uterina è molto importante. Tutto sommato, fra le cause di bassa statura quelle endocrine sono la minoranza, comunque l'ormone della crescita, oggi disponibile con la tecnica del Dna ricombinante, è un rimedio efficace nei casi adatti. L'assistenza perinatale è essenziale per i nati pre-termine con gravi patologie respiratorie, neurologiche, gastro-intestinali, i quali, una volta guariti, recuperano il peso entro 12 mesi e l'altezza entro 24-30 mesi. La tecnica di misura alla nascita è standardizzata: esistono neonatometri, che sono strumenti per misurare la lunghezza vertice-tallone. Ma le misurazioni sono possibili già prima della nascita, mediante l'ecografia nel 2 e 3 trimestre di gravidanza. La biometria ecografica è il metodo attualmente più impiegato per la valutazione della crescita fetale. Si comincia così ad avere prestissimo dati utilizzabili dal punto di vista clinico, e questo è particolarmente importante per l'avvenire, contiene le premesse del futuro essere, delle sue qualità e delle sue imperfezioni. Ulrico di Aichelburg


PREMIO CARNIA ALPE VERDE Un boschetto in cambio di un'idea ecologica L'edizione '94 vinta da un progetto per eliminare i parassiti dalle opere d'arte
Autore: CABIATI IRENE

ARGOMENTI: ECOLOGIA, AMBIENTE, CONCORSI, PREMIO, PROGETTO
NOMI: GIORGESSI BRUNO, GIALDI ERCOLE
ORGANIZZAZIONI: PREMIO CARNIA ALPE VERDE, RGI GENOVA
LUOGHI: ITALIA

IL premio è un bosco di cento alberi, la gara consiste nel proporre un progetto o una ricerca per la valorizzazione e la difesa dell'ambiente. Il concorso si chiama Carnia Alpe Verde, una iniziativa dell'Azienda di Promozione turistica della Carnia in collaborazione con la Regione Friuli Venezia Giulia, il consorzio Boschi Carnici e l'Azienda Regionale per la Promozione turistica. Il vincitore indica la zona dove vorrà realizzare il «suo» bosco (è escluso il giardino di casa). Il premio è alla terza edizione e alcuni dei progetti partecipanti vengono segnalati sulla pubblicazione «Rapporto Carnia: i cento progetti più verdi d'Italia» e vanno a corredare una mostra itinerante, oltre a essere inseriti nell'archivio dei progetti italiani per l'ambiente che sarà aperto al pubblico a Tolmezzo. Le due edizioni hanno già consentito di raccogliere dati interessanti sul risparmio energetico (teleriscaldamento, auto e autobus ecologici, pannelli solari); sul trattamento e riciclaggio dei rifiuti; la salvaguardia di parchi, fiumi, paludi. Nel settore della produzione, sono segnalati mobili e carte ecologiche o la bicicletta pieghevole che entra in una valigetta. Ci sono anche festival, giornali, convegni e scuole. Fra tutti i progetti, però, il più simpatico è un cane addestrato per la raccolta di oggetti di plastica dispersi. Come spiega Bruno Giorgessi, direttore dell'Apt della Carnia: «L'idea del premio è nata per far conoscere una delle zone più belle d'Italia, la Carnia, unico ambiente alpino che vive un'invidiabile pace ambientale: aria quasi totalmente priva di pulviscolo e sostanze chimiche, ottime condizioni per le 3200 specie botaniche, molte delle quali medicinali, ricca presenza faunistica. Abbiamo pensato che soltanto un'area con queste caratteristiche può segnalare e premiare chi si è reso meritevole nella lotta all'inquinamento». La prima edizione era stata vinta dall'Enea di Frascati con il Lidar, un sistema che, con tecnologie laser, permette di disgnosticare lo stato di salute dell'ambiente. E' già sperimentato nella salvaguardia delle foreste. Il bosco vinto dall'Enea costituito da roverelle, lecci, ornielli e aceri, è stato piantato nel Parco dei Castelli Romani di Frascati ed è diventato un laboratorio per testare il Lidar. Quest'anno, su 250 partecipanti, ha vinto il Rgi di Genova, Resource Group Integrator, società del Polo Tecnologico Marino, che ha trovato un metodo pulito per eliminare i parassiti dalle opere d'arte. Abitualmente gli insetti che infestano oggetti di legno, carta e stoffa vengono uccisi con potenti prodotti chimici. Con l'irrorazione si disperdono sostanze tossiche e cancerogene che potenzialmente diventano pericolose. Secondo una stima, in Italia si inquinano almeno sei miliardi di metri cubi d'aria per proteggere manufatti storici e artistici conservati in musei, gallerie e abitazioni private. La soluzione, come spesso accade, è semplice. Bastava pensarci. Gli insetticidi possono essere sostituiti da una tecnologia basata sul componente inerte dell'aria: l'azoto. «Questo gas - spiega Ercole Gialdi, responsabile del Rgi - è un'alternativa efficace ed economica alle sostanze mutagene e cancerogene impiegate per conservare il patrimonio artistico e culturale di ogni Paese». Con il metodo proposto da Gialdi e dai suoi collaboratori, finanziato dal programma Brite, della Cee, si mette l'oggetto da trattare in un contenitore termosigillabile collegato a un sistema elettromeccanico, che separa l'aria nei suoi componenti e, eliminando ogni traccia di ossigeno, provoca la morte per asfissia di larve e insetti. Entro 14 giorni i fastidiosi parassiti sono eliminati in maniera economica, senza danno per gli operatori e per l'ambiente. Non è ancora deciso dove sorgerà il bosco di Ercole Gialdi; si sono candidati l'area Expo di Genova e il principato di Monaco. Il concorso continua. Quest'anno la giuria è composta, fra gli altri, da Carlo Rubbia, Nobel per la fisica, Margherita Hack dell'Osservatorio astrofisico di Trieste, Grazia Francescato del Wwf ed Ermete Realacci di Legambiente. I nuovi progetti dovranno essere inviati entro il 31 marzo 1995. Per informazioni, Azienda di promozione turistica della Carnia, tel. 0432 511861. Irene Cabiati


