TUTTOSCIENZE 20 luglio 94

TERMITAI Le torri del fresco che ispirano gli architetti
Autore: RAVIZZA VITTORIO

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, EDILIZIA, ANIMALI
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. L'edificio delle imposte di Nottingham

IL sole dardeggia sulla città, l'afa ci opprime. Negli uffici e nelle case, l'unica risorsa sembra essere il condizionatore. L'unica risorsa? Gli amministratori di Nottingham hanno scelto un'altra strada per tenere al fresco i 1800 impiegati dell'ufficio delle imposte: hanno deciso di imitare le termiti. Quello della città inglese è uno dei sempre più numerosi esempi di architettura bioclimatica. Le termiti costruiscono sottoterra le loro stupefacenti cittadelle, costituite da una fittissima rete di cunicoli, ma innalzano sopra di esse torri di fango alte anche tre metri. Sono queste torri, vuote all'interno e collegate al nido sotterraneo, che consentono di mantenere in esso una temperatura costante, qualunque sia quella esterna. A mano a mano che la torre si riscalda sotto il sole del mattino, l'aria che si trova all'interno sale, aspirando l'aria dal nido e provocando in esso una corrente rinfrescante (altra aria entra dalla base della torre stessa). Le termiti controllano questo meccanismo aprendo o chiudendo la sommità della torre. L'edificio delle imposte di Nottingham, ormai quasi finito, è costituito da una serie di isolati a più piani affiancati da una torre cilindrica di vetro alta 17 metri, esatta riproduzione in chiave tecnologica di quella in fango delle termiti. Un tetto mobile, comandato da un sistema idraulico, consente di regolare il flusso dell'aria da aspirare dagli uffici. I progettisti prevedono che all'interno dell'edificio la temperatura si aggiri costantemente intorno ai 21C e che possa superare i 27 per non più di 22 ore in un anno. Un sistema di sensori posti intorno all'edificio o inseriti nella sua struttura misura la temperatura nei vari ambienti, mentre una stazione sul tetto tiene conto della direzione del vento, della temperatura esterna e delle condizioni del tempo: quando piove, chiude la copertura e nelle notti estive mette in moto dei ventilatori che spingono aria negli uffici perché siano freschi la mattina. Negli ultimi tempi molti architetti stanno facendo autocritica a proposito dell'aria condizionata. Prima di tutto per i costi energetici (si è calcolata una spesa mondiale di 35 mila miliardi di lire l'anno), in secondo luogo per alcuni disturbi, dal mal di gola al mal di testa all'irritazione degli occhi, che affliggono, pare, il 55 per cento delle persone che lavorano in ambienti con l'aria condizionata. Le soluzioni escogitate sono molto varie. La mostra «Architettura e natura», che si è conclusa da poco alla Mole Antonelliana di Torino, ne ha presentato un'ampia rassegna. Curiosa la soluzione studiata dai progettisti tedeschi come copertura dell'ampliamento della moschea di Medina: dodici ombrelli di 300 metri quadrati ciascuno, divisi in due gruppi di sei, che durante il giorno si aprono e creano una vasta zona d'ombra che impedisce il riscaldamento del pavimento, mentre durante la notte si chiudono consentendo alle massicce mura della moschea di disperdere il calore accumulato. D'inverno la sequenza è invertita: durante il giorno il sole riscalda il pavimento di marmo e le pareti mentre la notte, quando gli ombrelli si chiudono, queste cedono il calore accumulato che rimane intrappolato sotto la copertura. Il movimento degli ombrelli è regolato da un computer «sintonizzato» sulle condizioni meteorologiche; e quando gli ombrelloni sono chiusi, assumono la forma di minareti. Molti progetti puntano a risolvere contemporaneamente il problema del raffredamento estivo e quello del riscaldamento invernale. Il centro di ricerca dell'università tedesca di Ulm (laboratori, uffici e un auditorium) è stato progettato come un unico contenitore in grado di immagazzinare energia solare grazie a una serra posta sul lato Sud. L'aria calda e umidificata dagli alberi si raccoglie sotto la cupola vetrata e viene spinta da ventilatori in tutto l'edificio. D'estata una serie di porte vetrate pieghevoli nella parte Sud della serra genera una corrente d'aria in tutto l'edificio e abbassa la temperatura. Una nuova scuola progettata da uno studio inglese per Jersey, una delle Channel Island, ha un sistema di raffreddamento-riscaldamento tutto affidato alle leggi della natura. In estate la ventilazione è data sia dalle aperture nelle facciate a Nord e a Sud sia da una «torre del vento» analoga a quelle di Nottingham; durante la notte l'edificio è continuamente ventilato perché al mattino abbia completamento smaltito il calore accumulato durante il giorno. In inverno è mantenuta una temperatura minima con un sistema di riscaldamento perimetrale a pannelli, integrato da un sistema di protezione solare passiva delle finestre a Sud. Notevoli gli uffici del Dipartimento delle Bouches-du-Rh°one, a Marsiglia, tre edifici collegati da un atrio; questo è interamente in vetro e, grazie all'effetto serra, d'inverno funziona da collettore termico; in estate, invece, fa da termoregolatore per tutto il complesso, perché vi viene convogliata aria fresca dalle zone esterne ombreggiate. Sotto la copertura, una serie di lame orientabili riflettono all'esterno i raggi del sole. Vittorio Ravizza


POLITICA Finanziare le ricerche di qualità
Autore: PODESTA' STEFANO

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, FISICA, FINANZIAMENTO, STATO, POLITICA
NOMI: REGGE TULLIO, BERNARDINI CARLO
LUOGHI: ITALIA

