TUTTOSCIENZE 7 settembre 94

ACQUA La Fao lancia l'allarme risorsa umile e preziosa
Autore: STEINMAN FRANCESCA

ARGOMENTI: ECOLOGIA, DEMOGRAFIA E STATISTICA, ACQUA, CONFERENZA, POLITICA
NOMI: DE HAEN HARTWIG, SOMBROEK WIM, SAGARDOY JUAN ANTONIO
ORGANIZZAZIONI: FAO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: Pianificazione idrica, consumi acqua nel Mondo

LA disponibilità di acqua è sempre stata un problema per la regione mediterranea, soprattutto nelle isole che, spesso, proprio a causa della mancanza di pianificazione idrica, sono rimaste nelle retrovie dello sviluppo economico. Elemento essenziale per la sopravvivenza, l'acqua non è una risorsa inesauribile e, con una domanda che cresce esponenzialmente, sia per l'aumento della popolazione mondiale, sia per le molte altre attività agricole o industriali che ne fanno uso massiccio, economizzare non basta; occorre anche assicurarne il più possibile le qualità. Un problema che se decenni addietro poteva essere considerato soltanto tecnico, oggi viene riconosciuto come un'incognita preoccupante per il destino socio-economico di molte aree. Non a caso «L'acqua, fonte di vita» sarà il tema cui la Fao dedicherà la Giornata mondiale dell'alimentazione, il 16 ottobre. Certo, la richiesta d'acqua varia per quantità e qualità. Uno studio globale della Fao indicava recentemente che quindicimila metri cubi d'acqua sono appena sufficienti a irrigare un ettaro di riso e che la stessa quantità basterebbe a dissetare 100 nomadi e 450 capi di bestiame per tre anni; supplirebbe alle necessità domestiche di 100 famiglie urbane per due anni, raddoppiando la durata a quattro anni se si trattasse invece di 100 nuclei rurali; finendo col soddisfare soltanto 100 ospiti in alberghi di lusso per 55 giorni. Riguardo alla regione europea, esiste una grande disparità tra la disponibilità di risorse idriche e l'acqua consumata da ciascun Paese. Secondo dati che si riferiscono al 1985, ad esempio, la domanda annuale risulta «bassissima», inferiore ai 100 metri cubi a persona, per nazioni come Malta ed Albania; ma mentre la prima è considerata un Paese «molto povero» in risorse idriche (sotto i 500 metri cubi di risorse a testa), la seconda è ritenuta un Paese «ricco» (tra i 5000 e i 10 mila metri cubi a testa); per non parlare della ricchissima (in risorse) ex Jugoslavia, che con oltre 10 mila metri cubi di acqua a testa riflette invece una domanda «bassa» che varia da soli 100 a 500 metri cubi di consumi per abitante. Così per Paesi considerati «abbastanza ricchi» di acque (tra i 2000 e i 5000 metri cubi a testa), la Turchia e la Siria rispecchiano una domanda «bassa», contro una richiesta «moderata» di Francia, Spagna e Italia, con un consumo che si aggira tra i 500 e i 1000 metri cubi a testa. La «ricca» Grecia (siamo tra i 5 e i 10.000 metri cubi a testa di risorse) non ha che una domanda «moderata», mentre l'Egitto «povero» supera i 1000 metri cubi di richiesta per abitante. Dal che risulta, in una tendenza quasi inversamente proporzionale, che i Paesi mediterranei si trovano in situazioni diversissime a seconda che vengano classificati per la loro ricchezza di acque o per i consumi che vengono effettuati. Il Piano Blu per il Mediterraneo del Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente, analizzando un possibile scenario futuro, sottolinea una crescente scarsità d'acqua in tutti i Paesi della fascia meridionale del bacino e nella maggior parte di quelli della fascia orientale. Gli indici di sfruttamento, secondo lo studio, potranno superare il 20 per cento in 13 Paesi e il 50 per cento in altri (Malta, Libia, Israele, Egitto, Cipro e Tunisia); gli indici di consumo potrebbero raggiungere o superare il 25 per cento in 10 Paesi e il 50 per cento in altri sei. Il problema delle isole resta invariato: con tutte le risorse idriche sfruttate al massimo, rimangono invalicabili i limiti che la loro scarsità pone a qualsiasi sviluppo. Per il momento, ma anche in futuro, il solo modo per supplire alla scarsità d'acqua dolce è di ottenere acqua potabile attraverso la desalinizzazione e il riciclaggio delle acque reflue, oppure con l'erogazione d'acqua attraverso i grandi contenitori e le grandi tubature sottomarine, a costi sicuramente poco economici. Chiaramente, la prima soluzione è quella - mai abbastanza raccomandata - di fare un uso più oculato ed efficiente delle acque disponibili. La situazione peggiora notevolmente nel periodo estivo; prima per la siccità, allorché l'irrigazione impone una maggiore pressione sulle risorse disponibili, poi per la maggiore domanda della popolazione, alla quale si aggiunge il turismo stagionale. «Quella del turismo estivo nelle isole e lungo le coste del Mediterraneo è un'arma a doppio taglio», sottolinea Hartwig De Haen, vicedirettore generale per il Dipartimento dell'Agricoltura alla Fao. «Se da un lato esso porta vantaggi economici alle casse regionali, dall'altro spesso contribuisce a far raddoppiare la popolazione, a volte a farla aumentare di 30 volte rispetto alle presenze invernali, esasperando la situazione dell'approvvigionamento idrico. «E' quello che noi chiamiamo una siccità socio-economica - aggiunge - che non ha nulla a che vedere con la mancanza di precipitazioni, ma che è la netta conseguenza di una gestione inefficiente delle risorse idriche, peggiorata dall'eccesso di domanda. Questo tipo di siccità, non essendo un fenomeno naturale, può essere evitata e facilmente controllata». Wim Sombroek, attuale direttore della divisione dei suoli e delle acque, fa notare come proprio in queste regioni ad alto sviluppo si lamenti una maggiore carenza di acqua dolce e si riscontrino seri problemi per l'inquinamento e la protezione delle risorse. «Certo, basterebbe rispettare la natura ed usare strategie che permettano di ottimizzare l'uso e favorire la conservazione delle risorse - dice -, che, tradotto in parole povere, significa migliorare le pratiche agricole, adottare regole severe per l'uso e la conservazione ed apportare tutti i cambiamenti necessari a livello istituzionale». In merito alla gestione, Juan Antonio Sagardoy, a capo della sezione per la gestione e la conservazione delle acque, non nasconde le difficoltà che esistono proprio a livello istituzionale. «Il compito è complesso e vi è una gran confusione su chi dovrebbe fare cosa - spiega -. Le responsabilità di gestione possono essere dirette o indirette e fare capo ad uno o più organismi contemporaneamente. Quel che è certo è che per superare il problema della scarsità d'acqua l'azione deve essere costante, in un processo continuo ed integrato: non siamo su un progetto che comincia quando si presenta la siccità e finisce quando la situazione torna alla normalità». Gli esperti della Fao sottolineano che gli organi di rilevamento, quelli di gestione, gli addetti alla conservazione o all'erogazione, le autorità, da quelle del settore energetico a quelle dell'agricoltura e della pesca, dal turismo ai dipartimenti delle aree urbane e dei parchi, fino ai controllori delle dighe, devono riuscire ad armonizzare il proprio ruolo, raccogliere tutte le cognizioni possibili di una situazione locale o regionale per poterla affrontare, magari sotto il controllo di un'unica autorità delle acque. «E' anche vero - conclude il vicedirettore generale De Haen - che oltre alle condizioni climatiche sfavorevoli, spesso in alcune regioni mediterranee manca la pianificazione, mancano i mezzi finanziari e manca il personale specializzato. Questo fa sì che un'organizzazione inefficace sia spesso la causa principale dell'inadeguatezza delle riserve d'acqua, soprattutto in estate». E così ogni anno abitanti locali e turisti rischiano di trovarsi con l'acqua alla gola. Francesca Steinman


TEST GENETICI La salute nella sfera di cristallo I mali prevedibili ma non curabili: che fare?
Autore: GIACOBINI EZIO

ARGOMENTI: GENETICA, RICERCA SCIENTIFICA, MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: Morbo di Alzheimer, morbo di Huntington

