TUTTOSCIENZE 21 settembre 94


EFFETTI SPECIALI In scena l'attore virtuale Il cinema ringiovanito dalla tecnologia
Autore: GIORCELLI ROSALBA

ARGOMENTI: ELETTRONICA, INFORMATICA, CINEMA, FILM, TECNOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: KODAK CINESITE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: «Forrest Gump», «Jurassic Park», «Terminator 2». Effetti speciali

GLI effetti speciali, figli e nipoti dell'illusionista e regista francese Melies, sono vecchi quasi quanto il cinema e quindi tra poco compiranno cent'anni. Oggi però sono sempre più spesso «digital effects», effetti generati dal computer. Con «Jurassic Park» ('93) di Spielberg e prima ancora con «Terminator 2» di Cameron ('91) è iniziata una nuova era in cui il cinema si impossessa del computer e non si vergogna di ammetterlo. Ma si pongono problemi critici, etici, di mercato, mentre la tecnologia sembra inarrestabile e supera se stessa di sei mesi in sei mesi; se ne è discusso alla Mostra del Cinema di Venezia in «Pro e contro: le nuove tecnologie del cinema», primo convegno organizzato in Europa sull'argomento, ospiti d'onore i maghi americani. In un prossimo futuro qualunque giovane regista potrebbe avere a disposizione folle di comparse virtuali, ottenute elettronicamente moltiplicando migliaia di volte le immagini di un gruppetto di persone, con arcobaleni e nuvole che compaiono e scompaiono a comando: «democrazia cinematografica» (definizione di Umberto Eco), e riduzione dei costi e dei tempi di attesa. Ma la nuova faccia degli effetti speciali è allarmante, subdola: perché se prima si mirava al sensazionale, ora si punta a manipolare l'immagine in modo invisibile. E un problema tecnico è stato risolto: con i «digital effects» non si perderà l'alta definizione; infatti la Kodak- Cinesite ha messo a punto un sistema, il Cineon, che permette di partire dalla pellicola, digitalizzarla, «correggerla» e poi riportare il risultato su pellicola. Perfetto. Si è dunque varcata la frontiera del «fotorealismo», la manipolazione delle immagini per costruire un'impossibile realtà, magari facendo rivivere personaggi del passato come visto in film pubblicitari e in «Forrest Gump» di Robert Zemeckis; ora andiamo verso la clonazione elettronica di attori, segno dell'alleanza definitiva tra cinema e informatica che qualcuno ha battezzato «Siliwood», Silicon Valley più Hollywood. In «Forrest Gump», ritagliati da filmati originali, Kennedy e Nixon incontrano (separatamente, ma non sarebbe stato troppo difficile metterli insieme) Tom Hanks, attore premio Oscar '94: Hanks adatta i suoi movimenti ai gesti dei presidenti, mentre le labbra di questi sono ridisegnate dal computer per seguire il copione. In «Ventimila leghe sotto i mari», film francese in preparazione, vedremo recitare proprio un attore «clonato», copia elettronica di un attore vero. Il lavoro preparatorio è stato complesso ed è durato un anno: il viso del protagonista è stato ripreso da una telecamera, l'immagine memorizzata e digitalizzata; l'attore ha recitato la propria parte seduto in laboratorio, con tanti punti bianchi sistemati sulla bocca e lungo le linee di espressione: e mentre la telecamera lo riprendeva, il computer seguiva i piccoli spostamenti delle macchie, studiava i tracciati, e alla fine riproduceva sullo schermo un impressionante sosia digitale nei pressi del comandante del sottomarino. Ma sarebbe bastata una fotografia. Sorgono problemi legali: come tutelare il lavoro dell'attore, e il diritto d'immagine? Non si creda però che senza computer non si possa più fare cinema. L'effetto il più delle volte non serve, l'elettronica è uno strumento in più, sta copiando e perfezionando vecchi trucchi. Hitchcock non aveva il computer, eppure ha girato «Gli uccelli». In molti film americani di successo di oggi (come «True Lies» con Schwarzenegger) le strabilianti avventure degli eroi sono riprese con la tecnica base del kromakey, lo schermo blu mare (o verde, «green screen») che consente una successiva sovraimpressione. Un effetto simile è dato dai classici trasparenti, schermi translucidi su cui proiettare lo sfondo mentre gli attori recitano in primo piano. Una scena si può costruire unendo riprese effettuate separatamente, il «live» con gli attori reali può essere integrato con filmati d'epoca rielaborati, anche fondendo insieme immagini digitali (è il «morphing», un programma con cui il computer può fornire le fasi intermedie di una trasformazione grafica essendo note l'immagine di partenza e l'immagine da raggiungere) oppure modificando gli oggetti o la scenografia con il disegno (come nelle scenografie di «Guerre stellari» di Lucas, 1977). Ci possono essere decine e decine di modifiche, di piccole «pennellate», e alla fine l'effetto è quello dell'affresco, in realtà una torta a strati sovrapposti: riprese a dimensione reale, modelli, modellini che esplodono, crollano, e poi il computer che aggiunge animazione, missili, creature fantastiche e mostruose, fumi, fiamme, onde di calore, neve o piogge esattamente nella quantità necessaria alla scena, fa scomparire cose, persone o parti del corpo, calcola le luci, disegna le ombre giuste. Tutto ciò non è sempre indispensabile, come non è sempre indispensabile contare, disegnare, scrivere, giocare, studiare, progettare con il computer: ma può far molto comodo. Pro: il computer è uno strumento nuovo per il cinema, è il futuro, è eccitante. Contro: potrebbe danneggiare la qualità artistica, ridurre il cinema a videogame, soffocare il mercato degli autori di cinema più tradizionale, plagiare lo spettatore confondendo il falso col vero. Ci si mette pure la realtà virtuale, e il «cinema dinamico» prossimo a venire, con la poltrona ondeggiante, il casco, i sensori. Comunque sia, cinema e informatica si sono incontrati e faranno strada insieme: sarà bene, come suggerisce Gillo Pontecorvo, tenere gli occhi bene aperti, per vigilare e per godersi lo spettacolo. Rosalba Giorcelli


LE TAPPE Un secolo di progressi tecnologici
ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA, ELETTRONICA, INFORMATICA, CINEMA, FILM, TECNOLOGIA
NOMI: PLATEAU JOSEPH, REYNAUD EMILE, EDISON THOMAS ALVA, CALCINA VITTORIO, PASTRONE GIOVANNI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: Effetti speciali

*1833: il «fenachistoscopio» del fisico belga Joseph Plateau riproduce figure in movimento. *1877: Emile Reynaud inventa il «prassinoscopio», proiettore per film d'animazione. *1880: il fotografo inglese Muybridge proietta le fotografie di un cavallo al galoppo ottenute con 24 macchine in sequenza. *1887: Edison inventa il «kinetoscopio». *1889: Eastman produce la prima pellicola. *28 dicembre 1895: a Parigi, nel Salon Indien del Grand Cafè del Boulevard des Capucines, Auguste e Louis Lumiere proiettano il film dell'uscita degli operai dalla fabbrica Lumiere; la maggiore innovazione tecnica è la griffa, dispositivo di trascinamento della pellicola. *1896: a Torino nasce il cinema italiano: Vittorio Calcina, concessionario dei Lumiere per l'Italia, realizza «Umberto e Margherita di Savoia a passeggio per il parco di Monza». *1913: primo successo internazionale del cinema italiano, «Cabiria», firmato da D'Annunzio ma in realtà ideato e diretto a Torino da Giovanni Pastrone che qui usò per primo il carrello. *1929: primo film sonoro, l'americano «Il cantante di jazz». *1930: primo film sonoro italiano. *1932: nasce il technicolor. *1952: cinemascope, cinerama e film in 3-D.