SU «Tuttoscienze» sono apparsi recentemente due articoli, a firma di Tullio Regge e Carlo Bernardini, che contengono critiche alla politica che intenderei seguire in questo settore. Vorrei dire anzitutto che mi riesce difficile polemizzare con questi noti studiosi, non solo per la loro autorevolezza scientifica ma anche perché molte delle cose che affermano sono dettate da un indubitabile buon senso, ancorché strumentalmente contrapposto agli atteggiamenti che fantasiosamente mi imputano. Mi consentano dunque i due illustri fisici di rassicurarli circa il fatto che distinzioni «manichee» tra ricerca di base e applicata, quali loro temono, non troveranno alcuno spazio in questo ministero, almeno finché a guidarlo ci sarò io. Altro è, invece, il mio intendimento: mi adopererò in ogni modo per rimuovere il diaframma che spesso si frappone, prima ancora che alla collaborazione, alla comunicazione fra ambiente esterno e mondo accademico, con l'effetto di privare ambedue di una fonte preziosa di idee e di stimoli culturali, oltreché di una possibilità di cooperazione proficua anche sul terreno economico. E sottolineo che qui per «ambiente esterno» non intendo solamente il mondo dell'impresa, ma anche quello delle istituzioni pubbliche e dei soggetti che operano nel territorio. Tra questi naturalmente anche le piccole e medie aziende che, mi consentirà il professor Bernardini, non hanno affatto livelli imprenditoriali «scadenti», come dimostra il loro ruolo nel recente sviluppo economico italiano. D'altra parte è noto che le risorse pubbliche sono limitate e comunque non tali da tenere il passo con i costi crescenti che una ricerca competitiva implica. E nel clima di tagli alla spesa determinato dalla voragine del debito pubblico, ereditata da questo governo, ritengo una vittoria l'avere strappato al Tesoro l'impegno almeno a non diminuire (e, confido, ad aumentare) nella prossima finanziaria la già insufficiente quota della spesa per ricerca sul Pil. In questo quadro non è lecito a nessuno ignorare che per superare la mala pianta dei finanziamenti a pioggia, così caratteristica della Prima Repubblica, occorra un'attenta e rigorosa selezione dei programmi di ricerca. E' anzitutto lo standard qualitativo che segna il confine tra buoni e cattivi programmi di ricerca e dunque tra programmi da finanziare o da non finanziare. Occorre quindi avere il coraggio e la capacità di scegliere, con il realismo imposto dalle scarse risorse disponibili, quei settori in cui il nostro Paese è in grado di esprimere un livello di effettiva qualità, se non d'eccellenza, senza imbarcarsi in imprese non commisurate alle nostre forze. E qui, a scanso di equivoci e di interpretazioni interessate, che purtroppo ho ritrovato anche negli articoli di Regge e Bernardini, ribadisco che la ricerca di qualità si può fare nella ricerca fondamentale come in quella di base, e in settori che non sono soltanto quello delle scienze «dure», ma anche delle scienze sociali e umane. Per quanto mi riguarda mi batterò affinché nella valutazione dei progetti, oltre alla qualità e alla realistica fattibilità scientifica, siano compresi anche il livello di integrazione tra diverse strutture di ricerca e il grado di internazionalizzazione. Troppe strutture in concorrenza fra loro richiedono finanziamenti per fare le stesse cose o cose simili, senza economie di scala e di distribuzione territoriale delle risorse; e poi, la nostra partecipazione ai programmi di ricerca, oltreché spesso quantitativamente inferiore a quella dei nostri principali partner, risulta in taluni casi non adeguatamente attiva. Si tranquillizzino, dunque, gli illustri professori: il ministro non ha alcuna intenzione di orientare la ricerca, come ad esempio teme il professor Bernardini, in senso «mercantile» nè di effettuare tagli indiscriminati o avviare a tappe forzate processi di privatizzazione. Università e centri di ricerca devono però ispirarsi a principi di efficienza e responsabilizzazione e le loro attività, pur essendo libere e autonome, non possono ignorare i bisogni della società. Quanto tutto ciò rispecchi un atteggiamento «clintoniano», lo lascio dubitare ai lettori di «Tuttoscienze», fermo restando che comunque giudico quell'aggettivo estremamente lusinghiero (e mi sembra, in ciò, di essere in buona compagnia, inclusi anche alcuni importanti politici di parte affine ai miei autorevoli critici). Stefano Podestà Ministro dell'Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica


Sollievo verde La vegetazione in tutte le sue forme ha un formidabile potere rinfrescante Case fresche con i vetri selettivi, che filtrano il calore secondo la stagione
Autore: V_R

ARGOMENTI: BOTANICA, EDILIZIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: Case e piante

SE qualcuno pensa che l'alternativa all'aria condizionata e al riscaldamento tradizionale sia semplicemente un ritorno naif (e velleitario) ai metodi empirici del passato, si sbaglia di grosso. E' esattamente il contrario: entrano in gioco le tecnologie più sofisticate. E' comunque vero che molti progetti d'avanguardia si basano su sistemi antichi. Gli architetti che hanno progettato l'ufficio delle tasse di Nottingham non hanno fatto che imitare le «torri del vento» utilizzate in Pakistan e in India da secoli, e molti progetti odierni tengono presente l'intuizione delle popolazioni Maya, che intorno al 1200 costruirono l'abitato di Mesa Verde, in Colorado. Qui le case sono scavate sotto un riparo naturale della roccia, in una posizione tale che in inverno, quando il sole è basso, sono raggiunte e riscaldate dai raggi, mentre in estate, quando il sole è più alto, risultano ombreggiate dalla roccia sovrastante. La vegetazione in tutte le sue forme - alberi, prati, rampicanti sui muri, giardini pensili - ha un formidabile potere rinfrescante (per misurare la differenza, in una giornata torrida provate a posare il piede nudo sull'erba e poi appoggiatelo sul marciapiede vicino). Per questo le case costruite nell'ambito di un grosso progetto di risanamento di una zona di Berlino, nei pressi del Muro, hanno i tetti costituiti da falde inclinate coperte di terriccio e seminate con varie specie di erbe. Anche l'acqua ha un forte potere rinfrescante: se si mantiene bagnata una superficie esposta al sole, l'acqua evapora asportando calore. Ma per raggiungere risultati accettabili secondo i moderni standard non basta rispolverare vecchie usanze, occorre far ricorso a soluzioni spesso sofisticate. Per esempio, i vetri selettivi, che lasciano passare o tengono fuori il calore a seconda della stagione. I metodi per raggiungere il risultato sono molto vari. Vi sono vetri che lasciano passare solo la radiazione che serve per l'illuminazione e bloccano quella che genera calore, per esempio quella infrarossa. Esistono doppi vetri nella cui intercapedine possono essere inseriti vari componenti che consentono di variare la trasparenza, per esempio minutissime palline di plastica «sparate» da un compressore, o sottili strati di cristalli liquidi che sotto l'effetto di una debole corrente elettrica si polarizzano orientandosi in un'unica direzione rendendo il vetro opalino o trasparente secondo la necessità. Il materiale più nuovo è il «cloud gel», letteralmente nuvola di gel, costituito da uno strato di copolimeri di idrocarburi: quando si raggiunge una certa temperatura, un dispositivo fa coagulare i copolimeri che formano uno schermo opaco capace di respingere oltre l'80 per cento della radiazione calorica. Questo materiale sarà prodotto in pellicole applicabili anche a vecchie finestre tradizionali. Il computer ha un ruolo determinante. La nuova aerostazione di Monaco di Baviera, appena inaugurata, è un edificio lungo un chilometro con una parete vetrata rivolta a Sud: in inverno essa produce un utilissimo effetto serra che contribuisce al riscaldamento, ma in estate trasformerebbe l'aerostazione in un forno: perciò è stato ideato un sistema di ombreggiamento mobile, costituito di migliaia di lame pivotanti che si aprono e si chiudono comandate da un computer collegato a una serie di sensori che misurano la temperatura interna e seguono la traiettoria del sole. Sensori e computer sono gli ingredienti fondamentali degli «edifici intelligenti», o «computer integrated building», consentendo l'esatta e costante conoscenza di tutti i parametri utili alla loro gestione, per esempio per sfruttare le differenze di temperatura durante le 24 ore. L'orientamento degli edifici torna a essere importante, come lo è stato per millenni prima che nelle città moderne passasse in secondo piano. Ma si può andare oltre: un'azienda francese produce una casa, interamente in legno, dalla curiosa sagoma tondeggiante, che ruota durante il giorno in modo da inseguire con la parte anteriore il corso del sole. (v. r.)


Sono entrati nel patrimonio mondiale dell'umanità SASSI di MATERA una lezione di sviluppo sostenibile
Autore: CARRADA GIOVANNI

ARGOMENTI: URBANISTICA, ECOLOGIA, AMBIENTE
NOMI: LAUREANO PIETRO
ORGANIZZAZIONI: UNESCO
LUOGHI: ITALIA, MATERA (MT)