SE una vostra nonna è morta per il Morbo di Alzheimer (demenza senile) o vostra madre ha sofferto della corea di Huntington, o se diversi membri della vostra famiglia sono stati colpiti da tumori mammari od ovarici, vi sottoporreste a un test genetico sicuro che possa rivelarvi se avete o meno ereditato un gene difettoso che porterà voi stessi a sviluppare la stessa malattia dei vostri cari? Un risultato positivo dell'esame suonerà come una condanna a vivere il resto dei vostri giorni coscienti che un giorno comincerete a perdere la memoria (Alzheimer) o ad assistere alla comparsa di movimenti scoordinati in tutto il corpo (Huntington). D'altra parte un risultato negativo dell'esame vi rassicurerebbe e vi permetterebbe di pianificare la vostra vita in modo normale. Sono ormai numerose le malattie ereditarie che possono essere rivelate con un esame genetico prima dell'insorgere dei primi sintomi (che in alcuni casi possono tardare anche di 15-20 anni). Tra queste vi è appunto il morbo di Huntington che colpisce il sistema nervoso centrale. Il test è ora a disposizione delle 30 mila famiglie che ne sono affette in Usa al costo di 300 mila lire. Anche per l'Alzheimer è ora possibile in quasi tutti i centri clinici americani stabilire la presenza di un gene determinante una proteina specifica chiamata Apolipoproteina E il cui aumento è indice di alto rischio dello sviluppo della malattia in 3-5 milioni di individui in Usa. Studi recenti dimostrano che il 10 per cento delle persone alle quali viene rivelato di essere portatori di un gene malato reagiscono con una grave depressione difficilmente alleviabile con terapia. La possibilità già tuttora esistente di estendere test del genere a casi di neoplasie endocrine multiple di tipo 2 (tumori delle ghiandole endocrine), ad alcune forme di tumore mammario o ovarico ed alla poliposi intestinale di tipo familiare, che talvolta precorre il tumore del colon, estende di molto l'utilità di tali esami. Un numero sempre maggiore di laboratori americani si attrezza a questo scopo familiarizzandosi con le nuove tecniche offerte dalla biologia molecolare e dalla genetica di base. Almeno una dozzina di ditte in Usa stanno cercando di sviluppare test accessibili a tutti gli ospedali. Malgrado in certi casi il vantaggio di una diagnosi precoce sia evidente, come per i tumori la cui insorgenza sia prevedibile prima della manifestazione sintomatica, esiste la possibilità di un errore dell'esame come false positività o false negatività. In entrambi i casi le conseguenze possono essere disastrose per il paziente. Gli errori sono evitabili se l'esame viene eseguito in laboratori specializzati e controllati e se infine il test è riservato a membri di famiglie nelle quali si siano verificati numerosi casi della malattia o quando la mutazione possa essere confermata mediante altri test di genetica. Un'applicazione quasi di routine è prevista nel campo dei tumori entro dieci anni. Ciò fornirà al medico un nuovo elemento di valutazione, rendendo meno utili, se non col tempo addirittura obsolete, indagini come l'attuale mammografia. Per tutelarsi da test poco affidabili l'organo di controllo sui farmaci americano, la Fda, ha stabilito per questi test la stessa rigorosa documentazione che è d'obbligo per la registrazione di nuovi farmaci. A volte l'uso è limitato al campo sperimentale clinico. Avvicinandosi il boom dei test genetici previsto entro 5-10 anni, si stanno stabilendo regolamentazioni precise. Sorgono però problemi nuovi mai prima verificatisi nella storia della medicina. Si tratta principalmente di rifiuti di assistenza o mancati rinnovi nel campo delle assicurazioni sulle malattie o sulla vita. Tali possibilità sono già state prese in considerazione nell'ambito della riforme del sistema sanitario proposta dal presidente Clinton. Un recente articolo sull'American Journal of Human Genetics riporta ben 41 casi di palese discriminazione da parte di società di assicurazioni al danno di individui perfettamente sani al momento della richiesta ma rivelatisi portatori di geni difettosi con alto rischio di sviluppo di determinate malattie. Altri individui si vedono rifiutare per il medesimo motivo il diritto di adozione. Altri infine non possono ottenere un posto di lavoro. Il nuovo termine medico coniato per definire tali individui è «malato asintomatico». Una proposta di legge inoltrata nel '94 al Consiglio d'Europa e firmata da 32 Paesi propone di proibire l'uso di test genetici a scopo discriminatorio da parte di società di assicurazioni e datori di lavoro. Il danno materiale e morale che può derivare in seguito alla rivelazione di un risultato positivo di un test genetico non è da trascurarsi a meno che questo abbia un effetto immediato preventivo o terapeutico. La via più ovvia sarebbe la correzione del gene malato mediante sostituzione o knock-out. Le tecniche per tali interventi sono in via di sviluppo. E un'inchiesta di Time/Cnn rivela che oltre la metà delle persone alle quali venne chiesto se sarebbero state disposte a farsi fare un test rivelatore di geni difettosi con possibile futuro sviluppo di gravi malattie e sofferenze ha risposto affermativamente. Ezio Giacobini Università del Sud Illinois


IMEKO A TORINO Difficile arte della misura Al servizio dell'industria e della ricerca
Autore: SARTORI SERGIO

ARGOMENTI: METROLOGIA, CONFERENZA, INDUSTRIA, RICERCA SCIENTIFICA
ORGANIZZAZIONI: IMEKO, CNR
LUOGHI: ITALIA, TORINO (TO)
NOTE: «Conferenza internazionale delle Misure»

