ARGOMENTI: INFORMATICA, ELETTRONICA, TRIBUNALI, GIUSTIZIA, PROCESSO
NOMI: DI PIETRO ANTONIO
ORGANIZZAZIONI: LAN LOCAL AREA NETWORK
LUOGHI: ITALIA, CALTANISSETTA (CL)
NOTE: Interrogatori in videoconferenza
IN un recente processo civile negli Stati Uniti, due testimoni sono stati interrogati dal giudice utilizzando un sistema satellitare di videoconferenza mentre si trovavano in Gran Bretagna. Il giudice interrogava da Milwaukee e i testimoni rispondevano da Londra. La videoconferenza (trasmissione di immagini, suono e documenti via cavo telefonico o satellite gestite da un computer) inizia solo ora a entrare nell'uso di alcune aziende italiane (anche se è già utilizzata per la didattica a distanza nelle Università) e a quanto pare è ancora molto lontano il suo utilizzo in un'aula di tribunale. Per restare in Italia, un giudice della Procura di Milano, che indagava da tempo sulle estorsioni, è riuscito a scoprire una banda particolarmente incallita, perché nelle minacce che giungevano ai cittadini presi di mira risultava sempre l'identica imperfezione nella battitura. Un banale indizio, che qualsiasi attento investigatore avrebbe notato ma che oggi, di fronte a una miriade di reati commessi tutti i giorni, si sarebbe con ogni probabilità perso, mentre ha potuto essere messo in evidenza grazie al fatto che il magistrato in questione usa normalmente un data-base e con una veloce ricerca è venuto a capo dell'inchiesta. In realtà l'utilizzo dell'informatica nella giustizia italiana non è generalizzato e il computer non è ancora entrato nelle abitudini e nella cultura di molti magistrati. Ma andiamo con ordine. Molto scalpore ha destato l'arringa multimediale di Antonio Di Pietro durante il processo Cusani. In quella situazione il pubblico ministero di Mani pulite si avvalse di strumenti d'avanguardia, ma reperibili sul mercato, non certo dei prototipi. La reale spettacolarità della vicenda risiedeva nell'immane sforzo di raccolta dati, collegamenti e incroci, che era stata fatta prima di arrivare alla fase conclusiva. Tre studenti di Scienze dell'Informazione di Milano con un mese di lavoro hanno trasferito una grande quantità di testi provenienti dal computer di Di Pietro, in formato Ascii, su due Macintosh con tecnologia audio video che hanno consentito di digitalizzare tutte le immagini delle videoregistrazioni avvenute in aula durante il dibattimento. Il tutto ha occupato 500 megabytes di memoria (di cui 300 solo per la parte video). Le immagini e il testo sono stati collegati fra loro con un ipertesto tra i più diffusi (Hipercard). Il successivo utilizzo in aula di personal computer potenti ha consentito di essere molto veloci durante l'arringa (i giurati e i giudici erano provati da mesi di sedute) e di avere una esposizione totalmente interattiva e del tutto trasparente. Infatti ogni momento dell'arringa poteva essere richiamato, filmati o testi, senza dover seguire alcuna sequenzialità, consentendo di risparmiare una montagna di pagine e soprattutto una grande quantità di tempo per sfogliarle. In futuro altri giudici potrebbero utilizzare normali programmi di videografica o «computer animation» per riprodurre le scene di un delitto. Per ora comunque la tecnologia informatica sembra molto più legata a strumenti consolidati, in particolare banche dati e reti locali. Il settore più avanzato riguarda i reati penali. Grazie a un piano avviato da tempo, entro il 1995 buona parte delle procure potrà disporre di un sistema di Lan (Local Area Network) che consente di automatizzare molte procedure e di avviare un rapido scambio di dati fra i giudici della stessa procura. Il programma su cui si lavora è stato elaborato dal Csi Piemonte, e sperimentato dalla Procura di Torino (la Procura di Milano usa un altro sistema). E' in via di costituzione una grande banca dati nazionale dei carichi pendenti, consultabile a distanza. In realtà oggi, se una persona commette un reato a Genova e risiede e lavora a Firenze, sul certificato dei carichi pendenti richiesto al tribunale di Firenze non risulterà nulla di quanto commesso a Milano. Utilizzando una banca dati informatica nazionale, questo non sarà più possibile. Particolarmente avanzata è l'informatizzazione nel settore della lotta alla mafia. E' in via di costituzione una banca dati nazionale presso la Direzione nazionale antimafia e tutte le direzioni distrettuali hanno una propria banca dati. Lo scambio di informazioni con la Direzione nazionale non avviene su rete territoriale geografica informatica (Wan) ma mediante invio di dischetti, per motivi di sicurezza; in effetti le reti geografiche sono poco affidabili per segreti di tale portata. Il progetto è stato avviato e testato a Caltanissetta. Non esistono ancora possibilità di collegamenti in rete a livello internazionale che diano informazioni, ad esempio, su imputati che si trovano all'estero. Per fare questo, un giudice deve inoltrare la richiesta al ministero di Grazia e Giustizia, che la inoltra al ministero degli Esteri, che a sua volta la inoltra all'autorità competente del Paese interessato (rogatoria internazionale). Oltre a una scarsa informatizzazione (per quanto riguarda i reati civili, l'informatica è ancora una chimera, in molte città ottenere un certificato è un problema), in realtà i vero limiti, a parte le obiettive difficoltà, sono più che altro burocratici e culturali. E a questo proposito sarebbe interessante chiedersi che cosa accadrà quando il processo Cusani giungerà in appello. Accetterà, o sarà in grado di accettare, il giudice della Corte d'Appello, dove l'informatica non è molto di casa, la replica della famosa arringa multimediale? Bruno Contigiani
ARGOMENTI: MATEMATICA, BIOLOGIA, GENETICA
NOMI: ALEXANDER JOHN, JONES VAUGHAM, SUMMERS DE WITT
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Per un matematico, un nodo è una curva a una dimensione, chiusa,
che non interseca se stessa ed è situata nello spazio
tridimensionale. Per la matematica, due nodi sono equivalenti se si
possono modificare uno nell'altro, con lo stesso numero e
disposizione di intrecci.