ALMENO cinquemila anni di sviluppo sostenibile, cioè di intelligente e non distruttiva convivenza tra gli uomini e il loro ambiente naturale, frutto di una conoscenza minuziosa delle risorse, dei loro cicli e della loro conservazione: è in realtà questo il motivo per cui l'Unesco, l'organizzazione delle Nazioni Unite per l'educazione, la scienza e la cultura ha recentemente incluso i Sassi di Matera nella Lista del Patrimonio Mondiale dell'umanità, sullo stesso piano del centro storico di Roma, del Grand Canyon o di Machu Pichu. Per la prima volta un riconoscimento così importante viene assegnato non tanto a un complesso urbanistico rupestre, quanto a un «ecosistema umano»: chi ha trovato un modo di integrarsi al suo ambiente riuscendo a sfruttare le sue magre risorse tanto a lungo senza esaurirle può avere qualcosa da insegnare a un'umanità che di risorse ne avrà sempre di meno. A riabilitare l'«ecosistema» dei Sassi di Matera sono stati gli studi di Pietro Laureano (Giardi ni di Pietra. I Sassi di Matera e la civiltà mediterranea, 199 pagg. , Bollati Boringhieri 1993), consulente dell'Unesco, rientrato nella sua Lucania d'origine dopo aver studiato per anni le civiltà sahariane. Sono tra i primi realizzati in Italia sull'ecologia dell'uomo, con l'applicazione allo studio delle culture umane dei metodi e dei principi dell'ecologia. E l'ecologia dei Sassi è tanto più notevole in quanto è uno dei pochissimi esempi di sviluppo sostenibile che si incontrino nel bacino del Mediterraneo, dove una congiura di disboscamenti, clima semiarido e un interminabile succedersi di guerre e popoli diversi hanno innescato fin dai tempi preistorici, su questo ambiente fragile, una serie di crisi ecologiche superate solo con altrettanti salti tecnologici verso forme di sfruttamento dell'ambiente sempre più distruttive. Eppure anche sulle Murge, che 9000 anni fa furono uno dei primi centri del Neolitico europeo, le cose non erano iniziate bene. Verso la fine del quarto millennio a. C., la regione era già stata disboscata dai primi agricoltori, e con i suoi 500 mm di pioggia l'anno (più o meno quanta ne cade, ad esempio, sugli altipiani dello Yemen) concentrati in pochi violenti rovesci, l'acqua era già diventata un problema. Per risolverlo, nacquero i Sassi. Matera sorge sul ciglio di una gravina, un canyon che si apre tra due pareti di calcari teneri del Pliocene, al di sopra del quale c'è una copertura di argille impermeabili. E' facile immaginare che cosa sia accaduto una volta scomparsi i boschi: le piogge torrenziali che si riversavano sulle alture circostanti cominciarono a erodere rapidamente il sottile strato di suolo fertile scorrendo veloci in fondo alla gravina, dove l'acqua era ormai perduta. E per tutto il resto dell'anno, siccità. I Sassi nacquero come sistema per irreggimentare e raccogliere l'acqua per un popolo di pastori e orticoltori. Il ciglio della gravina fu canalizzato e le acque condotte in grandi cisterne a forma di campana scavate nella roccia. La stessa sistemazione idraulica fu poi estesa alle gradinature naturali che scendono verso l'alveo del canyon, con la creazione di orti irrigati e giardini su terrazzi artificiali sostenuti da muri a secco. I rifiuti e il letame venivano accuratamente riciclati per la fabbricazione di concime e quindi la restituzione dei nutrienti al suolo. Prestissimo, nel tenero calcare della gravina, ebbe inizio lo scavo di grotte dalle funzioni diverse: conservazione della neve caduta durante l'inverno, ricovero per gli animali, immagazzinamento del grano, deposito degli attrezzi. Più tardi le grotte cominciarono a essere anche abitate e nell'ampliamento furono spesso incluse le antiche cisterne a campana. Lo scavo seguiva la direzione dei raggi del sole durante l'inverno, in modo tale che in questa stagione fossero sfruttati al meglio per il riscaldamento degli ambienti. D'estate, quando il sole è più alto, i raggi non entravano e le grotte restavano fresche. Fuori, le grotte si prolungavano in piccole costruzioni, i «lamioni», realizzati con la stessa pietra estratta durante l'ampliamento della grotta. Su ogni superficie piana libera veniva ricavato un orto o un giardino pensile. Per secoli, viaggiatori, cronisti e poeti hanno unanimemente decantato la bellezza, ma anche la salubrità di Matera, oltre che l'ingegnosità dei suoi abitanti. L'ecosistema dei Sassi, che ha cominciato a prendere forma all'inizio dell'età del bronzo, intorno alla fine del IV millennio avanti Cristo, «funziona» - sostanzialmente immutato - perlomeno fino al Settecento. Una continuità che non ha altri riscontri in Italia, e forse nemmeno in Europa. Quello che succede dopo è la familiare parabola del sottosviluppo, che ha distrutto tante culture tradizionali in ogni parte del mondo. La concorrenza della lana prodotta oltreoceano, soprattutto quella australiana, mina alla base l'economia dell'allevamento transumante, sistema di sfruttamento del territorio nel quale i Sassi erano da millenni integrati. Tra '700 e '800 la costruzione della città moderna sopra il ciglio della gravina seppellisce gli antichi sistemi di raccolta dell'acqua. Cominciano quindi a peggiorare le condizioni igieniche. Soprattutto, aumenta la popolazione. Le costruzioni si infittiscono e gli uomini sono costretti a vivere insieme agli animali, dai quali erano sempre stati separati. I sistemi di riciclaggio dei rifiuti vengono abbandonati e si perde persino la memoria delle millenarie conoscenze che avevano consentito di gestire in maniera così oculata le scarse risorse dell'ambiente delle Murge. Finché, negli Anni Cinquanta, i Sassi furono abbandonati. L'antico equilibrio tra uomo e ambiente si era definitivamente spezzato. Solo oggi abbiamo cominciato, se non a ricostruirlo, perlomeno a conoscerlo e ad apprezzarlo. Giovanni Carrada


POLITICA VERDE Protezione ambientale Un'agenzia
Autore: PAVAN DAVIDE

ARGOMENTI: ECOLOGIA, AMBIENTE, POLITICA
ORGANIZZAZIONI: ANPA, UBA, EPA, ENEA DISP
LUOGHI: ITALIA

LA grande novità in campo ambientale che ha chiuso l'ultima legislatura della prima Repubblica è sicuramente l'istituzione dell'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente (Anpa). Anche l'Italia si allinea così alla maggioranza dei Paesi occidentali che da tempo affiancano alle tradizionali strutture ministeriali organi di consulenza e supporto tecnico- scientifico come l'Agenzia federale tedesca per l'ambiente (Uba) o la famosissima (e imponente) Epa (Environmental protection agency) degli Stati Uniti. Il parto è stato difficile, se si pensa che è la logica conclusione di un processo partito con il referendum del 18 aprile 1993 che, se da un lato sottraeva alle Usl i controlli ambientali, dall'altra parte lasciava un vuoto da colmare. Il nuovo organismo appare robusto sia a livello centrale che locale, oltre che dotato di notevole autonomia: il suo «cuore» sarà costituito dall'Enea Disp, il vecchio (e sottoutilizzato) ente di controllo del programma nucleare, ma sarà assorbito personale anche da altri settori dell'Enea e da organismi come l'Istituto superiore di sanità, il Cnr, l'Istituto di sicurezza sul lavoro (Ispesl) e lo stesso ministero dell'Ambiente. Il vertice dell'Anpa sarà composto da tre consiglieri d'amministrazione indicati dal ministero dell'Ambiente, che dovranno scegliere il presidente, mentre il direttore generale sarà nominato dal Presidente del Consiglio. Tra i compiti dell'Anpa, accanto alle attività prettamente scientifiche come gli studi di impatto ambientale, la definizione di adeguati standard di qualità e la promozione della ricerca di base e applicata, avrà particolare rilievo la funzione istituzionale di interfaccia e cooperazione con l'Agenzia Europea dell'Ambiente. Molto articolata l'organizzazione periferica del sistema: entro 180 giorni dalla pubblicazione della legge, le Regioni e le Province autonome dovranno dare vita ad agenzie locali cui spetterà l'effettivo controllo ambientale del territorio. In queste nuove strutture, indirizzate e coordinate dalla loro sorella maggiore, confluirà sia personale già in organico presso le strutture regionali sia personale trasferito in blocco dai Pmp (Presidi multizonali di prevenzione) e dalle sezioni delle Usl che già svolgono servizi di tutela ambientale. Sembrerebbe tutto chiaro e perfetto, ma in realtà sono ancora molti i nodi da sciogliere: innanzitutto la legge prevede che non vi siano oneri finanziari aggiuntivi per le Regioni, ma non è chiaro come questo potrà avvenire, a meno di non stornare una percentuale del Fondo sanitario nazionale verso i controlli ambientali o di creare, per correttezza giuridica, un fondo apposito da parte del governo. Inoltre c'è il rischio, temuto dal mondo produttivo, di una proliferazione dei controlli, visto che la legge ne ha creati di nuovi, senza abrogare i vecchi. L'Anpa avrà competenza sugli scarichi industriali e sulle emissioni, insieme al Cnr e all'Istituto superiore di sanità; sui rischi di incidenti sul lavoro, a fianco del ministero del Lavoro; sul rilascio dell'Ecolabel, l'etichetta «verde» per i prodotti a basso impatto ambientale e sulle certificazioni degli ecobilanci (Ecoaudit), per i quali sono previsti organismi specifici. E' evidente che la nuova struttura, per non diventare un nuovo «baraccone» burocratico di cui nessuno sentiva il bisogno, dovrà preoccuparsi del raccordo con tutti questi enti allo scopo di semplificare, e certamente non di duplicare, le attuali procedure di autorizzazione. L'agenzia non potrà funzionare se non si procederà a una profonda riorganizzazione e riforma del ministero dell'Ambiente che, riappropriandosi dei doveri di indirizzo politico e coordinamento, potrà d'ora in avanti contare su un vero braccio tecnico-scientifico dotato di capacità operative. Davide Pavan