E' in corso al Lingotto di Torino il XIII congresso mondiale della Confederazione internazionale delle Misure (Imeko). L'Imeko nacque nel 1958 con il fine di promuovere la cooperazione tra Paesi dell'Est e dell'Ovest nel settore delle misure. Il congresso mondiale torna in Europa a 9 anni da quello tenuto a Praga nel 1985. Torino ha il difficile compito di gestire il Congresso delle grandi novità, quando i problemi non sono quelli della collaborazione tra Est e Ovest, poiché il muro di Berlino non blocca più la libera circolazione dei prodotti della ricerca e della produzione industriale, ma quelli di una società mondiale che deve trovare nuovi equilibri. L'Imeko da Torino lancia una sfida: propone la collaborazione non solo tra Paesi diversi ma tra discipline che spesso operano ignorandosi tra loro; e questa collaborazione la indirizza all'innovazione, per fornire alla società postindustriale i mezzi di un armonico progresso. Sono membri dell'Imeko organismi, uno per ciascuna delle 34 nazioni aderenti, i quali coordinano, nella nazione d'origine, interessi industriali, didattici e di ricerca ad ampio raggio. Organismo italiano di Imeko è il Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr). Imeko XIII si svolge in un clima che colpisce chi partecipa abitualmente a congressi internazionali: qui i temi trasversali sono dominanti, come dominante è la ricerca del linguaggio comune, nella consapevolezza che la matrice culturale unitaria offerta a tutti coloro che si occupano di misure rende più facile che altrove lo scambio di esperienze. Trasversale ad esempio è il dibattito sul ruolo del computer nelle misure, siano esse le misure per il controllo di qualità nei processi produttivi industriali o le misure per il controllo delle condizioni ambientali nelle serre per produzione agricola. Il computer, che alcuni giorni fa fermò il lancio dello Shuttle all'ultimo secondo avendo rilevato dati anomali in uno dei motori, è protagonista delle misure in biologia e in medicina, delle misure che si compiono sul prototipo di un'automobile per verificare gli effetti degli urti e per migliorare la sicurezza di chi viaggia. Di computer e misure parlano gli esperti di controlli, discutendo di misure di traffico e di metodi per la sincronizzazione dei semafori al flusso dei veicoli; e ancora ai computer e misure si discute nel tentativo di individuare nelle scienze informatiche e nelle scienze della misurazione le implicazioni filosofiche comuni e i risvolti applicativi ad esse conseguenti. Per compiere misurazioni sugli oggetti e sui fenomeni nel mondo della natura sono essenziali due aspetti che non dipendono dall'applicazione: la capacità di descrivere mediante modelli le proprietà e le caratteristiche che siamo interessati a misurare sugli oggetti e sui fenomeni; la disponibilità di mezzi tecnici, detti sensori e trasduttori, che consentono di trasformare proprietà e caratteristiche di interesse in segnali idonei per essere interpretati ed elaborati dagli strumenti di misura. Ai modelli e ai sensori, aspetti trasversali tipici della scienza delle misure, Imeko dedica molte ore di discussione. Fino a pochi decenni fa l'umanità disponeva quasi solo dei cinque sensi per recepire informazioni dal mondo esterno. Oggi gli strumenti di misura si pongono come interfaccia tra i sensi e la natura. Ai sensori Imeko dedica spazi in quasi tutte le sessioni: si parla di costruzione di sensori speciali, di loro caratterizzazione, di sensori intelligenti, capaci cioè di rispondere a stimoli di diversa natura e di compiere elaborazioni preliminari sui segnali da essi stessi generati. In una sessione speciale si discute di sensori come scienza, sul come ottimizzare la loro progettazione, sul come applicare tecniche nuove, come le matematiche sfumate o le reti neutrali, all'architettura dei sensori e all'elaborazione dei segnali da essi generati. E ancora si parla di sensori e di sistemi di misura atti ad operare in condizioni ostili, in presenza di temperature e pressioni molto alte o molto basse, o di elevate vibrazioni, o di campi magnetici intensi: condizioni che si possono incontrare nello spazio, nell'esplorazione delle profondità marine, o nel cuore di una centrale termonucleare. La robotica è quella strana scienza che cerca di costruire un sostituto dell'uomo, sia esso il soldato perfetto, o il perfetto domestico, o l'infaticabile operaio di una linea di produzione. Ed ecco in Imeko gli esperti di robotica studiare sensori tanto nuovi da essere vecchi quanto l'uomo: sensori di tatto, mediante i quali il robot sappia distinguere forme e natura delle superfici, con la delicatezza con la quale gli umani sanno accarezzare o con la forza con la quale essi sanno afferrare. E sensori che imitino l'occhio, nella sua affascinante capacità di afferrare con rapidità incredibile panorami sconfinati e dettagli insignificanti, sfumature di colore e di luce. I numeri di Imeko sono il segno evidente dell'impegno e del successo dell'iniziativa: 610 contributi scientifici proposti da oltre 1200 autori di 45 nazioni diverse; un Comitato scientifico internazionale costituito da 40 membri ha selezionato 530 contributi, 450 dei quali sono stati pubblicati sugli atti del Congresso, tre volumi per un totale di oltre 2700 pagine, e sono discussi durante le 5 Sessioni parallele, con oltre 100 ore di presentazioni guidate da 118 diversi presidenti di Sessione. Centosessantacinque lavori scientifici sono anche esposti, sotto forma di poster, in due speciali sessioni durante le quali è facilitato l'incontro diretto e personale tra i partecipanti. In dieci tavole rotonde si confrontano le opinioni degli esperti su temi come le misure e le simulazioni nella terapia protonica, il contributo delle infrastrutture per i campioni e per i metodi di misurazione allo sviluppo del terzo mondo, l'interazione tra uomo e mezzi tecnici nella diagnostica industriale. Sergio Sartori Rappresentante del Cnr nel Consiglio Generale Imeko


PARLA UN'ALLIEVA Quelle lezioni di Enrico Fermi
AUTORE: OMBRES ROSSANA
ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA
PERSONE: ANGELORO VERA
NOMI: FERMI ENRICO, ANGELORO VERA
LUOGHI: ITALIA

CAPELLI bianchi ancora rampanti, carnagione e occhi limpidissimi, ricordi - antichi, a mezza distanza e recenti - evocati con puntiglio lievemente vanitoso e con una chiarezza da spiazzare la sicumera di molti psicologi. Vera Angeloro, quasi ottantanove anni, ascendenze meridionali, viene da Pisa. Siamo a Tirrenia, in altri tempi centro di stabilimenti cinematografici e di colonie marine (ora ridotti in umide sepolture): una gran massa di pini che ha per scriminatura la via Pisorno, dal buffo nome da ibrido di animale, che divide i suoi rivali frequentatori pisani o livornesi. Nel 1925 Vera, non ancora ventenne, è a via Panisperna: viene dall'Istituto Fisico Matematico - che con la riforma Gentile diventerà Liceo Scientifico - con la media dell'otto che l'ha affrancata dall'esame di Stato. Uno dei suoi professori ha appena 24 anni: è Fermi. A parte l'unicità delle sue lezioni, il suo genio, per una quasi coetanea Enrico Fermi era - nel senso attuale della parola - affascinante? «No. Aveva lineamenti regolari ma rigidi: dunque non era bello. Lo sguardo duro, lontano. La sua cattedra era un tavolo zeppo di prese elettriche che, durante la lezione, Fermi tormentava con le mani, accarezzandole e picchiettandole in un continuo gioco nervoso, piuttosto distraente. Invece a teatro...». A teatro? «Al Valle. Nel loggione numerato. Anch'io frequentavo quel loggione e lo vedevo seguire attento gli attori: sempre perfettamente immobile». La ex ragazza di via Panisperna sa ancora con esattezza nomi e cognomi dei compagni di corso, della vamp del gruppo, nipote di un notissimo ammiraglio della guerra '15-'18, che abitava in un quartiere esclusivo, come dei professori severi e permalosi. Ricorda perfettamente cruciali interventi, frasi apocalittiche: il professore di chimica che chiese a uno scolaro che disturbava come si chiamasse ed avendo l'impunito risposto che non se lo ricordava, vaticinò: «Ti riconoscerò tra mille anche tra cinquant'anni...». Fermi lanciava anatemi del genere? «Mai. Se veniva disturbato, tutt'al più smetteva di parlare e riprendeva quando il disturbo cessava». Compagni di corso della Angeloro erano Amaldi, Segrè e Majorana: tra ragazzi e ragazze c'era un dialogo scarno, essenziale, si davano il lei. «I professori appena vedevano noi ragazze in corridoio ci intimavano di sgombrare: mentre negli intervalli si associavano agli scolari e parlavano e scherzavano con loro. Amaldi, che era chic e spiritoso, poteva esibirsi in corridoio nelle sue amate danze cosacche, che eseguiva con eleganza, ammirato da tutti». Gli hobby di Fermi e dei suoi scolari? «Majorana, pallidino, lentigginoso e un po' musone, non aveva hobby di sicuro. Fermi e Amaldi erano appassionati della montagna. Fermi andava per monti con l'assistente di un suo collega, una signorina con parecchi anni più di lui. Una volta si persero e tornarono con un giorno di ritardo, pieni di cerotti. Fermi era affezionato a una macchina vecchissima: tutti noi, in questo caso ragazzi e ragazze insieme, correvamo per via Panisperna a raccattare i pezzi che la sua macchina abitualmente perdeva». Si pensava che la fisica fosse roba da uomini? «I professori si curavano poco di noi, pensavano che saremmo finite a insegnare; i ragazzi, invece, erano destinati alla grande ricerca». Vera ha insegnato per tanti anni al liceo, ha sposato Giacomo Porcelli, illustre latinista, ricordato anche come il preside più terribile di Pisa; il figlio è titolare di una cattedra di lingua e letteratura italiana all'università di questa città. «Sa che a noi ragazze facevano dare l'esame in piedi? In piedi, vicino alla lavagna. Tranne... tranne quella nostra compagna di corso che si fidanzò con Fermi. Lui non aveva lasciato capire un bel niente. Sempre quello sguardo freddo, assente, quelle labbra senza sorriso, quei modi svagati anche con lei, che poi divenne sua moglie. Ma noi l'avevamo capito dai professori: che agli esami la facevano sedere, le rivolgevano le domande non bruscamente come facevano con noi ma con gentilezza. Insomma, la trattavano con tutti i riguardi». Rossana Ombres


IN BREVE A Mosca il premio di Eco-Crea
ARGOMENTI: DIDATTICA, PREMIO
NOMI: MANZELLI PAOLO (FONDATORE), DI VIORA MERCEDES, MARKETOS SPYROS, YUDIN BORIS, COBRIN VLADIMIR (VINCITORI)
ORGANIZZAZIONI: PREMIO CAPIRE, ECO-CREA
LUOGHI: ESTERO, CSI, RUSSIA, MOSCA

Verrà consegnato a Mosca l'11 settembre il premio «Capire» istituito dall'associazione internazionale Eco-Crea «per un futuro creativo. Il riconoscimento è biennale ed è ormai giunto alla terza edizione. Fondatore è stato Paolo Manzelli, dell'Università di Firenze, che si occupa attivamente della diffusione del sapere scientifico a tutti i livelli. I premiati di quest'anno sono la venezuelana Mercedes Di Vora, Luigi Campanella, presidente di Musis (Università di Roma «La Sapienza»), Spyros Marketos, presidente della Fondazione Ippocratica di Kos, Boris Yudin, vicepresidente del Comitato di bioetica russo e Vladimir Cobrin, direttore di una società cinematografica che produce documentari divulgativi.