L'ORGANISMO DI FRONTE AL GRANDE KILLER Cancro, così la cellula si difende Nel Dna il segreto delle diverse risposte all'attacco
AUTORE: COMOGLIO PAOLO, TERRACINI BENEDETTO
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, GENETICA, RICERCA SCIENTIFICA
LUOGHI: ITALIA, CANDIOLO (TO)
TABELLE: T. L'EUROPA CONTRO IL CANCRO ============================================ Risultati della cura (guarigioni) -------------------------------------------- 1900 5% ---- 1930 15% ---- 1960 30% ---- 1990 45% ---- OBIETTIVO 65% -------------------------------------------- + 10% per diagnosi precoce + 10% per diffusione protocolli terapeutici ============================================
NOTE: ISTITUTO PER LA RICERCA E LA CURA DEL CANCRO TEMA: ISTITUTO PER LA RICERCA E LA CURA DEL CANCRO

PER combattere il cancro bisogna identificarne le cause e capire i meccanismi che ne permettono lo sviluppo. L'epidemiologia «classica» ci dice che almeno 70 tumori su cento hanno una causa esogena, sono cioè provocati da sostanze nocive presenti nell'ambiente o assunte dall'uomo a seguito di comportamenti individuali, quali l'alimentazione o le abitudini voluttarie. Questa conclusione deriva dall'osservazione che la frequenza di insorgenza di tumori negli emigranti, con il tempo, tende a quella della popolazione del Paese ospite. In Italia, per esempio, dove ci sono stati spostamenti di popolazione dal Sud al Nord negli Anni 60, i meridionali che vivono al Nord si ammalano di cancro con la stessa frequenza dei loro vicini di casa settentrionali. Le esposizioni a fattori esogeni che causano il cancro - ancorché soltanto parzialmente note - sono quindi disomogeneamente distribuite. Che il cancro sia provocato da cause esogene è anche dimostrato da un esempio che non è male ricordare ai fumatori: tra gli appartenenti alla confessione religiosa degli Avventisti del Settimo Giorno non vi sono tumori causati da fumo di tabacco, per il semplice motivo che nessuno di loro fuma. Seguendo una regola generale della tossicologia, anche l'insorgenza del cancro nella specie umana è controllata da una relazione dose-risposta, per cui la proporzione di soggetti colpiti aumenta con l'aumentare dell'esposizione. Tuttavia, tranne episodi di eccezionale trascuratezza nel controllo dell'ambiente di lavoro, raramente il cento per cento degli esposti si ammala. Il cancro polmonare, ad esempio, si manifesta in circa un quarto dei forti fumatori, una incidenza spaventosamente alta ma che rimane lontana dal 100 per cento. I motivi di questa apparente discrepanza cominciano oggi a delinearsi: riguardano i meccanismi che permettono l'insorgenza del cancro e non le cause che lo provocano. Le sostanze cancerogene sono tali perché danneggiano il Dna delle cellule: in particolare inducono mutazioni che alterano il programma genetico che controlla la ordinata moltiplicazione cellulare. Perdendo questo controllo, le cellule si moltiplicano senza freni e provocano il cancro. Vi sono però, a livello individuale, una serie di geni che determinano la risposta della cellula colpita da agenti cancerogeni