CD-ROM Fotogrammi feticcio del cinefilo
Autore: MANACORDA FRANCESCO

ARGOMENTI: ELETTRONICA, INFORMATICA, CINEMA, FILM
ORGANIZZAZIONI: DATAQUEST, VOYAGER, MPEG
LUOGHI: ITALIA
NOTE: «Il sale della terra» film su Cd Rom

I computer si fanno strada nel cinema, ma anche il cinema si afferma nei computer. Con lo sviluppo delle tecnologie multimediali (che uniscono il trattamento di dati, testi, suoni e immagini), gli amanti del grande schermo hanno oggi la possibilità di vedere le pellicole favorite - opportunamente digitalizzate - sul monitor del loro personal. Merito dei Cd-Rom, i dischi ottici che sono il supporto per eccellenza delle tecnologie multimediali. Il lettore di Cd-Rom sta ormai diventando un accessorio d'obbligo per molti personal, anche grazie alla rapida discesa del suo prezzo. Secondo le previsioni della Dataquest, una delle maggiori società di ricerca del settore, quest'anno verranno venduti nel mondo 17,5 milioni di lettori di Cd-Rom, più del doppio rispetto ai 6,7 milioni del '93. Certo, vedere il film sullo schermo di un computer, spesso in una finestra di piccole dimensioni, può non essere un grande divertimento. La maggior parte dei dischi oggi in commercio, che funziona con un semplice software di decompressione, offre immagini in movimento alla velocità di 15 fotogrami per secondo contro i 24 fotogrammi per secondo che vediamo al cinema. Rispetto alla tradizionale pellicola o anche alla videocassetta, il Cd-Rom offre però la possibilità di accedere a una mole di dati che faranno la felicità dei veri cinefili. Un esempio? La Voyager, un'azienda americana, ha recentemente messo in circolazione su disco il film «Il sale della terra», noto più per il suo valore storico - fu uno dei primi film sociali degli Anni 50, duramente osteggiato dalla censura maccartista - che per quello artistico. Ma oltre a vedere il film, ecco la vera novità, si può accedere con un semplice colpo di mouse alla sceneggiatura originale, a interviste con il regista e lo sceneggiatore, alle critiche apparse sui giornali dell'epoca, alle biografie degli attori. E la gamma di titoli cinematografici disponibili si sta ampliando. Per chi è in cerca di qualcosa di più leggero non mancano dischi di cartoni animati, mentre un filone assai fiorente, anche se rivolto a un pubblico limitato, è quello erotico. Ma quando il personal computer potrà garantire una qualità dell'immagine che non faccia rimpiangere la televisione a costi accettabili? Presto, è la promessa degli esperti. Lo standard che è già in grado di offrire immagini in movimento di tipo cinematografico si chiama Mpeg (Motion picture experts group) e si basa su un semplice trucco: le immagini non vengono memorizzate una per una ma di ciascun fotogramma vengono riportate solo le variazioni rispetto a quello precedente, consentendo così un notevole risparmio di spazio. L'unica pecca del sistema Mpeg è che ha bisogno di una scheda dedicata che oggi costa circa 800 mila lire. Ma anche in questo settore i prezzi dovrebbero calare presto. Francesco Manacorda


SCOPERTA Il primo fiore sbocciava 220 milioni di anni fa Un fossile fa retrodatare la comparsa delle piante superiori: la loro età quasi si raddoppia
Autore: ANGELA ALBERTO

ARGOMENTI: PALEONTOLOGIA, BOTANICA
NOMI: CORNET BRUCE, CRANE PETER
ORGANIZZAZIONI: LAMONT DOHERTY EARTH OBSERVATORY DI NEW YORK
LUOGHI: ITALIA

DUECENTOVENTI milioni di anni. E' l'età di un enigmatico fossile che potrebbe ribaltare le conoscenze sulle origini delle piante a fiore facendo far loro un balzo indietro nel tempo di quasi 100 milioni di anni. Parliamo di un frammento di foglia e di due «fiori», che molti interpretano come i più antichi finora trovati: ma più che di fiori veri e propri sarebbe meglio parlare di «strutture riproduttive», come le hanno definite i ricercatori per il loro aspetto e per la loro primitività. Niente petali colorati, quindi, ma strutture molto simili a quelle che si vedono nelle Angiosperme, le piante a fiore. Riuscire a prima vista a capire l'esatta collocazione evolutiva di questi fossili non è facile. La storia delle piante a fiore, curiosamente, è piena di piccoli enigmi e di veri e propri «buchi neri» dove mancano fossili o tracce che permettano di ricostruire in modo chiaro il percorso evolutivo. Fino ad oggi si era sempre ritenuto che i primi fiori veri e propri fossero comparsi solo durante l'ultima parte dell'era dei dinosauri, circa 130 milioni di anni fa, all'inizio del Cretaceo. Alcuni avevano addirittura ipotizzato che la scomparsa dei dinosauri potesse in qualche modo essere collegata con l'avvento di queste piante: grazie al loro metabolismo più attivo, sarebbero ricresciute molto più rapidamente delle altre dopo il pascolo dei branchi di enormi dinosauri erbivori e in breve tempo avrebbero preso il sopravvento. Il loro successo però avrebbe causato una graduale estinzione di questi dinosauri, incapaci di nutrirsi di questo nuovo tipo di piante. Il calo degli erbivori avrebbe coinvolto anche i carnivori, in una spirale che avrebbe portato all'estinzione completa dei dinosauri. Questa tesi però non ha mai convinto la maggioranza dei paleontologi per molti motivi, non ultimo quello che non spiega l'improvvisa scomparsa di altri rettili come quelli volanti o marini. La nuova scoperta conferma questi dubbi. E purtroppo ne apre anche degli altri. Un po' come in un romanzo poliziesco infatti la prova principale è «incompleta»: uno dei migliori sistemi per capire se si tratta effettivamente di una pianta a fiore sarebbe quello di esaminare le sue foglie (la loro struttura nelle Angiosperme è tipica). Purtroppo il fossile di foglia rinvenuto è rotto proprio nel punto più importante per l'identificazione e quindi non c'è certezza. Il ricercatore che ha effettuato la scoperta, Bruce Cornet del Lamont Doherty Earth Observatory di New York, afferma tuttavia che malgrado questa mutilazione, dalla disposizione dei suoi vasi interni e dalla spiccata asimmetria dei suoi bordi risulterebbe chiaro che si trattava di una foglia a tre punte, proprio come quelle delle primissime piante a fiore. Non tutti però sono d'accordo. Secondo Peter Crane, un ricercatore del famoso Museo di Storia Naturale di Chicago, sebbene i fossili siano estremamente simili a quelli di una pianta a fiore non si può escludere che si possa trattare di qualche tipo di felce. Come spesso accade in questi casi, la scoperta ha riacceso un aspro dibattito che da anni oppone due «scuole» di ricercatori. L'importanza della questione è intuibile: si cercano le origini delle piante che ora dominano il nostro pianeta, con oltre 300.000 specie. E' meglio non entrare nel merito di questa polemica. Quello che si può dire, però, è che da qualche tempo si stanno accumulando molte prove a sostegno della tesi di Cornet. Secondo alcuni ricercatori che si occupano dell'evoluzione dei vegetali, le piante a fiori in effetti dovrebbero avere radici, è il caso di dirlo, molto più antiche. Probabilmente oltre i 200 milioni di anni, in pieno Triassico (cioè proprio l'età della nuova scoperta). Lo confermerebbero tra l'altro anche alcuni studi genetici basati sul cosiddetto «orologio molecolare» e una serie di ritrovamenti molto indicativi effettuati dallo stesso Cornet. Il ricercatore americano avrebbe già da tempo raccolto, nei sedimenti, l'equivalente delle «impronte digitali» lasciate da alcune piante a fiore vissute in tempi così antichi: del polline fossile. Anche in questo caso però, sebbene assomigli moltissimo a quello prodotto da un'Angiosperma, manca un'identificazione definitiva. Rimane un ultimo enigma da svelare: da quando hanno fatto la loro prima comparsa 220 milioni di anni fa a quando si sono diffusi in modo massiccio nell'ultima parte dell'era dei dinosauri c'è un «buco» di ben 100 milioni di anni, durante il quale non si sono rinvenuti fossili di queste piante. Che fine hanno fatto i fiori per tutto questo tempo? Dove si erano nascoste le Angiosperme? Nessuno è in grado di rispondere. Forse, affermano alcuni paleobotanici, avevano colonizzato aree particolari, dove la fossilizzazione è più difficile, come gli altopiani tropicali. Anche in questo caso però mancano le prove. Alberto Angela


A 200 ANNI DALL'IMPRESA Laboratori sul mare Il viaggio scientifico di Malaspina
AUTORE: RAVIZZA VITTORIO
ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA, GEOGRAFIA E GEOFISICA, VIAGGI
PERSONE: MALASPINA ALESSANDRO
NOMI: MALASPINA ALESSANDRO
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: C. Rotta delle due corvette unite. Rotta della Descubierta. Rotta della Atrevida
NOTE: Misurazione della gravità terrestre per determinare l'esatta forma del nostro pianeta