IN BREVE Il mutamento di clima: conferma
ARGOMENTI: METEOROLOGIA
ORGANIZZAZIONI: ONU
LUOGHI: ITALIA

Il Gruppo di studio internazionale costituito dall'Organizzazione meteorologica mondiale (sotto l'egida dell'Onu) sta per presentare un documento che conferma l'esistenza di mutamenti climatici globali in atto a causa delle emissioni inquinanti dell'uomo. Anche stabilizzando oggi le emissioni, il loro effetto continuerà ad accrescersi per altri 200 anni.


IN BREVE Nono Meeting dei planetari
ARGOMENTI: ASTRONOMIA, CONGRESSO
LUOGHI: ITALIA, CRESPANO DEL GRAPPA (TV)

Si terrà il 15 ottobre al Centro Incontri di Crespano del Grappa (Treviso) il nono Meeting nazionale dei Planetari. Per informazioni: tel. 0423-53.080; fax: 030-370.1048


IN BREVE L'antica Veleia torna alla luce
ARGOMENTI: ARCHEOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

Procede con successo la campagna di scavi per riportare alla luce il passato di Veleia, l'antica città romana dell'Appennino piacentino nata al tempo della seconda guerra punica e poi rifondata qualche decennio prima della nascita di Cristo. Gli scavi permetteranno di ricostruire eventi storici tuttora controversi. Per informazioni: tel. 0523-79.52.42.


NEL NOVARESE INQUINATO Via il petrolio, tornerà la risaia Batteri naturali per bonificare il terreno
Autore: QUAGLIA GIANFRANCO

ARGOMENTI: ECOLOGIA, INQUINAMENTO, PETROLIO, AGRICOLTURA, AMBIENTE
ORGANIZZAZIONI: AGIP
LUOGHI: ITALIA, TRECATE (NO)
NOTE: Bonifica dei terreni inquinati dal greggio

ACCADE il pomeriggio del 28 febbraio: 15 mila metri cubi di petrolio greggio, dopo l'esplosione di un pozzo di perforazione, si riversarono sulla campagna e le case di Trecate e Romentino, nella risaia novarese. Una catastrofe ecologica che a sei mesi di distanza, dopo interventi massicci, è superata almeno per quanto riguarda i centri abitati. Ma il «blow-out», come è definito in gergo, ha lasciato il segno. Restano da bonificare i terreni, che erano quasi tutti coltivati a risaia e attorno al pozzo T 24 hanno assunto le sembianze di un paesaggio lunare: ancora intrisi di greggio, incoltivabili. L'Agip, che ha la responsabilità delle trivellazioni in questa zona considerata tra le più ricche di idrocarburi in Italia, ha promesso che tutto ritornerà come prima: terreno fertile, adatto alla coltivazione del riso e degli altri cereali. Il piano esecutivo di bonifica presentato dall'Agip alla Regione Piemonte è quello predisposto dalla Compagnia Enserch Environmental Corporation di Lyndhurst (Usa), divisione ambientale della Ebasco Services Incorporated. Il primo progetto è stato rinviato dalla Regione, che, pur condividendo gli interventi per la fascia meno inquinata, non è completamente in sintonia con l'Agip per quanto riguarda il risanamento dell'area dove la concentrazione di idrocarburi è più alta. Fra pochi giorni l'Agip dovrebbe presentare un progetto definitivo e più particolareggiato. Ma sarà mantenuta integra la strategia di bonifica, che si basa innanzitutto su un concetto: il ricorso a metodi naturali e alle risorse insite nel terreno stesso. Come dire che dovrebbe essere il terreno inquinato dal greggio, opportunamente aiutato con nutrienti, ad autopulirsi sino a raggiungere lo stato originale. Ecco le proposte Agip e che cosa dovrebbe accadere nei prossimi mesi attorno al Pozzo T 24, neutralizzato dopo l'incidente. L'area interessata è stata suddivisa in tre fasce, a seconda della concentrazione di idrocarburi depositati. La «zona 1», circa 1000 ettari, è la più grande e lontana dal punto dell'esplosione. Qui, dove il petrolio è presente in quantità minima, sono previsti monitoraggi delle colture di riso o di qualsiasi altra coltivazione. Con una campionatura (25 punti di controllo dati) sarà confrontato il raccolto con le vicine aree non contaminate, per valutare l'effetto della deposizione del petrolio sul prodotto. Nella «zona 2» (500 ettari, concentrazioni di petrolio da 50 a 10.000 mg/Kg) sarà applicato il sistema «Land farming», cioè la coltivazione dei terreni. I tecnici si affideranno, insomma, alla «biobonifica» del greggio nel suolo. L'operazione apporta ossigenazione al terreno, ne promuove i processi biodegradativi naturali e potenzia l'effetto dell'attività batterica. Si userà una specie di coltura a secco (non il riso) che accelera la biodegradazione. Uniche varianti previste: fertilizzanti in forma di azoto e fosforo. Il terreno che da solo, in modo autonomo, dovrà produrre batteri mangiapetrolio già normalmente presenti nel suolo. Ma la grande sfida dei bonificatori sarà nell'anello di terra attorno al pozzo, dove il paesaggio ha ancora sembianze lunari. E' qui che sono sorte le maggiori divergenze fra enti e Agip. E' il primo caso in Italia di ripristino di terreni agricoli rovinati da petrolio e la Regione vuole le massime garanzie. La «zona 3» copre un'area di 40 ettari con concentrazioni di greggio a oltre 10.000 mg/Kg. Anche un profano comprende che quel nero in superficie non consentirebbe alcuna coltivazione. La «land farming» sarebbe inutile, occorre intervenire con una strategia radicale, ma sempre con un obiettivo: il rispetto della natura. Ed ecco il piano Agip. Prima di tutto un rullo compressore, con l'aiuto di un laser, dovrebbe livellare il terreno che arato in precedenza dagli agricoltori presenta solchi e buche irregolari. Poi entreranno in azione i bulldozer o altre attrezzature per la rimozione, fino a 10 centimetri, di uno strato del suolo più altamente contaminato. Il terreno, trasportato poco lontano, verrebbe ammassato in «biopile», specie di sili in cui la terra non sarà mantenuta inerte ma trattata con un fertilizzante di alta potenza e con tubi perforati per aerazione. Anche in questo caso lo scopo è di distribuire ossigeno ai microrganismi indigeni che mangeranno gli idrocarburi presenti. L'aria sarà fornita alla biopila attraverso un compressore. Forse trascorreranno mesi prima che il terreno riacquisti la sua purezza antecedente l'inquinamento. Una volta purificato, tutto sarà riportato al luogo d'origine, pronto per essere nuovamente coltivato. In attesa di questa operazione il greggio rimasto nella «zona 3» sarà bonificato tramite coltivazione della terra, sottoposta a frequenti arature che hanno lo scopo di mantenere concentrazioni di ossigeno. Altre tecniche previste e proposte: il «bioventing», sistema di ventilazione nel terreno che consiste nell'iniezione di aria per stimolare i microbi e stimolare la degradazione; e il «bioslurping» per recuperare l'eventuale petrolio che fosse migrato nella falda acquifera. In questo caso sarà realizzato un pozzo di recupero sino a una profondità di 15 metri. Gianfranco Quaglia


SCOPERTA Bussola nel cervello segreto dei salmoni
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ETOLOGIA, ANIMALI, ZOOLOGIA
NOMI: EBBESSON SVEN
LUOGHI: ITALIA