I PERCHE' E la vela va anche controvento
Autore: ANGELUCCI ALBERTO

ARGOMENTI: FISICA, VELA
NOMI: BORNOUILLI DANIEL, VENTURI GIANBATTISTA
LUOGHI: ITALIA

PERCHE' una barca a vela può avanzare controvento? Perché una barca a vela si muova quando il vento la colpisce da dietro (in poppa) è intuitivo: il vento la spinge sull'acqua e quindi la fa avanzare. Perché si muova anche quando il vento la colpisce di lato è pure abbastanza facile da capire: la forza tende a sospingerla sia lateralmente che in avanti (a causa della resistenza e dell'inclinazione delle vele), ma correggendo la direzione con il timone e la deriva è possibile farla viaggiare nella rotta voluta. Ma come fa la barca a procedere quando il vento le soffia sul muso (in prua)? Intanto è bene precisare subito che se il vento proviene proprio dalla direzione della prua nessuna barca a vela può avanzare: anzi, comincia leggermente a indietreggiare. Se però il vento, pur venendo dalla direzione della prua, colpisce le vele con un angolo di 45, a sinistra o a destra, la barca procede lungo questa traiettoria (cosiddetta «andatura di bolina»). Come fa? Gli antichi non sapevano utilizzare il vento in questo modo; quindi viaggiavano solo con vento a favore. Se il vento non soffiava dal lato giusto, si fermavano e aspettavano giorni migliori. Magari, per propiziare la cosa, offrivano sacrifici a Eolo, dio dei venti, sperando che si muovesse a compassione per la sorte dei poveri naviganti impantanati nel mare aperto. Tutto cominciò dalla scoperta di uno scienziato olandese del 1700, Daniel Bernoulli, che apparteneva a una famiglia di matematici e fisici: lo zio Jacques è considerato il fondatore del calcolo delle probabilità; il padre Jean sviluppo' il calcolo infinitesimale. Il giovane Daniel, che aveva respirato tutta quella matematica in casa, fu uno dei fondatori della idrodinamica cioè di quella parte della meccanica dei fluidi che studia i problemi di moto dei liquidi (e in particolare dell'acqua) in relazione alle forze che vi vengono applicate. Che cosa c'entra tutto questo con la barca a vela? C'entra, perché Bernoulli junior formulò il principio idrodinamico che ha preso il suo nome: per un liquido perfetto e incomprimibile, che si muove in modo permanente nel campo della gravità, è costante lungo una traiettoria la somma della pressione e della velocità. Ne consegue che, in una traiettoria orizzontale, se aumenta la velocità del fluido deve diminuire la pressione e viceversa. Il teorema è stato poi applicato da un fisico emiliano vissuto a cavallo fra il '700 e l'800, Gianbattista Venturi, il quale costruì un tubo modellato, il «tubo di Venturi» appunto, che potendo assumere la forma di cilindro o di cono, a seconda delle esigenze, permette di far aumentare o diminuire la quantità di passaggio di un liquido e quindi la sua pressione. Nel caso della barca a vela, il tubo di Venturi si forma naturalmente tra la vela anteriore (il «fiocco») e la vela posteriore (la «randa») che insieme formano una specie di imbuto, cioè una strettoia fra le due pareti. Sono vele con un taglio particolare che gli antichi non avevano ancora inventato: le cosiddette vele «Marconi», diverse dalle tradizionali vele quadre, chiamate «Latine». Poiché il vento incanalato lì in mezzo non può scappare lateralmente, è costretto ad aumentare la velocità quando passa dalla strettoia, come avviene per gli spettatori sospinti contro la porta di uscita di uno stadio o di un cinema. Diminuisce quindi la pressione dell'aria sul lato interno della randa che viene risucchiata in avanti e si gonfia come se fosse spinta da un vento immaginario. E la barca va...: incontro al vento reale. Alberto Angelucci


TEMPORALI Tuono, farfallone in balia del cielo Temperatura e vento determinano la presenza o l'assenza del boato
Autore: BO GIAN CARLO

ARGOMENTI: METEOROLOGIA, FISICA
LUOGHI: ITALIA

PUO' succedere di vedere un fulmine senza sentirne il tuono, specialmente a una distanza superiore ai venticinque chilometri dal luogo in cui esso cade. Venticinque chilometri non sono molti per qualcosa che si muove a una velocità di 340 metri al secondo; però un'esplosione si sente benissimo da quella distanza, un tuono no. Per la velocità di propagazione del suono nei gas perfetti, Laplace (1749-1827) compose una formula dall'aspetto terribile, da cui si vede che la velocità è indipendente dall'altitudine. In compenso vi compaiono ingredienti come calore specifico, temperatura, coefficiente di dilatazione dei gas e massa specifica. La velocità del suono è indipendente dall'intensità dell'onda entro larghi limiti, ma quando l'ampiezza non è più trascurabile rispetto alla lunghezza d'onda, come nelle esplosioni, la velocità è maggiore del normale. Questo si verifica nelle vicinanze della sorgente, e soltanto a una certa distanza, che varia in base alla violenza del botto, la velocità riprende il suo valore normale quando l'ampiezza si affievolisce. Il suono è soggetto a fenomeni di riflessione, diffrazione e rifrazione ed è più veloce nell'aria calda. Nell'aria secca a 0 gradi, la velocità del suono risulta di 331 metri al secondo e cresce di 0,55 metri al secondo per ogni grado centigrado. Sembra però paradossale che il suono possa giungere più lontano in un giorno freddo, sull'acqua calma o su un lago gelato e sia invece molto limitato in un deserto. Infatti nel caso in cui la temperatura diminuisca verso l'alto, la porzione superiore di un'onda che inizialmente si propaghi orizzontalmente si muoverà più lentamente della parte bassa, deviando il cammino verso l'alto. Se la temperatura ha una distribuzione normale, il suono non andrà molto lontano, al livello del suolo, finché dura questo fenomeno. Ma in una giornata fredda la temperatura può aumentare verso l'alto. Così che sopra una massa d'acqua il suono può essere rifratto verso il basso piuttosto che verso l'alto, in modo da restare vicino al suolo più a lungo. La rifrazione avviene tutte le volte che cambia la velocità di propagazione delle onde e le cause più importanti della variazione della velocità sono la temperatura, l'umidità relativa e il vento, che producono anomalie nella direzione di propagazione delle onde. Generalmente la temperatura diminuisce con l'altezza e il suono in alto diventa «pigro» e si propaga più lentamente. C'è un incurvamento dei raggi delle onde verso l'alto, che però si incurvano verso il basso se la variazione della temperatura è opposta. Anche il vento interferisce. Di solito ad altezze modeste ha una velocità maggiore che al suolo, quindi se le onde procedono sottovento (nello stesso verso del vento) la velocità è maggiore in alto che in basso e i raggi delle onde vengono incurvati verso il suolo. Succede l'opposto se le onde si propagano sopravvento, cioè contro il vento. Le onde sonore provenienti dal fulmine sono dunque rifratte verso l'alto dall'aria più calda, che è vicino al suono: oltre i venticinque chilomtri esso subisce una rifrazione tale da essere spinto verso l'alto e non può più essere udito da terra. Corre dietro al vento, alla temperatura, all'umidità: il suono è un farfallone senza carattere, in balia di tutto. Gian Carlo Bo