NOTE: Teoria dei nodi
CHE cosa può avere a che fare una teoria matematica per pochi iniziati - la teoria dei nodi - con la più famosa molecola della biologia, il Dna? Molto più di quanto non si creda. Proprio nella teoria dei nodi - settore della topologia, che studia le proprietà delle figure geometriche che rimangono inalterate quando vengono sottoposte a deformazioni - un gruppo di biologi molecolari sta cercando la chiave per capire i processi più elementari alla base della vita. Un nodo è per un matematico una versione idealizzata di un nodo comune: una curva a una dimensione, chiusa, che non interseca se stessa, situata nello spazio tridimensionale. Si può considerare cone modello di un nodo matematico quello che si ottiene prendendo un pezzo di spago, intrecciandolo e annodandolo come si vuole e poi fondendo gli estremi, in modo che non sia possibile scioglierli a meno di tagliare lo spago, operazione non consentita. La figura che ne risulta è un nodo, caratterizzato dal particolare numero e tipo di avvolgimenti e anelli che racchiude. Non è un nodo matematico quello che facciamo al laccio delle scarpe, dal momento che i due estremi della stringa non sono uniti fra loro. Un nodo può mostrare numerosi incroci ma averne in realtà un numero minore e ogni nodo, con opportuni rimaneggiamenti (trasformazioni consentite dalla topologia), può essere ricondotto al numero minimo di incroci che lo caratterizza. Per la matematica due nodi sono equivalenti se, con opportune deformazioni continue, si possono modificare uno nell'altro, con lo stesso numero e disposizione degli intrecci. Problema base della teoria è la classificazione dei nodi, distinguendo quelli diversi e quelli equivalenti. La ricerca è volta quindi a trovare invarianti, e cioè proprietà matematiche intrinseche a un particolare nodo e a tutti quelli ad esso equivalenti, che rimangono inalterate anche se è sottoposto a deformazioni. Confrontando gli invarianti associati a due nodi, si può decidere se essi sono equivalenti oppure no. Il primo invariante fu scoperto nel 1928 da John Alexander e consente di distinguere solo alcuni tipi di nodi. Un invariante particolarmente significativo è stato individuato, nel 1984, da Vaugham Jones (vincitore, per questo, della medaglia Field, l'equivalente del Nobel per la matematica); consente, a differenza dei precedenti, di distinguere anche tra un nodo e la sua immagine speculare. Perfezionando via via la ricerca, i matematici hanno trovato che esiste solo un nodo con tre incroci (a meno della sua immagine speculare), uno solo con quattro incroci, due con cinque... e così via: per un totale calcolato finora, a meno delle immagini speculari, di 12.965 nodi con 13 o meno intrecci. Ma torniamo al Dna: per scoprire che il matrimonio tra nodi e doppia elica è strano solo in apparenza. Il fatto è che la catena di acido desossiribonucleico, che contiene, nella sequenza delle sue basi, tutte le informazioni per la costruzione e il funzionamento dell'organismo, è una molecola lunghissima contenuta nel nucleo di ogni cellula. «Se si suppone che il nucleo sia grande come un campo di pallavolo, il Dna in esso contenuto sarebbe sottile come un filo da pesca e sarebbe lungo circa 200 chilometri, spiega De Witt Summers, della Florida State University, uno dei più noti studiosi di teoria dei nodi applicata al Dna e animatore di un programma per le applicazioni della matematica in biologia molecolare, finanziato dalla National Science Foundation statunitense. Continua Summers: «Per poter stare nella sua sede naturale, la molecola deve essere piegata, girata, avvolta, compressa, impacchettata. Insomma, variamente annodata. Nonostante questo disordinato inviluppo, operazioni sofisticate che coinvolgono il Dna, come la replicazione, la trascrizione, la ricombinazione, si svolgono in modo preciso nel nucleo cellulare». «Perché tali operazioni possano riuscire senza ostacoli, ci sono speciali enzimi, come quelli chiamati topoisomerasi, che hanno il compito di tagliare, svolgere, spostare, ricucire, snodare, riannodare la molecola del Dna». Ed ecco che entra in gioco la teoria dei nodi, usata proprio per capire come gli enzimi agiscono sulla doppia elica. I ricercatori compiono esperimenti in cui fanno agire gli enzimi su particolari pezzi di Dna circolari. A seconda della trasformazione geometrico-topologica che viene osservata nel pezzo di Dna - considerato un nodo matematico e pertanto catalogabile con gli strumenti formali della topologia - si deduce quale azione l'enzima ha compiuto su di esso. «E' quello che noi chiamiamo l'approccio topologico all'enzimologia», dice Summers. «Non potendo osservare direttamente l'azione degli enzimi, se ne deduce il comportamento indirettamente, aiutati dalla matematica». Uno dei maggiori successi ottenuti recentemente è quello riportato da un gruppo di biologi dell'Università della California a Berkeley. I ricercatori hanno osservato una successione di catene di Dna variamente annodate, a seguito dell'azione di alcuni enzimi, e sono stati capaci di capire come da una si poteva passare all'altra sulla base della teoria dei nodi. Non solo, ma hanno anche previsto che l'azione degli enzimi sull'ultima configurazione del Dna osservata avrebbe dovuto produrre una nuova configurazione corrispondente ad un certo nodo matematico a sei incroci. E le previsioni fatte sulla base della pura matematica sono state confermate dall'osservazione. Non è magia; è solo l'«irragionevole potere della matematica nelle scienze naturali», come scriveva il fisico Eugene Wiegner. E se si osservano le suggestive fotografie di configurazioni del Dna ottenute con il microscopio elettronico grazie una particolare tecnica che lo stesso Summers ha aiutato a sviluppare, non si può non rimanere colpiti dalla somiglianza con alcuni modelli di nodi disegnati sui libri di topologia. Michela Fontana