FU una delle più imponenti e importanti spedizioni scientifiche della fine del Settecento. A bordo della «Descubierta» e della «Atrevida» si misurava la gravità terrestre per determinare l'esatta forma del nostro pianeta, si catturavano pesci e uccelli sconosciuti, si rilevavano le coste e si disegnavano carte, si raccoglievano fiori e piante mentre gli ufficiali instancabilmente calcolavano la posizione di ogni terra. Le due corvette spagnole, partite da Cadice il 30 luglio 1789, trascorsero nell'Oceano Atlantico e nell'Oceano Pacifico cinque anni e due mesi; tornarono finalmente a Cadice il 21 settembre 1794. Cioè esattamente duecento anni fa. La spedizione era comandata da Alessandro Malaspina, dell'antica casata che aveva dominato fin dal Medioevo sulla valle del Magra, nato a Mulazzo, vicino a Pontremoli nel 1754, diventato ufficiale della Marina spagnola. Portò in Europa una quantità enorme di materiale scientifico; ma mentre quello raccolto in quegli stessi anni dalle spedizioni di de Bougainville, Cook, de la Perouse, forniva oggetto di studio agli scienziati di tutta Europa, quello di Malaspina poté essere sfruttato solo in parte: un anno dopo il ritorno, il navigatore cadde in disgrazia presso la corte di Madrid, fu arrestato, accusato di cospirazione, incarcerato senza limiti di tempo e i risultati della spedizione andarono in gran parte perduti. Nonostante l'epilogo drammatico, il viaggio resta un'impresa scientifica formidabile. Era stato ispirato da Carlo III (il re «italiano» che prima di salire sul trono spagnolo era stato re di Napoli e aveva voluto la reggia di Caserta, Capodimonte, il teatro San Carlo) per consentire alla Spagna di restare al passo con il galoppante progresso scientifico europeo. Il reclutamento degli scienziati avvenne senza preclusioni di nazionalità; accanto agli spagnoli c'erano italiani, francesi, tedeschi; per preparare la spedizione Malaspina consultò le maggiori accademie (per quella di Torino gli rispose il segretario Tomaso Valperga di Caluso inviandogli un lungo elenco di quesiti scientifici) e i maggiori scienziati del tempo, da Joseph Banks a Lazzaro Spallanzani. Sulle due navi era imbarcata la più ricca strumentazione scientifica che fosse mai stata messa insieme, comprendente microscopi, telescopi, cannocchiali notturni, sestanti e alcuni preziosi cronometri, grazie ai quali proprio in quegli anni stava finalmente diventando possibile determinare la longitudine con sufficiente precisione. Strumenti progettati appositamente dai più famosi costruttori d'Europa come Cuff, Ramsden, Dollond, Naire, Arnold. Le corvette fecero tappa al Rio de la Plata poi proseguirono lungo la costa della Patagonia, le Isole Malvine, doppiarono Capo Horn e risalirono la costa pacifica toccando Cile, Perù, Ecuador, Panama, Nicaragua, Messico, California, Alaska e Colombia Britannica; tornate in Messico puntarono sulle Filippine, la Nuova Zelanda, l'Australia e l'arcipelago delle Tonga per tornare in Perù. Infine doppiarono nuovamente Capo Horn, sostarono a Montevideo e di qui, sotto scorta armata poiché nel frattempo la Spagna era entrata in guerra contro la Francia rivoluzionaria, verso casa. Oltre alle ricerche di routine in molti campi (geologia, idrografia, cartografia, fisica, botanica, zoologia, antropologia) la spedizione si trovò ad affrontare alcuni problemi specifici, come la possibilità di scavare un canale attraverso l'istmo di Panama, di cui si occupo' lo stesso Malaspina, o il «mistero» del passaggio a Nord- Ovest. Malaspina e i suoi compagni di avventura esplorarono i due punti «sospetti», lo Stretto di Fuca, accertando che in realtà immette alla grande insenatura su cui oggi sorgono Seattle e Vancouver, e la Yakutat Bay, in Alaska, risultata una rientranza senza sbocco. Tra i risultati della spedizione vanno ricordati migliaia di splendidi disegni e dipinti eseguiti dai pittori imbarcati con il ruolo di documentaristi; inoltre alcuni scienziati restarono in Sud America continuando le ricerche anche dopo la fine della spedizione. Soltanto le più recenti indagini storiche, soprattutto di Dario Manfredi, che ha dedicato al caso Malaspina gran parte della sua attività, hanno individuato le probabili cause della disavventura del navigatore; tra i suoi compiti c'era anche quello di fare una relazione sullo stato generale dell'impero spagnolo e Malaspina la fece sottolineando le condizioni di sfruttamento e di sottosviluppo delle colonie da parte della burocrazia spagnola, suggerendo maggiore libertà e riforme radicali, esprimendo forse con eccessiva franchezza il suo pensiero di illuminista e «democratico». Ma i tempi erano mutati, Carlo III era morto e sul trono c'era il debole Carlo IV, a corte dominava il reazionario primo ministro Godoy e Madrid era terrorizzata dall'idea di un contagio delle idee della Rivoluzione francese. Malaspina restò nella fortezza di La Coruna fino al 1802, quando finalmente venne liberato (si dice per intervento di Napoleone, ma di questo particolare non ci sono prove) ed espulso. Gli restavano otto anni prima di morire a Pontremoli. Vittorio Ravizza


INFORMATICA DOMANI Sfida con i chip Videogioco batte computer
Autore: MEZZACAPPA LUIGI

ARGOMENTI: INFORMATICA, GIOCHI, VIDEO, ELETTRONICA
NOMI: CLARK JIM
ORGANIZZAZIONI: SONIC HEDGEHOG, PROJECT REALITY, NINTENDO, SILICON GRAPHICS
LUOGHI: ITALIA

I supercomputer di domani avranno le sembianze degli attuali «videogame player» e l'egemonia di Microsoft sul mercato mondiale del software sarà spazzata da programmi quali «Sonic Hedgehog», l'attuale best seller dei videogiochi. Difficile credere a questa solenne dichiarazione, vero? Eppure, dopo gli annunci di Nintendo, Sony e Sega, questo genere di pensieri sta cominciando a turbare i manager dell'industria informatica mondiale. E' una terribile minaccia: nel prossimo anno saranno disponibili, al prezzo di poche centinaia di dollari, set videogiochi che per potenza e velocità faranno impallidire i più veloci personal Apple e Ibm. La Nintendo ha già pianificato la commercializzazione del «Project Reality», un videogame player da 250 dollari che supererà le prestazioni dei più potenti personal. Oltre che come videogioco interattivo con video e audio di qualità televisiva, il «Project Reality» funzionerà come dispositivo di comunicazione, anche sulle reti via cavo. Per capacità di manipolazione di grandi volumi di dati, questa macchinetta sarà molto più rapida del primo supercomputer Cray che nel '76, anno della sua nascita, diventò famoso proprio per la sua velocità. Tra gli esperti, molti deridono chi crede che gadget come i videogame possano battere i computer professionali, ma al fianco di questi ve ne è qualcuno che ricorda l'imbarazzo dei colossi dell'informatica quando, 15 anni fa, dovettero accettare l'idea che il personal computer, considerato un giocattolo da «hacker», potesse imporsi anche nei settori professionali. Molti di quei colossi si sono ritirati dal settore e sono in pochi, oggi, a offrire soluzioni basate su grandi sistemi. Tutti, invece, fanno profitti proprio con i personal computer, anche se su questo nuovo terreno non godono più della stessa leadership del passato. Se un prodotto così potente ed economico si imporrà sul mercato, c'è da chiedersi cosa succederà a tutti gli altri. Nella moderna industria informatica, dai personal computer in avanti, la domanda di prodotti si è mantenuta alta grazie al susseguirsi di nuove applicazioni - fogli elettronici, word processor, posta elettronica - che non si sono limitate a raccogliere l'eredità dei mainframe, ma hanno continuamente proposto nuove soluzioni. E ora, alla stessa stregua, le aziende di prodotti elettronici di consumo come i videogame venduti a milioni, stanno sviluppando sistemi che saranno in grado di offrire fin da subito un largo spettro di applicazioni di consumo per le quali i personal computer non sono predisposti. Questo mercato «home» è potenzialmente più vasto di quello da 66 miliardi di dollari dei personal. E qualcuno comincia a crederci davvero, come Jim Clark, presidente, o meglio, ex presidente della Silicon Graphics, marchio leader delle workstation ad altissime prestazioni da 10.000 dollari e oltre. Egli ha fondato una nuova società e sta ora cercando alleanze per avviare la realizzazione di dispositivi computerizzati di largo consumo da vendere a poche centinaia di dollari. «Queste nuove macchine - dice - andranno oltre il fatto di essere veloci ed economiche come ormai ci si aspetta da ogni novità. Esse rappresentano una trasformazione molto più profonda, sono una nuova frontiera». La tecnologia delle costruzioni sta raggiungendo livelli incredibili e la tendenza al più piccolo, più veloce e più economico è uno degli elementi che stanno spingendo l'elettronica ad entrare nel regno del largo consumo: per più di tre decenni il numero dei transistor che potevano essere concentrati in un solo chip di silicio è raddoppiato in media ogni 18 mesi. Negli Anni 70 il più veloce computer del mondo era costituito da 100 mila chip; alla fine dei 90 la più veloce macchina sarà completamente realizzata su un singolo chip. Questa tendenza sta stravolgendo l'industria dei computer più di quanto l'automobile non abbia fatto con la civiltà del carro e del cavallo. I dirigenti delle grosse aziende di personal sono generalmente concordi nel negare la possibilità che la categoria dei videogame possa costituire una minaccia, sostenendo che si tratta di macchine altamente specializzate, senza la flessibilità e la varietà di software che rendono il Pc pronto per un'infinita quantità di applicazioni professionali. Ma sull'altro fronte si rammenta che, similmente a quanto accadde ai mainframe, l'industria dell'informatica convenzionale è troppo legata alla base di installato per poter disporre appieno delle opportunità offerte dalle nuove tecnologie. E forse è vero che l'industria del personal di oggi è persino più statica dell'industria del mainframe di ieri: negli Anni 60 e 70 Ibm aveva sette diversi concorrenti che offrivano sette diverse architetture; oggi le marche di Pc sono innumerevoli, ma tutte riconducibili a due sole architetture, Intel o Motorola. I dispositivi di consumo, per contro, sono liberi di seguire le possibilità della tecnologia. In passato i computer erano usati quasi esclusivamente per calcoli e controlli, oggi un nuovo filone informatico sta spostando l'enfasi sulle comunicazioni, sia tra utente e utente che tra utente e macchina. La potenza è tutta rivolta a rendere le macchine domestiche sempre più semplici e a facilitare la comunicazione tra gli utenti attraverso il video, il suono e lo scambio dei dati. Se funzionerà, questa impostazione potrebbe segnare la rottura netta con il personal, che richiede ancora grandi sforzi di apprendimento per sfruttarne le funzionalità. E quanto al soft ware, non dimentichiamo che ormai un videogame di successo può incassare più di un grande film di Hollywood. Luigi Mezzacappa