MASCHI DI PAGLIAROLO E io scelgo le birichine Molti partner sono garanzia di salute
Autore: BOZZI MARIA LUISA

ARGOMENTI: ETOLOGIA, ZOOLOGIA, ANIMALI
LUOGHI: ITALIA

NELL'INTRICATA questione della sessualità animale, finora i biologi avevano almeno alcune certezze. Tanto per incominciare, si sa che è la femmina a scegliere il partner, e non viceversa: dal momento che la riproduzione richiede al sesso femminile molte più energie che al sesso maschile, lei fa la ritrosa e non si concede facilmente. Pretende che il padre dei suoi figli sia bello o almeno possidente, così da contribuire con «buoni geni» alla futura progenie oppure garantire un buono stato economico alla famiglia. Al contrario di lei, lui è un amante focoso, che dirige i suoi approcci a ogni femmina che incontra, senza andare troppo per il sottile, tanto che a volte si sbaglia perfino di specie. Quanto al sistema nuziale, ce n'è per tutti i gusti: promiscuità (ampia libertà di partner per ambo i sessi), poliginia (un maschio con numerose consorti), poliandria (una femmina con più maschi), monogamia (coppia fedele). La coppia stabile per lungo tempo è stata considerata la modalità tipica della maggior parte degli uccelli, ma da quando le raffinate tecniche di analisi del Dna permettono di accertare la paternità di un individuo, la tanto conclamata virtù del mondo degli uccelli ha subito una clamorosa smentita. Pur apparendo agli occhi come coppia monogamica, entrambi i partner si concedono frequenti avventure extraconiugali, così che nelle nidiate spesso compaiono uno o più frutti della colpa, consumata magari fra vicini di nido. Ma ora ecco che il caso del pagliarolo (Acrocephalus paludico la) ha posto alcuni ricercatori polacchi (Schulze-Hagen, Swatschek, Dyrcz, Wink) di fronte a un sistema nuziale del tutto inatteso e messo in dubbio le poche certezze teoriche. La pietra dello scandalo è un silvide parente della cannaiola, che vive nelle paludi a bassa vegetazione, dove appende il nido alle canne vicino al terreno e si nutre di insetti. Da noi è di passo d'estate, nei luoghi umidi dell'Adriatico e Tirreno. L'analisi della paternità con la tecnica del DNA fingerprint (si divide il DNA in tanti frammenti, che trovano riscontro per metà nel DNA paterno e per metà in quello materno) ha messo in evidenza che solo il 50% delle femmine di pagliarolo sono fedeli ai proprio consorte. Le altre si concedono uno o più partner, dal momento che le loro nidiate risultano composte da pulcini di padri diversi, a volte anche tre o quattro! Per il fatto di vivere in un ambiente molto ricco di risorse, le femmine di pagliarolo fanno a meno dell'aiuto maschile per tirar su la famiglia. Caso eccezionale nel mondo dei passeriformi, fanno tutto da sole: costruiscono il nido, covano le uova e allevano i pulcini. Con il partner dividono soltanto il tempo dell'accoppiamento. Ebbene, le femmine con più avventure extraconiugali sono madri prolifiche di 5 o 6 pulcini, mentre le monogame hanno da 2 a 4 figli. Questo dato ha fatto avanzare l'ipotesi che le spose fedeli di pagliarolo facciano in realtà di necessità virtù. Insomma, non si concedono avventure extraconiugali perché riscuotono poco successo presso l'altro sesso. I maschi di pagliarolo evidentemente prediligono le femmine più prolifiche, se queste hanno più figli illegittimi. Come facciano non si sa, ma è ragionevole pensare che i maschi di pagliarolo siano selettivi al pari delle loro compagne e che anch'essi scelgano di accoppiarsi con chi porta «buoni geni» (le femmine che depongono più uova o che hanno un buon territorio), con buona pace della teoria che vuole la scelta sessuale esclusiva pertinenza del sesso femminile. D'altronde questi maschi avrebbero una buona ragione per essere esigenti, perché dedicano notevoli energie all'accoppiamento. Diversamente da come vanno le cose nell'ambito di tutte le altre specie del genere Acrocepha lus, dove l'accoppiamento dura uno o due secondi, un maschio di pagliarolo si impegna in questa faccenda per circa mezz'ora, durante la quale, accovacciato sul dorso della femmina, sottolinea con un frullo d'ali ogni pochi minuti le ripetute inseminazioni. E perché tanto sforzo vada a buon segno, si dedica al sesso in ore particolari della giornata; di sera, subito prima che la femmina deponga un uovo, o di mattina presto, subito dopo che l'ha deposto perché l'ovulazione - cioè la maturazione di un uovo pronto per la fecondazione - avviene negli uccelli subito dopo la deposizione. Questo sincronismo e il generoso contributo di spermatozoi assicurebbero al maschio la massima probabilità di essere padre. Ma perché un accoppiamento così prolungato? Semplice: finché le sta adosso, sottrae la propria consorte all'approccio di altri maschi. Rimane ancora da capire perché le femmine di pagliarolo siano così poco «ritrose» e si concedano frequenti avventure extraconiugali. Un'ipotesi probabile potrebbe essere ancora la ricerca di «buoni» geni: nel caso che il primo partner non fosse granché, si concederebbero la possibilità di rimediare. Maria Luisa Bozzi


DOMESTICAZIONE Anzitutto, il cane Con noi già 9000 anni fa
Autore: MORETTI MARCO

ARGOMENTI: ANTROPOLOGIA E ETNOLOGIA, ANIMALI
NOMI: NORDQVIST BENGT
LUOGHI: ITALIA

IL rapporto fra l'uomo e il cane risale all'età della pietra: lo ha scoperto l'archeologo Bengt Nordqvist, del Dipartimento nazionale di antichità svedese, durante uno scavo nel sito di Ellos a Orust, un'isola al largo della costa occidentale della Svezia. Ha ritrovato infatti resti di feci di cane in un accampamento abitato nella fase media dell'età della pietra. Esami al carbonio 14 hanno datato l'insediamento umano antico fra gli 8.700 e i 9.100 anni. Come dire che il cane è stato addomesticato dall'uomo almeno tre millenni prima di altri animali come bovini, pecore, cavalli e pollame. Il campo era abitato da cacciatori raccoglitori giunti nell'isola attraverso le strisce di terra che la collegavano alla penisola scandinava alla fine dell'ultima era glaciale. Cacciavano cinghiali e cervi nell'interno dell'isola, ma anche foche e delfini sulle coste. Raccoglievano bacche e nocciole e praticavano già la pesca. L'esame dei resti delle feci canine conferma il rapporto con l'uomo: i cani si nutrivano infatti prevalentemente di scarti della caccia. Secondo Nordqvist, nell'accampamento i cani svolgevano la funzione di guardiani e di compagni di caccia. L'esigenza di addestrare i cani alla sorveglianza del campo, secondo l'archeologo, è dimostrata dall'alta incidentalità di morte a causa di ferite provocate da animali selvatici (documentata dai resti funerari) e dal conseguente bisogno di tenerli lontani dal luogo abitato sguinzagliando i cani. La scoperta di Nordqvist conferma le ipotesi sul rapporto privilegiato dell'uomo con il cane. L'unica evidenza finora era la relazione fra gli aborigeni e i dingo australiani, (Canis Fami liaris), probabilmente introdotti in Australia circa ottomila anni fa da mercanti-navigatori Macassan provenienti dall'isola indonesiana di Sulawesi. Se questi esploratori preistorici trasportavano cani sulle loro empiriche imbarcazioni, significa che dovevano averli già addomesticati. Marco Moretti