CI vuole una bella abilità a riorganizzare il proprio cervello al momento giusto, quando si tratta di affrontare un'impresa difficile. Sembra incredibile, ma c'è un pesce capace di farlo. E' il salmone. L'hanno scoperto Sven Ebbesson e la sua equipe dell'Università d'Alaska a Fairbanks, studiando il salmone argenteo (Oncorhynchus kisutch) una delle specie più comuni nel Pacifico. La vita del salmone è complicata. Incomincia, alla nascita, nel letto ghiaioso e nell'acqua limpida di un torrente di montagna. Qui la madre ha deposto da diecimila a trentamila ovetti minuscoli che il padre ha subito fecondato. Lui sguscia da uno di quegli ovetti. E' un grazioso avannotto vestito della livrea giovanile caratterizzata da un succedersi di bande trasversali e di macchie scure. Per quattro settimane c'è un biberon naturale che lo alimenta. E' il sacco vitellino ricco di sostanze nutritive che gli pende dalla pancia. A poco a poco il sacco si svuota. E allora bisogna incominciare a darsi da fare. Così il piccolo impara a catturare pesciolini più minuti di lui, come barbatelli o scazzoni e se li mangia. Mangiando cresce e il tempo passa. Quando raggiunge circa diciotto mesi, all'interno del suo cervello avviene il mutamento di scena che è stato ora scoperto, mentre all'esterno, prima o poi (addirittura cinque anni dopo se è nato molto a Nord, dove fa più freddo), si nota un cambiamento di vestito. Gli spunta addosso una vivace livrea argentea. Ed è giunto, per questo salmoncino che misura generalmente dai dieci ai venti centimetri, il momento della calata in mare. Si lascia andare, si abbandona passivamente alla corrente che lo trasporta sempre più giù. Raggiunge così l'immensa conca marina e qui ha inizio la grande abbuffata. Nuotando in superficie lungo le coste trova spratti e anguille di sabbia e malloti in quantità. E mangia a crepapelle. Quando ha spopolato le acque costiere, può darsi si immerga più a fondo per cercare altre prede. E' chiaro che con questo regime cresce in peso e volume a vista d'occhio. Dopo un anno di vita marina è già lungo più di mezzo metro, dopo tre anni raggiunge il metro e può superare i 13 chili. Si risveglia il suo istinto errante. Salmoni atlantici marcati davanti alle coste europee sono stati pescati nelle acque della Groenlandia. Ma il bello deve ancora venire. Ormai il nostro protagonista ha acquistato peso, vigore ed energia per affrontare il cimento più importante della sua vita: il viaggio nuziale. L'orologio biologico gli dice che è ora di partire. L'odore di casa, che gli si è impresso nel cervello quando gli si era straordinariamente sviluppato il bulbo olfattivo, lo guida come una bussola infallibile verso il fiume che ha percorso in senso inverso nella fase giovanile. Questa volta però l'impresa è più difficile. Bisogna risalire controcorrente. Ma il salmone non si scoraggia. Si dà lo slancio con la coda muscolosa e supera d'un balzo rapide e cateratte. Avanza così a una velocità media di dodici chilometri orari. Di mangiare non se ne parla nemmeno. Non ne avrebbe il tempo. Attinge alla riserva di grasso che ha accumulato durante il soggiorno in mare. E così, dopo un viaggio estenuante che può durare 15 o 16 mesi, arriva al ruscello dove ha visto la luce. E' ormai sessualmente maturo. E la sagra nuziale può avere inizio. Se è femmina, dimenticata la stanchezza, si mette immediatamente a scavare con grandi colpi di coda il fondo ghiaioso. Il «nido» è una buca profonda dai dieci ai venti centimetri, lunga anche un metro. Se è maschio, gli ci vuole una certa messa in scena per conquistare le grazie femminili. E allora, dopo aver battuto in duello i rivali che gli contendevano la prescelta, le si avvicina spavaldo e le fa capire le sue intenzioni «serie» dandole ripetuti colpi di testa nei fianchi. E' un linguaggio eloquente. La femmina l'afferra al volo. Sicché di lì a poco i due si avvicinano al nido e vi lasciano cadere dentro uova e spermatozoi. Ma il legame di coppia non è duraturo. Alla deposizione successiva - per tante migliaia di uova, di deposizioni ce ne vogliono parecchie - il maschio non è più quello di prima, è cambiato. Sperma ce ne vuole parecchio per fecondarle tutte e quello di un solo maschio non basta certo. Bisogna poi tener conto della forte mortalità infantile. Il biologo canadese Foerster ha calcolato che da due milioni di uova prodotte da 500 femmine, regolarmente fecondate, schiudono 950 mila avannotti. Ma di questi soltanto 19 mila riescono a raggiungere il mare. Alla decimazione naturale dei giovanissimi si aggiunge la decimazione degli adulti operata dall'uomo. Troppe dighe idroelettriche sbarrano la strada al salmone nel suo viaggio verso il torrente natio. Troppe industrie scaricano rifiuti inquinanti nei fiumi. Troppi pescatori fanno incetta delle sue prede preferite. Risultato. I salmoni selvatici sono in allarmante declino. E allora? Si corre ai ripari. Si creano gli allevamenti artificiali. Ma, secondo Peter Maitlasnd dell'Università di Edimburgo, ci stiamo dando la zappa sui piedi. Facciamo la selezione alla rovescia. Allevati senza lo stimolo della lotta per la sopravvivenza, i salmoni di allevamento diventano sempre più ottusi e poco combattivi. La specie così a poco a poco degenera. Questa è la preoccupazione degli scienziati. Ma la gente non è così lungimirante. L'importante è che non le manchi in tavola quella rosea gustosissima carne di salmone. Isabella Lattes Coifmann


SCAFFALE Wiener Norbert: «L'invenzione», Bollati Boringhieri
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

COME si arriva a un'invenzione? Dipende da tanti fattori. Ci vuole un'idea originale, ovviamente. Ma le nuove idee maturano soltanto se c'è un clima intellettuale favorevole. In secondo luogo è indispensabile che esistano già tecnologie in grado di dare concretezza all'idea (Leonardo non poté realizzare quasi nessuna delle sue macchine per l'inadeguatezza dei materiali disponibili). Infine, perché un'invenzione si affermi, occorre un adeguato ambiente sociale. Norbert Wiener (1894- 1964, un fondatore della cibernetica) analizza, attraverso alcuni esempi emblematici, le circostanze in cui sorgono le invenzioni moderne. Il libro risale al 1954, l'autore non lo finì e rimase a lungo nel cassetto di un editore americano. Pur incompleto e inframmezzato da considerazioni divagatorie che lo rendono disorganico, vale tuttavia la pena di leggerlo per l'acutezza delle osservazioni che nasconde, quasi dissimulate in mezzo alla zavorra.


SCAFFALE Deleage Jean-Paul: «Storia dell'ecologia», Cuen. Larcher Walter: «Ecofisiologia vegetale», Edagricole
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ECOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

L'ecologia si struttura sempre più come scienza interdisciplinare, uscendo dalla genericità dei suoi esordi. La «Storia dell'ecologia» di Jean-Paul Deleage mette bene in evidenza come questa giovane scienza sia per eccellenza una disciplina della complessità, e come tale particolarmente resistente alle rozze semplificazioni cui sono abituati i politici e i mezzi di comunicazione di massa. «Ecofisiologia vegetale», di Walter Larcher, è un ottimo esempio concreto di questa complessità, in quanto isola il problema della fisiologia vegetale in relazione all'ambiente ma il campo, per quanto delimitato, si dimostra ricco di infinite diramazioni, correlazioni e fenomeni di retroazione. Sempre in tema, da segnalare «Introduzione all'ecologia degli incendi» (Liguori Editore, a cura di Stefano Mazzoleni e Giovanna Aronne, autori vari) e «Dizionario di ecologia» (Sperling & Kupfer, 115 pagine, 26 mila lire).