esterni. Alcuni di questi geni controllano i processi che «detossificano» (cioè inattivano) i cancerogeni. Altri provvedono alla riparazione delle lesioni da questi causati al Dna cellulare. Infine, un terzo gruppo di geni provoca - come ultima risorsa - il suicidio della cellula cancerosa per mezzo di un processo complesso chiamato «apoptosi». Il cancro si sviluppa quando questi geni protettivi (chiamati «anti-oncogeni» in senso lato) vengono inattivati o per cause acquisite (è noto che l'abuso di alcool potenzia la cancerogenicità del fumo di tabacco) o per difetti ereditari. Un esempio è fornito dal gene che codifica l'enzima N-acetiltransferasi del fegato: questo enzima inattiva (tramite il processo di «acetilazione») le amine aromatiche cancerogene per la vescica presenti nel fumo di tabacco. Gli esseri umani si dividono in due gruppi: i «lenti acetilatori» (nella razza bianca, un po' più della metà) e i «rapidi acetilatori». I primi, provvisti di un gene che inattiva le amine aromatiche lentamente, sono svantaggiati rispetto ai «rapidi acetilatori»: le amine aromatiche circolano infatti più a lungo nel sangue, hanno maggiore probabilità di danneggiare il Dna e quindi di indurre l'insorgenza di un cancro. Comunque, gli individui provvisti del gene per la «rapida acetilazione» non sono del tutto immuni dagli effetti delle amine aromatiche. A causa della complessità del processo della cancerogenesi, la suscettibilità genetica non è un fenomeno «tutto o nulla», ma semplicemente il meccanismo che spiega le differenti probabilità di ammalarsi tra gli esposti ad uno o più cancerogeni esogeni. Un altro esempio è fornito dalla recente identificazione di alterazioni molecolari a carico del gene brc-A in donne ad alto rischio ereditario di cancro della mammella. Una stima prudente suggerisce che almeno il 3% dei casi complessivi di carcinoma mammario sia associato a questi geni. In cifre, questa significa in Italia circa 500 casi all'anno: non sono pochi, e si tratta di donne giovani. Idealmente, si dovrebbe operare una qualche forma di prevenzione primaria per allontanare il rischio da queste pazienti potenziali. Per giudicare quanto radicali debbano essere gli interventi preventivi è tuttavia necessario conoscere a fondo i processi molecolari controllati dal locus genico brc-A: idealmente si vorrebbe passare da una previsione probabilistica a una valutazione deterministica, in altre parole da percentuali a molecole, quantificabili con esami di laboratorio. L'Istituto I.R.C. C. in via di realizzazione a Candiolo, presso Torino, lavorerà alla frontiera della ricerca per avvicinare la soluzione di questi problemi. Nell'Istituto, come nella comunità scientifica più attenta, la contrapposizione storica tra epidemiologi «ambientalisti» e biologi molecolari «meccanicisti» è superata. Si è realizzata una ben più produttiva convergenza di attenzione verso quel campo di ricerca definito «epidemiologia molecolare», inteso a comprendere - e non solo a misurare - le associazioni statistiche. Paolo M. Comoglio Benedetto Terracini Università di Torino