QUASI PRONTA IN USA Un'arma pacifica contro le armi convenzionali Neutralizza cannoni, mitra e proiettili: uno stop ai conflitti locali?
Autore: PRESTINENZA LUIGI

ARGOMENTI: ARMI, TECNOLOGIA
NOMI: KARR THOMAS, TELLER EDWARD
ORGANIZZAZIONI: LDS (LIFE DEFENCE SYSTEM), LABORATORI LIVERMORE
LUOGHI: ESTERO, USA
TABELLE: D. Come agisce l'Lds

UN'ARMA contro la guerra: sì, i conflitti locali, striscianti, combattuti con armi convenzionali, così difficili da arginare. Un'arma solo difensiva, che ha l'unico scopo di neutralizzare i proiettili sparati da una bocca da fuoco e, all'occorrenza, ridurla al silenzio. Se ne è parlato a Erice (nel «work- shop» della Nato tenuto parallelamente al seminario scientifico del Centro Majorana). Responsabile del progetto è Thomas Karr, dei Laboratori Livermore (California) cari all'ormai ultraottantenne Edward Teller. Gli americani, ovviamente, non hanno mostrato tutto, tanto più che l'arma è in fase di collaudo e occorrerà ancora un anno per metterla a punto. Ma hanno mostrato abbastanza per far capire che sono sicuri del fatto loro fino a mostrarci in video i prototipi dell'Lds (Life defence system), che qualunque mezzo di trasporto può caricare e mettere in posizione. Ed ecco di che si tratta. Un sensibilissimo sensore infrarosso è il cuore del sistema: 20 millesimi di secondo da che un colpo è stato sparato, identifica come fonte di calore l'arma (un cannone, ma anche un mitra) da cui è partito il colpo o una raffica di colpi. In altri 300 millesimi di secondo il computer a cui il sensore è collegato, e che è contenuto in un bauletto di circa un metro, calcola la distanza e le coordinate dell'arma che ha sparato. Nessun'arma convenzionale è in grado di piazzare un proiettile a bersaglio in meno di una quarantina di secondi, se la distanza, ad esempio, è di 5 chilometri. Vi è dunque il tempo per intercettare il proiettile in volo, farlo esplodere o neutralizzarlo, presumibilmente con un raggio laser (tutta questa tecnologia discende dagli studi a suo tempo condotti per lo «scudo stellare» che doveva proteggere gli Stati Uniti dalla minaccia dei missili intercontinentali). L'intercettazione è possibile anche se l'arma invece che un unico colpo ne ha sparato una sventagliata; o se più armi hanno aperto il fuoco contemporaneamente. L'Lds ha già superato la fase di progettazione, i collaudi in laboratorio, quelli sul campo. Un proiettile di cannone come quello che fece decine di morti nel mercato di Sarajevo è stato bloccato in volo e fatto esplodere a Livermore. Ma c'è una terza fase, che è giunta soltanto ai test in laboratorio: come neutralizzare l'arma da cui fosse partito un proiettile. Anch'essa è, evidentemente, una fonte di calore: una volta rapidamente localizzata, potrà essere distrutta adoperando un proiettilino che reca 64 grammi di esplosivo ad alto potenziale. In questo minuscolo missile è inserito un computer che lo guida alla bocca ostile: il proiettile la centra e irrimediabilmente la deforma. Senza ammazzare nessuno, neppure in questa fase: ma rendendo inutilizzabile l'arma per ogni malintenzionato, sia esso un artigliere o un terrorista (si può pensare addirittura a un'utilizzazione spicciola, contro bande criminali). Siamo nel solco della tecnologia utilizzata per i «Patriot» che difesero Israele durante la guerra del Golfo. L'Lds ne è un'applicazione con un raggio d'azione tre volte superiore a quello di qualsiasi arma convenzionale e una rapidità d'impiego nettamente superiore. Qualsiasi aggressione «limitata» e con armi convenzionali dovrebbe esserne scoraggiata. Fino a quando non si troverà il modo di neutralizzare il neutralizzatore... Luigi Prestinenza


L'AOTO Scimmie nottambule Un modo per evitare i predatori
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ETOLOGIA, ZOOLOGIA, ANIMALI
NOMI: CHAPPLE WRIGHT PATRICIA
ORGANIZZAZIONI: MANU NATIONAL PARK
LUOGHI: ITALIA