ARGOMENTI: TECNOLOGIA, EDILIZIA, ARTE
NOMI: GUARINI GUARINO
LUOGHI: ITALIA, TORINO (TO)
NOTE: Restauri di opere architettoniche. Cappella della Sindone
IL restauro di un'opera architettonica ha come presupposto indispensabile un corretto rilievo, che fornisca la base per le analisi di natura storico-critica o strutturale, sulla quale possano essere indicate le varie fasi di intervento. Per il restauro della Cappella della Sindone del Guarini si è fatto il rilievo completo dell'interno dell'edificio mediante la tecnica fotogrammetrica. La cappella fu iniziata nel 1665, su progetto di Bernardino Quadri; quando, nel 1666, l'abate teatino Guarino Guarini, valente astronomo e ingegnere di corte, subentra come progettista della Cappella, è già vincolato da alcuni elementi: la pianta circolare, la posizione elevata a livello del piano nobile del Palazzo (forse in previsione della costruzione, avvenuta una trentina di anni dopo, dell'ala di ponente del Palazzo stesso) e una certa quantità di marmo nero di Frabosa. La posizione, in capo al Duomo e al limite dell'appartamento del re, faceva di quel luogo una suprema cerniera tra i due sommi poteri di quel mondo, e di fatto investiva i Savoia del compito di alti e devoti custodi della massima reliquia della cristianità. Un sapiente uso del marmo, unito ad attenti accorgimenti ottico-geometrici, produce un ambiente di funebre mestizia nella parte inferiore, per arrivare invece a sensazioni di distanza infinita, leggerezza, sospensione e progressione luminosa nella cupola, a conclusione della quale la raggiera in legno dorato, violentemente illuminata in controluce dalle finestre ovali della lanterna, inquadra la Colomba dello Spirito. La quale instaura, con la reliquia sottostante, l'asse verticale che sta alla base dell'opera. In sintesi, il metodo di rilievo utilizzato si basa sulla ripresa di un certo numero di fotogrammi mediante apposite macchine capaci di garantire le migliori condizioni di presa (distanza principale dell'obiettivo nota con precisione, spianamento del film fotosensibile). I fotogrammi vengono poi osservati a coppie, mediante strumentazioni in grado di permettere la visione stereoscopica, capaci cioè di consentire la percezione tridimensionale mediante la nostra visione binoculare. Le attuali procedure di rilevamento fotogrammetrico fanno ormai uso, nella quasi totalità dei casi, di strumentazioni analitiche: il risultato delle operazioni di restituzione è rappresentato da un insieme di punti tridimensionali che, opportunamente collegati da elementi lineari mediante informazioni di carattere topologico, rappresentano i particolari architettonici dell'oggetto. Dal restitutore nasce quindi un modello tridimensionale, che può essere importato in un sistema Cad, attraverso il quale è possibile accedere a varie viste prospettiche. Nel caso di un monumento complesso come quello in esame, non è sufficiente eseguire la stampa del modello così generato, ma è necessario disporre di un disegno su un supporto piano: la soluzione è quella di procedere alla definizione di un insieme di superfici di riferimento, sulle quali proiettare le linee architettoniche che costituiscono l'edificio, e quindi eseguire lo sviluppo delle superfici stesse. Il discorso è strettamente analogo alla cartografia: le linee fondamentali della superficie terrestre vengono proiettate su una superficie di riferimento e quindi sviluppate sulla superficie cartografica. Com'è noto, mentre nel caso del cilindro l'operazione di sviluppo può essere facilmente eseguita, nel caso della sfera e delle altre superfici a doppia curvatura lo sviluppo avviene solo con l'introduzione di deformazioni e per porzioni limitate di superfici, oltre che con formule molto complesse. Nel caso della Cappella della Sindone, la geometria latente del monumento è costituita da un cilindro di base su cui si imposta una prima superficie ellissoidica costituita dai pennacchi, fino all'anello terminale della cosiddetta «parte terrena» , superiormente è posto un nuovo cilindro con l'insieme dei tempietti e, da ultimo, un altro ellissoide con la fuga degli archetti e l'anello terminale con la Colomba dello Spirito. I dati metrici così disponibili sono utili per una serie di raffronti e analisi volte a scoprire nuove simbologie all'interno dell'opera guariniana: dall'esame della sezione si può, ad esempio, notare come l'intersezione tra i due ellissoidi, quello appartenente alla parte terrena sul quale sono riportate le decorazioni con le croci e le stelle, e quello della parte celeste costituito dalla cupola degli archetti, si intersecano quasi perfettamente a livello dell'anello, con il quale termina la parte terrena: semplice coincidenza o nuova strabiliante simbologia del magnetico-astronomo, segno dell'esperienza limite della morte e della nascita della nuova vita? Gabriele Garnero Università di Torino