CANCEROGENESI Eppur si blocca Molte lesioni non evolvono in tumore
AUTORE: POLI GIUSEPPE, DIANZANI MARIO UMBERTO
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, GENETICA, RICERCA SCIENTIFICA
LUOGHI: ITALIA, CANDIOLO (TO)
NOTE: ISTITUTO PER LA RICERCA E LA CURA DEL CANCRO TEMA: ISTITUTO PER LA RICERCA E LA CURA DEL CANCRO

LO sviluppo di molti tipi di tumore solido negli animali e nell'uomo avviene in più fasi. Per l'azione di sostanze chimiche, radiazioni o virus, a un tratto può comparire una alterazione stabile nella macchina riproduttiva, il Dna, di una o più cellule. Come conseguenza, le cellule coinvolte forniscono una risposta abnorme, esagerata, agli stimoli proliferativi in grado di raggiungerle. In tal modo, la loro crescita viene favorita assai più di quella delle cellule circostanti con Dna non deviato, non «atipico». L'azione favorente deve essere sufficiente a far progredire l'iniziale gruppo di cellule fino a uno stadio in cui queste hanno di fatto acquisito capacità di crescita autonoma e progressiva. Se le cellule tumorali nella fase iniziale della loro esistenza non vengono incoraggiate a crescere, il tumore non si svilupperà. Questa affermazione è confortata in modo unanime dallo studio delle prime fasi del processo di sviluppo di cancro, definito nel suo insieme con il termine «cancerogenesi», sperimentalmente indotto o spontaneamente insorto nella cute o nel fegato di roditori. In questi modelli sperimentali è infatti possibile «iniziare» una o più cellule allo stato tumorale e poi «favorire» ma anche «bloccare» la loro proliferazione selettiva nell'ambito di un determinato organo. Si può inoltre seguire l'evolversi della lesione iniziale verso la formazione di un tumore maligno, scoprendo così che il processo implica spesso una o più fasi in cui la lesione non è ancora propriamente tumorale bensì pretumorale, con alta potenzialità di evolvere in un cancro. Evoluzione che nell'animale sperimentale si completa nel giro di pochi mesi, mentre nell'uomo spesso non basta una vita intera perché da una lesione pre-tumorale si arrivi allo stadio di cancro vero e proprio. Per esemplificare questo concetto basta ricordare che nell'uomo sono evidenziabili lesioni pre-tumorali in vari organi, quali cute, polmone, mammella, prostata, gastro-intestino, tanto per citare le sedi più frequenti di tumori maligni. L'osservazione statistica ci ha dimostrato che una quota più o meno elevata di queste lesioni non evolve a tumore. Ecco, quindi, che il modello uomo ci conferma come la marcia verso la malignità di cellule diventate atipiche sia fenomeno complesso, spesso multifasico, e perciò spesso influenzabile a più livelli. Se per quanto riguarda almeno le lesioni pretumorali osservabili (cute, colon, apparato riproduttore...) il chirurgo spesso risolve il problema, per tutti gli altri casi i potenziali livelli di intervento interessano ovviamente fasi più precoci del processo di cancerogenesi. Ma queste devono essere ancora in gran parte caratterizzate. In conclusione, si ritiene fortemente auspicabile che la ricerca scientifica promuova l'applicazione delle moderne tecnologie molecolari allo studio della cancerogenesi come modello per un approfondimento sempre più aggiornato della crescita multifasica dei tumori. Così si potranno ottenere indicazioni verosimilmente utili sui meccanismi genetici in grado di deviare le cellule in senso tumorale e anche sui processi fisiopatologici in grado di favorire la loro crescita progressiva. E' indubbio che, arrivando a conoscere nel dettaglio molecolare i vari momenti dello sviluppo di un tumore, sarà decisamente più facile contrapporsi a esso, e a livelli sempre più precoci. Giuseppe Poli Mario U. Dianzani Università di Torino


L'ISTITUTO DI TORINO Obiettivo 2000: guarire 65 malati su cento Prevenzione e cura in stretto accordo con il progetto di ricerca europeo
AUTORE: ROSSI CARLO EUGENIO
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, GENETICA, RICERCA SCIENTIFICA
LUOGHI: ITALIA, CANDIOLO (TO)
NOTE: ISTITUTO PER LA RICERCA E LA CURA DEL CANCRO TEMA: ISTITUTO PER LA RICERCA E LA CURA DEL CANCRO