CHi vede per la prima volta un Aoto (Aotos trivirgatus), la scimmietta sudamericana dai grandi occhi tondi, è convinto di trovarsi di fronte a una proscimmia, uno dei lemuri tipici del Madagascar. E invece si tratta proprio di una scimmia vera, anche se molti la considerano come la platirrina più primitiva (platirrine, cioè «a naso largo» vengono chiamate le scimmie del Nuovo Mondo, in contrapposizione con le catarrine che sono quelle del Vecchio Mondo caratterizzate dal setto nasale stretto). Ma questa piccola scimmia, piccola davvero perché misura non più di 35 centimetri, anche se la sua coda raggiunge il mezzo metro, ha una particolarità davvero unica nel mondo delle scimmie: è notturna. Invece di dormire la notte e di andarsene in giro durante il giorno, fa tutto il contrario. Di giorno dorme e si sceglie di solito per dormire la cavità accogliente di un albero. Piccina com'è non ha difficoltà a trovare la camera da letto naturale che fa per lei. Di notte invece è in continuo movimento. Facendo grandi balzi, riesce ad acchiappare gli insetti che volano, dà la caccia alle lucertole e agli anfibi di varie specie, saccheggia i nidi degli uccelli, succhia il nettare dei fiori. Se si muove con tanta disinvoltura la notte, evidentemente ci vede bene al buio. Eppure i suoi occhi non hanno la struttura tipica che si ritrova negli altri animali notturni. Quando un gatto o un altro felino ci appare improvvisamente davanti nell'oscurità della notte, vediamo brillare nelle tenebre due piccoli fari fosforescenti. Sono gli occhi. Il loro scintillio è dovuto a uno speciale strato di cellule ricche di cristalli di guanina che si trova dietro la retina. E' il cosiddetto tapetum lucidum, che funziona come un catarifrangente e riflette in tutte le direzioni la luce, anche se scarsissima. Negli occhi dell'aoto il tapetum lucidum non esiste. E per giunta nella retina vi sono non soltanto bastoncelli, le cellule atte a percepire le immagini in bianco e nero, ma anche coni, le cellule che captano i colori. Questa struttura degli occhi starebbe a indicare che l'aoto discende da antenati diurni. Per averne la conferma, l'antropologa Patricia Chapple Wright della State University di New York a Stony Brook, ha deciso di andare a studiare gli aoti a casa loro, vale a dire nel Manu National Park del Perù. Patricia ha adottato un aoto da molti anni. Ne conosce quindi benissimo il comportamento in cattività. Allevata da piccola, la scimmietta diventa una compagna deliziosa. Ma altro è tenersene una quasi domestica in casa, altro è seguire i movimenti dei branchi selvatici che si aggirano di notte fra i rami di alberi alti una trentina di metri. Il che si rivela un'impresa veramente ardua. Ma Patricia è caparbia e riesce ad aver ragione delle molte difficoltà che incontra. I richiami emessi dagli aoti, udibili a quasi mezzo chilometro di distanza, consistono in una serie di brevi suoni di bassa tonalità. Le scimmie ne emettono da 10 a 30 al minuto. E vanno avanti per una o due ore, mentre si spostano di 50 o 60 metri lungo i confini del territorio. Il richiamo prolungato può provenire da un individuo isolato che si trova ai margini del territorio familiare, ed evoca di solito la risposta di altri aoti. Mai può provenire anche da un inividuo che abbandona il gruppo natale e compie un lungo percorso in cerca del partner con cui metter su famiglia. Si sposta in media di oltre mezzo chilometro al giorno. La Wright si chiede incuriosita quale sia il motivo che ha spinto, nel corso dell'evoluzione, gli aoti del Manu National Park peruviano a cambiare abitudini, a diventare cioè animali notturni, da diurni quali erano certamente in origine. E i suoi sospetti cadono sui predatori della specie, soprattutto sui rapaci diurni come l'arpia, uno dei più forti falconiformi della Terra, vorace mangiatrice di scimmie tropicali. Proprio per evitarli, gli aoti escono dall'albero in cui hanno trascorso il giorno poco dopo il tramonto, quando aquile e falchi hanno ormai raggiunto i loro posatoi notturni e ritornano al nido poco dopo l'alba, qualche minuto prima che gli uccelli da preda si sveglino. Ma non c'è pericolo che cadano dalla padella nella brace? Che cioè finiscano nelle grinfie dei predatori notturni? La studiosa fa un'accurata indagine e si convince che questo pericolo è molto relativo. Infatti nelle foreste tropicali del Sudamerica i rapaci notturni di grande taglia sono molto rari e quelli di piccola taglia che le frequentano non sono in grado di mangiarsi un aoto che è grosso su per giù come uno scoiattolo. Quanto agli altri predatori notturni, come felini o serpenti, che sono tipicamente terrestri, è difficile che riescano a raggiungere un aoto che si arrampica agile e leggero su su fino alla chioma di un albero. Dopo un anno di ricerche sul comportamento degli aoti nelle foreste pluviali del Manu National Park nel Perù, Patricia Wright decide di verificare se le sue supposizioni sono esatte, studiando la stessa specie in un habitat diverso e precisamente nelle foreste asciutte del Chaco paraguaiano. Qui i grandi rapaci notturni sono comuni, mentre i rapaci diurni sono piuttosto rari. Ed ecco la sorprendente rivelazione. Gli aoti si sono magnificamente adeguati al diverso tipo di habitat. Qui non c'è bisogno di rispettare rigorosamente il turno giorno=riposo, notte=attività. Si vedono gli aoti succhiare il nettare dei fiori e mangiare i frutti in pieno giorno. E le scimmie continuano ad essere attive anche la notte, o almeno durante parte della notte. Del resto anche gli aoti che popolano le foreste pluviali del Perù, pur essendo diventati notturni, sono più attivi durante le notti di luna piena, quando i loro occhi riescono a vederci meglio. Evidentemente non hanno avuto il tempo di adattarsi perfettamente all'oscurità, come dimostra il fatto che non hanno ancora sviluppato il tapetum luci dum tipico degli animali realmente notturni. Isabella Lattes Coifmann


CENTRO STUDI ADAMELLO Ghiacciai alpini in retromarcia
Autore: BASSI PIA

ARGOMENTI: GEOGRAFIA E GEOFISICA, METEOROLOGIA, MONTAGNA
NOMI: SMIRAGLIA CLAUDIO, MARCHETTI VIRGILIO, BETTI VITTORINO, LAZINGER MICHELE
ORGANIZZAZIONI: CENTRO STUDI ADAMELLO JULIUS PAYER
LUOGHI: ITALIA

NEL superbo anfiteatro morenico che abbraccia i fronti dei ghiacciai della Lobbia e del Mandron che chiudono la Val di Genova, a 2434 metri di quota, è stato recentemente inaugurato il Centro Studi Adamello intitolato a Julius Payer, l'ufficiale austriaco che per primo raggiunse la vetta dell'Adamello il 15 settembre 1864. Payer, cartografo, scrittore e poeta, lasciò interessanti rilievi topografici della valle, bagnata dal fiume Sarca, e una incisione dalla quale si può vedere che i due ghiacciai si congiungevano e lambivano la valle. Ora i due fronti sono disgiunti e arretrati di una sessantina di metri. Il congiungimento fu prodotto da una piccola glaciazione verificatasi dal 1550 al 1850, che interessò tutti i ghiacciai del mondo. Dal 1850 a oggi i ghiacciai sono in continuo arretramento. «Il fenomeno è probabilmente dovuto a un aumento della temperatura estiva che mediamente in questi 144 anni si è elevata di circa un grado - dice Claudio Smiraglia, presidente del comitato scientifico del Cai e coordinatore del settore lombardo del Comitato glaciologico -. Un ghiacciaio gode buona salute quando le nevicate invernali sono abbondanti e per alimentarlo sono necessarie temperature estive meno calde delle attuali. Basti pensare che la grande glaciazione che ha portato il ghiacciaio dell'Adamello fino al lago di Garda è stata causata da una temperatura media estiva inferiore all'attuale di 10 gradi. Attualmente si sta verificando il più grande cambiamento ambientale della storia dell'uomo moderno. Questo è un fatto naturale ma può darsi che l'uomo con le sue attività stia incidendo sul fenomeno naturale. Una delle incertezze sull'importanza dell'effetto serra è dovuto al fatto che comunque fra il 1965 e il 1985 si è avuta in tutto il mondo una piccola glaciazione». I ghiacciai sono un'importante riserva d'acqua dolce e potabile (nonostante le piccole percentuali di agenti inquinanti chimici che per altro si trovano anche nell'atmosfera) ed è quindi fondamentale una seria rete di monitoraggio scientifico ambientale e meteorologico del sistema neve-ghiaccio per meglio interpretare i cicli vitali. E' importante avere anche un catasto aggiornato dei ghiacciai: l'ultimo è stato fatto nel 1959- 1962, perché molti di essi sono spariti. Il Comitato glaciologico e il ministero dell'Ambiente ne stanno realizzando uno nuovo. Nel solo Trentino la Società Alpinistica Tridentina (Sat) con l'apporto prezioso del glaciologo Virgilio Marchetti, deceduto lo scorso anno, ha registrato 140 ghiacciai e nevai, una utilissima banca dati che viene continuamente aggiornata dal Comitato glaciologico trentino (che conta una quarantina di volontari) coordinato da Roberto Bombarda. Il Centro Studi Payer è stato realizzato dalla Sat con la collaborazione del Museo di Scienze Naturali di Trento, diretto da Michele Lazinger, ricavandolo dal rifugio edificato dal Cai di Lipsia nel 1878. Nel Centro Payer sono conservate le carte topografiche dei ghiacciai del Gruppo Adamello, nonché le ricerche botaniche e faunistiche. All'esterno un giardino botanico ricco di 96 specie di fiori e piante superiori endemiche di piccole areali nivali dei ghiacciai è stato allestito dal botanico Luca Bronzini che ha rilevato una colonizzazione insolita di «Potentilla frigida» sulle creste a quota tremila, oltre il ghiacciaio. Il primo censimento botanico della Lobbia Alta fu fatto nel 1935 dal bresciano Nino Arietti, che trovò 16 specie; nel 1991 ne furono trovate 36. Il ghiacciaio Adamello-Mandron con i suoi 18 chilometri quadrati è tra i più grandi d'Italia. Vittorino Betti, idrobiologo, ne ha studiato le caratteristiche: volume 1 miliardo di metri cubi di ghiaccio; profondità dai 100 ai 200 metri; velocità 20 metri/anno; arretramento del fronte quest'anno 5 metri; portata d'acqua della bocca 6 metri cubi al secondo; contenuto liquido di un metro cubo di neve fresca 70 litri d'acqua; in un metro cubo di ghiaccio il contenuto d'acqua è circa mille litri. Il monitoraggio è stato fatto con il sistema satellitare Gps. Sul ghiacciaio sono state collocate 13 paline in senso trasversale e orizzontale le cui posizioni vengono rilevate all'inizio e alla fine della stagione estiva. Per conoscere esattamente la portata d'acqua del Mandron la prossima estate verranno eseguiti i rilievi batimetrici del laghetto sottostante la cascata alta 50 metri. Il Centro, disposto su due piani, ha una piccola aula per lezioni ed incontri. Il vicino rifugio Città di Trento che dà ospitalità ai visitatori, è l'ideale punto d'incontro con le guide alpine per le escursioni guidate sui ghiacciai dell'Adamello. E' stato anche realizzato un itinerario alpinistico scientifico dedicato a «Vigilio Marchetti» ed è una grande traversata su tre ghiacciai (Mandron, Lobbia e Lares) che presenta aspetti di enorme importanza da un punto di vista geografico, glaciologico, geomorfologico, idrologico, vegetazionale, storico. Pia Bassi