UN italiano, Vincenzo Balzani, un francese, Claude Lorius, e un inglese, Robin Milner, sono i vincitori del Premio Italgas per la ricerca e l'innovazione, ottava edizione. I riconoscimenti, destinati ogni anno a tre scienziati che abbiano fornito rilevanti contributi alla ricerca di base e applicata in settori chiave per lo sviluppo civile, sociale ed economico, saranno consegnati venerdì 21 ottobre al Teatro Regio di Torino. Balzani, 58 anni, romagnolo di Forlimpopoli, docente al Dipartimento di Chimica dell'Università di Bologna, studioso di bioluminescenza e processi fotochimici e fotofisici, è impegnato in una ricerca che potrebbe avere un enorme impatto pratico: l'uso dell'energia solare per decomporre l'acqua in idrogeno e ossigeno. Oggi energia è quasi sinonimo di attacco all'ambiente; se si arrivasse a suddividere la molecola dell'acqua con la luce solare si otterrebbe, con un procedimento «pulito», un combustibile «pulito» (l'idrogeno bruciando non produce gas nè fumo, ma solo acqua) in quantità illimitata e a poco prezzo. In realtà il lavoro di Balzani non è così immediatamente puntato a un risultato pratico. Nel suo laboratorio bolognese egli esplora in generale la possibilità di agire con la luce sulle molecole e questo apre un ventaglio molto ampio di prospettive, per esempio quella di produrre direttamente energia elettrica dal Sole con un procedimento più efficace di quelli attuali, o far agire la luce su una molecola o più molecole per utilizzarle, per esempio, come memorie di computer. In qualche modo la ricerca di Balzani sull'energia ci riporta al lavoro di Claude Lorius. Sessantadue anni, nato a Besancon, direttore di ricerca al Cnrs, direttore del Laboratorio di Glaciologia e Geofisica dell'ambiente, membro del Programma di ricerca mondiale sul clima, Lorius fa parte di quella pattuglia di scienziati che tiene sotto osservazione il clima della Terra, in particolare studia il problema dei problemi in questo campo: l'«effetto serra». Andiamo verso una fase di raffreddamento dell'atmosfera terrestre, come sostengono alcuni, oppure verso una fase di surriscaldamento, dovuta appunto all'effetto serra? La prima condizione per risolvere il quesito è sapere che cosa è accaduto in passato. Lorius cerca le risposte nei ghiacci antichi, o meglio nell'aria, nei gas e nelle polveri che questi hanno imprigionato e conservato per millenni. Nel corso di ventuno spedizioni in Antartide (oltre sei anni passati complessivamente nel continente di ghiaccio, compresi due inverni) e in Groenlandia, ha messo a punto una tecnica di trivellazione delle calotte che gradualmente lo ha portato a prelevare ghiaccio sempre più in profondità fino a 3000 metri, corrispondenti a 300 mila anni fa. Il «laboratorio isotopico» realizzato in Groenlandia insieme con la sua equipe e i «carotaggi» eseguiti in Antartide e nelle Alpi, hanno consentito allo studioso di ricostruire l'evoluzione termica del nostro pianeta fino a quella remota età e di scoprire le fortissime variazioni termiche che caratterizzarono questo periodo. Tali variazioni sono attribuibili in parte a cause astronomiche, in parte all'effetto serra naturale. A queste si è aggiunto ora l'effetto serra provocato dalle attività umane. Oggi improvvisamente ci si rende conto con inquietudine che l'esistenza stessa dell'umanità è legata a pochi gradi di temperatura in più o in meno; un'inezia rispetto alle disastrose variazioni cui la vecchia Terra è abituata da sempre. Robin Milner, sessant'anni, professore all'università di Edimburgo, ha portato contributi fondamentali alla teoria dell'elaborazione dell'informazione, in particolare della programmazione dei calcolatori; ai suoi risultati si ispirano linguaggi e strumenti offerti sul mercato ai progettisti e ai programmatori dei sistemi informativi. La sua ricerca ha quindi un diretto sbocco nelle applicazioni pratiche, tuttavia Milner è un deciso sostenitore dell'informatica come scienza perché, sostiene, non si preoccupa solo dei metodi per produrre computer e relativi software ma, prima di tutto, esplora i meccanismi logici che stanno dietro al funzionamento degli strumenti informatici e questo lo porta in campi molto sofisticati, come il funzionamento della mente e l'intelligenza artificiale. Nel suo lavoro più recente, Milner ha affrontato il problema della concorrenza in sistemi di calcolo complessi come le reti di calcolatori, cioè dei rapporti tra i diversi componenti e i meccanismi di sincronizzazione tra le diverse unità di elaborazione. Vittorio Ravizza
ARGOMENTI: CHIMICA, ASTRONOMIA
ORGANIZZAZIONI: NASA
LUOGHI: ESTERO, USA, TEXAS, CANADA, SUDBURY
TABELLE: D. Disegno di una molecola di fullerene
NOTE: Ldef (Long Duration Exposure Facility)
NEL 1985, durante esperimenti di laboratorio eseguiti nel Texas e mirati a riprodurre i meccanismi con cui si formano molecole contenenti lunghe catene di carbonio nel mezzo interstellare e negli inviluppi circumstellari, si è ottenuto un nuovo tipo di molecole molto stabili contenenti 60 atomi di carbonio. Il C 60 si forma quando ogni atomo di carbonio viene a trovarsi su ognuno dei vertici di un poligono con 60 vertici e 32 facce, di cui 12 pentagonali e 20 esagonali e tutte le valenze sono completate da due legami singoli e uno doppio. La struttura si chiama icosaedro tronco e somiglia al classico pallone di calcio ove i pentagoni sono scuri e gli esagoni bianchi. Il C 60 è aromatico, cioè caratterizzato dalla presenza di almeno un anello di benzene, ha un diametro di 7 centomilionesimi di centimetro con una cavità interna capace di ospitare una varietà di atomi. Per ottenere il fullerene in laboratorio bisogna vaporizzare il carbonio con il laser e quindi sono necessarie temperature maggiori di 14.000C e speciali condizioni di raffreddamento. Date le sue eccezionali proprietà catalitiche, oltre che per interessi astrofisici e per modelli di chimica prebiotica, il fullerene può avere interessi pratici molto vasti, specie in campo industriale. Quest'anno il fullerene nelle due forme C 60 e C 70 è stato scoperto per la prima volta in crateri causati dall'impatto di micrometeoriti carbonacee sulla piattaforma orbitante americana Ldef (Long Duration Exposure Facility) che è stata