SCAFFALE Accati, Durante, Vietti: «Piccoli giardini, terrazzi e balconi», Sonzogno
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: BOTANICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Quella del giardino è un'arte, una cultura, una forma di espressione dei sentimenti e della fantasia. Questo libro è semplice e affabile per chiunque voglia circondarsi di una compagnia di verde e di fiori: in campagna come al mare o in montagna e persino in città, sul balcone di casa. Stimolante l'introduzione storica, molto pratici i capitoli che seguono, numerose e funzionali le illustrazioni.


SCAFFALE Davies Paul: «The Edge of Infinity», Penguin
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: FISICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

La produzione Penguin è da qualche tempo ben distribuita in Italia grazie alla sede di rappresentanza che questo editore ha aperto a Milano (via Felice Casati 20). Segnaliamo «The edge of infinity» di Paul Davies sui buchi neri; «The Fermi solution» di Hans von Baeyer su temi di fisica di frontiera come i monopoli, lo zero assoluto e la nozione di vuoto; «Eight Little Piggies» di Stephen Jay Gould sull'evoluzione e sui grandi problemi della storia naturale.


SCAFFALE Della Seta Eugenia: «Messaggeri celesti», Editori Riuniti
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ASTRONOMIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

La caduta della cometa Shoemaker-Levy sul pianeta Giove ha ridato una forte popolarità a questi corpi celesti che, pur avendo una massa inferiore a un miliardesimo di quella terrestre, hanno svolto un ruolo di grande importanza nella formazione e nell'evoluzione del sistema solare, e forse anche della vita sul nostro pianeta. Questo libro offre una panoramica molto accurata delle attuali conoscenze sulle comete, spingendosi fino alla collisione Giove-Shoemaker del luglio scorso. Curioso l'ultimo capitolo, dedicato ai più noti «cacciatori di comete» di ieri e di oggi. Piero Bianucci


NUOVA TERMINOLOGIA La genetica per classificare i diversi mantelli dei cavalli Il mitico cavallo dei principi delle fiabe? Dovremmo definirlo feomelaninico
Autore: BURI MARCO

ARGOMENTI: GENETICA, ANIMALI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: I vari tipi di mantello dei cavalli vengono ora classificati su base genetica

C'era una volta il Principe Azzurro che cavalcava un bellissimo destriero bianco... Se la favola dovessimo riscriverla oggi lo definiremmo: «Cavallo feomelaninico»: forza della genetica! E' un nuovo metodo per descrivere i mantelli equini fondato su basi biologiche e sui meccanismi genetici della pigmentazione. Nei secoli il cavallo ha accompagnato ed affascinato l'uomo per la sua forza e velocità ma anche per la bellezza; Così nel corso della sua evoluzione il mantello è stato classificato in modi diversi, in base a conoscenze poco scientifiche, aree geografiche e soprattutto con una terminologia tramandata. Ogni Paese ha cercato una propria definizione che oggi va un po' stretta per l'elevato scambio di soggetti dalle varie parti del mondo. Ricercatori italiani e francesi hanno così standardizzato una nuova nomenclatura imperniata sulle attuali conoscenze biologiche della pigmentazione. Il colore del mantello equino è determinato da pigmenti del gruppo delle melanine, prodotte da particolari cellule epiteliali della cute e dei peli (melanoblasti) per azione di un enzima (tirosinasi) su due aminoacidi: tirosina e diossifenilalanina. I granuli di pigmento sono contenuti nello strato corticale dei peli e in piccola quantità nel midollo di essi. L'effetto ottico- colore del mantello si pensa sia una combinazione di fenomeni quali: quantità di pigmento, grado di dispersione dei granuli cromatici, rifrazione della luce, variabili rapporti volumetrici tra lo strato corticale e midollare e dal contenuto d'aria nel midollo del pelo stesso. Altri fattori fisici, chimici e biologici interni ed esterni influenzano la pigmentazione, l'effetto ottico-colore e la distribuzione topografica sul corpo dell'animale. Così, intensità della luce, umidità temperatura, secrezioni cutanee, età, alimentazione e grado di pulizia agiscono variando la lucentezza e quindi la bellezza estetica del cavallo. C'è stato un lento progresso nella ricerca genetica equina dovuto ad elevati costi e al lungo intervallo di generazione della specie. Il modello mendeliano con geni dominanti e recessivi è stato alla base di questi studi. Il gene cromogeno dominante regola la sintesi del pigmento e il suo recessivo il fattore albinismo; così come è dominante il gene della distribuzione uniforme del pigmento su tutto il corpo ed è recessivo quello della limitazione su alcune zone quali arti, criniera, coda, testa. Grigio, baio, morello isabella, sauro, ubero, pezzato, roano: queste sono ancora oggi le definizioni italiane classiche dei mantelli equini, ritenendo il sauro il colore di fondo più comune. Come si nota il colore bianco non esiste, in realtà si tratta sempre di grigio più o meno chiaro; solo nella depigmentazione totale (albinismo) si può parlare di pelo bianco. Nel nuovo sistema proposto, la pigmentazione è descritta con i termini di «eumelaninico» il soggetto con pigmento scuro (nero o bruno) su tutto il mantello e di «feomelaninico» quello completamente depigmentato. In mezzo a questi due estremi si classificano altri tre modelli intermedi in base al disegno pigmentato di alcune parti del corpo. Questo semplifica la difficile tipologia precedente di alcuni mantelli più vari e complessi e può spiegare come le roanature (presenza di peli depigmentati misti a peli normalmente pigmentati) sia congenita mentre l'ingrigimento con medesime caratteristiche di colore sia invece dovuta all'invecchiamento. Marco Buri


MAGIA AD USO ANIMALE Imponi le mani sul capo del tuo gatto I pranoterapeuti ora insidiano anche il lavoro dei veterinari
Autore: CAGNOTTI MARCO

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, MEDICINA E FISIOLOGIA, ANIMALI
NOMI: PACIELLO BRUNELLA, CARRERA NADIA, KOTAR JANJIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: Pranoterapia

IL micio di casa soffre di qualche strano malessere che le cure veterinarie non riescono a eliminare? Il parto della cagnolina si prospetta difficile? Ebbene, là dove la «veterinaria ufficiale» non arriva, scopriamo che ci si può rivolgere al pranoterapeuta, come già fanno migliaia di pazienti umani. Di questa interessante possibilità ci informa l'articolo «E' tutta una questione di prana», firmato da Brunella Paciello sul numero di luglio di Argos, una rivista che si rivolge ai possessori di animali da compagnia. Per chi ancora non lo sapesse, ricordiamo che la pranoterapia è un metodo di cura attraverso l'imposizione delle mani da parte di una persona in grado di sprigionare da esse una non meglio identificata «energia bioradiante». Dal colloquio con un'operatrice del settore, Janjia Kotar Lucignani, scopriamo che la pranoterapia «è efficientissima nel lenire il dolore». Inoltre «la pranoterapia aiuta gli animali nella fase pre e post parto», e «facilita alle bestiole il superamento senza traumi di operazioni e decorsi postoperatori». Ci viene però ricordato che «solo in qualche limitato caso questa metodica terapeutica può ottenere risultati buoni e talvolta anche risolutivi pur agendo di fatto da sola. Come nel caso delle artrosi, per esempio, o in alcune patologie di carattere infiammatorio». Un opportuno riquadro ci ricorda anche che a Milano opera Nadia Carrera, una pranoterapeuta «molto nota nell'ambiente ippico per aver prestato spesso le sue cure a campioni di trotto e di galoppo sofferenti di distorsioni, traumi muscolari e dolori alle articolazioni». Sapevamo che i pranoterapeuti approfittano disinvoltamente della credulità dei malati umani, ma che si dedicassero anche a spennare i padroni degli animali ci giunge nuovo. Per fortuna l'articolo ci invita a stare in guardia, per non cadere «nelle mani di ciarlatani senza scrupoli che confondono le idee e vendono illusioni. Ma senza risultati». Meno male che siamo stati avvertiti... Purtroppo, però, non ci viene detto chi sono questi ciarlatani. Certo non la signora Kotar, «che da tempo opera in stretto rapporto di collaborazione con affermati studi veterinari milanesi» (ma che naturalmente si guarda bene dal dirci di quali studi si tratta). Per distinguere i ciarlatani dagli operatori seri, l'articolo suggerisce di stare attenti al fatto che «in pranoterapia i risultati ci devono essere». Deduciamo che, fra i piccoli animali sottoposti alle cure di Janjia Kotar, siano tutti guariti. Verrebbe voglia di chiederne le prove, di domandare la verifica concreta di queste affermazioni. E se invece la pranoterapia non fosse servita a niente? Non c'è da preoccuparsi, visto che alla fine dell'articolo veniamo informati che si tratta di una terapia «che può anche fallire o non ottenere comunque risultati apprezzabili». Per concludere, e parlare seriamente della cosa, ricordiamo a chi legge che non esiste alcuna prova dell'esistenza di questa presunta «energia bioradiante» che uscirebbe dalle mani dei pranoterapeuti, che nessuno strumento ne ha mai misurato l'intensità, nè è mai stato dimostrato che, se esistesse, potrebbe avere una qualche forma di influenza sulla materia. Inoltre, anche ammesso che alcuni pazienti (umani o animali) dei pranoterapeuti migliorino le proprie condizioni di salute o addirittura guariscano, è senza dubbio più sensato ringraziare piuttosto le cure dei medici e veterinari, ai quali il pranoterapeuta si limita ad affiancarsi. Purtroppo per i pranoterapeuti, di prove che persone e animali guariscano grazie al loro intervento non ce ne sono. Ci si dirà che, anche se non fa bene, la pranoterapia non fa neppure male. Verissimo. Ma è altrettanto vero che fa molto bene al portafoglio dei ciarlatani (chi non lo è si faccia avanti e lo dimostri). Marco Cagnotti