SCAFFALE Jaki Stanley: «La strada della scienza e le vie verso Dio», Jaka Book
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: EPISTEMOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

LE strade della scienza e quelle della fede in Dio convergono o divergono? O forse sono semplicemente parallele? Secondo l'autore di questo libro, che raccoglie venti conferenze rivolte a un pubblico di non specialisti, il pensiero religioso e le moderne conoscenze scientifiche costituiscono un unico percorso intellettuale. Razionalismo, idealismo, positivismo vengono esaminati alla luce delle loro conseguenze epistemologiche e messi a confronto con le scoperte della fisica, della cosmologia, della biologia. Stanley Jaki, ungherese, è sacerdote benedettino e insegna alla Seton Hall University (new Jersey)


SCAFFALE Ferrari Giovanni: «Homo scientus», Muzzio
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Tra satira e sociologia della ricerca, ecco un libro che in meno di cento pagine stigmatizza tutti i tic dello scienziato contemporaneo, afflitto dalla sindrome «o pubblichi o muori», dal culto dei dati a prescindere dalla creatività che richiede la loro interpretazione, da rituali propri dei clan di laboratorio.


SCAFFALE Cagliano Stefano: «Viaggio intorno alla medicina», Laterza; Grmek Mirko: «Storia del pensiero medico occidentale», Laterza; Novelli Luca: «Dio ce la mandi buona», Mondadori
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Concepito come un dizionario, il «Viaggio intorno alla medicina» di Stefano Cagliano - da A come aggiornamento a V come vaccino - identifica una quarantina di temi attinenti la salute e li tratta in modo aggiornato, divulgativo e critico, insinuando qualche dubbio sulle sorti «magnifiche e progressive» dell'arte medica contemporanea. Di solido impianto accademico è invece la «Storia del pensiero medico occidentale», di cui è uscito il volume dedicato all'antichità e al Medioevo. E se poi il lettore desidera rilassarsi con notizie mediche curiose e ricche di humour, può sempre leggersi «Dio ce la mandi buona» di Luca Novelli.


SCAFFALE Strouhal Eugen: «Vivere al tempo dei faraoni», De Agostini
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ANTROPOLOGIA E ETNOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Dell'antico Egitto siamo abituati a prendere in considerazione le colossali realizzazioni architettoniche: obelischi, piramidi, la sfinge. Non c'è libro di egittologia che non ne tratti ampiamente. Poco invece ci viene detto sugli oggetti comuni, che pure tante informazioni danno sulla vita quotidiana. Colma la lacuna Eugen Strouhal con un libro avvincente e ricco di illustrazioni. Da segnalare anche i due splendidi volumi in cui, con il contributo dell'Italgas, sono stati raccolti gli atti del Sesto Congresso internazionale di Egittologia, svoltosi a Torino nel 1991.


INDICATORI AMBIENTALI L'Adriatico è pulito, lo dice la tartaruga Sulle spiagge di Otranto si sono schiuse 128 uova di Caretta caretta
Autore: CARTELLI FEDERICO

ARGOMENTI: ECOLOGIA, ANIMALI, MARE, ACQUA, AMBIENTE
LUOGHI: ITALIA, OTRANTO (LE)

CI sono volute 128 uova di tartaruga per confermare che l'Adriatico, ritenuto il mare più inquinato del Mediterraneo, gode di ottima salute. Almeno nella parte meridionale. Lungo le coste salentine del Canale d'Otranto, infatti, si è verificato sul finire di agosto un avvenimento eccezionale: 128 uova di Caretta caretta (la tartaruga marina) si sono schiuse in tre notti nell'arenile di due spiagge otrantine. E' la prima volta che un simile evento viene documentato nel mar Adriatico. Finora lo si era osservato soltanto a Lampedusa e lungo le coste della Sicilia orientale. Il cospicuo numero di tartarughe nate è un preciso segnale delle buone condizioni di questo tratto di mare. Ci sono almeno tre motivi che hanno impedito finora di covare sulle spiagge adriatiche: l'inquinamento marino, la voracità dei predatori e il sovraffollamento dei litorali nel periodo estivo. E le cove avvengono fra giugno e luglio! Ebbene le 128 tartarughe che appena nate hanno raggiunto incolumi la riva erano state depositate su due arenili che di giorno sono invasi da bagnanti. Grandi come palline da ping pong, le uova a cinquanta centimetri di profondità nella sabbia sono state scoperte fin da luglio da una coppia di Labrador retriever (specie canina di origine canadese) che avevano fiutato il liquido secreto dalle tartarughe durante la cova. Oltreché abili a scavare nella sabbia, in Canada i pescatori utilizzano questi cani per la pesca del merluzzo. La «Caretta caretta», sempre più rara nei nostri mari, è un formidabile spazzino del mare, assolvendo l'essenziale funzione di eliminare le diverse cause di infezione nella fauna marina del Mediterraneo. Delle 128 tartarughe nate sulle spiagge otrantine, appena il cinque per cento ha possibilità di sopravvivere alle insidie del mare e di raggiungere l'età della maturità sessuale che si aggira sui venti anni. Solo allora le tartarughe superstiti (vivono anche 70 anni), che per riprodursi sono costrette a spiaggiare, torneranno nel medesimo luogo dove sono nate a scavare nella sabbia e deporre le uova. Federico Cartelli


ODONTOIATRIA INFANTILE Le bevande nemiche dei denti La prevenzione deve iniziare fin dal tempo del biberon
Autore: LA PIRA ROBERTO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, ALIMENTAZIONE, BAMBINI
NOMI: STROHMENGER LAURA
LUOGHI: ITALIA