nello spazio per sei anni prima di essere riportata a terra. Ciò dimostra che il fullerene può sopravvivere a velocità di impatto dell'ordine di 13 chilometri al secondo. Ma la maggiore sensazione è data dalla recente scoperta fatta da scienziati della Nasa e dell'Università della California, che hanno potuto riscontrare la presenza di fullerene extraterrestre nel gigantesco cratere scavato a Sudbury nell'Ontario (Canada) da una cometa caduta 2 miliardi di anni fa. Questo cratere contiene il più grande quantitativo di fullerene mai trovato sulla Terra e inoltre è la prima volta che si trova del carbonio in un cratere da impatto. Gli americani hanno collezionato campioni di roccia da tre punti diversi del cratere, che ha un diametro di 164 chilometri. L'analisi, eseguita con una tecnica laser, è stata fatta presso il laboratorio nazionale di Argonne. Molto probabilmente le molecole di C 60 si sono formate durante l'impatto utilizzando altre forme di carbonio e di materiale organico contenuto nella cometa. Inoltre il calore generato durante l'impatto può aver strappato il carbonio dall'anidride carbonica contenuta in abbondanza nell'atmosfera terrestre primordiale. L'ipotesi che si trattasse di una cometa piuttosto che di un asteroide è sostenuta dal fatto che si è trovata una grande quantità di carbonio nel cratere. Notoriamente gli asteroidi che riescono ad arrivare sulla superficie terrestre sono in genere di natura ferrosa. La stima del diametro della cometa si aggira sui 15 chilometri, paragonabile a quello della Halley, e il contenuto di carbonio doveva essere del 20-30 per cento. I campioni di roccia del cratere presentano una quantità di fullerene di 1-10 parti per milione, una dose davvero straordinaria data la rarità dell'elemento. Inoltre si è stabilito che le rocce di Sudbury non contenevano carbonio prima dell'impatto cometario. Sembra che le macromolecole di fullerene si formino in stelle di tipo «giganti rosse» o stelle al carbonio in procinto di spegnersi. Il primo fullerene naturale fu trovato nel 1992 in rocce ricche di carbonio di antica data in Russia. E' stato trovato anche in Colorado, in rocce fuse colpite da fulmini. Ma le quantità originate sulla Terra sono di gran lunga inferiori a quelle del cratere di Sudbury. Dopo il cratere di Chicxulub nello Yucatan (Messico), causato da un asteroide o una cometa che provocò l'estinzione dei dinosauri, il cratere di Sudbury è il più grande scoperto finora. Il fullerene ivi trovato può o essere stato direttamente importato dalla cometa o essersi formato durante l'impatto catastrofico che ha sprigionato centinaia di milioni di megatoni di Tnt. Per questo si è proposto all'Esa (Agenzia spaziale europea) di usare il telescopio infrarosso orbitante (Iso), che verrà lanciato nel 1995, per cercare di trovare il fullerene nelle comete brillanti. Anche su Giove può essere accaduto qualcosa di simile, quando a luglio i 20 frammenti della cometa Shoemaker/Levy sono esplosi nell'atmosfera del pianeta. Infatti l'enorme energia che si è liberata può aver provocato la combustione dei composti di carbonio presenti in grande quantità nell'atmosfera gioviana. Il carbonio liberato da Giove e dalla cometa può essersi combinato in un tipo di fuliggine contenente forse fullerene e aver formato le misteriose macchie nere osservate dopo le esplosioni, macchie che ancora sussistono. Poiché macchie simili erano presenti anche prima su Giove e Saturno, esse possono essere indicatori di collisioni catastrofiche avvenute in passato in tutto il sistema solare. C. Batalli Cosmovici Cnr, Istituto di fisica dello spazio
ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA, FILOSOFIA, FISICA, LIBRI
PERSONE: POPPER KARL
NOMI: ECCLES JOHN, SPERRY ROGER, NEWTON ISAAC,
POPPER KARL
ORGANIZZAZIONI: LATERZA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: «L'automa spirituale»
LA scomparsa di Karl Popper ha trovato molto spazio sui giornali, che hanno illustrato i suoi contributi più significativi alla filosofia della scienza e le sue teorie in campo sociale. Poco si è parlato, invece, delle sue riflessioni sul problema mente-cervello. Un suo scritto, nato per un convegno tenutosi a Venezia e pubblicato da Laterza nel 1991 in una raccolta di saggi di diversi autori con il titolo «L'automa spirituale», rappresenta forse l'ultimo contributo del grande filosofo su questo tema. Vediamo i punti salienti. «Il problema mente-cervello mi appassiona fin da quando ero ragazzo... tuttavia non credo che avrei mai scritto qualcosa in proposito se non avessi incontrato John Eccles». Ciò accadeva nel 1944 quando quest'ultimo, giovane e promettente scienziato che lavorava in Nuova Zelanda, invitava il filosofo a tenere alcune lezioni a biologi e medici. Nacque così una profonda amicizia che è durata per sempre. «La nostra intesa intellettuale fu intensa fin dagli inizi... ci legava un comune interesse per il libero arbitrio e l'avversione per il determinismo». Frutto di questo comune interesse è il libro pubblicato insieme nel 1977 (in italiano nel 1981) dal titolo «L'io e il suo cervello». Le vedute di questi due grandi non coincidono, ma collaborare vuole dire costruire insieme, non necessariamente pensarla nello stesso modo: «Imparare costantemente l'uno dall'altro e continuare a non essere d'accordo, anche su alcune importanti idee di fondo». Si legge comunemente che Popper ed Eccles sono dualisti o perfino trialisti. Ma il dualismo di Eccles, neurofisiologo insignito del Nobel, assomiglia molto a un dualismo cartesiano che si può definire «dualismo di sostanza». Mente e cervello sono due entità separate e autonome, capaci di interagire (dualismo