MEDICINA AYURVEDICA In India a caccia di farmaci Efficaci 400 piante su duemila studiate
Autore: MAZARS GUY

ARGOMENTI: BOTANICA, MEDICINA E FISIOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: CESMEO
LUOGHI: ITALIA

LA coesistenza della medicina occidentale con le medicine tradizionali caratterizza tutti i sistemi sanitari extra-europei. In India, anziché scomparire di fronte alla medicina moderna, le medicine tradizionali sono ancora largamente praticate. Per evitarne l'applicazione da parte di incompetenti, gli studi e le pratiche mediche sono state regolamentate. Secondo statistiche del ministero indiano della Sanità, nel 1987 vi erano 116 facoltà e 55 dipartimenti e centri di ricerca dedicati a queste medicine, più di 12 mila dispensari e 1700 ospedali. Oltre 290 mila sono i praticanti iscritti all'albo. Questi pochi dati sono sufficienti a dimostrare l'importanza che la politica della Sanità indiana attribuisce alle medicine tradizionali. La medicina più studiata e più conosciuta è quella definita con il termine sanscrito di Ayurveda, il Sapere (Veda) sulla longevità (Ayur), le cui teorie erano già state codificate all'incirca duemila anni fa. Negli ultimi tempi i praticanti ayurvedici (o che si presentano come tali) si moltiplicano in America e in Europa, in Germania, in Italia e in Francia. Un crescente interesse si sta sviluppando soprattutto tra gli insegnanti ed allievi delle discipline dello yoga, ma purtroppo la divulgazione non è sempre accompagnata da approfonditi studi riguardanti l'autenticità, l'innocuità e l'efficacia delle pratiche, e spesso si tende ad esagerarne le possibilità. Parallelamente all'interesse del pubblico per le medicine esotiche, grazie all'impulso di alcuni ricercatori universitari, sono stati costituiti gruppi di studio interdisciplinari nelle maggiori città d'Europa. A Torino il Cesmeo (Centro di studi sul Medio ed Estremo Oriente) ha inserito lo studio della medicina indiana tra le sue attività. A Parigi dal 1983, medicine e farmacopee indiane sono tema d'insegnamento e ricerca presso la IV sezione dell'Ecole Pratiques des Hautes Etudes. L'Ayurveda fin dalle sue origini dà grande importanza all'igiene e alla dialettica sia nella prevenzione sia nella cura. Essendo il cibo alla base del processo della vita, conoscendo l'identità e la proprietà di ogni costituente vitale, si può, facendo uso di cibi rispettivamente simili o dissimili, aumentare o ridurre ogni costituente vitale, raggiungendo così l'equilibrio che è alla base della salute complessiva dell'individuo. Lo studio della dietetica è estremamente sviluppato, testi medici classificano tutte le varietà di prodotti commestibili, indicandone le differenti proprietà. L'Ayurveda pone una particolare attenzione al momento che precede e che segue il pasto. Colui che si appresta alla tavola, dovrà evitare sforzi fisici e avere cuore e sensi tranquilli. Le regole igieniche sono molto particolareggiate. Il bagno deve essere seguito da unzioni. Tutti i muscoli del corpo devono essere massaggiati, palpati uno per uno. Il cuoio capelluto deve essere frizionato con preparati oleosi. Inoltre l'uomo saggio ricercherà anche la «salute morale dell'organismo»: dovrà porre attenzione all'impulso dell'avidità, della gelosia, dell'invidia e dell'odio, considerati veleni psicologici. I testi sanscriti indicano al paziente come riconoscere i falsi praticanti della medicina. I buoni medici devono essere esperti sui 35 frutti e radici terapeutiche, sui 5 sali, sulle 8 urine, gli 8 latti, i 6 alberi da lattice e da scorza, sulle 32 polveri e paste, sui 600 purgativi, sulle 500 tisane e così via. La penisola indiana gode di tutte le possibili condizioni climatiche e quindi offre un terreno favorevole a un gran numero di piante officinali. La Carakasamhita attesta l'uso terapeutico di 345 specie vegetali e la Susrutasamhita ne menziona circa 400. I rimedi che se ne traggono devono non solo essere in grado di curare i sintomi, ma tendere a ottenere un miglioramento dell'organismo nella sua totalità e qualunque elemento si usi come medicina non deve produrre effetti secondari. Solo in epoca relativamente recente si è intrapreso lo studio scientifico della farmacopea ayurvedica, sia in India sia nei Paesi occidentali. Tra i primi lavori di ricerca si deve ricordare quello su una delle erbe indiane più note alla medicina occidentale: la Rauwolfia ser pentina Benth. Dalla Sarpagandha dei testi medici sanscriti, è stato possibile ottenere un preparato per il trattamento della pressione alta. Una ricerca ultimata nel 1970 ha identificato la maggior parte delle piante usate per la preparazione dei rimedi descritti nelle antiche letterature mediche. Parallelamente è stato intrapreso uno studio chimico. Questa è l'attività principale del «Central Drug Institute» di Lucknow, che ha già studiato oltre 2000 specie vegetali. Più di 400 si sono rivelate attive. Per esempio, un'attività cardiovascolare è stata messa in evidenza dalla Calotropis procera, una pianta della famiglia delle Asclepiadacee, nominata numerose volte nei più antichi trattati medici sanscriti. La medicina tradizionale dell'India ne utilizza fiori e foglie applicandoli sulle ferite e contro le infiammazioni. La si ritrova anche nei preparati contro l'itterizia e in altre malattie, che l'Ayurveda raggruppa nelle «affezioni del sangue». Altre specie come la Colchicum luteum Baker (una Liliacea), presenta un'attività anticancerosa. L'esplorazione di questa farmacopea potrà arricchire il nostro bagaglio terapeutico, così come lo studio della dietetica e della prevenzione indiana potrà integrare la medicina ufficiale. Guy Mazars Université de la Sorbonne, Parigi


CEPPI BATTERICI Nuovo vaccino contro il colera
Autore: LEONCINI ANTONELLA

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA, GENETICA
ORGANIZZAZIONI: BIOCINE/IRIS
LUOGHI: ITALIA, SIENA (SI)