SCIMMIE SCOIATTOLO Tutto insieme, anche l'estro Il vantaggio dei figli sincronizzati
Autore: VISALBERGHI ELISABETTA

ARGOMENTI: ETOLOGIA, PSICOLOGIA, ANIMALI
LUOGHI: ITALIA

AVETE presenti le spalline imbottite e rinforzate che i giocatori di hockey indossano per protezione e che danno loro un aspetto alquanto minaccioso? Bene: anche i maschi di scimmia scoiattolo (Sai miri sciureus) nella stagione degli amori hanno un aspetto simile. Uno strano processo ormonale fa accumulare nel loro corpo una tale quantità di acqua da aumentare la massa corporea del 25 per cento. Questo cambiamento morfologico, che è a carico della parte superiore del corpo e dei testicoli, è dovuto a un cambiamento ormonale simile a quello che nelle donne facilita la ritenzione idrica prima del ciclo mestruale. La sola cosa che sembra non torni è che si tratta di maschi e non di femmine! Durante l'anno, i maschi hanno dimensioni relativamente simili fra loro tanto che spesso è difficile distinguerli. Poi, un paio di mesi prima della stagione degli accoppiamenti, in alcuni individui inizia questo processo che li fa aumentare di stazza. I primatologi che hanno studiato questa specie in condizioni naturali escludono che una maggiore ingestione di cibo o un minore esercizio fisico possano causare tale cambiamento e parallele ricerche di laboratorio hanno mostrato che, in questo particolare periodo, il testosterone prodotto dal maschio non rimane tale come normalmente avviene, ma viene convertito in un ormone femminile, l'estrogeno, che diventa responsabile della ritenzione d'acqua. Inutile dire che, per le femmine, più un maschio è «imbottito d'acqua», più è attraente. E così capita che tutte le femmine finiscano col corteggiare lo stesso maschio e che solo in caso di un suo totale e reiterato rifiuto la scelta ricada su qualche altro individuo meno dotato. Nonostante l'apparenza da «macho», i maschi di questa specie non si interessano molto alle femmine nè competono per accoppiarsi con loro; sono piuttosto queste ultime a doversi dare molto da fare per ricevere le attenzioni del maschio prescelto. Le scimmie scoiattolo femmina hanno anch'esse una particolarità: i loro periodi di estro sono quasi all'unisono. Nel giro di un paio di mesi tutte hanno l'ovulazione e rimangono incinte. Di femmine sfasate quasi non ce ne sono. L'ovvio risultato è che dopo cinque mesi e mezzo c'è un incredibile susseguirsi di nascite. Ma a che serve questo sincronismo, peraltro non comune fra altre specie di primati? L'unica spiegazione valida finora proposta è che serva ad aumentare le probabilità che un piccolo possa trovare abbastanza cibo al momento dello svezzamento e a diminuire le probabilità che venga predato. Le scimmie scoiattolo hanno piccole dimensioni (gli adulti pesano sui 500-800 grammi) e vivono in gruppi numerosi nelle foreste primarie e secondarie del Sud e del Centro America. I gruppi sono abbastanza rumorosi, molto attivi e in genere facili da individuare, soprattutto da un predatore come un'aquila o un falco. Gli episodi di caccia di questi uccelli diventano molto più frequenti quando ci sono i piccoli, che essi catturano sia quando, durante i primi mesi di vita, stanno ancora sul dorso o intorno al collo della madre, sia quando incominciano a muoversi indipendentemente. Nel parco nazionale di Corcovado, in Costa Rica, dove da anni alcuni ricercatori studiano l'ecologia e il comportamento di Saimiri sciureus, si è visto che la disponibilità di cibo varia notevolmente secondo la stagione. In particolare gli insetti - di cui le scimmie scoiattolo si nutrono in grande quantità e che costituiscono un'ottima fonte di cibo - sono disponibili soprattutto nella stagione secca. A Corcovado le nascite sono concentrate in modo tale che i piccoli arrivino all'età dello svezzamento proprio durante la stagione secca, quando è più facile trovare di che nutrirsi. Sempre sulla base dei dati raccolti a Corcovado, è stato possibile stabilire che la concentrazione delle nascite riduce il tasso di predazione. Ciò avviene grazie a due differenti meccanismi. Da un lato, le femmine che hanno un piccolo tendono a stare nelle vicinanze di altre femmine molto più di quanto non avvenga in altri periodi dell'anno; dall'altro esse diventano molto più vigili del normale e ciò incrementa notevolmente le possibilità di individuare un predatore e mettersi al riparo. Si potrebbe dire che, stando più vicine del solito, le femmine si avvantaggiano reciprocamente del fatto che ci siano molti più occhi che spiano il cielo e molte più voci a dare l'allarme. Elisabetta Visalberghi Istituto di Psicologia, Cnr


PROGETTARE AL COMPUTER Guarda sul video come sarà il tuo giardino Un software per analizzare e modificare le diverse soluzioni
Autore: ANSELMINO ILARIA, CURTI RENATA

ARGOMENTI: INFORMATICA, URBANISTICA, EDILIZIA, BOTANICA, PROGETTO
LUOGHI: ITALIA

L'INFORMATICA sta ormai dilagando anche nel campo della progettazione ambientale. Programmi informatici sempre più sofisticati hanno rivoluzionato il concetto stesso di progettazione, a qualsiasi livello e in qualsiasi campo dell'ingegneria e dell'architettura. Ma alcuni di questi programmi hanno trovato nuove applicazioni nella bio-architettura e nella progettazione ambientale, dando la possibilità non solo di progettare con nuovi strumenti e secondo nuovi criteri e quindi di ideare cose veramente nuove, ma anche di simulare su video o su carta stampata o su film la realtà progettata. Quali sono i dati di partenza? Nel caso di vaste aree da «ripensare» completamente si parte da fotografie aeree oppure ottenute via satellite (telerilevamento), eventualmente sovrapposte sul video alle carte catastali, topografiche o idrogeologiche. Nel caso di giardini pubblici o privati, oppure parchi di dimensioni ridotte, una buona base di partenza è costituita dalle planimetrie, dalle carte catastali e da fotografie che inquadrino scorci o viste di particolare interesse per il degrado attuale o per l'utilizzazione prevista. Su questi dati di partenza interviene il progettista, che non è più una figura a sè stante ma deve compendiare le esperienze e le conoscenze di professionalità differenti, per la necessità di definire non solo opere strettamente ingegneristiche (murarie, strutturali, di regimentazione delle acque e di contenimento di pendii franosi) ma anche assetti urbanistici, valutazioni di impatto ambientale e studi di recupero ambientale. In questa progettazione globale di un sito, la simulazione permette un tipo di controllo preventivo non tradizionale sul progetto, perché potranno essere presi in considerazione anche parametri estetici, che da una planimetria o da una assonometria difficilmente traspaiono. Inoltre una simulazione può arrivare a risoluzioni così elevate da non discostarsi molto da una fotografia e quindi la sua lettura, cioè la sua interpretazione, è assai semplice. Viene dunque facilitata l'attività decisionale dell'utente finale, che di solito non è un esperto del ramo. Chi è l'utente? Esiste in commercio una vasta gama di prodotti software di complessità e con finalità così diverse da rivolgersi anche a un pubblico estremamente eterogeneo. E' però possibile individuare due categorie di utenti: la pubblica amministrazione e il privato cittadino. La prima può usare le tecniche di simulazione come supporto per l'analisi della destinazione d'uso di aree pubbliche e per l'analisi di fruibilità delle opere progettate. Il secondo le usa per visualizzare come può apparire il suo giardino dopo le ristrutturazioni programmate. In entrambi i casi, nonostante un costo aggiuntivo che è necessario sostenere perché viene allungata la fase progettuale, si ha una diminuzione dei costi complessivi d'opera, perché si riduce la necessità di rifacimenti e di adeguamenti a posteriori dell'opera stessa. Ilaria Anselmino Renata Curti