AI margini del parco di Stupinigi, nei pressi di Candiolo, è in corso la costruzione dell'Istituto per la Ricerca e la Cura del Cancro, che ha il carattere di struttura «privata sociale senza fini di lucro». Il completamento della prima fase, che comprenderà due laboratori di ricerca, il laboratorio di analisi e anatomia patalogica, ambulatori, diagnostica per immagini, e tutto quanto è necessario per l'esercizio, è previsto per la seconda metà del 1995. L'attività dell'Istituto torinese sarà inquadrata nelle attività oncologiche regionali, nazionali ed europee, con le quali è necessario avvenga la massima collaborazione, per assicurare il raggiungimento degli obiettivi che la ricerca internazionale si prefigge. In particolare, l'obiettivo del programma «Europa Against Cancer» (L'Europa contro il cancro) è quello di portare i risultati, che sono passati dal 5 per cento di guarigioni del 1900 al 45 per cento del 1990, al 65 per cento nel 2000 grazie a un miglioramento dell'attività di prevenzione e diagnostica precoce (più 10 per cento) e alla diffusione di più efficaci protocolli terapeutici e all'aumento di strutture specialistiche (più 10 per cento). Quanto al piano sanitario nazionale (per il triennio 1994- 96), prevede una azione specifica per la prevenzione e la cura delle malattie oncologiche, secondo precise linee guida comunicate nello scorso maggio alle Regioni. Inoltre, su iniziativa del ministro Costa, è stato deliberato un finanziamento straordinario di 400 miliardi per la lotta al cancro (50 per il 1995; 150 per il '96; 200 per il '97). A seguito di una riunione di tutte le componenti del sistema oncologico delle Regioni nella sede della giunta regionale piemontese tenutasi il 12 ottobre scorso, presenti il presidente della Regione Piemonte e gli assessori alla programmazione e all'assistenza sanitaria, è stato avviato il processo di inserimento del nuovo Istituto del quadro del Sistema oncologico piemontese. Questo Sistema, che ha già molti punti di forza, potrà giovarsi dell'entrata in esercizio del nuovo Istituto per il quale è previsto l'inserimento a fianco dei sei Istituti oncologici già esistenti in Lombardia, Liguria, Lazio, Campania, Puglia, Friuli-Venezia Giulia, nella serie degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico che costituiscono la base del Sistema sanitario nazionale. Per la progettazione dell'Istituto sono stati tenuti presenti sia il riferimento dei sei Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico oncologici nazionali, sia quello dei maggiori Istituti europei, in particolare quelli inseriti in «sistemi integrati regionali» della rete oncologica europea (ad esempio quelli di Amsterdam, Rotterdam e Heidelberg). Per la gestione dell'Istituto sono già stati definiti accordi con l'Università per ciò che riguarda l'attività di ricerca e con l'Ordine Mauriziano per l'attività di assistenza. Obiettivo è di formalizzare un «European Cancer Centre della Regione Piemonte» che potrà avere come sede d'incontro la Palazzina di Stupinigi dell'Ordine Mauriziano. Sono state proposte al ministero della Sanità, in accordo agli assessorati alla Sanità della Regione, con riferimento alle nuove leggi 502/517, delle sperimentazioni gestionali in un contesto di collaborazione pubblico-privata che riguarderanno in particolare l'attuazione di quanto necessario per assicurare una gestione che salvaguardi la «centralità del paziente» , anche grazie a collaborazioni con le strutture di volontariato; e la terziarizzazione dei servizi di alta tecnologia (informatica e diagnostica per immagini), oltre che dei servizi generali, ove possibile e conveniente. Nella costruzione e nella gestione dell'Istituto torinese per la ricerca e cura del cancro sono stati e verranno sempre considerati primari i parametri di efficienza, efficacia, trasparenza. E' in corso l'impostazione esecutiva della seconda fase, che avverrà in collaborazione con le strutture del Sistema oncologico della Regione Piemonte, per assicurare un inserimento armonico dei reparti di degenza e terapia del nuovo Istituto. Carlo Eugenio Rossi Presidente Ircc-Torino e Componente della Commissione oncologica nazionale




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