OGNI anno nel mondo muoiono di colera oltre 200 mila persone, secondo i dati stimati dall'Organizzazione mondiale della Sanità. Ma il batterio colpisce un numero ben più elevato di soggetti. I casi accertati sono infatti sette milioni e mezzo: un'epidemia che la scienza non è ancora riuscita a debellare. Il vaccino tradizionale, sul mercato da anni, non è efficace perché non dà una prevenzione certa. Le speranze oggi sono tutte affidate a un nuovo vaccino, ottenuto con i processi dell'ingegneria genetica dal tossoide purificato, messo a punto alla Biocine/Iris di Siena. Ma la cautela è d'obbligo, dopo l'insuccesso di Holmgren, lo studioso svedese dell'Università di Goteborg che ha messo a punto il più recente vaccino sperimentato contro il colera di ceppo 01. In Asia infatti è comparso un ceppo diverso di colera, denominato Bengal 0139, contro il quale anche il vaccino di Holmgren si è rivelato inefficace. A Siena si preferisce essere cauti, anche se le speranze lasciano indulgere all'ottimismo. Al Centro ricerche della Biocine/Iris il prossimo passo, concluse le prove di laboratorio, sarà la sperimentazione del «Mutante genetico» sul ceppo 0139. Con il vaccino della Biocine e quello di Holmgren, le speranze sono riposte anche in un altro prodotto, quello di tipo «Vivo Cwd 103 Hgr» , sperimentato il Svizzera dal ricercatore Cryz. E' un preparato da somministrare per via orale, ottenuto con batteri ancora vivi attraverso tecnologie del Dna ricombinante: il ceppo viene modificato con l'eliminazione delle componenti tossiche del batterio garantendo, però, immutate le proprietà immunologiche. La ricerca ha verificato che questo vaccino si rivela efficace soprattutto in bambini di età inferiore a 6 anni. Antonella Leoncini


MEDICINA Dietro il trapianto Problemi psicologici prima e dopo
Autore: ANGELINI GIUSEPPE

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, PSICOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

PRIMA di essere inseriti nelle liste d'attesa per i trapianti, i pazienti vengono sottoposti a un'accurata indagine clinica, che comprende anche una valutazione psichiatrica. Il ruolo dello psichiatra non è, come in passato, quello di contribuire alla selezione dei candidati, in quanto anche patologie psichiche gravi non sono considerate controindicazioni assolute al trapianto. Il suo intervento consiste in una serie di colloqui, nel corso dei quali vengono esplorati diversi aspetti dell'assetto psicosociale e familiare del paziente. Si valutano la presenza di disturbi psichiatrici passati e attuali, le capacità di adattarsi alla complessa procedura del trapianto, i vissuti rispetto alla malattia, la possibilità di fornire un consenso informato e di instaurare un'alleanza terapeutica nel rispetto delle prescrizioni mediche. Questa valutazione preoperatoria assume così un valore preventivo nei riguardi di eventuali situazioni di emergenza psichiatrica. Nel periodo che precede il trapianto appaiono spesso sintomi di ansia, collegabili all'incertezza di un'attesa a tempo indeterminato. Disturbi d'ansia veri e propri si manifestano soprattutto in chi ha una patologia cardiaca e polmonare fin dall'esordio della malattia. Nel momento dell'inserimento nella lista d'attesa, si verifica un'accentuazione dei sintomi, conseguente ai rilevanti cambiamenti nella vita quotidiana e all'impegno nelle pratiche diagnostiche e terapeutiche previste dal programma. Inoltre il paziente sperimenta una maggiore consapevolezza della gravità delle proprie condizioni evidenziata dall'avvio della preparazione all'intervento. Di norma, alcuni colloqui ben strutturati contribuiscono a creare un clima di fiduciosa attesa e a ridurre l'ansia a livelli tollerabili; se necessario, ci si avvale di un trattamento farmacologico con benzodiazepine a breve durata d'azione. Il decorso postoperatorio dei pazienti trapiantati può essere complicato dall'insorgenza di delirium. Il quadro clinico si manifesta con una fase iniziale, non sempre presente, caratterizzata da irritabilità, ansia, depressione, malessere, ridotta concentrazione e lieve disorientamento, che può regredire o trasformarsi in un alterato stato di coscienza con perdita dell'orientamento prima parziale, poi totale. Si accompagnano alterazioni del pensiero, illogicità, incoerenza, deliri, e sovente fenomeni d'illusione e allucinazioni. Disorientamento e fluttuazione del livello di coscienza interferiscono negativamente sulla capacità del paziente di cooperare nell'applicazione dei protocolli terapeutici. Inoltre l'irrequietezza, l'agitazione e l'oppositività favoriscono l'instaurarsi di variazioni pericolose dei parametri vitali, compromettendo il passaggio dalla ventilazione assistita alla respirazione autonoma in pazienti trapiantati di polmone. La terapia del delirium non differisce molto da quella abituale delle psicosi deliranti e si avvale di aloperidolo fino a una dose massima di 10 milligrammi, rapidamente ridotto al minimo necessario a controllare i sintomi. Questa molecola si è dimostrata sinora la più efficace nella terapia del delirium secondario a interventi chirurgici o a malattia fisica, per gli scarsi effetti collaterali sul sistema cardiocircolatorio e respiratorio. Infine sono piuttosto frequenti nei pazienti trapiantati le variazioni del tono dell'umore, non solo verso il polo depressivo, ma anche verso quello positivo fino a veri e propri atteggiamenti maniacali. Anche alcuni farmaci antiipertensivi sono ritenuti responsabili dell'insorgenze di disturbi organici dell'umore, che talora si configurano come un disturbo dell'adattamento con umore depresso. Generalmente la depressione è transitoria e, in questi casi, il sostegno e la rassicurazione sono sufficienti a recuperare condizioni soddisfacenti mentre in altri è necessario un trattamento antidepressivo con farmaci. Il processo di adattamento nella fase dopo il trapianto è lungo e difficile, e possono verificarsi situazioni di sofferenza e di crisi, specie in rapporto ai vissuti di incorporazione del nuovo organo nella propria identità corporea, che si aggiungono alla dolorosa consapevolezza che il donatore è morto. Ancora una volta, il proseguimento dei colloqui iniziati in precedenza aiuta il paziente e la famiglia a recuperare una nuova dimensione di se stessi. Giuseppe Angelini Università di Torino


MALARIA & EPATITE Una febbre come ricordo delle vacanze Chi torna da Paesi esotici faccia attenzione ai sintomi di malessere
Autore: DI AICHELBURG ULRICO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, VIAGGI, TURISMO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: Malattie contratte in Paesi esotici e zone tropicali

TURISMO e medicina hanno stretti rapporti, dato il numero sempre crescente di persone che per vacanza si recano con frequenza in zone tropicali. Se al ritorno da un viaggio compare febbre, anche dopo parecchie settimane o addirittura mesi, non si dimentichi di parlare del viaggio al medico, e con precisione. Per esempio il Messico è regione malarica ma non lo è Città del Messico a causa della sua altitudine. Non vi è malaria urbana in Asia; in Egitto la malaria è intermittente e la stagione delle piogge è la più pericolosa. Parliamo della malaria perché è il primo sospetto quando c'è febbre. Ricordiamo a chi si reca in zona malarica di iniziare a prendere dal giorno della partenza gli antimalarici indicati dal medico (chemioprofilassi) proseguendo per un certo periodo di tempo dopo il ritorno; e di proteggersi dalle punture delle zanzare con vestiti adatti e liquidi o pomate repellenti per gli insetti, da cospargere sulla pelle e da rinnovare ogni due o tre ore. A parte la malaria, le possibili cause della febbre sono molteplici. La dengue, la borreliosi, le shigellosi, la trichinosi hanno un'incubazione inferiore a 7 giorni; da una a tre settimane le salmonellosi, l'amebiasi, la leptospirosi, le rickettsiosi, le febbri emorragiche, le tripanosomiasi africane; di oltre tre settimane la leishmaniosi viscerale o kala-azar, la brucellosi, le epatiti virali. Sono infezioni che si trasmettono, a seconda dei casi, con punture di insetti, alimenti o bevande, immersioni in acque dolci (l'epatite B anche col rapporto sessuale). Come si vede le eventualità sono numerose, la diagnosi richiederà particolari esami, le terapie non mancano. Ma soprattutto bisogna insistere sulla prevenzione. Oltre alla protezione dalle punture di insetti mangiare cibi cotti, niente cibi crudi salvo che siano da sbucciare. Bere acqua solo da recipienti sigillati e aperti sul momento, oppure farla bollire. E se neppure questo è possibile disinfettarla con un preparato a lenta liberazione e di buona qualità da procurarsi in farmacia. Nessun pericolo con té o caffè caldi, vino, birra. Ulrico di Aichelburg




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