GUSTO E OLFATTO Una coppia affiatata La lunga strada dalle «sensazioni» al cervello
Autore: DI AICHELBURG ULRICO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Naso in sezione e lingua

IL gusto e l'olfatto sono pieni di mistero. Questi «sensi chimici» (rispondono a stimoli chimici, a differenza della vista e dell'udito i cui stimoli sono di natura fisica) costituiscono una coppia affiatata, infatti operano spesso in collaborazione: molte sensazioni che chiamiamo gustative in realtà dipendono anche dall'odorato. Dai cibi, quando vengono masticati, emanano effluvi che si associano alle sensazioni gustative, e accade al raffreddato di non distinguere più i diversi vini o le diverse carni nè di apprezzare una tazza di caffè. Il bouquet del vino è essenzialmente olfattivo. Insomma, i sapori sono sensazioni molto complesse, nelle quali il gusto si unisce all'olfatto. Le sensazioni gustative fondamentali sono quattro: dolce, amaro, acido, salato. Gli altri sapori sono complessi, combinazioni di due o più fondamentali, perciò nel comune linguaggio usiamo tanti altri aggettivi: alcalino, metallico, oleoso, allappante, piccante, acre, aromatico, viscoso, secco eccetera. Questo perché le sensazioni del gusto si fondono con quelle dell'olfatto e anche con quelle derivanti dalla pastosità, fluidità, omogeneità, temperatura dei cibi. Insomma, le sensazioni gustative e olfattive possono sembrare più umili della vista e dell'udito, ma in realtà sono quanto mai raffinate. La superficie dorsale della lingua ha un aspetto vellutato per la presenza di numerosissime papille, estroflessioni della mucosa. Nelle papille vi sono i calici gustativi, corpiccioli sferoidali che contengono le cellule gustative, fornite di recettori per le sostanze con le quali vengono a contatto. Accadono complesse reazioni chimiche che hanno richiesto ai fisiologi non minore impegno di altre imprese scientifiche. Per esempio, il sapore metallico è probabilmente associato agli ioni cromo, ferro, rame, alluminio e stagno la sensazione di salato agli ioni sodio e potassio, l'amaro a molecole con gruppi idrofobici (scarsa o nulla affinità per l'acqua), il dolce a un legame azoto-idrogeno o ossigeno-idrogeno. Sono state scoperte nella lingua le «proteine gustative specifiche»: le molecole delle sostanze introdotte in bocca si legano a queste proteine e il legame dà inizio a fenomeni bioelettrici che stimolano i calici gustativi. Da questi, lungo alcuni nervi, gli stimoli arrivano alla corteccia cerebrale dove esiste una specifica area gustativa. Qui nasce la sensazione. Abbiamo una «gustometria», possibilità di misurare l'acutezza gustativa, e una «saporimetria», misurazione del potere sapido delle sostanze, con le quali si è stabilito, per esempio, che i bambini hanno un'acutezza superiore agli anziani, oppure che occorrono almeno tre milligrammi di zucchero per percepirne il gusto dolce. Molto è ancora misterioso, comunque sappiamo che la lingua di per sè è capricciosa: la punta è più sensibile al dolce e al salato, la parte intermedia all'acido e al salato, la base all'amaro. Il coniglio ha cinquanta milioni di cellule olfattive per narice. Nell'essere umano il numero è molto inferiore: il senso dell'olfatto ha un'importanza minore che negli animali, il mondo degli odori è più angusto e meno specializzato. Nella parte più alta delle nostre cavità nasali le cellule olfattive occupano una superficie di cinque centimetri quadrati e sono circa dieci milioni. Queste cellule hanno una decina o ventina di filamenti, le ciglia olfattive, sporgenti nella cavità nasale. Analogamente a quanto avviene per il gusto, a livello delle ciglia si ha un legame fra le molecole recettive, e lo stimolo chimico si trasforma in un fenomeno bioelettrico che fa nascere l'impulso nervoso, dimostrato dall'elettro-olfattogramma. Il nervo olfattivo trasmette l'impulso a una zona specializzata della parte anteriore della corteccia cerebrale, il bulbo olfattivo. Anche qui, come per il gusto, molti misteri. Possiamo riconoscere migliaia di odori diversi e il problema più difficile della fisiologia olfattiva è in quale modo una cellula possa, con le sue ciglia, discriminare migliaia di odori, in quale modo il segnale trasmesso dal nervo olfattivo al cervello porti con sè non soltanto l'informazione dell'intensità dell'odore ma anche quella del tipo. Senza dubbio la percezione olfattiva è la somma di molti processi biochimici ed elettrofisiologici. Si stanno compiendo ricerche per identificare i recettori delle molecole odorose. Studiosi italiani hanno scoperto una proteina denominata Obp (odorant binding protein) che lega selettivamente una sostanza denominata pirazina. Le cellule olfattive si ricambiano continuamente. Una rinite provoca la morte di molte cellule ma ne nascono di nuove. L'esercizio raffina il senso degli odori: chi si occupa di vini o di olii riconosce con l'olfatto la qualità del prodotto, e i ciechi acquistano un'ipersensibilità olfattoria importante per la loro vita di relazione. Un individuo cieco e sordo dalla nascita distingueva le persone di sua conoscenza grazie all'odorato. Ulrico di Aichelburg


E tu mi torni in mente L'odorato risuscita antiche immagini
Autore: U_D_A

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

STRETTO è il legame fra sensazioni olfattive e sfera dei sentimenti. Forse più di altre queste sensazioni sono capaci di modificare profondamente l'umore, lo stato affettivo generale. Un sano profumo di terra, di piante, di fiori solleva il tono psichico. Sensazioni odorose stimolano l'ideazione. Rousseau diceva che l'odorato è il senso dell'immaginazione, «esso agita molto il cervello dando ai nervi un tono più forte». Emile Zola era particolarmente un «olfattivo», secondo le osservazioni dei fisiologi. Ma anche senza essere degli artisti, tutti sappiamo che l'odorato ha la capacità di suscitare ricordi, determinare stati d'animo, rievocare l'immagine di luoghi, oggetti, avvenimenti: l'aroma delle madeleines di Marcel Proust... L'olfatto interviene in numerosi comportamenti complessi contribuendo a determinare le scelte alimentari ed ecologiche, la comunicazione sociale e sessuale. Ha anche importanza nella regolazione della vita organica: le stimolazioni olfattive provocano variazioni della pressione arteriosa, della secrezione salivare e del succo gastrico, del tono e della motilità dello stomaco, del tasso di glucosio nel sangue. Anche le sensazioni gustative suscitano numerose reazioni riflesse e basterà ricordare quelle che avvengono nell'apparato digerente. Il nostro giudizio sulle sensazioni gustative è influenzato dalle ripercussioni affettive che gli alimenti e le bevande suscitano in noi, cosicché prima di tutto distinguiamo i sapori in piacevoli, indifferenti o disgustosi. Interviene inoltre la vista: sorbire un vino prelibato in una tazza da caffè non è come sorbirlo in un calice di cristallo, e lo stesso vino bevuto a occhi chiusi non darà il godimento che si ha ammirandone il colore. E' sufficiente leggere una di quelle minuziose descrizioni gastronomiche di cui si compiacevano gli scrittori realisti come Honorè de Balzac, o qualche pagina della «Fisiologia del gusto» di Brillat-Savarin, per rendersi conto che l'accurata preparazione dei cibi non è una raffinatezza superflua o un lusso degno di pochi eletti, ma un elemento indispensabile per un'alimentazione soddisfacente anche dal punto di vista fisiologico. (u. d. a.)