ABBIAMO convinto le mamme a non dare ai piccoli il ciuccio con miele o zucchero, siamo riusciti a inserire le pastiglie di fluoro nella dieta dei bambini per prevenire la carie, perché rovinare tutto proponendo al neonato bevande a base di zucchero? L'effetto sui denti a volte è devastante, e quando i genitori se ne accorgono è troppo tardi per intervenire senza traumi. A lanciare l'allarme è Laura Strohmenger, della Clinica Odontostomatologica dell'Università di Milano, coordinatrice di una struttura pubblica specializzata nella cura dei denti dei bambini fino a 8 anni, composta da 10 dentisti dell'Istituto di Scienze Biomediche dell'Ospedale San Paolo. A livello scientifico il fenomeno è noto come «Baby bottle teeth decay», ovvero carie da biberon perché le vittime preferite sono i piccoli di età compresa tra i due e i tre anni erroneamente abituati ad ingerire sin dai primi mesi di vita bevande dolci in quantità elevata. Negli Usa i dati epidemiologici hanno evidenziato che questa sindrome colpisce nelle zone dell'Alaska e dell'Oklahoma il 50 per cento dei bambini compresi dai 2 ai 4 anni. In Svezia i bambini interessati sono il 4,5 per cento ma la percentuale raggiunge il 22 nella popolazione immigrata. I prodotti sotto accusa sono i preparati venduti in farmacia a base di semi di finocchio, la camomilla solubile, il té deteinato e alcune tisane calmanti che vengono usate dalle madri fin dai primi mesi di vita quando cominciano le coliche gassose. Queste bevande sono spesso somministrate al posto dell'acqua per tranquillizzare i neonati nei risvegli burrascosi. La lista è lunga e comprende prodotti della Dieterba (Finocchio e Malva Primi Sorsi, Camomilla Primi Sorsi, Tè deteinato Primi Sorsi), della Mellin (Naturfen, Multierbe, Camomilla, Tè deteinato), della Milupa (Biberfen, Biberte, Camomilla, Tè deteinato), della Plasmon (Camomilla, Tè deteinato, Tisana alle erbe). Si tratta di prodotti disidratati con una caratteristica importante: sono solubili all'istante e quindi, possono essere preparati in una manciata di secondi facilitando non poco il lavoro del genitore già alle prese con biberon e pannolini. Ma contengono nella maggioranza dei casi dosi massicce di zuccheri e maltodestrine, considerati il nemico principe dell'igiene orale e l'alleato più stretto dei batteri cariogeni. «La minaccia per la salute dei denti è evidente - continua la Strohmenger - soprattutto quando i bambini si appropriano del biberon e intervallano sorsate più volte nell'arco della giornata. La prevalenza della carie è infatti correlata al numero di volte in cui vengono introdotti cibi zuccherati e non tanto alla quantità di zuccheri. Se, per esempio, mangiare una fetta di torta a pranzo può essere gradevole e non crea problemi (anche perché dopo è consuetudine lavarsi i denti), propinare la stessa quantità di zuccheri a un bambino nell'arco delle 12 ore sotto forma di caramelle, bibite e merendine amplifica enormemente la formazione di carie, anche perché diminuisce l'azione detergente e tampone della saliva». I neonati non hanno denti - obietta qualcuno -, dimenticando che il bere bevande dolci abitua i piccoli a un gusto non proprio corretto e imprime un indirizzo preciso all'alimentazione del bambino. Alla fine il piccolo trova insufficiente il sapore conferito al latte dallo zucchero già presente naturalmente, «il lattosio», non è soddisfatto dal gusto dolce conferito alla frutta dal «fruttosio» e finisce per aggiungere zollette a tutto. «L'assunzione regolare di bevande zuccherate sin dai primi mesi non è senza imprevisti - sottolinea Giulio Torti aiuto primario del Reparto di Pediatria dell'Ospedale Niguarda di Milano -. Ai bambini piacciono è vero, ma può accadere che il piccolo sia indotto a svegliarsi di notte perché sa di ricevere una buona dose di coccole dalla mamma e anche un sorso della bevanda preferita». Eppure sulle etichette c'è scritto che l'assunzione prolungata provoca carie ai denti. Perché allora le mamme si ostinano in questa pratica diseducativa? Qualcuno sostiene che la fortuna di questi prodotti è legata alla disattenzione mostrata dagli italiani nella lettura delle etichette. Qualcosa però si sta muovendo; il Centro italiano di collaborazione dell'Organizzazione mondiale della sanità per la prevenzione delle malattie della bocca ha avviato un'indagine negli asili nido prendendo spunto dalla realtà milanese dove si stima che la frequenza della patologia nei bambini al di sotto dei quattro anni, oscilli dal 5 al 10 per cento. Per risolvere il problema ci vuole solo un pizzico di buona volontà e molta informazione da parte dei pediatri e delle riviste specializzate. In commercio infatti si trovano camomilla, tisane a base di finocchio, té deteinato e altre bevande senza zuccheri che garantiscono lo stesso effetto terapeutico e assolvono ugualmente la funzione di dissetare. Le aziende si difendono sostenendo di aver diminuito la quantità di zucchero negli ultimi anni, e sostengono che le bevande in commercio sono più controllate rispetto a quelle preparate dalle mamme, sovente troppo dolci. «La colpa delle carie - sostiene un direttore marketing delle aziende interessate - è delle mamme che lasciano al piccolo il biberon in mano!». Roberto La Pira


ANZIANI & SALUTE Com'è giovane questo vecchietto! L'età reale slitta rispetto a quella anagrafica
Autore: MULLER EUGENIO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, ANZIANI, BIOLOGIA, PSICOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

IN un precedente articolo («Si vive di più, ma come?»), nel descrivere le condizioni di vita degli anziani, in continuo aumento nel nostro Paese come in tutto il mondo occidentale, avevamo sottolineato che si tratta spesso di persone nelle quali l'insufficienza sul piano fisico coesiste con povertà, solitudine e depressione. Ma questo quadro, che ben si adatta agli innumerevoli casi della vita di ogni giorno, riflette realmente le condizioni di rassegnata attesa, di mancanza di aspettative, di ripiegamento su se stessi di tutti gli anziani? Se si prendono in esame le condizioni di vita degli anziani in Paesi altamente industrializzati, ad esempio dei 64 milioni di ultrasessantenni americani, il quadro complessivo è molto diverso da quello accennato. E ciò perché negli ultimi decenni, nel Nord America, oltre alla filosofia della vita degli adolescenti è mutata anche quella degli anziani. Lungi dal considerare la vecchiaia quel periodo della vita in cui ci si ritira più o meno consenzienti in un'esistenza passiva, praticamente rassegnati e in attesa della fine, gli anziani d'oltreoceano sono sempre più avidi di attività e di esperienze. Le testate giornalistiche che si rivolgono agli anziani, come «Lear's», «Mirabella», «Modern Maturity» rispecchiano molto bene la mentalità del senior americano. Gare di golf e corsi universitari, crociere e viaggi in Paesi esotici, strategie di investimenti, programmi per iniziare nuove carriere, olimpiadi fra atleti della terza età non sono che alcuni dei temi dibattuti da queste riviste, molto diffuse negli Stati Uniti: «Modern Maturity» ha una tiratura di 24 milioni di copie. Accanto al cambiamento negli atteggiamenti, nei costumi e nella filosofia di vita degli anziani americani, altrettanto importanti appaiono il loro potere economico e l'influenza politica. Il reddito annuo di questa fetta di popolazione supera gli 800 miliardi di dollari e i beni ammontano complessivamente a 7 mila miliardi, il 70 per cento di tutto ciò che posseggono le famiglie americane, nonostante gli anziani rappresentino solo un quarto dell'intera popolazione. Per quanto riguarda il potere politico, l'elettorato rappresentato dagli anziani è una realtà che nessuno può ignorare. In Florida, dove esiste una densità elevatissima di anziani, è determinante per gli uomini politici presentare nei programmi elettorali la difesa dei loro interessi. «I bisogni e le esigenze dei cittadini della terza età domineranno sempre più l'agenda politica del futuro»: lo dice il senatore della Florida Bob Graham. Se questo è il quadro dell'universo anziani negli Stati Uniti, da noi gli orientamenti non sono tanto diversi. Si sta preparando anche in Italia un nuovo scenario socio-culturale concernente gli anziani e i loro rapporti con la salute? A questo interrogativo dà risposta un'inchiesta che Claudio Bosio, dell'Istituto di Psicologia dell'Università di Milano, ha condotto per l'Eurisko: un'indagine su un campione di 1000 anziani (55/75 anni), con un reddito mensile di almeno 2 milioni di lire, e rappresentanti il 40 per cento circa dell'intero segmento anziani (complessivamente 4 milioni e mezzo di persone). Dall'indagine emerge chiaro il profilo di quelli che l'autore chiama i «nuovi anziani», individui caratterizzati, oltre che da un livello economico medio-alto, da una buona istruzione post-elementare, che aderiscono a una cultura della salute non più ancorata a una concezione negativa, come pura assenza di malattia, ma orientata alla ricerca attiva del benessere, ai valori dell'efficienza e della bellezza fisica. Individui, dunque, che dimostrano un consenso crescente a uno stile basato sulla prospettiva di una vita sana e regolata. I nuovi anziani, soddisfatti della propria condizione di vita, mostrano un livello di apprezzamento per la loro condizione di salute ben diverso da quello degli anziani tradizionali e molto più vicino a quello dei giovani. Tra le caratteristiche dei nuovi anziani, c'è anche una gestione più autonoma delle iniziative di mantenimento della salute, con un atteggiamento attento più alla prevenzione che alla terapia. L'identikit del nuovo anziano uscito dalla ricerca dell'Eurisko ci presenta un soggetto che si comporta in controtendenza nei confronti dell'anziano tradizionale (povero, solitario, depresso, e fortemente medicalizzato) per ciò che concerne la salute. Non è difficile immaginare che in un prossimo futuro il nuovo anziano, così attento al mantenimento dell'efficienza psico-fisica, sarà anche per il tempo libero, lo stile di vita e le aspirazioni non molto dissimile dai suoi coetanei d'America. Nei prossimi anni il mondo degli anziani anche in Italia si articolerà sempre più in una varietà di posizioni. I politici in cerca di consensi, l'editoria di settimanali e periodici, l'industria del turismo presteranno agli anziani una sempre maggior attenzione. La soluzione dei problemi sociali, economici e culturali dipendenti da questa età esigerà una maggiore comprensione, più rispettosa della complessità della situazione e in grado d'interpretare «vecchi» e «nuovi» anziani. Una vera sfida per la società. Eugenio E. Muller Presidente dell'Associazione italiana per la ricerca sull'invecchiamento cerebrale


IN BREVE Al Cern si prova il reattore di Rubbia
ARGOMENTI: ENERGIA, FISICA, NUCLEARI
NOMI: RUBBIA CARLO
ORGANIZZAZIONI: CERN
LUOGHI: ESTERO, SVIZZERA, GINEVRA

Incominciano in questi giorni al Cern di Ginevra gli esperimenti di Carlo Rubbia su un prototipo di reattore nucleare che si accende e si spegne tramite un fascio di protoni, ciò che promette, in futuro, di avere centrali nucleari del tutto sicure. Si tratta tuttavia di un lavoro che richiederà ancora parecchi anni di ricerca, seguiti, nel caso che gli esperimenti diano risultati positivi, da un lungo periodo di sviluppo industriale.