interazionista). La mente non ha caratteri di spazio e di tempo e pertanto non appartiene alla res extensa, bensì alla res cogi tans. Popper si dice molto meno entusiasta del dualismo cartesiano e ammira Cartesio soprattutto come grande scienziato. Il mondo fisico non va concepito in senso cartesiano soltanto come materia e come un immenso sistema meccanico perfetto, governato da una visione meccanicista della causazione. La scoperta, fatta dalla fisica a partire da Newton, dell'esistenza di forze come «entità astratte non materiali che agiscono attraverso lo spazio, sia esso vuoto o pieno di materia» è per Popper la dimostrazione di un nuovo dualismo che nulla ha a che fare con la metafisica. Infatti, se le forze sono misurabili nello spazio nel tempo, devono appartenere alla res extensa. Mente e cervello dunque potrebbero essere due entità, l'una costituita da materia e l'altra da un qualcosa attualmente sconosciuto, che potrebbe stare sullo stesso piano delle forze in fisica. Ma se tutto è ridotto al fisico, dove sta il dualismo? E come si fa a uscire dal determinismo, uscire dal fatalismo e ammettere l'azione morale e il libero arbitrio? La risposta di Popper diventa qui meno facile da condividere e nello stesso tempo non meno dogmatica di altre spiegazioni. Partendo dalla critica di Leibnitz a Newton, egli afferma che il mondo deve contemplare un certo grado di inesattezza e quindi non può essere del tutto deterministico. Anche gli eventi mentali e quelli fisici del cervello non possono essere in stretta correlazione e su questo concetto si basa la possibilità di libertà e di libero arbitrio. Interessante per sostenere questa visione di Popper è il pensiero di Roger Penrose, il quale sostiene che a livello di fisica quantistica vi sono attualmente interazioni ancora da scoprire fra gruppi di oggetti materiali più grandi di singoli atomi e particelle subatomiche, le quali sono importanti per le operazioni del cervello. Ciò implica che da una determinata configurazione molecolare del cervello può scaturire una determinata situazione fra diverse possibili situazioni. Ciascuna di queste ha una specifica probabilità, ma senza la possibilità di predire quale di queste si verificherà in quella situazione specifica. Non c'è dubbio che questa posizione antideterministica è essenziale per aprire la strada al libero arbitrio. Tuttavia rimane difficile spiegare come, in un sistema puramente fisico, la scelta delle diverse possibili soluzioni possa non essere affidata al caso, ma indirizzata in una direzione piuttosto che in un'altra. Lo stesso Popper dice: «Se qualcuno mi chiedesse come sia possibile che forze mentali agiscano su un corpo... risponderei "non lo so". Ovviamente, visto che nè io nè altri sappiamo con precisione come fanno le forze magnetiche astratte a muovere un pezzo di ferro come un ago magnetizzato». Roger Sperry, neurofisiologo e Premio Nobel, offre una possibile spiegazione che definisce «monismo emergentista», ma che potrebbe essere anche definita «dualismo di proprietà». Egli considera la mente come una proprietà che emerge dalla complessità della materia. Si tratta di una nuova forma di monismo in cui le entità mentali hanno un ruolo emergente e causale, in cui «non è data esperienza al di fuori del cervello, nè vi è posto per un'unità disincarnata, la si voglia chiamare coscienza, mente o spirito... La potenza di un'idea o di un ideale diventa non meno causale di quella di una molecola, di una cellula o di un impulso nervoso». D'accordo con Popper, dunque, esiste una causa dall'alto, idea che rappresenta uno scandalo per i sostenitori del più rigido monismo materialista. Sperry ritiene di poter spiegare il libero arbitrio in un mondo retto dalla causalità fisica se ci si aspetta «non la libertà incondizionata dalla causazione, quanto una forma di controllo che ci consenta di determinare le nostre azioni nel rispetto delle nostre aspettative e prospettive, dei nostri giudizi, scopi cognitivi, desideri emotivi e altre inclinazioni mentali». Il merito di Popper è dunque quello di aver proposto la possibilità di un certo grado di indipendenza fra fenomeni fisici e mentali. Tuttavia il suo dualismo non va inteso in senso strettamente cartesiano. La mente, anche se non è un oggetto materiale, è posta sul piano dei fenomeni fisici. Il suo è dunque un dualismo di proprietà che a mio parere dovrebbe essere meglio definito monismo come quello di Sperry, anche se quest'ultimo fa a meno dell'indeterminismo. Forse è necessario liberarsi dall'antica antinomia monismo-dualismo e considerare mente e cervello due aspetti del mondo fisico le cui interazioni sono ancora un mistero. Piergiorgio Strata Università di Torino
Un progetto di ricerca e un'apposita raccolta di fondi interessano ora un'altra delle malattie metaboliche da accumulo che, per quanto rare, incominciano a esseree visibili anche nel nostro Paese: la leucodistrofia metacreomatica (MLD). Questa patologia, caratterizzata dalla degenerazionee della mielina del sistema nervoso centrale e periferico, presenta sette forme cliniche. Può rivelarsi fin dalla nascita oppure attendere anche 16 anni prima di esplodere con disturbi del comportamento e neuropatie. Per questa patologia, che ha una frequenza di uno ogni 40 mila nati vivi e può avere una progressione rapida o lenta, non ci sono al momento terapie efficaci. Il trapianto di midollo osseo ha fornito risultati incoraggianti, ma si punta soprattutto sulla terapia genica. Per informazioni, segnalazioni di nuovi casi e offerta di fondi, contattare l'Associazione per le malattie rare «Mauro Baschirotto», via P. Lioy 13, 36100 Vicenza, tel. 0444 54.30.84.