CAMBIAMENTI DI UMORE Musi lunghi: troppi dolci Altalena della glicemia
Autore: GIACOBINI EZIO

ARGOMENTI: ALIMENTAZIONE, MEDICINA E FISIOLOGIA, PSICOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

SE il vostro bambino è di cattivo umore, irritabile, distratto, instabile, potrebbe essere colpa di un'alimentazione troppo ricca di zucchero. Il subitaneo aumento della glicemia (tasso di zucchero nel sangue) dopo l'ingestione, una ipoglicemia (basso tasso di zucchero nel sangue) diverse ore dopo i pasti, una risposta di tipo allergico potrebbero essere la causa di improvvisi cambiamenti di umore in individui particolarmente sensibili. Siamo al riparo usando dolcificanti artificiali come l'aspartame, che risulta dalla combinazione di due aminoacidi naturali, l'acido aspartico (da cui il nome) e la fenilalanina? Manco per sogno, dicono alcuni dietologi. La degradazione dell'aspartame nell'organismo può portare a un aumento dell'aminoacido fenilalanina, che a sua volta potrebbe disturbare il trasporto dal sangue al cervello di aminoacidi essenziali allo stesso cervello. Non ci sarebbe quindi via di uscita. D'altra parte lo zucchero (saccarosio) come glucosio rappresenta fonte principale dell'energia necessaria per far funzionare il cervello. Per questo viene assorbito dal sangue in grandi quantità, e bruciato per il 99 per cento in condizioni normali. Solo durante un prolungato digiuno il cervello è in grado di usare altre sostanze per la propria sopravvivenza. Si pensi che il cervello di un individuo consuma circa 5 milligrammi di glucosio per ogni 100 grammi di sostanza cerebrale per minuto pari a circa 80 milligrammi totali per minuto. Appena si abbassa lo zucchero nel sangue e di conseguenza anche nel cervello ecco che sopraggiungono sintomi come sudorazione, confusione mentale, convulsioni e perfino coma. Se la circolazione cerebrale è completamente ostruita, in pochi minuti si esauriscono le riserve di glucosio e di glicogeno. Come si può dunque accusare tale benefattore di colpe così gravi? Di fatto malgrado numerosi rapporti sui presunti effetti deleteri dello zucchero e dell'aspartame i diversi studi clinici compiuti su bambini iperattivi e normali non hanno mai portato a dati conclusivi. L'assoluzione per i due rei sospetti è giunta ora in un articolo del New England Journal of Medicine (3 febbraio 1994) in uno studio che probabilmente è il più ambizioso e il più completo compiuto finora. La ricerca venne finanziata dall'istituto nazionale di Sanità (Nih) degli Stati Uniti e dalla Fondazione internazionale per gli studi sulla nutrizione, che è finanziata a sua volta dall'industria alimentare e farmaceutica. Ci si è sforzati di rispondere alle critiche degli studi precedenti, generalmente di breve durata o privi di controlli rigorosi. La ricerca che rappresenta una collaborazione tra i dipartimenti di pediatria della Vanderbilt University e dell'Università di Iowa comprende due gruppi di 25 bambini normali di età 3-5 anni e 6-10 anni (prescolare e scolare) rispettivamente indicati dai genitori come particolarmente sensibili allo zucchero. Per esaminare l'ipotesi di un effetto sul comportamento, i soggetti vennero sottomessi a una dieta controllata ricca in zucchero, saccarina o aspartame per tre periodi consecutivi di tre settimane ognuno. La sostanza neutra di controllo (placebo) era la stessa saccarina. Conclusione: se il vostro bambino è irascibile e iperattivo non incolpate lo zucchero dei dolci o i dolcificanti ma pensate a qualche altra causa. Lo studio dimostrava infatti che anche quando la dieta era più ricca del normale di zucchero o di aspartame non si riscontravano cambiamenti significativi nel comportamento del bambino. Nonostante la risposta negativa data da questo studio sussiste sempre la possibilità di bambini particolarmente sensibili allo zucchero o all'aspartame. La cautela non è mai troppa. Ezio Giacobini Università del Sud Illinois


SINDROME DI RETT Bimbe a rischio Colpito il sistema nervoso
Autore: LEONCINI ANTONELLA

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, BAMBINI, PSICOLOGIA
NOMI: RETT ANDREAS
LUOGHI: ITALIA

FRA gli interrogativi ancora aperti dalla medicina, c'è anche la sindrome di Rett, un disturbo neurologico che colpisce le bambine alla fine del primo anno di vita, dopo un normale sviluppo prenatale e perinatale. La scoperta di questa malattia risale alla metà degli Anni Sessanta, quando fu descritta per la prima volta da uno studioso viennese, il dottor Andreas Rett. La malattia si manifesta con un rallentamento dello sviluppo corporeo e cerebrale, aggravato da un comportamento autistico, demenza, perdita del controllo sulle mani, convulsioni. La sindrome colpisce a livello mondiale una bambina ogni ottomila ed è diventata oggetto di crescente attenzione dopo la pubblicazione, da parte dell'equipe dello svedese Bengt Hagberg, dei risultati di una rassegna di 35 casi. In Italia la ricerca è condotta dal dottor Joseph Hayek del reparto di neuropsichiatria infantile della clinica pediatrica di Siena: oltre 200 i casi sotto esame. «Restano ancora sconosciute le cause e la patogenesi di questa malattia - dice il dottor Hayek -. Tuttavia, poiché la sindrome colpisce solo le femmine, si ritiene che la sua comparsa sia dovuta a una mutazione dominante localizzata sul cromosoma X, che nel maschio eterozigote è letale». Restano da verificare alcune ipotesi. «E' possibile - continua Hayek - che si verifichi, per fattori comunque ancora sconosciuti, un arresto dello sviluppo dei neuroni per degenerazione di popolazioni cellulari funzionalmente critiche e per mancanza di differenziazione». Gli studi condotti si sono prevalentemente concentrati sulle alterazioni anatomopatologiche e biochimiche presenti nei cervelli dei pazienti affetti da sindrome. Sono stati accertati squilibri a carico di varie aree cerebrali implicate in funzioni cognitive e motorie, oltre ad alterazioni nei neurotrasmettitori. Recenti studi condotti dall'equipe senese sembrano aprire alcuni spiragli. La ricerca si è indirizzata verso un marker diagnostico facilmente individuabile. I risultati, presentati al congresso mondiale sulla sindrome di Rett, sembrano essere incoraggianti. I primi dati ottenuti su un campione di bambine affette dalla sindrome hanno dimostrato la presenza degli anticorpi con un'intensità differente a seconda dell'età delle pazienti. Gli anticorpi erano invece assenti nelle bambine sane. Sebbene i dati necessitino di ulteriori conferme, la presenza degli anticorpi suggerisce la possibilità di un meccanismo autoimmune nell'origine della sindrome. Antonella Leoncini




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