IN BREVE Compra un Ficus per il Wwf
ARGOMENTI: ECOLOGIA, BOTANICA, AMBIENTE
ORGANIZZAZIONI: WWF
LUOGHI: ITALIA

Il Wwf lancia una raccolta di fondi per costituire un pronto intervento in difesa dei nostri ultimi, bellissimi boschi. Il 24 e 25 settembre prossimo, in 800 piazze italiane, i volontari dell'associazione distribuiranno una pianta di Ficus benjamina già alta un metro, in cambio di una piccola donazione. Insieme con la pianta i sostenitori riceveranno le istruzioni per il corretto mantenimento del Ficus. Sarà il primo atto, dicono i responsabili, di una «offensiva» in difesa della foresta italiana, contro gli incendi, l'incuria, il degrado. Per informazioni, tel. 144.000.946 (a tariffa minima, meno di un'interurbana).


IN BREVE La chirurgia per gli anziani
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, ANZIANI
LUOGHI: ITALIA, TORINO (TO)

Si conclude oggi a Torino l'ottavo congresso nazionale della Società di chirurgia geriatrica. Gli interventi in età avanzata si fanno sempre più frequenti e con più alte percentuali di successo via via che si è in grado di conoscere meglio le condizioni immunologiche dell'anziano e di preparare adeguatamente il paziente.


IN BREVE A Torino «Microneuro 94»
ARGOMENTI: INFORMATICA, CONGRESSO
LUOGHI: ITALIA, TORINO (TO)

Dal 26 al 28 settembre si terrà al Politecnico di Torino il convegno internazionale «Microneuro 94», dedicato alle reti neurali e agli ultimi progressi dell'informatica. Interverrà anche Federico Faggin, inventore del circuito integrato.


IN BREVE L'Universo in un Cd-Rom
ARGOMENTI: ELETTRONICA, INFORMATICA, DIDATTICA
ORGANIZZAZIONI: TECNICHE NUOVE
LUOGHI: ITALIA

Dilagano i Cd-Rom, memorie ottiche che permettono di riprodurre tramite computer immagini ferme e in movimento, informazioni scritte, suoni. Tra gli ultimi arrivati, «L'Universo in Cd-Rom», un vero planetario casalingo. Per aggiornarsi, riviste e catalogo della Casa editrice Tecniche Nuove.


RICERCA MEDICA Malattie nervose, i pericoli del glutammato in eccesso Questo aminoacido è implicato in epilessia, ischemia cerebrale e forse anche schizofrenia
Autore: MONACO FRANCESCO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

IL sistema nervoso centrale (Snc) è costituito da miliardi di neuroni che comunicano tramite le sinapsi, quelle giunzioni altamente specializzate tra una cellula e l'altra che rappresentano le stazioni nelle quali l'impulso nervoso determina la liberazione di neurotrasmettitori. Questi sono le sostanze chimiche che trasmettono il messaggio nervoso da neurone a neurone. Uno dei più importanti neurotrasmettitori ad azione eccitatoria sul Snc è l'acido glutammico (o glutammato), un aminoacido capace di stimolare quasi tutte le cullule nervose. Ciò avviene tramite l'innesto del neurotrasmettitore liberato da un neurone su specifici punti (recettori) della membrana di un altro neurone. Il meccanismo è paragonabile a quello dell'introduzione della chiave in una serratura: solo la chiave giusta (ovvero, il neurotrasmettitore) può entrare nella serratura giusta (il recettore specifico), permettendo così l'apertura della porta. La porta, nel nostro caso, è un «canale», normalmente chiuso, ma che si apre ogniqualvolta i neurotrasmettitori si innestano sui recettori. L'apertura del canale consente il passaggio di sodio e calcio all'interno della cellula e di potassio all'esterno. I trasferimenti di ioni causano uno squilibrio di cariche elettriche (ogni ione ha una sua carica positiva o negativa), ed ecco quindi che la comunicazione dell'impulso nervoso da chimica diventa elettrica, e si propaga velocemente lungo i prolungamenti dei neuroni. Questo processo di neurotrasmissione eccitatoria è fisiologico, avviene cioè in ogni istante della nostra vita in miliardi di cellule nervose e in pochi millisecondi. Ma se, per qualche ragione, all'eccitazione del Snc non segue il ritorno immediato alla normalità (se le cellule non si tranquillizzano), si giunge a un eccesso di eccitazione che, se prolungato oltre misura, porta alla morte del neurone, che viene disintegrato dall'eccessivo accumulo di calcio nel suo interno. Il calcio, infatti, provoca una serie di alterazioni a cascata della membrana neuronale, che innescano meccanismi di autodistruzione delle membrane cellulari. Queste premesse neurochimiche sono alla base dell'ipotesi che l'effetto «neurotossico» da eccesso di glutammato possa contribuire all'esteso danno neuronale che si associa a diverse patologie del Snc, epilessia, ischemia cerebrale, traumi cranici, alcune rare malattie (tra cui la corea di Huntington) e forse anche la schizofrenia. L'implicazione del glutammato nell'origine di queste forme morbose suggerisce che contrastare gli effetti neurotossici di questo aminoacido possa offrire importanti vantaggi terapeutici, anche se questa terapia non è ancora attuabile nell'uomo. Per l'epilessia, gli studi preclinici hanno dimostrato che alcuni antagonisti degli aminoacidi eccitatori (glutammato e altri) potranno presto passare alla fase sperimentale umana, anche se il loro impiego clinico dovrà tener presenti gli effetti negativi sul comportamento già osservati negli animali. Le attuali difficoltà all'introduzione in terapia umana degli antagonisti degli aminoacidi eccitatori hanno stimolato la ricerca di strategie terapeutiche alternative che comportino l'impiego di farmaci che interferiscano sui meccanismi di neurotossicità ad altri livelli. Questi possono agire o prima della liberazione del glutammato da parte della cellula nervosa (strategia presinaptica); o durante il processo eccitatorio, cercando di attenuarlo (strategia «intersinaptica); o, infine, a danno avvenuto, quando il glutammato si è innestato troppo stabilmente sul recettore (strategia della «prevenzione dell'abuso del recettore»). Uno dei farmaci del primo gruppo, la lamotrigina, possiede una marcata attività antiepilettica, dimostrata sia in sede sperimentale sia clinica. Un cenno va fatto alle sostanze del terzo gruppo, che potrebbero teoricamente rappresentare l'approccio farmacologico del futuro per diverse patologie del Snc, inclusa l'atrofia cerebrale. Tra questi, soprattutto gli «spazzini» di ioni (radicali) di ossigeno liberati al termine dei processi neurotossici e capaci di innescare la degradazione delle membrane lipidiche cellulari. Molti composti possono agire in tal senso, e sperimentalmente i più significativi sono i tocoferoli (vitamina E) e i 21- aminosteroidi. Francesco Monaco Università di Sassari


SCAFFALE Ferreri Walter: «Fotografia astronomica», Ed. Il Castello
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ASTRONOMIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Il manuale che Walter Ferreri ha dedicato alla fotografia astronomica è ormai «classico». E', questa, la quarta edizione. La prima risale al 1977, la terza al 1990. Date che dicono molto sulla solidità e sulla completezza del lavoro di Ferreri. Ogni edizione è stata ampliata e aggiornata. Quest'ultima ha una ventina di pagine in più rispetto alla precedente, costituite da un ricco corredo di foto a colori. L'impianto del volume rimane quello ben collaudato, con capitoli sugli strumenti, sulla foto del Sole, della Luna, dei vari pianeti, dei corpi minori e degli oggetti nebulari. Altri capitoli affrontano le tecniche di laboratorio e la foto stereoscopica. Chiudono grafici sui tempi di esposizione e varie tabelle di uso pratico. E' sufficiente questo elenco molto sbrigativo per rendersi conto di quanto la tecnologia fotografica sia oggi matura e feconda. Ma Ferreri non manca di fare il punto anche sui sensori a CCD: per l'uso dei quali, tra l'altro, rimangono perfettamente validi quasi tutti i consigli e i concetti teorici esposti a proposito della fotografia «convenzionale».




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