Un'impressionate quantità di dati sui cambiamenti della portata naturale di migliaia di fiumi americani tra il 1941 e il 1988, fornita dal Servizio Geologico Americano, segnala una netta tendenza all'aumento. Trova così ulteriore conferma l'ipotesi che l'incremento della temperatura media globale che si è registrato in questi anni produca anche una crescita del ciclo idrologico, cioè del ciclo precipitazioni-evaporazione- quantità d'acqua immagazzinata nel terreno o che scivola verso valle in fiumi e torrenti. Tutti processi collegati tra di loro, i cui effetti disastrosi sono visibili anche in Italia. Il rimedio? Ripiantare le foreste e magari, sull'esempio della Germania, smantellare il cemento dalle rive dei fiumi.
Se lo strato di ozono continuerà ad assottigliarsi ai ritmi attuali, sarà completamente scomparso nell'ottobre 2005. E' la predizione della British Antartic Survey, che ha analizzato i dati raccolti dalla stazione antartica negli ultimi trent'anni.
Un gruppo di biologi francesi ha allevato insieme per tre mesi formiche di due specie diverse, che non coesistono in natura, poi le ha separate. Diciotto mesi dopo, erano ancora in grado di riconoscersi l'un l'altra. Le formiche di una colonia si riconoscono fra di loro dall'odore. Evidentemente anche specie diverse, se costrette a coabitare, acquisiscono rapidamente l'odore straniero. Non sono ancora all'orizzonte ricadute della scoperta.
In Italia e in Europa molte miniere ormai esaurite o abbandonate perché l'attività estrattiva non è più remunerativa giocano la carta del recupero di un patrimonio di cultura e di lavoro attraverso l'archeologia industriale ed il turismo. «Parchi» e Musei Minerari possono essere infatti un modo di riconvertire pozzi e gallerie, mantenendo almeno in parte i posti di lavoro. Di questi problemi si discute da oggi a venerdì a Cagliari nel corso del II convegno su «Valorizzazione dei siti minerari dismessi», organizzato dall'Anim (l'Associazione Nazionale degli Ingegneri Minerari). Per informazioni, tel. 051/6443386.
Si chiama «Happy Flower» (Fiori Felici) e, senza mettere sotto sopra balconi e terrazzi per la sua installazione, garantisce quaranta giorni di irrigazione abbondante ai vasi di fiori. E' un'elettropompa, governata da una centralina elettronica e alimentata a pile, dalla quale escono una serie di lance che portano l'acqua ai vasi. Si può regolare sia la quantità d'acqua da distribuire, sia l'intervallo tra un'irrigazione e l'altra. Volendo, si può aggiungere anche il fertilizzante liquido. Per informazioni, B&B di Grugliasco (TO).
ARGOMENTI: DIDATTICA, UNIVERSITA', INSEGNANTI, LEZIONI, CULTURA, DISEGNO
DI
LEGGE, RIFORMA
LUOGHI: ITALIA
IL nuovo disegno di legge per l'Università prevede la soppressione del ruolo dei professori associati e diversi meccanismi per i concorsi. Un recente articolo di Carotenuto apparso su «Tuttoscienze» richiamava l'attenzione sul fatto che ciò che conta è la qualità scientifica dei docenti e non la loro distinzione formale in due fasce. Ma è proprio la difesa di rigorosi criteri di merito scientifico la ragione che rende indispensabile un articolato sistema di reclutamento dei professori, fondato su regole chiare e di lunga durata. I provvedimenti del disegno di legge sortirebbero l'effetto contrario. Dopo lo sconquasso sessantottesco e il devastante congelamento provocato dai «provvedimenti urgenti» del 1972-73, l'università italiana si era avviata su di un lento e difficoltoso percorso di normalizzazione, a partire dall'inizio degli Anni Ottanta. Ciò è avvenuto grazie alla molto perfettibile ma assai benemerita riforma introdotta dalla legge 382. I problemi lasciati irrisolti da questa legge furono molti, ma il suo merito fu quello di adeguare il sistema universitario italiano a quello internazionale, eliminando le più vistose anomalie. La nuova legge introdusse il dottorato di ricerca, che l'Italia, unica fra le nezioni civili, non possedeva; divise la docenza universitaria in tre livelli, ricercatori, professori, associati e professori ordinari, uniformandosi a usi comuni negli Stati Uniti e in tutto il mondo occidentale; ripristinò il meccanismo dei pubblici concorsi per l'accesso ai tre ruoli della docenza, permettendo il riavviarsi di normali carriere accademiche, dopo uno iato di quasi dieci anni, che aveva afflitto un'intera generazione di scienziati italiani. Alla fine degli Anni Ottanta l'introduzione delle biennali borse post-dottorali portò quasi a compimento l'adeguamento del nostro sistema accademico con quello internazionale. Un'ulteriore azione riformatrice è auspicabile, però essa dovrebbe proseguire nella direzione intrapresa dalla legge 382, anziché allontanarcene, con una brusca inversione di tendenza che crei nuove e strampalate anomalie italiane, le cui conseguenze possono essere di gravità incalcolabile. Una simile anomalia sarebbe la soppressione del ruolo dei professori associati. L'eliminazione del grado intermedio nella carriera accademica precipiterebbe l'Università nel presessantottesco medioevo baronale, oppure l'appiattirebbe demagogicamente in una sorta di grande liceo. Infatti vi sono solo due alternative: o il ruolo del professore ordinario verrà scientificamente declassato oppure, mantenendo l'attuale livello di competenza ed esperienza richiesto per entrarvi, si arriverà di fatto a privare i giovani ricercatori di qualsivoglia aspettativa di carriera, privando allo stesso tempo la cultura italiana dei propri meccanismi di ricambio generazionale. I disastrati Anni Settanta hanno lasciato una pesante eredità da digerire al rinnovato sistema, in particolare un ruolo di professori associati saturato da docenti immessi con giudizio di idoneità, anziché con libero concorso, e una pletora di ricercatori anziani, pure immessi con analogo sistema. Questa eredità pesa come un macigno sulla strada dei numerosissimi e brillanti giovani italiani che stanno perseguendo, tra America, Europa e Italia, la loro carriera scientifica nell'arena internazionale. Essi si disputano, nei concorsi, i pochissimi posti a disposizione, presentando curricula di grande valore. Da oggi, questa vigorosa sorgente di energie intellettuali dovrà temere la soppressione dei pochi posti di associato su cui ancora poteva contare. Va inoltre sottolineato con forza che un concorso in meno nella carriera dei docenti riduce il controllo di qualità. E' questo che si vuole? I progettati nuovi meccanismi concorsuali fanno temere effetti ancora più devastanti: presagiscono un'interferenza politica, che finora non c'era mai stata, nelle scelte di natura accademica e scientifica. I governi conservatori della Thatcher, nella loro furia risparmiatrice, hanno inferto ferite alla scienza britannica, che potranno essere rimarginate con molta fatica solo nel prossimo millennio. Che cosa può accadere alla più delicata pianticella della scienza italiana? Fisici, matematici, astrofisici di molte università italiane, riuniti a Trieste per l'XI Convegno nazionale di Relatività, hanno steso un documento di controproposte al disegno di legge del governo, al quale sperano di poter dare la massima diffusione. Pietro Frè Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati, Trieste
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, SANITA', TECNOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: TUNA TRANS URETHRAL NEEDLE ABLATION
LUOGHI: ITALIA
E' in continuo aumento la percentuale di popolazione maschile affetta da adenoma prostatico, con la fastidiosa sequela di disturbi urinari, irritativi e ostruttivi. Finora l'intervento di elezione era l'asportazione dell'adenoma mediante terapia chirurgica o endoscopica, con anestesia centrale o periferica e ricovero ospedaliero di alcuni giorni. Inevitabili alcuni effetti collaterali, come l'eiaculazione retrograda in vescica. Ora gli israeliani, e successivamente i belgi, hanno messo a punto una nuova tecnica, denominata Tuna (Trans Urethral Needle Ablation), che rivoluziona i precedenti metodi di intervento. La base è uno strumento endoscopico che utilizza le correnti a radiofrequenza per generare calore trasmesso alla prostata mediante due semplici aghi. In realtà la tecnica non è nuova perché già utilizzata in campo cardiologico, neurochirurgico e anche urologico. Nuova è invece la metodica con cui le radiofrequenze vengono utilizzate: si introduce il catetere attraverso l'uretra e, arrivati in prossimità della prostata, si fanno fuoriuscire due aghi metallici che si conficcano nell'adenoma. L'energia, sotto forma di radiofrequenza a bassa potenza, fluisce all'interno del tessuto prostatico attraverso gli aghi (elettrodi attivi); l'elettrodo di ritorno è costituito da una placca applicata in regione lombare. Gli elettrodi attivi hanno una superficie relativamente piccola e la corrente a radiofrequenza è concentrata nel tessuto vicino all'elettrodo, in modo da riscaldarlo. L'elettrodo di ritorno a superficie maggiore non permette che l'energia si concentri e quindi non produce calore. Gli aghi sono protetti da guaine coassiali di plastica e gli effetti termici, rilevanti perché a centro lesione si raggiunge la temperatura di 80-100C, rimangono localizzati all'interno della prostata. Questa protezione è di grande importanza per la salvaguardia dell'uretra, ricca di terminazioni nervose e quindi molto sensibile: proteggendo l'uretra, il paziente non prova dolore. Lo strumento consente di eseguire più trattamenti, sul lobo destro e sinistro della prostata, a seconda della grandezza dell'organo ipertrofico. In pratica, il calore provoca, al centro dell'adenoma, una necrosi irreversibile con formazione di cavità cistiche documentabili ecograficamente. Tutta la manovra può essere effettuata senza anestesia e il paziente viene dimesso dopo poche ore. Tecnica indolore, quindi, e particolarmente indicata per i malati anziani con patologie respiratorie o cardiovascolari che rendono rischiosa l'anestesia. Ma ci sono vantaggi anche per i soggetti più giovani che, evitando l'inconveniente dell'eiaculazione retrograda in vescica, mantengono integra l'attività sessuale in tutte le sue componenti. Non tutti i pazienti con adenoma prostatico possono usufruire però di questa tecnica, di efficacia ormai ben documentata anche in Italia. Per ora restano esclusi dalla Tuna gli adenomi di grandi proporzioni o di forma tale da impedire un'efficace introduzione degli elettrodi. Giovanni Muto